Cos’è l’Alchimia (PARTE I)

Roberto Renzetti

      INTRODUZIONE

    Leggo da André Pichot(1):

        L’apprensione del mondo era, nell’alta antichità, essenzialmente mitica e magica; l’uomo partecipava direttamente al mondo attraverso i suoi atti e i suoi riti; persino tecniche molto specializzate, come la metallurgia, si accompagnavano a rituali magico-mistici e avevano i loro modelli nella mitologia (gli dèi fabbri, come Efesto – ma anche gli dèi vasai che creano partendo dal fango ecc.). Una tale apprensione del mondo non passa dal linguaggio, è direttamente vissuta; il linguaggio si limita a tentare di darne ragione attraverso l’elaborazione di favole mitiche le quali, spesso in modo analogico, spiegano questa esperienza vissuta ricorrendo a dèi ed eroi le cui avventure (in un passato indeterminato ma sempre attivato, e dunque sempre operante) sono i paradigmi dell’esperienza umana o dei fenomeni naturali.


 
   In mancanza di documenti precisi le origini dell’alchimia, come quelli della magia, dell’astrologia e della religione si possono solo supporre. L’uomo tenta di comprendere e controllare la natura che si mostra certamente avversa e spesso nemica. Si affida a simboli e segni che gli sembra di aver colto per poter controllare ciò che ritiene possibile. Non distingue le varie cose e mescola ogni sua conoscenza. Non vi è un qualcosa che nasce con una certa data ed un’altra cosa con un’altra. Ma vi sono tutte le cose che nascono insieme e pian piano acquistano ambiti diversi e peculiarità proprie. Non vi è una scrittura per dare memoria e per tramandare delle cose e così non si dispone di documenti ma solo di racconti postumi e mitici. Il mito è una spiegazione del mondo in cui i partecipanti ad un gruppo sociale ricostruiscono origini comuni dalle quali trarre insegnamenti. In nome del mito si fanno ricostruzioni pseudostoriche che servono a ricostruire cronologie ed analogie utili ai riti perché costruiscono archetipi lontani nel tempo, anzi in tempi indefiniti, fondativi del gruppo ma inteso storicamente, come un archetipo di riferimento per il gruppo medesimo. E’ la nascita dei libri sacri, delle bibbie, di ogni religione e magia.

        Riportando il discorso ad un ambito più ristretto occorre dire che, nelle società primitive, lavorare materiali, sviluppare tecniche legate ad ogni manipolazione della materia non è un mero sapere pratico slegato da ogni altro sapere. Le pratiche di lavoro sono sempre associate ad alcuni riti che quantomeno reclamano un universo propizio e l’aiuto di divinità favorevoli. All’inizio si può pensare a qualcosa di spontaneo ma pian piano si deve immaginare una codifica dei riti che probabilmente si sviluppano in analogia alla vera e propria attività manuale. A questo punto è facile immaginare l’invocazione di dei o demoni. La magia, la richiesta dell’aiuto di forze ignote è parte integrante del processo di manipolazione della materia, soprattutto in quelle dove compare il fuoco.

        Una avvertenza è necessaria. Quanto più si studia l’alchimia in ogni suo risvolto, tanto più essa risulta confusa, complessa ed a volte contraddittoria. In realtà era una immenso intreccio tra pratiche di trasformazione delle sostanze con antiche religioni, con superstizioni e tradizioni popolari, con mitologia, astrologia, magia, filosofia, teosofia, e con tutti gli altri vasti campi dell’immaginazione e della pratica lavorativa dell’uomo.

        Quanto detto è il motivo per il quale non è quella che segue una storia dell’alchimia. L’impresa sarebbe troppo grande e non so davvero se ne sarei capace. Come dice Giua,

quando lo storico cerca di raggiungere una visione unitaria del periodo alchimistico urta contro difficoltà insormontabili, in parte dovute alla durata di esso per oltre un millennio, nel qual periodo varie civiltà si eclissarono e altre si formarono in Oriente e in Europa, ma derivate in parte maggiore dalla complessità dei problemi chimici che vengono preannunciati anche se non risolti. Certo, se si considera come caratteristica del periodo alchimistico la ricerca affannosa, spesso spasmodica, della pietra filosofale e quindi si attribuisce ai suoi adepti il solo scopo della trasmutazione dei metalli vili in metalli nobili, il compito dello storico si semplifica di molto, ma nello stesso tempo la visione diventa più limitata. Nel millennio a partire dal sec. IV dell’era volgare non è soltanto la pratica della creazione dell’oro, della ricerca dell’ elixir di lunga vita e del solvente universale che affatica gli alchimisti nelle loro ricerche. Vi sono altri compiti, oltre quello più attraente della creazione della ricchezza di Mida, che s’impongono ai ricercatori, ed è per questo che durante il periodo alchimistico le cognizioni sui processi di preparazione si allargano, che vari procedimenti relativi ai prodotti più richiesti passano dall’ambito angusto della fucina alchimistica ai tavoli e alle fornaci di vere officine. Il commercio con i paesi orientali fa conoscere in Europa non solo i prodotti dell’agricoltura, ma quelli dell’attività tecnica e così l’attenzione viene richiamata sugli oggetti di vetro, di ceramica, di porcellana, sui magnifici colori e tessuti dell’Estremo Oriente, sui fuochi artificiali che impressionavano l’immaginazione popolare e che nascondevano uno dei ritrovati che ebbe maggior influenza sulle sorti dei popoli durante una parte di quel lungo periodo, e cioè la polvere pirica.

        Lo storico che voglia quindi offrire una visione unitaria del periodo alchimistico deve tener conto di tutti questi fattori e particolarmente deve inserire lo sviluppo della conoscenza chimica nella storia generale dei diversi paesi.

        Di seguito mi occuperò propriamente di molti e vari aspetti dell’alchimia non fornendo i dettagli dei preparati chimici che si ottenevano nei differenti processi. Alla fine di queste discussioni darò un quadro sintetico delle elaborazioni chimiche che si sono ottenute nelle pratiche alchimistiche e che, in qualche modo, furono il lascito dell’alchimia alla chimica.

DOVE NASCE L’ALCHIMIA

        Per quanto si voglia far risalire ogni pratica magica, ogni superstizione o mistero all’antico Egitto(2), e per quanto anche con l’Alchimia succeda lo stesso con una discendenza da tal Hermes Trismegisto che, secondo la leggenda, sarebbe  il dio Toth (vedi “Religione, Magia e Scienza nel Rinascimento italiano“), i primi testi manoscritti di carattere alchimistico provengono da Alessandria, sono redatti in greco e si possono situare tra il 2° ed il 5° secolo d.C., agli inizi dell’era cristiana.  

        Naturalmente le pratiche artigiane alla base degli sviluppi dell’alchimia hanno certamente più di 5000 anni. Le arti dei vasai di terracotta hanno originato il mito del dio forgiatore dall’argilla i primi fabbri hanno creato i miti degli dei forgiatori di ferro (Efesto). Ogni pratica lavorativa era, da una parte, mantenuta segreta per ragioni di sopravvivenza. Dall’altra le supposte meraviglie prodotte da tali pratiche creavano aloni magici intorno ad esse fino ad arrivare addirittura alla invenzione di dei. Così alla primitiva alchimia che altro non era che la lavorazione di materiali si è sovrapposta una pratica che doveva avere dentro di sé la facoltà di farci avvicinare a Dio. E così le applicazioni pratiche diventavano sempre più marginali per lasciar posto alle manipolazioni finalizzate a realizzare effetti di tipo soprannaturale. Una esemplificazione di come le prime pratiche metallurgiche fossero in sé ritenute come dei riti sacri e quindi per nulla disgiunte dal sacro, dall’avvicinamento agli dei è in una tavoletta proveniente dalla biblioteca di Assurbanipal (VII secolo a.C.). Leggiamo:

“Se tu vuoi porre le fondamenta di un forno da minerale, scegli un giorno appropriato in un mese favorevole e posa le fondamenta del forno. Non appena si è orientato il forno e tu ti sei messo all’opera, metti gli embrioni divini [gli ingredienti della fusione, n.d.r.] nella camera del forno, – nessun crogiolo deve entrarvi, nessuna cosa impura deve essere posta davanti ad essi, – cospargi davanti ad essi il sacrificio consueto. Se tu vuoi mettere il minerale nel forno, offri un sacrificio davanti agli embrioni divini, metti un brucia profumi con del cipresso, cospargi la bevanda fermentata, accendi il fuoco sotto il forno, e poi introduci il minerale nel forno. Le persone che ammetterai vicino al forno devono prima purificarsi, e solo dopo potrai lasciare che si avvicinino al forno. Il legno che tu brucerai nel forno sarà un grosso gelso, un tronco scorticato, che non abbia fatto parte di una zattera, e che sia stato tagliato nel mese di ab [luglio-agosto, n.d.r.]; è questo legno che va impiegato nel tuo forno.”

        Questa è un poco la vicenda di tutte le superstizioni, anche della stessa astrologia. Lì si parte da osservazioni astronomiche legate alla misura del tempo, alla semina, al raccolto,… e poi da quel primitivo impegno a cui dobbiamo essere enormemente grati sono venute fuori le sciocche degenerazioni che conosciamo.

        In tal senso l’alchimia si colloca su di un piano più propizio al ciarlatano di quanto non lo sia l’astrologia. Qui si può intervenire sulla persona. Si può manipolare. Con gli astri vi è un determinismo che può essere modificato solo dalle parole del ciarlatano medesimo. Ma gli astri hanno tale valenza che anche l’alchimia riesce a metterli dentro i vari rituali come momenti propizi, quindi un a priori, a fare determinati rituali. Il tutto nasce sempre da questioni legate principalmente alla salute e quindi al desiderio d’amore. Ma la salute, il benessere di un figlio, queste vicende sono i ventri in cui crescono queste male piante. Compresa ogni superstizione, la magia e perfino la religione.

         Vi sono altri elementi correlati più propriamente alla metafisica quando si tenta di rintracciare l’origine dell’alchimia. E’ l’osservazione empirica del ciclo vitale fatta proprio nell’antico Egitto. La fertile terra alle rive del Nilo era il prodotto della macerazione di piante ed animali morti. Essa produceva piante in abbondanza che venivano mangiate da animali erbivori che, a loro volta, alimentavano i carnivori. Questi ultimi ed i resti dei primi quando morivano tornavano cibo nella decomposizione. A questo ciclo apparteneva anche l’uomo che però doveva esservi sottratto (religione). Per farlo occorreva isolare il suo corpo dopo la morte mediante l’imbalsamazione che impediva la decomposizione e quindi occorreva sistemarlo in tombe chiuse in modo ermetico (da Hermes Trismegisto).

        Più in generale l’alchimia primitiva si è occupata di trasformazioni e particolarmente della purificazione dei metalli con simbolismi in analogia alle vicende esoteriche del corpo umano.

Disegni trovati su dei sigilli assiri e babilonesi che rappresentano delle fornaci (circa 3000 a.C.)

Minatori greci (da un vaso in terracotta, Corinto, VI secolo a.C.)

         Fu durante l’epoca della cultura classica che l’Alchimia assunse un ruolo più colto in connessione con lo sviluppo del pensiero filosofico ed in particolare con la teoria della costituzione del mondo basata sui quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) organizzati gerarchicamente secondo i gradi di una intrinseca nobiltà in modo da avere quelli più nobili più in alto. E’ l’attrito della sfera della Luna che mette in moto violento l’aria che sta di sotto provocando un mescolamento tra i quattro elementi che conosciamo noi sulla Terra che è il mondo della generazione, della corruzione, della crescita e della diminuzione. Sopra il cielo della Luna osserviamo invece l’immutabilità. Tutto uguale, perfetto, immutabile. Quella parte di universo deve essere costituita di una sostanza diversa, anch’essa perfetta. Fu così che nacque la quinta essenza, il quinto elemento quello che garantiva la perfezione e l’immutabilità dell’universo al di sopra del cielo della Luna.

        L’abilità nella chimica applicata degli egizi e la conoscenza teorica dei greci originarono una fusione che non fu del tutto positiva perché la chimica egizia si esprimeva soprattutto con l’imbalsamazione dei morti e con i riti religiosi così che la cultura greca si impregnò di misticismo ostacolandone il successivo sviluppo. La khemeia così legata alla religione incuteva timore come i suoi adepti, che assunsero sempre più un ruolo di “maghi” più che di scienziati. Questa condizione fu poi ulteriormente incoraggiata con l’uso di simboli e pratiche sempre più misteriose che accresceva l’alone di mistero che circondava questa pratica. Questa situazione portò la khemeia a mescolarsi con astrologia, magia ed astronomia, così i sette metalli conosciuti diventarono legati agli astri conosciuti e sette era anche il numero sacro tramandato da Pitagora:

Oro – sole

Argento – luna

Rame – venere

Stagno – giove

Piombo – saturno

Mercurio – mercurio

Ferro – marte

ed in questo modo sparì la netta separazione tra scienza e religione operata dai greci.

I QUATTRO ELEMENTI

        La teoria degli elementi costituenti il mondo è antica come lo stesso pensiero classico greco. La sua sintesi ed ultima elaborazione fu di Aristotele nel V secolo a.C. I quattro elementi (da Empedocle) sono quelli che empiricamente osserviamo intorno a noi: terra, acqua, aria, fuoco. L’ordine non è indifferente perché gli elementi hanno dignità diverse. La terra che sta più in basso (cade al fondo nell’acqua e cade attraverso l’aria) è l’elemento più volgare. L’acqua sta sopra la terra ma cade nell’aria e quindi sta più su della terra. Ancora più su vi è l’aria che sale dall’acqua verso l’alto ed ancora più degno è il fuoco che s’innalza addirittura nell’aria. Il mescolamento in varie proporzioni di questi quattro elementi crea il mondo volgare che si trova sotto la Luna (il cielo della Luna). Si capisce subito come questa base di pensiero sia fondante per una alchimia colta. Ma la teoria dei quattro elementi prevede dell’altro.

        I quattro elementi devono essere dotati di quelle che Aristotele chiama qualità primarie. Devono essere:

– sensibili al tatto;

– essere suscettibili di causare cambiamenti qualitativi;

– devono formare coppie di opposti:

        caldo-freddo;

        secco-umido;

        pesante-leggero;

        denso-raro;

        ruvido-liscio;

        duro-soffice;

        resistente-fragile.

            Gli elementi non sono immutabili. Ciascuno di essi può essere trasformato in un qualsiasi altro attraverso il mutamento di una qualità (o ambedue) fondamentale nel suo opposto. La TERRA è freddo-secco; il FUOCO è caldo-secco; l’ARIA è umido-caldo; l’ACQUA è freddo-umido. Le trasformazioni più facili sono tra elementi che hanno una qualità in comune e, viste le qualità di ciascun elemento, la trasformazione di acqua in aria (o viceversa) è altrettanto facile che quella da aria a fuoco (eccetera). Risulta difficile la trasformazione da aria in terra (o viceversa). Oltre alle trasformazioni dette si possono avere anche unioni tra elementi che si scambiano le loro qualità in modo da produrne altri due. Ad esempio: acqua (freddo – umido) + fuoco (caldo – secco) può originare terra (freddo – secco) + aria (caldo – umido) e per capire a cosa si riferisce Aristotele, basta pensare ad un fuoco che si spegne con dell’acqua.

        Altre qualità, sensazioni e colori, dei quattro elementi (anche assegnate ad essi successivamente ad Aristotele) sono:

TERRA: solido e nero;

FUOCO: luce e rosso;

ARIA: gas e bianco;

ACQUA: liquido e blu.

        Ai due elementi fluidi (aria ed acqua) viene assegnata la proprietà di trasferire calore (fluido oscuro) e luce (fluido luminoso) ma anche gli influssi (Energheia) dell’intero universo che muovono l’aria (venti) ed il mare e originano i fulmini fecondatori della terra.

        I quattro elementi non esistono mai allo stato puro:

– la terra domina negli oggetti pesanti;

– l’aria domina negli oggetti leggeri;

– i metalli devono essere composti anche da acqua per poter spiegare la fusione;

– il fumo è costituito da fuoco e da terra;

– gli oggetti che galleggiano hanno una percentuale d’aria maggiore di quella di terra.

        I quattro elementi avevano un simbolismo associato, e la parte iconografica assume sempre un potere evocatorio importante in ogni arte magica:

FUOCO Triangolo rivolto verso l’alto per indicare la proprietà di salire verso il cielo

ACQUA Triangolo rivolto verso il basso per indicare la proprietà di discendere verso la terra tagliato da un segmento, per indicare la capacità di estensione

ARIA Triangolo rivolto verso l’alto tagliato da un segmento, per indicare la capacità di estensione

TERRA Triangolo rivolto verso il basso per indicare la capacità di cadere verso il basso.(3)

I quattro elementi rappresentati da D. Stolcius von Stolcenberg, Viridarium chymicum, Francoforte 1624

        Al di sopra del cielo della Luna, come accennato, vi è un universo perfetto, eterno, immutabile che non può essere costituito degli stessi materiali che costituiscono il mondo che cambia, quello dove le cose si generano, si corrompono e si modificano. E’ qui che nasce l’altro elemento costituente l’universo, quello che Aristotele chiama etere e che propriamente sarà chiamato il quinto elemento o meglio la quinta essenza.

        Questa visione, mai disgiunta dalla parte metafisica che riguardava l’uomo ed il suo raggiungimento della perfezione, attraverso varie trasformazioni che tendevano proprio a quella, fu fatta propria dall’alchimia araba. Quel quinto elemento aristotelico poteva essere sfuggito da qualche parte e ritrovarsi anche nel mondo sublunare. La sua ricerca per il suo mescolamento a determinati miscugli caratterizzò un’epoca. E’ la storia della ricerca della pietra filosofale (o elisir), quella che unita a metalli volgari li avrebbe trasformati in oro. Ma in questa metafora vi è tutta la potenza della ricerca di un ente metafisico che avrebbe permesso il raggiungimento di quel fine auspicato sia nel mondo minerale che in quello animale (l’uomo): la perfezione. Attraverso questa pietra, che avrebbe curato ogni male, si sarebbe raggiunta addirittura l’immortalità (teorie attribuite all’alchimista Geber o Abu Musa Jabir Ibn Hayyan). In ogni caso, quantomeno, la sapienza totale.

Quella cosa che muta i metalli in oro possiede altre virtù straordinarie: come, ad esempio, conservare la salute umana integra sino alla morte e di non lasciar passare la morte (se non dopo due o trecento anni). Anzi, chi la sapesse usare potrebbe rendersi immortale. (Jan Amos Komenesky, da Labirinto del mondo e paradiso del cuore del 1631)

        Non poteva mancare la mistica del cristianesimo in questa ricerca della perfezione ed infatti molti pensatori cristiani si inserirono nel mondo dell’alchimia (in un primo tempo avversandola ma poi abbracciandola).

        Ma mettiamo un poco di ordine.

LE VARIE ALCHIMIE

        A seconda di dove si sviluppò, l’alchimia storica, quella che ci ha fatto pervenire documenti, assunse caratteri peculiari che in breve occorre distinguere. In linea di massima occorre far riferimento a tre diverse alchimie che rappresentano anche l’evoluzione storica dell’alchimia in senso lato:

L’alchimia greco-egiziana o alessandrina (dall’inizio dell’era cristiana a circa il VII secolo) che codificò i primi fondamenti (almeno quelli che sono giunti a noi) fondendo gli antichi saperi empirici alchemici egizi con la teoria dei quattro elementi e della loro trasmutabilità elaborata in Grecia; in tale filone vi sono i primi indizi del misticismo(4) legati alla crescente richiesta di oro a seguito dell’esaurimento delle miniere note e dell’aumento degli scambi. Gli egizi pensavano di aver trovato un sistema di trasformazione di rame in oro attraverso l’avvicinamento di una piccola quantità di quest’ultimo ad una grande massa del primo. Perché la cosa riuscisse serviva l’intermediazione di un qualche dio in un particolare periodo dell’anno e quindi sotto l’influenza di un qualche pianeta. Si determina quindi la coesistenza tra alchimia, influssi magici degli dei ed astrologia.         È da notare che proviene dall’Egitto una delle leggende che più caratterizzò la ricerca dell’alchimista. Hermes Trismegisto, al quale ho accennato, sarebbe stato sepolto sotto una lapide di smeraldo che aveva le seguenti parole incise:

“Come tutte le cose furono mediante la contemplazione di una sola, così tutte le cose nacquero da quest’unica mediante un singolo atto di adattamento. Padre di essa è il Sole, madre è la Luna. Il Vento la portò nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice. Essa è la generatrice di tutte le opere prodigiose in ogni luogo del mondo. Il suo potere è perfetto.”

La trascrizione di questa lapide avrebbe dato origine alle Tavole Smeraldine, fondamentale testo alchemico, vera bibbia dell’alchimista (Tabula Smaragdina inserita nella sua versione latina in Chrysogonus Polydorus De Alchimia, Nuremberg 1541). 
. Da esse si trae con grande chiarezza in cosa consiste la ricerca dell’ alchimista: questa unica cosa che è generatrice di ogni bene e perfezione. Nelle Tavole, che si ritengono comunque molto antiche ed originariamente scritte in siriaco mentre noi le conosciamo solo nella versione latina medioevale, sono riportati i 13 precetti alla base degli iniziati alchimisti (e non i ciarlatani in cerca di solo oro). Leggiamoli:

 1 Io non parlo di cose immaginarie, ma di ciò che è certo e vero.

2 Le cose inferiori sono uguali a quelle superiori, quelle superiori a quelle inferiori: così si compie il miracolo dell’unità.

3 E come tutte le cose sono state create da una sola parola di un solo Essere, così tutte le cose sono prodotte da una sola per derivazione.

 4 Il Sole è suo padre, la Luna sua madre; il Vento la porta con sé nel suo ventre, sua nutrice è la Terra.

5 È il padre della perfezione in tutto il mondo.

6 La forza è vigorosa se può essere trasformata in terra.

7 Separate la terra dal fuoco, il fine dal grossolano, agendo con prudenza e con giudizio.

8 Salite forniti di una grandissima saggezza dalla terra al cielo e poi di nuovo scendete in terra e unite insieme la forza delle cose celesti e di quelle terrestri. In questo modo potrete ottenere la gloria di tutto l’universo e l’oscurità sparirà da voi.

9 Questi ha più forza della forza stessa poiché vince ogni cosa sottile e può penetrare in ogni solido.

10 Così venne formato il mondo.

11 Da questo derivano le meraviglie che si trovano qui da tempo.

12 Per questa ragione io sono chiamato Ermete Trismegisto, perché ho le tre parti della filosofia di tutto il mondo.

13 Quello che avevo da dire sull’azione del Sole è stato detto.

Il testo sembra oscuro ma è la summa del pensiero alchemico. I punti 2 e 3 affermano l’unitarietà delle cose. Il punto 4 afferma il principio del maschile e femminile e dei 4 elementi di Aristotele. Il punto 5 è l’idea greca della via alla perfezione. Il punto 7 si riferisce all’arte del separare, tipica dell’alchimia.  Il punto 8 fa riferimento allo scambio delle materie finalmente purificate per la successiva produzione del Grande Lavoro, quello che produce la pietra filosofale.

Le tavole smeraldine (la lapide sulla tomba di Hermes Trismegisto) nell’immaginazione dell’alchimista Heinrich Khunrath. Da Amphitheatrum sapientiae aeternae, Hannover 1606.

L’alchimia araba. Nel VII secolo d. C. gli arabi conquistarono l’Egitto e si impadronirono delle conoscenze alchemiche qui sviluppate. Trasferirono tali conoscenze nei Paesi che via via conquistavano sviluppando in modo particolare un’alchimia che possiamo chiamare farmaceutica, distillati e preparazione di medicamenti attraverso estratti vegetali. E’ caratteristica di questo periodo (molto lungo perché va dal VII al XIII secolo) la conoscenza più particolare dei lavori di diversi alchimisti attraverso i loro scritti. Ogni alchimista condivide poco con l’altro. Intanto per la questione accennata del mistero che circondava le ricerche di ognuno (le stesse ricette mediche che vari autori riportano sono incomprensibili per il linguaggio ermetico utilizzato) e poi perché il campo di operazioni è talmente vasto che le sovrapposizioni di argomenti per eventuali confronti sono davvero poche. Occorrerebbe qui studiare alchimista per alchimista per comprendere meglio il contributo di ciascuno e per situarlo nell’epoca in cui è stato sviluppato. E’ da notare che anche qui si mantiene e si rafforza il mito mistico dell’oro come metallo al vertice della perfezione tra i metalli. E’ in questa epoca che nasceranno i miti, dei quali mi occuperò più oltre, della pietra filosofale per raggiungere la perfezione tra i metalli e dell’elisir di lunga vita per raggiungere la perfezione tra gli esseri viventi.

L’alchimia occidentale. Gli arabi (con il successivo arricchimento attraverso l’Islam) insediatisi nella penisola iberica, in parte dell’Europa orientale e nel Sud d’Italia ebbero il grande merito di farci riscoprire la cultura classica (greca, romana, alessandrina ma anche orientale) attraverso i testi, che in Occidente erano andati perduti per la volontà distruttiva dell’Impero della Chiesa, e che erano stati invece conservati nelle Biblioteche di Bisanzio, di Damasco e dei grandi centri culturali dell’intero Medio Oriente. Trasferirono anche molte abilità pratiche e, in questo ambito, non potevano non esservi le conoscenze alchemiche che ebbero subito una grande diffusione (a partire dal XII secolo) ed un gran numero di praticanti soprattutto per quella cosa della pietra filosofale (sempre descritta in modo ermetico con aloni di misticismo) ma anche per la ricerca di conoscenze mediche e farmacologiche.

Il primo testo alchemico pubblicato in occidente è dovuto all’inglese Roberto Chester ed è del 1144. Anche in Occidente l’alchimia mantiene il suo carattere mistico (con pratiche magiche ed astrologiche a lato) e segreto. Anche qui la ricerca degli alchimisti è sul doppio fronte della trasmutazione della materia e del perfezionamento dello spirito. In particolare l’Europa medioevale favorì molto lo sviluppo dell’alchimia, per la brama di arricchimento che le varie piccole corti avevano. Tutti i potenti pagarono con ogni disponibilità alchimisti di corte con il fine di poter aumentare il loro potere (attraverso la scoperta di quella pietra, e di quell’elisir). In questo ambito, in Occidente più che altrove, ebbero buon gioco i ciarlatani ed i truffatori.

 L’alchimia, fino a Rinascimento inoltrato e financo nell’età barocca, tra le varie pratiche magiche, esoteriche e mistiche, era certamente quella i cui cultori custodivano più gelosamente i suoi segreti. Questo è uno dei motivi per cui si sa molto poco delle pratiche magiche ed alchemiche. Solo pochi, pure sapienze elette, gli iniziati, potevano avere le facoltà per operare in tali campi. Per essere iniziati non bastava una scuola; occorreva avere delle proprietà particolari, essere dotati da Dio di particolari poteri, in modo che si può anche sostenere che il mago, l’alchimista, è un poco un eletto da Dio, una specie di Santo. In questo senso la magia non temeva smentite. Il linguaggio criptico conteneva in sé sempre una affermazione ed il suo contrario ed il mago era inattaccabile. Se delle cose non andavano poi come dovevano era perché il ‘paziente’ non aveva fatto esattamente, non si era attenuto, non era stato casto, non è nelle condizioni favorevoli ad accogliere le potenze benefiche del cielo, non … In questo senso solo l’astrologia risultava quasi completamente aperta. Ma l’alchimia aveva una proprietà che la rendeva più “potente” rispetto all’astrologia. In quest’ultimo caso si trattava solo di descrivere le posizioni degli astri senza avere alcuna possibilità di intervento. L’alchimia con le sue manipolazioni permetteva di pensare che si lavorasse per un prodotto che si adattasse ad un dato scopo (per questo il ‘mago’ ricorreva quasi sempre all’alchimia).

        In quanto vedremo di seguito occorre una fondamentale precisazione, ad evitare equivoci. Un elemento come oggi lo conosciamo non è mai quell’elemento. Per intenderci lo Zolfo non è lo zolfo che conosciamo. Per Paracelso, ad esempio, esso rappresenterà l’anima e poi qualche altra cosa, mai definita, con un linguaggio sempre sfuggente e mai puntuale. Lo stesso operare dell’alchimista non combina elementi ma li accoppia. È un universo di morti, anime, spiriti, esalazione, male e bene, trasmutazioni, sangue, maschile e femminile, unioni carnali,…. Nessuno pensi ad un qualche seppur minimo rapporto tra alchimia e chimica (anche pensando a quella di Dalton o Lavoisier), anche se, con il loro armamentare, gli alchimisti scoprirono alcuni elementi ed alcune proprietà delle sostanze.

LE TEORIE ALCHIMISTICHE

        In linea del tutto generale si può dire che le teorie alchimistiche avevano qualche fondamento comune, alcune concezioni dalle quali partivano in modo deduttivo. Intanto la materia doveva essere in origine una sola e solo in seguito ad una qualche evoluzione erano nate le diverse forme della materia che conosciamo. Vi doveva poi essere una data entità, un agente che permetteva le trasmutazioni da una materia ad un’altra. Tale agente era la pietra filosofale una medicina dei metalli capace di curare le malattie dei metalli vili nobilitandoli con le loro trasformazioni fino ai livelli dell’argento e dell’oro. Il fatto poi che la materia fosse una sola convinse gli alchimisti che se un dato agente, la pietra filosofale, ha così benefici effetti sui metalli vili, deve esistere una pietra filosofale che riguardi anche le trasformazioni dell’uomo e quindi in grado di curare le malattie dell’uomo con conseguente prolungamento della sua vita. Fu così che la pietra filosofale per l’uomo divenne l’elisir di lunga vita. Ancora partendo dall’unitarietà della materia, l’anima eterna deve appartenere a tale materia, mentre il corpo, la forma, è quella che cambia e si trasforma (si genera e si corrompe).

        Le trasmutazioni erano poi quelle indicate dalla teoria dei quattro elementi che prevedevano il cambio di alcune qualità per passare da un elemento ad un altro. In particolare si credeva fosse possibile imporre dall’esterno il colore e lo stato (come diremmo oggi) di aggregazione. Ecco allora che vi era una facile conseguenza da tale premessa. Il rame differisce dall’oro per il colore. Deve essere possibile trasferire il colore dell’oro al rame per ottenere oro. Tal cosa sembra sia stata tentata fin dal XIII secolo a. C. e ne abbiamo un qualche riscontro in alcuni scritti di epoca alessandrina (III secolo d.C.) di Zosimo di Panopoli, uno dei primi alchimisti che conosciamo(5) e che ci ha fornito una formula (formula del Cancro) che sarebbe alla base, appunto, della trasformazione di rame in oro. La riporto nella figura seguente avvertendo che nessuno l’ha mai saputa interpretare (i numeri sovrapposti indicherebbero i vari passaggi).

Formula del Cancro di Zosimo, tratta da J. Read, pag. 36.

        Da parte loro gli aristotelici, custodi della teoria dei quattro elementi, non ebbero molto da obiettare perché, in definitiva, tutto si poteva accordare con la teoria originale che prevedeva il raggiungimento della perfezione. Anche i platonici erano soddisfatti perché la perfezione è l’ultimo grado a cui l’uomo aspira (si trattava solo di ammettere che l’oro fosse la perfezione per i metalli). L’introduzione poi di pietra filosofale e di elisir di lunga vita è probabilmente una estensione che era nelle premesse e che si rafforzò all’interno della magia che veniva sviluppata nel mondo arabo.

        Secondo Aristotele, come accennato, il cielo della Luna divide il mondo in due zone: quella sotto tale cielo che è soggetta a generazione e corruzione ed in generale a cambiamento e caos; quella sopra che è eterna, immutabile e costituita di una essenza perfetta come l’etere (la quintessenza, che era chiamata così in quanto si aggiungeva ai quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco). La ricerca sotto il cielo della Luna di questa sostanza (l’etere) era compito principale dell’alchimista. Tale essenza, mescolata ad altre sostanze le avrebbe rese perfette e, ad esempio (ma questo è solo un aspetto marginale dell’alchimia e riguardava appunto ingordi e ciarlatani), avrebbe potuto tramutare il piombo ed altri metalli vili in oro o argento. Altra versione voleva tutti i metalli costituiti da un miscuglio di mercurio e zolfo (con caratteristiche non reali ma filosofali) e quando la proporzione tra i due era perfetta, il metallo risultante sarebbe stato l’oro. Più in generale, in questa ricerca l’alchimista studiava le varie sostanze e ne cercava le proprietà. Tentava miscugli, distillava (introducendo nel suo lavoro fornelli ed alambicchi che si riveleranno utilissimi per la ricerca chimica come la intendiamo oggi), catalogava, operava, in modo che oggi giudicheremmo rozzo, come un chimico (si tenga conto che nel Cinquecento la scoperta di procedimenti chimici legati alla tecnica, ad esempio estrattiva, dette inizio alla separazione dell’alchimia che assunse caratteristiche se possibile più segrete, con quella che sempre più si affermerà come chimica). L’impossibilità di produrre qualcosa che potesse poi essere in qualche modo raccolta in un testo e fare da base per ulteriori studi nasceva da quel segreto cui accennavo e soprattutto dall’approccio che si aveva allo studio delle sostanze medesime. Quali erano le caratteristiche che determinavano le differenze tra le sostanze ? Quelle qualitative. Il colore, ad esempio, rivestiva una importanza fondamentale: il nero era associato alla morte mentre il verde ad un buon raccolto nei campi, il ‘vitriol’ (abbreviazione del latino: visita interiora terrae rectificando invenies occultum lapidem che vuol dire “vai a cercare all’interno della terra e con corrette operazioni troverai la pietra nascosta”) indicava sostanze con caratteristiche di brillantezza e cristallinità. Poi vi era il sapore, … Ma ciò che legava strettamente alchimia ed astrologia era la corrispondenza tra sette metalli con i sette astri allora noti: Sole-Oro, Luna-Argento, Marte-Ferro, Venere-Rame o Bronzo, Mercurio-Argento vivo(6), Saturno-Piombo, Giove-Stagno. E, come vedremo, analoghe corrispondenze si costruiranno in medicina tra astri, metalli e parti del corpo.  

        Dice Read:

La pietra filosofale venne spesso descritta come una polvere rossa e certamente qualche volta fu confusa con il cinabro che è un minerale rosso; si presenta con questo aspetto il solfuro di mercurio nativo, per riscaldamento del quale si ottengono il mercurio metallico (l’argento vivo liquido) e vapori solforosi (anidride solforosa) identici a quelli che si hanno bruciando lo zolfo nativo. Probabilmente questi esperimenti spinsero gli alchimisti musulmani a formulare la cosiddetta «teoria zolfo-Mercurio» sull’origine dei metalli. Questa teoria è stata spesso associata al nome di Jabir ibn Hayyan, il più famoso degli alchimisti musulmani, vissuto probabilmente nell’ottavo secolo a.C., noto nel mondo occidentale sotto il nome di Geber; a lui si attribuiscono molti trattati di alchimia che furono senza dubbio scritti dopo la sua morte.

Seguirò ora a descrivere alcune delle teorie sviluppate dagli alchimisti ed alcune pratiche da loro utilizzate. Non è per questo fine possibile seguire una stretta cronologia. Situerò per quanto possibile i singoli personaggi ma non vi sono da situare teorie che falsificano le precedenti. Ognuna vale allo stesso modo in epoche diverse ed è questo che qualifica ciò che arranca con grande fatica e non è scienza rispetto al duro metodo sperimentale che inaugurerà Galileo.

LA TEORIA ZOLFO – MERCURIO 
 

        Si tratta di una modificazione importante da parte araba della teoria dei quattro elementi. I due elementi contrapposti di quella teoria (fuoco ed acqua) ora

La teoria zolfo-mercurio per i metalli. Tratta da M. Mayer, Symbola aureae mensae duodecim nationum, Francoforte 1617. Lo zolfo con il suo simbolo (un triangolo sovrapposto ad una croce) è a sinistra ed il mercurio con il suo simbolo (una circonferenza sovrapposta ad una croce) è a destra.

 

sono lo zolfo (in luogo del fuoco) ed il mercurio (in luogo dell’acqua). Ricordo qui quanto già detto: non si pensi agli elementi a noi oggi noti come zolfo e mercurio (argento vivo). Lo zolfo (detto anche zolfo filosofico o zolfo nostro) è una sostanza calda e secca che simboleggiava la capacità di bruciare (quindi un qualcosa affine al fuoco) mentre il mercurio (detto anche mercurio filosofico omercurio nostro) è una sostanza fredda e umida che simboleggiava il fatto che i metalli potevano fondere e quindi diventare liquidi (quindi un qualcosa affine all’acqua).

        Un prolifico alchimista, mago ed astrologo medioevale, Ruggero Bacone(7), ci descrive il processo zolfo-mercurio.

I costituenti principali dei minerali sono Argent Vive e Sulphur. Tutti i minerali e tutti i metalli, indipendentemente dal loro aspetto, sono da questi due generati: ma io vi dico che sempre la natura si sforza di raggiungere la perfezione dell’oro, se non che molte cause intervengono nella trasformazione dei metalli … secondo il grado di purezza dei due principi prima ricordati, Argent Vive e Sulphur, si possono ottenere metalli puri ed impuri.

        Questo sunto appare molto chiaro (ma la cosa è anche raccontata negli scritti latini di Geber(8)). Vi sono solo due metalli che sono i principi primi da cui provengono tutti gli altri. E’ il grado di purezza con cui si mescolano questi due principi che origina tutti gli altri metalli con differente grado di viltà (facile alterabilità dovuta al maggior contenuto di zolfo ed alla purezza di quest’ultimo) o nobiltà (resistenza, lucentezza e malleabilità proprietà che si ottiene se la percentuale di mercurio è più alta ed è più elevata la sua purezza-). La purezza assoluta dei due principi può originare la pietra filosofale (entità più pura dell’oro) una piccolissima quantità della quale può trasformare (più appropriato sarebbe il verbo tingere) i metalli vili in oro che è il più nobile tra i metalli. Non vi è certezza in tali trasformazioni solo perché sono condizionate da particolari eventi astronomici e dall’intervento di dei o demoni che favoriscano il processo. La figura precedente racconta di tali principi che esalando dalla terra, originano nel loro mescolarsi sotto terra, i vari metalli che noi troviamo ordinariamente. E’ l’alchimista, quello che si trova sul monte, che accelera i processi che la natura realizza lentamente. E’ utile osservare a proposito della figura che la parte iconografica aveva significati importanti proprio per poter rappresentare i vari simbolismi associati ai vari elementi e/o processi e/o eventi e/o influssi. Vedremo in seguito alcuni esempi proprio a partire dallo zolfo e dal mercurio filosofici. Questi due principi attivi vennero chiamati, in differenti contesti, culture, da differenti alchimisti, nei modi riportati in tabella (ma anche in altri). Ad esempio il mercurio era anche rappresentato come un dragone sia con che senza ali. In tale dragone si nasconderebbe Saturno. Il dragone si morde anche la coda con i suoi denti velenosi ed affilati e proprio come i filosofi (gli alchimisti) di cui è alleato, è difficile da vincere (Maier).

Zolfo Mercurio
OsirideIside
SoleLuna
FratelloSorella
Genere maschileGenere femminile
Principio attivoPrincipio passivo
DonatoreAccettore
SolidoGassoso
Leone senza aliLeonessa alata
LeoneAquila
LeoneSerpente

        Ad esempio il mercurio era anche rappresentato come un dragone sia con che senza ali. A volte però il dragone era inteso come il solvente delle varie combinazioni. In tale dragone si nasconderebbe Saturno. Il dragone si morde anche la coda con i suoi denti velenosi ed affilati e proprio come i filosofi (gli alchimisti) di cui è alleato, è difficile da vincere. Oltre agli animali citati ve ne erano moltissimi altri compresi quelli fantastici. Ciascuno come simbolo dei prodotti intermedi delle varie trasformazioni.      

 Vediamo ora le rappresentazioni che vari alchimisti davano dei nomi di tabella.

Da Michael Maier, Symbola aureae mensae, 1617. Rappresentazione di Hermes Trismegisto con il Sole e la Luna. “Il Sole è il padre del suo sposo e la bianca Luna segue come terzo il governatore Fuoco“.

Il leone e la leonessa alata da Michael Maier, Atalanta fugiens, Oppenheim 1618. “Unisci al leone una leonessa alata, affinché essi possono vivere all’aria. Ma egli si mantiene immobile e rimane sulla terra. Questa immagine ti mostra il cammino che segue la natura“.

Da Michael Maier, Atalanta fugiens, Oppenheim 1618. Il dragone non muore fin quando non è ucciso da suo fratello (il sole) e sua sorella (la luna) insieme. Dal dragone (a volte inteso come il liquido solvente) si estraggono gli esseri dotati di corpo, anima e spirito.

Questa immagine è tratta da un manoscritto proveniente dagli ambienti Rosa-Croce. Ha per titolo Materia Prima Lapidis Philosophorum (Materia prima della pietra dei filosofi) che è poi la pietra filosofale. E’ degli inizi del XVIII secolo. In esso vi è tutto il simbolismo possibile, a partire dal caos che regna in basso fino alla perfezione del cielo in cui vi è cristianesimo (in hoc signo vinces) e l’iscrizione ebraica che denota dio. La vita è organizzata da uomo e donna (zolfo e mercurio insufflati dai vapori provenienti dall’interno della terra e con ogni simbolo che può rappresentarli) che generano un bimbo, il loro figlio imperiale (la tintura di mercurio) dal battesimo dell’alambicco (il bimbo sarebbe poi la medesima pietra filosofale). Il monte verde è quello della materia prima; i simboli degli elementi che la compongono sono ordinati nel quadrato numerico magico di Saturno.

Da Stolcenberg, Viridarium chymicum, Francoforte 1624. L’unione del leone (sole) e del serpente (luna) permette alla pietra filosofale di raggiungere la sua perfezione. Il processo avrà successo e potrà ripetersi, se nel fornello saranno fatte scaldare e poi fermentare tre parti di oro puro con una di mercurio.

E’ questo l’emblema del laboratorio spagirico, quello che tentava la trasformazione dei vegetali per la produzione di medicamenti (da Alexander von Bernus, Alchymie und Heilkunst, 1936).

Da Le dodici chiavi della filosofia di Basilio Valentino, monaco benedettino (fine XIV, inizi XV secolo). L’insieme delle operazioni per la realizzazione della Grande Opera.

Da Le dodici chiavi della filosofia di Basilio Valentino, monaco benedettino (fine XIV, inizi XV secolo).  “Se questi colori di genere diverso risultano mutati e questo Eroe diventa rosso, sarà il Figlio onnipotente che non ha pari nel Mondo, poiché avrà le forze del Sole e della Luna e sarà il vincitore di tutto l’Oro rosso“.

Tratto da Les Douze Clefs. . . de. . . Basile Valentin. .. Plus l’Azoth . . . Paris, 1624. In questo disegno vi sono tutti i possibili simboli alchemici ed in particolare alcuni che saranno poi ripresi dalla Massoneria.

        E di queste rappresentazioni, in cui il simbolismo predomina, si mescolano tutti i motivi che sono alla base della vita dell’uomo. In particolare vi è la natura da una parte e il filosofo (l’alchimista) che tenta di carpire i suoi segreti al fine di raggiungere la perfezione che è poi legata alla nota metafisica cristiana ed ebraica. Tutto in un ordine ascendente per rappresentare proprio la salita verso l’alto, luogo in cui risiederebbe la perfezione. Nelle diverse mitologie vi era addirittura quella della semina di oro, al solito, sotto particolari condizioni.

Seminate l’oro nella bianca terra concimata che è la terza terra che serve all’oro; essa tinge l’elisir e l’elisir fa la sua parte con essa“. Da Aurora consurgens, fine del secolo XIV. Naturalmente il processo alla fine sarebbe risultato attivo: più oro raccolto di quanto seminato (in teoria …).

        Un episodio non certamente trascendente ma interessante ci proviene dall’Italia del nono o decimo secolo. Le continue manipolazioni avevano permesso ad un ignoto alchimista di scoprire l’alcool puro dalla distillazione del vino(9). Il risultato era un’acqua (cioè un liquido) con la proprietà di andare a fuoco che entusiasmò il mondo dell’alchimia per l’essere riusciti a chiudere il circolo dell’alchimia (acqua che diventa fuoco). Questa sostanza venne chiamata aqua vitae (acqua della vita) e venne ritenuta il solvente adeguato per ottenere la pietra filosofale. Qualche coraggioso, un tale autonominatosi Lully, che aveva provato il sapore dell’aqua vitae (la nostra acquavite o grappa) disse: “Il gusto di questo liquido è superiore a qualsiasi altro sapore ed il suo profumo a tutti gli altri odori”.  A Lully risultava evidente che, in conseguenza di ciò, era vicina la fine del mondo.

L’unione di acqua con fuoco (tratto da un’opera tantrica) rappresenta l’unione di principi opposti, considerato alla base di ogni cosa. Con la scoperta dell’aqua vitae si realizza questa unione.

        Altro aspetto, questo di interesse, è relativo all’alchimizzazione della mitologia classica ed anche della Bibbia. Vari simboli alchemici sono associati agli dei ed ai miti classici ma anche a vari episodi della Bibbia.

Cristo al centro dello zodiaco (Italia del Nord, Secolo XI), al centro cioè dell’astrologia (qualcuno dice che la simbologia sia legata alla padronanza del tempo da parte di Gesù). Nei 4 medaglioni esterni, le 4 stagioni. E’ lo stesso Messori, cantore della Chiesa, che dice: “la nascita di Gesù è stata annunciata dai profeti, ma anche dagli astrologi. Nel Vangelo di Matteo si racconta dell’arrivo di tre Magi che altro non erano se non sapienti astrologi della Mesopotamia“. E ne conclude che l’astrologia è una cosa seria.

I nomi delle bestie dell’Apocalisse sono inscritti nella 4 sfere intersecantesi e rappresentano le 4 forze primarie dell’universo: Urthona è l’immaginazione; Luvah è la passione; Urizen è la ragione; Tharmas è il corpo. Il mondo a forma di uovo (l’uovo cosmico che torna spesso nelle simbologie alchemiche) di Urthona si gonfia a partire dal vortice che, nel centro del caos, crea l’illusione dello spazio tridimensionale delimitato dall’opacità (Satana) e dalla densità (Adamo), impedendo così all’uomo di vedere le cose come sono, eterne ed infinite. Da William Blake, Milton, 1804-1808.

Da: Aurora Conseguens, inizi del secolo XV. “Nel Padre c’è l’eternità, nel Figlio l’identità e nello Spirito Santo la partecipazione all’eternità ed all’identità … ed i tre sono uno, cioè corpo, spirito ed anima; quindi nel numero 3 vi è ogni perfezione“. La triade è rappresentata dai tre uccelli dai tre colori dell’Opera (l’Opera è quella che porta alla realizzazione della pietra filosofale). Lo Spirito Santo è associato all’acqua mercuriale, che rende le cose terrestri 7 volte celesti ed ha un effetto vivificatore, purificatore e fecondo.

Dopo molte sofferenze e pene varie, sono risuscitato pulito e senza macchia“. “La tua pietra, alchimista, non è niente; la pietra fondamentale della quale parlo è il mio color oro e pietra filosofale“. Da Angelus  Silesius, Cherubinischer Wandersmann, 1657.

Nelle immagini del Rosarium Philosophorum troviamo inoltre un disco solare alato che discende nel vaso della trasformazione contenente il mercurio vivente. 


“Qui il Sole muore ancora ed è coperto dal Mercurio dei Filosofi”.

L’anima ardente nel suo stato naturale – rappresentata dal cuore rovesciato – si trova dentro il fuoco dell’ira che è la qualità del padre. Ma mediante il sacramento del battesimo in nome di Javè, il nome di Gesù si rende accessibile e l’anima riceve il fuoco d’amore del figlio: “Il Padre battezza con il fuoco, il Figlio con la luce“. Il suo sangue celeste trasforma l’ira in amore. Da Jacob Boehme, Theosophische Werke, Amsterdam 1682.

PARACELSO E L’ALCHIMIA MEDICA

        Per molti anni non vi furono novità degne di particolare nota nelle elaborazioni degli alchimisti fino ai lavori dello svizzero Theophrastus Philipp Aureolus Bombast von Hohenheim, autochiamatosi Paracelso (1493-1541) per essere considerato “Oltre Celso”, la massima autorità medica del I secolo d.C., quello che scrisse Il vero discorso contro i cristiani.

        Ricordo in breve (semplificando molto e senza tener conto della scuola d’Ippocrate e di quella di Galeno) cosa era la medicina a quell’epoca. La tradizione greca, che durava da millenni, era dominante. Secondo tale tradizione ogni malattia del corpo nasce da uno squilibrio dei quattro umori che lo costituiscono: la flemma, l’irascibilità, la malinconia ed il sangue. Fatto d’interesse è che, se c’era disequilibrio, la cosa riguardava l’intero corpo e sull’intero corpo s’interveniva per la cura che consisteva in salassi, provocare vomito o sudore.

        Paracelso, che muoveva da un antiaristotelismo coniugato con il neoplatonismo panteista di Plotino, si ispirava ai lavori di Raimond Lull (1232-1315), del cardinal Cusano (1401-1464), di Pico della Mirandola (1463-1494), di Marsilio Ficino (1433-1439). Egli è il più noto rappresentante della parte dell’alchimia che va sotto il nome di arte spagirica (dal greco spao che vuol dire separare e agheiro che vuol dire raccogliere); si trattava di separare alcune sostanze, sottoponendole a trasmutazioni, per poi riunirle in preparati con proprietà medicamentose più efficaci di quelle tradizionali, di concezione ippocratica, galenica, araba. Notevole è il suo rigetto dell’occultismo, delle tradizioni gnostiche e delle teorie magiche. Secondo il nostro le sostanze naturali devono contenere delle virtù con caratteristiche eterne e delle sostanze divine, in accordo con il pensiero di fondo dell’alchimia che assumeva una sostanziale unità di materia e spirito. L’universo era un complesso magico regolato dal grande mago Dio. In questo mondo vi erano molti segreti nascosti che era compito del medico tirare fuori ed utilizzare. Queste sue concezioni lo portarono a pensare che le infermità provenivano dal di fuori del corpo e non riguardavano l’intero corpo ma parti di esso.  Come conseguenza, egli cercò rimedi specifici abbandonando quelli generali accennati. E, nell’ambito dei rimedi specifici, l’alchimia entrò con forza (inizia la iatrochimica) con una modifica di fondo rispetto a quella dello zolfo e mercurio fino ad ora vista. La cura sarebbe stata possibile intervenendo con medicamenti minerali piuttosto che organici. Dice Paracelso (Paragrano. Terzo trattato: dell’alchimia):

Grande è l’importanza che ha per la medicina la conoscenza dell’alchimia, essa è la causa delle grandi virtù nascoste le quali sono intrinseche alle cose della natura e a nessuno sono manifeste, a meno che l’alchimia non le renda tali e non le produca. Del resto, è come se qualcuno, d’inverno, vedesse un albero, senza però conoscere e sapere che cosa si nasconde in esso; finché poi giunge l’estate che gli rende successivamente manifesto quel che è nascosto. Ora i piccoli germogli, ora i bocci, ora i fiori e quel che v’è dentro. Similmente sono nascoste per l’uomo, a meno che egli non le venga a conoscere mediante l’alchimista come mediante l’estate, se questo non avviene, gli è impossibile conoscerle. 
Dal momento, dunque, che l’alchimista porta alla luce quel che è occulto nella natura, sappiate che ci sono forze diverse nelle gemme, nelle foglie, nei bocci, , nei frutti acerbi, nei frutti maturi; ed è una cosa assolutamente prodigiosa che l’ultimo frutto sia diversissimo dal primo, sia per quanto concerne la forma che riguardo alle sue virtù; si deve quindi rivolgere la propria attenzione dal primo germoglio sopravvenuto, all’ultimo, giacché così è la natura. Nel suo manifestarsi la natura si comporta non meno prodigiosamente dell’alchimista che opera nelle cose in cui essa cessa di agire.

        Paracelso introdusse nell’alchimia un terzo principio attivo, quello del sale, cioè il principio di non infiammabilità e di stabilità. A questo punto vi sono tre primi elementi (zolfo, mercurio, sale: i tria prima) ed il tre inizia a giocare un ruolo particolare. La numerologia vede nel tre un numero particolarmente favorito, vi è poi il richiamo alla Trinità attraverso l’energia spirituale che i tre elementi, interpretabili anche in senso materiale, avevano sul corpo, riflesso della trinità medesima.

Sappiate allora che tutti i sette metalli sono generati da una triplice materia … il Mercurio è lo spirito, la Zolfo l’anima e il Sale il corpo … l’anima che si identifica can lo Zolfo… unisce questi due contrari, il corpo e lo spirito, e li trasforma in un solo essere

        Lo Zolfo è quindi un mediatore tra corpo e spirito per produrre le differenti sostanze che costituiscono il corpo. Il ruolo dell’anima’ in questo modo di vedere le cose, è spirituale e simile a quello materiale che il liquido solvente esercita quando unisce zolfo e mercurio per realizzare la pietra filosofale. Il simbolismo rappresentava questo con due pesci che nuotano nel mare, dove il mare è il corpo ed i pesci sono lo spirito e l’anima:

De Lapide Philosophorum, 1625       

        In un altro suo lavoro, l’Opus Paramirum (1531) egli specifica ulteriormente il ruolo dei tria prima che costituiscono tutti i corpi.

Tre cose costituiscono la sostanza e forniscono a una cosa specifica il suo corpo, cioè ogni corpo particolare è in tre cose. I nomi di queste tre cose sono: Zolfo, Mercurio e Sale. Quando quest’ultimi sono posti insieme allora assumono il nome di Corpo, e vengono loro aggiunte la vita e le sue connessioni. Così quando hai in mano un Corpo, hai tre sostanze invisibili sotto una forma. Di queste tre sostanze si può dire soltanto che sono tre sostanze in una forma e che forniscono e costituiscono la salute

        E la cosa diventa complessa quando Paracelso afferma che la conoscenza del corpo è la conoscenza di quanto Zolfo, Sale e Mercurio esso contiene. Si tratta qui di capire con complicate metodologie come stanno le cose. Ed egli fornisce dei metodi di separazione degli elementi che è d’interesse riportare, osservando tra l’altro che non era pratica di Paracelso il tenere nascosti i procedimenti:

        Notate che gli elementi, mediante la separazione, risultano formalmente uguali agli elementi essenziali. L’aria appare come aria, e quest’aria non può essere racchiusa, come ritengono erroneamente alcuni, perché al momento della separazione si innalza, prorompe come il vento, ascende con l’acqua, con la terra e con il fuoco.
        Nell’aria vi è una meravigliosa forza di ascensione. La separazione dell’aria dall’elemento essenziale dall’acqua avviene mediante ebollizione. Quando inizia l’ebollizione, l’aria si separa dall’acqua, porta con sé la parte più leggera dell’acqua e via via che l’acqua diminuisce, anche l’aria diminuisce nella stessa proporzione. Si deve notare che nessun elemento può essere ottenuto senza aria, sebbene possa essere concepito senza aria. Non dobbiamo separare l’aria perché essa è negli altri tre elementi come la vita in un corpo. Quando la vita è separata dal corpo, tutte le cose periscono. … 

       Parleremo più chiaramente delle separazioni … Qui devono essere considerati quattro metodi. Uno riguarda i corpi umidi, cioè le erbe che forniscono più acqua che qualsiasi altro elemento. L’altro metodo riguarda i corpi combustibili, cioè i legni, gli oli, le resine, le radici che contengono più fuoco di qualsiasi altra sostanza. Il terzo metodo riguarda i corpi terrosi, ovvero le pietre, i ciottoli e le terre. Il quarto riguarda ciò che è aeriforme: comprende tutte le specie prima menzionate perché l’aria è presente in tutte. E’ chiaro ora quali sono gli elementi e come devono essere separati. La prima separazione che incontriamo è la separazione degli elementi dai metalli. Negli elementi dei metalli vi sono virtù predestinate inesistenti negli altri elementi. … 

       Si deve ora considerare il duplice metodo della separazione. Uno consiste nel separare gli elementi gli uni dagli altri: ciascun elemento viene separato mediante un particolare recipiente, senza distruggere le sue forze. L’altro metodo consiste nel separare purum ab impuro secondo queste modalità. Dopo aver separato gli elementi in una forma grossolana, si effettua un’altra separazione sugli elementi separati. 

       Per comprendere pienamente la pratica della separazione si tenga presente che la quintessenza delle cose deve essere ottenuta, perché gli elementi ottenuti dai corpi possono essere dominati o abbandonati nella natura della quintessenza che tinge più o meno gli elementi. Si deve comprendere che i quattro elementi non perdono le loro virtù quando l’elemento predestinato, cioè la quintessenza, è estratto. La quintessenza è elementare e può essere separata in relazione alla sua forma elementare e non riguardo alle diverse nature. Attraverso queste separazioni tutte le malattie elementari possono essere curate con semplicità (da:Archidoxae medicinae libri, 1524).
 

        Lo schema che segue, riassume le proprietà dei tria prima (proprietà delle quali non entro in spiegazioni) che hanno anche loro rappresentazioni simboliche come quella di figura.

MercurioZolfoSale
Metallo, liquidoInfiammabileNon infiammabile
Integra l’unione tra zolfo e saleHa la caratteristica di i espandersiHa la caratteristica di contrarsi
Ha associate la circolazione e l’equilibrio dinamicoHa associate la dissoluzione e l’evaporazioneHa associate la cristallizzazione e la condensazione
Volatile, ma non trasformabile in fuocoVolatile e trasformabile in fuocoTrovato nella cenere
SpiritoAnimaCorpo
AcquaAria e FuocoTerra
FlemmaGrassoCenere

        Lo Zolfo è quindi un mediatore tra corpo e spirito per produrre

Triangolo alchimistico

        Si noti che vengono qui modificate alcune proprietà della teoria zolfo-mercurio precedente. In quella infatti lo zolfo era considerato stabile ed il mercurio volatile. Ora invece i due principi sono entrambi volatili (in alchimia di queste incongruenze ve ne sono in quantità).

        Paracelso pensava, mediante distillazioni particolari di metalli ridotti ad olii con acqua forte, di estrarne la parte attiva, vigorosa e pura, quasi lo spirito di quella sostanza, la sua energia sottile, che chiama quintessenza del corpo (Archidoxae medicinae libri, 1524):

La quintessenza è una materia che si estrae fisicamente da tutte le cose e da tutte le cose in cui si trovi vita, separata da tutte le impurità e da tutto ciò che è mortale, resa sottile e purificata da tutto, separata da tutti gli elementi. Ora si deve capire che la quintessenza da sola è la natura, potenza, bontà e medicina che è racchiusa in tutte le cose senza incorporazioni estranee, inoltre può essere il colore, la vita e la proprietà della cosa, ed è uno spirito, come lo spirito di vita, con questa differenza che lo spirito di vita della cosa è permanente e lo spirito di vita dell’uomo è mortale.

Ma ancora di più della quintessenza potevano gli arcani:

Quello solo è un arcanum che è incorporeo ed immortale, possiede vita eterna, e supera la comprensione della natura e la conoscenza dell’uomo. Essi hanno il potere di alterare, cambiare e rinnovare, restaurare, come gli arcani di Dio, secondo il loro giudizio.

        Ci sono quattro arcani: quello della prima materia, che rinnova la giovinezza, quello della pietra dei filosofi, che muta il corpo umano come il fuoco pulisce quello della salamandra, il mercurius vitae che fa ricrescere denti e capelli, e la tinctura che fa oro dall’argento e leva la corruzione dall’uomo.

        E’ utile ritornare a sottolineare che l’alchimia da sola non è considerata da Paracelso risolvente i problemi della cura delle malattie.  Vi sono sempre da dover considerare molti altri influssi, tra i quali quelli astrologici:

E giacché la medicina non può senza il cielo produrre effetto veruno, essa deve agire per tramite del cielo medesimo, salvo quello di portarle via la terra, poiché, non governando il cielo su di essa, occorre sia rescissa dalla medicina. Se tu dunque hai operato questa separazione la medicina soggiacerà al volere degli astri, sarà dagli astri condotta e guidata. Ciò che quindi appartiene al cervello, sarà condotto al cervello dalla Luna, quel che appartiene alla milza, sarà condotto alla milza da Saturno, quel che appartiene al cuore, sarà condotto al cuore dal Sole, e così i reni da Venere, il fegato da Giove, mentre sotto il dominio di Marte si troverà la bile. Così stanno le cose, non soltanto per questi organi, ma anche per tutti gli altri infiniti a dirsi. 

Prendi inoltre nota di ciò: quale mai valore ha la medicina da te prescritta per l’utero delle donne, se Venere non ti è di guida nel ritrovarla? Che sarebbe la medicina per il cervello, se non ti conducesse ad essa la Luna? E così è per le altre medicine; esse sono restate tutte nello stomaco e sono fuoruscite passando per i visceri e non hanno avuto effetto alcuno. La causa di ciò sta nel fatto che non 
approdi a nulla, se il cielo non ti è propizio e non vuole guidare la tua arte medica. È il cielo che deve guidartela. Perciò l’arte esige, a questo punto, che tu non dica: la melissa è un matricale, la maiorana va bene per la testa; così discorrono gli insipienti. La ragione sta invece nella potenza di Venere e della Luna.

        In ogni caso, da Paracelso abbiamo una interessante presa di posizione:

Lo scopo dell’alchimia non è … fare oro o argento, ma dare arcani e dirigerli contro le malattie: questo è il risultato, ed è anche la base.

e non isolata perché egli si batté sempre contro gli avidi alchimisti imbroglioni che spillavano solo denaro alla gente, sia che operassero nel campo dell’alchimia minerale sia in quello dell’alchimia medica(10).

LA PIETRA FILOSOFALE

        Ho accennato qua e là alla pietra filosofale senza entrare in qualche dettaglio. Conviene ora soffermarsi un poco su questo concetto cardine dell’intera alchimia. Di cosa si tratti ce lo dice un medico, astrologo, filosofo, teologo ed alchimista medioevale (tra l’altro maestro di Raimond Lull), Arnaldo da Villanova (1235-1315):

Vi è in natura una certa sostanza pura che, una volta scoperta e resa perfetta dall’Arte, è capace di rendere paragonabile a sé tutti i corpi imperfetti che tocca

e può trasformare in oro cento parti di un metallo impuro (per Ruggero Bacone le parti diventavano centomila e Lull affermava che se il mare fosse di mercurio lo tingerebbe tutto: Mare tingerem, si mercurius esset!).

        L’origine della pietra (lapis philosophorum) è però molto più antica e davvero non si sa dove localizzarla, probabilmente ad Alessandria, nei primi secoli cristiani. Già al punto 5 delle Tavole smeraldine abbiamo visto che, questo lapis, è il padre della perfezione in tutto il mondo. Raimond Lull la chiama carbunculus. Paracelso afferma che si tratta di un corpo solido color rubino, trasparente e flessibile che si rompe come il vetro. L’alchimista musulmano Kalid la definisce nel modo seguente:

Questa pietra riunisce in sé tutti i colori. E’ bianca, rossa, gialla, azzurra, verde (Trattato delle tre Parole)

       Altri affermano che si tratti di una polvere pesante e splendente  con odore intenso e piacevole. Tale polvere era anche detta di proiezione ed aveva la capacità di trasformarsi in oro se era rossa ed in argento se era bianca.  Tutti concordavano nella sua proprietà di tingere e quindi di cambiare il colore originale dell’oggetto con il quale veniva in contatto.

COME SI PREPARA LA PIETRA FILOSOFALE

        Quella pietra doveva essere proprio filosofale se molti alchimisti sostenevano che essa era di difficilissima preparazione pur essendo dappertutto e solo a chi non sa osservare essa non si fa vedere. Nel Gloria Mundi, seu Tabula Paradisi

Frontespizio del Museo Ermetico

 (1526), uno degli scritti tradotti dal tedesco in latino e raccolti nel Musaeum Hermeticum (1678), si dice che la pietra filosofale:

è familiare a tutti gli uomini, sia ai giovani sia ai vecchi. Si trova nelle campagne, nei villaggi, nelle città, in tutte le cose create da Dio, ma è disprezzata da tutti. Ricchi e poveri la toccano ogni giorno, le domestiche la buttano via, i bambini ci giocano. Non ha prezzo, sebbene, come l’anima umana, sia la cosa più bella e più preziosa sulla terra e abbia la forza di destituire re e principi. Malgrado ciò è considerata la più vile e spregevole delle cose terrestri

e cioè che non è cosa per poveri di spirito. Si tratta appunto di un lavoro per iniziati che debbono combinare insieme, oltre alle vere e proprie trasformazioni di tipo alchimistico, tante altre cose e disposizioni. Le Tavole Smeraldine sarebbero servite da guida a chi mostrava di saperle leggere. Più che un processo di fabbricazione si tratta di vari processi che è complesso raccontare, anche per quella cosa del segreto, dei simbolismi, di molte oscurità che ci raccontano tali processi. Gli stessi alchimisti lo definivano l’Opus Magnum, la Grande Opera.

        Si partiva da alcuni materiali che si ritenevano di base (i migliori erano l’oro e l’argento) e si lavorava per la loro purificazione completa con procedimenti che oggi chiameremmo chimici. L’oro e l’argento purificati producevano Zolfo e Mercurio filosofici. In un contenitore di vetro (vaso di Ermete o vaso dei filosofi o uovo filosofale, uovo come simbolo di creazione e di fertilità) si mescolavano i principi filosofici (Zolfo e Mercurio); si chiudeva poi ermeticamente questo vaso mediante il fuoco (si fondeva cioè il vetro della bocca del vaso in modo che si chiudesse il vaso stesso) e si passava al vero e proprio Opus. A volte si aggiungeva un terzo principio, il Sale filosofico (ottenuto dall’argento vivo, cioè dal mercurio) che aveva il pregio di chiudere a tre i principi attivi e molte volte, gli alchimisti più incolti, lavoravano con i più diversi materiali in interminabili prove eminentemente empiriche. Per operare le diverse trasformazioni si usavano degli strumenti e, particolarmente importanti erano i forni. Da un testo, Geberi Philosophiae ac Alchimistae (1531), che riporta vari lavori di Geber, riprendo alcune immagini che illustrano i vari tipi di fornaci:

Frontespizio di Geberi Philosophiae ac Alchimistae,  Strasburgo 1531
 

Frontespizio di Alchemiae Gebri Arabis Berne, 1545
Fissazione e sublimazione
Fornace per il bagnomaria
Fornace per la calcinazione
Fornace per la distillazione
Apparato per il precipitato
vasi
Fornace per la sublimazione
Sublimazione
Fornace per la fusione o la liquefazione
Fornace per la distillazione
Fissazione e sublimazione

Tratto da: The Works of Geber Englished by Richard Russell, London, 1678.

Gli strumenti e particolarmente i forni o le fornaci (il prolungato e controllato riscaldamento dei materiali purificati) sono fondamentali per ogni lavoro alchemico, tanto che un forno è simbolo dell’alchimia, il forno Athanor, nome che proviene dal greco come parola composta da thanatos, che vuol dire morte, ed una a privativa davanti, che vuol quindi dire complessivamente immortalità (secondo un’altra versione Athanor deriverebbe dall’arabo al tannur che significa il forno per ottenere la fusione).

Athanor (da: J. C. Barchusen, Elementa Chemiae, Leyden 1718)

        Ma il forno doveva avere significati bel più profondi e rapportabili completamente all’uomo se uomo e forno vengono rappresentati con medesime sembianze:

Alla sinistra è rappresentato un forno antropomorfo (da: G. Dorn, Aurora, Basilea 1577). Alla destra un forno a forma di generatrice o matriz (da: Andreas Libavius, Alchimi, Francfort 1606). Da alcuni alchimisti cristiani l’Uomo venne considerato per analogia il “Forno filosofico” in cui si compie l’elaborazione del pensiero capace di scoprire le capacità di trasmutazione che conducono alla purezza. 
 

        Preparati opportunamente gli ingredienti con il riscaldamento di cui dicevo nel forno alchemico e nel vaso di Ermete chiuso ermeticamente, si passava al processo di moltiplicazione. In questa fase la quantità di materia prima che l’alchimista ha già trasmutato può venire moltiplicata a volontà per semplice contatto con la pietra moltiplicatrice nell’ultimo passaggio della Grande Opera che è chiamato proiezione.

        Anche sulle operazioni necessarie per il raggiungimento dello scopo finale vi è disaccordo tra alchimisti. Per Paracelso le operazioni dovevano essere sette mentre, ad esempio, per Antoine-Joseph Pernety (1716-1796) dovevano essere le dodici di seguito elencate (messe anche in relazione con i segni dello Zodiaco):

I processi alchemici

        Tento qualche spiegazione dei processi elencati. aiutandomi con il Read(12). La «calcinazione», o riscaldamento all’aria, portava al «fissaggio» dei metalli fusibili, ed in tal modo essi assumevano una forma solida permanente o «calce» che resisteva a ogni ulteriore cambiamento. La «distillazione» fu spesso immaginata come un processo a due stadi, l’ascendente e il discendente, simbolicamente rappresentati da uccelli che volavano verso l’alto e verso il basso. Allo stesso modo, cigni, colombi o altri uccelli che volavano verso l’alto, simboleggiavano la «sublimazione». Si pensava che sublimando più volte una stessa sostanza, si potesse arrivare alla sua quintessenza. Con il termine «putrefazione» o «mortificazione» veniva indicata la «morte di un metallo» causata generalmente dal calore (ossidazione); il processo inverso di «ritorno alla vita» o «risurrezione» (riduzione) era interpretato dagli alchimisti come il ritorno dell’anima di un metallo nel suo corpo. Si supponeva che questi due processi si manifestassero con la comparsa dei colori nero e bianco. Secondo un’idea molto diffusa, anche l’oro, il metallo perfetto, doveva subire la mortificazione per permettere al suo «seme» di germogliare o crescere quando si fosse trovato in un mezzo adatto. «Il grano e gli altri semi dei vegetali, gettati nel terreno, prima di poter germogliare devono decomporsi», scrisse Paracelso riferendosi a una diffusa anche se errata concezione medioevale. Il processo di «congiunzione» era considerato come l’unione del maschio con la femmina, del Sole con la Luna, dello zolfo con il mercurio, del solido con il volatile, del rospo con l’aquila e così via. Nella «nutrizione» il recipiente per la reazione era riempito di materiali preparati al momento. La «circolazione» era una forma continua di distillazione in vaso chiuso; questo processo fu spesso condotto in un vaso a due braccia, l’alchimistico pellicano (già incontrato), o in un doppio vaso. 
        La «nutrizione» fu anche riferita alla leggenda del pellicano che nutre i propri figli con il sangue che esce dal suo petto(11). Due nomi di questi processi erano di

Pellicano alchimistico

grande importanza perché venivano usati per indicare le ultime due operazioni culminanti nella trasmutazione. Un principio fondamentale dell’alchimia affermava che, una volta ottenuta la pietra o polvere per la «proiezione» nella sua forma grezza, si poteva aumentare enormemente la sua forza con un processo di «moltiplicazione». A questo punto può nascere di nuovo un po’ di confusione: infatti i fabbricanti d’oro indicavano con lo stesso termine l’aumento della quantità iniziale d’oro usata come massa iniziale nelle loro trasmutazioni. Alcuni sostennero che la medicina (la pietra) poteva venir moltiplicata «all’infinito» con il mercurio. Nella operazione finale, chiamata «proiezione» una piccolissima quantità della preziosa polvere, avvolta di solito nella carta o chiusa nella cera, veniva gettata in un crogiolo rovente contenente mercurio, piombo fuso o altre sostanze che dovevano subire la trasmutazione.

        Il fuoco giocava quindi un ruolo importante. L’uovo filosofale, contenente il pulcino (pietra filosofale) veniva aperto con il fuoco (simbolicamente rappresentato da una spada) che era il calore della cova e quindi un calore dosato con estrema cura, ed infatti, come accennato, era proprio il dosaggio del calore uno dei problemi più grandi degli alchimisti.

La rottura dell’uovo filosofale (il vaso di Ermete) con la spada (fuoco) originerà il pulcino (pietra filosofale).
 

        La cura dell’uovo è sempre presente ed in tal senso non deve turbare il fatto che nella precedente figura compaia una spada. L’operazione di apertura dell’uovo è sempre qualcosa di delicato, come mostrano le immagini che seguono, le quali fanno esplicito riferimento alla delicatezza necessaria con l’uovo filosofale.

Da Arthur Henkel, Albrecht Schone, Emblemata, ristampa, Stoccarda 1967. Dal frontespizio di un monumentale commentario biblico di un monaco del XVII secolo dove si riportano Glossae medievali di Strabone e di Nicola di Lyra. A partire dal 2° volume, i successivi cinque tomi portano sul frontespizio un’immagine mitologica, con la scritta noctu incubando diuque. Si allude al significato dell’Opus di Dio, consistente nell’operare la trasformazione della vita, la nascita di una creatura nuova, come il pulcino nasce dalla gallina che lo cova. Il “noctu diuque” indica, inoltre, come il processo spirituale non deve avere soluzione di continuità.

Il Forno Filosofico e la gallina che cova (Speculum veritatis, XVII s.: Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. lat. 7286)

         E’ d’interesse osservare che l’uovo è simbolo utilizzato anche da uno dei massimi pittori del Cinquecento, Piero della Francesca. Si osservi questa sua Madonna dell’uovo:

Piero della Francesca, Madonna dell’uovo (1472-1474)

Piero della Francesca, Madonna dell’uovo (particolare)

        I problemi si ponevano per controllare i gradi di calore forniti dai fuochi (oggi si direbbe: la temperatura). Non si poteva sbagliare di troppo perché i processi che avvenivano dentro l’uovo erano di tipo incubazione ed era il tempo insieme al grado di calore che giocava un ruolo importante. Per alcuni processi si immaginavano addirittura cento anni di fuoco di modo che Maier poté dire (1617) che il tempo che la Natura ha a disposizione è estremamente lungo … Il tempo a disposizione dell’Arte è [invece] molto brevecosì che, per ingannare il tempo della Natura fu creato il mese dei filosofi che aveva la durata di 40 giorni!

        Come già detto gli astri giocavano ruoli fondamentali ma non tutti erano d’accordo su quali fossero gli astri favorevoli a determinati processi. L’alchimista Norton, ad esempio, sostenne (1447) che la Grande Opera doveva iniziare con il Sole nel Sagittario e la Luna nell’Ariete e doveva terminare con il congiunto influsso di Sole e Luna nel segno del Leone.

        Altra complicazione per l’alchimista era il colore (ho dato un qualche cenno qua e là). Occorreva seguire l’Opus nel suo complesso attraverso i differenti colori che le varie sostanze assumevano via via durante i processi. Anche qui vi erano colorazioni a priori che, per quello che rappresentavano nelle analogie, dovevano essere preferite. Si doveva partire dal nero per passare al bianco, poi al giallo e quindi al rosso e questo in analogia sia con i gradi di nobiltà dei quattro elementi che con quella dei quattro umori del corpo:

COLORIELEMENTIUMORI
NeroTerraBile nera
BiancoAcquaFlemma
GialloAriaBile
RossoFuocoSangue

Nel passaggio da un colore all’altro occorreva vedere i colori della coda del pavone; e se ciò accadeva voleva dire che tutto andava bene (Carnock, 1574). Il nero aveva il significato di completa putrefazione mentre il rosso si doveva ottenere dopo il nero, altrimenti tutto il processo era fallito. Il raggiungimento del rosso era un successo importante, un preparato in grado di moltiplicarsi (Ripley, XV secolo).

        Ed i colori, proprio per la loro  importanza al fine della buona riuscita dell’Opus, assumono importanti significati anche in relazione allo stato di salute dell’uomo che, lo ricordo, è determinato (fori della teoria di Paracelso)dall’equilibrio dei quattro umori: flemma, irascibilità, malinconia e sangue. La cosa ci viene descritta dal mago ed alchimista tedesco Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim (1485-1535) nel suo De occulta philosophia (1533). Egli dice (Capitolo XILX):

Gli elementi hanno i loro colori, mediante i quali i medici analizzano la complessione ed il carattere di un corpo. Il colore della terra, quando è fredda e secca, è scuro e nero ed indica un carattere malinconico [ciò si capisce meglio ricordando che in latino malinconia si dice atra bilis che vuol dire bile nera, ndr] e saturniano. Il celeste chiaro denota che uno ha catarro, poiché il freddo rende bianco l’umido e annerisce il secco. Il colore rosso indica sangue, fuoco che accende l’ira, la quale, per la sua propria inconsistenza, si mescola facilmente con tutti e origina diversi colori: se si mescola con il sangue, il rosso è il colore dominante; se domina l’ira, diventa rosato e se la mescola è in parti uguali, diventa rossiccio. Se l’ira è accesa con il sangue, diventa grigia: rossa quando domina il sangue, rosata quando domina l’ira. Se si mescola con l’umore malinconico, diventa nero, ma mescolato con la malinconia e la flemma in proporzioni uguali diventa grigio; se domina la flemma, giallo scuro, e se domina la malinconia, verde chiaro. Se si mescola solo con la flemma in proporzioni uguali, diventa color cetrino; se vi è maggiore quantità dell’altro, diventa pallido. Non vi è dubbio che tutti i colori hanno maggiore virtù quando abbiamo a che fare con sete, metalli, cose trasparenti, pietre preziose ed oggetti simili ai corpi celesti.

        Da ultimo anche la musica aveva la sua importanza. Questo era un elemento di provenienza pitagorica, le armonie delle note musicali con le loro proporzioni aiutano della Grande Opera ed indicano le proporzioni tra i principi attivi (Norton, 1477).

        Infine non poteva mancare la preghiera, la purezza di cuore e l’assenza di peccato e l’imperativo dell’alchimista era:

Prega, leggi, leggi, leggi, rileggi, lavora ed alla fine troverai quel che cerchi (Mutus Liber, XIV Tavola).

NOTE

(1) A. Pichot – La nascita della scienza – Dedalo 1993

(2) Vi è, come accennato, una grande incertezza a situare le origini dell’alchimia. Certamente essa ha avuto a che fare con le abilità dei vasai, dei metallurgisti e dei forgiatori che operavano principalmente in Mesopotamia. Questa parte estremamente evoluta del mondo avrebbe poi esportato le conoscenze sia verso Occidente, l’ Egitto e la Grecia, sia verso Oriente, Cina ed India. Le conoscenze via via accumulate furono poi sistematizzate in Egitto durante il periodo ellenistico. Nei primi secoli del cristianesimo, con forti influenze neopitagoriche e neoplatoniche, si ebbero le prime opere scritte di alchimia.

Il nome alchimia, usato probabilmente per la prima volta da tal Giulio Firmico contemporaneo di Costantino per indicare una particolare scienza appresa dagli arabi,è derivato propriamente dall’arabo al khem con al articolo e khem sostantivo. E khem è l’antico nome dell’Egitto che derivava dal colore delle sue terre fertili sulle rive del Nilo, terre nere oppure dal fatto che l’Egitto fosse la terra del cammello. Altre derivazioni possono essere dall’ebraico qamû e dal greco kaiô che hanno il significato di arderebruciare. Altre ancora fanno discendere alchimia dall’arabo al e chema che vuol dire il segreto o sempre da al e dal greco chemeia che vuol dire la fusione. In definitiva alchimia è il nome dal quale si riteneva discendesse l’arte delle trasformazioni della materia. Ed è certamente vero che in Egitto si fosse esperti in alcune tecniche che in qualche modo sono legate ai primordi dell’alchimia, come la colorazione del vetro, la tintura dei tessuti, la fabbricazione di smalti, la lavorazione dei metalli tra cui assumerà un valore simbolico importante l’oro.

(3) A questo punto si inseriscono tutta una serie di speculazioni che portano ad associare altri simboli, come quello della Stella di David. Vediamo come (tratto da: Alessandro E.M. Pisani, Scritti alchemici e curiosihttp://www.freemasons-freemasonry.com/alchimia_3.html).

        In ebraico l’alchimia ha preso il nome di chokhmat ha-tzeruf: letteralmente “scienza della trasformazione”. Lo stesso verbo TS-R-PH denota l’attività di trasposizione delle lettere (permutazione gematriaca) grazie alla quale una parola può andare incontro a innumerevoli metamorfosi. Applicando il calcolo gematriaco al termine stesso di TS-R-PH si ottiene un valore pari a 370, valore identico a quello del verbo SH-L-M che significa “essere compiuto, terminato” e “vivere in pace, avere pace”. A questa stessa forma è legato il nome di Salomone, il re di Israele la cui figura è connessa da significativi legami alla pratica alchemica. Viene tramandato, infatti, che egli usò il verme Shamir allo scopo di tagliare le pietre da utilizzare per la costruzione del primo tempio. La tradizione vuole anche che egli abbia ricevuto la pietra filosofale dalla regina di Saba. Ancor più significativo, però, è che al suo nome sia associato il nome di quel sigillo che sarà poi meglio conosciuto come maggen David o, in Occidente, “Stella di David”. Questa stella a sei punte  è formata dalla sovrapposizione di un triangolo equilatero rovesciato su un altro, sintetizzando così nella figura ottenuta i simboli dei quattro elementi : il triangolo con la punta rivolta verso l’alto che rappresenta il fuoco D, quello con la punta verso il basso l’acqua  Ñ, quello del fuoco troncato dalla base di quello dell’acqua che rappresenta l’aria, mentre quello dell’acqua troncato dalla base di quello del fuoco che rappresenta la terra. Come ricorda il  Dictionnaire des Symboles di Chevalier e Gheerbrant (t. IV, p. 160):

“Se si considerano le quattro punte laterali della stella, alle quali si associano le quattro proprietà fondamentali della materia [da sinistra in alto, in senso orario, rispettivamente : caldo, secco, freddo, umido; nda]  si può vedere la manifestazione delle corrispondenze tra i quattro elementi  e le proprietà opposte a due a due. Il fuoco combina il caldo e il secco, l’acqua l’umido e il freddo, la terra il freddo e il secco, l’aria l’umido e il caldo. La variazione di queste combinazioni produce la varietà degli esseri materiali. Il sigillo di Salomone appare allora come la sintesi degli opposti e  l’espressione dell’unità cosmica”.

Nel sigillo di Salomone si rappresenterebbe allora la finalità ultima della ricerca alchemica, quella che Paracelso (Aureolus Philippus Theophrastus Bombastus von Hohenheim) nel suo commento alla cosiddetta Rivelazione di Ermete definisce “la perfetta equazione degli elementi”. E’ opportuno ricordare, inoltre, che la tradizione ermetica associa a ognuno dei sei vertici (dall’alto in senso orario) i metalli di base e i pianeti corrispettivi (argento-Luna, rame-Venere, mercurio-Mercurio, piombo-Saturno, stagno-Giove, ferro-Marte) riservando a oro-Sole l’esagono centrale. In questa rappresentazione simbolica si può anche individuare l’espressione di quelle leggi naturali che fanno sì che la forma esagonale sia di gran lunga la preferita quando forze diverse cerchino un equilibrio, una simmetria e dunque un’equa ripartizione del piano o dello spazio :

“le simmetrie quadrate ed esagonali si impongono giacché i soli poligoni regolari che possono ‘riempire’ il piano (senza interstizi) sono il quadrato, il triangolo equilatero e l’esagono […] Due poliedri semiregolari permettono pure la equa ripartizione dello spazio : sono il prisma regolare esagonale e il semipoliedro (archimedeo) di lord Kelvin (8 facce esagonali, 6 facce quadrate, 24 vertici, 36 raggi uguali).” [Ghyka 1959: 36, nota 2].

Seguendo questa interpretazione, si può dire allora che il sole-oro alchemico rappresenta quello stato della materia in cui giungono a perfetto equilibrio le diverse e discordanti forze associate a ognuno degli altri metalli, così come l’esagono centrale del sigillo di Salomone è l’unico “luogo” in cui possono unirsi e fondersi i sei vertici, l’unico “luogo” in cui, a completamento dell’Opera, è possibile ripristinare l’equilibrio dell’Inizio. Del tutto opportunamente in questo esagono centrale viene talvolta inserito il Tetragramma, il nome dell’Uno che creò la sostanza basilare, essenziale, dalla quale per via di diversi e molteplici livelli di degradazione si pervenne al molteplice, il quale a sua volta grazie alle pratiche dellachokhmat ha-tzeruf potrà essere ricondotto alla perfetta unità originale. E’ opportuno ricordare che il sigillo di Salomone deve essere anche visto come il simbolo della creazione in sei giorni. L’esagono centrale indicherebbe allora il settimo giorno, quello del riposo, della stabilità, del perfetto equilibrio.

(4) Non stupisca l’accostamento della ricerca dell’oro con misticismo. In una scala di intrinseca nobiltà, l’oro era il metallo perfetto. E ricercare oro era ricercare la perfezione. In analogia, la ricerca della perfezione dell’uomo era operazione di carattere mistico.

(5) Zosimo nato a Panopoli (nome greco dell’egiziana Akhmi’n), città del medio Egitto, e vissuto ad Alessandria di cultura greca, è il primo grande scrittore di alchimia in lingua greca. Fu uno scrittore prolifico che avrebbe scritto ben 28 libri. Di lui è rimasto un ampiocorpus di scritti, dedicati agli aspetti più tecnici dell’alchimia, titoli e frammenti.

(6) L’elemento mercurio era chiamato argento vivo. Tra l’altro si credeva che se solo quell’argento vivo si fosse solidificato, sarebbe diventato l’ordinario argento.

(7) Ruggero Bacone è personaggio di cui non si sa molto. Anche il suo nome non è certo perché in quell’epoca si tendeva a dare a dei lavori i nomi di persone illustri al fine di avere subito fama. Non si è quindi sicuri che tutte le opere attribuite a Ruggero Bacone (Opus Minus, Opus Major, Alchimia Major, Trattato di Filosofia) siano della stessa persona. Sembra sia nato intorno al 1210 nella contea di Sommerseti, in Inghilterra, trascorse la maggior parte della sua vita in prigione. Studiò presso l’università di Oxford, quindi in quella di Parigi fino al 1250, in questo stesso periodo rientrò in Inghilterra per vestire l’abito dell’ordine Francescano. Sorpreso dai frati nel suo laboratorio alchemico venne denunciato dal generale dell’Ordine, San Bonaventura, condannato a lasciare Oxford ed imprigionato a Parigi nel convento dei Francescani. Tutto ciò che si sa sulla sua vita si può trovare in bibliografia 4. Sembra sia morto nel 1294.

(8) Giabir ibn-Hayyan è un alchimista arabo, noto in occidente con il nome di Geber, vissuto probabilmente tra il nono e decimo secolo (760-815). Anche per Geber è probabile che molti scritti a lui attribuiti (De alchemiaSumma perfectionis magisterijLiber de septuaginta, …) non siano suoi. Ma vi è di più. Secondo recenti ricerche Geber  non avrebbe mai scritto la Summa. Quest’opera sarebbe di un francescano, Paolo di Taranto, del XIII secolo e lettore presso il monastero di Assisi. Per compiere la trasmutazione di un metallo in un altro è necessario, secondo la teoria di Geber, utilizzare due diversi composti medici, uno in grado di trasformare i metalli vili in oro (la pietra filosofale o il grandeelisir) e l’altro di trasmutarli in argento (il piccolo elisir). Le prescrizioni per ottenere queste medicine sono però date in un linguaggio ermetico, cosi da riuscire incomprensibili.

(9) La scoperta dell’alcol giocherà un suo piccolo ruolo nel confutare le dottrine aristoteliche. Esso risulta umido e caldo anziché umido e freddo, come avrebbe dovuto essere nella teoria di Aristotele.

(10) Francis Bacon (1561-1620) in Temporis partus masculus (1602) darà il seguente giudizio su Paracelso:

Scorgo da un’altra parte il gruppo degli alchimisti, alla testa dei quali fa mostra di sé Paracelso che, per la sua audacia, merita di essere affrontato separatamente dagli altri. Gli altri infatti che sopra abbiamo poc’anzi rimproverato sono esempi di menzogna, tu sei un mostro. Quali oracoli di Bacco tu, emulo di Epicuro, vai attingendo per noi nelle metéore? A questo proposito, mentre quello sembra enunciare le sue opinioni a caso, come un uomo mezzo addormentato e che sta facendo tutt’altro, tu, più stolto del caso, sei pronto a giurare sulle parole della più assurda menzogna. Esaminiamo ora il resto di ciò che ti riguarda. Quali imitazioni dei prodotti dei tuoi elementi, quali corrispondenze, quali parallelismi vai sognando, o fanatico accoppiatore di fantasmi? Tu hai fatto dell’uomo una specie di pantomimo, e quanto sono ammirevoli quelle tue sottili distinzioni (concetti tuoi senza dubbio) con le quali hai tentato di spezzare l’unità della natura! Per questo sopporto più volentieri Galeno che pondera i suoi elementi, piuttosto che te che vai celebrando i tuoi sogni. Galeno infatti si occupa delle qualità occulte delle cose, mentre tu ti occupi delle qualità comuni e volgari. Quanto siamo miseri noi, condannati a vivere in mezzo a tante odiose vuotaggini. Quanto è fastidioso vedere un uomo, abilissimo nell’impostura, inculcare negli spiriti una triade di principi, vale a dire una concezione non completamente inutile e che ha un certo contatto con la realtà! Ora ascolta l’enumerazione dei delitti più gravi. Tu, confondendo le cose divine con quelli naturali, il profano con il sacro, le eresie con le favole, hai profanato, o sacrilego impostore, sia le verità umane sia quelle divine. Tu non soltanto, come i Sofisti, hai oscurato la luce della natura (il cui santissimo nome la tua impura bocca pronuncia tante volte), ma lo hai spento addirittura. Essi disertarono l’esperienza, tu l’hai tradita. Subordinando a una contemplazione prescritta l’evidenza materiale e palpabile delle cose e cercando la materialità delle sostanze invece del calcolo dei movimenti, hai tentato di corrompere le fonti della scienza e di impoverire lo spirito umano. Alle difficoltà e alle oscurità degli esperimenti, ai quali i Sofisti sono avversi e di fronte ai quali gli empirici sono impari, hai aggiunto ostacoli nuovi ed estranei. Tanto ti sei allontanato dal seguire o dal riconoscere un’esperienza vivente! Per quanto ti era possibile, hai accresciuto l’ingordigia dei maghi comprimendo i pensieri importuni con la speranza, e la speranza con vane promesse: sei insieme un artefice e un prodotto dell’impostura […] Ma a questa sentenza portata contro Paracelso mi sembra di vedere tutti gli altri alchimisti colpiti da stupore. Senza dubbio essi riconoscono qui i loro propri decreti, quei decreti che Paracelso si è più preoccupato di promulgare che di fondare e che (allontanandosi dalla disciplina antica) egli ha rafforzato prudentemente con la sua arroganza. Costoro infatti vanno d’accordo fra loro in base a un’infinita serie di reciproche menzogne e ostentano in ogni caso le più vaste speranze; e, vagando per le vie dell’esperienza, talvolta per caso, e non per metodo, capita loro di incontrarsi con qualcosa di utile. Nelle loro teorie essi non si allontanano, da fedeli allievi delle fornaci quali sono, dall’arte di Paracelso.

(11) L’immagine del pellicano che dona il sangue ai propri figli, ricorrente nella simbologia cristiana, si può forse far risalire al “Fisiologo”, un bestiario redatto in ambienti gnostici alessandrini intorno al II secolo d.C. da un anonimo. Il libro traccia un parallelo tra caratteristiche immaginarie attribuite a vari animali e virtù cristiane. C’è da notare anche che il processo di moltiplicazione alchemico ha dei riferimenti chiari alla moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Osservo di passaggio che la Moltiplicazione e la Trasmutazione si differenziano tra loro per gli scopi che raggiungono anche se sono entrambe operazioni filosofiche: 
– la Trasmutazione (che ha l’influsso della Terra) ha come scopo finale quello di “trasmutare” cioè di trasformare tutto in argento o oro. 
– la Moltiplicazione (che ha l’influsso della Luna) ha come obiettivo di agire su ogni regno della Natura e permette di identificare la pietra semplice (che esiste e si può reperire in natura anche se deve essere poi elaborata) e la pietra moltiplicatrice che sono ben diverse tra loro.

Per comprendere pienamente la differenza tra pietra semplice e moltiplicatrice si deve pensare alla caratterizzazione del mondo secondo l’alchimia: vi sono in gioco 5 nature (generativa, crescente e agente, decrescente e dolorante). Compito dell’alchimista che ricerca la Pietra Filosofale è lavorare prima con e poi contro Natura. Ci sono due percorsi (ascendente e discendente), che solo nel loro insieme danno luogo alla perfezione alchemica, all’uomo d’oro, alla trasmutazione. La pietra moltiplicatrice è il punto di partenza del percorso generativo e ascendente, perché fa crescere i 4 elementi e i 3 principi della chiave del 3; la moltiplicazione riguarda anche le operazioni alchemiche, che si accrescono e acquistano forza. Durante la fase discendente la pietra semplice permette al misto di conservarsi nel suo stato di salute: si ha così una fissazione del misto che, invece di morire ed essere riciclato, si trova fuso nella pietra semplice stessa. 
Questi 2 percorsi trovano la loro perfezione nella trasmutazione della Pietra filosofale, che riunisce in un unico processo le operazioni.

Differenza fondamentale tra pietra semplice (di colore verde) e pietra filosofale è che la prima ha un solo possibile uso: una volta utilizzata perde tutti i suoi poteri di trasformare i metalli vili in oro. E’ comunque possibile lavorare al forno per del tempo (a volte anche centinaia di anni) la pietra semplice per ottenere la pietra moltiplicatrice (colore viola). E’ il colore che darà la certezza dell’avvenuta trasmutazione.

Una volta ottenuto dell’oro con la pietra semplice, sarà possibile moltiplicarlo con la pietra moltiplicatrice.

(12)  John Read – Dall’alchimia alla chimica – Longanesi 1960, pagg. 56-58 
 


BIBLIOGRAFIA

1) A. Pichot – La nascita della scienza – Dedalo 1993

2) John Read – Dall’alchimia alla chimica – Longanesi 1960

3) Alexander Roob – Alchimia & Mistica – Taschen 1997

4) Ruggero Bacone – La scienza sperimentale. Lettera a Clemente IV. I segreti dell’arte e della natura – Rusconi 1990

5) Serge Hutin – L’alchimia – Dellavalle 1971

6) Walter Scott (a cura di) – Hermes Trismegisto: Corpus Hermeticum – EDAF Madrid 1998

7) Paracelso – Paragrano – Laterza 1973

8) Alexander Koyré – Misticos, espirituales y alquimistas del siglo XVI aleman – Akal Madrid 1981

9) Charles Webster – Magia e scienza da Paracelso a Newton – il Mulino 1984

10) Paolo Rossi(a cura di) – Il pensiero di Francis Bacon – Loescher 1974

11) http://hdelboy.club.fr/bibliot_phil_chim.html (Una raccolta importante di testi ed immagini alchemiche in francese)

12) Michele Giua – Storia della chimica in Storia delle Scienze a cura di Nicola Abbagnano – UTET 1965

13) Enrico Cornelio Agrippa – La filosofia occulta o la magia – Edizioni Mediterranee 1972



Categorie:Alchimia

1 replies

  1. Molto interessante, sono partita dal terzo articolo per negligenza, mi rifarò più tardi a leggere il secondo e nuovamente il terzo.

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