RELIGIONE, MAGIA E SCIENZA NEL RINASCIMENTO ITALIANO

Roberto Renzetti

         Vi sono varie scuole di pensiero che datano in modo diverso quello che è comunemente conosciuto come Rinascimento italiano. Non credo si facciano particolari violenze alla storia se per tale periodo si intende, in accordo con Kristeller, quello che va dal XIII al XVI secolo. Naturalmente ciò è riferito alla struttura centrale di quanto discuterò, fatto che non esclude puntate indietro o rincorse ad autori che hanno operato in epoca posteriore, almeno per tutto il XVII secolo.

        È difficile iniziare un tale discorso poiché le correnti di pensiero che si intersecano sono numerosissime e non chiaramente distinguibili e catalogabili in schemi ben definiti. In linea del tutto generale si può dire che almeno tre sono i filoni principali dentro i quali tentare di ritrovare pensieri, elaborazioni teoriche, negazioni di credenze che si possono in prima analisi individuare:

– la tradizione cristiana mescolata in vario modo con altre tradizioni e credenze (gnostici, neoplatonici – Plotino (205-270) e Porfirio (232-303) – e neopitagorici); Plotino, in particolare, aveva preso spunto dall’Iperuranio di Platone per costruire una filosofia mistica in cui il mondo materiale era il livello più volgare dell’essere. Vi doveva essere una sola Unità da cui dovevano discendere tute le cose (influenze orientali) e particolarmente: Vita, Mente, Anima e, solo alla fine, Materia. Lo spirito era prigioniero della materia (per gli aristotelici invece lo spirito forniva di forma la materia);

– l’eredità pagana che spesso si intersecava con quella cristiana;

– il momento razionale che tenta di uscire dalla metafisica con poveri strumenti di osservazione ed empirici (in questo filone si possono ritrovare sovrapposizioni con la tradizione empirista di Aristotele, Galeno e Tolomeo e certamente in esso si situano, dopo Ockham, Buridano, Oresme ed Harvey – la scoperta della ‘circolazione’ del sangue è certamente di rilievo ma il cuore non è inteso come una pompa, ma piuttosto come una reggia, una sacra dimora per il sangue che, lì, si rigenera: tutto in un ambito aristotelico di generazione e corruzione dove anche la stessa ‘circolazione’ richiama analoghe circolazioni di pianeti intorno alla Terra ma qui, contrariamente a lì, con una fine); una sorta di osservazione “ingenua” della realtà tesa più a risolvere problemi particolari che non a generalizzare attraverso processi di astrazione che abbarcassero un’intera classe di fenomeni (strada aperta da Galileo) ed in tal senso diventassero operazioni sperimentali, operazioni teoriche guidate dal “pregiudizio”.

        Altra osservazione è relativa al fatto che per certi versi gli studiosi medievali, privi del senso della storia, riuscirono a mescolare tranquillamente le varie culture non distinguendo tra quella greca, egiziana, cristiana ed ebrea. Nel far questo accettarono come buone opere che, alla fine, risultarono essere dei veri e propri falsi e, in ogni caso, certamente sfasate nel tempo e situate cronologicamente in epoche del tutto diverse dalla loro elaborazione.

        Ancora in termini del tutto generali, si può affermare che un ruolo fondamentale fu svolto dalla riscoperta e successiva traduzione delle opere dei massimi pensatori greci. Tale riscoperta aggiunse elementi dal cui sviluppo maturarono posizioni di pensiero che poi si fortificarono in età barocca (ad esempio: Archimede che in qualche modo ispirò il meccanicismo a cominciare dalle opere di Tartaglia, Commandino e Guidobaldo dal Monte fino a Galileo, Hooke e Huygens) e posizioni culturali, atmosfere che fecero da sottofondo a tutto il ‘500 ed in gran parte del ‘600. Queste ultime ripresero temi neoplatonici (che vennero alla ribalta con testi riscoperti a partire dal 1453, con la caduta di Costantinopoli) e dettero vita a movimenti magici e mistici che in vario modo ritroviamo in moltissimi autori che pure oggi usiamo studiare come scienziati, portatori di razionalità in contrasto con un mondo irrazionale. È una semplificazione gigantesca che si è operata utilizzando quel filone storiografico che vuole una linearità nello sviluppo delle conoscenze e che non prevede errori, marce indietro, ispirazioni o pregiudizi irrazionali e mistici.

        Ma anche queste differenziazioni si fanno più che altro per nostra comodità. In realtà i temi erano, come già detto, fortemente intrecciati e solo in pochissimi pensatori emergeva una qualche posizione chiara, netta che si poneva come antagonista rispetto alle tradizioni che con relativa tranquillità erano andate ad occupare una posizione dominante soprattutto all’interno delle università (e qui non vi è dubbio che l’aristotelismo e la scolastica furono per lungo tempo la cultura dominante con o contro la quale occorreva confrontarsi).

        Ultimo aspetto, che concerne in definitiva l’interesse verso questioni teoriche e problemi filosofici, riguarda il raggiungimento di un relativo stato di benessere materiale sufficiente almeno a permettere ad un certo numero di persone di vivere mediante il proprio lavoro intellettuale.

Lo stato di ignoranza e superstizione in cui versava l’Europa

        Fu Lorenzo Valla (1407 – 1457), con una approfondita e metodica ricerca storica, che iniziò a fugare alcuni miti e favole che, purtroppo, ancora oggi si mantengono. Per quanto incredibile possa apparire fu proprio un momento di tolleranza della Chiesa di Roma che permise al Valla una scoperta di notevole importanza.

        La fantastica storia del potere temporale che la Chiesa avrebbe avuto in eredità da Costantino il grande viene rivista alla luce di documenti e riportata alla sua verità storica. Tale potere risale in effetti all’epoca di Pipino il Breve (VIII secolo). Fu questo il momento in cui la Chiesa creò uno dei suoi falsi storici: quello del Decreto in cui Costantino il Grande la avrebbe fatta ‘erede’ di tutto l’Impero Romano d’Occidente. I Longobardi attaccavano la Chiesa e Papa Stefano III nel 754 dovette fuggire valicando le Alpi e cercando rifugio alla corte di Pipino (754). Il Papa legittimò il titolo regale di Pipino in cambio di territori in Italia, fino al porto di Ravenna. Per dare maggiore legalità alla cosa fu costruito il falso di cui si diceva, necessario anche perché nel riconoscimento di Pipino si intaccavano anche terre attualmente in mano all’Impero Romano d’Oriente. Ma perché Costantino avrebbe fatto un tale atto di donazione? Egli stava molto male senza che i medici riuscissero a guarirlo. Alcuni preti gli suggerirono di sgozzare alcuni bambini per lavarsi i piedi con il loro sangue. L’Imperatore rifiutò tale atto e, nella notte, ebbe la visione dei Santi Pietro e Paolo che gli dissero che Papa Silvestro lo avrebbe guarito. Costantino si recò dal Papa che lo fece pentire e lo battezzò. Fu così guarito. Da questo momento abbandonò l’idolatria e fece la Chiesa erede di tutte le province romane d’Occidente. Fu il Valla a scoprire in tale documento una montagna di frasi non originali perché provenienti da dialetti ‘barbari’, a trovare moltissime incongruenze di date e ad affermare definitivamente la falsità del documento.

        Questo fatto che accompagnerò ad altri, è sintomatico di un clima di completa ignoranza, anche a livelli che teoricamente dovevano essere ‘colti’. Lo stesso Papa Niccolò V fece Valla suo segretario. Si dilettava il Pontefice con questi colti umanisti che scavavano tra le cose antiche trovando pezzi interessanti e dilettevoli. In fondo le dispute del Valla o di altri umanisti come Ficino non avrebbero in alcun modo impedito l’accumulo di ricchezze, territori e potere. Ma questo ‘scavare’ portò pian piano alla costruzione di tante gallerie che presto fecero sprofondare il tranquillo terreno su cui ci si muoveva.

        Inoltre si deve tener conto del fatto che gli stessi umanisti, che pure dettero un vigoroso impulso allo studio ed alla conoscenza (si pensi a Petrarca), erano piuttosto dediti al raggiungimento della perfezione morale e rifuggivano anche da quelle dispute che nelle università si andavano affermando tra logiche diverse ed uso di sofisticati sillogismi.

Le conoscenze che si avevano nell’Alto Medioevo

        Alcune date approssimative sono utili per capire lo stato delle conoscenze che via via si perdevano e quando via via si riacquistarono nei Paesi cristiani in traduzioni latine.

        Le uniche opere note tradotte in latino erano il Timeo di Platone (primi capitoli) intorno al IV secolo. Occorre poi passare al VI secolo per la conoscenza di alcune opere di logica di Aristotele alle quali si accompagnavano compilazioni come quelle di Plinio, di Boezio, di Isidoro da Siviglia, … che, in qualche modo, rappresentavano un compendio di tutte le conoscenze. E gli autori del passato più conosciuti, anche se in modo spesso distorto o attraverso interpretazioni superficiali o forzate ad esempio a sostegno del cristianesimo, furono Platone ed Aristotele.

        Il mondo naturale era osservato per trovarvi conferme o simbolismi di tipo morale o religioso. Gli animali vengono assimilati a determinate virtù o peccati. Animali fantastici vengono pensati per riassumere la combinazione tra più virtù o tra virtù e peccato. Anche le pietre vengono assimilate a qualcosa che è finalizzato all’uomo e ad esse vengono assegnate proprietà terapeutiche o nefaste per l’uomo. E nessuno si scandalizzi guardando il passato con gli occhi di oggi (anche se sarebbe auspicabile che molte persone si scandalizzassero): questo era l’approccio al mondo naturale, si trattava di un importante interesse per la magia, per l’alchimia e per l’astrologia, non ve ne era un altro da contrapporvi; anche la Chiesa in tutte le sue manifestazioni aiutava a queste credenze che, tra l’altro, si potevano ben coniugare con il suo credo metafisico. Solo qualcosa cozzava contro alcuni fatti fondamentali di fede, come l’astrologia che negava il libero arbitrio. Ma solo qualche tentativo fu fatto per sradicare tali credenze (Sant’Agostino) poiché esse in fondo non intaccavano la struttura portante del potere della Chiesa. Tanto è vero che altri pensatori cristiani, come Isidoro, invitavano proprio allo studio sistematico dell’influenza degli astri sullo sviluppo delle piante, delle malattie ed in definitiva sul carattere dell’uomo. La scienza greca, associata al pensiero pagano era rifiutata in blocco e fu preoccupazione della Chiesa farla dimenticare indirizzando gli spiriti più aperti verso opere od azioni di tipo missionario che li tenessero lontani dalla conoscenza. Si andava poi diffondendo la credenza di uomo che in qualche modo rappresentava in piccolo le cose del cosmo: una sorta di corrispondenza tra macro e microcosmo. L’interesse per il mondo naturale era comunque e generalmente rivolto a fini teologici. Furono necessari contatti con il mondo bizantino ed arabo per iniziare a pensare ad usi pratici della natura stessa, come ad esempio la cura di determinate malattie attraverso le erbe (con tutto ciò che comportava in termini di quel minimo di attrezzature che servivano per lavorarle: mortaio, distillatore, …) o l’inizio a fini pratici di prime nozioni di aritmetica (anche legate alla definizione di un calendario che fosse legato alle fasi lunari, a questioni astronomiche ed al “riconoscimento” della Pasqua a fini agricoli).

        Tra il XII ed il XIII secolo affluirono solo opere di autori arabi: di alchimia, algebra, medicina, aritmetica, geologia e commenti di opere aristoteliche che però non si conoscevano nell’originale. Agli inizi del XII secolo vengono conosciuti alcuni scritti di Ippocrate e della sua scuola.

        Tra il XII ed il XIII secolo l’intera opera di Aristotele diventa disponibile insieme ad Euclide, Apollonio, Archimede, Erone e Galeno. Occorre invece aspettare il XIV secolo per l’opera di Tolomeo.

        Tutte queste opere affluivano essenzialmente attraverso la cultura araba in località come la Spagna (Toledo), la Sicilia e Salerno. Dalle prime traduzioni molto superficiali (dal greco al siriaco, dal siriaco all’arabo, a volte dall’arabo all’ebraico, dall’arabo al latino, … arrivati a questo punto rimaneva ben poco dell’opera originale) si passò a traduzioni dirette ed a questo punto, fine del XIII ed inizi del XIV secolo, si ha davvero a disposizione la massima parte dell’opera della cultura greca.

        Rispetto ai ristrettissimi orizzonti del pensiero cristiano (Sant’Ambrogio, Sant’Agostino, San Gregorio Magno, …), di quel poco che le opere di compilazione (Plinio, Boezio, Cassiodoro, Marziano, Capella, Calcidio, Macrobio, Beda, Isidoro di Siviglia, …) avevano lasciato, con l’aggravante che le conoscenze erano sempre più riassunti di riassunti fino a che il tutto era diventato un compendio di nozioni fantastiche prive di qualunque riscontro oggettivo, rispetto a tutto questo si apriva davvero un mondo nuovo che però si innestava in un albero senza radici. Le conoscenze messe insieme da un cristianesimo che aveva accordato monoteismo con politeismo ed idolatria, che aveva tentato una operazione di dignità con San Tommaso e la Scolastica vennero ad incontrarsi o meglio scontrarsi con altre conoscenze maturate in molti secoli di splendore intellettuale. Gli effetti furono dapprima piuttosto contraddittori e ci vollero due o tre secoli per riuscire a cogliere le cose importanti, ad isolarle dalle incrostazioni che avevano subìto passando attraverso il commento di pensatori cristiani e comunque di persone che non sapevano cosa fosse l’essere laici avendo sempre riferimenti di tipo metafisico o mistico. Ma qualcosa si iniziò a modificare: se prima ogni fatto naturale era semplicemente prodotto quotidiano della divinità, da un certo punto ci si iniziò a chiedere anche di cause naturali che producono fatti naturali.

        In ogni caso lo stesso platonismo dovette attendere la fine del XV secolo per tornare ad imporsi come linea di pensiero con la quale confrontarsi. Ma, anche qui, la lettura di Platone fu fatta attraverso i testi dei neoplatonici con distorsioni profonde dello stesso pensiero platonico e con deviazioni misticheggianti ed irrazionali.

        Un dato era comune alle varie correnti di pensiero, dato di derivazione neoplatonica ma anche aristotelica, soprattutto dopo l’opera di San Tommaso, il mondo è unitario e con esso l’intera natura. Il tutto è regolato da un Dio con i suoi angeli che sta ad un estremo mentre l’uomo e la volgare vita terrena all’altro. Lo stesso sistema del mondo era una rappresentazione di tutto ciò. Nell’alto dei cieli Dio in cima, poi gli angeli sempre più giù a seconda dei loro gradi, quindi il cielo delle stelle fino ad arrivare giù giù all’uomo, alla Terra e, sotto di essa a quanto di più orrido si potesse immaginare: specularmente a quanto accadeva nell’alto dei cieli vi era una gerarchia di angeli maledetti (i daemon, i diavoli) organizzati anche qui in gerarchie; più si scende e più si è malvagi, fino ad arrivare al Lucifero che occupa il centro della Terra (una tale descrizione è stata resa stupendamente da Dante).

        La Chiesa lavorava intanto nel tentativo di sradicare “le streghe” e le superstizioni. Tutti gli studiosi sono ormai d’accordo nel ritenere che queste operazioni servivano per sostituire alla “cultura popolare” alla “religione popolare”, quella ufficiale propria. Non a caso alla lotta contro le pretese streghe si accompagnava la venerazione di “reliquie”, i pellegrinaggi, i santi, certe credenze taumaturgiche, gli esorcismi, le proibizioni di certi giorni, tradizioni pagane trasformate in rituali liturgici, … Ed anche se mai ufficialmente ammesse, erano ampiamente tollerate le pratiche degli amuleti, degli oroscopi, delle premonizioni che sarebbero state dietro ad alcuni fatti naturali straordinari come eclissi, comete, cavallette, bruchi, nascite deformi. Si dava ampio credito a fasi lunari legate a mestruazioni (fatto microscopico) ed a maree (fatto macroscopico), con l’assimilare la Terra ad una “grande madre” e con tutto un mondo di similitudini tra la vita di una donna e quella di un terreno coltivato.

La Matematica

        Esemplificativa in questo senso è proprio la matematica. Ancora nel XV secolo insigni educatori come Erasmo (1466 – 1536) e J. L. Vives (1492 – 1540) ritenevano non utile la matematica per la formazione delle persone poiché tendeva a distrarle dai fini pratici della vita. Gli stessi umanisti, che pure iniziarono a soffermarsi con interesse a guardare il mondo naturale circostante, si preoccuparono soprattutto della formazione morale dell’uomo aborrendo le dispute logiche che avevano luogo nelle prime università insieme agli insegnamenti della Scolastica. La sua riscoperta ebbe un duplice effetto spesso contraddittorio. Da una parte si intuirono le enormi possibilità ad essa collegate per lo studio della natura ma dall’altra si individuò la via più facile della numerologia e della mistica dei numeri. Ma questo duplice aspetto riguardava ogni tema che entrava all’attenzione degli studiosi in quell’epoca. Già si era manifestata una tale tendenza nella tradizione della Scuola Pitagorica. Ora di nuovo tornava l’armonia delle figure e delle proporzioni che con i numeri a lato avrebbero permesso di scoprire una qualche cabala nascosta, ad esempio nella Bibbia, una qualche formula magica che avesse permesso all’uomo di salvarsi o di scoprire una qualche verità trascendente. Le armonie divine dovevano avere una qualche relazione con cerchi, triangoli, quadrati ed altre figure geometriche tra cui, naturalmente, i solidi regolari. La stessa creazione doveva avere una matrice di matematica “spirituale” che era studiata a tal fine dai pitagorici del Rinascimento. Naturalmente su questo non vi era unità di pensiero. Coloro che ebbero approcci medici o chimici alla natura oscillavano tra la necessità delle chiavi matematiche di spiegazione delle osservazioni e la negazione di ogni influsso della matematica dei fenomeni. Un primo momento chiarificatore che servì a distinguere la matematica dalla numerologia si ebbe nella polemica tra Kepler e Rheticus. Secondo quest’ultimo l’astronomia copernicana non funzionava in quanto proponeva un mondo di 6 e non 7 pianeti (si ricordi che la Luna era considerata satellite e che il 7 era il numero perfetto dei pitagorici). Kepler, invece, distinse chiaramente le due cose rifiutando fermamente la numerologia (richiamandosi però ad una mistica che voleva la creazione del mondo come opera di Dio ed in quanto tale precedere la numerologia che era opera dell’uomo). Ciò che era in discussione era il primato di un principio esplicativo che molti individuavano nell’alchimia ed altri nella medicina. La matematica riuscì piano piano a farsi strada per la forte tradizione Platonica presente e per la sua immediata rapportabilità a temi mistici e religiosi. Resta comunque l’osservazione che per il suo stesso carattere e per la sua rappresentazione simbolica, la matematica restava limitata ad un ristretto numero di adepti che solo nel XVII secolo crebbe relativamente. Ma la matematica dei “classici” (alla quale occorre aggiungere opere originali che pian piano venivano elaborate: quelle di algebra di Tartaglia (1500-1557), di Cardano (1501-1576) e Viete (1540-1603) e l’invenzione dei logaritmi di Napier (1550-1617)) da sola avrebbe potuto fare poco se non accompagnata da una miriade di testi di argomento vario che gradualmente erano riscoperti, tradotti e portati all’attenzione dei colti. Ma non tutti erano i canonici testi che oggi chiameremmo di argomento scientifico o quantomeno osservativo. Anzi, opere magiche, alchimistiche, astrologiche attrassero molto l’attenzione degli studiosi del tempo che spesso intrecciano loro conoscenze erudite in matematica con studi approfonditi nei vari rami suddetti. Una delle opere riscoperte che ebbe maggiori influssi durante il Rinascimento fu certamente il “Corpus Hermeticum” di Hermes Trismegisto che Cosimo dei Medici fece tradurre da Marsilio Ficino (1433-1499) intorno al 1460 (si deve qui tener conto che da poco tempo era stata inventata la stampa a caratteri mobili – 1447 – e che essa fu decisiva al diffondersi di conoscenze ed anche alla messa in discussione di esse – caso clamoroso fu proprio quello della Bibbia che fu letta direttamente dai cristiani ed in tempi brevi portò alla Riforma) .

        Prima però di passare all’argomento annunciato è di interesse osservare che la matematica ebbe un merito fondamentale, quello di iniziare ad unificare un linguaggio che sempre più era per iniziati nelle varie tradizioni. Dai concetti astratti, dalle similitudini, dalle analogie, dai sillogismi, dalle proprietà di colori, suoni ed odori, dalle cause ed accidenti si passava sempre più ad un qualcosa che aveva un linguaggio univoco al quale non si poteva sfuggire con sofismi di varia natura. Furono essenzialmente i meccanicisti ad usare la matematica ed i suoi metodi ma, soprattutto, il suo linguaggio. E fu proprio la potenza predittiva di questo “linguaggio”, della sua univocità che permise, alla fine del Seicento l’affermarsi della tradizione meccanicista. Ma ciò non tragga in inganno: la scena era in gran parte occupata da altre vicende, da magia, alchimia ed astrologia (le controversie su tali problematiche erano, all’epoca, forse più importanti di quella tra geocentrismo ed eliocentrismo). La scienza che noi oggi vogliamo vedere laica e scevra da inquinamenti irrazionali nasceva immersa in questa cultura (quanto si ritiene oggi scientifico nasceva mescolato al mistico addirittura nello stesso autore) e se da una parte si può dire con l’aiuto dell’opera dei classici greci, dall’altro è necessario affermare che anche nonostante essi (per la loro visione statica ed in qualche modo già chiusa e determinata del mondo circostante).

I limiti delle cose che discutiamo

        Su quest’ultimo aspetto è necessario essere chiari. Non vi è unanimità tra gli studiosi sui termini degli influssi che vi sarebbero stati tra magia/misticismo e scienza. Si è passati dalla posizione esemplificata da Butterfield (1957) che esclude in modo assoluto tali influssi delineando percorsi assolutamente non conciliabili tra mago e scienziato. Vi è poi la posizione diametralmente opposta, esemplificata dalla Yates (1964 e 1967), che ricerca ogni possibile intreccio tra le “due” culture in modo che è quasi impossibile intravedere uno scienziato che sia laico rispetto a pensieri di carattere mistico nell’ambito del suo lavoro. Oggi, invece, la gran parte degli storici tende ad una visione complessiva del Rinascimento (B. Vickers, 1984) in cui è ancora necessario studiare per capire. In particolare sono necessari vari approcci diversi al problema che è culturale in senso ampio. In ogni caso non sono pensabili dissociazioni di pensiero negli autori che lavorarono all’epoca. Siamo noi che operiamo delle classificazioni più per nostro comodo, per poter meglio descrivere e, in definitiva, fare una storia senza interruzioni che debbano prevedere errori o strade sbagliate eventualmente intraprese (e, ciò che è peggio, misurate con i metri che oggi possediamo). Le tre (almeno) posizioni che qui ho delineato meritano un qualche approfondimento. La posizione di Butterfield è veramente priva di fondamento per il solo fatto che non esiste studioso che viva in una data epoca e che non sia immerso nella cultura dominante in essa. Può anche esservi una persona che combatte la cultura dominante ma di ciò devono esservi tracce negli scritti, devono esservi dei documenti (le esemplificazioni di Galileo contro l’aristotelismo e di Kepler con il platonismo ma contro la numerologia, possono essere emblematiche). E l’eventuale opposizione non nega che gli strumenti di giudizio provengono proprio da quella cultura. Insomma non vi sono ispirazioni che fulminano uno studioso con argomenti avulsi dai contesti che formano la base culturale di una epoca.

        Le tesi della Yates sembrano forzate nel senso che paiono andare a ricercare consonanze finalizzate alla tesi non prevedendo se non marginalmente momenti culturali diversi che si sviluppano a fianco di altri. Dare troppa enfasi all’ermetismo o alla cabala ad esempio, quasi fossero piovute d’improvviso nel Rinascimento è dimenticare che queste tradizioni non sono mai venute meno nella storia dell’umanità anche se con alterne fortune. Ma il filone underground, popolare, non colto è sempre stato vivo e vegeto. Ciò che ora si chiamerà Ermetismo è la riproposizione articolata ed arricchita del neoplatonismo con innesti ancora più elaborati che porteranno alla cabala la quale ultima aveva anch’essa una storia lunghissima. Ma alcune tesi della Yates sono di interesse in quanto pongono l’accento sul fatto che nel Rinascimento la magia acquista uno status che la lega al Cristianesimo in modo esplicito, status che la fa accettare negli ambienti colti e che la fa diventare argomento di studio molto diffuso. Lo scienziato è un uomo di cultura del suo tempo. Ed in quel tempo non vi era questa distinzione netta tra l’essere scienziato e mago. Neppure vi era la coscienza di essere semplicemente scienziato. Scienza e filosofia, quantomeno viaggiano di pari passo. Ed il filosofo ha grandi interessi per questioni metafisiche e così si arriva all’impossibilità vera di separare i vari influssi. Si può discutere di una maggiore o minore influenza di aristotelismo o platonismo; di quanto il meccanicismo archimedeo abbia potuto di fronte alle suddette potentissime scuole di pensiero ma è certo che tutti vivevano in queste atmosfere culturali.

        La posizione che molti storici sostengono oggi è non una semplice mediazione tra queste due posizioni, ma la richiesta di un approfondimento dei temi in discussione in tutti i possibili ambiti, spaziando dalla filosofia, alla magia, alla religione, all’antropologia, alla linguistica., alla matematica, alla filosofia naturale (appare ancora precoce l’uso della parola ‘scienza’)… L’intersezione di tutte queste discipline che noi studiamo separatamente, costituisce il bagaglio che un uomo di cultura aveva e che noi, ad esempio, con un uso differente della medesima parola (che ha cambiato il suo significato originale nel corso dei secoli), interpretiamo in modo che potrebbe essere errato. Il richiamo è alla rilettura storico-critica dei documenti originali con un bagaglio di conoscenze e competenze che non può essere solo disciplinare. In questo senso avverto che il mio è un lavoro compilativo che non ha alcuna pretesa di introdurre tesi ma solo di tentare una spiegazione dei termini dei problemi in gioco. Per far ciò è comunque indispensabile scendere a descrivere la cultura magico-mistico-alchimistico-cabalistica che è una parte importante della cultura rinascimentale (con l’avvertenza che nomi diversi non devono far pensare a corpi o ‘discipline’ diverse: si tratta di un unico coacervo mitico-religioso difficilmente districabile).

L’Ermetismo

        Il termine ermetismo deriva da un presunto autore chiamato Hermes Trismegisto. L’Hermes è il Mercurio latino e Trismegisto vuol dire “tre volte grande”. Chi è ? Alcuni hanno costruito la leggenda che farebbe risalire il personaggio al Dio egiziano Thoth. In ogni caso la leggenda collocherebbe Hermes cronologicamente prima di Mosè. Queste leggende erano già state smontate intorno alla metà del 1600 da Isacco Casaubon al quale fa chiaro riferimento G. Vico circa un secolo dopo, ma il modo con cui le presunte opere di Hermes arrivarono nel dibattito culturale del ‘500 facevano di esse una vera e propria rivelazione. Ed il tutto a seguito di approfondite disquisizioni iniziate proprio dai Padri della Chiesa, come Lattanzio (3º/4º sec.) e Sant’Agostino (4º/5° sec). Cerchiamo di capire i termini della questione.

        Come iniziato ad insinuare da Isaac Casaubon (1559-1614) e dimostrato definitivamente nel 1949 da A. J. Festugière, i testi di Hermes Trismegisto (raccolti in due opere principali: “Corpus Hermeticum” e “Asclepius“) risalgono al 1º/3º sec. dopo Cristo e non hanno un qualche contenuto di novità. Essi, realizzati non da uno ma da vari autori, probabilmente greci (i manoscritti di cui dispose Ficino erano in lingua greca), mescolano e sovrappongono vari contributi e consistono in una sorta di compendio della filosofia greca volgarizzata con particolare riferimento al pensiero platonico, neoplatonico e stoico. Naturalmente, data l’epoca in cui si presume siano stati elaborati, tali scritti leggono i contributi originali attraverso la lente di vari secoli trascorsi con intersezioni culturali molto forti tra cui elementi di cultura persiana, ebraica (con il potente influsso di motivi cabalistici) ed addirittura protocristiana. Il periodo in oggetto era del massimo splendore dell’Impero di Roma. La pace regnava ovunque (con scaramucce ai confini). La cultura, che si era alimentata di quanto i greci avevano in sommo grado prodotto ristagnava, risultando la filosofia una ripetizione pedissequa e sempre meno interessante dei temi svolti secoli prima, anche perché non sollecitata da questioni di tipo applicativo a seguito di quella ineluttabilità (riconosciuta sia da Aristotele che da Platone) della schiavitù. Proprio questa situazione di stallo del pensiero poneva i pensatori del tempo alla ricerca di qualcosa che rispondesse a ricerche che non erano tanto di ordine materiale quanto “spirituale”. E così ebbero ampio sviluppo esoterismi, misticismi ed anche arti che oggi chiameremmo magiche ma con un significato da specificare (come vedremo). È una ricerca del posto dell’uomo nel cosmo.

        Se ci spostiamo ora nel ‘500 ed osserviamo che vi è una analoga ricerca, che si ha una idea del mondo in cui occorre un ritorno verso le epoche in cui tutto era “meno corrotto” e la vita era più vicina agli ideali di perfezione e “salvezza dell’anima”, scopriamo che vi è una enorme ricettività per scritti di tale genere.

        È evidente che la questione della datazione delle opere di Hermes assume somma importanza perché se tali testi sono situati in un epoca che precede Mosè assumono il ruolo di libri in qualche modo profetici. Se situati nella loro vera epoca sono poveri compendi di fatti noti e mal digeriti.

        Fu proprio Lattanzio che volle assegnare a tali testi una sorta di premonizione “pagana” del Cristianesimo ricercando in vari passi episodi accaduti e ritrovando le espressioni chiave del Cristianesimo (il Dio Padre, il Figlio di Dio, il Verbo). Stessa cosa, dal punto di vista della datazione, fece Sant’Agostino che però poneva delle riserve di tipo teologico. Anche qui, tentiamo di capire. Nei testi di Hermes si sviluppano dei dialoghi tra “iniziati” e aspiranti ad entrare nel mondo della sapienza, che non è fine a se stessa ma strumento indispensabile per la salvezza. Il maestro riesce sempre a creare situazioni in cui il discepolo raggiunge una sorta di estasi perché si avvicina a quella conoscenza che facilmente è assimilata da Lattanzio a Dio. Il discepolo, osservando il mondo attraverso il suo spirito, riesce a dominarlo e quindi a vincere le volgari forze terrene per aspirare a congiungersi con la divinità. È facile qui ritrovare la Resurrezione e la salvezza di tutti coloro che credono nel messaggio evangelico ed è altrettanto facile intendere come nell’epoca di Lattanzio servano argomenti a sostegno del Cristianesimo (ed in tal senso niente di meglio che trovare in pretesi profeti l’annuncio di ciò che poi si ritroverà nei Vangeli che, tra l’altro, vedevano la luce poco tempo prima ed alcuni in contemporanea).

        La datazione interviene qui a sostenere una tesi di interesse. Tutto ciò che è antico è puro. Il tempo corrompe le cose. Occorre riconquistare la purezza attraverso la saggezza degli antichi che avevano possibilità molto superiori alle nostre di avvicinarsi alla perfezione di Dio. Inoltre tutti gli antichi sapienti greci avevano visitato l’Egitto che viene riconosciuto come fonte di ogni sapere e proprio in quel Paese viene situato Hermes. In questo i testi di Hermes erano perfetti perché, se da una parte parlavano di un Dio che creava l’uomo, dall’altro affermavano la possibilità dell’uomo di creare Dio (e qui nasceva il punto su cui Sant’Agostino mostrava completo disaccordo ma che non turbava Lattanzio che leggeva quei brani con differenti interpretazioni). Sarebbe lungo e complesso spiegare il tutto ma, ai nostri fini, basta osservare che, attraverso pratiche astrologiche, alchemiche ed in generale “magiche”, gli antichi egiziani sarebbero stati in grado di dar vita a delle statue (statue di dei) infondendogli lo spirito attraverso una serie di pratiche che prevedono manipolazioni di erbe, pietre e aromi. Queste pratiche, che anticamente si svolgevano nei sotterranei dei templi, erano le pratiche di pochi, degli eletti, degli iniziati.

        Ritorniamo di nuovo nel ‘500 e trasferiamo lì questa ansia di riscoperta di un mondo migliore, della perfezione, dell’avvicinamento a Dio, del ritorno al Paradiso Terrestre e troviamo Cosimo dei Medici (il vecchio) che incarica Ficino di tradurre prima Hermes (opera portata in Italia dalla Macedonia per merito del frate Leonardo da Pistoia che la affidò a Poliziano) e solo dopo l’opera di Platone, pur disponibile (solo questo dovrebbe essere un indice dei livelli di priorità che si avevano in pieno Rinascimento all’interno di una delle corti più evolute culturalmente).

        Hermes irrompe quindi come un sacerdote o dio egiziano, un profeta realmente esistito e preannunciante, dall’alto della sua sapienza, la “vera” religione, quella cristiana. Anche tutte le cose meravigliose che risorgevano dalle traduzioni di opere greche erano all’interno del Corpus Hermeticum che, come detto, solo raccoglieva ciò che era conoscenza diffusa nell’epoca in cui era stato scritto ma che suonava come una cultura molto più antica che aveva raggiunto estremi gradi di perfezione. Gli stessi Platone ed Aristotele avevano attinto da lì !

        Ficino doveva stare però attento a non andare su una traiettoria che si scontrasse con Sant’Agostino e quindi mette molta cura nell’introduzione che egli fa al Corpus insistendo molto sul fatto che Hermes fosse un profeta, anche perché, per Ficino, in tale opera sembra risplendere la luce divina e con essa possiamo pensare di riuscire ad avvicinarci allo stesso Dio. È questo il percorso che in realtà interessava, quello che avrebbe dovuto ricondurre alla perfezione del “prima della caduta” ed alla riappacificazione con Dio. L’opera di Hermes sembrava che permettesse questo cammino. Ma molte delle cose che erano contenute nell’opera di Hermes erano o sembravano oscure. Serviva una persona di elevate conoscenze e capacità per permettere queste letture con il conseguente avvicinamento sempre maggiore a Dio. Non era cosa per tutti ma solo per maghi, per persone cioè in grado di aiutare altre persone a fare quel cammino che altrimenti sarebbe stato loro negato. Ed ecco che nel Rinascimento la magia che per secoli era vissuta all’ombra di un sottobosco incolto con pozioni e sortilegi, acquista un aspetto colto che interessa non solo regnanti ma alte gerarchie della Chiesa fino ad arrivare allo stesso Papa. Ma nell’acquistare tale dignità prende con sé anche i metodi della magia tradizionale con la reintroduzione di riti dei seguaci di Zoroastro ed Orfeo.

        Questa magia assunse il nome di magia naturale (o bianca) per distinguerla nettamente dalla magia nera (o negromanzia). Vedremo meglio più oltre che la prima prevedeva un percorso verso Dio utilizzando degli angeli come intermediari, mentre la seconda si serviva dei diavoli per ottenere un qualche beneficio terreno. Questo essere poi maghi naturali, l’aggettivo stesso, evocava un cammino che si sarebbe servito di ciò che la natura offre con l’ambizione di riunificarla con la fede; con questo si gettavano le basi per iniziare a porre attenzione alla natura, fermo restando che la conoscenza si può conquistare solo mediante la grazia o l’illuminazione divina o anche mediante delle esperienze sul mondo naturale che permettevano, sempre con l’aiuto di Dio, di avvicinarsi a comprendere l’essenza del mondo naturale che per poter glorificare il Creatore mediante la contemplazione della sua opera più grande (il moto delle sfere celesti, la loro armonia, l’organizzazione degli elementi, la diversità delle creature, …). Come si vede vi è una apertura, che sarà varcata, verso l’attenzione al mondo naturale, per ora però una tale attenzione ed il conseguente studio di essa da parte di un saggio, il filosofo naturale, è al fine di glorificare Dio, avvicinarvisi, cercarlo.

        Vi è anche un altro aspetto che sarà invece di ostacolo all’osservazione di quegli stessi fatti naturali. Secondo P. Pomponazzi (1462 – 1525) l’azione delle sfere celesti e delle intelligenze che le muovono insieme a quelle che risiedono sulla Terra, può produrre fenomeni apparentemente contrastanti con le ordinarie leggi della natura, come i miracoli. In tal senso, con queste sfere che determinano tutto è praticamente inutile ogni ricerca sul mondo naturale: non si può forzare il determinismo che ci impone la costituzione del mondo.

        Carattere in ogni caso unificante è l’assoluta negazione del valore che la quantità possa avere sulla qualità. I numeri erano presi in considerazione per le simbologie che sottendevano ma non certo per essere associati ad un mondo fisico o almeno ad una elaborazione teorica. Questa è una qualche novità del neoplatonismo rispetto al platonismo che va tenuta in considerazione.

L’essenza dell’opera di Hermes Trismegisto

        È interessante seguire il Corpus e l’Asclepius nelle traduzioni di Ficino. Intanto sembra chiara una ispirazione cristiana ed ebraica. Il fondamento delle esperienze religiose dell’uomo risiede negli astri. Questo essere, l’uomo, è l’unico dotato di doppia natura, materiale (e quindi mortale) e spirituale (e quindi immortale). Vi è quindi una analogia che vede Hermes come il Mosè degli egiziani: ambedue sono i legislatori dei rispettivi popoli.

        In un tempio sono riuniti Hermes (che parlerà come Dio o in nome di Dio), Asclepius, Tat ed Amon (si tenga conto che molte opere del Rinascimento e Barocco avranno simile struttura: vari interlocutori tra i quali uno è il Maestro; in Bruno sarà Teofilo; in Galileo sarà Sagredo).

        Hermes affermerà varie cose tra cui il fatto che l’elemento che unisce l’uomo a Dio è l’intelletto. Ma l’uomo ha la doppia natura di cui si diceva perché Dio creò un altro Dio (secondo Lattanzio questo era Gesù) e questi era tanto bello che Dio si innamorò di esso. Non ebbe altro rimedio che crearne ancora perché questo Dio aveva bisogno di qualcuno che potesse ammirare le meraviglie del creato. In questo modo venne fuori l’uomo che doveva avere natura spirituale per mettersi in relazione con la divinità ma anche natura materiale per potersi mettere in relazione con il mondo stesso. Colui che dirigeva tutto questo sistema era Giove (questo è un evidente elemento che dice molto sulla sistemazione cronologica di Hermes) sistemato tra cielo e terra. E qui sembra che con Giove ci si riferisca al pianeta poiché poi i riferimenti vanno al Sole ed agli altri pianeti. Quindi ci troviamo immediatamente immersi in una struttura astrologica che lega gli astri alla divinità. È il Sole che dà vita a tutto e “questo Sole, per sua natura, non può che trovarsi al centro del sistema del mondo”, dispensando vita, luce e rappresentando nel modo più imponente la divinità (e la stessa luce non è qualcosa che si differenzia dalla divinità medesima). Vi è quindi una gerarchia nel mondo e tale gerarchia prevede una struttura che è la base dell’Oroscopo che è un qualcosa legato alla divinità. Poiché la rotazione della volta celeste è di 360 gradi, ogni 10 gradi vi è un Dio (anche qui c’è una influenza numerologica: il 10 rappresenta la potente tetrakis davanti alla quale occorre solo inchinarsi) e così vi sono 36 dei nello Zodiaco che rappresentano i decani (nome che deriva da quel 10 che ciascun dio rappresenta). Questa struttura è situata nella sfera delle stelle fisse e questi dei hanno ivi dimora. Più in basso vi sono i sette cieli dei vari pianeti (più Luna e Sole) che sono strettamente legati a Fortuna e Destino. È l’etere che trasmette “informazioni” (anticipo qui che per Newton, che vive immerso in questa cultura, lo spazio è il ‘sensorium Dei’). In fondo alla scala, come anticipato, vi è l’uomo sulla Terra (sotto di essa la demonologia). Osservo a parte che questa struttura è stata stupendamente resa evidente da Dante nella , Divina Commedia, vediFig. 0, tratta da M. Caetani – La Materia della Divina Commedia, 1855).

Fig. 0

        Ora occorre capire questo passaggio essenziale: così come Dio è in grado di costruire gli altri dei che popolano l’universo, insieme a Fortuna e Destino, allo stesso modo, è l’uomo che crea gli dei che, sotto forma di statue (immagini), popolano i templi. Quindi l’uomo ‘crea’ i suoi dei ed il fatto non è un mero artificio perché l’uomo è a quelle statue che si rivolge ed ad esse rende sacrifici perché sa di avere la possibilità di renderle vive. È questo che gli antenati erano in grado di fare ed è questo che noi dobbiamo apprendere. Per farlo dovevano dare un’anima a delle pietre e per far questo si servivano di riti evocativi di angeli (o demoni) le cui anime riuscivano ad immettere nelle statue. In questo modo tali statue acquistavano la capacità di operare bene (angeli) o male (demoni). Ma come è possibile realizzare un rito evocativo che permetta di trasferire un’anima in una statua. Qui vi è una caduta da alti voli pindarici a volgarità terrestri. Si tratta infatti di mettere insieme determinate piante, pietre ed aromi che riescano a realizzare, con la loro unione, il fenomeno. Le danze, le armonie, i sacrifici, tutto ciò che è rito propiziatorio serve a far sì che lo spirito divino non si annoi troppo nel suo dover convivere per un certo tempo con gli uomini.

        Purtroppo questo mondo meraviglioso è destinato a morire: gli dei lasceranno gli uomini soli ed ogni tipo di male e di nefandezza si abbatterà sulla Terra. La crudeltà e l’empietà arriverà a tal punto che il Dio che riunisce in sé il tutto vorrà annichilare ogni scempio o con un diluvio, o con un incendio o con malattie e disgrazie.

        Appena tutto ciò sarà avvenuto sarà possibile il ritorno alle primitive e pure origini e Dio ritornerà e riprenderà ad amare l’uomo che lo glorificherà di nuovo e ringrazierà con ogni tipo di sacrificio, danza e canto.

    Questa sarà la rinascita del mondo che si avvererà per volere di Dio.

        Come si vede questi passi sono quelli che fanno pensare Lattanzio, all’avvento del Cristianesimo (il Dio che ritorna è Gesù) come salvazione del mondo e come ritorno all’antica purezza e moralità. Ma Lattanzio ha anche un fine diverso, legato secondo vari studiosi al fatto che già nell’epoca in cui egli scriveva il Cristianesimo mostrava segni di cedimento, decadenza e stanchezza: occorreva rinvigorirlo e ridare iniezioni di moralità perché il rischio del Dio che abbandona gli uomini è sempre presente.

La magia naturale ermetica

        Ogni uomo che fosse stato capace di guardare al di là delle apparenze, avrebbe intravisto il mondo magico che Hermes offriva. Il mondo racchiude tutti i segreti ed i poteri magici per poter conoscere ed avvicinarsi a Dio, occorre solo dedicarsi con devozione a studiare il mondo e a scoprire tali segreti. Serve dedizione e misticismo. Il segreto ed il mistero nascono dal fatto che non tutti hanno le facoltà di avvicinarsi a tali segreti e chi li conosce non li divulga perché è un privilegiato cui si ricorre per essere illuminati (con la non piccola conseguenza che si è pagati per fare i maghi). Non è ozioso qui risaltare un approccio radicalmente diverso da quello dello ‘scienziato’ aristotelico.

        A questo punto nasce l’intersezione tra tutta la tradizione magica, astrologica, alchimistica povera (alla quale abbiamo accennato) e che aveva vivacchiato di nascosto per centinaia d’anni (lo stesso Hermes Trismegisto era conosciuto già nell’Alta Età Media come personaggio collegato con magia ed alchimia, con immagini miracolose e talismani). Era venuto il momento di riprenderla e di darle dignità soprattutto perché non vi era tra di esse una netta separazione. Quindi da una parte sparisce il timore di dedicarsi a pratiche magiche e quindi ad utilizzare amuleti, erbe, talismani, invocazioni, dall’altra colui che cerca un approccio alla fede vuole con queste pratiche, ritenute legittime e non malvagie, tentare di raggiungere Dio attraverso l’etere evitando di incappare nella volontà contraria delle stelle (da qui la necessità di conoscere la loro posizione, la situazione dei pianeti ed in definitiva l’Oroscopo). Quindi dalle stelle provengono sulla Terra degli influssi che sono in grado di condizionare fatti ed avvenimenti, se si è capaci di indirizzare tali influssi in modo opportuno si può modificare la propria fortuna ed il proprio destino. Quei pochi che erano in grado di farlo erano i maghi che pian piano divennero ricercatissimi (e ne è riprova l’elevato numero di edizioni di opere magiche e di loro riedizioni che si ebbero durante il Rinascimento e fin molto dentro l’età Barocca).

        Come si poteva “comunicare” con i cieli ? Si erano costruite delle corrispondenze tra pianeti (o cieli) e pietre, metalli, animali, piante. Con questi strumenti si aveva una prima chiave di comunicazione. Occorreva poi conoscere il modo migliore per rappresentare qui in Terra quel dato cielo (o pianeta): se si doveva fare un talismano che rappresentava il dato pianeta occorreva farlo di quel materiale e non di un altro ed inoltre vi erano epoche dell’anno astrologicamente propizie alla costruzione di un tale oggetto ed altre no. La trasmittente ed il ricettore erano quindi a punto. Nel momento astrologicamente propizio quel talismano catturava l’effluvio delle stelle e lo tratteneva. Tale “conserva” veniva poi utilizzata dove e come si voleva. Come si può ben capire il simbolismo era vastissimo ed è quello che ritroviamo sulle antiche carte che disegnano il sistema astronomico con a lato lo zodiaco ed una miriade di strane figure ciascuna associata ad un pianeta o ad una stella o ad una costellazione. Ma tutto l’insieme godeva di una caratteristica peculiare, l’Unicità che era strettamente connessa all’unicità di Dio che con il suo essere abbracciava tutto. Il mago era tanto migliore quanto più conosceva simboli e relazioni tra le cose della Terra e ciò che andava associato alle cose del cielo. Più di questo sapeva, più era in grado di guidare gli effluvi delle stelle, catturarli ed utilizzarli ai suoi fini (che poi erano di chi lo pagava). Ciò che occorre distaccare è che i metodi del mago sono gli stessi qualunque sia il fine che egli voglia conseguire (personale, materiale, religioso, …) e ciò rappresenta una porta aperta all’uso del mago per acquisire benefici personali, in qualunque modo, fino ad invocare effluvi non angelici ma diabolici (negromanzia).

Le elaborazioni magiche di Ficino

        Marsilio Ficino non è stato solo traduttore di Hermes Trismegisto. Egli elaborò anche proprie pratiche magiche (neoplatonismo cristiano). D’accordo con Hermes egli mette l’uomo al centro fisico del mondo, inteso come una unità e totalità (su questa strada si mossero anche Giambattista della Porta – 1540/1615 – che tra l’altro incitava a studiare sempre più il mondo per poterlo conoscere e poter intervenire su di esso in modo da rendere più semplice la messa in relazione dell’uomo con Dio, e Cornelio Agrippa – 1486 ?/1535 – ).

        Ficino era medico di famiglia di medici. Ciò va sottolineato in modo speciale perché la medicina, la cura delle malattie, era il momento di maggiore contatto dell’uomo con la divinità. Quando la medicina, che curava il corpo fisico e spirituale, era affidata a Galeno, ad effluvi e influenze esterne al corpo, quando lo stesso corpo condizionava il suo essere a situazioni astrali, la magia, l’astrologia e, per quel che abbiamo detto, l’alchimia erano strettamente connesse con la medicina. Il mago, con Hermes, colui che ha la capacità di evocare le potenze celesti per indirizzarle al fine di curare spirito e corpo di una persona. Nei suoi scritti vi è una strenua difesa della magia che non può in alcun caso essere intesa come buona o cattiva, bianca o nera, ma solo come ricerca di conoscenza e verità, la magia è del sapiens, del sacerdos. Nonostante ciò (o forse proprio per ciò) Ficino crede nei talismani che possono raccogliere dentro di loro gli effluvi del cielo, effluvi che il mago-medico saprà indirizzare verso la cura del suo paziente. Questi talismani dovranno essere costruiti solo dai conoscitori dei misteri del mondo, dagli iniziati ad essi da coloro che sapranno trasferire al malato l’anima mundi. Il talismano acquista qui il senso del dare vita alle statue che era degli egiziani, l’infondere un’anima divina a della materia bruta che deve però avere caratteristiche che la colleghino al cielo appropriato. È una evocazione dei daemon che dovrebbero porsi in contatto con l’uomo, daemon che, nella versione originale, sono angeli che possono essere chiamati dall’uomo in cerimonie che Ficino assimila a quelle cristiane, come quelle della messa. E i “demoni” sono strettamente legati agli astri o cieli come lo stesso Ficino dice:

” Agli ordini del sole è situato il coro, o meglio, i cori dei demoni: sono veramente numerosi e vari, agli ordini dei decani [plinthìs] degli astri, in numero uguale per ognuno degli astri. Così disposti operano insieme ad ognuno degli astri, buoni o malvagi che siano, secondo la loro natura ovvero secondo la propria forza – di fatto l’essenza dei demoni è la forza – e ve ne sono anche alcuni che possiedono una mescola di bene e male … Tutti questi demoni possiedono pieno potere sulle vicende terrene e sopra i rivolgimenti che sulla Terra si producono e provocano ogni tipo di disgrazie alle città ed ai popoli e, in particolare, a questo o a quell’individuo… Di fatto , quando uno di noi viene concepito e acquista vita risulta sotto l’influsso dei demoni in servizio nell’istante stesso della sua nascita: e ciò vuol dire che i demoni sono agli ordini di ciascuno degli astri. I demoni, infatti, si sostituiscono l’un l’altro istante per istante; non sono sempre gli stessi che sono in attività, ma rispettano dei turni”.

        È comunque da notare che, pur con qualche contraddizione, Ficino immagina spiriti buoni e cattivi associati ai vari pianeti oltre a demoni con differenti caratteristiche, alcuni dei quali localizzati in cielo ed altri sulla Terra.

        L’opera del mago quindi non si esaurisce in evocazioni e preghiere. Egli è anche faber, persona che fabbrica con le conoscenze che ha (e che debbono restare segrete, fatto questo che rivestiva enorme importanza) oggetti, talismani, pozioni, aromi combusti, …Tutto questo legato alle conoscenze dei rapporti precisi che esistono tra una cosa della Terra ed una del Cielo, al fine, come già detto, di indirizzare gli effluvi a buon fine nei momenti astrologicamente appropriati (occorre richiamare i demoni favorevoli, gli angeli buoni). Il medico è allora mago e quindi artigiano e quindi ancora conoscitore delle proprietà dei materiali (alchimia) e perfino artista nel modellare gli oggetti che fabbrica. Non a caso tutto ciò nasceva in una delle culle dell’arte, nella città di Firenze che, insieme a Ficino, offriva al mondo una mostra di artisti senza uguali. Il mago è, tra i mortali, colui che più può, è colui che più è legato con i poteri degli dei, meglio: di Dio. E tutto ciò è tanto più vero quanto più egli conosce, quanto più egli studia il mondo che lo circonda. E tutti coloro che saranno conoscitori di tale mondo, scienziati, avranno la possibilità di riunire l’uomo a Dio e quindi di restaurare la situazione esistente prima del peccato originale. Il mago è il nuovo ‘primo uomo’, il nuovo Adamo che potrà ristabilire l’unione con Dio realizzando se stesso e, simultaneamente, il disegno di Dio nel mondo. Da tutto ciò segue la stretta relazione tra magia e religione, tra magia e medicina e, più in generale, tra magia e scienza.. L’opera del mago è quella che ridarà salute al corpo dell’uomo e all’anima del mondo in cui esso risiede. E le cose non finiscono qui. La descrizione del mondo che fa Ficino, con l’organizzazione di demoni, astri, dei, preghiere, canti è una opera d’arte. È l’arte rinascimentale, una armonia universale, la musica che genera il mondo in onore di Dio.

        Dal punto di vista medico alcune cose importanti furono introdotte, come vedremo, da Paracelso. Per ora si tenga conto che la medicina dominante era essenzialmente quella di Galeno (130 ? – 201 ? d.C.) con influssi totalmente aristotelici. Lo stato di salute di una persona era determinato dallo stato di equilibrio dei quattro umori che costituiscono il corpo: la flemma, l’irascibilità, la malinconia ed il sangue. Ogni stato di malattia è originato da uno squilibrio di questi umori. Per curare la malattia occorre procedere a tale riequilibrio e così qualunque cosa abbia il malato è l’intero corpo che deve essere sottoposto a cure, mediante salassi (con sanguisughe), vomiti, sudorazioni,… Inoltre vi era la credenza che vari pianeti avessero influenze su varie parti del corpo (da qui lo studio dell’astrologia come studio soprattutto a fini medici). In tal senso una tipica cura per la malinconia (Yates) doveva passare attraverso l’oro, metallo splendente, solare, che invita alla gioiosità (ma andava bene anche l’ambra, il miele, lo zafferano ed occorreva avere relazioni con persone bionde). Di tale metallo, l’oro, doveva essere costituito il talismano per la cura della malinconia, metallo che poteva essere forgiato in forma di Venere, o Giove o Sole (i tre astri che sono propizi all’uomo). E nel caso fosse fatto a forma della leggiadra Venere si doveva aver cura di colorarlo di verde poiché tale colore, vivificante ed apportatore di ogni bene, era ben accetto da Venere. Se dovessimo pensare ad un talismano con sembianze di Giove, occorrerebbe pensare al colore dello zafferano poiché una tale pianta è amata da Giove. Se poi si vogliono ottenere le benevolenze di Mercurio occorre che i talismani siano fatti di Stagno o argento e che siano adornati da oggetti graditi al segno della Vergine e, naturalmente, a Mercurio. Per vivere molti anni è necessario scolpire l’immagine di Saturno sopra uno zaffiro con tutta una serie di accortezze, accuratamente elencate. Per costruire le sembianze dei vari pianeti, dei decani (quei 36 dei di cui abbiamo parlato), dei segni zodiacali (che sono oggi così diffusi!) Ficino utilizza molte pagine della sua opera e dice che quanto da lui affermato è ricavato da saggi del passato, da antichi scritti di indiani, egiziani e caldei ed in alcuni passi il riferimento va addirittura a Platone nel pensare le immagini dei talismani provenienti dal mondo celeste come riproduzioni del mondo platonico delle Idee (ad esempio la Vergine deve essere rappresentata da una bella donna seduta che ha in braccio un bambino ed in una mano una spiga). Più il mago conosce bene tali rappresentazioni, più è in grado di fornire cure adeguate al malato e, più in generale, a ricostruire l’unità uomo-Dio. Osserva Yates che sembra qui di trovarci nell’anticamera di uno psicanalista che richiede elevati onorari. Nonostante ciò Ficino esprime preferenze nelle cure. Egli sostiene che gli influssi astrali hanno molta maggiore efficacia dei talismani che hanno forme astrali e questo perché le pozioni liquide, gli unguenti, le polveri hanno molta maggiore facoltà di raccogliere tali influssi e di trasferirli alle persone; e questo perché liquidi e polveri hanno la possibilità di essere introdotte nei corpi creando quindi un effetto maggiore dell’influsso astrale ed anche perché, essendo le pozioni costituite da più elementi, possono contemporaneamente raccogliere più influssi astrali di quanto possa fare una sola immagine solida di un solo elemento.

        Il simbolo della croce giuoca un ruolo importante, tanto che gli stessi antichi egizi ne facevano uso. È un problema del raggiungimento della maggiore efficacia degli effluvi celesti sui talismani che li devono raccogliere: tale effetto è maggiore in situazione di perpendicolarità di tali raggi con la Terra, quando cioè tali raggi cadono perpendicolarmente alla rosa dei venti, cioè alla croce formata dai quattro punti cardinali. Ficino qui aggiunge che gli egiziani usavano come simbolo la croce, non tanto per quanto ora detto, ma in quanto erano profetici rispetto a Cristo. Questo è il motivo, tra l’altro, per cui la croce è un potentissimo talismano.

        Ma occorre, a questo punto, ribattere al fatto che tali pratiche erano state giudicate da San Tommaso come demoniache (anche se lo stesso aveva più volte sostenuto che le sfere celesti erano guidate, nel loro moto, da angeli). Qui Ficino fa salti mortali per difendere i talismani affermando in definitiva che non è tanto l’immagine, ciò che essa rappresenta, che è importante quanto il materiale con cui tali immagini sono costruite. Inoltre occorre differenziare l’evocazione di spiriti celesti da quelli demoniaci e San Tommaso, evidentemente, era contro questa ultima eventualità che si scagliava. Restava comunque il fatto che le indagini andavano sempre più a rompere la barriera esistente tra naturale e soprannaturale e qualcuno già iniziava a chiedersi il senso della stella dei Re Maghi, il posto della Vergine nei cieli ed altre questioni che la Chiesa aveva sempre lasciato nell’aura del mistero. In qualche modo, quindi, il mago ermetico non era altro che il tentativo di ritorno ai maghi delle Sacre Scritture, a Mosè, a Salomone ed ai Re Maghi.

        Un’altra parte di interesse nella magia di Ficino è quella che riprende il mito di Orfeo (il poeta e musicista mitico originario della Tracia che con i suoi canti melodiosi riusciva a muovere pietre, a fermare fiumi, ad ammansire belve,…; la leggenda del quale fu ripresa da Platone con il racconto della sua discesa al Tartaro per liberare la sua sposa Euridice) ed i collegati canti orfici risalenti a più o meno la stessa epoca del Corpus e dell’Asclepius. Anche qui vi è lo stesso equivoco esistente con Hermes sulla datazione. Ficino è convinto di aver riscoperto dei canti che sarebbero stati scritti dallo stesso Orfeo, da egli ritenuto uno dei profeti che avrebbero annunciato la Trinità. Una musica accompagnava tali canti, musica monocorde che probabilmente si otteneva mediante una lira. Si trattava di quella musica, naturalmente ridotta in termini più semplici di quella che secondo Pitagora sarebbe stata emessa dalle sfere celesti nel loro moto di rotazione. Anche qui musiche diverse per attrarre gli influssi benefici di sfere celesti diverse, musiche diverse per le solite tre sfere aventi influssi benefici sull’uomo (e particolarmente, anche qui, sulla sua salute): Giove, Venere e Sole. Le due magie, quella ermetica e quella orfica erano complementari poiché operavano su due sensi diversi, da una parte la vista e dall’altra l’udito.

        Quanto detto non è che una estrema sintesi della filosofia della magia spirituale di Ficino (un aspetto della quale, denominata ‘magia naturale’, era quella che più direttamente si occupava del rapporto con i fatti fisici). Qualcuno potrà pensare che si tratta solo di una risistemazione ed aggiornamento di quanto già si veniva facendo in epoca prerinascimentale, ma altri sono convinti si tratti di altro, particolarmente perché ora viene coinvolta la religione cristiana e la Chiesa, fatto che, da questo punto, imporrà un legame tra le due tradizioni.

La magia cabalistica di Pico della Mirandola

        Pico della Mirandola (1463 – 1494), di 30 anni più giovane di Ficino, fu fortemente influenzato da questi ed elaborò in modo ancora più esasperato la visione magica del mondo. Fu la sua enorme e proverbiale cultura, a cui occorre aggiungere la conoscenza di varie lingue, tra cui l’ebraico, che gli permise di mescolare alla magia spirituale di Ficino la magia cabalistica di origine ebraica (la parola cabala significa letteralmente “tradizione”). Come vedremo, ai temi già introdotti da Ficino, Pico aggiunge una sorta di corrispondenza tra le lettere ed i numeri dell’alfabeto ebraico ed alcune proprietà magiche. L’idea da cui parte è che Dio ha dettato la Bibbia in ebraico (Dio parlò ed in quelle parole si nasconde la Verità e la Sapienza) e questo deve avere un qualche profondo significato che deve essere cercato ed utilizzato al fine di scoprire segreti magici nascosti nel testo letterale della Bibbia stessa, tali da permettere all’uomo, all’iniziato, la possibilità di intervenire presso il mondo con operazioni di tipo magico. Se si tiene poi conto che Mosè era ritenuto un ebreo (in realtà non lo fu mai anche perché mai fu circonciso) la cosa mostrava affinità con Hermes Trismegisto (che avrebbe annunciato il Mosè) e con le predicazioni di Mosè che sarebbe stato proprio il primo iniziatore e divulgatore di tale cabala. Mosè avrebbe spiegato a pochi seguaci le sue conoscenze più segrete in qualche modo legate ad alcuni misteri della Genesi. Le invocazioni delle potenze spirituali del cielo, di angeli ed arcangeli, può avvenire mediante l’uso di determinate lettere, numeri (anche qui con riferimenti pitagorici spostati nel tempo, con una matematica che assume il ruolo di chiave interpretativa di un mondo che è riflesso dell’Intelligenza divina e che in sé è intesa come una vera e propria attività religiosa) ed espressioni ebraiche (nella figura 1, tratta da Ars reminiscendi di G. Bruno – 1583 -, la luce che si diparte dal centro del mondo è connessa con l’alfabeto ebraico e con numeri). Tra queste,

Fig.1

potenza speciale, dovevano avere le lettere che componevano, in ebraico appunto, lo stesso nome di Dio. Nell’Esodo, ad esempio. è lo stesso Dio che fornisce a Mosè il suo nome che è di quattro lettere, YHWH. Successivamente altri maghi rinascimentali (Reuchlin) trasformarono questo nome in IHUH che poi ebbe la sua estensione in IHSUH che è il nome di Gesù che, insieme al nome originale mosaico per Dio, ha poteri enormi (nella  figura 2, tratta da una Bibbia Sefardita del 1385, è rappresentato il Tetragrammaton, il quadrato contenente l’iscrizione del nome di Dio che concentra tutti i poteri dell’universo; nella  figura 3, tratta da Utriusque Cosmi di Fludd – 1621 -, pronunciando i quattro nomi di Dio, nascono i quattro mondi ).

Fig. 2

        Per Pico la cabala doveva avere un carattere sacro perché riuniva in sé la lingua, la saggezza, la religione e la tradizione degli antichi legislatori, compreso Hermes, fino ad arrivare alla loro fonte egiziana che, attraverso Mosè si travasa nella ebraica. Tale cabala deve poter proporzionare dei poteri magici da utilizzare praticamente (ma se qualcuno avesse usato male tale cabala, con pronunce o parole errate, sarebbe stato annientato dai demoni). Anche qui Lattanzio è responsabile del credito che la cabala conquistò quando annunciava l’esistenza di una lingua superiore che oltrepassa l’intelligenza di tutti noi umani (naturalmente riferendosi alla lingua ebraica).

Fig. 3

        Si tratta quindi di una unificazione, con significati più profondi e reconditi, tra ermetismo e cabalismo per formare il più possente mago rinascimentale che però, secondo Pico, deve rifiutare ogni tipo di astrologia che pretenda la previsione del futuro immediato, soprattutto di principi, regnanti e potenti (egli si scaglierà contro gli astrologi del giorno dopo giorno – contro quella che era chiamata ‘astrologia giudiziaria’ – che emetteva oroscopi personali, del resto proibita dalla stessa legge, in contrapposizione con previsioni di carattere molto generale e si rallegrerà addirittura per la cacciata degli ebrei, famosi astrologi, dalla Spagna dei Re Cattolici, proprio perché, con tutta la loro ‘sapienza’, non erano riusciti a prevedere tale evento; quanto ora detto non deve però far credere che, come Ficino, Pico non credesse agli influssi astrali dei vari spiriti presenti nei cieli) e tale rifiuto è strettamente connesso al passaggio biblico del libero arbitrio che Dio avrebbe concesso ad Adamo. Di fronte allo scetticismo ed anche all’ostilità dell’allora Pontefice Innocenzo VIII, Pico non ebbe dubbi a recarsi a Roma (1486) in atteggiamento di sfida presentando ai colti della corte pontificia ben novecento tesi che avrebbe discusso con chiunque avesse voluto cimentarsi con esse (in una delle quali si sosteneva che nessuna scienza era in grado di avvicinarsi a Gesù come potevano farlo cabala e magia ed in un’altra che “ciò che il mago fa con la sua tecnica, la natura lo fa spontaneamente nel fare l’uomo”). Riguardo proprio alla magia, Pico sosteneva che era “una parte pratica della scienza della natura, che non fa altro che insegnarci imprese ammirevoli utilizzando forze naturali, mettendole in reciproca relazione e utilizzandole nella loro natura in sé passiva” e niente di questo deve essere confuso con l’evocazione di demoni (che in questa accezione sono proprio intesi come forze del male). In definitiva però i metodi magici utilizzati dalla magia di Pico non differivano da quelli di Ficino con l’aggiunta di quella parte misterica che era la cabala.

            E’ interessante vedere come la Cabala fosse entrata dentro l’iconografia cristiana soffermandosi sulla figura 3 bis:

Fig. 3 bis

        Ma Pico non si ferma ad affermare la sua come filosofia naturale da contrapporre alla magia demoniaca, egli parla anche della magia ficiniana come un qualcosa di assolutamente inoffensivo ed inefficace.

        I dieci ‘sefirot’, i dieci più comuni nomi di Dio che nel loro insieme fanno Dio, sono alla base della cabala di Pico. Anche nella cabala gli angeli giuocano un ruolo importante ma qui si comincia a distinguere tra spiriti del bene, gli angeli, da quelli del male, demoni. Ad ogni spirito buono corrisponde un simmetrico malvagio. Mediante la cabala si può avviare una persona alla meditazione o aiutarla mediante l’invocazione con parole ebraiche speciali degli angeli adeguati al problema; tali nomi, con opportune abbreviazioni o con numeri che hanno precise corrispondenze con le lettere, possono essere incisi sui talismani di Ficino in lingua ebraica. Particolari formule che relazionavano numeri con lettere permettevano anche alla conoscenza di quanti erano gli spiriti abitanti dei cieli: 301.655.172. Il ricavare un numero come questo non era troppo importante dal punto di vista magico ma serviva per sapere quanti erano gli angeli al servizio di un dato ‘sefirot’ e come invocarli. È una curiosità l’elencare i nomi dei ‘sefirot’ a lato delle corrispondenze che hanno con le sfere celesti e degli attributi che Pico attribuisce ad ognuno:

Con Pico, se possibile, il legame tra magia (magia che Pico insiste nel chiamare filosofia naturale) e religione divenne più stretto e, a partire da lui, si generò una notevolissima quantità di opere ermetico-cabalistiche, a volte oscure ed ancora oggi incomprensibili che riempirono di sé il Rinascimento ed il Barocco. Con l’opera di Pico inoltre il mago acquistò una dignità distinguendosi radicalmente dal negromante e dall’esorcista che persero ogni prestigio rispetto ad un pubblico colto anche se in fondo l’opera di Ficino e Pico non erano altro che il seguito nobilitato da un apparato culturale importante di quanto da secoli si veniva facendo in pratiche magiche ebraiche e pagane.

        Occorre appena ricordare che sulla strada aperta da Pico, la manipolazione delle lettere dell’alfabeto ebraico possiede in sé un gran potere con la conseguenza che modificare il linguaggio significa modificare la realtà (!), si mosse un altro personaggio che ebbe importanti influenze su tutto il Rinascimento, Cornelius Agrippa de Nettesheim (1485-1535) , perché risultò essere più che un vero mago (Cardano, da vero mago qual era, trattò molto male l’opera di Agrippa) un grande divulgatore di tutto il corpo magico che si agitava durante il ‘500. A margine è da notare che la segretezza, che era dei maghi in quanto la conoscenza avrebbe potuto sconvolgere le labili menti delle persone ordinarie, viene da Agrippa invocata così: “Confidare al volgo parole impregnate della maestà divina è un’offesa alla religione….[la magia] aborre il pubblico, vuol essere nascosta, , si fortifica nel silenzio e viene distrutta ove venga dichiarata…Un’oca preferirà una rapa ad una gemma perciò il volgo non è degno di conoscere questo segreto e Dio ha espressamente vietato di dare le perle ai porci” (citato da P. Rossi). Se vi fosse ancora bisogno di chiarire lo spirito magico e religioso da che parte è situato!

        Fatto estremamente importante, che dette forte impulso a tali pratiche magiche, fu l’ascesa al soglio pontificio dello spagnolo Alessandro VI Borgia che fu uno tra i più strenui difensori della magia ermetico-cabalistica di Pico. Lo stesso Papa scrisse (1493) una Bolla diretta a Lorenzo dei Medici, Bolla nella quale Pico veniva assolto da ogni possibile sospetto. Inoltre scrisse una lettera di incoraggiamento a Pico (lettera nella quale la magia veniva in qualche modo riconosciuta come un sostegno del cristianesimo) che quest’ultimo premise sempre ad ogni edizione di sua opera. Come si può ben comprendere questo fece crescere enormemente gli influssi in ogni campo della magia ermetico-cabalistica.

L’alchimia

        L’altra parte riconducibile a pratiche misteriose e segrete, che ben si coniugò con le varie magie e l’astrologia, fu certamente l’alchimia. L’alchimia tra le varie pratiche era certamente quella i cui cultori custodivano più gelosamente i suoi segreti. Questo è uno dei motivi per cui si sa molto poco delle pratiche magiche ed alchemiche. Solo pochi, pure sapienze elette, gli iniziati, potevano avere le facoltà per operare in tali campi. Per essere iniziati non bastava una scuola; occorreva avere delle proprietà particolari, essere dotati da Dio di particolari poteri, in modo che si può anche sostenere che il mago rinascimentale è un poco un eletto da Dio, una specie di Santo. In questo senso la magia non temeva smentite. Il linguaggio criptico conteneva in sé sempre una affermazione ed il suo contrario ed il mago era inattaccabile. Se delle cose non andavano poi come dovevano era perché il ‘paziente’ non aveva fatto esattamente, non si era attenuto, non era stato casto, non… In questo senso solo l’astrologia risultava quasi completamente aperta. Ma l’alchimia aveva una proprietà che la rendeva più “potente” rispetto all’astrologia. In quest’ultimo caso si trattava solo di descrivere le posizioni degli astri senza avere alcuna possibilità di intervento. L’alchimia con le sue manipolazioni permetteva di pensare che si lavorasse per un prodotto che si adattasse ad un dato scopo (per questo il ‘mago’ ricorreva quasi sempre all’alchimia).

        L’alchimia ha origini antichissime. La prima traduzione in Europa ed in latino di un testo alchemico arabo si ebbe nel 1144 (Roberto di Chester) ma acquistò impulso poiché coltivata in ambienti colti solo nel Quattrocento (si tenga conto che le conoscenze in questa epoca si diffondono con maggiore facilità rispetto al passato a seguito anche del grande sviluppo dei commerci nell’intero bacino del Mediterraneo). Vi erano delle persone che la avevano praticata e la praticavano ma erano generalmente squalificate e ritenute ciarlatane, anche perché parlare di alchimia è parlare di un universo di confusione in cui è veramente difficile trovare un qualche momento unitario, una qualche pratica unificante se non quelle poche che tenterò di descrivere. Poiché il segreto era di rigore, non vi erano scambi tra iniziati ed ognuno andava per la sua strada. Inoltre, nell’ipotesi di una qualche scoperta di interesse, questa non era mai tramandata: ognuno doveva sempre ricominciare con riferimenti solo al nome di un qualche supposto grande alchimista del passato.

        Una delle cose che si credono di conoscere, e che tutti conoscono, è la ricerca della pietra filosofale. Di cosa si tratta. Le interpretazioni divergono ma in qualche punto vanno a coincidere. Secondo Aristotele il cielo della Luna divide il mondo in due zone: quella sotto che è soggetta a generazione e corruzione ed in generale a cambiamento e caos; quella sopra che è eterna, immutabile e costituita di una essenza perfetta come l’etere (la quintessenza, che era chiamata così in quanto si aggiungeva ai quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco). La ricerca sotto il cielo della Luna di questa sostanza (l’etere) era compito principale dell’alchimista. Tale essenza, mescolata ad altre sostanze le avrebbe rese perfette e, ad esempio (ma questo è solo un aspetto marginale dell’alchimia e riguardava appunto ingordi e ciarlatani), avrebbe potuto tramutare il piombo ed altri metalli vili in oro o argento. Altra versione voleva tutti i metalli costituiti da un miscuglio di mercurio e zolfo (con caratteristiche non reali ma filosofali) e quando la proporzione tra i due era perfetta, il metallo risultante sarebbe stato l’oro. Più in generale, in questa ricerca l’alchimista studiava le varie sostanze e ne cercava le proprietà. Tentava miscugli, distillava (introducendo nel suo lavoro fornelli ed alambicchi che si riveleranno utilissimi per la ricerca chimica come la intendiamo oggi), catalogava, operava, in modo che oggi giudicheremmo rozzo, come un chimico ( si tenga conto che nel Cinquecento la scoperta di procedimenti chimici legati alla tecnica, ad esempio estrattiva, dette inizio alla separazione dell’alchimia che assunse caratteristiche se possibile più segrete, con quella che sempre più si affermerà come chimica). L’impossibilità di produrre qualcosa che potesse poi essere in qualche modo raccolta in un testo e fare da base per ulteriori studi nasceva da quel segreto cui accennavo e soprattutto dall’approccio che si aveva allo studio delle sostanze medesime. Quali erano le caratteristiche che determinavano le differenze tra le sostanze ? Quelle qualitative. Il colore, ad esempio rivestiva una importanza fondamentale: il nero era associato alla morte mentre il verde ad un buon raccolto nei campi, il ‘vitriol’ (abbreviazione del latino: visita interiora terrae rectificando invenies occultum lapidem che vuol dire “vai a cercare all’interno della terra e con corrette operazioni troverai la pietra nascosta”) indicava sostanze con caratteristiche di brillantezza e cristallinità. Poi vi era il sapore, … Ma ciò che legava strettamente alchimia ed astrologia era la corrispondenza tra sette metalli con i sette astri allora noti: Sole-Oro, Luna-Argento, Marte-Ferro, Venere-Rame o Bronzo, Mercurio-Argento vivo (mercurio), Saturno-Piombo, Giove-Stagno. E, come vedremo, analoghe corrispondenze si costruiranno in medicina tra astri, metalli e parti del corpo.

        Occorre comunque essere chiari: un elemento come oggi lo conosciamo non è mai quell’elemento. Per intenderci lo Zolfo non è lo zolfo che conosciamo. Per Paracelso esso rappresenterà l’anima e poi qualche altra cosa, mai definita, con un linguaggio sempre sfuggente e mai puntuale. Lo stesso operare dell’alchimista non combina elementi ma li accoppia. È un universo di morti, anime, spiriti, esalazione, male e bene, trasmutazioni, sangue, maschile e femminile, unioni carnali,…. Nessuno pensi ad un qualche seppur minimo rapporto tra alchimia e chimica (anche pensando a quella di Dalton o Lavoisier).

        È da notare che l’intersezione tra magia ed alchimia era poi data da una leggenda che voleva un testo alchemico fondamentale, le Tavole smeraldine, come trascrizione di quanto inciso su una lapide di smeraldo che copriva la tomba di Hermes Trismegisto:

“Come tutte le cose furono mediante la contemplazione di una sola, così tutte le cose nacquero da quest’unica mediante un singolo atto di adattamento. Padre di essa è il Sole, madre è la Luna. Il Vento la portò nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice. Essa è la generatrice di tutte le opere prodigiose in ogni luogo del mondo. Il suo potere è perfetto.”

        È questo il sunto della ricerca dell’ alchimista, di questa unica cosa che è generatrice di ogni bene e perfezione.

        Vari manuali alchemici furono scritti ed alcuni attribuiti addirittura ad Alberto Magno e San Tommaso. Un alchimista inglese, Thomas Norton tentò addirittura di cristianizzare l’alchimia, dando consigli sul come e dove operare per evitare l’influenza dei diavoli malvagi. In ogni caso i ciarlatani ed i truffatori (vendevano oro falso presuntamente di origine alchemica) erano la gran maggioranza tanto che lo stesso Papa Giovanni XXII dovette intervenire con un decreto che comminava grosse multe in oro a tali truffatori.

La medicina rinascimentale: Paracelso

        Ben poco si era fatto in vari secoli nel campo della medicina da quanto si sapeva di Ippocrate e Galeno. L’intervento di Theophrast Bompast von Hohenheim (1493-1541), detto Paracelso (più grande che Celso), che non era neppure un medico nel senso tradizionale ma solo un chirurgo, dette uno scossone a tale medicina che, anche per quello che egli stesso dice, corrispose all’operazione fatta da Lutero con la Chiesa cristiana: egli bruciò in piazza il Canone di Avicenna che era il testo canonico di ogni medico, allo stesso modo che Lutero aveva bruciato in pubblico la bolla papale di scomunica. Un tale personaggio, che certamente non ebbe un percorso intellettuale netto e chiaro, era un ‘abusivo’ che si permetteva di interferire in un campo nel quale da centinaia d’anni si lavorava lucrosamenrte senza essere disturbati. Da qui gli odi che Paracelso riuscì ad attirarsi e, con essi, le calunnie di ogni tipo.

        La novità sostanziale introdotta da Paracelso nel pensiero è certamente quella che ogni fenomeno naturale discende da cause naturali. Non esistono fenomeni strani e misteriosi, occorre studiarli per capire la loro natura e l’uomo è in grado di farlo, è in grado cioè di penetrare tali segreti naturali mediante una ricerca di tipo sperimentale. Tra i fenomeni naturali vi sono anche le malattie che non possono avere cure standard ma che debbono essere seguite nel loro decorso, caso per caso. Naturalmente queste enunciazioni restano in gran parte tali ed i metodi di cura non sono del tutto differenti da quelli che prevedono, ancora, l’uso di magia (ficiniana), astrologia ed alchimia. La novità è il diverso approccio che, per esempio, vede nell’alchimia non un mezzo per soddisfare brame di potenza mediante l’arricchimento, ma un metodo per elaborare pozioni che siano in grado di alleviare i dolori ed i malanni dell’intera umanità. Inoltre la magia di Paracelso poteva essere esercitata solo da un credente, perché solo tale persona era nelle condizioni di avvicinarsi a Dio (in questo senso il mago assume un poco il ruolo del santo). Più volte Paracelso, descrivendo le sciagure che costellavano il mondo, ebbe modo di parlare di un’era che chiudeva e che lo avrebbe fatto con una catastrofe complessiva cui sarebbe seguito un nuovo avvento di Gesù per riportare il mondo all’antica purezza (questo antico come ‘epoca migliore’ è una costante del pensiero rinascimentale).

        Paracelso aveva un approccio complessivo al mondo sempre inteso come rapporto intimo tra micro e macrocosmo. Per il nostro, la stessa Creazione non era altro che un modo chimico (estrazione, separazione e sublimazione) della natura per manifestarsi. Lo studio delle analogie tra due diverse entità può permettere di intervenire sull’una ispirandosi all’altra. Così quanto avviene nelle sfere superiori ha strette analogie con quanto avviene qui sulla Terra: è quindi necessario conoscere bene il comportamento delle sfere celesti per poter intervenire sulla Terra. E Paracelso considerava esservi una stretta analogia proprio tra i vari organi del corpo umano ed i vari cieli o astri. Il corpo umano era il microcosmo dove si realizzava in piccolo ciò che avveniva nel mondo macroscopico, quello sopra il cielo della Luna. I rimedi per le cure del malato potevano trovarsi solo conoscendo bene il tale macrocosmo, poiché, secondo Paracelso esistevano le seguenti corrispondenze:

        Con tale armamentario ci si apprestava alla cura di un malato. E, ad esempio, se si soffriva di qualche malanno alle ossa occorreva prendere medicine o verdi o nere, avere un qualche talismano di piombo o un diamante con sé; naturalmente l’influsso benefico, raccolto dal talismano, proveniva da Saturno (problemi gravi nascevano in occasione di eclissi o congiunzioni astrali poiché potevano portare il paziente alle apoplessie o alla morte). Occorreva poi conoscere i meccanismi della pioggia per le cure della dissenteria, mentre una giusta interpretazione del fuoco dei pianeti avrebbe permesso di curare ulcere e lebbra. E queste cure rappresentavano una novità assoluta rispetto al riequilibrio degli umori di Galeno ed Avicenna.

        L’alchimia, per la produzione medica ed anche per l’isolamento di pietre o metalli (dei loro principi attivi nella loro integrità e purezza), era di grandissimo sostegno ed egli mutò in parte la dottrina ufficiale che prevedeva equilibri tra zolfo e mercurio, aggiungendovi il sale. Secondo Paracelso, l’uomo fu fatto di fango e cioè dei quattro elementi di Aristotele a cui occorre aggiungere la quintessenza, l’anima dell’uomo. La parte alchemica della triade suddetta (zolfo, mercurio, sale) è relativa alla cura e anche qui, ma lo tralasciamo, vi è tutta una scala di proprietà di tale triade di elementi che, opportunamente mescolati, possono produrre la ‘medicina’ per il dato malanno (sarà Boyle – 1627/1691 – che, pur muovendosi in ambiti non dissimili, darà vita ad una chimica a più elementi). Si deve comunque tener conto che queste sostanze non devono essere intese nel loro senso reale ma, in accordo con l’alchimia, filosofale (cioè solo come principi attivi). Il richiamo ai rimedi ha comunque carattere spirituale, il richiamo dello spirito divino nel corpo (un richiamo magico), e non certo un carattere meccanicista (razionale). E, fatto notevole, in Paracelso vi è per la prima volta il riconoscimento di malattia che proviene dal di fuori del corpo e non più come squilibrio tra gli ‘umori’ (caldo, freddo, secco, umido) presenti nel corpo (Galeno) con la conseguenza che a malattie diverse corrispondono cure diverse che intervengono sull’organo malato piuttosto che un trattamento che coinvolge sempre l’intero corpo (nella medicina galenica o scolastica era l’intero corpo che doveva vedere riequilibrati gli umori intervenendo scaldando o raffreddando o facendo sudare o salassando). La malattia deriva dal deteriorarsi dell’effluvio attivo che proviene dall’astro che influisce su quella parte del corpo. Ma poiché quel principio attivo si ritrova anche in altre sostanze che possiamo trovare sulla Terra, è con esse che possiamo curare la malattia tenendo conto della tabella delle corrispondenze che abbiamo dato. Con Galeno valeva una medicina del contrario (se un corpo è freddo occorre dargli caldo); qui abbiamo a che fare con una medicina dell’identico (se un corpo ha problemi con le ossa, occorre dargli una medicina verde). Il linguaggio è oscuro per i motivi che abbiamo detto (solo pochi possono essere capaci di conoscere; non si divulgano conoscenze per evitare di perdere prestigio e denaro) ma anche perché doveva descrivere idee in sé oscure.

Magia e scienza: un miscuglio difficile da separare

        Sulla strada aperta dagli autori che abbiamo discusso e che non furono certamente gli unici si inserì una gran messe di lavori che si susseguirono per moltissimi anni fino ad arrivare alle soglie dell’Illuminismo ed oltre. Vi era la convinzione che lo stesso mago acquisisse via via uno stato di benessere e felicità sulla Terra che lo avrebbe comunque ripagato dei suoi studi e del suo impegno nella magia spirituale. Era la credenza in una sorta di elevazione verso livelli mistici impensabili che avrebbero permesso una sorta di ascesi con la conseguenza di acquisire poteri magici assoluti.

        Pensatori le cui opere ebbero influenza e che godettero di vasta notorietà furono diversi e distribuiti in vari Paesi d’Europa. Occorre ricordare almeno i nomi del tedesco Cornelio Agrippa von Nettesheim (1486 ? – 1534 ?), fiero avversario dell’astrologia giudiziaria, che introdusse concetti con probabili ricadute sulla scienza che tentava di farsi strada in mezzo a questo mondo magico, mistico ed animistico. Egli sosteneva che le forze in gioco nella magia naturale sono le simpatie ed antipatie, le attrazioni di tipo magnetico, le virtù di pietre ed erbe, le illusioni che gli occhi ci offrono, le forze meccaniche che si manifestano nei differenti strumenti meccanici. La magia deve studiare tali forze e deve farlo con mezzi naturali. Ed ecco che l’inglese Gilbert (1540 – 1603) costruisce un mondo in cui proprio le forze magnetiche, intese come forze spirituali, hanno una notevole importanza proprio perché la Terra è intesa come madre comune nel cui utero si formano tutti i metalli. Questo mondo, dotato di animazione universale, è tutto pensato all’interno delle influenze di Hermes Trismegisto, Zoroastro, Orfeo, come lo stesso Gilbert sostiene nel suo De Magnete (1600). Vi è ancora l’inglese John Dee (1527 – 1608), cui si ispirò Gilbert, che tentò di trovare punti d’unione tra magia e scienza affermando l’importanza che avrebbe avuto in questa operazione la matematica oltre naturalmente lo studio della natura per trovare le forze che la natura stessa nasconde. Ma ancora va ricordato Otto Brunfels (1488 – 1534) che ricavò dalla magia il fatto che gli oppressi non dovevano ribellarsi alla corruzione della Chiesa e delle case regnanti: questo fatto spettava solo a Dio. È interessante notare che Brunfels riesce ad indicare come Anticristo non il Papato corrotto ma chi si ribellava ad esso. Vi è poi Giovanni Battista della Porta ( ? – 1615) che operò piuttosto come divulgatore ed anche come sistematore delle varie conoscenze che si avevano in magnetismo, ottica, idraulica e statica. Quindi il mago, matematico e medico Gerolamo Cardano (1501 – 1576) che interpretò le varie forze che la natura ci offre in termini di simpatie ed antipatie sulla strada aperta da Fracastoro (1484 – 1553). Per le influenze che ebbero occorre anche ricordare l’inglese Robert Fludd (1574 – 1637) ed il gesuita tedesco Athanasius Kircher (1602 – 1680). Ed ancora i tedeschi Caspar Schwenckfeld (1490 – 1561), Sebastian Franck (1499 – 1542) ed il protestante Valentin Weigel (1533 – 1588).

        Siamo ora situati tra la metà del 1500 e l’inizio del 1600, il periodo in cui siamo abituati a datare la nascita della scienza moderna. Sarebbe un grave errore credere che vi fosse netta separazione tra il possente sfondo culturale che ho cercato di delineare ed il mago spirituale che si occupa soprattutto di magia naturale e che piano piano diventa filosofo naturale. La magia e la filosofia naturale non erano attività separate: la stessa persona operava almeno nei due ambiti e dir questo vuol dire che ogni persona colta era persona che aveva un insieme di conoscenze complessivo dal quale estraeva quella parte che più era affine ai suoi interessi particolari. La scienza iniziò ad affermarsi ma non in modo chiaro. Essa si trovò invischiata in ogni forma di irrazionalismo e il dire ciò è affermare due cose: 1) non si fa un buon servizio a chi è riuscito con enorme fatica ad affrancarsi da tutto questo mondo irrazionale; 2) si falsifica la storia andando a recuperare nell’opera dei vari autori (oggi ritenuti scienziati e quindi pienamente razionali) quelle parti che più rispondono alle nostre concezioni di scienza, costruendo quella falsificazione che vorrebbe la conoscenza come un processo lineare di accumulo di conoscenze.

        Tenterò nel seguito di fare operazione contraria a quella che solitamente si fa: ricercherò nell’opera dei vari scienziati che sono i padri fondatori della scienza moderna quelle parti che li vedono immersi nella cultura ermetica, cabalistica ed alchemica.

        Prima di fare ciò è comunque necessario un cenno ad una tradizione che non era tanto compromessa con la cultura suddetta: si tratta della tradizione meccanicista (né aristotelica, né platonica alla quale ho già fatto cenno) che, in qualche modo, prende spunto dagli scritti di Archimede che furono tra gli ultimi ad essere tradotti dall’originale greco in latino. Tra coloro che si ispirarono a tale tradizione occorre ricordare Niccolò Tartaglia (1499 – 1577), Federigo Commandino (1509 – 1575), Guidobaldo del Monte (1545 – 1607), lo stesso Leonardo da Vinci (1452 – 1519) e svariati ‘ingegneri’ del Rinascimento fino ad arrivare allo stesso Galileo. Queste persone non guardarono la matematica in modo mistico e numerologico ma lavorarono con essa per analizzare e misurare il mondo. L’aver fatto cenno a questa tradizione è di interesse perché vari storici hanno fatto osservare che più o meno a partire dal 1580 si dovrà tener conto di almeno due tradizioni culturali: la platonico-aristotelica (tra loro spesso in contrasto ma in qualche modo intersecantesi) alla quale si associava il neoplatonismo (scienze occulte) con il suo uso a rendere reali le immagini delle metafore, delle parole e soprattutto dei simboli e la archimedea (che nega tutto questo per avere un rapporto con il mondo dove le parole siano legate a fatti ed i fatti a dei concetti: filosofia naturale).

        Le due tradizioni erano in “concorrenza”. Data la maggiore diffusione della prima, la seconda dovette ingegnarsi di più per poter emergere e fortificarsi e proprio il seguire tutte le fasi della polemica permetterebbe di comprendere davvero come la “scienza moderna” sia riuscita con fatica ad affermarsi (sottolineo la fatica se, ancora oggi, pur in contesti radicalmente diversi, l’occultismo ed il misticismo hanno un seguito di gran lunga superiore a quello della conoscenza razionale del mondo). Vi saranno molti che, pur conservando caratteristiche della tradizione occultista, si scaglieranno contro di essa (Bacone, Kepler, Marsenne, …) e ciò è assolutamente comprensibile alla luce di quanto dicevo a proposito di una data epoca in cui è quasi impossibile operare nette separazioni (qui vi è invece una tradizione di storici della scienza che sembrerebbe vedere violare un mito nell’ammettere le due tradizioni: quasi che scienziati del livello di Newton fossero degli schizofrenici; nello stesso ambito vi è addirittura lo sciovinista Koestler che tende a dimenticare la tradizione neoplatonica e mistica presente in Kepler pur essendo quest’ultima persona che non ha radici in Hermes Trismegisto quanto in Pitagora e Tolomeo). In fondo si tratta solo di pensare che, nell’ambito di cambiamenti che saranno sempre più radicali, si mantiene un sottofondo della cultura preesistente (vedremo esempi più oltre in Copernico, Kepler, Descartes, Newton, …). Una discontinuità culturale tanto netta non si è mai data, piuttosto vi è, come afferma Vickers, una dispersione di posizioni analoga più ad uno spettro continuo che non ad uno di un elemento. A fine 1500 si potevano registrare tutte le varie posizioni culturali che schematicamente possiamo far andare da un estremo (completo affidarsi al mistico ed al magico) all’altro (meccanicismo). E neanche a dire che vi fossero i portatori a priori di una qualche verità. È questo un processo complicato, articolato e tutto da chiarire. Le finalità delle scienze occulte erano spesso terrene ma altrettanto spesso tese al raggiungimento di finalità religiose, metafisiche. Quando si operava nella magia come nell’alchimia, lo si faceva con riti non dissimili, ad esempio a quelli della Messa Cristiana. Tali riti erano spesso considerati ed addirittura chiamati “esperimenti”; tutti sempre con due contendenti del tipo bene e male, puro ed impuro, Dio e Diavolo, buono e cattivo; tutti nell’alveo di antiche tradizioni. Ed ognuna di tali tradizioni aveva tanto stretti legami con l’altra che abbandonarne una avrebbe irrimediabilmente compromesso l’altra: come toccare la numerologia senza distruggere rituali magici legati all’alchimia ed all’astrologia ? Per altri versi come toccare l’astrologia senza mettere in discussione alchimia e medicina ? … Resta comunque il fatto che le scienze occulte si autoproclamano infallibili contrariamente a quelle non occulte. Nelle prime qualcosa che non funziona è opera di una mal interpretata o cattiva manipolazione dell’ “officiante” (proporzioni sbagliate negli infusi, cattiva lettura di una congiunzione astrale, impurezza dei materiali in gioco, dati errati sul momento della nascita in un oroscopo, …), e comunque vi è sempre la panacea dell’impurezza dell’adepto che si avvicina a queste pratiche (l’alchimista provetto non poteva avere rapporti sessuali prima di tali pratiche). Qui può intravedersi la separazione che via via vi sarà tra le due tradizioni: quella della filosofia naturale dovrà sempre rendere conto dei suoi riti, delle sue “esperienze”, dovrà tenere un catalogo di quanto fatto perché serva da casistica e confronto, dovrà accordarsi con i criteri galileiani delle “sensate esperienze” (è proprio la mancanza di una raccolta di dati che relega le scienze occulte a questo: ad essere occulte e solo per persone che hanno “fede”). Sarà la matematica, il quantificare, il misurare che differenzierà le due tradizioni. Dalla parte delle scienze naturali si tenderà sempre più a specializzare, a dividere, a sezionare, a dare senso a singole espressioni, a tentare spiegazioni a singole parole ed addirittura a rifiutare il vuoto nominalismo, dall’altra parte si opererà in una visione che, dovendo spiegare il tutto in uno, in realtà resta con definizioni di carattere del tutto generali in cui tutti, senza fatica alcuna, possono ritrovarsi, si sostituirà il pensiero sistematico ed analitico con richiami fideistici e magici capaci di comprendere in sé ogni contraddizione logica. Credo si possa concludere questo paragrafo con Gellner:

“L’impresa veramente importante realizzata in circa tre secoli di propaganda empirica è stata non la proscrizione o la sfiducia nel trascendente: è stato l’inculcare sistematico di una sensibilità all’esistenza di una frontiera tra il dimostrabile e l’indimostrabile, e soprattutto la conseguente inibizione dai tentativi di far finta che tale frontiera non esista” (citato da Vickers).

La faticosa nascita della scienza

        Il Rinascimento vide il consolidarsi delle attività artigianali e commerciali che dall’Alto Medioevo si erano andate affermando ed avevano arricchito un nuovo ceto, la borghesia, che piano piano si proponeva come imprenditoriale e portatore di nuove istanze culturali. Il latifondo feudale venne sempre più attaccato. Si sentiva il bisogno di rompere con i vincoli statici del vecchio potere feudale, dell’intreccio di potere tra nobiltà e clero. La borghesia pretendeva spazi autonomi di espansione, spazi che riguardavano anche la richiesta e la ricerca di più ampie visioni culturali. Fu questa borghesia che si mostrò più interessata alla riscoperta dei classici, al qualcosa di nuovo di cui si sentiva fortemente il bisogno.

        Il forte impulso che ebbe la tecnica, il passaggio da produzioni con fortissimi connotati empirici alla voglia, da più parti avvertita, di tecniche e macchine sempre più affidabili e quindi alla richiesta di progettazioni più accurate, poneva la pressante richiesta di una scienza che si affermasse come supporto culturale alla produzione. La richiesta investiva anche ambiti culturali diversi. La vecchia cultura scolastica risultava chiusa ed opprimente per un ceto che aveva bisogno di espandersi. Le Università non rispondevano più, non si mostravano al passo con quanto nasceva e veniva proposto dal mondo civile.

        Fino ad allora uno “scienziato” veniva creato da un corso universitario lavorando su dispute infinite relative a questioni che quasi nulla avevano a che fare con quel mondo produttivo che invece andava crescendo. A partire dalla metà del ‘500 alle Università si affiancò la formazione che veniva data proprio dalle botteghe artigiane. È l’epoca degli ingegneri, degli architetti, degli idraulici, dei maestri d’opera la cui preparazione nasceva dalla soluzione di problemi pratici molto distanti dai sillogismi e, comunque, da ogni preparazione di tipo universitario (si pensi a Filippo Brunelleschi e a quella Cupola di Santa Maria del Fiore che rappresenta ancora oggi una sfida tecnologica impressionante; a Leon Battista Alberti; a Francesco di Giorgio Martini; allo stesso Leonardo; a Biringuccio; ad Agricola). Questi “artisti”, per la prima volta accompagnarono la realizzazione delle loro opere con scritti, con elaborazioni teoriche che sarebbero diventate la base su cui altri avrebbero continuato, iniziando quel processo virtuoso di trasmissione di conoscenze che andava perfezionandosi. Ed è utile notare che questa esplosione di produzione, questa richiesta di nuovi saperi sempre più ancorati alla pratica, nasceva dalla crescente disponibilità di denaro che proveniva essenzialmente dalla Spagna che doveva armare i suoi eserciti con l’oro e l’argento proveniente dalle Americhe. Di queste ricchezze ne beneficiarono essenzialmente l’Italia e l’Olanda.

Residui magici, ermetici e mistici nei primi scienziati ‘moderni’

        I lavori di scienziati come Copernico, Kepler, Harvey, Descartes e Newton sono talmente noti che è inutile andarli a riprendere con la pretesa di aggiungere un qualcosa di nuovo. È invece interessante andare a ricercare i motivi della cultura rinascimentale, dei residui magici, ermetici, cabalistici e mistici presenti nelle loro opere. Questo come testimonianza della grande difficoltà che si ebbe per affrancarsi da quel mondo e per affermare una visione laica della cultura e della vita civile. Una piccola considerazione va comunque fatta: il misticismo, l’ermetismo, l’alchimia e la magia non furono sradicati da una qualche volontà ma solo dal fatto che con il passare del tempo la ricerca razionale portò a risultati che da quella parte non solo non venivano ma neppure erano pensabili.

        Possiamo iniziare proprio da Copernico, lo studioso che in quella visione della storia delle idee come un lineare cumulo di conoscenze, viene messo alla base della Rivoluzione Scientifica. Seguiremo poi con tutti gli altri tentando di rintracciare i motivi di ispirazione della loro opera.

Copernico

        Copernico (1473 – 1543), dopo i primi quattro anni di studio in Polonia (Cracovia), venne a specializzarsi in Italia passando ben 10 anni tra le Università di Bologna e di Padova. In questi luoghi venne a stretto contatto con il neoplatonismo risultandone fortemente influenzato. Intanto una lettera attribuita a Pitagora e nella quale lo stesso Pitagora parla ad un adepto, lo fece riflettere molto e fu probabilmente la causa del ritardo della pubblicazione della sua opera principale. In tale lettera che egli portava sempre con sé e che si preoccupò di tradurre dal greco si sosteneva che: “… non dobbiamo divulgare a tutti e in tutti i luoghi ciò che abbiamo appreso con sforzi tanto grandi, allo stesso modo che non è permesso agli uomini qualunque penetrare nei segreti degli dei elísei …”. E questo per ciò che riguarda il possibile ritardo di circa 15 anni nella pubblicazione del De Revolutionibus Orbium Coelestium (1543). Ma vi sono poi dirette influenze di alcune frasi di Hermes Trismegisto nell’Asclepio in cui si sostiene, in accordo con il culto di Ra (il Sole): “Il Sole illumina le altre stelle … a causa della sua divinità e santità. …Egli è il secondo Dio che governa tutte le cose e diffonde la sua luce sopra tutte le creature …”. Ed anche lo stesso Marsilio Ficino aveva sostenuto cose analoghe quando affermava che: ” Il Sole può sembrare lo stesso Dio”. Ma è lo stesso Copernico che nel De Revolutionibus (Libro I, Cap. X), quando deve sostenere la centralità del Sole, afferma: ” In mezzo a tutto sta il Sole seduto sul suo trono. Potremmo noi pensare di sistemare questa fonte di luce in una posizione migliore di questo tempio bellissimo, affinché riesca ad illuminare simultaneamente tutte le cose ? Con ragione lo si chiama Lampada, Intelligenza, Governatore dell’Universo; Hermes Trismegisto lo chiama Dio visibile, e la Elettra di Sofocle lo chiama Ciò che vede tutto. Così, in definitiva, il Sole sta seduto sul suo trono regale e comanda i suoi vassalli, i pianeti, che girano intorno a lui” (nella  figura 5, tratta da Philosophia Sacra di Fludd – 1626 -, è riportato il modo in cui Dio entra nel mondo). 

Fig. 5

È quindi per sua stessa ammissione che riconosciamo ispirazioni magiche in Copernico. Ma la sua opera non sostiene semplicemente la centralità del Sole, ma contiene anche dei calcoli che gli erano suggeriti da quell’altro pezzo di tradizione, quella neoplatonica e pitagorica, che gli fu trasmessa dal suo Maestro a Bologna, Domenico Maria di Novara (1454 – 1504) che, con Proclo (412 – 485), attribuiva un valore superiore, addirittura mistico alle matematiche. Secondo Proclo: ” L’anima dell’universo non è in alcun modo comparabile ad una tabula rasa, vuota di ogni conoscenza; essa è una tabula completamente scritta con caratteri costruiti da essa stessa e da tali caratteri si ricava una conoscenza completa se si riescono a comprendere …Ogni specie matematica, pertanto, ha una sua esistenza primaria in questa anima, di modo che, prima di trovare oggetti sensibili, si troveranno tra i suoi siti più reconditi oggetti con movimento proprio; immagini vive prima che percettibili; proporzioni ideali ed armonie ….[e, nel Timeo, Platone afferma] che l’origine dell’anima è nelle forme matematiche …”. I calcoli che intraprende Copernico sembrano quindi finalizzati a giustificare la presenza del Sole al centro del sistema del mondo, in una tradizione completamente esterna e ad Aristotele e a San Tommaso (anche se poi la fisica che varrà in questo mondo sarà la unica esistente, quella di Aristotele che risulterà comunque talmente distorta e manipolata da rendere necessari immediati interventi).

        Proprio per il suo carattere essenzialmente neoplatonico, le opere di Copernico furono osteggiate e trascurate da quasi tutti gli ambienti universitari del ‘500 (notoriamente aristotelici). Solo qualche neoplatonico, pitagorico o ermetico si interessò ad esse ma al di fuori delle Università, ricavandone conclusioni che andavano però ben al di là delle intenzioni dello stesso Copernico.

        Prima di concludere con Copernico occorre accennare alle sue pratiche mediche. Non abbiamo sue opere scritte, ma solo annotazioni e ricette di suo pugno su opere mediche di altri autori. Qui troviamo tutta la tradizione galenica tramandata da Avicenna, un uso della medicina secondo i canoni del corpo inteso nel suo insieme e quindi da trattare con medicine esterne e non interne. Insieme a questo varie ricette i cui componenti sono, tra l’altro, argento, oro, corallo rosso, corno di unicorno, midollo di cuore di cervo, zaffiri, giacinti rossi, smeraldi, perle, carbone, cortecce d’albero di limone, legno di cedro e di sandalo rosso, spugna armena, …

Tycho

        Questo maestro dell’osservazione del cielo era ossessionato dalla posizione dei pianeti per trovare nell’astrologia la sua salvezza, il suo avvicinamento a Dio. Le osservazioni astronomiche, sempre più perfezionate, servivano proprio per avere oroscopi sempre più attendibili. Le stelle ed i pianeti erano lo strumento di una sua fede. Egli, allo stesso modo di ogni iniziato a temi magici, tenne rigorosamente occulte le sue importantissime osservazioni che solo casualmente entrarono a sostegno della “rivoluzione scientifica”. Il fatto che Kepler abbia potuto farne uso, ed in modo estremamente proficuo, è dovuto alla sola circostanza che riuscì a diventare suo assistente.

Kepler

        L’astronomo tedesco Kepler (1571 – 1630) rappresenta un punto in cui i temi magici, il neoplatonismo (in una accezione più platonica e pitagorica), l’ermetismo ed ogni misticismo fanno da base a sue ricerche di modo che risulta veramente complesso il discernere i suoi contributi scientifici da una gran quantità di ‘resto’. Detto questo è anche importante dire che Kepler inizia a mettere in discussione alcune concezioni mistiche. Intanto iniziò una forte polemica contro la numerologia, in modo particolare contro Rheticus (1514 – 1576); infatti quest’ultimo, contro la cosmologia copernicana, sosteneva che il numero dei pianeti doveva essere di 6 poiché questo era il numero perfetto dei pitagorici e non 7. A questa obiezione Kepler dette una risposta che suona come una petizione di principio completamente in linea con il tempo infatti, secondo Kepler, Dio viene prima della numerologia che è stata creata dall’uomo e, in nessun caso questa numerologia può essere usata per spiegare la Creazione di Dio. Un’altrettanto dura polemica Kepler portò contro il “mago” Robert Fludd (1574-1637) che rappresentò il culmine del misticismo, dell’esaltazione alchemica e della numerologia pitagorica. Il tutto sempre legato ai rapporti tra macrocosmo e microcosmo attraverso la teoria dei quattro elementi trasformata in una dottrina in cui l’universo è costituito da quanto previsto dal Libro della Genesi e cioè da: Luce, Oscurità ed Acqua. Secondo Fludd la matematica doveva ritornare agli insegnamenti mistici dei pitagorici, ai numeri ed alle loro proporzioni, abbandonando tutte quelle inutili dimostrazioni che si insegnavano nelle Università. Era questo l’unico modo di riconquistare l’armonia del mondo. Inoltre la sua indagine medica si muoveva, sulla scia di Harvey, per tentare di capire come lo spirito vitale dispensato da Dio, attraverso il cielo, dall’aria, entrasse in circolazione nel corpo dando la vita. Il mondo di Fludd è costituito da idee ed immagini di esse, vere e proprie rappresentazioni figurate che innumerevoli appaiono nelle sue opere; queste idee ed immagini vengono successivamente applicate alla spiegazione del mondo circostante. Contro questo metodo si levò la polemica di Kepler per il fatto che il mondo di Fludd era completamente arbitrario e non permetteva nessuna dimostrazione anche perché aveva una immagine della matematica in cui non era pensabile alcuna misura; si trattava, come diceva Kepler, di una matematica ermetica, enigmatica e piena di simbolismi incomprensibili, in cui le figure geometriche venivano usate non con fini matematici ma ermetici e pitagorici. Sta qui un seme importante per i lavori di altri scienziati. Uno può avere una qualunque visione pregiudiziale del mondo, ma se questa non si adatta poi alle misure occorre cambiarla. E quest’ultima era la strada che Kepler percorreva anche se, come dicevo, indulgendo a moltissime delle cose che interessavano Fludd, come ad esempio l’uso che egli fece di quelle immagini che dovrebbero descrivere il mondo, tra le quali la più nota è il disegno del mondo costituita dai poliedri incastonati l’un l’altro (ma, appunto, questa immagine era sostenuta, almeno in gran parte, da misure fatte mediante l’osservazione). Ma cerchiamo di seguire i passi ed i momenti in cui Kepler si muove all’interno della tradizione mistico, magico, ermetico, pitagorica.

        Nel suo “Mysterium cosmographicum” (1596) egli scrive:

“Io mi impegno a dimostrare con questa operetta o lettore, che Dio Ottimo Massimo, nella costruzione del mondo e nella disposizione dei cieli, aveva in mente i cinque corpi solidi regolari che tanto sono stati celebrati fino dal tempo di Pitagora e di Platone e che dispose numero, proporzioni e movimenti delle cose celesti secondo le proprietà di quei corpi….La mirabile armonia delle cose immobili – il Sole, la stelle fisse e lo spazio – che corrispondono alla Trinità di Dio Padre, Dio Figlio e Spirito Santo mi incoraggiò in questo tentativo….Le figure geometriche mi sembrava rispondessero alle mie esigenze perché , in quanto esse sono quantità, sono state create prima dei cieli [questa parte sembra in contraddizione con la polemica che Kepler ebbe con la numerologia. n.d.r.]. …Ritenevo che il mio desiderio sarebbe stato soddisfatto se avessi potuto far corrispondere alla reciproca grandezza dei cieli (che Copernico stabilì essere sei) soltanto cinque figure [e cioè i 5 solidi regolari che Euclide ha dimostrato essere gli unici. In tal modo] l’orbe della Terra è la misura di tutti gli altri orbi. Circoscrivi ad essa un dodecaedro, la sfera che a sua volta lo circoscrive è quella di Marte. Alla sfera di Marte circoscrivi un tetraedro, la sfera che lo contiene è la sfera di Giove. Alla sfera di Giove circoscrivi un cubo, la sfera che lo racchiude sarà quella di Saturno. Nell’orbe della Terra inscrivi un icosaedro, la sfera inscritta in esso è quella di Venere. A venere inscrivi un ottaedro, in esso sarà inscritta la sfera di Mercurio. Qui trovi la ragione del numero dei pianeti” (citato da Koyré).

        In queste frasi vi è l’intero modo di concepire il mondo che diventa mistico, platonico ed addirittura supponente. Il mondo stesso è in sé la Trinità. Il Sole per Kepler è il centro dinamico dell’intero sistema (in questo presentando una importante novità rispetto a Copernico) poiché egli ha necessità di un punto da cui iniziare a misurare le distanze (anche se i suoi conti sono molto approssimati ed egli trova ciò che vuole trovare). Il Sole è quindi l’immagine di Dio nel mondo che fa sentire la sua potenza attraverso l'”intermedium” (immagine dello Spirito Santo) in cui si muovono i pianeti compresi dalla sfera delle stelle fisse (immagine di Gesù, tanto che altri – Athanasius Kircher, 1676 – cercheranno costellazioni che disegnino nel cielo il volto di Cristo. Si veda la  figura 6, tratta da Iter extaticum di Kircher, 1671) che, come una parete, mantiene moto (assimilato alle forme animali) e sua armonia (assimilata alla razionalità), luce (assimilata ai sensi) e calore (assimilato alla vita) al suo interno che deve essere inteso come perfetto.

Fig. 6

         Quindi si cantano le lodi del Sole (in questo con Copernico):

“Il Sole è una fontana di luce, ricco di calore fecondo, in sommo grado chiaro, limpido e puro a vedersi, sorgente della visione, pittore di tutti i colori, …, chiaramente re dei pianeti per il suo moto, cuore del mondo per la sua potenza, occhio del mondo per la sua bellezza e che solo noi giudicheremmo degno di Dio altissimo, qualora egli si compiacesse di avere una dimora materiale e scegliesse un luogo in cui abitare con gli angeli benedetti” (citato da Khun).

        Ma Kepler, disegnato il mondo in tal modo, aveva bisogno di mostrare l’abilità matematica di Dio e cerca con puntiglio ogni relazione che faccia allo scopo:

“Da dove si dovrebbe cominciare l’indagine sulla proporzione dei corpi celesti ? Ma dalla Terra, perché essa è 1) domicilio della creatura contemplante, 2) che è anche immagine del Dio creatore. 3) Leggiamo infatti nel divino Mosè, che in principio Dio creò il cielo e la Terra: 4) e perché l’orbe della Terra è medio figurale tra i pianeti … e medio proporzionale tra i limiti dei pianeti superiori e di quelli inferiori. 5) Infine l’ordine di queste proporzioni proclama altamente che Dio creatore, nel far corrispondere le dimensioni dei corpi e degli intervalli al corpo del Sole, come alla sua prima misura, cominciò dalla Terra”(citato da Koyré).

        Con questo programma intraprese una serie di calcoli, che sono nascosti in centinaia di pagine misticheggianti, che lo portarono alla sua “Terza legge”, che proprio perché così nascosta, per molti anni non fu conosciuta.

        Ed anche le armonie dei moti non sono mere enunciazioni ma provengono da conti che mettono in proporzione le diverse velocità di ogni singolo pianeta con la relativa distanza dal Sole. E queste proporzioni sono riportate a scale e note musicali, cosicché vengono fuori delle note che sono cantate da ogni pianeta nel suo moto perenne intorno al Sole. L’insieme di tali note costituisce l’armonia dell’universo celebrata dai singoli pianeti cantando le lodi del Signore (noi umani non abbiamo orecchie adeguate per udire tali melodie). Per dare un’idea del programma di Kepler, fornisco solo l’indice del suo  “Harmonices Mundi” (1619):

” 1. Sulle cinque figure solide regolari.

2. Sulle affinità fra esse ed i rapporti armonici.

3. Compendio della dottrina astronomica necessaria per speculare sulle armonie celesti.

4. In quali cose pertinenti ai moti planetari le semplici consonanze sono state espresse e che tutte quelle consonanze che sono presenti nel canto si trovano nei cieli.

5. Che le chiavi della scala musicale, o gradi del sistema, e i generi delle consonanze, il maggiore ed il minore, sono espressi in certi moti.

6. Che i singoli Toni e Modi musicali sono in qualche modo espressi dai singoli pianeti.

7. Che i contrappunti o armonie universali di tutti i pianeti possono esistere ed essere diversi l’uno dall’altro.

8. Che i quattro tipi di voci sono espressi nei pianeti; soprano, contralto, tenore e basso.

9. Dimostrazione che al fine di garantire questa armonica disposizione, quelle vere eccentricità planetarie che qualunque pianeta ha come proprie, e non altre, devono essere stabilite.

10. Epilogo relativo al Sole, per mezzo di molto fertili congetture.”

        E, come aneddoto, fornisco solo le note che la Terra canta nel suo orbitare, un mi-fa-mi che Kepler commenta così “da dove si può dedurre che la MI-seria e la FA-mine regnano dovunque in questo mondo” (si veda nella figura 4, tratta da Kircher, come le sfere celesti sono assimilate alle varie muse che collegano con le loro armonie il Sole e la Terra).

Fig. 4

        Rispetto all’astronomia Kepler non si distaccò dai suoi contemporanei e particolarmente da Paracelso. Con in più il fatto che, come astronomo assegnava maggior prestigio a tale attività. Inoltre l’astronomia diventava in Kepler sempre più quella giudiziaria, quella che, ricordo, riguardava predizioni relative a singoli personaggi. Ma era tutto l’impianto kepleriano che sosteneva l’astrologia. La presenza vivificatrice del Sole (Dio allo stesso modo di Ra), l’intermedium (Spirito Santo), le stelle fisse (Cristo), tutto autorizzava a che i destini dell’uomo fossero ‘naturalmente ‘ segnati dalla divinità (e da chi altri ?). L’anima che Dio estendeva attraverso il mondo creava facili paralleli tra materia e spirito. Inoltre Dio interveniva nel mondo avvertendo di episodi clamorosi: Egli lo faceva attraverso congiunzioni astrali speciali, eclissi e, soprattutto, comete. Tutti questi non erano semplici fatti meccanici. In accordo con quanto detto prima l’anima di Dio muoveva gli esseri spirituali presenti in tutto il cosmo.

        Riguardo a quest’ultimo aspetto, l’astrologia, occorre notare che i copernicani le dettero inizialmente sostegno ma poco a poco, soprattutto nell’età Barocca iniziò un preciso distacco tra scienziati astronomi e medici astrologi. In questo contesto va ricordata una lettera che Bonaventura Cavalieri scrisse ad Evangelista Torricelli nel 1642 (citata da Garin). In essa con molta amarezza ci si lamenta della scarsa attenzione della gente per le scienze fisico – matematiche e del fatto che anche le loro applicazioni pratiche siano trascurate. Ciò che invece interessa quelle persone è l’astrologia. Potrebbe pure nascere un nuovo Archimede e nessuno se ne accorgerebbe, mentre il più ciarlatano degli astrologi ottiene onori, ricchezze e potere.

Harvey

        Anche la medicina ebbe il suo Lutero e Copernico. Naturalmente non si può pretendere un distacco completo dalle concezioni antiche che fanno capo da un lato ad Aristotele e dall’altro a Galeno (138 -201). Riferiamoci a quest’ultimo per avere un riferimento affidato alla sperimentazione ed alla dissezione di animali ritenuti più simili all’uomo (scimmie ?). Non intraprese mai (che si sappia) dissezioni umane e quindi la sua medicina è costruita in gran parte per analogia con quella degli organi interni degli animali. Galeno è un aristotelico che assegna funzioni teleologiche agli organi. Ma non accetta Aristotele quando questi assegna al cuore una parte importante nella fisiologia umana. Galeno sposta nel fegato il suo centro d’interesse, fegato che produrrebbe il sangue e lo purificherebbe. Il sangue ha una sorta di circolazione che lo porta al cuore, dove si riscalda e quindi ai polmoni che invece tendono a raffreddarlo. L’uomo è dotato di tre spiriti: quello animale che partendo dal cervello raggiunge i vari organi attraverso i nervi; quello vitale che si dirama dal cuore attraverso le arterie; quello naturale che parte dal fegato ed è propagato dalle vene. Ognuno dei tre spiriti è separato dall’altro. Tutto questo (succintissimamente raccontato) era basato su le suddette osservazioni sperimentali di Galeno. Ma dal II secolo fino al XV, la sua opera, quando fu riscoperta, tradotta e commentata divenne argomento di dispute aristoteliche basate sul sillogismo (questo era generalmente il modo di procedere nelle Università). Il ritorno alla “sperimentazione”, questa volta con certe dissezioni su cadaveri di uomini, fu innanzitutto opera degli “artisti-artigiani” a partire dal Trecento (che spesso lavoravano per il sistema giudiziario). Durante il Rinascimento (1531) si dispose dell’intero corpo delle opere di Galeno tradotto e ciò accese un vivo interesse intorno al corpo ed alla funzione dei suoi organi. Ma già Leonardo aveva lavorato su questioni anatomiche ed a lui seguì l’opera più nota del Rinascimento, la “Fabrica” (1543) di Vesalio (1514-1574), il padre dell’anatomia moderna. Uno tra i problemi che Vesalio sollevò, fuori dalla tradizione galenica, era il capire il passaggio del sangue dal sistema arterioso al venoso, attraverso il cuore. Egli sezionò vari cuori ma non trovò i pori di cui parlava Galeno. Tuttavia il passaggio da un sistema all’altro avveniva.. Altra questione sollevata da Vesalio fu sullo spirito animale che si irradiava dal cervello. Molte traduzioni dal greco riportavano “anima” introducendo elementi metafisici nel corpo. Vesalio ebbe il coraggio di sbarazzarsi di tale cosa evitando ogni controversia teologica. Nella cattedra di Padova si successero a Vesalio prima Fallopio (1523 – 1563), quindi Fabrizi d’Acquapendente (1537 – 1619) e fu proprio allievo di quest’ultimo William Harvey (1578 – 1657).

        Harvey (1628) prende le mosse dal pregiudizio aristotelico del cuore come centro dell’organismo e dalla visione platonica del movimento in circolo. Riuscì, attraverso osservazioni in autopsie, a scoprire la circolazione del sangue riuscendo a ridare al cuore (“il sole del microcosmo” come egli lo chiama) quella dignità che gli era stata tolta da Galeno: è il battito del cuore che permette la circolazione del sangue ! La cosa la suffragò con variate esperienze che lo convinsero che il cuore può operare non certo come pompa (questo lo avrebbe messo nel novero dei meccanicisti) ma come sovrano del corpo e come luogo dove il sangue recupera le sue qualità. Falsificò poi la teoria del sangue prodotto dal fegato con un semplice conto che confrontò quanto sangue passava dal cuore con quanto ne avrebbe dovuto produrre il fegato: quest’ultima quantità risultava enorme per un organo così piccolo. Insomma, a parte alcuni dettagli (relazione tra vene ed arterie che avrebbero avuto bisogno dei lavori con il microscopio di Malpighi – 1628/1694 – per stabilire l’esistenza di capillari), si erano gettate le basi della rivoluzione harveyana. (che però, per il disinteresse dello stesso Harvey nel farla conoscere, dovette aspettare ancora circa 100 anni prima che fosse conosciuta dal gran pubblico. La pratica medica, anche la sua, seguì con i salassi anche se si cominciò a comprendere il meccanismo dell’avvelenamento: seguì anche con strane cure, di derivazione paracelsiana, che prevedevano l’imposizione della mano di un morto per una malattia cronica su di un malato di tumore).

        Si può certamente dire che i lavori di Harvey prendono le mosse dalle concezioni aristoteliche, concezioni nelle quali il moto circolare assume un valore fondamentale proprio perché è l’intero mondo organizzato in quel modo. La circolazione del sangue rende il microcosmo assimilabile al macrocosmo e la funzione vivificante e rigenerativa del Sole viene nel microcosmo sostituita dal cuore che , come detto, è “il sole del microcosmo” in accordo con le tesi ficiniane. Tra l’altro è nel cuore che troviamo la localizzazione dell’anima

        In definitiva, un convinto aristotelico, con le premesse di Aristotele e con strane assonanze ermetiche (per un aristotelico), è uno che inizia una delle più importanti rivoluzioni scientifiche dell’età barocca.

Galileo

        In quanto siamo andati dicendo, la Chiesa non interveniva praticamente mai. Non vi erano messe in discussione del Dio. La stessa Trinità veniva addirittura localizzata nel mondo, il lavoro dei filosofi della natura che abbiamo incontrato sembravano addirittura di fare esercizio religioso nelle loro elaborazioni. Lo scienziato era pertanto in sé un cristiano in quanto esaltava il Signore e la sua opera.

        Con Galileo (1564 – 1642) iniziamo ad intravedere uno sforzo possente di laicizzazione dello studio della natura. Galileo spoglia ogni suo argomento da misticismo, alchimia, ermetismo, astrologia. Non poteva togliere di mezzo la Chiesa ma, certamente non vi sono richiami ad essa nella sua opera scientifica. Credo che solo dopo aver fatto la rassegna precedente, si possa capire molto meglio che cosa è significata l’opera di Galileo.

        Galileo risente molto, nei suoi lavori, di una vita fatta a contatto con il mondo degli artigiani e degli architetti. La sua non è una formazione di tipo esclusivamente accademico. Le sue numerose lettere testimoniano rapporti con fontanieri, architetti, costruttori di acquedotti, di fortificazioni. La sua formazione è principalmente meccanicistica, proviene essenzialmente dal filone di Archimede. Nel dir questo non affermo che egli sia immune dalle suggestioni e dalla cultura dell’epoca. Vi sono dei passi, molto pochi per la verità, in cui si può ritrovare un certo platonismo con l’esaltazione della matematica, fatto, quest’ultimo, che giocherà un ruolo fondamentale proprio nel momento in cui questa matematica si salderà con la parte osservativa e descrittiva della tradizione aristotelica.

        Intanto Galileo è un avversario durissimo dell’astrologia, nonostante insistenze di vari principi ed addirittura dell’Ambasciatore del Re di Francia che gli chiedeva oroscopi per Sua Maestà, egli seppe sempre dire di no. Nessuno storico e nessun testo originale porta traccia di un qualche oroscopo di Galileo (si divertiva a farli per la figlia o a qualche familiare). Ho trovato solo un cenno, ma non corredato da alcuna indicazione bibliografica, in M. Boas (“Persino Galileo fece oroscopi per il suo mecenate, il granduca di Toscana” e questo brano è ripreso letteralmente da Paolo Rossi). Egli subisce però il fascino del Sole e della luce che si può ritrovare nella lettera a monsignor Pietro Dini del 23 marzo 1615. Ma il tentativo qui e altrove è manifestamente un modo per convincere un prelato del primato del Sole sulla Terra. In questa lettera si richiamano passi di cristiani che hanno parlato del Sole come del dispensatore di luce e calore fecondo. Questa volta il riferimento è al Salmo 73 dal quale trae elementi per esaltare il potere della luce ed al Beato Dionisio Areopagita del quale cita un passo di esaltazione del Sole. E lo stesso Galileo aggiunge che si può affermare che questo spirito fecondante e questa luce diffusa per tutto il mondo hanno concorso per unirsi e fortificarsi nel corpo del Sole, per questo motivo collocato nel centro dell’universo, e perché poi, ritornato più splendente e vigoroso, ritornasse a diffondersi. La lettera prosegue con il fatto che in questo Sole egli ha trovato delle macchie (materie tenebrose) e questo solo fatto di per sé esclude le premesse di Sole inteso come lo facevano Copernico e Kepler. E la conclusione ne mostra gli intenti: il Sole merita di essere considerato al centro del mondo. Ma d’altra parte sullo stesso argomento andrà avanti con la lettera a Cristina di Lorena. Questa volta l’ispiratore sarà Sant’Agostino, proprio quello che, nell’ambito della Chiesa, più si era opposto alle pratiche magiche ed all’ermetismo. Il richiamo a Sant’Agostino è di nuovo strumentale. Serve a Galileo un cuneo per scalfire quel qualcosa che per la prima volta esclude Dio dai meccanismi dell’universo, esclusione che marginalizza l’intera Chiesa. E Galileo è molto esplicito: tutto ciò che concerne la natura ed è trattato dalla Bibbia può e deve essere sottoposto ad indagine sperimentale. Non vi sono più tabù. Non è più la Chiesa l’intermediario per comprendere il mondo e, di più, addirittura la Bibbia.

        Del resto, più volte Galileo mostrò fastidio per le cose che scriveva Kepler (e consimili). È stato addebitato a Galileo il non aver compreso l’importanza delle leggi di Kepler. In realtà non le aveva capite nessuno e basta affacciarsi alle prose dei due autori per capire le abissali differenze che li dividevano. Galileo più volte ebbe a dire che quanto sostenuto da Kepler fosse “piuttosto a diminutione della dottrina del Copernico che a stabilimento”. In altri passi sostenne:

“Io non posso sottoscrivere l’idea degli astri, né dei calori temperati, né l’azione predominante delle qualità occulte, né altre vane immaginazioni come quelle che sono tanto lontane dall’essere, o dal poter essere, cause delle maree, poiché, al contrario, è la marea causa di esse” (citato da Kearney).

“Quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fusse stato un poco maggior matematico ed in particolare ben fondato nella geometria, la pratica della quale lo avrebbe reso men risoluto nell’accettare per concludenti dimostrazioni quelle ragioni ch’ei produce per vere cause delle vere conclusioni da sé osservate” (Dialogo).

Ma è Dio nell’interesse di Galileo. Egli lo descrive come artigiano, architetto e matematico:

“Il ricorso al gran libro della natura, che è l’oggetto proprio della filosofia … nel cui libro… essendo opera di Dio onnipotente … questo ricorso è più decisivo e nobile lì dove si rivela tutta la sua grandezza ed abilità”

“Supponiamo che tra i piani dell’ Architetto Divino…”

“Io dico che la saggezza umana capisce alcune proposizioni in modo perfetto ed è assolutamente certa di esse come della stessa natura; e queste sono le scienze matematiche pure, cioè: la geometria e l’aritmetica. Di esse la Sapienza Divina conosce infinitamente più proposizioni, perché le conosce tutte”.

A ciò occorre aggiungere la profonda critica che Galileo portò al finalismo insito nel mondo di Aristotele, critica che passò attraverso le osservazioni dello sciocco Simplicio.

        Non c’è altro da aggiungere su Galileo. Certamente egli non usò mai spiegazioni metafisiche a fatti fisici. Se si toglie il Dio ora citato dalla sua opera ella resta intatta. Il riferimento ad esso è quasi canonico in qualunque opera del suo tempo. Egli lo cita ma ne fa a meno sempre. Fatti naturali vengono fatti discendere solo da cause naturali e Galileo tenterà teorie solo là dove è in grado di sperimentare. Dovunque egli non ha argomenti tralascia ipotesi e rimanda ad esperimenti futuri con la frase: “Non mi par tempo ora …”.

        Si tratta di una svolta radicale che però non avrà seguitori tra gli scienziati che oggi riconosciamo come più noti tra i contemporanei e gli immediati successori dello stesso Galileo. Un esempio di reintroduzione della metafisica nella filosofia della natura avverrà proprio con Descartes.

Descartes

        Descartes (1596 – 1650) è uno dei pensatori che più ha affidato alla metafisica le sue affermazioni sulla scienza della natura. Nonostante gli sforzi di Koyré, l’immagine dello scienziato francese è fortemente legata alla metafisica proprio perché con essa va a spiegare fatti naturali. Anche qui farò alcuni esempi per capire il senso dello stravolgimento del lavoro di Galileo che viene operato, stravolgimento che sarà anche di altri ed al quale il solo Huygens si sottrarrà, risultando quest’ultimo l’unico scienziato dell’età barocca che si muove nella tradizione galileiana. Leggiamo qualche brano di Descartes:

“…fisserò qui due o tre delle principali regole secondo le quali è da ritenere che Dio faccia agire la natura del nuovo mondo, sufficienti, credo, per farvi conoscere tutte le altre.

La prima è: che ogni parte della materia in particolare persiste nel medesimo stato finché l’urto delle altre non la costringe a mutarlo….

Suppongo come seconda regola che, quando un corpo ne spinge un altro, non possa comunicargli alcun movimento senza perderne contemporaneamente altrettanto del proprio; né sottrarglielo senza aumentare il proprio nella stessa misura….

Ora le due regole derivano evidentemente solo da questo: che Dio è immutabile e che, con l’agire sempre alla stessa maniera, produce sempre lo stesso effetto. Infatti, supponendo che nell’atto stesso di crearla, Dio abbia posto in tutta la materia in generale una certa quantità di movimenti, a meno di negare che egli agisca sempre allo stesso modo, bisogna ammettere che ne conservi sempre la stessa quantità. Supponendo pure che da quel primo istante le diverse parti della materia in cui i movimenti si sono trovati variamente distribuiti abbiano cominciato a conservarli o a trasmetterli dall’una all’altra, a seconda della loro forza, bisogna necessariamente concludere che Dio le fa continuare sempre allo stesso modo. Le due regole vogliono dire questo.

Ne aggiungerò una terza: che quando un corpo si muove …le sue parti, singolarmente prese, tendono sempre a continuare il loro [movimento] in linea retta….

Questa regola poggia sullo stesso fondamento delle altre due e dipende solo dal fatto che Dio conserva ogni cosa mediante un’azione continua…”

        A parte questi brani esplicativi di quanto sostenevo non occorre dimenticare che questo scienziato, passato alla storia come razionalista, si dilettava con armonie dell’universo, con la sua unità e con tutte le suggestioni magiche del suo tempo, anteponendo immaginazione a ragione.

        Non c’è dubbio che Descartes fu il primo a sostituire un intero sistema del mondo, come realizzato da Aristotele e cristianizzato da San Tommaso, con un altro completamente differente che si muoveva sulla strada del completo rinnovamento. L’elemento principe resta la comunicazione di tutto ciò che si conosceva. Sulla tradizione aperta da Galileo, non vi erano più pratiche segrete o questioni per iniziati. Per altri versi Descartes tenta l’integrazione delle novità scientifiche con la metafisica, con la religione. Anche in Descartes, come del resto già visto, Dio è non solo artefice ma perennemente presente nel mondo. È egli, sulla linea Archimedea, un Ingegnere, un Architetto del creato. Ma ogni cosa è in gran parte sostenuta da ragionamenti deduttivi che lo legano pienamente alla tradizione aristotelica. Anche se pensò ad un mondo di un continuo di particelle che, spinta la prima, originano un moto a vortici alla base di tutto l’universo, rifiutò le estreme conseguenze della filosofia atomistica (in accordo con il disprezzo che ad essa riservava Aristotele) come ad esempio l’esistenza del vuoto ( e qui neppure riuscì ad usare delle cose che Marsenne, suo maestro, veniva a spiare in Italia e particolarmente nella bottega di Torricelli). Allo stesso modo non si espresse mai con chiarezza a favore dell’eliocentrismo.

        Vi è un altro aspetto da sottolineare. Descartes era certamente un gigante della matematica ma costruisce la sua teoria del mondo a vortici senza che in essa intervenga minimamente, tutto l’argomentare è parto di una logica deduttiva alla Aristotele. La matematica vive in un comparto separato della filosofia della natura.

Come già accennato il suo Metodo è però l’uscita definitiva dal mistero, dalle cose criptate. Spariscono le armonie delle sfere, spariscono le cause finali. Si apre alla possibilità di un universo laico:

“Non tenteremo di cercare le ragioni dei fatti naturali nel fine che Dio o la natura si proposero al crearli (le cause finali), perché non dobbiamo presumere di essere partecipi dei piani divini, ma solo considerare la causa efficiente di ogni cosa” (Principia Philosophiae).

        In ogni caso, per Descartes, la fisica deve discendere da una metafisica.. È l’esistenza di Dio che rende possibile la conoscenza scientifica e ciò in quanto questa ultima è basata su dei fatti certi. E la cosa si chiude su se stessa in quanto la prova dell’immortalità dell’anima si può rintracciare proprio nella fisica. In definitiva la conclusione è quella da cui partivo più su: la certezza di tutti gli enunciati della conoscenza dipende dalla nostra certezza dell’esistenza di Dio. Dice Descartes:

“In effetti, poiché Dio è la vera causa di tutto ciò che è o potrebbe essere, è evidente che il miglior modo di fare filosofia che possiamo adottare, potrebbe essere di tentare dedurre la spiegazione delle cose create da Dio a partire dalla nostra conoscenza di Dio stesso, e così conquistare la scienza più perfetta, che è la conoscenza degli effetti attraverso le loro cause” (citato da Clarke).

Newton

        Con Newton (1642 – 1727) possiamo concludere la breve rassegna dei personaggi più noti che, pur immersi a vari livelli in una cultura misticheggiante, riuscirono poco a poco ad affrancare l’osservazione scientifica dai piombi metafisici, per portarla alla laicità che acquistò a partire dal secolo XVIII.

        È straordinario che si debba parlare di Newton. Tanto straordinario che la recente uscita in Italia di uno studio di M. White (“Newton: l’ultimo mago“, Rizzoli 2001), ha fatto solo menzionare il lavoro nelle recensioni di “Le Scienze”, come se si trattasse di una qualche denigrazione. Nessuno in nessuna delle cose dette vuole togliere meriti ormai universalmente riconosciuti a tutti. Il tentativo è proprio quello di far intendere le difficoltà che si sono dovute superare per affermare la razionalità scientifica. E ciò attraverso cammini tortuosi, mai lineari e sempre infarciti della cultura del tempo. In questo senso, davvero, l’opera di Galileo risulta particolarmente straordinaria.

        Ma torniamo al Newton meno noto, al mago, secondo la definizione di White.

        Egli, all’inizio della sua produzione scientifica, si mostrò influenzato dal meccanicismo di Descartes e del suo connazionale Hooke. Nel 1666 mostrava che la luce è scomponibile nei vari colori ed in tal modo distruggeva quell’immagine che ad essa era associata, di manifestazione divina. Ma il clima intellettuale dell’Inghilterra stava mutando proprio in quegli anni. Il meccanicismo inglese, l’opera di Hobbes, avevano provocato profonde crisi di rigetto e, particolarmente, il bisogno di riconquistare un qualche rapporto con la divinità. Newton fu partecipe di tale cambiamento di clima come mostra, appunto, il complesso della sua opera nota e meno nota.

        Due storici britannici, Rattansi e Mc Guire (1966), hanno ritrovato una bozza dello scolio alla Proposizione VIII dei “Principia” in cui Newton sosteneva quelle che erano le sue credenze religiose. Egli in pratica affermava di aderire alla filosofia pitagorica, alle proporzioni perfette ed alle armonie. Queste proporzioni dovevano anche riguardare i cieli, i ‘pesi’ dei pianeti e le distanze reciproche. Descrivendo un esperimento, attribuito a Pitagora, secondo cui dei ‘pesi’ legati a delle viscere penzolanti da animali le allungavano in maniera inversamente proporzionale alla loro distanza dal ‘centro’ dell’animale, attribuiva a Pitagora la scoperta della legge dell’inverso del quadrato che egli stesso aveva fornito. Nel successivo scolio, quello alla Proposizione IX, Newton sosterrà esplicitamente:

“A qualcuna di queste leggi sembra abbiano fatto cenno i filosofi antichi quando chiamarono Dio ‘Armonia’ e rappresentavano il suo potere dinamico con l’immagine musicale del Dio Pan suonando il flauto e attribuivano musica alle sfere rendendo armoniche le distanze ed i movimenti dei corpi celesti e rappresentando i pianeti con le sette corde dell’arpa di Apollo”.

        Inoltre, nel suo “Sistema del Mondo”, Newton fa risalire la teoria copernicana agli antichi maestri, ma non a quelli noti come Aristarco, ma a Platone ed all’antica sapienza degli egiziani “che rappresentavano con riti sacri e geroglifici, dei misteri che andavano al di là della comprensione popolare”.

        Si è anche osservato che la matematica di Newton indulge troppo alla geometria quando ormai i tempi erano maturi per gli infinitesimi di cui Leibniz sarà portatore.

        Ed ecco che il Dio Architetto e Ingegnere di Galileo diventa altra cosa, allo stesso modo del Dio Meccanico di Descartes: Dio entra ora nel mondo per regolarlo da dentro, la stessa natura è Dio. È una sorta di mediazione quella che fa Newton, tra il Dio Artista ed il Dio Ingegnere. Questo Dio, come Newton afferma nello scolio generale dei Principia, interviene anche a rifornire di “energia” qualche pianeta che ne avesse persa un poco nel suo moto (occorre però notare che lo Scolio generale fu introdotto da Newton nella seconda edizione dell’opera, poiché la prima edizione, senza la presenza costante di Dio, aveva sollevato moltissime critiche). Questo è il significato che occorre assegnare alle proprietà che Newton fornisce allo spazio ed al tempo; particolarmente lo spazio è il “sensorium Dei”. Ed a questo proposito è utile entrare su una controversia che si ebbe con Leibniz relativamente alle “forze” attrattive che Newton pone alla base della sua gravitazione universale. Certamente Newton prese le mosse dalla tre leggi di Kepler e dalla caduta dei gravi studiata da Galileo. Tutto ciò parrebbe una sorta di deduzione teorica da fatti sperimentalmente accertati. In realtà resta (ancora oggi) il problema delle forze. Di cosa si tratta ? Lo stesso Newton ne fornisce una definizione circolare poiché nella stessa formulazione dal secondo principio introduce simultaneamente due grandezze non definite la forza e la massa (egli lo sa e tenta di rifugiarsi dietro una finta definizione di massa attraverso la densità). Cosa sono le forze ? Come illustri fisici ed epistemologi hanno iniziato a sostenere da fine Ottocento (Kirchhoff, Hertz, Mach, Perrin,…), noi conosciamo solo gli effetti delle forze: le stesse pretese forze non le conosciamo. Esse, così come sono proposte da Newton, dovendo agire “a distanza”, senza intermediari (e quindi occulte), sono rifiutate sia dagli aristotelici che dai cartesiani. Trenta anni dopo, Leibniz parlerà dei Principia come di un ritorno ai “racconti di fate”. Afferma Kearney che “i cartesiani rifiutarono Newton per la stessa ragione che Galileo e Descartes rifiutarono Kepler”. Uno dei critici più duri di Newton fu proprio Huygens, l’unico vero seguace di Galileo, che sostenne essere il principio newtoniano dell’attrazione “impossibile da spiegare in nessun modo meccanico”. E tra Leibniz e Huygens intercorse una corrispondenza dopo la pubblicazione dei Principia.. Newton era considerato alla stregua di un aristotelico che credeva a simpatie ed antipatie assimilando queste ad attrazioni e repulsioni. Fu solo con le “Lettere Inglesi” di Voltaire (prima metà del XVIII secolo), che Newton assurse a simbolo del meccanicismo anche se, tale definizione vide sempre fermi oppositori tra i meccanicisti medesimi.

        E fin qui ogni commento è relativo al Newton noto, il fondatore della Meccanica. Il fatto è che vi è anche un Newton meno noto ma ugualmente attivo in campi come l’Alchimia e la Teologia. Qui il discorso sarebbe lungo e voglio fornire solo alcuni dati oltre ad una vasta bibliografia. Il fatto è che Newton scrisse un “Trattato sull’Apocalisse” in cui emergono molti dei temi mistici che abbiamo incontrato nella cultura rinascimentale: occorre conoscere le profezie per salvarsi; vi sono regole per interpretare e metodizzare parole e linguaggio delle Scritture; esiste una corrispondenza tra il mondo e le Scritture. Serve un nuovo ritorno di Cristo poiché la Bestia con dieci corna (il mondo pagano) ha vinto sulla Chiesa; la Bestia con due corna (la grande apostasia) si è impossessata della Chiesa; la Bestia si presenta a noi come grande Meretrice o come falso Profeta ma queste due immagini non sono altro che facce diverse del Dragone (Satana); il mistero che si trova scritto sulla fronte della Meretrice è quello della Trinità (Newton rifiutava questa ‘complicazione’); Cristo non era venuto per fondare una nuova religione ma per riportarla all’antica purezza (qui è echeggiato espressamente un tema ermetico ripreso anche da Giordano Bruno – ma addirittura da Ario -, anche nello stesso linguaggio della Bestia che in Bruno, con l’aggettivo di Trionfante è la Chiesa, mentre il Papa è la “sua santa asinità”).

        Vi è da ultimo da dire due parole sul Newton alchimista. Egli scrisse migliaia di pagine in proposito. Non ne pubblicò nessuna ed in questo era concorde con quanti ritenessero questa una pratica per iniziati e quindi segreta. Non è esagerato dire che egli passò metà del suo tempo in studi alchemici e religiosi sintetizzando in sé appunto l'”ultimo mago” di White o l’ “anfibio” di Kearney.

Due parole per concludere

La scienza moderna è nata nell’epoca che abbiamo discusso. Essa è nata per lo sforzo ed il duro lavoro degli studiosi ai quali ho accennato (e di molti altri). Queste erano persone del loro tempo ed il loro lavoro, letto con gli occhi di oggi, non può essere che esaltato per l’enorme sforzo che ciascuno nel suo ambito e nel suo contesto ha portato avanti per affrancarsi da quel groviglio di conoscenze che oggi, senza dubbio, possiamo bollare come irrazionali. Ma quel groviglio era la base culturale di quell’epoca. Volerne ricostruire la storia, attraverso l’opera dei contributi “razionali” dei singoli scienziati è un vero falso. Lo è stato per molti anni: sotto influenze illuministe e positiviste, gli storici hanno scavato nel passato con gli occhi del presente ed hanno ricercato ciò che loro faceva più comodo per ricostruire un mondo in cui il “progresso” avviene per cumulo successivo di conoscenze. Non sono ammesse deviazioni.

        Se si legge con attenzione quanto ho scritto e, soprattutto, si studia un poco della bibliografia che riporto, ci si accorge che le cose non stanno così.


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