LA BIBBIA: UNA CATTIVA MAESTRA. SECONDA PARTE

Violenze, assassini, prostituzione, incesti: uno scenario orrendo raccontato dalla Parola di Dio

 (ampiamente ripresa da Pepe Rodriguez [2])

Roberto Renzetti

Ottobre 2010

AVVERTENZAQuando parlo di “Bibbia”, salvo avviso contrario, il riferimento è al “Vecchio Testamento”.

DIO E’ DALLA PARTE DEI VIGLIACCHI, IMBROGLIONI E LADRI: ABRAMO, IL CAPOSTIPITE

        Ma i personaggi leggendari della Bibbia erano davvero gli eroi, le figure encomiabili da additare ad esempio che oggi ci vengono offerte ? E’ utile capirlo utilizzando sempre la Parola di Dio iniziando dal capostipite dell’Ebraismo e del Cristianesimo: Abramo(1).

        Con Abramo (nome che vuol dire “di Stirpe Nobile”) si abbandonano i racconti fantastici della Genesi e si inizia a seguire la vita di una stirpe. Tutto il resto del libro della Genesi (dal 13 al 50) è dedicato a queste gesta. Vedremo che si tratta di gente poco raccomandabile (assassini, ladri, profittatori, avviatori alla prostituzione delle mogli, incestuosi,…) ma la tradizione vuole che siano da esempio. Dice il Talmud: “I primi patriarchi sono senza traccia di iniquità o peccato” [Mech., a XVI, 10, 48 a].

        Dunque Abramo è figlio di Terach. Morto il padre viene chiamato da Geova:

        “Geova disse ad Abramo: ‘vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò1 “ (Gn. 12, 1 e 2). Qui Dio è di nuovo distratto poiché non ricorda che Abramo se ne era già andato dalla sua terra con il padre Terach ed il suo paese non era Carran dove Abramo si trovava al momento, ma Ur dei Caldei.

        A parte queste distrazioni, Geova segue: “renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò” (Gn. 12,3). “Abramo partì … aveva settantacinque anni quando lasciò Carran” (Gn. 12,4) diretto verso la Palestina. Ha con sé la moglie Sara, il figlio di suo fratello Lot “E TUTTE LE PERSONE CHE LÌ SI ERANO PROCURATE” (Gn. 12,5). Scopriamo che il popolo di Abramo è un misto di padroni e schiavi. Mentre Abramo è in marcia, Geova si ricorda di qualcosa e glielo dice: “Alla tua discendenza io darò questo paese” (Gn. 12,7). Questo è il primo cenno alla terra promessa che come tutti sanno porterà a tutti i disastri e per gli ebrei e per gli abitanti che vivevano in quelle terre. I miti e le leggende, financo i sogni degli ubriachi, hanno ripercussioni inimmaginabili per la storia dell’umanità, quando sono dati in mano a dei fanatici.

        Abramo ringrazia Dio con dei sacrifici e prosegue la marcia superando la Palestina andando verso il deserto del Negeb. Noto a margine che Abramo si muove lungo una traiettoria che biblicamente non ha senso   perché troppo lunga (fa un giro incomprensibile di oltre 2500 Km quando con 500 Km sarebbe arrivato) ma geopoliticamente ha un senso compiuto perché egli non può entrare in Paesi strutturati (Fenicia e Palestina) senza evitare di essere respinto con la forza. Poiché vi è una carestia (una delle innumerevoli carestie bibliche) decide si avviarsi verso l’Egitto dove regnava il faraone Ameneth I della XII dinastia (1991-1785 a.C.). Qui non è chiaro se davvero Abramo va in Egitto o se si trova in terre dominate dagli egizi (estese all’epoca).

        Ed a questo punto Abramo FA PROSTITUIRE LA MOGLIE SARA !(2)  

       Abramo è molto bravo a mettere a frutto i suoi averi. Tra questi la bella Sara che, sebbene sterile ed avanti negli anni, può servire per il suo fascino a certi “usi” poco commendevoli. Per Sara è, secondo i commentatori, una disavventura. Ma per Abramo un bel colpo di fortuna:

11 Ma quando fu sul punto di entrare in Egitto, disse alla moglie Sara: «Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente. 12 Quando gli Egiziani ti vedranno, penseranno: Costei è sua moglie, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita. 13 Di’ dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per riguardo a te». [Gn. 12, 11-13]

Ed infatti:

14 Appunto quando Abram arrivò in Egitto, gli Egiziani videro che la donna era molto avvenente. 15 La osservarono gli ufficiali del faraone e ne fecero le lodi al faraone; così la donna fu presa e condotta nella casa del faraone. 16 Per riguardo a lei, egli trattò bene Abram, che ricevette greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli. [Gn. 12, 14-16]

        Insomma Abramo salva la vita e si arricchisce alle spalle della moglie che è invece costretta a giacere con uno sconosciuto come una volgare prostituta. L’inizio delle fortune del popolo di Israele discende da questo mercimonio (ed altri simili mercimoni seguiranno con altri patriarchi d’Israele). Abramo dovrebbe essere trattato da bandito, da delinquente, da lenone, … invece Dio non se la prende con lui ma con il faraone e la sua famiglia. Fino ad ora era occupato in altre faccende e non si era accorto di nulla ma d’improvviso scatena tutta la sua furia inviando le piaghe, codificando una giustizia divina, più volte utilizzata nella Bibbia, che fa davvero paura.

17 Ma il Signore colpì il faraone e la sua casa con grandi piaghe, per il fatto di Sara, moglie di Abram. 18 Allora il faraone convocò Abram e gli disse: «Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era tua moglie? 19 Perché hai detto: È mia sorella, così che io me la sono presa in moglie? E ora eccoti tua moglie: prendila e vattene!». 20 Poi il faraone lo affidò ad alcuni uomini che lo accompagnarono fuori della frontiera insieme con la moglie e tutti i suoi averi. [Gn. 12, 17-20]

       E così Abramo ritorna felice e ricco nel paese di Canaan che Geova, visto che Abramo si era ben comportato [ma che Dio è?], gli promette di nuovo. Prima però di seguire le vicende, non edificanti, di Abramo conviene soffermarsi su una vicenda poco ricordata. Sara era sorellastra di Abramo (stesso padre e madre differente). Si suppone quindi che Abramo e Sara avessero rapporti sessuali e, se così è, siamo di fronte ad un peccatore che meriterebbe la morte secondo il suo Dio. A tal proposito il Levitico è chiarissimo:

9 Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, sia nata in casa o fuori. [Lv. 18, 9] 11 Non scoprirai la nudità della figlia della tua matrigna, generata nella tua casa: è tua sorella. [Lv. 18, 11]  17 Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei ed essa vede la nudità di lui, è un’infamia; tutti e due saranno eliminati [messi a morte ! ndr]  alla presenza dei figli del loro popolo; quel tale ha scoperto la nudità della propria sorella; dovrà portare la pena della sua iniquità. [Lv. 20, 17]

Preso atto di questa giustizia cialtrona, possiamo tornare alle vicende di Abramo che ormai aveva capito come far fruttare la sterile Sara. E’ un’altra storia sommamente edificante che ne ha però un’altra che la precede, anch’essa, una vera gioia.

        Nella tribù di Abramo che si spostava attraverso il Negev vi era suo nipote Lot, figlio del fratello Aran. Giunti però anella Terra Promessa le loro greggi erano diventate molto numerose, tanto da necessitare pascoli differenti. Lot si separò da Abramo scegliendo le terre situate nella valle del Giordano intorno al Mar Morto, mentre Abramo andò in cerca di altri pascoli a Canaan:

1 Dall’Egitto Abram ritornò nel Negheb con la moglie e tutti i suoi averi; Lot era con lui. 2 Abram era molto ricco in bestiame, argento e oro. 3 Poi di accampamento in accampamento egli dal Negheb si portò fino a Betel, fino al luogo dove era stata già prima la sua tenda, tra Betel e Ai, 4 al luogo dell’altare, che aveva là costruito prima: lì Abram invocò il nome del Signore. 5 Ma anche Lot, che andava con Abram, aveva greggi e armenti e tende. 6 Il territorio non consentiva che abitassero insieme, perché avevano beni troppo grandi e non potevano abitare insieme. 7 Per questo sorse una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di Lot, mentre i Cananei e i Perizziti abitavano allora nel paese. 8 Abram disse a Lot: «Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli. 9 Non sta forse davanti a te tutto il paese? Sepàrati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra, io andrò a sinistra».
10 Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte – prima che il Signore distruggesse Sòdoma e Gomorra -; era come il giardino del Signore, come il paese d’Egitto, fino ai pressi di Zoar. 11 Lot scelse per sé tutta la valle del Giordano e trasportò le tende verso oriente. Così si separarono l’uno dall’altro: 12 Abram si stabilì nel paese di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle e piantò le tende vicino a Sòdoma. 13 Ora gli uomini di Sòdoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore. 14 Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: «Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente. 15 Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre. 16 Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. 17 Alzati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te». 18 Poi Abram si spostò con le sue tende e andò a stabilirsi alle Querce di Mamre, che sono ad Ebron, e vi costruì un altare al Signore.[Gn. 13, 1-18]

La storia edificante riguarda proprio degli accadimenti presso la città di Sodoma.   

        La prima osservazione riguarda la memoria labile del profeta che trascrive la Parola di Dio. Egli non ricorda che quella era la terra promessa ad Abramo e non a Lot. Ma qui si apre una nuova avventura perché

13 Ora gli uomini di Sòdoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore. [Gn. 13, 13]

Ci si potrebbe qui chiedere che c’entrava questo dio con un popolo, quello di Sodoma, non da lui eletto ma sarebbe tutto inutile e, dopo una perfetta suspence che fa sviare per un poco il discorso su altri argomenti, si ritornerà su Sodoma.

        Il primo di questi argomenti è la guerra dei 4 re che combattono contro altri 5. Abramo partecipa ad essa per liberare Lot fatto prigioniero in Sodomia. Vince “con i suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa  in numero di trecentodiciotto” [Gn, 14, 14), una delle rendite dovute all’aver prostituito Sara. Fa piacere sapere che questa prima guerra vinta dal popolo ebraico lo è stata con l’aiuto indiretto delle prestazioni di Sara.

       Il secondo argomento è che, dopo la vittoria,  vanno incontro ad Abramo, Bera, Re di Sodoma e Melchisedech, Re di Salem (futura Gerusalemme). E’ interessante questo brano perché i due sono sacerdoti di un dio Altissimo (El Eljon) che sembra lo stesso di Abramo (potrebbe darsi che i due chiamino lo stesso dio in due modi diversi). Sta di fatto che Abramo dà la decima  a questo sacerdote, proprio come si fa con i sacerdoti del proprio dio! Resta comunque strano il dare una parte dei propri beni a re che Abramo aveva aiutato e che, semmai, dovevano loro dare qualcosa ad Abramo [i cristiani qui non hanno alcuna vergogna nel vedere in questi due “dio” una premonizione di Gesù, n.d.r.]. Ma il tutto non finisce qui, perché Abramo si rivolge al Re di Sodoma con queste parole in cui i due “dio” appaiono simultaneamente: ”Alzo la mano davanti a Geova, il Dio Altissimo…” [Gn. 14, 22]. Si identificano i due “dio” proprio nel momento in cui il destino di morte di Sodoma  è già stato scritto da Geova. Qui, altra promessa ad Abramo da parte di Geova che, questa volta, aggiunge che il suo popolo crescerà numeroso, nonostante la sterilità di Sara, e che “i suoi discendenti saranno forestieri in un paese non loro, e saranno fatti schiavi ed oppressi per quattrocento anni” [Gn. 15, 15] e che dopo di ciò, sarà lui, Geova, a giudicare l’Egitto. Altra alleanza con squartamenti di vari animali e con il passaggio dei due in mezzo ai quarti di animali fumanti. Ed altra promessa delle terre che vanno dall’Egitto all’Eufrate.

        La storia di Abramo segue con Sara che propone al marito di avere dei figli con la schiava egiziana Agar che doveva essere stata donata dal faraone. E’ interessante questo volere figli che, assicura Sara, saranno considerati come suoi. Intanto Abramo si sottopone alle sacre fatiche (ha 86 anni!) ed Agar resta incinta. Allora Sara comincia ad essere gelosa e ottiene il permesso di maltrattare Agar, fino al punto che la schiava fugge nel deserto. Qui un angelo la incontra e la riporta a casa preannunciando ad Abramo la nascita di suo figlio Ismaele (che sarà padre di tutti gli arabi del deserto che, come dice l’angelo, “saranno come un somaro: contro tutti”. Qui non vi è disprezzo, si usava questa espressione).

        Nato Ismaele, Sara torna gelosa. Agar scappa. Dio la prende sotto la sua protezione. Poi, con una ennesima ripetizione, QUANDO Abramo ha 96 anni rifanno il patto. Ripetiamo la scena. Dio appare ad Abramo e gli dice: “Io sono il dio onnipotente” (El Shaddar, una entità diversa da quelle viste fino ad ora, una specie di dio della montagna o della steppa) poi gli promette discendenza e per buon peso gli cambia nome: da Abram diventa Abraham, padre di moltitudini. Il cambio di nome in relazione all’assunzione di un potere è cosa che facevano gli egizi e fanno i Papi. Gli dice di nuovo che gli darà tutto il paese di Canaan. Qui dio fa una marcia indietro. Prima gli dava dal Nilo all’Eufrate, ora solo una piccola terra. In cambio di questa concessione (qui il profeta ha sbagliato in qualche parte) chiede un qualcosa in cambio (Dio è anche un personaggio che fa baratti) e non può essere altro che qualcosa riguardante le “vergogne”: “Sia circonciso tra di voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro, e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi” [GN. 17, 10-11) Dio fornisce i dettagli ed aggiunge che non solo i discendenti di Abramo si devono circoncidere, ma anche lo schiavo forestiero (qui si tratta indubbiamente di un problema igienico). Quindi tutti (meno certamente uno, Mosè che imbroglierà più volte senza mai essere circonciso) gli ebrei devono essere circoncisi.. Ma la circoncisione era attestata solo in Egitto. E Geova si comporta come un dio egizio che impone un uso egizio (anche se la coerenza dei profeti, ad un certo punto, farà della circoncisione una usanza antiegizia). E Dio conclude: “Il maschio non circonciso sia eliminato (sic! n.d.r.) dal tuo popolo” [Gn. 17, 14].

        In un eccesso di generosità, dio promise la discendenza anche a Sara (vecchia e da tempo in menopausa. Abramo si mette a ridere piegandosi in due e dice che dio piuttosto faccia dei favori ad Ismaele. Ma Dio insiste e dice che Sara avrà un figlio di nome Isacco il quale …. e qui si ripetono di nuovo tutte le promesse di una terra, del benessere, eccetera. Detto questo Dio sale in alto (è la prima volta che accade nella Bibbia) e lascia Abramo. Dopodiché Abramo circoncide tutti e si circoncide.

        Abramo si mette poi a riposare nel caldo di pomeriggio e gli appare  Geova (dio chissà dove è andato). E’ così intontito che scambia Geova per tre persone (capito?). Fa accomodare queste persone, gli lava i piedi, gli ammazza un vitello, gli offre latte acido e latte fresco e quei tre, in coro, gli dissero: “’Dov’è Sara, tua moglie?’ Rispose: ‘è là nella tenda’. Geova continuò: ‘Tornerò da te tra un anno a questa data, e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio’” [Gn. 19, 9-10]. I tre si sono ritornati uno che fa  tutto ciò che già si sapeva meno il ripetere la litania delle promesse. Ora è Sara che, avendo orecchiato, ride. Ride dentro di sé, ma Geova, e come non potrebbe, se ne accorge: “Perché hai riso?” E Sara mente dicendo che non ha riso e Geova gli dice che si …. Insomma un divino battibecco. Prima di chiudere con questo episodio, il mio “capito?” era riferito a molti esegeti cristiani che hanno visto in questo la Trinità (siamo legati a pisolini pomeridiani ed a ubriacature,… che ci possiamo fare?).

        Ora, mentre nel primo racconto Dio era salito in alto, in questo secondo racconto i tre si alzano e se ne vanno su una collina a contemplare Sodoma .

        Ed ora, con l’assistenza del Dio uno e trino, i malvagi di Sodoma, tornano in scena con il proposito di Dio (o Geova o i tre che di tanto in tanto appaiono). E’ Geova che ce lo fa sapere (è tornato uno). Egli dice: “Il grido [non si sa bene di chi] contro Sodoma e Gomorra è troppo grande ed il loro peccato è molto grave: Voglio scendere e vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me: lo voglio sapere!” [Gn. 18, 20-21]. E non è certo degno di un Dio come Geova: aver sentito dire un qualcosa e per accertarsene il salire per vedere e quindi lo scendere per vedere meglio. Ma a scendere non è Geova ma sono di nuovo i tre uomini ed Abramo resta vicino a Geova dialogando in modo divertente con lui.

        E’ Abramo che inizia a parlare a Geova: “Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono 50 giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere?” [Gn. 18, 23]. Risponde il conciliante Geova: “Se a Sodoma  (non è chiaro se ora è inclusa Gomorra, n.d.r.)  troverò 50 giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò tutta la città” [Gn. 18, 26].  E  Abramo inizia il gioco: “e se ne trovi 45?”… “e se ne trovi 40?”… e se ne trovi 10?”…. Geova dice sempre che perdonerà la città. Poi se ne va, salendo in alto e Abramo si ritira a casa.. Intanto due angeli arrivarono a Sodoma sul far della sera e trovano Lot, nipote di Abramo, seduto alle porte della città. Stessa accoglienza che Abramo ha dato ai tre-uno. Ma i sodomiti che avevano visto i due angeli entrare nella casa (tenda) di Lot mostrano di essere veri sodomiti. Si affollarono davanti alla casa di Lot chiedendo dove fossero “quei due”. Chiedono a Lot di farli uscire perché volevano abusarne. Ma Lot che rispetta l’ospitalità, ha un lampo di genio e offre loro un cambio: “No, fratelli miei, non fate del male! Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori, e fate loro quel che vi piace!” [Gn. 19, 7-8]. Quelli insistono. Preferiscono i due uomini (angeli). Ma gli angeli ora si arrabbiano e con un lampo li abbagliarono, barricandosi poi in casa di Lot. Erano impauriti (?) quelli che tra un poco distruggeranno la città! Consigliano Lot di prendere la famiglia ed andarsene. Perché devono distruggere la città come gli ha detto Geova (fin qui la cosa non la si sapeva). Alle esitazioni di Lot lo spingono dicendogli di non guardare indietro (anche qui?). Gli concedono di fermarsi a Zoar, prima delle montagne.  E “Geova (non i due angeli) fece piovere dal cielo sopra Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco”. Geova approfitta nel trasformare in statua di sale la moglie di Lot che si era voltata a guardare. Al mattino Abramo va a vedere il disastro. Tutto bene a parte la moglie di Lot, persa per sempre. Lot se ne va a vivere in una grotta sulle montagne con le due figlie. E qui altre oscenità, quelle per le quali ho riportato l’intera storia.

30 Poi Lot partì da Zoar e andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di restare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie. 31 Ora la maggiore disse alla più piccola: «Il nostro padre è vecchio e non c’è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, secondo l’uso di tutta la terra. 32 Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza da nostro padre». 33 Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò. 34 All’indomani la maggiore disse alla più piccola: «Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va’ tu a coricarti con lui; così faremo sussistere una discendenza da nostro padre». 35 Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò. 36 Così le due figlie di Lot concepirono dal loro padre. 37 La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Costui è il padre dei Moabiti che esistono fino ad oggi. 38 Anche la più piccola partorì un figlio e lo chiamò «Figlio del mio popolo». Costui è il padre degli Ammoniti che esistono fino ad oggi. [Gn. 19, 30-38]

        Insomma la sodomia dovrebbe essere peccato immondo per Geova per il quale però l’incesto e la prostituzione vanno bene. E poi, questa gente continuamente ubriaca! Quelle donne, scampate ai sodomiti, che risolvono i loro problemi sessuali con il padre !

        Siamo ora tornati ad occuparci di Abramo e della sua ormai acquisita abilità di guadagnare attraverso la prostituzione della moglie Sara (che non dice nulla ed è vero oggetto nelle mani di suo marito sfruttatore. Dopo l’intermezzo di Sodoma, Abramo e la sua tribù arrivarono alla città di Gerar [circa 14 km a sud di Gaza].

1 Abramo levò le tende di là, dirigendosi nel Negheb, e si stabilì tra Kades e Sur; poi soggiornò come straniero a Gerar. 2 Siccome Abramo aveva detto della moglie Sara: «È mia sorella», Abimèlech, re di Gerar, mandò a prendere Sara. 3 Ma Dio venne da Abimèlech di notte, in sogno, e gli disse: «Ecco stai per morire a causa della donna che tu hai presa; essa appartiene a suo marito». 4 Abimèlech, che non si era ancora accostato a lei, disse: «Mio Signore, vuoi far morire anche la gente innocente? 5 Non mi ha forse detto: È mia sorella? E anche lei ha detto: È mio fratello. Con retta coscienza e mani innocenti ho fatto questo». 6 Gli rispose Dio nel sogno: «Anch’io so che con retta coscienza hai fatto questo e ti ho anche impedito di peccare contro di me: perciò non ho permesso che tu la toccassi. 7 Ora restituisci la donna di quest’uomo: egli è un profeta: preghi egli per te e tu vivrai. Ma se tu non la restituisci, sappi che sarai degno di morte con tutti i tuoi». 8 Allora Abimèlech si alzò di mattina presto e chiamò tutti i suoi servi, ai quali riferì tutte queste cose, e quegli uomini si impaurirono molto. 9 Poi Abimèlech chiamò Abramo e gli disse: «Che ci hai fatto? E che colpa ho commesso contro di te, perché tu abbia esposto me e il mio regno ad un peccato tanto grande? Tu hai fatto a mio riguardo azioni che non si fanno». 10 Poi Abimèlech disse ad Abramo: «A che miravi agendo in tal modo?». 11 Rispose Abramo: «Io mi sono detto: certo non vi sarà timor di Dio in questo luogo e mi uccideranno a causa di mia moglie. 12 Inoltre essa è veramente mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre, ed è divenuta mia moglie. 13 Allora, quando Dio mi ha fatto errare lungi dalla casa di mio padre, io le dissi: Questo è il favore che tu mi farai: in ogni luogo dove noi arriveremo dirai di me: è mio fratello». 14 Allora Abimèlech prese greggi e armenti, schiavi e schiave, li diede ad Abramo e gli restituì la moglie Sara. 15 Inoltre Abimèlech disse: «Ecco davanti a te il mio territorio: va’ ad abitare dove ti piace!». 16 A Sara disse: «Ecco, ho dato mille pezzi d’argento a tuo fratello: sarà per te come un risarcimento di fronte a quanti sono con te. Così tu sei in tutto riabilitata». 17 Abramo pregò Dio e Dio guarì Abimèlech, sua moglie e le sue serve, sì che poterono ancora partorire. 18 Perché il Signore aveva reso sterili tutte le donne della casa di Abimèlech, per il fatto di Sara, moglie di Abramo.

        E’ una storia vergognosa che si ripete con l’unica variante della cortesia che Dio fa ad Abimèlech, quella cioè di avvertirlo. Dopodiché Abramo viene sempre fatto oggetto di doni ai quali anche Sara può accedere. Una bella famiglia ed un Dio giusto che, per quello che combina il lenone Abramo, punisce tutte le donne di quel regno rendendole sterili. Che senso etico o morale abbia tutto ciò è ignoto a coloro che usano un poco il cervello. Se poi si riflette a quello che si dovrebbe leggere con attenzione, si trova che Abramo è d’accordo con Sara per ogni luogo delle loro peregrinazioni (il favore che tu mi farai: in ogni luogo dove noi arriveremo)Si tratta cioè di una coppia di imbroglioni e bugiardi ma nelle grazie del Signore. Un possibile insegnamento da trarre è che non importa quale condotta una persona abbia per essere una buona e brava persona e poter quindi accedere al Regno dei Cieli, l’importante è andare a genio al Signore, qualunque cosa e/o nefandezza si sia fatta. Se si rileggono i Comandamenti sotto questa luce ci si rende conto che sono delle colossali prese in giro.

ISACCO, SULLE ORME DEL PADRE

        Geova, tra una distrazione ed un’altra, aveva promesso ad Abramo che Sara, nonostante fosse sterile, avrebbe avuto un figlio:

16 «Io benedirò [Sara] e anche da lei ti darò un figlio [oltre ad Ismaele avuto con Agar]; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei».
17 Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: «Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novanta anni potrà partorire?». 18 Abramo disse a Dio: «Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!». 19 E Dio disse: «No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio suo e della sua discendenza dopo di lui. [Gn. 17, 16-19]

Così naturalmente fu e Sara concepì Isacco.

1 Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. 2 Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. 3 Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. 4 Abramo circoncise suo figlio Isacco, quando questi ebbe otto giorni, come Dio gli aveva comandato. 5 Abramo aveva cento anni, quando gli nacque il figlio Isacco. 6 Allora Sara disse: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà sorriderà di me!». 7 Poi disse: «Chi avrebbe mai detto ad Abramo: Sara deve allattare figli! Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!». [Gn. 21, 1-7]

        Quando Isacco ebbe 40 anni Abramo, che continuava in buona salute ai suoi 140 anni, pensò di sposarlo e, come si conviene ad una persona ormai di alto rango (ricco), mandò un suo servo a cercargli la sposa adatta. Ricordiamo ora che: Abramo proviene, con il padre Terach ed i fratelli, da Ur dei Caldei; che si era fermato a Carran (Siria) sulla via di Canaan sua meta ultima e patria definitiva. Ma subito dopo Geova, distratto, aveva detto che la patria di Abramo era Carran e questa cosa viene confermata. Il servo di Abramo parte con dieci cammelli, scorta e regali in cerca di moglie per Isacco. Vi è qui una storia che si ripete in tutte le letterature: il servo va ad una fonte ed una bella ragazza che si avvicina con un’anfora per dargli da bere. E’ Rebecca, figlia di Betuél, fratello di Abramo (piccolo il mondo, eh?),  e quindi cugina di Isacco (ma della stessa gente). La Bibbia ci assicura che era vergine e noi ci crediamo. Il servo per ingraziarsela, non sapendo chi fosse, le mette un anello al naso (come d’ uso) e le regala un bracciale. Saputo poi chi era, si inginocchia per ringraziare Geova (una specie di partita di giro ottenuta con i soldi che Sara ha procurato a partire dall’Egitto). Rebecca corre a casa con il servo e racconta al fratello Làbano ogni cosa. Il servo parla dello scopo del viaggio e delle ricchezze di Abramo. Non c’è dubbio, Làbano e l’improvvisamente comparso Betuél accettano benedicendo Rebecca: “Tu, sorella nostra (ma anche figlia o vi è un altro pasticcio del profeta, n.d.r.), diventa migliaia di miriadi e la tua stirpe conquisti la porta dei suoi nemici” [Gn. 24, 60] Fu così che Isacco prese in sposa Rebecca e l’amò.

        La grande fantasia dei profeti e dei patriarchi ci fa subito dopo leggere le avventure assolutamente inedite di Isacco.

1 Venne una carestia nel paese oltre la prima che era avvenuta ai tempi di Abramo, e Isacco andò a Gerar presso Abimèlech, re dei Filistei [alcuni biblisti sostengono che questo non sia il medesimo personaggio che abbiamo incontrato con Abramo. Probabilmente si tratta del figlio]. 2 Gli apparve il Signore e gli disse: «Non scendere in Egitto, abita nel paese che io ti indicherò. 3 Rimani in questo paese e io sarò con te e ti benedirò, perché a te e alla tua discendenza io concederò tutti questi territori, e manterrò il giuramento che ho fatto ad Abramo tuo padre. 4 Renderò la tua discendenza numerosa come le stelle del cielo e concederò alla tua discendenza tutti questi territori: tutte le nazioni della terra saranno benedette per la tua discendenza; 5 per il fatto che Abramo ha obbedito alla mia voce e ha osservato ciò che io gli avevo prescritto: i miei comandamenti, le mie istituzioni e le mie leggi».
6 Così Isacco dimorò in Gerar. 7 Gli uomini del luogo lo interrogarono intorno alla moglie ed egli disse: «È mia sorella»; infatti aveva timore di dire: «È mia moglie», pensando che gli uomini del luogo lo uccidessero per causa di Rebecca, che era di bell’aspetto.
8 Era là da molto tempo, quando Abimèlech, re dei Filistei, si affacciò alla finestra e vide Isacco scherzare con la propria moglie Rebecca. 9 Abimèlech chiamò Isacco e disse: «Sicuramente essa è tua moglie. E perché tu hai detto: È mia sorella?». Gli rispose Isacco: «Perché mi son detto: io non muoia per causa di lei!». 10 Riprese Abimèlech: «Che ci hai fatto? Poco ci mancava che qualcuno del popolo si unisse a tua moglie e tu attirassi su di noi una colpa». 11 Abimèlech diede quest’ordine a tutto il popolo: «Chi tocca questo uomo o la sua moglie sarà messo a morte!».
12 Poi Isacco fece una semina in quel paese e raccolse quell’anno il centuplo. Il Signore infatti lo aveva benedetto. 13 E l’uomo divenne ricco e crebbe tanto in ricchezze fino a divenire ricchissimo: 14 possedeva greggi di piccolo e di grosso bestiame e numerosi schiavi e i Filistei cominciarono ad invidiarlo.  [Gn. 26, 1-14]

        Cosa possiamo ricavare da questo edificante racconto ? Dio ripete infinite volte le sue promesse ai rappresentanti del suo popolo. Costoro continuano a mentire a fare i vigliacchi ed a profittare delle loro mogli che o non dicono nulla accettando di buon grado la situazione. Dio è sempre pronto a punire chi crede davvero che queste donne siano “sorelle”. Isacco, come Abramo, si arricchisce sulle spalle della moglie e Geova è felice al punto di benedirlo. Le donne dei primi patriarchi sembrerebbero sempre molto ben disposte ad accondiscendere i desideri di chiunque. Non riesco a pensare ad una tale generale facilità di costumi nelle donne del popolo di Israele.

LE GESTA DI GIACOBBE IN COMBUTTA CON GEOVA

        La storia segue con la progenie di Isacco e Rebecca. Costei era, come no?, sterile e generò Esaù e Giacobbe per intervento di Geova.

21 Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché essa era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta. 22 Ora i figli si urtavano nel suo seno ed essa esclamò: «Se è così, perché questo?». Andò a consultare il Signore. 23 Il Signore le rispose:
«Due nazioni sono nel tuo seno
e due popoli dal tuo grembo si disperderanno;
un popolo sarà più forte dell’altro
e il maggiore servirà il più piccolo». [Gn. 25, 21-23]

        Già tutto deciso in questo consulto con il Signore. Già Egli, l’Onniscente, sapeva che il più piccolo dei gemelli, Giacobbe, avrebbe avuto la primogenitura su Esaù. L’imbroglio di Giacobbe è noto anche ai bambini: Esaù lavoratore e cacciatore instancabile tornava a casa affamato e cedette la primogenitura a Giacobbe per un piatto che quest’ultimo aveva cucinato:

29 Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. 30 Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito». Per questo fu chiamato Edom. 31 Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura». 32 Rispose Esaù: «Ecco sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?». 33 Giacobbe allora disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. 34 Giacobbe diede ad Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura.  [Gn. 25, 29-34]

        Da questa piccola storia viene fuori un grande insegnamento: Dio preferisce i furbi. E se uno dovesse capire che è conveniente rapinare un familiare, ci troveremmo con una drastica riduzione dei furti verso terze persone. Non si creda comunque che quel truffatore di Giacobbe abbia finito qui ! Egli in accordo con la madre complotterà ancora contro Esaù ed Isacco, il piatto di lenticchie non era che l’inizio.

        Viene ora (in Genesi 1-31) un inganno nei riguardi di Isacco morente da parte di Rebecca e Giacobbe, complici. Isacco è vecchio, morente, rimbambito e semicieco. Chiama Esaù esperto cacciatore e gli chiede se gli può procurare un buon piatto di selvaggina. Esaù parte per cacciare ma Rebecca che origliava (la Bibbia è sempre maestra di sani comportamenti), avverte Giacobbe e insieme prendono un capretto, lei lo cucina “alla cacciatora” (perché sembri selvaggina) poi riveste Giacobbe con il vello del capretto  (Esaù era peloso fin dalla nascita) ed invia questi da Isacco con il piatto cucinato. Riesce ad ingannarlo anche mentendo spudoratamente. Al padre che gli chiede esplicitamente se era Esaù egli risponde SI. Ed Isacco, ingannato in tal modo, dopo aver ben mangiato e bevuto benedice Giacobbe credendolo Esaù: “Ecco l’odore di mio figlio come l’odore di un campo che Geova ha benedetto. Dio ti conceda rugiada dal cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto. Ti servano i popoli e si prostrino davanti a te le genti. Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto” [Gn. 27, 27-29]. E, definitivamente, un capretto alla cacciatora, decide la sorte dei popoli.

        Ma torna Esaù con la cacciagione ed Isacco fu colto da un fortissimo tremito, si accorge di essere stato truffato ma (questa è bella!) non può fare più nulla. Dice che ormai ha benedetto e maledetto e non si può tornare indietro. Nonostante le amarissime e giustificatissime grida di Esaù, il padre Isacco addirittura aggiunge sale alle ferite: “Ecco, lungi dalle terre grasse sarà la tua sede, e lungi dalla rugiada del cielo dall’alto. Vivrai della tua spada e servirai tuo fratello…” [Gn. 27, 39-40). Da Esaù discendono gli idumei che vivono nel deserto. Saranno questi quelli che più di altri, come dice l’evangelista Marco (Mc. 3, 8),  cercheranno il Gesù (una vendetta, annunciata da due strani versi di Isacco? Questi dice infatti ad Esaù: “Quando ti riscuoterai, spezzerai il suo giogo dal tuo collo”). Qui Rebecca agisce in modo da mettere i gemelli l’un contro l’altro. Dice a Giacobbe di fuggire perché Esaù lo vuole uccidere. Ed egli, il vincitore, fuggì a Carran dal fratello di Rebecca, Làbano. Ma anche qui vi è un’altra storia che si interseca con la prima.  Giacobbe va a Carran per volere di Isacco e lì si ripete la storia del matrimonio del padre con una cuginetta con la differenza che ora non vi è sensale. Analogamente Esaù sposa una cuginetta figlia di quell’Ismaele nato dall’unione di Abramo con l’egiziana Agar. Durante il viaggio comunque Geova gli si presenta (ha accettato di buon grado l’imbroglio) e gli dice: “Io sono Geova, il dio di Abramo tuo padre [ma non era il nonno? n.d.r.] ed il dio di Isacco” [Gn. 28, 13]. A questo punto poiché qui abbiamo una ripetizione di un discorso fatto più volte viene proprio naturale affermare che questo è un Dio di una sola persona e della sua complicata e furbesca discendenza, è un Dio che sta bene in una visione politeista. Naturalmente Geova rifà (è a questo punto la nona volta) la promessa di quelle terre ripetendo ogni sinfonia oltreché genealogia. Giacobbe si sveglia e riconosce in Geova il suo dio (cosa stupefacente pensando che era stato educato in casa di Isacco). Si rifà l’alleanza e così sia.

        Quale insegnamento traiamo ? Ingannare il padre e rubare al fratello è un ottimo affare che Dio benedice. E per chi non se ne fosse ancora convinto, la Parola di Dio segue con le vicende successive del bugiardo, ladro e traditore, Giacobbe che continua imperterrito a rubare, questa volta a suo zio Labano.

        In breve la sequenza riguarda Giacobbe che scappa su consiglio della madre per evitare le ire di Esaù. La stessa madre gli consiglia di rifugiarsi dal fratello Làbano. Prima della partenza il padre Isacco, davvero rimbambito se non ricorda cosa è accaduto pochissimo tempo prima, benedice suo figlio dandogli dei consigli tra cui quello di non prendere una moglie di Canaan:

1 Allora Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede questo comando: «Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan. 2 Su, va’ in Paddan-Aram, nella casa di Betuèl, padre di tua madre, e prenditi di là la moglie tra le figlie di Làbano, fratello di tua madre. 3 Ti benedica Dio onnipotente, ti renda fecondo e ti moltiplichi, sì che tu divenga una assemblea di popoli. 4 Conceda la benedizione di Abramo a te e alla tua discendenza con te, perché tu possieda il paese dove sei stato forestiero, che Dio ha dato ad Abramo». 5 Così Isacco fece partire Giacobbe, che andò in Paddan-Aram presso Làbano, figlio di Betuèl, l’Arameo, fratello di Rebecca, madre di Giacobbe e di Esaù. 6 Esaù vide che Isacco aveva benedetto Giacobbe e l’aveva mandato in Paddan-Aram per prendersi una moglie di là e che, mentre lo benediceva, gli aveva dato questo comando: «Non devi prender moglie tra le Cananee».  [Gn. 28, 1-6]

Giacobbe si mise in marcia ed arrivò in Paddan-Aram, presso la casa di suo nonno e suo zio:

13 Quando Làbano seppe che era Giacobbe, il figlio di sua sorella, gli corse incontro, lo abbracciò, lo baciò e lo condusse nella sua casa. Ed egli raccontò a Làbano tutte le sue vicende. 14 Allora Làbano gli disse: «Davvero tu sei mio osso e mia carne!». Così dimorò presso di lui per un mese.
15 Poi Làbano disse a Giacobbe: «Poiché sei mio parente, mi dovrai forse servire gratuitamente? Indicami quale deve essere il tuo salario». 16 Ora Làbano aveva due figlie; la maggiore si chiamava Lia e la più piccola si chiamava Rachele. 17 Lia aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella di forme e avvenente di aspetto, 18 perciò Giacobbe amava Rachele. Disse dunque: «Io ti servirò sette anni per Rachele, tua figlia minore». 19 Rispose Làbano: «Preferisco darla a te piuttosto che a un estraneo. Rimani con me». 20 Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei. 21 Poi Giacobbe disse a Làbano: «Dammi la mia sposa, perché il mio tempo è compiuto e voglio unirmi a lei». 22 Allora Làbano radunò tutti gli uomini del luogo e diede un banchetto. 23 Ma quando fu sera, egli prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei. 24 Làbano diede la propria schiava Zilpa alla figlia Lia, come schiava. 25 Quando fu mattina… ecco era Lia! Allora Giacobbe disse a Làbano: «Che mi hai fatto? Non è forse per Rachele che sono stato al tuo servizio? Perché mi hai ingannato?». 26 Rispose Làbano: «Non si usa far così nel nostro paese, dare, cioè, la più piccola prima della maggiore. 27 Finisci questa settimana nuziale, poi ti darò anche quest’altra per il servizio che tu presterai presso di me per altri sette anni». 28 Giacobbe fece così: terminò la settimana nuziale e allora Làbano gli diede in moglie la figlia Rachele. 29 Làbano diede alla figlia Rachele la propria schiava Bila, come schiava. 30 Egli si unì anche a Rachele e amò Rachele più di Lia. Fu ancora al servizio di lui per altri sette anni.
31 Ora il Signore, vedendo che Lia veniva trascurata, la rese feconda, mentre Rachele rimaneva sterile.  [Gn. 29, 13-31]

        Si rifletta su questo brano. Cosa vuol dire ? Beghe familiari, inganni da miserabili che rappresentano la Parola di Dio ? Quale sarebbe l’insegnamento ? Oltre al fatto che i personaggi maschili della Bibbia non sono quasi mai in grado di capire con chi hanno rapporti sessuali e che le donne sono sempre lì disponibili a tutto.

        Così Giacobbe si ritrova con due mogli (e 14 anni di lavoro per lo zio) e ciò, naturalmente, sarà fonte di rivalità, anche perché Giacobbe amava dilettarsi anche con le schiave. Dopo qualche tempo si ritrovò con 12 figli maschi, così distribuiti: 7, tra cui l’ultima femmina, con Lia (Ruben, Simeone, Levi, Giuda i primi quattro), 2 da Bilha, schiava di Rachele, due da Zilpa schiava di Lia, e 2 soli da Rachele (dei quali due, il secondo, molto tardi). Da questi dodici maschi discenderanno, con i soliti pasticci del profeta, le dodici tribù di Israele (nome che ancora non esiste). A differenza dei discendenti di Abramo, tutta la discendenza di Giacobbe sarà considerata ebrea, anche se nata da mescolanze con schiavi. Non sono invece considerati ebrei i figli dell’ultralegittimo Esaù. Con Rachele vi furono solo due figli perché, in origine, era sterile e si lamentava con Giacobbe di questa disgrazia:

1 Rachele, vedendo che non le era concesso di procreare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, se no io muoio!». 2 Giacobbe s’irritò contro Rachele e disse: «Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?». 3 Allora essa rispose: «Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch’io una mia prole per mezzo di lei». 4 Così essa gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei. 5 Bila concepì e partorì a Giacobbe un figlio. 6 Rachele disse: «Dio mi ha fatto giustizia e ha anche ascoltato la mia voce, dandomi un figlio». Per questo essa lo chiamò Dan. 7 Poi Bila, la schiava di Rachele, concepì ancora e partorì a Giacobbe un secondo figlio. 8 Rachele disse: «Ho sostenuto contro mia sorella lotte difficili e ho vinto!». Perciò lo chiamò Nèftali. [Gn. 30, 1-8]

Qui iniziano altri odi tra mogli ed amanti perché Lia, vedendo che con lei Giacobbe non aveva più figli, le inviò la sua schiava Zilpa:

9 Allora Lia, vedendo che aveva cessato di aver figli, prese la propria schiava Zilpa e la diede in moglie e Giacobbe. 10 Zilpa, la schiava di Lia, partorì a Giacobbe un figlio. 11 Lia disse: «Per fortuna!» e lo chiamò Gad. 12 Poi Zilpa, la schiava di Lia, partorì un secondo figlio a Giacobbe. 13 Lia disse: «Per mia felicità! Perché le donne mi diranno felice». Perciò lo chiamò Aser.  [Gn. 30, 9-13]

        La consequenzialità logica delle espressioni di Lia al nascere dei figli di Zilpa mi sfugge Così come non è comprensibile il perché Lia invii Zilpa da Giacobbe quando questi aveva smesso di avere figli con lei. Ma tant’è, Sembra proprio che al chiudersi della Genesi vi sia una gran frenesia di generare bambini per quelle promesse di Geova che volevano il crescere tumultuoso del suo popolo. E le nascite non terminano qui, anche i figli di Giacobbe iniziano la trafila, ad iniziare da Ruben.

        Ruben, figlio maggiore di Giacobbe e Lia, coglie delle mandragole (frutto afrodisiaco conosciuto da secoli ed anche da Machiavelli) e zia Rachele gliene chiede. Interviene mamma Lia per ripetere la solita litigata in famiglia. Lia dice a Rachele che già gli ha voluto togliere il marito e che ora tenta di rubargli anche le mandragole (interessante l’assimilazione di marito e mandragola ed anche l’argomento del marito rubato, n.d.r.). Rachele risponde che gli concede di coricarsi con Giacobbe quella notte in cambio delle mandragole. E chi ha l’afrodisiaco va a letto sola, chi non lo ha va a letto in compagnia. Il figlio concepito quella notte tra Lia e Giacobbe, il quinto, Issacar, risulterà però deboluccio e scomparirà dalle tribù di Israele finendo tra i cananiti dove resterà. E nessuno si preoccupi per le 12 tribù, si conserveranno lo stesso per altra via! Leggiamo direttamente dalla Bibbia:

14 Al tempo della mietitura del grano, Ruben uscì e trovò mandragore, che portò alla madre Lia. Rachele disse a Lia: «Dammi un po’ delle mandragore di tuo figlio». 15 Ma Lia rispose: «È forse poco che tu mi abbia portato via il marito perché voglia portar via anche le mandragore di mio figlio?». Riprese Rachele: «Ebbene, si corichi pure con te questa notte, in cambio delle mandragore di tuo figlio». 16 Alla sera, quando Giacobbe arrivò dalla campagna, Lia gli uscì incontro e gli disse: «Da me devi venire, perché io ho pagato il diritto di averti con le mandragore di mio figlio» [a questo puinto siamo ! Giacobbe è un gigolò che ha rapporti a pagamento]. Così egli si coricò con lei quella notte. 17 Il Signore esaudì Lia, la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio. 18 Lia disse: «Dio mi ha dato il mio salario, per avere io dato la mia schiava a mio marito». Perciò lo chiamò Issacar. 19 Poi Lia concepì e partorì ancora un sesto figlio a Giacobbe. 20 Lia disse: «Dio mi ha fatto un bel regalo: questa volta mio marito mi preferirà, perché gli ho partorito sei figli». Perciò lo chiamò Zàbulon. 21 In seguito partorì una figlia e la chiamò Dina.
22 Poi Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda. 23 Essa concepì e partorì un figlio e disse: «Dio ha tolto il mio disonore». 24 E lo chiamò Giuseppe dicendo: «Il Signore mi aggiunga un altro figlio!». [Gn. 30, 14-24]

       Giacobbe decide di tornare nelle terre da cui era scappato per non incorrere nell’ira di Esaù e, prima della sua partenza, Làbano gli chiede quanto gli deve (il profeta dimentica che Giacobbe doveva restare a lavorare per 14 anni con la mercede già avuta, le due mogli ma, entrati in questa logica, occorre solo osservare che Làbano si era accorto dell’alleanza tra Geova e Giacobbe). 

25 Dopo che Rachele ebbe partorito Giuseppe, Giacobbe disse a Làbano: «Lasciami andare e tornare a casa mia, nel mio paese. 26 Dammi le mogli, per le quali ti ho servito, e i miei bambini perché possa partire: tu conosci il servizio che ti ho prestato». 27 Gli disse Làbano: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi… Per divinazione ho saputo che il Signore mi ha benedetto per causa tua». 28 E aggiunse: «Fissami il tuo salario e te lo darò».  [Gn. 30, 25-28]

        Giacobbe dice: “nulla” ma aggiunge in modo dimesso che si accontenta delle pecore nere o chiazzate del gregge (generalmente una piccola percentuale). E qui prepara l’imbroglio allo zio suocero. Scortica, in modo che mostrino parte di anima bianca, rami di platano, pioppo e mandorlo. Li mette vicino all’abbeveratoio (e qui il profeta ci dice una cosa che mi pare fantastica nel fantastico) in modo che le pecore concepiscano agnelli con le “voglie” di chiazzature. Nascono tanti agnelli neri e chiazzati e Giacobbe se ne va fregando il meglio del gregge allo zio suocero.

43 Egli si arricchì oltre misura e possedette greggi in grande quantità, schiave e schiavi, cammelli e asini.  [Gn. 30, 43]

        Siamo ad una genetica molto avanzata che viene praticata da Geova e dal suo assistente Giacobbe. Viene dato come fatto naturale e non come prodigio o miracolo. Saranno San Crisostomo e San Teodoreto, ambedue di Antiochia, che diranno trattarsi di miracolo contro l’opinione di San Geronimo, San Isidoro e Sant’Agostino che affermeranno trattarsi di mero fatto naturale. Poiché è certo che di fatto naturale non si tratta deve trattarsi di miracolo ma, in tal caso, l’imbroglio di Giacobbe nei riguardi di Labano è stato realizzato da Dio. Ed è tanto vera questa complicità che più oltre leggiamo:

11 L’angelo di Dio mi disse in sogno: Giacobbe! Risposi: Eccomi. 12 Riprese: Alza gli occhi e guarda: tutti i capri che montano le bestie sono striati, punteggiati e chiazzati, perché ho visto quanto Làbano ti fa. 13 Io sono il Dio di Betel, dove tu hai unto una stele e dove mi hai fatto un voto. Ora alzati, parti da questo paese e torna nella tua patria!». 14 Rachele e Lia gli risposero: «Abbiamo forse ancora una parte o una eredità nella casa di nostro padre? 15 Non siamo forse tenute in conto di straniere da parte sua, dal momento che ci ha vendute e si è anche mangiato il nostro danaro? 16 Tutta la ricchezza che Dio ha sottratto a nostro padre è nostra e dei nostri figli. Ora fa’ pure quanto Dio ti ha detto».
17 Allora Giacobbe si alzò, caricò i figli e le mogli sui cammelli 18 e condusse via tutto il bestiame e tutti gli averi che si era acquistati, il bestiame che si era acquistato in Paddan-Aram, per ritornare da Isacco, suo padre, nel paese di Canaan. 19 Làbano era andato a tosare il gregge e Rachele rubò gli idoli che appartenevano al padre. 20 Giacobbe eluse l’attenzione di Làbano l’Arameo, non avvertendolo che stava per fuggire; 21 così potè andarsene con tutti i suoi averi. Si alzò dunque, passò il fiume [Eufrate, ndr] e si diresse verso le montagne di Gàlaad.  [Gn. 31, 11-21]

Dio qui aiuta Giacobbe, ladro ed imbroglione ai danni della sua famiglia, a scappare. E’ però preoccupato dell’ira di Labano ed allora:

24 Ma Dio venne da Làbano l’Arameo in un sogno notturno e gli disse: «Bada di non dir niente a Giacobbe, proprio nulla!». 25 Làbano andò dunque a raggiungere Giacobbe; ora Giacobbe aveva piantato la tenda sulle montagne e Làbano si era accampato con i parenti sulle montagne di Gàlaad. 26 Disse allora Làbano a Giacobbe: «Che hai fatto? Hai eluso la mia attenzione e hai condotto via le mie figlie come prigioniere di guerra! 27 Perché sei fuggito di nascosto, mi hai ingannato e non mi hai avvertito? Io ti avrei congedato con festa e con canti, a suon di timpani e di cetre! 28 E non mi hai permesso di baciare i miei figli e le mie figlie! Certo hai agito in modo insensato. 29 Sarebbe in mio potere di farti del male, ma il Dio di tuo padre mi ha parlato la notte scorsa: Bada di non dir niente a Giacobbe, né in bene né in male! 30 Certo, sei partito perché soffrivi di nostalgia per la casa di tuo padre; ma perché mi hai rubato i miei dèi?». 31 Giacobbe rispose a Làbano e disse: «Perché avevo paura e pensavo che mi avresti tolto con la forza le tue figlie. 32 Ma quanto a colui presso il quale tu troverai i tuoi dèi, non resterà in vita! Alla presenza dei nostri parenti riscontra quanto vi può essere di tuo presso di me e prendilo». Giacobbe non sapeva che li aveva rubati Rachele. 33 Allora Làbano entrò nella tenda di Giacobbe e poi nella tenda di Lia e nella tenda delle due schiave, ma non trovò nulla. Poi uscì dalla tenda di Lia ed entrò nella tenda di Rachele. 34 Rachele aveva preso gli idoli e li aveva messi nella sella del cammello, poi vi si era seduta sopra, così Làbano frugò in tutta la tenda, ma non li trovò. 35 Essa parlò al padre: «Non si offenda il mio signore se io non posso alzarmi davanti a te, perché ho quello che avviene di regola alle donne». Làbano cercò dunque in tutta la tenda e non trovò gli idoli.  [Gn. 31, 26-35]

        In definitiva Giacobbe scappa con le pecore e, per buon peso, Rachele si porta via  gli idoli (forse una specie di reliquie degli antenati) del padre. Il padre, non trovati gli idoli, rifà pace con Giacobbe, alzano insieme un muro di pietre e concordano che sia il confine tra le loro terre giurando Làbano sul dio di Abramo ed il dio di Nacor, e Giacobbe sul terrore di suo padre Isacco (dèi diversi ed entità strane). Nella Bibbia vi sono molti dei ed i patriarchi non se ne accorgono ed i profeti non ne fanno mistero, salvo il fatto che tutti dicono di avere un solo dio. 

        Alla fine di questa truffa organizzata in divina società, Geova non può fare a meno di congratularsi con il suo complice Giacobbe:

9 Dio apparve un’altra volta a Giacobbe, quando tornava da Paddan-Aram, e lo benedisse. 10 Dio gli disse:
«Il tuo nome è Giacobbe.
Non ti chiamerai più Giacobbe,
ma Israele sarà il tuo nome».
Così lo si chiamò Israele. 11 Dio gli disse:
«Io sono Dio onnipotente.
Sii fecondo e diventa numeroso,
popolo e assemblea di popoli
verranno da te,
re usciranno dai tuoi fianchi.
12 Il paese che ho concesso
ad Abramo e a Isacco
darò a te
e alla tua stirpe dopo di te
darò il paese».  [Gn. 35, 9-12]

        Quale insegnamento possiamo trarre da questi episodi edificanti e Parola di Dio ? Si può rubare ai familiari non avendo paura di peccare, la cosa si può fare ed è pure benedetta da Dio.

DIO CONSIDERA UOMINI GIUSTI COLORO CHE OFFRONO FIGLIE E MOGLI  A TURPI VIOLENZE SESSUALI


        Alcune pagine indietro ho accennato a Lot, nipote di Abramo, in una storia che si svolge fuori le mura di Sodoma. Il racconto merita di essere ripreso per rendersi conto come la Parola di Dio consideri le donne: carne da macello utile per divertirsi e per essere scambiata. Questa considerazione per la donna è già emersa nella pratica di Abramo ed Isacco di prostituire le mogli, vediamo ora questa barbarie con maggiori dettagli attingendo, come no ?, ancora dalla Bibbia. Dio in forma umana, accompagnato da due angeli anch’essi in forma umana, si presenta ad Abramo (1 Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. 2 Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, Gn. 18, 1-2) e discute con lui. Tra l’altro, rivolgendosi ad Abramo: 20 Disse allora il Signore: «Il grido contro Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. 21 Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». 22 Quegli uomini partirono di lì e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora davanti al Signore (Gn. 18, 20-22).   

1 I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. 2 E disse: «Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada». Quelli risposero: «No, passeremo la notte sulla piazza». 3 Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi e così mangiarono. 4 Non si erano ancora coricati, quand’ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. 5 Chiamarono Lot e gli dissero: «Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!». 6 Lot uscì verso di loro sulla porta e, dopo aver chiuso il battente dietro di sé, 7 disse: «No, fratelli miei, non fate del male! 8 Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all’ombra del mio tetto». 9 Ma quelli risposero: «Tirati via! Quest’individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!». E spingendosi violentemente contro quell’uomo, cioè contro Lot, si avvicinarono per sfondare la porta. 10 Allora dall’interno quegli uomini sporsero le mani, si trassero in casa Lot e chiusero il battente; 11 quanto agli uomini che erano alla porta della casa, essi li colpirono con un abbaglio accecante dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta. [Gn. 19, 1-11]

        Poiché Lot aveva a che fare con dei sodomiti interessati a due apparenti uomini o giovinetti (gli angeli) poteva offrirsi magnificando le sue doti. Ma no. Offre le uniche due figlie giovani e vergini e non già ad una o due persone ma ad un’intera masnada. Poteva anche pensare di imporre la sua persona a difesa materiale dei due. Ma anche questo neppure sfiora la mente dell’orrido personaggio. Insomma un vero essere da cui guardarsi. Tra l’altro il Dio smemorato neppure ricorda uno dei suoi comandamenti:

29 Non profanare tua figlia, prostituendola, perché il paese non si dia alla prostituzione e non si riempia di infamie. [Lv. 19, 29]

       Si può pensare che Lot sia un vile e che sia anche repellente fisicamente, tanto che non interessa i sodomiti. Resta l’insegnamento di Dio: le donne possono essere violentate a piacere per salvare qualche uomo che rifiuta di offrire le sue grazie.

        Ma questa storia edificante non è l’unica nella Bibbia. Nei Giudici ne troviamo un’altra in cui due uomini offrono una donna per evitare che un uomo sia sodomizzato. Il primo offre alla banda di sodomizzatori eccitati sua figlia dicendo loro che possono violentarla e sottometterla a qualsiasi perversione. L’altro, colui che era l’oggetto del desiderio dei sodomiti, per evitare di essere sottoposto a questa tortura, offrì ai sodomizzatori sua moglie che fu violentata e maltrattata per una notte intera fino ad essere ammazzata. La cosa non è chiarissima ma sembra sia stato il marito ad ammazzarla, tagliandola a pezzi da inviare poi in tutti i territori di Israele. Ma leggiamo la Parola di Dio:

1 In quel tempo, quando non c’era un re in Israele, un levita, il quale dimorava all’interno delle montagne di Efraim, si prese per concubina una donna di Betlemme di Giuda. 2 Ma la concubina in un momento di collera lo abbandonò, tornando a casa del padre a Betlemme di Giuda e vi rimase per quattro mesi. 3 Suo marito si mosse e andò da lei per convincerla a tornare. Aveva preso con sé il suo servo e due asini. Ella lo condusse in casa di suo padre; quando il padre della giovane lo vide, gli andò incontro con gioia. 4 Suo suocero, il padre della giovane, lo trattenne ed egli rimase con lui tre giorni; mangiarono e bevvero e passarono la notte in quel luogo. 5 Il quarto giorno si alzarono di buon’ora e il levita si disponeva a partire. Il padre della giovane disse: «Prendi un boccone di pane per ristorarti; poi, ve ne andrete». 6 Così sedettero tutti e due insieme e mangiarono e bevvero. Poi il padre della giovane disse al marito: «Accetta di passare qui la notte e il tuo cuore gioisca». 7 Quell’uomo si alzò per andarsene; ma il suocero fece tanta insistenza che accettò di passare la notte in quel luogo. 8 Il quinto giorno egli si alzò di buon’ora per andarsene e il padre della giovane gli disse: «Rinfràncati prima». Così indugiarono fino al declinare del giorno e mangiarono insieme. 9 Quando quell’uomo si alzò per andarsene con la sua concubina e con il suo servo, il suocero, il padre della giovane, gli disse: «Ecco, il giorno volge ora a sera; state qui questa notte; ormai il giorno sta per finire; passa la notte qui e il tuo cuore gioisca; domani vi metterete in viaggio di buon’ora e andrai alla tua tenda».
10 Ma quell’uomo non volle passare la notte in quel luogo; si alzò, partì e giunse di fronte a Iebus, cioè Gerusalemme, con i suoi due asini sellati, con la sua concubina e il servo.
11 Quando furono vicino a Iebus, il giorno era di molto calato e il servo disse al suo padrone: «Vieni, deviamo il cammino verso questa città dei Gebusei e passiamovi la notte». 12 Il padrone gli rispose: «Non entreremo in una città di stranieri, i cui abitanti non sono Israeliti, ma andremo oltre, fino a Gàbaa». 13 Aggiunse al suo servo: «Vieni, raggiungiamo uno di quei luoghi e passeremo la notte a Gàbaa o a Rama». 14 Così passarono oltre e continuarono il viaggio; il sole tramontava, quando si trovarono di fianco a Gàbaa, che appartiene a Beniamino. Deviarono in quella direzione per passare la notte a Gàbaa. 15 Il levita entrò e si fermò sulla piazza della città; ma nessuno li accolse in casa per passare la notte. 16 Quand’ecco un vecchio che tornava la sera dal lavoro nei campi; era un uomo delle montagne di Efraim, che abitava come forestiero in Gàbaa, mentre invece la gente del luogo era beniaminita. 17 Alzati gli occhi, vide quel viandante sulla piazza della città. Il vecchio gli disse: «Dove vai e da dove vieni?». 18 Quegli rispose: «Andiamo da Betlemme di Giuda fino all’estremità delle montagne di Efraim. Io sono di là ed ero andato a Betlemme di Giuda; ora mi reco alla casa del Signore, ma nessuno mi accoglie sotto il suo tetto. 19 Eppure abbiamo paglia e foraggio per i nostri asini e anche pane e vino per me, per la tua serva e per il giovane che è con i tuoi servi; non ci manca nulla». 20 Il vecchio gli disse: «La pace sia con te! Prendo a mio carico quanto ti occorre; non devi passare la notte sulla piazza». 21 Così lo condusse in casa sua e diede foraggio agli asini; i viandanti si lavarono i piedi, poi mangiarono e bevvero. 22 Mentre aprivano il cuore alla gioia ecco gli uomini della città, gente iniqua, circondarono la casa, bussando alla porta, e dissero al vecchio padrone di casa: «Fa’ uscire quell’uomo che è entrato in casa tua, perché vogliamo abusare di lui». 23 Il padrone di casa uscì e disse loro: «No, fratelli miei, non fate una cattiva azione; dal momento che quest’uomo è venuto in casa mia, non dovete commettere questa infamia! 24 Ecco mia figlia che è vergine, io ve la condurrò fuori, abusatene e fatele quello che vi pare; ma non commettete contro quell’uomo una simile infamia». 25 Ma quegli uomini non vollero ascoltarlo. Allora il levita afferrò la sua concubina e la portò fuori da loro. Essi la presero e abusarono di lei tutta la notte fino al mattino; la lasciarono andare allo spuntar dell’alba. 26 Quella donna sul far del mattino venne a cadere all’ingresso della casa dell’uomo, presso il quale stava il suo padrone e là restò finché fu giorno chiaro. 27 Il suo padrone si alzò alla mattina, aprì la porta della casa e uscì per continuare il suo viaggio; ecco la donna, la sua concubina, giaceva distesa all’ingresso della casa, con le mani sulla soglia. 28 Le disse: «Alzati, dobbiamo partire!». Ma non ebbe risposta. Allora il marito la caricò sull’asino e partì per tornare alla sua abitazione. 29 Come giunse a casa, si munì di un coltello, afferrò la sua concubina e la tagliò, membro per membro, in dodici pezzi; poi li spedì per tutto il territorio d’Israele. 30 Agli uomini che inviava ordinò: «Così direte ad ogni uomo d’Israele: È forse mai accaduta una cosa simile da quando gli Israeliti sono usciti dal paese di Egitto fino ad oggi? Pensateci, consultatevi e decidete!». Quanti vedevano, dicevano: «Non è mai accaduta e non si è mai vista una cosa simile, da quando gli Israeliti sono usciti dal paese d’Egitto fino ad oggi!». [Giu. 19, 1-30]

        La prima considerazione è relativa alle persone che abitavano quei luoghi, descritte tutte (le donne non contano se non come carne di piacere e di macello) come sodomite incallite. Ma è possibile ? E’ possibile che si sia avuta una sodomia di massa ? Nel senso che persone in gruppo richiedano le prestazioni dell’ultimo arrivato ? Non è che si confonde la realtà con il sogno del pastore disperso nel deserto e che ha come consolazione solo la sodomia con capre e pecore ? Interrogative retoriche. Più dense di significato sono le insinuazioni relative a costumi che sono di tutti coloro che non appartengono al Popolo di Dio. Gli israeliti sono persone per bene, gli altri, pur essendo della tribù israelita di Beniamino, solo dei sodomizzatori. Vi è poi questo levita che sembra scemo. Fa un viaggio incredibile per andare a recuperare sua moglie e poi, alla prima difficoltà la dà come carne ai lupi per riuscire a scappare ? E quando la poveretta è morta tra incredibili violenze sessuali, il levita non mostra alcun segno di dolore ma, come solerte macellaio, la squarta per distribuirla in tutta Israele. Edificante. Molto più che edificante. Una vera schifezza. Può Dio ispirare una tale storia ? Gli serviva per mostrare qualche nascosta abilità del suo popolo ? O quale insegnamento voleva dare ? L’insegnamento che una qualunque persona al mondo può trarre da questa Parola di Dio è che le donne sono carne (letterale) da macello. Che gli uomini, almeno quelli del suo popolo (degli altri non si parla se non per indicarli sempre come sodomiti), sono dei vigliacchi, delle canaglie che si nascondono sempre dietro le donne (che per parte loro non contano assolutamente nulla), Seguendo poi la storia che i Giudici raccontano c’è da aggiungere che quel levita era pure un bugiardo infinito, un vero criminale che scarica sugli altri una colpa solo sua. Leggiamo ancora:

1 Allora tutti gli Israeliti uscirono, da Dan fino a Bersabea e al paese di Gàlaad, e il popolo si radunò come un sol uomo dinanzi al Signore, a Mizpa. 2 I capi di tutto il popolo e tutte le tribù d’Israele si presentarono all’assemblea del popolo di Dio, in numero di quattrocentomila fanti, che maneggiavano la spada. 3 I figli di Beniamino vennero a sapere che gli Israeliti erano venuti a Mizpa. Gli Israeliti dissero: «Parlate! Com’è avvenuta questa scelleratezza?». 4 Allora il levita, il marito della donna che era stata uccisa, rispose: «Io ero giunto con la mia concubina a Gàbaa di Beniamino per passarvi la notte. 5 Ma gli abitanti di Gàbaa insorsero contro di me e circondarono di notte la casa dove stavo; volevano uccidere me; quanto alla mia concubina le usarono violenza fino al punto che ne morì. 6 Io presi la mia concubina, la feci a pezzi e li mandai per tutto il territorio della nazione d’Israele, perché costoro hanno commesso un delitto e un’infamia in Israele. 7 Eccovi qui tutti, Israeliti; consultatevi e decidete qui stesso». 8 Tutto il popolo si alzò insieme gridando: «Nessuno di noi tornerà alla tenda, nessuno di noi rientrerà a casa. 9 Ora ecco quanto faremo a Gàbaa: tireremo a sorte 10 e prenderemo in tutte le tribù d’Israele dieci uomini su cento, cento su mille e mille su diecimila, i quali andranno a cercare viveri per il popolo, per quelli che andranno a punire Gàbaa di Beniamino, come merita l’infamia che ha commessa in Israele».11 Così tutti gli Israeliti si radunarono contro quella città, uniti come un sol uomo. 12 Le tribù d’Israele mandarono uomini in tutta la tribù di Beniamino a dire: «Quale delitto è stato commesso in mezzo a voi? 13 Dunque consegnateci quegli uomini iniqui di Gàbaa, perché li uccidiamo e cancelliamo il male da Israele». Ma i figli di Beniamino non vollero ascoltare la voce dei loro fratelli, gli Israeliti. [Giu. 20, 1-13]

L’infame levita sta provocando una guerra tra fratelli che Dio approva:

17 Si fece la rassegna degli Israeliti, non compresi quelli di Beniamino, ed erano quattrocentomila uomini in grado di maneggiare la spada, tutti guerrieri. 18 Gli Israeliti si mossero, vennero a Betel e consultarono Dio, dicendo: «Chi di noi andrà per primo a combattere contro i figli di Beniamino?». Il Signore rispose: «Giuda andrà per primo». [Giu. 20, 17-18]

Il primo scontro fu favorevole alla tribù di Beniamino. Allora gli israeliti (non quelli di Beniamino) andarono a consulto da Dio:

23 Gli Israeliti andarono a piangere davanti al Signore fino alla sera e consultarono il Signore, dicendo: «Devo continuare a combattere contro Beniamino mio fratello?». Il Signore rispose: «Andate contro di loro».  [Giu. 20, 23]

Anche questa volta vinsero i seguaci di Beniamino. Altro consulto con Dio che, questa volta, ha un pugnale tra i denti:

26 Allora tutti gli Israeliti e tutto il popolo andarono a Betel, piansero e rimasero davanti al Signore e digiunarono quel giorno fino alla sera e offrirono olocausti e sacrifici di comunione davanti al Signore. 27 Gli Israeliti consultarono il Signore – l’arca dell’alleanza di Dio in quel tempo era là 28 e Pincas, figlio di Eleazaro, figlio di Aronne, prestava servizio davanti a essa in quel tempo – e dissero: «Devo continuare ancora a uscire in battaglia contro Beniamino mio fratello o devo cessare?». Il Signore rispose: «Andate, perché domani ve li metterò nelle mani».[Giu. 20, 26-28]

E Dio non mente al suo popolo entrando direttamente in battaglia:

35 Il Signore sconfisse Beniamino davanti ad Israele; gli Israeliti uccisero in quel giorno venticinquemila e cento uomini di Beniamino, tutti atti a maneggiare la spada. […] 44 Caddero dei Beniaminiti diciottomila uomini, tutti valorosi. 45 I superstiti voltarono le spalle e fuggirono verso il deserto, in direzione della roccia di Rimmon e gli Israeliti ne rastrellarono per le strade cinquemila, li incalzarono fino a Ghideom e ne colpirono altri duemila. 46 Così il numero totale dei Beniaminiti, che caddero quel giorno, fu di venticinquemila, atti a maneggiare la spada, tutta gente di valore. 47 Seicento uomini, che avevano voltato le spalle ed erano fuggiti verso il deserto, raggiunsero la roccia di Rimmon, rimasero alla roccia di Rimmon quattro mesi. 48 Intanto gli Israeliti tornarono contro i figli di Beniamino, passarono a fil di spada nella città uomini e bestiame e quanto trovarono, e diedero alle fiamme anche tutte le città che incontrarono. [Giu. 20, 35-48]

        E’ così che si fa, nessuno deve rimanere vivo, né al momento né in futuro con il bestiame ammazzato. E fu così che una delle dodici tribù di Israele, quella di Beniamino, fu quasi sterminata. Quel “quasi” è indice di altre scellerat3ezze ancora sul corpo delle donne (che in massa sono credenti), trattate ancora come prostitute masochiste (per non avere almeno un compenso in beni materiali). La storia infatti prosegue con un ulteriore anatema contro la tribù di Beniamino: «Nessuno di noi darà in moglie la figlia a un Beniaminita» [Giu. 21, 1]. Ma seguirono poi i pentimenti perché una tribù d’Israele risultava “quasi” scomparsa”. In particolare gli israeliti si rammaricavano per i pochi superstiti della tribù di Beniamino: 7 «Come faremo per le donne dei superstiti, perché abbiamo giurato per il Signore di non dar loro in moglie nessuna delle nostre figlie?». [Giu. 21, 7]. Vi erano dei maschi superstiti ma non vi erano donne a sufficienza per garantire la sopravvivenza della tribù. Si decise di risolvere il problema con un’altra strage, a danno di chi non avesse partecipato ad un’assemblea con il Signore. Le donne degli ammazzati sarebbero diventate le donne dei superstiti di Beniamino:

8 Dissero dunque: «Qual è fra le tribù d’Israele quella che non è venuta davanti al Signore a Mizpa?». Risultò che nessuno di Iabes di Gàlaad era venuto all’accampamento dove era l’assemblea; 9 fatta la rassegna del popolo si era trovato che là non vi era nessuno degli abitanti di Iabes di Gàlaad. 10 Allora la comunità vi mandò dodicimila uomini dei più valorosi e ordinò: «Andate e passate a fil di spada gli abitanti di Iabes di Gàlaad, comprese le donne e i bambini. 11 Farete così: ucciderete ogni maschio e ogni donna che abbia avuto rapporti con un uomo; invece risparmierete le vergini». 12 Trovarono fra gli abitanti di Iabes di Gàlaad quattrocento fanciulle vergini, che non avevano avuto rapporti con alcuno, e le condussero all’accampamento, a Silo, che è nel paese di Canaan. 13 Allora tutta la comunità mandò messaggeri per parlare ai figli di Beniamino che erano alla roccia di Rimmon e per proclamar loro la pace. 14 Così i Beniaminiti tornarono e furono loro date le donne a cui era stata risparmiata la vita fra le donne di Iabes di Gàlaad; ma non erano sufficienti per tutti.  [Giu. 21, 8-14]

        Altri fratelli israeliti erano stati sterminati per dare donne (vergini, per carità !) ai beniaminiti ma queste non bastavano. Che fare ? Non si deve disperare perché la fantasia criminale di Dio è insuperabile. In occasione di una festa del Signore preparano un agguato. Leggiamo:

20 Diedero quest’ordine ai figli di Beniamino: «Andate, appostatevi nelle vigne 21 e state a vedere: quando le fanciulle di Silo usciranno per danzare in coro, uscite dalle vigne, rapite ciascuno una donna tra le fanciulle di Silo e ve ne andrete nel paese di Beniamino. 22 Quando i loro padri o i loro fratelli verranno a discutere con voi, direte loro: Concedetele a noi: abbiamo preso ciascuno una donna come in battaglia… ma se ce le aveste date voi stessi, allora avreste peccato». 23 I figli di Beniamino fecero a quel modo: si presero mogli, secondo il loro numero, fra le danzatrici; le rapirono, poi partirono e tornarono nel loro territorio, riedificarono le città e vi stabilirono la dimora. 24 In quel medesimo tempo, gli Israeliti se ne andarono ciascuno nella sua tribù e nella sua famiglia e da quel luogo ciascuno si diresse verso la sua eredità.  [Giu. 21, 20-24]

… e vissero felici e contenti, con Dio che era al settimo cielo (letterale). Importa qualcosa ciò che potevano pensare o obiettare le rapite ? Carne da riproduzione e basta.



GLI INCESTI CHE DIO VUOLE

        Più e più volte Dio nella Bibbia ci informa che vi è assoluto divieto di rapporti sessuali tra parenti. Allo stesso tempo più e più volte il divieto salta con i suoi più fedeli uomini del popolo di Israele.

        Abbiamo già visto che Abramo si sposa con la sorellastra (che poi fa allegramente prostituire). Abbiamo anche visto che: Isacco, figlio di Abramo e Sara, si sposa con sua nipote Rebecca; che Giacobbe, figlio di Isacco e Rebecca,  si sposa con due sue cugine, Lia e Rachele; che le due figlie di Lot lo ubriacarono per avere rapporti sessuali con lui al fine, dicono, di essere rese gravide. Non ci siamo invece soffermati su questi altri incesti che seguirò dai brani della Bibbia:

27 … Terach generò Abram, Nacor e Aran: Aran generò Lot. 28 Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. 29 Abram e Nacor si presero delle mogli; la moglie di Abram si chiamava Sarai e la moglie di Nacor, Milca, ch’era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. [Gn. 11, 27-29]

        In definitiva, uno dei fratelli di Abramo, Nacor, prese in moglie sua nipote, la figlia Milca dell’altro fratello di Abramo, Aran. Vi è poi, come vedremo, una storia contorta che porta Giuda, figlio di Giacobbe e Lia,  ad avere rapporti con sua nuora Tamar. Anche lo stesso Mosè (con il fratello Aronne e la sorella Miriam) ha per genitori gli israeliti Amram e Yochebed. Ma quest’ultima era anche zia di suo marito Amram. Si possono ancora aggiungere altre storie: Tobia si sposa con sua cugina Sara;  Roboamo, figlio di Salomone  (che ebbe 18 mogli, 60 concubine, 28 figli e 60 figlie), si sposò con due sue cugine, Majalat e Maaca; il figlio di Davide, Ammon, violentò e successivamente ripudiò sua sorellastra Tamar (come vedremo).:Insomma il repertorio è così ampio che c’è da dubitare sulla reale volontà di Dio. Siamo certi che l’incesto non fosse tra le cose che prediligeva ?

        E’ interessante, in proposito, andare a vedere quali sono le proibizioni sessuali che Dio fornisce nel Levitico rivolgendosi a Mosè affinché lo comunichi agli israeliti. Si può capire da queste righe la profonda consequenzialità della morale di Dio in relazione con l’agire dei suoi prediletti (non è questo il Relativismo di Dio ?):

6 Nessuno si accosterà a una sua consanguinea, per avere rapporti con lei. Io sono il Signore.
7 Non recherai oltraggio a tuo padre avendo rapporti con tua madre: è tua madre; non scoprirai la sua nudità. 8 Non scoprirai la nudità della tua matrigna; è la nudità di tuo padre. 9 Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, sia nata in casa o fuori. 10 Non scoprirai la nudità della figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia, perché è la tua propria nudità. 11 Non scoprirai la nudità della figlia della tua matrigna, generata nella tua casa: è tua sorella. 12 Non scoprirai la nudità della sorella di tuo padre; è carne di tuo padre. 13 Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre, perché è carne di tua madre. 14 Non scoprirai la nudità del fratello di tuo padre, cioè non ti accosterai alla sua moglie: è tua zia. 15 Non scoprirai la nudità di tua nuora: è la moglie di tuo figlio; non scoprirai la sua nudità. 16 Non scoprirai la nudità di tua cognata: è la nudità di tuo fratello.
17 Non scoprirai la nudità di una donna e di sua figlia; né prenderai la figlia di suo figlio, né la figlia di sua figlia per scoprirne la nudità: sono parenti carnali: è un’infamia. 18 E quanto alla moglie, non prenderai inoltre la sorella di lei, per farne una rivale, mentre tua moglie è in vita.
19 Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l’immondezza mestruale.
20 Non peccherai con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei.
21 Non lascerai passare alcuno dei tuoi figli a Moloch e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore.
22 Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio. 23 Non ti abbrutirai con alcuna bestia per contaminarti con essa; la donna non si abbrutirà con una bestia; è una perversione.
24 Non vi contaminate con nessuna di tali nefandezze; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi. 25 Il paese ne è stato contaminato; per questo ho punito la sua iniquità e il paese ha vomitato i suoi abitanti. 26 Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni e non commetterete nessuna di queste pratiche abominevoli: né colui che è nativo del paese, né il forestiero in mezzo a voi. 27 Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi e il paese ne è stato contaminato. 28 Badate che, contaminandolo, il paese non vomiti anche voi, come ha vomitato la gente che vi abitava prima di voi. 29 Perché quanti commetteranno qualcuna di queste pratiche abominevoli saranno eliminati dal loro popolo. 30 Osserverete dunque i miei ordini e non imiterete nessuno di quei costumi abominevoli che sono stati praticati prima di voi, né vi contaminerete con essi. Io sono il Signore, il Dio vostro».[Lev. 18, 6-30]

        Con questi comandamenti davanti vediamo come si comportano i figli prediletti di Dio e vediamo come questo Dio non ricordi nessuna delle sue norme, essendo amorevole con il suo popolo tanto che ci si chiede perché abbia perso il suo prezioso tempo a dettare al profeta quei comandamenti. E Dio, non solo perdona amorevolmente i suoi accoliti ma addirittura è con loro in continue stragi, premiandoli ed arricchendoli. Un vero Dio che ognuno vorrebbe per il suo popolo (ma, e la domanda viene spontanea, che c’entrano i cristiani con quel Dio ? Oppure c’entrano …).

GIUDA E TAMAR

        Giuda è il quarto figlio di Giacobbe e Lia ma è soprattutto il fondatore di una delle 12 tribù di Israele. La storia che lo riguarda è emblematica della posizione che Dio ha verso, non tanto il Popolo eletto, quanto verso qualche personaggio di quel Popolo al quale Egli permette tutto, anche la violazione dei Comandamenti che in modo così roboante aveva dato a Mosè. La storia di Giuda ci è fornita dalla Parola di Dio nella Genesi:

1 In quel tempo Giuda si separò dai suoi fratelli e si stabilì presso un uomo di Adullam, di nome Chira. 2 Qui Giuda vide la figlia di un Cananeo chiamato Sua, la prese in moglie e si unì a lei. 3 Essa concepì e partorì un figlio e lo chiamò Er. 4 Poi concepì ancora e partorì un figlio e lo chiamò Onan. 5 Ancora un’altra volta partorì un figlio e lo chiamò Sela. Essa si trovava in Chezib, quando lo partorì.
6 Giuda prese una moglie per il suo primogenito Er, la quale si chiamava Tamar. 7 Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso al Signore e il Signore lo fece morire. 8 Allora Giuda disse a Onan: «Unisciti alla moglie del fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità per il fratello». 9 Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva per terra, per non dare una posterità al fratello. 10 Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui. 11 Allora Giuda disse alla nuora Tamar: «Ritorna a casa da tuo padre come vedova fin quando il mio figlio Sela sarà cresciuto». Perché pensava: «Che non muoia anche questo come i suoi fratelli!». Così Tamar se ne andò e ritornò alla casa del padre.
12 Passarono molti giorni e morì la figlia di Sua, moglie di Giuda. Quando Giuda ebbe finito il lutto, andò a Timna da quelli che tosavano il suo gregge e con lui vi era Chira, il suo amico di Adullam. 13 Fu portata a Tamar questa notizia: «Ecco, tuo suocero va a Timna per la tosatura del suo gregge». 14 Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse intorno, poi si pose a sedere all’ingresso di Enaim, che è sulla strada verso Timna. Aveva visto infatti che Sela era ormai cresciuto, ma che lei non gli era stata data in moglie. 15 Giuda la vide e la credette una prostituta, perché essa si era coperta la faccia. 16 Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: «Lascia che io venga con te!». Non sapeva infatti che quella fosse la sua nuora. Essa disse: «Che mi darai per venire con me?». 17 Rispose: «Io ti manderò un capretto del gregge». Essa riprese: «Mi dai un pegno fin quando me lo avrai mandato?». 18 Egli disse: «Qual è il pegno che ti devo dare?». Rispose: «Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano». Allora glieli diede e le si unì. Essa concepì da lui. 19 Poi si alzò e se ne andò; si tolse il velo e rivestì gli abiti vedovili. 20 Giuda mandò il capretto per mezzo del suo amico di Adullam, per riprendere il pegno dalle mani di quella donna, ma quegli non la trovò. 21 Domandò agli uomini di quel luogo: «Dov’è quella prostituta che stava in Enaim sulla strada?». Ma risposero: «Non c’è stata qui nessuna prostituta». 22 Così tornò da Giuda e disse: «Non l’ho trovata; anche gli uomini di quel luogo dicevano: Non c’è stata qui nessuna prostituta». 23 Allora Giuda disse: «Se li tenga! Altrimenti ci esponiamo agli scherni. Vedi che le ho mandato questo capretto, ma tu non l’hai trovata».
24 Circa tre mesi dopo, fu portata a Giuda questa notizia: «Tamar, la tua nuora, si è prostituita e anzi è incinta a causa della prostituzione». Giuda disse: «Conducetela fuori e sia bruciata!». 25 Essa veniva già condotta fuori, quando mandò a dire al suocero: «Dell’uomo a cui appartengono questi oggetti io sono incinta». E aggiunse: «Riscontra, dunque, di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone». 26 Giuda li riconobbe e disse: «Essa è più giusta di me, perché io non l’ho data a mio figlio Sela». E non ebbe più rapporti con lei. 27 Quand’essa fu giunta al momento di partorire, ecco aveva nel grembo due gemelli. 28 Durante il parto, uno di essi mise fuori una mano e la levatrice prese un filo scarlatto e lo legò attorno a quella mano, dicendo: «Questi è uscito per primo». 29 Ma, quando questi ritirò la mano, ecco uscì suo fratello. Allora essa disse: «Come ti sei aperta una breccia?» e lo si chiamò Perez [o Fares, ndr]. 30 Poi uscì suo fratello, che aveva il filo scarlatto alla mano, e lo si chiamò Zerach.[Gn. 38, 1-30]

        Osservo che questa volta è una donna che non gradisce di non essere diventata mamma e lo fa ingannando Giuda che, per ingannare il tempo, va a prostitute. Ma la parte d’interesse riguarda Dio che si fa carnefice, ammazzando chi non gli è simpatico ( 7 Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso al Signore e il Signore lo fece morire; 10 Ciò che Onan faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui). Mentre con Onan vi è una qualche spiegazione anche se la cosa non sembra meritare la pena di morte, con Er manca qualsiasi spiegazione. Simpatia ed antipatia e basta. Giuda, l’eletto da Dio, è infatti persona almeno discutibile. Incontra una (supposta) prostituta e va con lei senza alcun problema, paga cioè per un rapporto sessuale. E’ ciò lecito per Dio ? Se è lecito finiamola con la caccia alle prostitute che stazionano per le strade. Se non lo è, allora Dio manca ai suoi medesimi insegnamenti. Ma, in tutto questo vi è sempre una donna che è disponibile a tutto. E’ impensabile che una donna passi per strada, incontri un prostituto, e decida di pagarlo per fare sesso con lui. Non mi si dica che all’epoca … perché oggi è quasi lo stesso. E, comunque, non è Dio una entità per una giustizia giusta sempre e comunque ? Oppure fornisce valutazioni relative al tempo in cui Egli stesso opera, essendo il primo relativista ? Con la conseguenza che il teologo Ratzinger non ha capito nulla ? La conseguenza di questo comportamento di Dio, l’accettazione della prostituzione femminile, ha comportato che, nei secoli, anche pensatori come Sant’Agostino abbiano avallato il maschilismo come fondamento sociale.

        L’altro aspetto che colpisce è relativo alla foia asinina che prende Giuda al cospetto della supposta prostituta. Non si poteva aver un poco di pazienza ed aspettare un servo che accudisse il gregge ? Possibile che un capo tribù fosse lasciato lì da solo ? Dopo questa lettura esemplare che un padre cristiano fa a suo figlio, cosa apprende il figlio ? Riguardo ancora agli oggetti che aveva dato alla supposta prostituta emerge un’altra eminente qualità, certamente cristiana, l’ipocrisia. Infatti si va a prostitute ma non si deve sapere. La prostituta è meglio che  si tenga quegli oggetti, Altrimenti ci esponiamo agli scherni.

        Gli insegnamenti non finiscono qui perché, molto più in generale, sembra chiaro che gli ammazzamenti dei figli di Giuda servivano proprio acché Giuda generasse con Tamar. E Giuda, cetamente, si accoppia con Tamar, ma come lo fa ? Che modo bestiale è l’accoppiarsi senza neppure vedere in viso la persona con cui si sta ? Possibile che Giuda non riconoscesse la donna dei due suoi figli ammazzati da Dio ? Non è una spiegazione il ripetersi di questa situazione, quella cioè di uomini della Bibbia che non riconoscono la persona con cui si accoppiano.

        Ancora. Giuda viola uno dei costumi in uso nella regione. Nega il suo terzo figlio a Tamar. E quest’ultima è costretta (?) ad agire come la più scaltra delle prostitute (quelle vere cha la Bibbia ci presenta) per accoppiarsi con Giuda. Tamar, non perché fosse prostituta, ma perché si accoppia con il padre dei suoi precedenti sposi viola uno dei comandamenti di Dio (ma a Dio ciò sta bene, quindi io non ho da obiettare nulla), comandamento contro l’incesto che prevede la morte mediante lapidazione (12 Se uno ha rapporti con la nuora, tutti e due dovranno essere messi a morte; hanno commesso un abominio; il loro sangue ricadrà su di essi [Lv. 20, 12]).

        Da questa unione incestuosa nacque, come visto, Perez o Fares. Il fatto è notevole perché da questo personaggio seguì, con le solite infinite genealogie, addirittura Gesù. Leggiamo infatti nella Bibbia (questa volta nel Vangelo di Matteo e nel Vangelo di Luca, cioè Nuovo Testamento):

1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2 Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, 4 Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, 5 Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6 Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, 7 Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, 8 Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9 Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10 Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 11 Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
12 Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, 13 Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, 14 Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 15 Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. [Mt. 1, 1-16]

23 Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli, 24 figlio di Mattàt, figlio di Levi, figlio di Melchi, figlio di Innài, figlio di Giuseppe, 25 figlio di Mattatìa, figlio di Amos, figlio di Naum, figlio di Esli, figlio di Naggài, 26 figlio di Maat, figlio di Mattatìa, figlio di Semèin, figlio di Iosek, figlio di Ioda, 27 figlio di Ioanan, figlio di Resa, figlio di Zorobabèle, figlio di Salatiel, figlio di Neri, 28 figlio di Melchi, figlio di Addi, figlio di Cosam, figlio di Elmadàm, figlio di Er, 29 figlio di Gesù, figlio di Elièzer, figlio di Iorim, figlio di Mattàt, figlio di Levi, 30 figlio di Simeone, figlio di Giuda, figlio di Giuseppe, figlio di Ionam, figlio di Eliacim, 31 figlio di Melèa, figlio di Menna, figlio di Mattatà, figlio di Natàm, figlio di Davide, 32 figlio di Iesse, figlio di Obed, figlio di Booz, figlio di Sala, figlio di Naàsson, 33 figlio di Aminadàb, figlio di Admin, figlio di Arni, figlio di Esrom, figlio di Fares, figlio di Giuda, 34 figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, figlio di Tare, figlio di Nacor, 35 figlio di Seruk, figlio di Ragau, figlio di Falek, figlio di Eber, figlio di Sala, 36 figlio di Cainam, figlio di Arfàcsad, figlio di Sem, figlio di Noè, figlio di Lamech, 37 figlio di Matusalemme, figlio di Enoch, figlio di Iaret, figlio di Malleèl, figlio di Cainam, 38 figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio. [Lc. 3, 23-33]

        Da tutta questa storia emergono in sintesi i seguenti insegnamenti di Dio: la incontinenza è una virtù; la menzogna è un bene; la ipocrisia è un dono; la donna è un oggetto; l’incesto è un mezzo accettabile per gli imperscrutabili disegni di Dio.
 
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ONAN E TAMAR

        Non mi sono soffermato nel paragrafo precedente su un episodio che merita invece attenzione, quello di Onan, figlio di Giuda, con sua moglie Tamar. L’episodio è rilevante per il seguito storico che ha avuto perché con Onan sentiamo parlare in modo chiaro di quello che è noto come coitus interruptus (o onanismo, con ovvio significato dei termini) che risulta condannato con la morte da Dio. Chiarito quindi che onanismo non è masturbazione, cerchiamo di cogliere il problema che è posto rileggendo il brano che parla di Onan:

8 Allora Giuda disse a Onan: «Unisciti alla moglie del fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità per il fratello». 9 Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva per terra, per non dare una posterità al fratello. 10 Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui. [Gn. 38, 8-10]

        Ho accennato altrove che vi era una legge, detta del levirato, secondo la quale se un uomo sposato moriva senza figli, suo fratello o il suo parente più prossimo doveva sposare la vedova, e il loro figlio primogenito sarebbe stato considerato legalmente figlio del defunto. Leggiamo nel Deuteronomio l’enunciazione di tale legge:

5 Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si mariterà fuori, con un forestiero; il suo cognato verrà da lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere del cognato; 6 il primogenito che essa metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto perché il nome di questo non si estingua in Israele.
7 Ma se quell’uomo non ha piacere di prendere la cognata, essa salirà alla porta degli anziani e dirà: Mio cognato rifiuta di assicurare in Israele il nome del fratello; non acconsente a compiere verso di me il dovere del cognato. 8 Allora gli anziani della sua città lo chiameranno e gli parleranno; se egli persiste e dice: Non ho piacere di prenderla, 9 allora sua cognata gli si avvicinerà in presenza degli anziani, gli toglierà il sandalo dal piede, gli sputerà in faccia e prendendo la parola dirà: Così sarà fatto all’uomo che non vuole ricostruire la famiglia del fratello. 10 La famiglia di lui sarà chiamata in Israele la famiglia dello scalzato. [Dt. 25, 5-10]

        Sembra chiaro che il fratello del defunto Er, cioè Onan, doveva sposare Tamar al fine, attenzione perché qui è il peccato di Onan, di generare un figlio con lo stesso nome del defunto fratello. Spargere il seme per terra senza ingravidare Tamar era peccato grave. Onan lo giustifica dicendo che gli sembrava inutile generare perché comunque quel figlio non sarebbe stato considerato il suo. Vi è qui una delle incongruenze della Bibbia: la Genesi dove si racconta il fatto è almeno tre secoli anteriore al Deuteronomio la cui legge però viene applicata retroattivamente tre secoli prima (ho già discusso di ciò nel precedente articolo. Ricordo ora che il Deuteronomio è databile intorno al 620 a.C. sotto il regno di Giosia, quando si fece la riforma religiosa).

        Ma trascuriamo pure questo aspetto che da solo sarebbe dirimente e capiamo meglio. Il cognato della vedova avrebbe potuto, secondo il levirato, rifiutarsi all’obbligo della legge pagando in cambio una pubblica reprimenda. Se così fosse stato fatto, l’obbligo passava all’altro parente maschio più prossimo come spiega il Libro di Rut:

1 Intanto Booz venne alla porta della città e vi sedette. Ed ecco passare colui che aveva il diritto di riscatto e del quale Booz aveva parlato. Booz gli disse: «Tu, quel tale, vieni e siediti qui!». Quello si avvicinò e sedette. 2 Poi Booz scelse dieci uomini fra gli anziani della città e disse loro: «Sedete qui». Quelli sedettero. 3 Allora Booz disse a colui che aveva il diritto di riscatto: «Il campo che apparteneva al nostro fratello Elimèlech, lo mette in vendita Noemi, che è tornata dalla campagna di Moab. 4 Ho pensato bene di informartene e dirti: Fanne acquisto alla presenza delle persone qui sedute e alla presenza degli anziani del mio popolo. Se vuoi acquistarlo con il diritto di riscatto, acquistalo, ma se non vuoi acquistarlo, dichiaramelo, che io lo sappia; perché nessuno fuori di te ha il diritto di riscatto e dopo di te vengo io». Quegli rispose: «Io intendo acquistarlo». 5 Allora Booz disse: «Quando acquisterai il campo dalla mano di Noemi, nell’atto stesso tu acquisterai anche Rut, la Moabita, moglie del defunto, per assicurare il nome del defunto sulla sua eredità». 6 Colui che aveva il diritto di riscatto rispose: «Io non posso acquistare con il diritto di riscatto, altrimenti danneggerei la mia propria eredità; subentra tu nel mio diritto, perché io non posso valermene». 7 Una volta in Israele esisteva questa usanza relativa al diritto del riscatto o della permuta, per convalidare ogni atto: uno si toglieva il sandalo e lo dava all’altro; era questo il modo di attestare in Israele. 8 Così chi aveva il diritto di riscatto disse a Booz: «Acquista tu il mio diritto di riscatto»; si tolse il sandalo e glielo diede.
9 Allora Booz disse agli anziani e a tutto il popolo: «Voi siete oggi testimoni che io ho acquistato dalle mani di Noemi quanto apparteneva a Elimèlech, a Chilion e a Maclon, 10 e che ho anche preso in moglie Rut, la Moabita, già moglie di Maclon, per assicurare il nome del defunto sulla sua eredità e perché il nome del defunto non scompaia tra i suoi fratelli e alla porta della sua città. Voi ne siete oggi testimoni». [Rut 4, 1-10]

        Tutto quanto letto e detto mostra che non era in alcun caso prevista la pensa di morte per non sposarsi con la vedova del fratello (più in generale: per chi non rispettava la legge del levirato). Inoltre Onan non si era rifiutato di rispettare la legge, semplicemente aveva sparso il seme per terra. Per quanto uno possa cercare, nella Bibbia non vi è altro riferimento al seme sparso se non per ragioni igieniche secondo le quali:  17 Ogni veste o pelle, su cui vi sarà un’emissione seminale, dovrà essere lavata nell’acqua e sarà immonda fino alla sera. [Lv. 15, 17]. Poiché poi il rapporto tra Onan e Tamar era ufficiale, neppure si tratta di adulterio che, quello sì, avrebbe previsto la pena di morte per i due (10 Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adùltero e l’adùltera dovranno esser messi a morte. [Lv. 20, 10]). Insomma per quel che Dio disse in ogni scritto biblico, Onan non doveva essere messo a morte e, se si fosse pensato ad adulterio (dico questo perché spesso Dio è distratto), allora la morte doveva colpire anche Tamar.

        Forse questo passo può farci capire perché vi sono nella Bibbia tante donne sterili; servono ai prediletti da Dio per sfogare la loro libidine senza spargere il seme per terra ! Tanto è vero che ogni volta che costoro hanno a che fare con altre donne, financo prostitute o apparentemente tali, allora la fertilità abbonda. Il sesso, fuori dal matrimonio è possibile con il seme che va dove si crede meglio perché lì non vi è obbligo di generare e, se si genera, dei bastardi tutti possono non occuparsi. Insomma Dio ammazzò Onan arbitrariamente perché in nessuna sua legge vi era una norma che vietava lo spargimento del seme in terra. Inoltre in molti altri passi della Bibbia vi sono accoppiamenti sessuali improduttivi al fine della generazione.

        In definitiva Dio perdona qualunque cosa ed anche i peggiori delitti dei suoi prediletti. Le persone normali, come Onan, che nulla hanno fatto se non del sesso ricreativo con spargimento del seme per terra, sono punite con la morte. Per puro arbitrio di Dio che mai aveva scritto o dettato una legge in tal senso.

 

AMNON E TAMAR

        Ci spostiamo ora negli anni del massimo splendore di Israele, nel regno di Davide, occupandoci di suo figlio, un violentatore che, contrariamente ad Onan, avrebbe meritato non una semplice morte ma qualcosa di peggio. A questo personaggio, Amnon figlio di Davide,  Dio tutto perdona. Leggiamo la storia riportata nel Secondo Libro di Samuele:

1 Dopo queste cose, accadde che, avendo Assalonne figlio di Davide, una sorella molto bella, chiamata Tamàr, Amnòn figlio di Davide si innamorò di lei. 2 Amnòn ne ebbe una tal passione, da cadere malato a causa di Tamàr sua sorella; poiché essa era vergine pareva impossibile ad Amnòn di poterle fare qualcosa. 3 Ora Amnòn aveva un amico, chiamato Ionadàb figlio di Simeà, fratello di Davide e Ionadàb era un uomo molto astuto. 4 Egli disse: «Perché, figlio del re, tu diventi sempre più magro di giorno in giorno? Non me lo vuoi dire?». Amnòn gli rispose: «Sono innamorato di Tamàr, sorella di mio fratello Assalonne». 5 Ionadàb gli disse: «Mettiti a letto e fingiti malato; quando tuo padre verrà a vederti, gli dirai: Permetti che mia sorella Tamàr venga a darmi da mangiare e a preparare la vivanda sotto i miei occhi, così che io veda; allora prenderò il cibo dalle sue mani».
6 Amnòn si mise a letto e si finse malato; quando il re lo venne a vedere, Amnòn gli disse: «Permetti che mia sorella Tamàr venga e faccia un paio di frittelle sotto i miei occhi e allora prenderò il cibo dalle sue mani». 7 Allora Davide mandò a dire a Tamàr, in casa: «Va’ a casa di Amnòn tuo fratello e prepara una vivanda per lui». 8 Tamàr andò a casa di Amnòn suo fratello, che giaceva a letto. … 11 Ma mentre gliele dava da mangiare, egli l’afferrò e le disse: «Vieni, unisciti a me, sorella mia». 12 Essa gli rispose: «No, fratello mio, non farmi violenza; questo non si fa in Israele; non commettere questa infamia! 13 Io dove andrei a portare il mio disonore? Quanto a te, tu diverresti come un malfamato in Israele. Parlane piuttosto al re, egli non mi rifiuterà a te». 14 Ma egli non volle ascoltarla: fu più forte di lei e la violentò unendosi a lei. 15 Poi Amnòn concepì verso di lei un odio grandissimo: l’odio verso di lei fu più grande dell’amore con cui l’aveva prima amata. Le disse: 16 «Alzati, vattene!». Gli rispose: «O no! Questo torto che mi fai cacciandomi è peggiore dell’altro che mi hai già fatto». Ma egli non volle ascoltarla. 17 Anzi, chiamato il giovane che lo serviva, gli disse: «Cacciami fuori costei e sprangale dietro il battente». 18 Essa indossava una tunica con le maniche, perché così vestivano, da molto tempo, le figlie del re ancora vergini. Il servo di Amnòn dunque la mise fuori e le sprangò il battente dietro. 19 Tamàr si sparse polvere sulla testa, si stracciò la tunica dalle lunghe maniche che aveva indosso, si mise le mani sulla testa e se ne andò camminando e gridando. 20 Assalonne suo fratello le disse: «Forse Amnòn tuo fratello è stato con te? Per ora taci, sorella mia; è tuo fratello; non disperarti per questa cosa». Tamàr desolata rimase in casa di Assalonne, suo fratello. 21 Il re Davide seppe tutte queste cose e ne fu molto irritato, ma non volle urtare il figlio Amnòn, perché aveva per lui molto affetto; era infatti il suo primogenito. 22 Assalonne non disse una parola ad Amnòn né in bene né in male; odiava Amnòn perché aveva violato Tamàr sua sorella.
23 Due anni dopo Assalonne, avendo i tosatori a Baal-Cazòr, presso Efraim, invitò tutti i figli del re. 24 Andò dunque Assalonne dal re e disse: «Ecco il tuo servo ha i tosatori presso di sé. Venga dunque anche il re con i suoi ministri a casa del tuo servo!». 25 Ma il re disse ad Assalonne: «No, figlio mio, non si venga noi tutti, perché non ti siamo di peso». Sebbene insistesse, il re non volle andare; ma gli diede la sua benedizione. 26 Allora Assalonne disse: «Se non vuoi venire tu, permetti ad Amnòn mio fratello di venire con noi». Il re gli rispose: «Perché dovrebbe venire con te?». 27 Ma Assalonne tanto insisté che Davide lasciò andare con lui Amnòn e tutti i figli del re. Assalonne fece un banchetto come un banchetto da re. 28 Ma Assalonne diede quest’ordine ai servi: «Badate, quando Amnòn avrà il cuore riscaldato dal vino e io vi dirò: Colpite Amnòn!, voi allora uccidetelo e non abbiate paura. Non ve lo comando io? Fatevi coraggio e comportatevi da forti!». 29 I servi di Assalonne fecero ad Amnòn come Assalonne aveva comandato. Allora tutti i figli del re si alzarono, montarono ciascuno sul suo mulo e fuggirono. 30 Mentre essi erano ancora per strada, giunse a Davide questa notizia: «Assalonne ha ucciso tutti i figli del re e neppure uno è scampato». 31 Allora il re si alzò, si stracciò le vesti e si gettò per terra; tutti i suoi ministri che gli stavano intorno, stracciarono le loro vesti. 32 Ma Ionadàb figlio di Simeà, fratello di Davide, disse: «Non dica il mio signore che tutti i giovani, figli del re, sono stati uccisi; il solo Amnòn è morto; per Assalonne era cosa decisa fin da quando Amnòn aveva fatto violenza a sua sorella Tamàr. 33 Ora non si metta in cuore il mio signore una tal cosa, come se tutti i figli del re fossero morti; il solo Amnòn è morto 34 e Assalonne è fuggito». Il giovane che stava di sentinella alzò gli occhi, guardò ed ecco una gran turba di gente veniva per la strada di Bacurìm, dal lato del monte, sulla discesa. La sentinella venne ad avvertire il re e disse: «Ho visto uomini scendere per la strada di Bacurìm, dal lato del monte». 35 Allora Ionadàb disse al re: «Ecco i figli del re arrivano; la cosa sta come il tuo servo ha detto». 36 Come ebbe finito di parlare, ecco giungere i figli del re, i quali alzarono grida e piansero; anche il re e tutti i suoi ministri fecero un gran pianto. 37 Quanto ad Assalonne, era fuggito ed era andato da Talmài, figlio di Ammiùd, re di Ghesùr. Il re fece il lutto per il suo figlio per lungo tempo.
38 Assalonne rimase tre anni a Ghesùr, dove era andato dopo aver preso la fuga. 39 Poi lo spirito del re Davide cessò di sfogarsi contro Assalonne, perché si era placato il dolore per la morte di Amnòn.[2Sam. 13, 1-39]

        Discutiamo passo passo tutti gli insegnamenti di Dio in questo brano a partire da un giudizio generale da dare relativo ad una frase che il fratello Assalonne (terzogenito di Davide)  rivolge alla violentata sorella Tamar: 20 Assalonne suo fratello le disse: «Forse Amnòn tuo fratello è stato con te? Per ora taci, sorella mia; è tuo fratello; non disperarti per questa cosa». Assalonne riesce a dire a quella poveretta di Tamar che in fondo è stato solo il fratello a violentarla. Tutto resta in famiglia, non c’è pubblico scandalo come nel caso di violenze su giovani vergini esercitate al di fuori della famiglia. Ma anche in questo caso la violenza è un crimine minore, una sciocchezza che si può ricompensare con del denaro (le donne o volenti o nolenti sono delle prostitute che servono a procacciare denaro o a fare figli). E quanto vale una giovane vergine violentata ? Bisogna distinguere tra giovane fanciulla vergine fidanzata e non fidanzata. Nel primo caso occorre fare un’ulteriore distinzione tra violenza fatta in città o in campagna. La violenza in città su una vergine fidanzata prevede la morte per lapidazione di entrambi perché la vergine avrebbe potuto gridare. Se invece la vergine fidanzata si trova in campagna, allora la morte è per il solo violentatore perché anche con delle grida la donna non avrebbe avuto scampo. Se invece la vergine non è fidanzata allora cosa accade ? Ce lo spiega il Deuteronomio:

28 Se un uomo trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata, l’afferra e pecca con lei e sono colti in flagrante, 29 l’uomo che ha peccato con lei darà al padre della fanciulla cinquanta sicli d’argento; essa sarà sua moglie, per il fatto che egli l’ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita. [Dt. 22, 28-29]

        Il crimine, nel caso discusso, viene derubricato. In fondo una vergine non fidanzata è solo carne da piacere. Ma vi è una ulteriore punizione per questa disgraziata: deve essere legata a vita a quel farabutto che l’ha violentata (se poi si argomenta che questa norma era già nel codice di Hammurabi, i biblisti ci spiegano che la Parola di Dio è solo di Dio e non ha ispirazione alcuna. Con il che dobbiamo ammettere che il comandamento di Dio vuole la donna nel modo barbaro descritto e senza ammettere che questi erano costumi di un’epoca antichissima (il becero relativismo) ci troviamo di fronte ad un Dio che oggi autorizza, anche vecchi laidi, a violentare giovani vergini (basta accertarsi che non siano fidanzate e che il contributo in denaro da dare sia sostenibile) essendo disposti a sposarle e a continuare a violentarle nel sacro vincolo del matrimonio, fino a quando parrà opportuno al violentatore. Aberrante !(3)

        Altro aspetto riguarda il comportamento di un eletto da Dio, Davide che reagisce alla notizia nel modo seguente: 21 Il re Davide seppe tutte queste cose e ne fu molto irritato, ma non volle urtare il figlio Amnòn, perché aveva per lui molto affetto; era infatti il suo primogenito. Il preferito da Dio, Davide, è un così gran farabutto che non riesce a prendere almeno a calci il figlio ? Che insegnamenti fornisce un Dio che ha prediletti di tal fatta ? Anche qui Dio dimentica (è un eterno distratto) cosa dice in altra sede: 22 Maledetto chi si unisce con la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre! … [Dt. 27, 22]. Come si sa, Gesù viene fatto discendere da questo antenato. Non stupisce quindi il comportamento dei cristiani che operano in identico modo: coprono e perdonano ogni crimine sessuale commesso dal proprio clero, allo stesso tempo in cui danno le colpe alla donna colpevolizzandola, minimizzando i suoi danni, il suo sentimento, i suoi diritti.

        Assalone vendica Tamar uccidendo Amnon mentre è ubriaco (che costumi avevano questi eletti del popolo di Dio ?) ma deve scappare per evitare l’ulteriore vendetta di Davide. Assalonne tornò nel regno di suo padre che tardò due anni nel riceverlo, quando la sua ira si era placata. Il seguito della storia vede una rivolta di Assalonne contro Davide che finì in una guerra.  Naturalmente vinse Davide che, in un finale biblico, ammazzò Assalonne.

        Da distaccare l’inizio della rivolta, quando Assalonne violentò, in una tenda fatta costruire appositamente aperta al pubblico, 10 delle concubine di Davide per mostrare a tutti il suo disprezzo verso il padre. Come reagisce Davide, quando riprende possesso del suo palazzo a Gerusalemme ? Le chiude tutte in una stanza  in modo che facciano vita da vedove fino alla morte. Inutile dire che le poverette non c’entravano nulla. Che sono loro vittime di una violenza che nella concitazione non viene condannata da nessuno. Da nessuna parte leggiamo di queste donne che gradissero di essere violentate. Ed allora qual è la giustizia divina ? Che c’entrano queste donne ? Perché devono pagare per peccati altrui ?

        Riguardo al fatto in sé, Tamar sparisce dalla scena perché è una donna che ha fatto il suo dovere facendosi violentare e ripudiare. Serviva Tamar a fare da innesco per la guerra successiva tra Assalonne e Davide. E’ Dio che ha usato Tamar per i suoi fini. Del resto non c’è da sorprendersi perché è Dio stesso che più e più volte afferma di provocare azioni malvagie al fine di poter poi apparire come il vendicatore che punisce senza pietà per maggior gloria del suo popolo. L’esempio più noto è quanto accade al faraone all’epoca di Mosè. Vediamo:

21 Il Signore disse a Mosè: «Mentre tu parti per tornare in Egitto, sappi che tu compirai alla presenza del faraone tutti i prodigi che ti ho messi in mano; ma io indurirò il suo cuore ed egli non lascerà partire il mio popolo. [Es. 4, 21]

Fu Dio quindi che operò in modo che il faraone sottovalutasse le terribili 10 piaghe scatenate contro l’Egitto. Il motivo di ciò è lo stesso Dio a spiegarcelo parlando a Mosè:

1 Allora il Signore disse a Mosè: «Va’ dal faraone, perché io ho reso irremovibile il suo cuore e il cuore dei suoi ministri, per operare questi miei prodigi in mezzo a loro 2 e perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e di tuo nipote come io ho trattato gli Egiziani e i segni che ho compiuti in mezzo a loro e così saprete che io sono il Signore!». [Es. 10, 1-2]

Come dire ? Faccio disastri perché il mio popolo mi veda agire e riconosca che sono il suo Dio. Un vero Dio todopoderoso che fa, a questo punto, pensare se sia stato conveniente per gli israeliani avercelo.

        Davide, anche se si comporta in modo indegno, è l’eletto da Dio, il suo miglior figlio scelto per guidare ai massimi successi il suo popolo. Il tutto iniziò con la storia ricordata della primogenitura contesa e rubata a Saul. Storia ripresa nel Primo Libro di Samuele:

1 E il Signore disse a Samuele: «Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho rigettato perché non regni su Israele? Riempi di olio il tuo corno e parti. Ti ordino di andare da Iesse il Betlemmita, perché tra i suoi figli mi sono scelto un re». [1Sam. 16, 1]

12 Quegli mandò a chiamare [David] e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto. Disse il Signore: «Alzati e ungilo: è lui!». 13 Samuele prese il corno dell’olio e lo consacrò con l’unzione in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi. …. [1Sam. 16, 12-13]

E fu lo stesso Dio a ritirare la scelta da Saul:

14 Lo spirito del Signore si era ritirato da Saul ed egli veniva atterrito da uno spirito cattivo, da parte del Signore. [1Sam. 16, 14]

        L’uomo che non batte ciglio di fronte alla violenza di suo figlio su sua figlia è l’eletto da Dio. Ancora una volta la donna può essere violentata all’interno della sua famiglia nel silenzio del padre e di Dio.

I PESSIMI GENITORI SONO PIÙ GRADITI A DIO 
 

        Abbiamo già visto alcuni esempi di genitori indegni capaci di cedere le giovani figlie alle voglie di masnade di assatanati. Naturalmente la Bibbia non è mai parca di nulla e di esempi come questi, di bestialità compiute verso la prole, ne ha molti. Riporterò quelli che si riferiscono soprattutto ai preferiti tra gli eletti da Dio.

        Tra i primi genitori ignobili, che sacrificarono i figli per loro fini, vi è Noè. Vi sono poi Abramo, Iefte (un giudice d’Israele), Mesa (uno dei Re dei Moabiti). Per costoro uccidere un figlio era una cosa naturale se solo lo richiedeva Geova.

        In questi casi comunque Dio, nelle sue leggi, aveva previsto la possibilità da parte dei genitori di ammazzare i figli (anche se questi per meritare la morte dovevano aver fatto azioni gravi):

18 Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta, 19 suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, 20 e diranno agli anziani della città: Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è uno sfrenato e un bevitore. 21 Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà; così estirperai da te il male e tutto Israele lo saprà e avrà timore. [Dt. 21, 18-21]

        Sembrerebbe una norma scritta per Amnon, figlio di Davide. Ma, come ricordate non fu applicata al figlio di un prediletto dal Signore. Resta da vedere se i figli che vengono ora ammazzati dai genitori sono disprezzabili o meno. Ed è triste osservare che analogo castigo per pessime azioni dei genitori non sia ma i stato dato da Dio ai genitori che Egli aveva eletto.

LA STORIA ESEMPLARE DI NOÈ, SUO FIGLIO E SUO NIPOTE

 

        Finito il diluvio, Noè ed i suoi tre figli abbandonarono l’arca e tornarono a vivere una vita normale, nei campi con vigne e, soprattutto vino, una vera dannazione per i prescelti dal Signore:

20 Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. 21 Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda. 22 Cam, padre di Canaan, vide il padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. 23 Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono il padre scoperto; avendo rivolto la faccia indietro, non videro il padre scoperto.
24 Quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; 25 allora disse:
«Sia maledetto Canaan!
Schiavo degli schiavi
sarà per i suoi fratelli!».
26 Disse poi:
«Benedetto il Signore, Dio di Sem,
Canaan sia suo schiavo!
27 Dio dilati Iafet
e questi dimori nelle tende di Sem,
Canaan sia suo schiavo!». [Gn. 9, 20-27]

        Così Noè, come gran parte degli eletti da Dio, era un ubriacone. Inoltre beveva da solo senza offrire niente almeno ai figli ai quali neppure dice nulla del suo vizietto. Un figlio, il più piccolo di nome Cam, che entra nella tenda e lo trova ubriaco e nudo. Esce fuori dalla tenda e racconta la cosa ai due fratelli Sem e Iafet. Costoro, camminando all’indietro, per non vedere, fanno ciò che farebbe chiunque, e non tanto per coprire le pretese vergogne, quanto perché, ad esempio, non si raffreddi l’ignudo. Ebbene Cam, viene trattato da Noè come un cane rognoso. E pensare che Geova aveva manifestato a Noè il suo apprezzamento, all’unico uomo che salvò da quella congerie di banditi che aveva creato::

5 Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. 6 E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. 7 Il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti». 8 Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore. [Gn. 6, 5-8]

        Ma Noè reagì a quanto avvenuto sotto la tenda in modo incomprensibile e malvagio. Non si scusò con i figli per essersi ubriacato. Non fece finta di nulla ma se la prese con l’0unico figlio che lo aveva scoperto (nel senso di trovato) nudo ed ubriaco ed aveva fatto sì che gli altri due fratelli lo coprissero. Ma per essere ancora più perfido, non maledisse Cam direttamente ma il figlio Canaan di Cam condannandolo a fare da schiavo ai figli di Sem. Come definire Noè ? Un vero delinquente che se la prende con un giovane (non si sa comunque se all’epoca era già nato) che non aveva a che fare niente di niente con questa storia !

        Questa storia è esmplare nella Bibbia perché indica la condotta che sarà sempre seguita dalla Parola di Dio. Saranno sempre punite le persone deboli, bambini e donne, per salvare e perdonare gli errori e le colpe, anche gravissime, degli uomini che Dio aveva scelto come prediletti.

        Che insegnamento possiamo trarre ? Il prediletto da Dio può sottoporsi ad ogni eccesso corporale senza doversi pentire in alcun modo con gli altri anzi, incolpando gli altri dei propri eccessi e castigando chi non c’entra nulla con essi.

LA STORIA SUBLIME DI ABRAMO, SARA, AGAR ED ISMAELE

 

        Già abbiamo visto la vocazione da lenone di Abramo che si è arricchito mandando la moglie, spacciata per sorella, a letto con il faraone. Mi soffermerò ora su quella moglie che accettò di buon grado di fare la prostituta e che ora diventa invidiosa, rancorosa ed egoista ed ancora su Abramo che si comporta ora in modo ingiusto da grande vigliacco. Con Dio che condivide assecondando la carognata.

        Ricordo in breve che Sara era sterile e che, per garantire una discendenza, mise nel letto di Abramo la schiava Agar da cui nacque Ismaele.

1 Sarai, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, 2 Sarai disse ad Abram: «Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli». Abram ascoltò la voce di Sarai. 3 Così, al termine di dieci anni da quando Abram abitava nel paese di Canaan, Sarai, moglie di Abram, prese Agar l’egiziana, sua schiava e la diede in moglie ad Abram, suo marito. 4 Egli si unì ad Agar, che restò incinta. Ma, quando essa si accorse di essere incinta, la sua padrona non contò più nulla per lei. 5 Allora Sarai disse ad Abram: «L’offesa a me fatta ricada su di te! Io ti ho dato in braccio la mia schiava, ma da quando si è accorta d’essere incinta, io non conto più niente per lei. Il Signore sia giudice tra me e te!». 6 Abram disse a Sarai: «Ecco, la tua schiava è in tuo potere: falle ciò che ti pare». Sarai allora la maltrattò tanto che quella si allontanò. 7 La trovò l’angelo del Signore presso una sorgente d’acqua nel deserto, la sorgente sulla strada di Sur, 8 e le disse: «Agar, schiava di Sarai, da dove vieni e dove vai?». Rispose: «Vado lontano dalla mia padrona Sarai». 9 Le disse l’angelo del Signore: «Ritorna dalla tua padrona e restale sottomessa». 10 Le disse ancora l’angelo del Signore: «Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla per la sua moltitudine». 11 Soggiunse poi l’angelo del Signore:
«Ecco, sei incinta:
partorirai un figlio
e lo chiamerai Ismaele,
perché il Signore ha ascoltato la tua afflizione.
12 Egli sarà come un ònagro;
la sua mano sarà contro tutti
e la mano di tutti contro di lui
e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli».
13 Agar chiamò il Signore, che le aveva parlato: «Tu sei il Dio della visione», perché diceva: «Qui dunque sono riuscita ancora a vedere, dopo la mia visione?». 14 Per questo il pozzo si chiamò Pozzo di Lacai-Roi; è appunto quello che si trova tra Kades e Bered. 15 Agar partorì ad Abram un figlio e Abram chiamò Ismaele il figlio che Agar gli aveva partorito. 16 Abram aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele. [Gn. 16, 1-16]

Poi, nella vecchiaia, Sara ebbe da Dio il dono di concepire con Abramo e da qui inizia la storia vergognosa. Seguiamo gli eventi sulla Bibbia:

2 Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. 3 Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. 4 Abramo circoncise suo figlio Isacco, quando questi ebbe otto giorni, come Dio gli aveva comandato. 5 Abramo aveva cento anni, quando gli nacque il figlio Isacco. 6 Allora Sara disse: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà sorriderà di me!». 7 Poi disse: «Chi avrebbe mai detto ad Abramo: Sara deve allattare figli! Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!».
8 Il bambino crebbe e fu svezzato e Abramo fece un grande banchetto quando Isacco fu svezzato. 9 Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana, quello che essa aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. 10 Disse allora ad Abramo: «Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco». 11 La cosa dispiacque molto ad Abramo per riguardo a suo figlio. 12 Ma Dio disse ad Abramo: «Non ti dispiaccia questo, per il fanciullo e la tua schiava: ascolta la parola di Sara in quanto ti dice, ascolta la sua voce, perché attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe. 13 Ma io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole». 14 Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre di acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Essa se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. 15 Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora essa depose il fanciullo sotto un cespuglio 16 e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: «Non voglio veder morire il fanciullo!». Quando gli si fu seduta di fronte, egli alzò la voce e pianse. 17 Ma Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. 18 Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione». 19 Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e fece bere il fanciullo. 20 E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco. 21 Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie del paese d’Egitto. [Gn. 21, 2-21]

        Sara, che si è prostituita in silenzio per arricchire la tribù di Abramo parla ! Dice qualcosa che non può essere altro che una sciocchezza da attribuire al misero cervello di una donna che, attenzione, ragiona solo in termini di eredità («Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco»). Serve ricordare che era stata lei a mettere Abramo nel letto di Agar ? E, fino ad allora, che affetto c’era stato tra lei ed il figlio di Abramo ed Agar, Ismaele ? Abramo si dispiace ma per suo figlio infatti come può dispiacersi per Agar ? Non solo è una donna ma è anche una schiava ! Ed ecco che arriva il perfido Dio che si schiera con Sara ed Abramo. Via, mandate via quel figlio e occupatevi solo di Isacco. Per quel che riguarda Agar ed il piccolo, Dio si occuperà di loro. Importa qualcosa a Dio di affetti, di ricordi, di storia in comune ? Il problema è la discendenza che, se diretta (una volta tanto), è un poco meglio. Ad Agar e figlioletto un’assist4enza pelosa.

        E Dio ? si riduce addirittura a parlare con una schiava. Sembra molto cristiano ma dietro vi è l’imbroglio della schiava cacciata, in quanto tale ! Ed Abramo ? Non disse nulla questo campione del popolo d’Israele. Accettò, senza battere ciglio, che suo figlio (con la madre) fosse scacciato da dove aveva vissuto. Un crudele ed ingiusto padre. Soprattutto un avaro che molto ricco, per l’uso di sua moglie come prostituta, manda figlio e madre nel deserto senza mezzi di sussistenza. Questa Sara è poi una donna che agisce e compare. Sembra un avanzamento rispetto ai silenzi delle donne della Bibbia. Invece è il peggio del comportamento umano che esce fuori dalla sua bocca.

        In definitiva Dio ci spiega qui che figli ed amanti possono essere utilizzati senza rispetto e considerazione alcuna. I vincoli di parentela non contano nulla rispetto ad interessi meschini, egoisti e particolari.

LA STORIA COMMOVENTE DI ABRAMO ED ISACCO

        E’ a questo punto indispensabile parlare di uno dei racconti della Bibbia più abusati ma mai pensati fino in fondo. Questo padre, Abramo, cosa fa con suo figlio Isacco ? Fu un eroe della fede in Dio o un genitore perverso, crudele, malvagio che sapeva solo pensare a se stesso ? Leggiamo la Bibbia:

1 Dopo queste cose [l’alleanza che Abramo aveva fatto con Abimèlech a Bersabeo]  Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 2 Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». 3 Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. 4 Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. 5 Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». 6 Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme.  7  Isacco si rivolse  al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». 8 Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutt’e due insieme; 9 così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. 10 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. 11 Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 12 L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio». 13 Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. 14 Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede». 15 Poi l’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 16 e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, 17 io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18 Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce». [Gn. 22, 1-18]

        Questa idea, stupida e criminale, di un Dio che mette alla prova è quanto di peggio i monoteisti sono riusciti ad inventare. Un Dio che ha comportamenti del tutto umani e soffre di gelosie e di verifiche continue (materiali) della fede dei suoi sudditi. Povero Dio e molto più poveri credenti ! Vediamo.

        Nel racconto il figlio è un personaggio da poco che sembra avere il solo ruolo dell’agnello sacrificale silenzioso. Abramo è un pessimo padre che, supposto dovesse ubbidire a Dio,m poteva anche farlo soffrendo, restando sveglio la notte, avendo incubi. Niente di tutto ciò. La Parola di Dio che presenta storie che debbono servire come esempio, ha presentato una storia indegna. Che Dio è uno che chiede al padre di  ammazzare il figlio ? E’ comprensibile, ad esempio ad uno che dovesse essere convertito, questa persistente mania, crudele e malata, del Dio biblico, che spesso vuole a tutti i costi mettere alla prova chi crede in lui con prove orrende ? Non è in grado una tale infinita sapienza di capire come i fedeli si avvicinano a Lui senza provare per vedere ? E’ troppo umano un tale Dio, gli uomini se lo sono fatto a propria immagine e somiglianza ed un uomo ragionevole non può accettare una proiezione virtuale di un gruppo di uomini malati. Questo Dio è un Dio dal cui scappare, e basta. Come insegnamento ai genitori è del tutto demenziale: quale genitore è in grado di spiegare al figlio che è, in linea di principio, una bestia da sacrificio ? E chi è invece in grado di spiegare ai genitori che i figli servono per far avere incubi ed angosce tali da torturare i medesimi genitori ? Il rischio con questo Dio nella Bibbia è di dovere a che fare con la sua ira e di restare subito fulminato.

        Che insegnamento possiamo trarre ? I figli sono una semplice appendice della quale possiamo fare a meno a comando. Essi non meritano né il rispetto né la protezione del padre. Gli obblighi e la sottomissione a Dio cancellano i più elementari vioncoli affettivi tra padre e figlio.

        Ma questo non è che un esempio. Di prove analoghe, del tutto ingiustificate, un tale Dio orco ne fa di continuo nella Bibbia. Vediamone ancora qualcuna (non essendovi spazio per tutte).

IEFTE, GIUDICE DI ISRAELE, E LA FIGLIA … DELLA QUALE NON ABBIAMO NEPPURE IL NOME

        Nel Libro dei Giudici della Bibbia possiamo leggere una storia struggente per ogni umano creato presumibilmente da quel Dio ma insignificante e normale per quello stesso Dio e per i suoi seguaci degni di lui. E’ la storia di un giudice di Israele, Iefte, che operò per sei anni nella Tribù di Manasse (7 Iefte fu giudice d’Israele per sei anni. Poi Iefte, il Galaadita, morì e fu sepolto nella sua città in Gàlaad [Giud. 12, 7]). Per parte sua Iefte era figlio di una prostituta (niente di male se queste vicende di figliolame strano non si ripetessero con troppa frequenza nella Bibbia) che risultò essere molto agitato in gioventù, tanto da essere espulso dalla sua casa. Divenne il capo di un gruppo di teppisti fino a quando gli ammoniti non dichiararono guerra ad Israele ed i suoi concittadini di Galaad non lo implorarono di mettersi alla testa dei loro combattenti (il vigore e la tempra di un teppista sono subito riconoscibili). La storia di Iefte è intimamente legata a quella della figlia e sempre e comunque legata alle guerre criminali che questo popolo, quello di Israele, insieme ad altri popoli si sono sempre divertiti a fare per maggior gloria, ognuno, del suo Dio. Questa volta la tribù israelitica di Manasse era in guerra con gli Amnmoniti e come usavano gli eletti facevano voti a Dio chiedendo favori in cambio di vite umane. I nostri Montezuma. Leggiamo la storia dalla Parola di Dio:

1 Ora Iefte, il Galaadita, era uomo forte e valoroso, figlio di una prostituta; lo aveva generato Gàlaad. 2 Poi la moglie di Gàlaad gli partorì figli e, quando i figli della moglie furono adulti, cacciarono Iefte e gli dissero: «Tu non avrai eredità nella casa di nostro padre, perché sei figlio di un’altra donna». 3 Iefte fuggì lontano dai suoi fratelli e si stabilì nel paese di Tob. Attorno a Iefte si raccolsero alcuni sfaccendati e facevano scorrerie con lui. 4 Qualche tempo dopo gli Ammoniti mossero guerra a Israele. 5 Quando gli Ammoniti iniziarono la guerra contro Israele, gli anziani di Gàlaad andarono a prendere Iefte nel paese di Tob. 6 Dissero a Iefte: «Vieni, sii nostro condottiero e combatteremo contro gli Ammoniti». 7 Ma Iefte rispose agli anziani di Gàlaad: «Non siete forse voi quelli che mi avete odiato e scacciato dalla casa di mio padre? Perché venite da me ora che siete in difficoltà?». 8 Gli anziani di Gàlaad dissero a Iefte: «Proprio per questo ora ci rivolgiamo a te: verrai con noi, combatterai contro gli Ammoniti e sarai il capo di noi tutti abitanti di Gàlaad». 9 Iefte rispose agli anziani di Gàlaad: «Se mi riconducete per combattere contro gli Ammoniti e il Signore li mette in mio potere, io sarò vostro capo». 10 Gli anziani di Gàlaad dissero a Iefte: «Il Signore sia testimone tra di noi, se non faremo come hai detto». 11 Iefte dunque andò con gli anziani di Gàlaad; il popolo lo costituì suo capo e condottiero e Iefte ripeté le sue parole davanti al Signore in Mizpa. [Giu. 11, 1-11]

Iefte tentò la conciliazione ma le conversazioni non ebbero successo. Da questo punto la storia prosegue come segue:

28 Ma il re degli Ammoniti non ascoltò le parole che Iefte gli aveva mandato a dire.
29 Allora lo spirito del Signore venne su Iefte ed egli attraversò Gàlaad e Manàsse, passò a Mizpa di Gàlaad e da Mizpa di Gàlaad raggiunse gli Ammoniti. 30 Iefte fece voto al Signore e disse: «Se tu mi metti nelle mani gli Ammoniti, 31 la persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io l’offrirò in olocausto». 32 Quindi Iefte raggiunse gli Ammoniti per combatterli e il Signore glieli mise nelle mani. 33 Egli li sconfisse da Aroer fin verso Minnit, prendendo loro venti città, e fino ad Abel-Cheramin. Così gli Ammoniti furono umiliati davanti agli Israeliti. 34 Poi Iefte tornò a Mizpa, verso casa sua; ed ecco uscirgli incontro la figlia, con timpani e danze. Era l’unica figlia: non aveva altri figli, né altre figlie [qualcuno qui è scemo. O Dio, o il profeta o il traduttore o lo scriba. Iefte va a casa sua e chi si aspetta che gli vada incontro ? La figlia di un amico ? la sposa di suo cugino ? la sorella del capo tribù ? Stupisce davvero che sia la figlia che gli va incontro ! ndr]. 35 Appena la vide, si stracciò le vesti e disse: «Figlia mia, tu mi hai rovinato! Anche tu sei con quelli che mi hanno reso infelice! Io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi». 36 Essa gli disse: «Padre mio, se hai dato parola al Signore, fa’ di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca, perché il Signore ti ha concesso vendetta sugli Ammoniti, tuoi nemici». 37 Poi disse al padre: «Mi sia concesso questo: lasciami libera per due mesi, perché io vada errando per i monti a piangere la mia verginità con le mie compagne». 38 Egli le rispose: «Va’!», e la lasciò andare per due mesi. Essa se ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità. 39 Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli fece di lei quello che aveva promesso con voto. Essa non aveva conosciuto uomo; di qui venne in Israele questa usanza:  40 ogni anno le fanciulle d’Israele vanno a piangere la figlia di Iefte il Galaadita, per quattro giorni. [Giu. 11, 28-40]

        Servirebbe qui un intero libro per raccontare le bestialità presenti in questa storia. Debbo limitarmi all’evidente. Un fedele di Geova chiede al suo Dio di ottenere un favore in cambio di un sacrificio umano. Questo qualifica sia il Dio che accetta ciò (portando il sacrificio fino al suo compimento), sia il fedele di una tale religione. E’ indegno tutto ciò, è indecente. E non tano per il popolo di Israele che fa ciò che vuole con il suo Dio ma con i cristiani che parlano di Nuovo Testamento non rinnegando nulla del Vecchio. Una truffa sulla pelle del gregge di ingenui o imbecilli o utili idioti.

        Altre considerazioni di carattere più particolare debbono essere fatte. Se la figlia di Iefte, della quale neppure viene fatto il nome tanto una donna è insignificante, non fosse stata vergine avrebbe cambiato qualcosa ? E’ peccato maggiore ammazzare una vergine o una non vergine ? Una madre può essere ammazzata con maggiore o minore colpa di una fanciulla che ancora non ha conosciuto le gioie del sesso ? Ma poi, questo dare per scontato delle verginità di fanciulle è per visita ginecologica di Dio o per supposizione o per consuetudine ? E se la fanciulla nottetempo con qualche garzone o schiavo … il Dio distratto avrebbe saputo ?  E se la fanciulla avesse ardito a licenze ancillari sarebbe stata da condannare ? Infine la storia della figlia che si ritira con le amiche per due mesi su una montagna. Sarebbe stupendo se, nella grande tragedia si fosse portata tutti i suoi schivi per regalare loro la sua presunta virtù di vergine. Altrimenti non si capisce questo pianto di due mesi sulle montagne con le amiche ed il suo ritorno ancora vergine (davvero le donne sono solo occasione di dibattiti privi di senso). Ma è inutile discutere della parola di Dio.

        Ed il padre di questa povera vergine cos’è se non un delinquente ? E non solo per la cosa orrenda che fa in questa occasione ma nei suoi comportamenti in guerra:

1 Ora gli uomini di Efraim si radunarono, passarono il fiume verso Zafon e dissero a Iefte: «Perché sei andato a combattere contro gli Ammoniti e non ci hai chiamati con te? Noi bruceremo te e la tua casa». 2 Iefte rispose loro: «Io e il mio popolo abbiamo avuto grandi lotte con gli Ammoniti; quando vi ho chiamati in aiuto, non siete venuti a liberarmi dalle loro mani. 3 Vedendo che voi non venivate in mio aiuto, ho esposto al pericolo la vita, ho marciato contro gli Ammoniti e il Signore me li ha messi nelle mani. Perché dunque siete venuti oggi contro di me a muovermi guerra?». 4 Iefte, radunati tutti gli uomini di Gàlaad, diede battaglia ad Efraim; gli uomini di Gàlaad sconfissero gli Efraimiti, perché questi dicevano: «Voi siete fuggiaschi di Efraim; Gàlaad sta in mezzo a Efraim e in mezzo a Manàsse». 5 I Galaaditi intercettarono agli Efraimiti i guadi del Giordano; quando uno dei fuggiaschi di Efraim diceva: «Lasciatemi passare», gli uomini di Gàlaad gli chiedevano: «Sei un Efraimita?». Se quegli rispondeva: «No», 6 i Galaaditi gli dicevano: «Ebbene, di’ Scibbolet», e quegli diceva Sibbolet, non sapendo pronunciare bene. Allora lo afferravano e lo uccidevano presso i guadi del Giordano. In quella occasione perirono quarantaduemila uomini di Efraim. [Giu. 12, 1-6]

        Un vero uomo, un vero israelita, un vero seguace di quel Dio che fa paura ! Ma può darsi che fosse semplicemente uno che ignorava le leggi di Dio (anche se Dio non ha fatto nulla per impedirgli il giuramento ed il suo barbaro compimento). In tal caso qualcuno doveva spiegare qualcosa al padre indegno. Leggiamo nel Levitico, nel capitolo in cui si danno le norme per le persone che peccano per ignoranza contro uno dei comandamenti di Geova:

2 Quando un uomo inavvertitamente trasgredisce un qualsiasi divieto della legge del Signore, facendo una cosa proibita [Lev. 4, 2]

in tal caso è lo stesso Dio che ordina che

5 Quando uno dunque si sarà reso colpevole d’una di queste cose, confesserà il peccato commesso; 6 porterà al Signore, come riparazione della sua colpa per il peccato commesso, una femmina del bestiame minuto, pecora o capra, come sacrificio espiatorio; il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il suo peccato. [Lev. 5, 5-6]

        Da qui si può osservare che questo Dio non è poi così malvagio come l’ho descritto perché accetta il semplice sacrificio di una povera bestia (questa nessuna valutazione degli animali è altra colpa gigante del Dio unico che un giorno dovrà essere studiata per4 arrivare ad una condanna senza appello). Ma, com’è possibile che un tale Dio, così buono, non sia intervenuto per fermare l’assassinio della figlia  (ed anche vergine !) da parte del padre ?Come può un Dio aver aiutato un suo prediletto solo mediante il pagamento mediante una vita ? E’ uno scambio amorale tutto degno di un Dio crudele e malvagio. O distratto, non vi è altra possibile spiegazione.

        Come abbiamo visto, Iefte era solo il capo di una banda di teppisti che per la sue bravate era astato posto a capo dei combattenti di Gàlaad. Mediante il sacrificio di una persona (sua figlia!) vinse gli ammoniti. Dio premiò Iefte per ciò e permise che divenisse giudice di Israele per ben 6 anni. Non solo. Iefte è uno dei pochi che torna anche nel Nuovo Testamento con grata memoria da parte della parola di Dio. Iefte, insieme a vari altri, tra cui Gedeone, Davide, Samuele, …,  viene salutato come uno tra i quali

 33 … per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni, 34 spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. [Eb. 11, 33-34]>

        In definitiva si può trarre un amaro insegnamento: Dio è felice quando un padre ammazza la propria figlia per compiacere la Sua maggior gloria.

MESA, RE DI MOAB, ED IL FIGLIO … DEL QUALE NON ABBIAMO NEPPURE IL NOME

        IL seguente è il racconto di un altro assassinio da parte di un padre del proprio figlio. Questo racconto del terrore che la Parola di Dio ci fa è stato spesso nascosto dietro le parole bugiarde dei biblisti che di tutto sanno sempre trovare la maggiore gloria di Dio, una divinità che non differisce in nulla da quelle criminali adorate dagli aztechi.

        Nel Secondo Libro dei Re si racconta del regno di Moab che fu sottomesso da Israele fino a quando, dopo la morte del Re Acab (che regnò dall’869 all’850 a.C.), il Re Mesa [o Mesha] di Moab non si ribellò contro gli oppressori. Il preludio di quanto ci interessa lo leggiamo direttamente dalla Bibbia:

1 Ioram figlio di Acab divenne re d’Israele in Samaria l’anno diciotto di Giòsafat, re di Giuda. Ioram regnò dodici anni. 2 Fece ciò che è male agli occhi del Signore, ma non come suo padre e sua madre. Egli allontanò la stele di Baal, eretta dal padre. 3 Ma restò legato, senza allontanarsene, al peccato che Geroboamo, figlio di Nebàt, aveva fatto commettere a Israele.
4 Mesa re di Moab era un allevatore di pecore. Egli inviava al re di Israele centomila agnelli e la lana di centomila arieti. 5 Ma alla morte di Acab, Mesa si ribellò al re di Israele. 6 Allora il re Ioram uscì da Samaria e passò in rassegna tutto Israele. 7 Si mosse e mandò a dire a Giòsafat re di Giuda: «Il re di Moab si è ribellato contro di me; vuoi partecipare con me alla guerra contro Moab?». Quegli rispose: «Ci verrò; conta su di me come su di te, sul mio popolo come sul tuo, sui miei cavalli come sui tuoi». 8 «Per quale strada muoveremo?», domandò Giòsafat. L’altro rispose: «Per la strada del deserto di Edom». 9 Allora si misero in marcia il re di Israele, il re di Giuda e il re di Edom. Girarono per sette giorni. Non c’era acqua per l’esercito né per le bestie che lo seguivano. 10 Il re di Israele disse: «Ah, il Signore ha chiamato questi tre re per metterli nelle mani di Moab». 11 Giòsafat disse: «Non c’è qui un profeta del Signore, per mezzo del quale possiamo consultare il Signore?». Rispose uno dei ministri del re di Israele: «C’è qui Eliseo, figlio di Safat, che versava l’acqua sulle mani di Elia». 12 Giòsafat disse: «La parola del Signore è in lui». Scesero da costui il re di Israele, Giòsafat e il re di Edom.
13 Eliseo disse al re di Israele: «Che c’è fra me e te? Va’ dai profeti di tuo padre e dai profeti di tua madre!». Il re di Israele gli disse: «No, perché il Signore ha chiamato noi tre re per metterci nelle mani di Moab». 14 Eliseo disse: «Per la vita del Signore degli eserciti, alla cui presenza io sto, se non fosse per il rispetto che provo verso Giòsafat re di Giuda, a te non avrei neppure badato, né ti avrei guardato. [2Re 3, 1-14]

Contro Mesa si allearono il nuovo Re di Israele, Ioram,  il re di Giuda, Iosafat, ed il Re di Edom. Prima di attaccare Moab decisero di chiedere al profeta Eliseo qual era la volontà di Dio. E la storia prosegue con la Parola di Dio:

15 [Disse Eliseo] «Ora cercatemi un suonatore di cetra». Mentre il suonatore arpeggiava, cantando, la mano del Signore fu sopra Eliseo. 16 Egli annunziò: «Dice il Signore: Scavate molte fosse in questa valle, 17 perché dice il Signore: Voi non sentirete il vento né vedrete la pioggia, eppure questa valle si riempirà d’acqua; berrete voi, la vostra truppa e le vostre bestie da soma. 18 Ciò è poca cosa agli occhi del Signore; egli metterà anche Moab nelle vostre mani. 19 Voi distruggerete tutte le fortezze e tutte le città più importanti; abbatterete ogni albero e ostruirete tutte le sorgenti d’acqua; rovinerete ogni campo fertile riempiendolo di pietre». 20 Al mattino, nell’ora dell’offerta, ecco scorrere l’acqua dalla direzione di Edom; la zona ne fu inondata.
21 Tutti i Moabiti, saputo che erano venuti i re per fare loro guerra, arruolarono tutti gli uomini in età di maneggiare le armi e si schierarono sulla frontiera. 22 Alzatisi presto al mattino, quando il sole splendeva sulle acque, i Moabiti videro da lontano le acque rosse come sangue. 23 Esclamarono: «Questo è sangue! I re si sono azzuffati e l’uno ha ucciso l’altro. Ebbene, Moab, alla preda!». 24 Andarono dunque nell’accampamento di Israele. Ma gli Israeliti si alzarono e sconfissero i Moabiti, che fuggirono davanti a loro. I vincitori si inoltrarono nel paese, incalzando e uccidendo i Moabiti. 25 Ne demolirono le città; su tutti i campi fertili ognuno gettò una pietra e li riempirono; otturarono tutte le sorgenti d’acqua e tagliarono tutti gli alberi utili. Rimase soltanto Kir Careset; i frombolieri l’aggirarono e l’assalirono. 26 Il re di Moab, visto che la guerra era insostenibile per lui, prese con sé settecento uomini che maneggiavano la spada per aprirsi un passaggio verso il re di Edom, ma non ci riuscì. 27 Allora prese il figlio primogenito, che doveva regnare al suo posto, e l’offrì in olocausto sulle mura. Si scatenò una grande ira contro gli Israeliti, che si allontanarono da lui e tornarono nella loro regione. [2Re 3, 15-27]

Sangue a fiumi. Disastri. Uccisioni di massa e, alla fine, un figlio offerto in olocausto. Questo giovane del quale, anche in questa occasione, non conosciamo il nome, è il primogenito di Mesa e viene ammazzato da suo padre. Gli esegeti del Dio della Bibbia sostengono che Mesa uccise suo figlio per placare l’ira del Dio dei Moabiti e suo, Kemosh. Questa eventualità è ricavata da un’iscrizione sulla Stele di basalto nero di Mesa ritrovata nel 1871 e conservata al Louvre in cui, alla riga 5 si legge che Kemosh, dio di Moab, era in collera contro il suo paese. Leggiamo le prime 5 righe della Stele(4):

Sono Mesha, figlio di Kemoshyat, re di Moab, il Dibonita. Mio padre regnò su Moab per trent’anni e io regnai dopo mio padre. Io feci quest’altura per Kemosh in Qeriho, altura (?) di salvezza, poiché egli mi salva da tutti gli assalti e mi fa trionfare su tutti i miei avversari. Omri era re d’Israele e oppresse Moab per molti giorni poiché Kemosh era in collera contro il suo paese. 

Questo è certamente un documento sul quale si può fare qualunque ricostruzione ma quanto scritto esclude con chiarezza le ipotesi degli esegeti di Dio. Inoltre la Bibbia è la parola di Dio e nessuna frase in essa lascia intendere che il figlio di Mesa sia stato lanciato dalle mura della città per placare l’ira di quel Dio.

        In ogni caso il racconto merita alcuni commenti. Prima di tutto vi è quel profeta, Eliseo, che parla avendo la mano di Dio poggiata sulla spalla. Egli dice che Geova consegnerà la terra di Moab agli israeliti al fine di una sua completa distruzione. Poi vi è Mesa che lancia suo figlio dalle mura e gli israeliti si spaventano a morte e fuggono verso la loro terra. E niente accade nella Bibbia che Dio non vuole. Ma Eliseo cosa aveva capito di quanto Dio gli aveva detto ? O forse che Dio ha ingannato Eliseo ? O, ancora, per caso, nel mezzo della battaglia, Dio ha cambiato bando ? E gli israeliti, se Dio era restato con loro, come mai non furono capaci di vincere ? Forse Dio Geova si commosse per il gesto di quel padre ? La domanda più dura è però la seguente: che forse il dio  Kemosh di Mesa era più poderoso del Dio Geova ?

        Comunque si possa arzigogolare, sembra che il Dio che parla nella Bibbia trovi naturale il sacrificio di un figlio da parte del padre.

        L’insegnamento di Dio è quindi il seguente: la protezione divina non è mai garantita. Essa è cambiante e varia al variare delle offerte che gli vengono fatte.

DIO SPIEGA COME TRATTARE I FIGLI RIBELLI

        A parte singoli episodi, Dio fornisce il modo di trattare i figli che non ubbidiscono ai genitori. E’ straordinario il fatto che questo Dio sembra parlare e dare indicazioni di comportamento, quanto non comandamenti, ad un popolo barbaro. Non è pensabile che si parli continuamente di comportamenti che, anche all’epoca, offenderebbero la sensibilità di qualunque sensibilità mediamente civilizzata. In questa civiltà, descritta come primitiva, i figli maschi non sono altro che proprietà dei genitori mentre le figlie femmine molgto peggio, proprietà dei genitori, oggetti sia per i genitori che per il marito.

        Abbiamo visto fin qui solo qualche esempio delle bestialità fatte sui figli da parte di genitori, particolarmente da parte di padri, che erano gli eletti da Dio. Vediamo ora quale leggi dettò Dio per i genitori di fronte a figli ribelli. Leggi introdotte così:

1 Queste sono le leggi e le norme, che avrete cura di mettere in pratica nel paese che il Signore, Dio dei tuoi padri, ti dà perché tu lo possegga finché vivrete sulla terra. [Dt. 12, 1]

Con questa premessa vediamo come Dio comanda di trattare i figli ribelli:

18 Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta, 19 suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, 20 e diranno agli anziani della città: Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è uno sfrenato e un bevitore. 21 Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà; così estirperai da te il male e tutto Israele lo saprà e avrà timore.  [Dt. 21, 18-21]

Ebrei e cristiani sanno questo ? Rispettano le volontà del loro Dio ? Se fosse così dovremmo avere migliaia di lapidati al giorno. Il fatto che, soprattutto tra i cristiani, regna una infinita ipocrisia.

        Comunque, Dio insegna che una discussione tesa con un figlio non è conveniente rispetto alla possibilità, molto più semplice, di ammazzarlo.

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        Molte altre sono le cose da discutere a partire dai dettagli sulla considerazione che la Bibbia, cioè Dio, ha delle donne. Lo vedremo nel prossimo articolo.


NOTE

(1) Un breve resoconto per capire come si arriva ad Abramo nella Bibbia è necessario. La prima coppia, Adamo ed Eva, genera dei figli. Dopo gli incesti tra figli di Adamo ed Eva si arriva al diluvio.
        Alla fine del quale, come ora vedremo, si sono già costituite tre “tribù: i figli di Caino, gli artigiani; i figli di Set, i longevi; gli uomini ed i giganti. Il profeta qui s’è impicciato. Ha forse mescolato varie storie. I giganti forse sono indo-europei (ariani) che invasero quei territori,… non ci è dato saperlo. Gli esploratori di Mosè che, moltissimo tempo dopo visiteranno il territorio, parleranno dei giganti, figli di Anak (Numeri e Deuteronomio). Vi è traccia di ciò che saranno Davide e Golia. Senza consequenzialità, così va avanti la Bibbia: ”Geova vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore era male … e si pentì di aver fatto l’uomo (caspita! n.d.r.) e disse ‘sterminerò sulla terra l’uomo che ho creato’ “ (Gn. 6,5). Ed allora giù il diluvio su una morale mai definita che sarebbe stata violata (come?). Ed ecco  comparire Noè che fa da calendario al diluvio, infatti “[il diluvio iniziò] nell’anno seicentesimo della vita di Noè, nel secondo mese, il diciassette del mese, proprio in quello stesso giorno” … “ e finì l’anno seicentouno della vita di Noè, il primo mese, il primo giorno del mese”. Da qui sembrerebbe che il diluvio sia durato quasi un anno ma, nel contesto si parla di una durata di 40 giorni (più il tempo necessario per la normalità, 150 giorni).
    \    Dio avverte Noè con 7 giorni di anticipo e gli fornisce le misure precise dell’arca ed anche di che legno deve essere. A conti fatti in quell’arca è impossibile pensare allo zoo che dovrebbe alloggiarvi  per, al minimo, 5 mesi. Si scopre che tra gli animali vi sono quelli mondi e quelli immondi. Così dio sterminò ogni essere che era sulla terra. Noè seguì quanto dio gli aveva detto e salvò sé e la sua varia compagnia sul monte Ararat. Noè uscì e sacrificò degli animali a Dio che li odorò insieme al sangue sparso in terra; e gli piacquero tanto che disse “Non maledirò più il suolo (che aveva maledetto a seguito della mela e del sangue sparso da Caino) a causa dell’uomo!” (Gn. 8,21). Che motivazione, oltre quella olfattiva fornisce Geova?  Straordinaria: “Perché l’istinto del cuore dell’uomo è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente (colpito con il diluvio perché malvagio) come ho fatto”. Si noterà che Dio ha costanza nel mantenere valori morali! Pochi cambiamenti in tempi rapidissimi (per Dio, naturalmente!). Anche qui, il mito del diluvio è tratto da leggende sumero-babilonesi ed in particolare il riferimento è a Ziusudra, salvato dal dio Enlil mediante l’arca eccetera (la riproposizione è letterale a parte la grandezza dell’arca e la durata del diluvio).

        Nonostante le promesse, Dio infierì sulla terra migliaia di volte, con terremoti, diluvi e quant’altro. L’ultimo terremoto, dopo San Giuliano con vari bambini colpevoli di malvagità mostruose (si ricordi che Dio non ha mai definito la morale o l’etica), vi è stato quello dell’Aquila ma le calamità nel mondo sono davvero infinite.
        Ma vediamo come segue la storia di Noè. Egli ha tre figli. Pianta una vigna, beve il vino e si ubriaca. Va nella sua tenda  “e giacque scoperto” (Gn. 9,21). Suo figlio Cam (padre di Canaan) “vide il padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori” (Gn. 9,22). I fratelli avvertiti, entrano a ritroso nella tenda per non vedere la nudità (?) e la coprono con due mantelli. Quando Noè si risvegliò dall’ubriacatura seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore (che fino ad ora era sempre stato presentato come il secondogenito) e disse in versi:

”Sia maledetto Canaan!
Schiavo degli schiavi
              Sarà per i suoi fratelli!” (Gn. 9,25)

        Così Noè se la piglia con il nipote che non c’entrava nulla ! Ma la cosa non è così semplice. Qui si sta instillando l’idea FOLLE dei figli che pagheranno per le colpe dei padri (quali siano le colpe poi si sa: quello sciocchino si era ubriacato e si era messo a dormire scoperto! Che colpa comunque aveva Cam e, peggio che mai, Canaan?). Ma Geova è un vendicativo che fa paura, è stato egli il primo a vendicarsi su tutta l’umanità per quel frutto mangiato da chi non sapeva non potesse farlo.
        Ma vi è di più. Questo episodio ORIGINA IL RAZZISMO. I discendenti di Cam-Canaan, nella vulgata, sono i negri o anche quei popoli di Canaan (Palestina) che la Bibbia, con la parola di Dio destina con somma pietà a perpetua schiavitù in potere degli ebrei. “Canaan generò Sidone suo primogenito, e Chet e il Gebuseo, l’Amorreo, il Gergeseo, l’Eveo, l’Archita ed il Sineo, l’Avardita, il Semarita e L’Amatita. In seguito si dispersero le famiglie dei cananei” (Gn. 10,15). Si tratta di uno di quei popoli promessi ad Israele. Qui vi è di più: la schiavitù che nasce per volere divino (ed aggiungo: le bestemmie dei condannati a questa vergogna) a seguito … di una ubriacatura di Noè!
        Qui cominciano le discendenze, quella pletora di nomi che tanto piacciono. Solo uno di essi va ricordato: Nimrot, discendente di Cam che cacciava tanto bene da piacere a Geova. Ed ecco che spunta la caccia come attività umana. E’ di sommo interesse vedere Geova che apprezza un bravo ammazzatore di animali.
        Da queste discendenze si riformarono le nazioni dopo il diluvio (tra di esse quella ebraica che ci ha tramandato la Bibbia).
        A questo punto il narratore si trova in difficoltà nel mettere insieme varie tradizioni e si impiccia di nuovo. Tutte le nazioni parlavano una sola lingua (torniamo ad un solo gruppo di uomini con una stupenda marcia indietro) e stavano tutte insieme in una grande pianura. Qualcuno dice: “Venite, facciamoci dei mattoni e cuociamoli sul fuoco” (Gn. 11,3). Con mattoni e bitume iniziano a costruire una città per non disperdersi su tutta la terra. Ma Geova non condivide (è veramente un impiccione che si smentisce sempre e che dimentica cose già fatte). Egli borbotta tra sé e sé: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola, questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile” (Gn. 11,6). Qui un saggio direbbe: MENO MALE! Si sono accordati e marciano bene. Ma noi abbiamo a che fare con un Dio giocherellone che subito dice: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro” (Gn. 11,7) e così “Geova dio [uno dei tanti, visto che si parla sempre al plurale? n.d.r.] li disperse di là su tutta la terra, ed essi cessarono di costruire la città … , e confuse la lingua di tutta la terra” (Gn. 11, 8 e 9). [La storia della torre di Babele è una invenzione dell’ebreo Flavio Giuseppe (I secolo d.C.) che, insieme all’altro ebreo Filone d’Alessandria (stessa epoca), lavora per rendere accettabili alcuni brani indigeribili della Bibbia. In pratica l’uomo sfiderebbe Dio e quello s’indigna]. Ma la dispersione degli uomini sulla terra ha altrove, nella Bibbia, l’altra versione, quella della loro moltiplicazione (è che vi sono almeno due “dio”: uno Eloah, dio di tutti gli uomini, e l’altro Jahvè-Geova, dio di un solo popolo).
        Dopo la dispersione, la Bibbia si concentra su Sem e la sua discendenza. Dopo l’ennesima discendenza di Sem (un poco cambiata rispetto alle altre fornite in precedenza) si arriva all’ultimo, a Terach, solo per avvertire da parte mia che “Terach uscì da Ur dei caldei (bassa Mesopotamia, n.d.r.)  per andare nel paese di Canaan” (11,31). Qui Dio è di nuovo distratto o lo fa a proposito. Non si accorge che manda il discendente di Sem  a Canaan, la Palestina, che è il nome del figlio di Cam che era stato maledetto da Noè. Ma Terach muore a Carran, in una zona ricca vicina a grandi città ed a centri commerciali come Babilonia, Assur, Ninive,…. Zona sede di un grande regno nel secondo millennio a.C.
         Ed Abramo, per iniziare la sua grande marcia, partirà da un “grande regno”.

(2) Sara, secondo la Bibbia, nasce all’incirca nel 2028 a.C. da Terach, padre di Abramo ed è quindi sorellastra del marito, figlia dello stesso padre, ma non della stessa madre (Gen. 20,12). Ha circa dieci anni meno del marito Abramo (Gen. 17,17) col quale si sposa mentre si trovavano nella città di Ur (Gen. 11,28-29). Si tramanda che fosse una donna molto bella anche in età avanzata. Il suo nome originale era Sarai, che probabilmente significa litigiosa. Quando essa ha 90 anni Dio le cambia il nome da Sarai in Sara, che significa “Principessa, Signora” promettendole che avrebbe concepito miracolosamente un figlio, al quale essa mise poi nome Isacco, il cui nome significa risata, perché Sara rise ascoltando la promessa e, disse, chi avrebbe udito di novantenne che partorisce avrebbe pure riso. Sara morì nel 1901 a.C. circa, all’età di 127 anni, 32 anni circa dopo aver partorito Isacco.


(3) Scrivo queste righe mentre si è compiuto lo scempio sul corpo di una fanciulla, Sarah Scazzi. Secondo la legge di Dio, l’assassino ha fatto un grave errore, ha solo ammazzato la giovanetta. Violentandola e basta, avrebbe ottenuto quella preda per tutta la vita.

(4) La traduzione dell’intera stele, la versione moabita dei combattimenti descritti, nella versione ebraica in 2 Re 3, 6-27, tratta da http://www.gliscritti.it/lbibbia/giordania/schede/089.htm , è la seguente:

Sono Mesha, figlio di Kemoshyat, re di Moab, il Dibonita. Mio padre regnò su Moab per trent’anni e io regnai dopo mio padre. Io feci quest’altura per Kemosh in Qeriho, altura (?) di salvezza, poiché egli mi salva da tutti gli assalti e mi fa trionfare su tutti i miei avversari. Omri era re d’Israele e oppresse Moab per molti giorni poiché Kemosh era in collera contro il suo paese. Gli successe suo figlio che disse: “Opprimerò Moab”. Al mio tempo egli aveva parlato così, ma io trionfai su di lui e sulla sua casa. E Israele fu rovinato per sempre. Ora Omri aveva preso possesso di tutto il paese di Madeba e vi aveva abitato durante i suoi giorni e la metà dei giorni dei suoi figli, quarant’anni. Ma, al mio tempo, Kemosh l’ha restituito. E io ho costruito Baal Meon, facendovi il deposito, e ho costruito Qiryaton. La gente di Gad aveva abitato nel paese di Atarot da sempre e il re d’Israele aveva costruito Atarot per sé. Io combattei contro la città e la presi. Uccisi tutto il popolo…; la città fu offerta in sacrificio per Kemosh e per Moab. Di là m’impadronii dell’altare del suo Prediletto (?) e lo trascinai davanti a Kemosh a Qeriyot. Vi feci abitare la gente di Saron e la gente di Maharot…
Kemosh mi disse: “Và, prendi Nebo da Israele”: Andai di notte e combattei contro di essa dallo spuntare dell’aurora fino a mezzogiorno. La presi e ammazzai tutti, settemila uomini con stranieri, donne, straniere e concubine, infatti li avevo votati all’anatema per Ashtar-Kemosh. Presi da lì i vasi (?) di Yahvé e li portai davanti a Kemosh. Il re d’Israele aveva costruito Yahaz e vi dimorava mentre mi faceva guerra, ma Kemosh lo cacciò davanti a me. Presi da Moab duecento uomini, tutta la sua élite; li guidai contro Yahaz e la presi per annetterla a Dibon. Fui io a costruire Qeriho: il muro del parco e il muro dell’acropoli. Io ho costruito le sue porte, io ho costruito le sue torri; io ho costruito la casa del re; io feci le due vasche per l’acqua in mezzo alla città. Non c’era cisterna in mezzo alla città a Qeriho e io dissi a tutto il popolo: “Costruitevi ciascuno una cisterna nella vostra casa”: Io feci scavare le fosse (?) per Qeriho dai prigionieri d’Israele.
Io ho costruito Aroer e ho fatto la strada dell’Arnon. Io ho costruito Bet-Bamoth poiché era stata distrutta. Io ho costruito Bezer poiché era in rovina, con cinquanta uomini di Dibon, essendo tutti gli uomini di Dibon miei sudditi. Ho regnato con capi di centinaia nelle città che avevo annesso al paese. Io ho costruito… Madeba, Bet-Diblathon e Bet-Baal-Maon e vi ho stabilito i… del bestiame piccolo del paese. E Horonan dove abitava… E Kamosh mi disse: “Scendi e combatti contro Horonan”: Io sono disceso… e Kemosh l’ha restituita durante i miei giorni…

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(17) AA.VV. (P. Matthiae, M.A. Levi, E. Bresciani, A. Pellizzari, S. Giorcelli) – La storia: Dalla preistoria all’antico Egitto – Biblioteca di Repubblica 2008

(18) Giovanni V. Schiaparelli – L’astronomia nell’Antico Testamento – U. Hoepli 1903

(19) David Donnini – Come nacque la Bibbia

(20) Enrico Galavotti – Le bugie della Bibbia

(21) Enrico Galavotti – Da Abramo ad Isacco

(22) Enrico Peyretti – In questa Bibbia crudele io non credo più 

(23) H. C. Puech (a cura di) – L’ebraismo – Laterza 1988


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LE SANTE CROCIATE (Parte 2_1)

Roberto Renzetti

PARTE SECONDA

LA PICCOLA CROCIATA DEL 1101

          Prima di studiare con qualche dettaglio le vicende che portarono alla Seconda Crociata, merita un qualche cenno una Piccola Crociata che ebbe luogo nel 1101.

          Quando in Europa giunse notizia della conquista di Gerusalemme vi fu un grande entusiasmo da parte di tutti. Molti dei crociati che tornavano magnificavano le loro imprese, raccontavano di terre meravigliose e ricche che non chiedevano altro di essere sfruttate e dicevano che occorreva che un’altra crociata fosse bandita per poter portare sostegno stabile a quanto loro stessi avevano realizzato. La Chiesa naturalmente benediceva questi discorsi incoraggiando con i suoi predicatori, calamità storiche, un nuovo afflusso di crociati in Oriente. La nuova spedizione fu pronta a partire nell’autunno del 1100. A settembre si mise in moto una crociata di lombardi, alla quale si aggregarono tedeschi e francesi, guidata dal massimo rappresentante della Chiesa in Lombardia, il vescovo di Milano Anselmo di Buis, e formata da vari notabili del luogo come il conte Alberto di Biandrate, il conte Ghiberto di Parma ed Ugo di Montebello. I lombardi avevano partecipato in piccolo numero ed ingloriosamente alla Prima Crociata arruolandosi con Pietro l’Eremita e dando il loro contributo al completo insuccesso della crociata dei pezzenti quando non riuscirono a far altro che accordarsi con i tedeschi contro i francesi (i superstiti dei massacri cui andarono incontro si raccolsero sotto il comando di Boemondo). Ora le cose non erano diverse e così le descrive Runciman:

L’attuale spedizione non era molto meglio organizzata: comprendeva pochissimi soldati bene addestrati ed era formata principalmente dalla marmaglia raccolta nei bassifondi delle città lombarde, uomini la cui vita era stata sconvolta dalla crescente industrializzazione della regione; con loro c’era un gran numero di ecclesiastici, di donne e di bambini. Era una massa cospicua, per quanto la cifra valutata da Alberto d’Aix in duecentomila anime debba essere divisa almeno per dieci.  Né l’arcivescovo, né il conte di Biandrate che veniva considerato come il capo militare, erano in condizioni di farsi obbedire da tutta quella gente.

          Marciarono attraversando la Carnia, scendendo lungo il corso del fiume Sava, attraversando l’Ungheria ed entrando nell’Impero bizantino a Belgrado. Qui, come era costume, furono presi in consegna da scorte armate dell’Imperatore Alessio che li accompagnarono attraverso la penisola balcanica. Essendo però in gran numero per essere sorvegliati ed alimentati furono suddivisi in tre gruppi (uno a Filippopoli, uno ad Adrianopoli, uno a Rodosto). Ma lo spirito banditesco fece sì che, nonostante i controlli, quella massa di persone, ciascuna nel territorio che occupava, si scatenasse nel più vergognoso saccheggio di villaggi, di granai, di bestiame e, per mostrare la forza della loro fede, di chiese. Solo a marzo Alessio riuscì a trasportarli tutti  in un campo situato fuori le mura di Costantinopoli preparando il loro trasbordo in Asia, al di là del Bosforo. Ma poiché era circolata una voce di altri pellegrini in arrivo dall’Europa, costoro si rifiutarono di partire prima dell’arrivo dei nuovi fantomatici crociati. L’Imperatore reagì tagliando il cibo e costoro non trovarono altro di meglio che attaccare la città riuscendo a varcare le mura, ad attaccare il Palazzo della Blachernae dove furono miracolosamente fermati dal comandante crociato e dal vescovo di Milano che si erano precipitati a scongiurare ogni azione violenta contro Alessio. Dopo una difficile pacificazione, ottenuta da Raimondo di Tolosa che si trovava a Costantinopoli godendo della fiducia di Alessio, i nuovi crociati accettarono di essere trasferiti in Asia, nei pressi di Nicomedia, dove attesero l’arrivo degli altri crociati dall’Europa.

          Questa nuova armata della fede era guidata, suo malgrado, da Stefano di Blois, quel principe crociato che era scappato dall’assedio di Antiochia per paura. Il suo gesto divenne per lui una condanna da parte di tutti e particolarmente da parte della moglie che, sembra, gli negasse anche i favori sessuali. Così Stefano nella primavera del 1101 dovette ripartire ed al suo seguito si aggregarono altri nobili. Passarono per l’Italia, attraversarono l’Adriatico e giunsero a Costantinopoli in maggio. Lungo il cammino si aggregò un altro piccolo contingente di crociati tedeschi al comando di Corrado, conestabile (o comandante dell’esercito) dell’Imperatore Enrico IV. A maggio quindi vi fu l’unificazione dei due gruppi, quello dei lombardi e quello dei francesi cui si erano aggiunti i tedeschi. Tutti si accordarono sul fatto che il comandante supremo fosse Raimondo di Tolosa e partirono sul finire di maggio con il sostegno di un contingente bizantino, che comprendeva 500 mercenari turchi, al comando del generale Tsitas.

          Raimondo, in accordo con Stefano e con quanto discusso con Alessio, intendeva stabilizzare e rendere più sicura la via di comunicazione attraverso l’Asia alla Siria ed ai regni cristiani e quindi era deciso a ripercorrere la strada che aveva percorso durante gli inizi della Prima Crociata. Ma i lombardi che avevano come idolo Boemondo non furono d’accordo: costoro volevano come primo obiettivo della loro crociata liberare Boemondo che, si ricorderà, era prigioniero dell’emiro danishmend, Mohammed ibn Ghazi, nel castello di Niksar (o Neocesarea) che si trovava in una zona lontana nord-orientale dell’Anatolia. E forti del loro numero i lombardi imposero il loro punto di vista ed indirizzarono la crociata verso quel luogo lontano prendendo la via di Ancyra (oggi Ankara) che apparteneva al sultano selghiucida Kilij Arslan. Arrivarono il 23 giugno e presero subito possesso della città che risultò indifesa. Proseguirono subito per Niksar seguendo la via di Gangra. Al loro avanzare l’esercito di Kilij Arslan arretrava distruggendo ogni cosa che potesse servire da approvvigionamento ai crociati.

Crociata del 1101 (da Wikipedia)

          Arrivati a Gangra i crociati provarono ad attaccare la città ma la cosa risultò impossibile per le sue difese. Non potevano aspettare un assedio perché non avevano viveri e la cos li costringeva a marciare in fretta. I piani prevedevano di arrivare a Niksar passando per Amasia ma la mancanza di cibo e l’insopportabile calore di luglio in quei territori fecero vincere l’opinione di Raimondo che propose di spingersi per una via più a Nord che, attraverso Kastamonu (o Castra Comneni), arrivasse fino alla città bizantina di Sinope sul Mar Nero da dove poi si sarebbe potuta attaccare Niksar essendo stati approvvigionati. Dopo poco l’inizio di questo cammino vi fu un attacco dei turchi selghiucidi al quale la cavalleria lombarda rispose con una fuga immediata lasciando la fanteria al massacro. Fu Stefano a raccogliere i superstiti e, insieme a Raimondo, a raccogliere tutti in un unico gruppo ad evitare gli attacchi continui alle avanguardie ed alle retroguardie. Arrivati nei pressi di Kastamonu si capì che l’unica speranza di salvezza era di raggiungere al più presto  le coste del Mar Nero ma, anche qui, i lombardi non furono d’accordo ed imposero la marcia più diretta a Niksar, per la strada di Mervisan ed Amasia (pensavano che usciti dal territorio dei turchi selghiucidi ed entrati in quella dei danishmend i maggiori pericoli sarebbero stati lasciati indietro). I crociati attraversarono il fiume Halys, saccheggiarono un villaggio cristiano ed arrivarono a Mervisan. Qui scattò l’attacco contro i crociati. I lombardi, come ormai loro costume, scapparono subito lasciando gli altri in gravi difficoltà. Raimondo riuscì a salvarsi ritirandosi verso la costa con alcuni dei suoi e con alcuni bizantini. Gli altri visto tutto perduto cercarono di salvarsi come poterono. I turchi si fermarono per trucidare tute le donne, i bambini e gli anziani restati negli accampamenti, quindi inseguirono i fuggiaschi uccidendo tutti coloro che non avevano avuto la possibilità di allontanarsi con i cavalli. I lombardi, veri responsabili del disastro, furono trucidati in misura dei quattro quinti. Le loro donne, se giovani, ed i loro bambini riempirono le une gli harem e gli altri i mercati di schiavi. Raimondo ed i suoi riuscirono ad imbarcarsi per Costantinopoli nel porto bizantino di Bafra, alle foci dell’Halys. Gli altri gruppi di sbandati al comando di Stefano arrivarono aprendosi il cammino con le armi fino a Sinope da dove proseguirono verso Costantinopoli per vie costiere, arrivando in città all’inizio dell’autunno.

          I primi risultati negativi dell’intelligenza lombarda furono: la rottura definitiva di una strada di comunicazione diretta con la Siria ed i regni cristiani di Palestina con la conquista di Iconio (o Konya) da parte turca; la rottura delle trattative in corso tra Alessio e l’emiro danishmed per la liberazione di Boemondo; il ritorno dell’orgoglio turco che aveva finalmente battuto un esercito crociato; l’espansione fino ai confini di Edessa dei territori turchi; la rottura dei rapporti tra crociati e bizantini. Il raggiungimento di tutti questi risultati in così poco tempo fu davvero notevole se si tiene conto che si trattava solo di pochi lombardi.

          Gli effetti di tutto ciò si videro subito. Un ordinatissimo esercito francese, al comando di Guglielmo II conte di Nevers, arrivò a Costantinopoli poco dopo la partenza dei lombardi. Guglielmo non si fermò a Costantinopoli perché intendeva unirsi agli altri. Arrivò ad Ancyraa fine luglio e da lì non riuscì a sapere dove si trovavano gli altri. Seguì allora per la strada che ritenne più naturale, quella che era stata percorsa dagli eserciti della Prima Crociata passante per Iconio. Questa città era già stata conquistata dai turchi di Kilij Arslan e Guglielmo non ritenne di perdere il tempo in un assedio e proseguì. Ma Kilij Arslan ed altri suoi alleati tra cui Mohammed ibn Ghazi fecero una strada diversa e più breve per arrivare a tagliare il cammino dei crociati. Circondarono con il loro l’esercito francese ed in poco tempo lo massacrarono. Solo Guglielmo e la sua scorta si salvarono aprendosi il cammino tra i soldati turchi. Dopo varie peripezie e dopo aver vagato sia sulla catena montuosa del Tauro sia nel deserto, si presentarono seminudi ad Antiochia a chiedere asilo.

          Subito dopo l’attraversamento del Bosforo da parte di Guglielmo II conte di Nevers, un altro esercito crociato di francesi e tedeschi, al comando di Guglielmo IX di Poitiers e Guelfo (o Welf) IV di Baviera si presentò a Costantinopoli. Le truppe di costoro, appena entrati in territorio bizantino nei Balcani si dettero a violenze e saccheggi tanto da provocare una vera guerra con i bizantini. Per contrasti tra famiglie di nobili questo esercito non volle congiungersi con quello del conte di Nevers e aspetto per 5 settimane vicino al Bosforo proprio per far allontanare l’altro esercito che si dirigeva verso Ancyra. Quando si mise in marcia scelse la via ordinaria, quella per Dorileo ed Iconio. A partire da Dorileo ci si rese conto che l’altro esercito era passato da poco con conseguenze prevedibili sulla possibilità di approvvigionarsi. Ma il fatto più drammatico era la mancanza d’acqua con i poszzi distrutti o prosciugati. Superata Iconio, che fu trovata indifesa ma completamente spogliata (con i campi vicini) dai turchi di ogni possibile riserva alimentare, i crociati si diressero verso Eraclea, la strada lungo la quale era avvenuto il massacro degli uomini di Guglielmo. Anche Eraclea, ai primi di settembre, fu trovata priva di difesa e di ogni rifornimento alimentare. Ma lì vicino scorreva un fiume che attirò tutti i crociati arsi dalla sete. Ruppero le fila e disordinatamente si buttarono nell’acqua. I turchi avevano preparato un’imboscata: circondarono i crociati che presi dal panico si dettero alla fuga ostacolandosi l’un l’altro (era il 5 settembre del 1101). Vi fu un massacro generalizzato. Si salvò Guglielmo IX di Poitiers che vagabondò per giorni finché non riuscì ad arrivare a Tarso. Si salvò anche Guelfo IV di Baviera che dopo molti giorni di vagabondaggio arrivò ad Antiochia dove chiese asilo (morì comunque a Cipro durante il viaggio di ritorno nello stesso 1101). Il vescovo al seguito fu ucciso. Fu ferito gravemente e la cosa lo portò alla morte anche Ugo di Vermandois che si era unito alla crociata perché non aveva completato la Prima essendo tornato in Europa dopo la conquista di Antiochia. La Margravia d’Austria, Ida, madre di Leopoldo III di Babenberg, sparì dalla lettiga sulla quale seguiva gli avvenimenti e nessuno seppe cosa fosse accaduto di lei. Qualche cronaca postuma la dava in un harem sperduto dove avrebbe messo alla luce il condottiero musulmano Zengi del quale ci occuperemo tra poco. Altra cronaca parla di 60.000 morti.

          In definitiva la crociata del 1101, nel suo complesso fu un disastro sia per l’enormità di morti sia per le conseguenze già accennate che, in definitiva, riguardarono la fine di un percorso via terra ai regni cristiani di Palestina ed alla Siria. Ora non era più possibile inviare masse enormi di pellegrini che sarebbero nelle intenzioni diventate massa per colonizzare la zona. Ora la via sicura era solo quella via mare che riduceva drasticamente la quantità di persone per gli elevati costi. Solo le flotte delle repubbliche marinare e di altri Paesi rivieraschi trassero da ciò enormi profitti.

TRA PRIMA E SECONDA CROCIATA

Credo che dalla Parte Prima di questo lavoro si sia capito che le Crociate nascevano soprattutto per esigenze interne alla Chiesa ed ai suoi rapporti con i potentati dell’epoca. Vediamo quindi cosa accadeva nella Chiesa dal finire della Prima Crociata e quindi dalla morte di Papa Urbano II fino all’inizio della Seconda Crociata.

 Scrive Gregorovius:

La storia temporale dei Papi da Gregorio VII in poi è una specie di rappresentazione caotica e al tempo stesso altamente tragica in cui si avvicendano continuamente gli scoppi di ribellione popolare, le fughe e gli esili dei papi, i loro ritorni trionfanti, le loro tragiche nuove cadute e, ancora una volta, le loro immancabili ascese.

        Si ricominciò dal successore di Urbano, un altro vescovo di Cluny, Ranieri di Bleda che assunse il nome di Pasquale II. Aiutato dal denaro con cui si pagò una truppa riuscì ad entrare in Roma, ma poi fu cacciato dai nobili romani che lo erano perché più bravi ad organizzare rapine appostandosi in vicoli bui o su strade percorsi da ricchi da derubare ed ammazzare. Questi nobili originavano sempre da Tuscolo o dintorni, cambiavano nome (ad esempio i Colonna, i Corsi, i Pierleoni, i Frangipane, …) ma i metodi erano gli stessi. Si susseguirono così vari antipapi che resistevano finché vi erano i denari per i mercenari ed analogamente il Papa poteva accedere o muoversi per la città solo se aveva, in quel momento, adeguate protezioni. Da notare negli anni di Papato di Pasquale due fatti di rilievo: nel 1101 era morto Corrado il figlio di Enrico IV che aveva abbandonato il padre per schierarsi con il Papa; nel 1106 era morto lo stesso Enrico IV. Il figlio ventiduenne di quest’ultimo, Enrico V, lanciò un ultimatum al Papa per la sua incoronazione a Roma e per pretendere di nuovo il diritto all’investitura dei vescovi. Al rifiuto di Pasquale, Enrico fece eleggere l’antipapa Silvestro IV (1105-1111), antipapa che seguiva gli altri due: Teodorico (1100-1102) e Alberto (1101). A questo punto Enrico scese in Italia (1110) con un possente esercito contro il quale nulla avrebbero potuto i normanni chiamati in aiuto dal Papa e la ormai vecchia e neutrale Matilde. Con Enrico fuori dalla città di Roma si arrivò ad un Concordato costituito da due trattati: nel primo l’Imperatore rinunciava alle investiture e nel secondo il clero rinunciava ai beni della corona in forza di un decreto papale. Come osserva Gregorovius quel Concordato sembrava fatto tra due banditi. In esso figuravano norme che possono apparire straordinarie come quella che imponeva all’Imperatore di non arrestare il Papa. Dopo la firma di questo Concordato Enrico doveva essere incoronato Imperatore a Roma. Fu però il clero che rifiutò il secondo trattato del Concordato e, nella Chiesa dove doveva avvenire l’incoronazione, Pasquale e vari cardinali furono arrestati. Alla fine di una lunga prigionia e di violenti scontri, con centinaia di morti, Pasquale cedette e firmò una bolla in cui dichiarava decaduti tutti i decreti di Gregorio VII, restituendo di fatto le investiture all’Impero. Dopo di ciò fu liberato il Papa che incoronò frettolosamente Enrico nel 1111, fuori dalle mura. Solo l’anno seguente, 1112, il Concilio Lateranense dichiarò la nullità della concessione delle investiture all’Imperatore e chiese al Papa di scomunicare Enrico V. Questi riuscì a resistere per un poco ma poi, nel 1116, dovette scomunicare Enrico V e poi scappare a Montecassino quando il sovrano rimise piede in Italia. Insomma niente di nuovo, si proseguiva stancamente così da centinaia d’anni, per maggior gloria di Gesù.

        A questo punto (1118) seguirono vari Papi ed Antipapi effimeri e scoloriti fino al 1185 ma con le solite guerre tra famiglie, corruzioni, simonie, nepotismi e quanto altro si voglia aggiungere. Riporto alcune vicende tanto per dare il clima di Roma mentre pellegrini sclzi si battevano per la vera fede in Palestina.

Inizio con il sottolineare che tra questi campioni del Cristianesimo con Papa Callisto II (1119-1124) si addivenne ad un Concordato con Enrico V secondo il quale l’investitura dei vescovi ritornò al Papa ed all’Imperatore restò l’investitura feudale (Concordato di Worms del 1122). Subito dopo, nel Nono Concilio Laterano del 1123, vennero ripristinati tutti i decreti di Gregorio VII e riconfermati tutti i privilegi dei crociati. Il Papa che seguì, Onorio II (1124-1130), fu eletto nel solito modo, così descritto da Rendina:

Già nell’ultimo periodo del pontificato di Callisto II, le due famiglie romane dei Frangipane e dei Pierleoni, che si contendevano la carica civile della prefettura, erano riuscite a infiltrare in seno allo stesso collegio dei cardinali i difensori delle rispettive fazioni, rimettendo quindi in gioco la loro autorità nell’elezione di un pontefice. Il decreto elettorale del 1059 denunciava tutta la sua insufficienza e non era valso ad eliminare l’influenza dell’elemento laico.

 
Alla morte di Callisto Il, la fazione dei Pierleoni riesce a far eleggere il proprio candidato, il cardinale prete Tebaldo Boccadipecora, che assume il nome di Celestino II; ma questi aveva appena accettato la nomina, quando un gruppo della fazione dei Frangipane, guidato dal cardinale Aimerico, entra nel Lateraano e destituisce con la forza il nuovo papa. Questi non ci pensa due volte: si dimette spontaneamente anche perché nello scontro che ne era seguito aveva riportato alcune ferite, in seguito alle quali morirà pochi giorni dopo. I cardinali prendono atto delle sue dimissioni e riconoscono papa il candidato dei Frangipane, Lamberto, vescovo di Ostia, il 15 dicembre del 1124.

 
Lamberto, nativo di un piccolo borgo nei pressi di Imola, Fiagnano, cardinale dal tempo di Pasquale II, compagno d’esilio di Gelasio II, era stato l’esecutore del concordato di Worms, consigliere quindi tra i più abili nella diplomazia pontificia sotto Callisto Il. Egli fu consacrato il 21 dicembre del 1124 con il nome di Onorio II [l’anno successivo moriva Enrico V ed a lui succedeva Lotario II Supplinburger Duca di Sassonia, ndr].

Morto Onorio II, cosa accadde ? Leggiamolo ancora da Rendina:

Alla morte di Onorio Il si rinnova la scontro tra i Pierleoni e i Frangipane; la notte tra il 13 e il 14 febbraio del 1130 è notte di tregenda. Moriva un papa e precipitosamente i sedici cardinali appartenenti alla fazione dei Frangipane guidati dal cardinale Aimerico, eleggevano papa il cardinale Gregorio Papareschi, in una sorta di «conclave» nel chiuso della rocca dei Frangipane, che assumeva il nome di Innocenzo II.

 
Gli altri quattordici cardinali, trovatisi di fronte al fatto compiuto, si rifiutano di riconoscere la validità di quella elezione e, poche ore dopo, riunitisi nella chiesa di San Marco procedono all’elezione del cardinale Pietro Pierleoni, che assume il nome di Anacleto II. La sua elezione è accreditata dall’assenso dato di lì a breve tempo, da alcuni cardinali del gruppo che già aveva eletto Innocenzo II, e in questa modo Anacleto finisce per avere la maggioranza del collegio dei cardinali, con il consenso dei rappresentanti del popolo e di tutta la nobiltà dai Tebaldi agli Stefani.

 
Tuttavia nessuno dei due papi si mostrava incline a rinunciare alla nomina e ambedue ricevono la consacrazione la stesso giorno, il 23 febbraio. Innocenzo in Laterano, rifugiandosi poi in gran fretta nella fortezza dei Frangipane sul Palatino, e Anacleto in San Pietro con tutti gli onori e l’appoggio del popolo lo riconosceva carne sua papa. Roma insomma dava credito, a quanta pare, solo ad Anacleto II e questo grazie al potere di cui i Pierleoni godevano nell’ amministrazione della città; il loro pontefice poteva considerarsi tranquillo, sedere su tutte le cattedre papali delle basiliche cittadine e mettere le mani sul tesoro della Chiesa, mentre Innocenzo II doveva infine darsi alla fuga.

 
In questo scisma apertosi dunque inesorabilmente in seno alla Chiesa di Roma, si evidenziano i difetti di una procedura elettorale, in cui finivano per subentrare interessi non ecclesiastici, perché il collegio dei cardinali era pilotato all’esterno da elementi laici. Peraltro restava da vedere a quale dei due contendenti il mando cristiano avrebbe dato il suo assenso; non era più Roma in fondo a dover decidere, ma gli Stati d’Europa e, purtroppo, non sulla base di motivi strettamente religiosi, ma apertamente politici. In particolare non erano ideali propriamente cristiani a guidare il conflitto dei due contendenti così che, come osserva l’Ullmann, «i discorsi pubblici per conta di ciascun papa si concentrarono su una scambio di ingiurie e di attacchi ripugnanti, e in questi la fazione innocenziana fu particolarmente virulenta, prendendo a bersaglio della sua polemica, con spirito poco cristiano, l’origine ebraica di Anacleto II».

        Tra i contendenti si inserì il teologo francese San Bernardo di Chiaravalle schierandosi dalla parte di Innocenzo e facendolo accettare, a Reims, al Re Ludovico di Francia ed all’Imperatore Lotario II di Germania (seguirono poi Spagna ed Inghilterra). In conseguenza di ciò Innocenzo si impegnò ad incoronare Lotario e, naturalmente scomunicò solennemente Anacleto. Restava il problema di tornare e riprendere Roma, saldamente in mano di Anacleto. Lotario discese in Italia ed altri principi muovevano le loro truppe. Di nuovo scontri, complotti, assedi, finché Innocenzo riuscì ad entrare a Roma (1137) dove trovò un ambiente favorevole grazie alle entrature di San Bernardo. Una coincidenza favorevole che evitò ulteriori problemi fu la morte quasi immediata di Anacleto II (1138). Ma problemi molto gravi caddero su Innocenzo per aver voluto salvare la città di Tivoli dalla distruzione che i romani avevano decretato per la sua rivolta e la ricerca di autonomia da Roma. Il popolo romano insorse con violenza contro il Papa (1143) decretando la fine del potere pontificio su Roma e ristabilendo il potere civile senatoriale nella città. Era una rivolta democratica che, sull’onda di quanto accadeva in varie città italiane del Nord, tentava di costruire una Repubblica nello spirito dei Comuni. Nel settembre dello stesso anno moriva Innocenzo II mentre Lotario II era morto nel 1137 lasciando il trono (1138) a Corrado III della dinastia Hohenstaufen di Svevia.

    Passò un pontificato scialbo, quello di Celestino II (1143-1144), e di seguito un altro privo di significato, quello di Lucio II (1144-1145). Da notare solo che quest’ultimo Papa tentò di attaccare la sede del Senato repubblicano che si era costituito in Campidoglio. Si mise alla testa delle truppe papaline ma Dio non era con lui perché una pietra scagliata dall’alto del Campidoglio lo prese in fronte ammazzandolo. Il Papa che seguì, Eugenio III (1145-1153), fu eletto in Laterano durante questo momento di aspro scontro tra i repubblicani ed i papalini, non riuscì però a recarsi a San Pietro per essere consacrato perché i repubblicani glielo impedirono facendolo scappare da Roma e rifugiare a Viterbo da dove, visto il seguito di tumulti e l’impossibilità di una pacificazione, prese la via della Francia (1147). Da Vetralla, cittadina vicina a Viterbo, nel dicembre del 1145, Eugenio scrisse al Re di Francia Luigi VII inviandogli una bolla, la Quantum praedecessores, con cui si dava il via alla Seconda Crociata (in cambio remissione di tutti i peccati, indulgenza plenaria per il Re e tutta la famiglia). Si era infatti diffusa la notizia che la contea di Edessa nella parte più settentrionale del Medio Oriente (ma anche Antiochia, una delle roccaforti cristiane nella zona) era caduta in mano turca nel dicembre del 1144. Occorreva rimettere in piedi un esercito per riconquistare quel territorio e consolidare quelli già occupati. Aiutò anche questa volta San Bernardo che mise a tacere tutti coloro che credevano che la guerra non spettasse ai cristiani e la croce non dovesse essere trascinata nei massacri. Il teologo elaborò una teoria straordinaria che solo un pazzo che vuole autogiustificarsi è in grado di inventare, quella del malicidio: chi uccide una persona malvagia, quale è chi si oppone a Cristo, non uccide una persona, ma il male che è in lei; dunque egli non è un omicida bensì un malicida e quindi lavora per maggior gloria di Dio. Bernardo non si fermò qui perché predicò con tutte le sue forze la crociata fino a convincere Papa Eugenio. Al richiamo del Papa, che aveva bisogno urgente di diversivi, risposero sia l’Imperatore di Germania Corrado III che il Re di Francia Luigi VII. In teoria doveva essere un esercito con struttura più organizzata di quanto si era visto nella Prima Crociata con la non piccola differenza che questa volta non vi fu la sorpresa della Prima Crociata.

GLI ORDINI CAVALLERESCHI

          Alla fine della Prima Crociata vi fu una sorta di esplosione di un fenomeno nuovo, quello della nascita dei più svariati ordini religioso-cavallereschi che riempirono di sé l’intera storia del XII secolo ed anche molto oltre: Templari, ordine Teutonico, ordine di San Giacomo, ordine dei Portaspada, ordine degli ospedalieri di San Giovanni detto anche dei Gerosolimitani (in seguito diventati Cavalieri di Rodi e quindi Cavalieri di Malta), … Si tratta in gran parte di militari con qualche vezzo religioso, sono cioè più militari che monaci (Bernardo di Chiaravalle li chiamava monaci). Questi ordini, come scrive Hans Prutz nel suo libro Ordini religiosi cavallereschi erano favoriti sia dalla Chiesa che dai Paesi dell’Occidente europeo e non per quanto una persona informata superficialmente possa pensare ma perché si liberano così da una massa di elementi moralmente dubbi e pericolosi, lasciando che moltissimi briganti, profanatori di santuari ed assassini, spergiuri ed adulteri, se ne vadano in Oriente, dove sono ben accolti come soccorritori contro gli infedeli (Prutz citato da Deschner). Credo quindi si debbano discutere questi ordini cavallereschi non per quanto la vulgata ci tramanda, eroi dediti alla fede per la quale erano pronti a sacrificare la vita, ma per le loro azioni.

          Lo studio, anche solo succinto, della storia di questi ordini sarebbe di una estensione non compatibile con le finalità del mio lavoro. Mi limiterò quindi a studiare uno o due ordini, e non oltre l’epoca delle crociate, citando qua e là, dove necessario, gli altri.

          In linea di massima gli ordini religioso-cavallereschi nascevano come strutture permanenti di sostegno a pellegrini e crociati. Ciò discendeva da una peculiarità sia dei pellegrini che dei crociati(1): la massima parte di costoro si recava in Terra Santa per un periodo più o meno breve ma comunque limitato. Il ritorno in Europa, specialmente in determinati periodi, lasciava quelle terre del tutto prive di strutture operanti con continuità e di personale che conoscesse la zona, la lingua, i costumi e tutto ciò che sarebbe stato utile conoscere. Due erano le esigenze primarie: l’assistenza medica e la protezione da attacchi, diciamo, di banditi che depredavano ogni incauto. Ma non vi sarebbe stato nessun ordine di alcun tipo se dietro non vi fossero stati dei finanziamenti provenienti da donazioni, a volte molto cospicue e quindi occorreva anche che qualche ordine si occupasse di raccogliere fondi e canalizzarli opportunamente. Occorre comunque dire cha anche prima delle crociate esisteva una qualche organizzazione benefica di sostegno ai pellegrini, in generale creata e/o affidata a monaci come i benedettini. Questi ultimi avevano una sede a Gerusalemme, la Chiesa di Santa Maria Latina vicina al Santo Sepolcro, sede che funzionava come un ospedale gestito da un laico, frate Gerardo Sasso l’Ospedaliero. Come tutti gli altri cristiani, i benedettini furono cacciati da Gerusalemme quando fu attaccata dai crociati. Al loro ritorno si trovarono con la situazione mutata: da una parte i bisognosi di assistenza medica erano ora in quantità precedentemente inimmaginabile e dall’altra la città era ora gestita in termini religiosi da un Patriarca e vari canonici. Già Papa Urbano II, fin dal Concilio di Clermont, aveva iniziato a raccogliere donazioni per costruire anche a Gerusalemme un ospizio-ospedale indipendente che sostenesse i crociati e frate Gerardo, dopo la conquista della città, si impegnò in questa grande costruzione che aggregò alla Chiesa di San Giovanni Battista e svincolò dalla tutela benedettina (il successore di frate Gerardo, Raymond du Puy de Provence, inaugurò la prima infermeria dell’Ordine nei pressi del Santo Sepolcro). Fu Papa Pasquale II, successore di Urbano II, che il 15 febbraio del 1113, con la Bolla Pie postulatio voluntatis, riconobbe tale struttura ospedaliera, l’Ospedale, la mise alle sue dirette dipendenze, approvando l’Ordine ospedaliero del Santo Sepolcro. San Giovanni Battista fu riconosciuto ufficialmente come patrono dell’Ordine e la regola benedettina fu sostituita da quella Agostiniana (con questo atto il Patriarca di Gerusalemme dava il rango di canonici regolari a coloro che gestivano l’Ospedale). Nel contempo lo stesso Papa, nel 1112, riconfermava l’opera della abbazia benedettina di Santa Maria Latina, decretando con ciò la rottura tra le due entità. Queste vicende non sono storicamente molto chiare così come ci racconta Demurger:

I canonici del Santo Sepolcro sono ancora (fino al 1114) canonici secolari. I rapporti tra i fratelli dell’Ospedale di Gerardo e i canonici non sono rapporti di dipendenza. Gli ospedalieri sono laici; fino al 1099 hanno seguito gli uffici religiosi dei monaci-chièrici di Santa Maria Latina; dopo il 1100, essi chiedono ai canonici del Santo Sepolcro di celebrare gli uffici religiosi nella loro chiesa di San Giovanni Battista. Questa vicinanza, motivo di confusione, spiega l’ambiguità della formulazione delle carte di donazione in Occidente nei primissimi anni del XII secolo. I donatori si rivolgono indifferentemente a Dio, al Santo Sepolcro, a San Giovanni o all’Ospedale di Gerusalemme. […]

Nel 1113 l’Ospedale è riconosciuto come ordine caritatevole internazionale, indipendente dai benedettini ma anche dai canonici del Santo Sepolcro. Non è per nulla un ordine militare, ma ci si è posti la domanda se non esistessero già cavalieri legati all’Ospedale e se non ci fossero armi e cavalli. I fratelli dell’Ospedale non si accontentavano di dare ospitalità ai pellegrini; ormai li accompagnavano lungo i sentieri e li difendevano con le armi(2). Ancora una volta siamo di fronte a un’ambiguità: per scioglierla occorre ritornare al Santo Sepolcro.

Nel 1112-1114 le cose si chiariscono. Nel 1112 il papa conferma l’abbazia benedettina di Santa Maria Latina e le sue abitudini, consumando in tal modo la rottura con l’Ospedale, avvenuta probabilmente già a partire dal 1100; nel 1113 l’Ospedale, come abbiamo visto, diventa indipendente; e nel 1114 il patriarca di Gerusalemme dà ai canonici del Santo Sepolcro la regola di sant’Agostino, facendone così una comunità di canonici regolari. Papa Callisto II lo conferma nel 1122. La funzione liturgica e la funzione caritatevole ormai erano chiaramente identificate in due organizzazioni religiose internazionali, l’ordine dei canonici regolari del Santo Sepolcro e l’ordine dell’Ospedale.

Uomini d’armi gravitano nell’orbita del Santo Sepolcro e formano una sorta di confraternita di laici, o di terz’ ordine, unita ai canonici. Albert d’Aix segnala che nel 1101 il patriarca aveva assoldato, senza dubbio tra i crociati rimasti sul posto, trenta cavalieri per difendere il Santo Sepolcro – vale a dire le mura, il sito e i beni (che provenivano da donazioni di Goffredo di Buglione e di Baldovino I). Non si tratta di un ordine militare. Sono cavalieri al servizio del Santo Sepolcro, come esistevano cavalieri al servizio di San Pietro a Roma. Essi sono sotto la tutela dei canonici e del loro priore (e non di un decano, termine usato solitamente) ed è probabilmente tra loro che si reclutarono i primi templari(3).

          Da questo scritto risulta bene come i vari ordini siano nati, dapprima intrecciandosi tra loro, quindi specializzandosi. In particolare gli Ospedalieri adottarono addirittura i codici di comportamento militari dei Templari.

          I Templari o meglio i Pauperes commilitones Christi templique Salomonis (Poveri compagni d’armi di Cristo e del Tempio di Salomone) nacquero invece su iniziativa di Hugues de Payns. In una antica Cronaca del XIII secolo redatta da uno scudiero che combatté a Gerusalemme, tal Ernoul, e che sembra il seguito di un’altra Cronaca, quella di Guglielmo di Tiro, leggiamo questo passo relativo alla nascita dei Templari:                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

Quando i cristiani ebbero conquistato Gerusalemme, un numero significativo di cavalieri si consacrò al tempio del Sepolcro e molti vi si consacrarono in seguito, giunti da ogni parte. Ed essi obbedivano al priore del Sepolcro. Vi furono valorosi cavalieri tra i consacrati (nel senso di donati, che si sono donati come confratelli, o altrimenti, al Santo Sepolcro): Questi discussero tra loro e dissero: «Abbiamo lasciato le nostre terre e i nostri amici e siamo venuti qui per innalzare e esaltare la legge di Dio. E ci siamo fermati qui a bere e a mangiare e a sperperare senza far nulla. Non agiamo, né compiamo gesta militari, anche se ce n’è bisogno ovunque. E obbediamo a un prete e non compiamo gesta militari. Discutiamo e eleggiamo uno di noi Maestro, congedando il nostro priore, che ci condurrà in battaglia quando sarà necessario.

Commenta Demurger:

Se diamo credito al testo, coloro che avrebbero fondato l’ordine del Tempio provenivano dall’ambiente dei milites sancti Sepuleri; erano assoldati dai canonici per essere al loro servizio. Tra loro, anche se Ernoul non cita nessuno per nome, figurava molto probabilmente Hugues de Payns, signore di Montigny en Champagne. […]

Abbiamo motivo di pensare che i cavalieri legati al Santo Sepolcro fossero ospitati nel vicino Ospedale. Ernoul infatti scrive che, una volta ottenuta l’indipendenza dei cavalieri, «l’Ospedale rifiutò il Tempio e gli diede i suoi avanzi e l’insegna che è detta l’insegna del Baucent». Effettivamente, i templari hanno percepito dagli ospedalieri l’elemosina, o i resti della loro tavola (gli avanzi del testo di Ernoul), fino al XIII secolo. […] Aubri des Trois-Fontaines, prima del 1241, scrive che «desta meraviglia che l’ordine della cavalleria del Tempio prenda l’elemosina dei fratelli dell’Ospedale».

Un gruppo di cavalieri, dunque, ha spezzato i vincoli che li univano ai canonici del Santo Sepolcro e, al tempo stesso, al loro «albergatore», l’Ospedale. Il re e il patriarca hanno approvato; il priore del Santo Sepolcro, direttamente interessato, ha accettato. Questi cavalieri hanno formato un gruppo indipendente di religiosi laici sottomessi ai voti monastici di obbedienza, castità e povertà con la volontà di proteggere i pellegrini e difendere la Terra Santa con le armi. Dopo i canonici divenuti canonici regolari, dopo gli ospedalieri di San Giovanni, i templari, come saranno chiamati, si sono a loro volta emancipati dal «consorzio agostiniano» di Gerusalemme.

Se accettiamo questa ricostruzione, segue Demurger:

si può pensare che intorno all’idea di aiuto ai pellegrini e alla Terra Santa si siano formati tre ordini religiosi, ciascuno specializzato in una propria funzione: liturgica per i canonici, caritatevole per gli ospedalieri, militare per i templari. L’Ospedale è riconosciuto nel 1113, i canonici nel 1114. Il Tempio, invece, è fondato nel 1120, ma è riconosciuto solo nel 1129. La questione infatti era assai complessa, perché si trattava di accettare un ordine di religiosi combattenti. Una vera novità per l’epoca.

Una esaltazione di questi soldati di Cristo verrà, come no !, da San Bernardo di Chiaravalle che scriverà in loro onore il suo De laude novae militiae. I loro fini erano così clamorosamente comprensibili (la difesa del Sepolcro e del Tempio di Salomone !) che ricevettero donazioni gigantesche e l’adesione di molti nobili europei. E, proprio nel 1129, i Templari parteciparono autonomamente alla loro prima battaglia. mentre nel 1139 passarono alla diretta autorità papale. Questi autorevolissimi riconoscimenti fecero assegnare sia ai Templari che agli Ospedalieri una catena di castelli fortificati che servivano per controllare gran parte delle vie più trafficate del regno di Gerusalemme: nel 1136 il Castello di Bethgibelin, nel 1142 il Castello del Krak des Chevaliers e, dopo il 1149, il Castello di Casal des Plains, di Toron des Chevaliers, di Chastel Arnoul, di Montréal e così via (i castelli erano tra loro collegati visivamente e con piccioni viaggiatori). Insomma questi Ordini assumevano pian piano il ruolo di esercito permanente del Regno di Gerusalemme e proprio le donazioni di castelli e terre mostravano che erano generalmente apprezzati. Occorre però dire che questo esercito permanente era assolutamente insufficiente a garantire la difesa di quel Regno. Da quando si era sciolto l’insieme degli eserciti della Prima Crociata nessun esercito riuscì mai ad essere sufficiente.

Alcuni Krak in Terra Santa

A proposito delle ricchezze accumulate da questi ordini vi è un passo di Deschner che merita di essere citato:

Come i Gerosolimitani, anche “i poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone” divennero assai rapidamente ed enormemente ricchi attraverso diritti speciali, donazioni e rapine. Le loro filiali nell’Europa occidentale si applicarono a far profitti in molteplici forme, puntando più di tutto sui grandi latifondi in via di espansione, specializzandosi in transazioni finanziarie, nello sfruttamento dei mulini non meno che nei profitti delle fiere commerciali. Erano gli esperti pecuniari per pellegrini facoltosi, per chierici e aristocratici. Regolavano il traffico dei pagamenti di privati e amministravano il tesoro dei principi, segnatamente quelli dei re di Francia e d’Inghilterra. In Terrasanta, tuttavia, nessun signore cristiano, nemmeno il re, poteva fare affidamento su di loro. Perché già nel XII secolo essi perseguivano i loro privati interessi altamente egoistici, a scapito di tutti gli Stati crociati.

Questo spirito evangelico-economico fece sì che i Templari si trovarono in lotta con i Gerosolimitani per ragioni economiche relative alla riscossione delle tasse ed al commercio dei privilegi. Si scontrarono anche militarmente in situazioni in cui i templari si allearono con i musulmani per meglio contrastare i Gerosolimitani.

LA MARCIA DELLA SECONDA CROCIATA

          La sera di Natale del 1144 il governatore di Aleppo e Mosul, Imadaddin Zangi, uno dei più grandi condottieri del suo tempo, assalì Edessa e, dopo un assedio di 4 settimane, la conquistò. La Regina Melisenda di Gerusalemme, moglie del Re Baldovino II morto nel 1131, aveva inviato a sostegno del Conte Joscelin II di Edessa un esercito al comando di Manasse il Conestabile mentre Raimondo di Antiochia si era rifiutato di fornire qualsiasi aiuto. L’esercito di Matilde non fece in tempo ad arrivare e ciò fece finire la storia dell’effimera Contea. Il governatore di Mosul divenne un importante simbolo per i musulmani e la perdita di quel grande territorio per la cristianità fece versare lacrime a tutta Europa.

          Zangi fu assassinato, sembra da uno schiavo, il 14 settembre del 1146. I cristiani approfittarono dell’evento per attaccare in forze Edessa. Questa volta fu il figlio di Zangi, Nurradin, ad annientare l’esercito cristiano. Tutti i franchi di Edessa furono fatti uccidere, compreso l’arcivescovo ed i chierici della Chiesa di Roma. Furono solo risparmiati i cristiani siriani, armeni, greci e giacobiti. Costoro non seppero apprezzare il gesto e tentarono una rivolta. Questa volta Nurradin si vendicò uccidendone alcuni, cacciandone degli altri e riducendo in schiavitù gli ultimi.

          Appena a Gerusalemme si seppe di questo evento la Regina Melisenda si consultò con Antiochia per inviare immediatamente la notizia a Papa Eugenio III e richiedere l’indizione di una nuova crociata. Fu inviato come ambasciatore Ugo, il vescovo latino di Jabala (città del Principato di Antiochia vicina a Margat della Contea di Tripoli). Il Papa in Italia era in una situazione disastrata ed a Roma gli era impedito di entrare perché la città era divenuta Repubblicana, ma aveva ascendente sul Re di Francia Luigi VII, ritornato ad essere un buon cristiano dopo le dispute con il Papa, e sul Re di Germania Corrado III di Hohenstaufen. Il Papa ricevette Ugo a Viterbo e da questa città iniziò a convincere i sovrani a lui fedeli di mettere insieme un esercito per una Seconda Crociata. Il 1° dicembre del 1145 inviò la bolla Quantum praedecessores al Re di Francia ed a tutti i Principi di quella terra a lui fedeli in cui chiedeva la creazione di un esercito che partisse per la Terra Santa a difesa della cristianità contro gli infedeli. Il Re di Francia, dopo una prima assemblea in cui chiese ai vari principi di partecipare ma con scarso successo, convocò una seconda assemblea a Vézélay (Borgogna) per il 31 marzo 1146, dove chiamò all’opera di convincimento San Bernardo che non deluse arruolando tutti i presenti, molti nobili di alto rango, altri di rango inferiore, vari vescovi ed una gran quantità di persone umili. San Bernardo allora si mosse a comiziare per la Borgogna, la Lorena e le Fiandre raccogliendo una gran quantità di adesioni. Ma proprio mentre era in Fiandra, Bernardo ricevette un messaggio urgente e preoccupato dal vescovo di Colonia: il fervore per l’annunciata crociata stava facendo ammazzare gli ebrei della città. Bernardo doveva intervenire in Renania per fermare la strage. Tutto era cominciato in Francia con l’abate di Cluny, Pietro il Venerabile, che aveva denunciato con grande forza e scandalo il fatto che gli ebrei non pagavano la tassa per la liberazione della Terra Santa. Questa protesta assunse in Renania una forma molto più criminale per le predicazioni del monaco cistercense Radulfo che percorse Francia e Germania predicando contro gli ebrei che hanno crocefisso Gesù esortando i crociati a sterminarli prima di combattere i musulmani perché i veri primi nemici li abbiamo intorno a noi. Gli ebrei, accusati di omicidio rituale(5), vennero massacrati nelle città renane, in Baviera e in Carinzia(4): a Colonia, Magonza, Worms, Spira e Strasburgo. Particolarmente efferate furono le stragi di Würzburg del 1147 e di Colonia del 1150. A Radulfo si oppose Bernardo di Chiaravalle che, intervenuto dalle Fiandre, spiegò che gli ebrei non vanno uccisi ma solo cacciati, cacciati da ogni luogo(5).

Già che si trovava in Germania Bernardo ritenne che anche i tedeschi dovessero partecipare alla crociata e quindi con il solito fervore iniziò una predicazione a tappeto nella quale inventò un bestialità teologica, quella del malicidio, come prosecuzione dell’altra idiozia, questa volta di Sant’Agostino, quella di Guerra Giusta. Secondo Bernardo non si pecca se si uccidono dei malvagi, quindi anche degli infedeli (Sane cum occidit malefactorem, non homicida, sed, ut ita dixerim, malicida, et plane Christi vindex in his qui male agunt, et defensor Christianorum reputatur). Secondo Bernardo il Cavaliere di Cristo uccide in piena coscienza e muore tranquillo: morendo si salva, uccidendo lavora per il Crisot […], egli  è strumento di Dio per la punizione dei malfattori e per la difesa dei giusti. Invero, quando egli uccide un malfattore, non commette omicidi, ma malicidio, e può essere considerato il carnefice autorizzato di Cristo contro i malvagi.

La predicazione convinse molti tedeschi che l’estrema miseria trasformava in portatori di esaltazione mistica a partecipare ed anche il Re Corrado III di Hohenstaufen, in una situazione precaria per varie lotte intestine tanto da non essere mai incoronato, si convinse dopo aver ascoltato Bernardo a Spira nel dicembre del 1146.

Mentre accadeva questo, il Papa in Italia se ne fregava delle sorti della cristianità pensando prima di tutto alle sue. Egli era ancora a Viterbo e Roma era sempre più repubblicana con al potere Arnaldo da Brescia. Il Papa Eugenio accolse quindi con molta freddezza e fastidio le notizie sulla predicazione di Bernardo in Germania. Egli aveva pensato ad una crociata solo francese e solo a Luigi di Francia aveva inviato la sua bolla. Ora Bernardo gli aveva modificato i piani rendendo la crociata un fatto internazionale che gli sottraeva l’aiuto di Corrado (la motivazione ufficiale del disaccordo papale era che due Re alla testa della crociata potevano farla fallire per incomprensioni e gelosie).

E, mentre si progettava la partenza della crociata franco-tedesca che avrebbe fatto un percorso via terra, un altro piccolo esercito, convinto dalla predicazione di Bernardo, sceglieva la via del mare: si trattava di inglesi, alcuni fiamminghi e molti tedeschi del nord (frisoni). Le navi salparono dall’Inghilterra a fine primavera del 1147 ma a giugno una tempesta le costrinse a ripararsi alla foce del Duero in Portogallo dove restarono per attaccare via mare i musulmani che occupavano Lisbona. L’assedio di questa città durò fino ad ottobre (con un massacro di musulmani fatto dai crociati delle Fiandre e della Germania del Nord) ed alla sua fine molti crociati decisero di restare in Portogallo, privando la Terra Santa di una flotta che sarebbe stata di grande utilità.

I crociati franco-tedeschi, nel frattempo, ebbero l’offerta del Normanno Ruggero di Sicilia di essere trasportati con la sua flotta. Sia il Re di Francia sia quello di Germania sia il Papa, per una serie di contrasti avuti nel passato, rifiutarono decisamente l’offerta ed anche la presenza di Ruggero nella Crociata.

Re Corrado partì da Ratisbona sul finire di maggio del 1147, con due Re vassalli, quello di Boemia e quello di Polonia, con vari rappresentanti della nobiltà guidati da Federico di Svevia, con importanti vescovi tra cui Stefano di Metz ed Enrico di Toul, con un imponente esercito di circa 70 mila uomini (che soffriva di vari attriti interni tra tedeschi, slavi e lorenesi e che Corrado non era in grado di controllare tanto da delegare a Federico, che era energico ma privo di esperienza, il comando).

Prima di partire, comunque, i Principi crociati si misero in contatto con l’Imperatore bizantino, Manuele I Comneno(6), per chiedere il permesso di passaggio e di libero mercato per la durata del viaggio, per accordarsi su percorsi, logistica e sostegni vari tra cui l’indispensabile vettovagliamento. L’Imperatore Manuele pretese precise garanzie date con un giuramento solenne.

          L’esercito tedesco, che anticipava quello francese di un mese, attraversò l’Ungheria, entrò in territorio bizantino (20 luglio) con l’aiuto dei traghetti di Bisanzio per attraversare il Danubio, ricevette aiuti alimentari dal governatore della provincia di Bulgaria.  Dopo il passaggio per Sofia, fin lì senza incidenti,  i soldati crociati si scatenarono nelle solite scorrerie, razzie, saccheggi trucidando chi reclamava per questi comportamenti. Altri gravi incidenti, che Corrado affermò di non riuscire a contrastare, avvennero a Filippopoli dove un prestigiatore locale venne accusato di stregoneria dagli evoluti cristiani con la conseguenza che la città, quella fuori le mura, fu attaccata ed incendiata. L’intervento del vescovo della città costrinse Corrado a punire i responsabili. L’Imperatore Manuele si allarmò per questi avvenimenti e mandò dei soldati per scortare i crociati. Ciò peggiorò la situazione con continui scontri tra i crociati ed i bizantini. Questi ulteriori sviluppi indussero Manuele a intimare a Corrado l’attraversamento del Mare verso l’Asia non a Costantinopoli attraverso il Bosforo ma a Sestos in Tracia, attraverso i Dardanelli. Corrado non accettò e Manuele stava per muovere il suo esercito quando, all’ultimo momento, rinunciò allo scontro inevitabile.

Quando ancora i crociati si trovavano in Tracia venne il castigo divino (non saprei come altro chiamarlo). Una inondazione travolse il loro accampamento facendo annegare molti crociati e disperdendo beni, armi e viveri. Solo Federico ed il suo distaccamento uscì quasi indenne perché accampato in una altura. Finalmente, il 10 settembre, questo esercito raggiunse Costantinopoli.

Un mese dopo, l’8 giugno, prendeva la marcia l’esercito francese (con un contingente analogo a quello tedesco) al comando del Re da Saint-Denis (da notare che il Re di Francia si portava dietro la moglie Eleonora d’Aquitania nipote del Principe di Antiochia, si portava figli, parenti e parte della corte. Analogamente altri nobili portarono le famiglie son sé). Si sarebbero incontrati con i vassalli a Metz da dove presero la marcia attraverso la Baviera. A Ratisbona incontrarono gli ambasciatori di Manuele che chiesero garanzie a Luigi che le dette con qualche problema sulla cessione dei territori conquistati all’Impero. Con una marcia senza incidenti l’esercito francese giunse alla frontiera bizantina, attraverso l’Ungheria, ad agosto. Attraversarono i territori bizantini con la stessa richiesta di Manuele, il passare attraverso i Dardanelli. Anche qui la richiesta non fu accolta e anche Luigi arrivò a Costantinopoli. Quando i due eserciti si ricongiunsero, poiché i francesi avevano sofferto la fame a causa del passaggio anticipato dei tedeschi, i primi chiesero ai secondi di condividere parte dei viveri. Il rifiuto netto fece iniziare violenti dissapori tra i due eserciti.

LA SECONDA CROCIATA

          Quando giunse all’Imperatore Manuele notizia della Seconda Crociata egli era impegnato in gravi problemi: da una parte  le continue aggressioni che i bizantini subìvano in Anatolia da bande turche; dall’altra le razzie di predoni turchi che attaccavano dovunque evitando le fortezze e l’esercito bizantino. Manuele aveva in mente un piano di difesa basato su una serie di fortificazioni in contatto tra loro, una sorta di frontiera ben delimitata, che avrebbe  impedito tutto ciò.

          Sembrava intanto che una serie di eventi stessero debilitando i musulmani. L’emiro danishmend Mohammed ibn Ghazi, il più potente principe musulmano, era morto nel 1141. La sua morte comportò guerre civili per la successione tra figli e fratelli con il risultato che nel 1142 l’emirato era diviso in tre parti. Da questa divisione parve al sultano selgiuchida di Iconio, Masud, di poter estendere la sua egemonia su tutta l’Anatolia e quindi invase vaste zone danishmend estendendo il suo potere fino al fiume Eufrate. Spaventati da quanto stava accadendo i fratelli di ibn Ghazi, Yakub Arslan e Ain ed-Daulat, ai quali era toccata nella divisione le zone di Sivas e Melitene, chiesero aiuto ai bizantini stipulando con loro una alleanza contro Masud, e rendendosi vassalli di Bisanzio. A questo punto Manuele doveva preoccuparsi principalmente di Masud i cui contingenti si spingevano a fare attacchi e razzie sulla strada di Nicea e Dorileo. Manuele attaccò e respinse i musulmani ma dovette tornare a Costantinopoli per il suo cagionevole stato di salute.

Situazione dell’Asia Minore intorno all’anno 1140 (da Wikipedia)

          Nel 1143 Masud attaccò ancora l’Impero conquistando sia la piccola fortezza di Pracana (Isauria, regione che si trova a settentrione della catena del Tauro, a sud di Iconio) che però serviva a bloccare la via per la Siria, sia la valle del Meandro (in una zona sud occidentale dell’Anatolia) quasi fino al mare. Manuele decise allora di intervenire contro Masud e lo fece assediando per qualche mese Iconio da dove Masud era partito in fretta per cercare rinforzi. Ad un certo punto comunque Manuele si ritirò forse avendo avuto qualche notizia o relativa al ritorno di Masud con rinforzi o dell’arrivo dei crociati a Costantinopoli. Comunque, anche senza conoscere vari dettagli, Manuele preferì firmare una tregua con Masud, tregua con la quale Masud restituiva a Bisanzio le recentissime conquiste. I crociati in arrivo seppero di questa tregua e sbraitarono contro Manuele che avrebbe tradito la cristianità ma Manuele si era comportato saggiamente perché, se è vero che una guerra aperta con i turchi avrebbe facilitato il passaggio dei crociati, è altrettanto vero che l’Impero si sarebbe debilitato definitivamente con, tra l’altro, il pericolo che fosse assaltato proprio da Corrado che, oltre al comportamento indegno dei suoi soldati nei Balcani ed al rifiuto di passare attraverso i Dardanelli, aveva sostenuto ciò prima si sapesse della tregua tra Manuele e Masud. Vi era inoltre un altro problema che si presentava a Manuele, una possibile vicina guerra con i normanni i Ruggero di Sicilia.

          I timori di Manuele su Corrado non erano infondati. Quando questi arrivò a Costantinopoli ebbe come residenza un palazzo reale che, dopo qualche giorno risultò distrutto da saccheggi vari. A questo punto Corrado si trasferì in altro palazzo ma i suoi soldati non si trattennero da violenze e saccheggi di ogni tipo. Dovette intervenire l’esercito bizantino con rischi di scontri molto duri. Si riuscì a rimediare quando si seppe che i francesi stavano arrivando. A questo punto i tedeschi attraversarono il Bosforo ed arrivarono a Calcedonia, in Asia, dove Corrado chiese delle guide a Manuele perché lo accompagnassero attraverso l’Anatolia. Manuele diede delle guide al comando del varego (vichingo) Stefano, consigliò di non tagliare in linea retta l’Anatolia ma di mantenersi su strade costiere e consigliò di rimandare indietro i pellegrini non combattenti perché avrebbero appesantito la marcia e consumato viveri inutilmente. Corrado, da buon tedesco, fece di testa sua e non badò a questi preziosi consigli dirigendosi subito verso Nicea. Arrivato in questa città suddivise in due la sua crociata: i non combattenti al comando di Ottone di Frisinga avrebbero percorso la via costiera mentre l’esercito di soldati al suo comando avrebbe fatto il medesimo cammino della Prima Crociata attraverso strade interne. L’esercito di Corrado partì da Nicea il 15 ottobre e marciò senza problemi e ben alimentato per 8 giorni, quelli in cui si muovevano in territorio bizantino. Poi entrarono in territorio turco senza provviste d’acqua fermandosi per ristorarsi vicino ad un piccolo fiume, il Bathys, nei pressi di Dorileo, nel luogo dove vi era stata la grande vittoria contro i turchi della Prima Crociata. Quando tutti erano stanchi ed assetati, quando i cavalieri erano scesi da cavallo per bere e far bere i cavalli, quando vi era un gran disordine tra i soldati, furono attaccati con estrema durezza dai turchi selgiuchidi. Dice Runciman che fu un massacro invece di una battaglia, con i cavalieri turchi che attaccavano ripetutamente ed agilmente facendo stragi. Corrado a sera riuscì a malapena a mettersi in salvo fuggendo verso Nicea che raggiunsero ai primi di novembre, avendo perso i nove decimi del suo esercito e tutte le attrezzature.

          Intanto i francesi erano arrivati a Costantinopoli il 4 ottobre. Dopo una breve permanenza in città, avevano attraversato il Bosforo approdando a Calcedonia da dove erano arrivati a Nicea i primi di novembre. Qui, tramite Federico di Svevia, arrivò la notizia del massacro che aveva subito l’esercito di Corrado. Federico chiese a Luigi di unirsi ai resti dell’esercito di Corrado e Luigi acconsentì. Insieme i due Re decisero di seguire la strada costiera. Qui si invertirono i problemi che si erano avuti prima di arrivare a Costantinopoli. Erano ora i francesi che avevano scorte di viveri mentre i tedeschi ne erano privi. Al rifiuto dei francesi di alimentare i tedeschi, questi ultimi si dettero al saccheggio di ogni cosa che incontravano con la reazione dell’esercito bizantino che li attaccò facendoli desistere. Furono i francesi a fare da pacieri. Intanto tutti i pellegrini non combattenti decisero di ritornare indietro verso Costantinopoli e di loro non si è mai saputo cosa sia successo.

          I due eserciti decisero di marciare vicini alla costa per poter usufruire del sostegno della flotta imperiale e, attraverso Pergamo e Smirne, giunsero ad Efeso dove Corrado mostrò di essere molto malato tanto da ritornare a Costantinopoli. Qui, con le attente cure di Manuele, Corrado si riprese e, nel marzo 1148, una flotta bizantina lo trasportò in Palestina.

          I francesi seguivano la loro marcia lungo la costa dove ricevettero consigli da Manuele di non ingaggiare battaglie con i turchi e dove avvertirono lo stesso Luigi che l’Imperatore non poteva opporsi alle giuste ritorsioni dei suoi sudditi contro i vandalismi ed i saccheggi dei francesi. Dal momento dell’arrivo a Decervium nella Valle del Meandro, appena lasciata Efeso, i turchi iniziarono a farsi vedere e ad attaccare avanguardie e retroguardie crociate. Poi, al ponte sul fiume nelle vicinanze di Antiochia in Pisidia, vi fu l’attacco (intorno al 1° gennaio 1148). I crociati francesi riuscirono a respingere questo attacco ed i musulmani si ritirarono rifugiandosi in una città fortificata bizantina, incomprensibilmente priva di difese.

Nella carta è riportato il tragitto delle Prima Crociata dove si ritrovano molte delle città ora citate.

Città dell’Anatolia

          I francesi ripresero la marcia e tre giorni dopo furono a Laodicea. Qui trovarono la città deserta perché gli abitanti erano fuggiti, vista la fama che i crociati avevano, portando con sé ogni provvista commestibile. I rifornimenti erano molto importanti visto che ora avevano davanti una tappa molto faticosa che li avrebbe portati a d Attalia. Racimolati i viveri che riuscirono a saccheggiare, superati i monti che separavano dal mare (con la paura che serpeggiava per la gran quantità di cadaveri di tedeschi incontrata lungo il cammino), proprio dove iniziava la discesa al mare l’avanguardia disobbedì non aspettando alla sommità del passo e perdendo quindi contatto con il grosso dell’esercito. Fu a questo punto che i turchi attaccarono e solo la notte salvò dal completo disastro che fu comunque molto pesante. Da qui in avanti vi era pianura ed i turchi non osarono attaccare in campo aperto di modo che i crociati giunsero ad Attalia i primi giorni di febbraio. Il governatore della città imperiale era un italiano di nome Landolfo che si mise a completa disposizione di Luigi ma Attalia era una piccola città, le riserve invernali stavano finendo anche perché i tedeschi, in precedenza, avevano fatto man bassa. Luigi chiese allora a Landolfo di mettergli insieme delle navi per poter proseguire via mare. Ma questo compito era difficile per quel piccolo porto e comunque ci sarebbe voluto del tempo. I crociati si accamparono in attesa ed ancora una volta furono attaccati dai turchi riuscendo ancora a respingere l’attacco. Arrivarono le navi ma erano poche e Luigi decise di imbarcare, oltre se stesso, la sua corte e la cavalleria, lasciando quindi fanteria e tutto il resto di pellegrini, per far vela verso San Simeone dove arrivò il 19 marzo. La parte rimanente restò ad Attalia al comando di Thierry di Fiandra e Arcibaldo di Borbone che attesero altre navi. Arrivarono ed erano ancora poche cosicché i due comandanti seguirono l’esempio del loro Re: imbarcarono se stessi ed i soldati più validi rimasti lasciando indietro tutti gli altri. E questi ultimi iniziarono una straziante marcia attraverso la Cilicia che li portò ad Antiochia in meno della metà in primavera inoltrata.

          Prima di passare all’epilogo di questa Seconda Crociata occorre dire due parole su come fu raccontata dai cronisti ufficiali al seguito di Luigi VII. La colpa dei disastri fu tutta data, a parte qualche piccola manchevolezza, ai bizantini e ciò è una vera falsificazione. In epoca medievale avere un Impero, per quanto organizzato come quello bizantino, che fosse in grado di alimentare eserciti così grandi per vari mesi se non anni, era pura follia. Il fatto che i viveri dovevano essere pagati cari era conseguenza della loro scarsità e ciò non esclude che vari imbroglioni vi siano stati. Le razzie ed i saccheggi continui noj iautarono nella simpatia verso i crociati. La vicenda di Landolfo è emblematica: come è pensabile che in un piccolo porto ed in inverno vi siano navi in grado di imbarcare une esercito ? Runciman conclude queste considerazioni con parole del tutto condivisibili:

La responsabilità principale per i disastri che accaddero ai crociati in Anatolia deve essere attribuita alla loro propria stoltezza. In realtà l’imperatore avrebbe potuto fare di più per aiutarli, ma soltanto con grave rischio per il suo Impero. Ma il vero problema è più profondo: gli interessi più autentici della cristianità richiedevano che ci fossero di tanto in tanto eroiche spedizioni verso l’Oriente, condotte da una mescolanza di stolti idealisti e di rozzi avventurieri, per soccorrere uno Stato intruso la cui esistenza dipendeva dalla disunione dei musulmani? O era preferibile che Bisanzio, per tanto tempo custode della frontiera orientale, potesse continuare ad adempiere quella funzione, senza esserne impedita dall’Occidente? La storia della seconda crociata mostra ancora più chiaramente della prima quanto le due politiche fossero incompatibili. Quale delle due fosse giusta lo si sarebbe visto in seguito, con la caduta di Costantinopoli e i turchi minacciosi alle porte di Vienna.

Arrivato Luigi a San Simeone, fu scorato con tutti gli onori ad Antiochia dove vi furono lunghi e lussuosi festeggiamenti. Dopo qualche tempo il principe di Antiochia, Raimondo prospettò dei piani di azione contro gli infedeli ed in particolare contro Nurendin che nell’autunno del 1147 aveva ormai occupato vasti territori e premeva ai confini del Principato. Con la cavalleria di Luigi sarebbe stato possibile pensare di attaccare i musulmani che avevano base ad Aleppo. Ma Luigi non accettò quanto gli veniva proposto affermando che il suo voto di crociato era quello di andare a Gerusalemme. I principi franchi non condividevano ed anche il Conte Joscelin di Edessa sperava che i franchi si sarebbero uniti per liberare la Contea. Anche Raimondo di Tripoli spingeva per poter riconquistare alcuni territori persi. Mentre Luigi era titubante sul da farsi arrivò il Patriarca di Gerusalemme in persona inviato dalle massime autorità della città per informare Luigi che Corrado era già arrivato. La regina Eleonora di Francia, che era molto più intelligente del marito, capì che quando gli proponeva suo zio Raimondo di Antiochia era la cosa più saggia da fare. Ma quando espresse il suo parere Luigi fu preso da folle gelosia perché sua moglie Eleonora frequentava troppo Raimondo ed i rapporti non sembravano quelli di zio e nipote. Luigi decise di partire improvvisamente per Gerusalemme ma Eleonora disse che sarebbe restata ad Antiochia ed avrebbe divorziato. Luigi la trascinò con la forza verso il suo esercito che stava partendo.

Luigi fu accolto a Gerusalemme verso la metà di maggio con tutti gli onori, stessi onori riservati a Corrado che era sbarcato ad Acri verso la metà di aprile. I due Re erano così giunti a Gerusalemme ma mancavano sia Raimondo di Antiochia che Joscelin (oltre a Raimondo di Tripoli per motivi del tutto diversi, legati a questioni di legittimità su quel piccolo regno spettanti ad un suo parente, Alfonso Giordano figlio di Raimondo di Tolosa della Prima Crociata, che morì avvelenato con sospetti che ricaddero su di lui).

Quando tutti i crociati ed i Re dei territori della Palestina giunsero a Gerusalemme vi fu una assemblea solenne ad Acri il 24 giugno 1148, assemblea alla quale parteciparono anche Templari e Gerosolimitani. Si doveva discutere il cosa fare e, alla fine, si decise di attaccare in forze direttamente Damasco. Fu una scelta stupida e priva di qualunque ricaduta politica. Damasco poteva essere appetibile solo per le ricchezze di cui disponeva e perché la sua conquista avrebbe permesso di separare definitivamente i musulmani fatimiti d’Egitto dai musulmani turchi selgiuchidi. Per il resto il regno di Damasco era desideroso di amicizia con i franchi perché li vedeva come unico argine all’espansione di Nurradin ed attaccare Damasco sarebbe stato l’unico modo di consegnare quel regno all’alleanza con lo stesso Nurradin. Ma non vi era possibilità di ragionare di fronte alle ricchezze che si sarebbero prospettate. Ma è il caso di dire che le ricchezze accecarono coloro che presero questa decisione. La responsabilità maggiore fu comunque dei piccoli sovrani locali che conoscevano la situazione mentre per gli appena arrivati Aleppo non significava nulla mentre Damasco aveva una risonanza anche biblica.

Un grande esercito crociato partì dalla Galilea e dopo un facile cammino arrivò vicino a Damasco. L’emiro Unur non credeva che i cristiani intendessero attaccare Damsco ma quando si rese conto che era così chiamò a raccolta tutte le forze esistenti in Siria e chiese aiuto, come previsto, a Nurradin. Dapprima i crociati riuscirono a mettere in difficoltà i damasceni ma poi una serie di errori tattici (lo spostamento dell’esercito cristiano da una zona con acqua e viveri ad una pianura arida di fronte alla città, proprio laddove le mura erano più solide) fecero prevalere le forze che a Damasco si andavano via via ammassando restando comunque in attesa di Nurradin già in marcia. In breve tempo furono i crociati a doversi difendere. Ma non si resero neppure conto del disastro imminente, da buoni cristiani ardenti di fede si stavano scannando sul futuro assetto da dare a Damasco conquistata e su chi ne dovesse diventare Principe o Re o ciò che si vuole. E l’alleanza diventava sempre più precaria tanto che anche i Re occidentali si resero conto della follia di quell’assedio in quelle condizioni. Decisero quindi di ritirarsi verso la Galilea il 28 luglio ma con Unur che perseguitò l’intera ritirata con incursioni continue che provocarono molti morti. Ai primi di agosto l’esercito era arrivato in Palestina ed i piccoli sovrani locali si ritirarono verso i loro territori mentre restava una gigantesca umiliazione in tutti gli altri oltre ad una perdita di moltissime vite e materiale. L’invincibilità dei meravigliosi e coraggiosi principi cristiani era caduta a terra con fragore per far rinascere tutto l’orgoglio musulmano.

Corrado se ne andò subito imbarcandosi ad Acri per Tessalonica dove fu raggiunto da un invito di Manuele che già aveva accordato un matrimonio tra suo fratello Enrico d’Austria e la nipote di Manuele, Teodora. Il matrimonio serviva a stringere un’alleanza contro il normanno Ruggero di Sicilia, già in guerra con Bisanzio, i cui territori volevano spartirsi i due sovrani.

Luigi invece non si muoveva da Gerusalemme anche se spronato a tornare in Francia da più parti. Aveva paura del divorzio minacciato dalla moglie e dalle conseguenze politiche che ne sarebbero seguite. Di una cosa era certo Luigi, del risentimento verso l’Imperatore di Bisanzio Manuele, tanto era il risentimento che egli cercò di allearsi con Ruggero di Sicilia. Finalmente nell’estate del 1149 Luigi si imbarcò su una nave di Ruggero di Sicilia che si unì presto alla flotta che incrociava più a largo. Quando questa flotta era giunta vicina alle coste greche, fu attaccata dalla flotta bizantina. Luigi fu preso da terrore ed ordinò che la nave su cui viaggiava issasse la bandiera francese. Ciò fece risparmiare quella nave ma i bizantini catturarono altre navi in cui vi erano uomini e beni del Re. A fine luglio Luigi sbarcò in Calabria e divenne ospite di Ruggero a Potenza. Lì si decise di mettere su una nuova crociata contro Bisanzio. Dopo aver preso questi accordi Luigi partì per la Francia.

Tornato in Francia Re Luigi trovò il santo Bernardo interdetto per quanto accaduto a quel sommo esercito che si muoveva per volere di Dio. Accettò quindi di buon grado che le colpe fossero di Bisanzio ed iniziò a predicare contro quell’Impero per una crociata che lo distruggesse (santi al servizio di un Re ? Non era e non è una novità !). Ma perché il progetto avesse successo serviva l’accordo con Corrado che non ne volle sapere. La vendetta contro chi si era opposto al volere di Dio era rimandata.

E così finiva in modo indegnamente vergognoso la Seconda Crociata anche se alcune nefaste conseguenze in loco ne furono un’appendice drammatiche.

Le note e la bibliografia sono nella parte seconda di questo articolo.



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1 replies

  1. Ma tu sei il nuovo Biglino! Perchè non gai dei video e leggi queste cose, a poco a poco, in modo che più gente possa sapere? Qui questo post lunghissimo è più difficile da leggere tutto. Ma i video son più guardati, come appunto Biglino, lo conosci? Lui ha spiegato tante cose tradotte male della Bibbia e molti segreti nascosti dalla Chiesa ufficiale che ha occultato molte cose importanti riguardo chi fosse Jahweh e tutto il resto. Prova a cercarlo 😉

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