RICORDO DI MARIO AGENO

Mario Ageno è stato un fisico di prima grandezza che merita un ricordo per la grande mole e la qualità di lavori fatta e per aver aperto il nostro Paese alla biofisica. Lascio la parola ad altri e particolarmente a chi l’ha ben conosciuto. Io ho avuto con Ageno solo degli incontri-scontri durante il 1968. Poiché ero tra chi occupava l’Istituto di Fisica dell’Università di Roma, dormivo in una stanza adiacente all’Aula di Fisica Sperimentale (oggi Aula Amaldi). Vi era una scrivania, una lavagna ed una sedia. Era una stanza per eventuali ospiti dell’Istituto e quindi era disadorna. La usavano anche coloro che venivano a fare lezione in Istituto provenienti da altri Istituti. E questo era il caso di Mario Ageno che veniva dall’Istituto Superiore di Sanità per fare lezione ai futuri medici. Poiché l’Istituto era aperto a chi vi lavorava, il prof. Ageno veniva fatto passare dai picchetti ma sapeva che non avrebbe potuto fare lezione. Era per questo indignato. La sua lezione avrebbe dovuto aver luogo alle ore 8 del mattino. Entrava arrabbiato dove io dormivo e, regolarmente, prendeva i miei vestiti poggiati sulla scrivania e li buttava nel corridoio. Poi se ne andava dall’Istituto. E’ andata avanti così per un anno. Non ci siamo scambiati parola ma molti sguardi.

            Più oltre, quando iniziai ad insegnare, scoprii che Ageno aveva scritto un libro di fisica destinato ai medici che era davvero eccellente (Elementi di fisica, Boringhieri 1962) e che, da allora, vista la sua semplicità (poca matematica avanzata), adottai nelle scuole dove non trovavo presidi ottusi (quel libro era in un unico volume ed io lo facevo comprare per poi usarlo per tre anni; qualche preside pretendeva che io adottassi solo libri suddivisi in tre volumi).

            L’altro mio incontro con Ageno fu al XVII Congresso AIF (Associazione per l’Insegnamento della Fisica) di Rimini (1978). Fu invitato per tenere una lezione di biofisica (L’instaurarsi spontaneo di un ordine in un sistema caotico. L’origine della vita). Ne fui affascinato. Fortunatamente quella lezione la trascrisse e la pubblicò sul giornale dell’AIF, La Fisica nella Scuola (A. XI, n° 4, ottobre-dicembre 1978). L’ho ritrovata e la ripropongo nel sito in altra pagina.

R.R.

RICORDO DI MARIO AGENO

Paolo Salvadori

(da Il Nuovo Saggiatore, 8, n° 5/6, 1992)



           Il 23 dicembre 1992 è improvvisamente mancato Mario Ageno.

           Nato a Livorno il 2 marzo 1915 da famiglia genovese, superato il biennio a Genova, su suggerimento del docente di analisi si trasferì nel 1934 a Roma dove, come ricordava lui stesso, il gruppo di via Panisperna aveva appena concluso i primi esperimenti sul rallentamento dei neutroni. Completò gli studi a Roma, laureandosi con Fermi, ed entrando in particolare dimestichezza con Segrè che, una volta a Palermo, gli chiese di raggiungerlo in quella sede; ma Ageno preferì restare a Roma, dove nel frattempo gli era stato offerto un posto di assistente incaricato. Fino all’inizio della 2ª guerra mondiale, quando durante l’espletamento del servizio militare fu mobilitato e inviato in Africa, Ageno collaborò, soprattutto con Amaldi, a ricerche di fisica nucleare. Rientrato dalla guerra per gravi motivi di salute, che lo afflissero per molti anni ancora, riprese la sua attività all’Università di Roma e quindi all’Istituto Superiore di Sanità, dove nel 1949 era entrato per concorso come assistente rinunciando al posto di professore straordinario di Fisica Superiore che nel frattempo aveva vinto all’Università di Cagliari.

Dei Laboratori di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità divenne Capo nel 1958 e dedicò da allora, fino al 1969 quando lasciò l’Istituto, la maggior parte delle sue energie alla ristrutturazione dei Laboratori stessi, dotandoli di mezzi e personale per l’epoca notevoli.

            L’Istituto Superiore di Sanità, come struttura tecnico-scientifica del Ministero della Sanità, aveva compiti specifici di consulenza su problemi di salute pubblica: Ageno si rese conto che per assolvere i problemi istituzionali occorreva quel rigore e quel metodo che soltanto la ricerca su argomenti fondamentali permette di possedere, ma per questo era anche indispensabile una struttura all’altezza dei tempi, organizzata secondo un modello che rappresenta ancor oggi un esempio di perfezione. Creò nei Laboratori Reparti e Servizi, stimolando lo sviluppo di gruppi di ricerca su svariate tematiche, dalla fisica delle particelle a quella dei nuclei, dalla struttura della materia alla biofisica (a quest’ultima disciplina, in particolare, di cui si può ben dire che egli sia il fondatore in
Italia, si dedicò completamente, nel tempo libero dagli impegni istituzionali, a iniziare dal 1960). I tecnici, una volta assunti, subivano un apprendistato nei Servizi prima di essere assegnati ai diversi Reparti. Ogni giovedì era programmato un seminario, in cui prevalentemente ospiti esterni di chiara fama facevano il punto sullo stato dell’arte nei vari campi della fisica: l’organizzazione dei seminari e la pubblicazione dei relativi testi nei Rapporti dei Laboratori (creati appositamente per questa e altre funzioni) era compito, a turno, dei ricercatori più giovani. Il sabato, invece, era dedicato a illustrare e discutere fra tutti i membri dei Laboratori l’attività svolta nel corso della settimana. A turno e per un mese ciascuno dei ricercatori più giovani, con l’incarico di «ufficiale di picchetto», doveva provvedere a garantire la piena efficienza dei Laboratori. Inoltre presso i Laboratori era costituita un’unità di quello che sarebbe poi divenuto l’INFN, che tra l’altro partecipò alla costruzione dell’Elettrosincrotrone di Frascati.

E’ difficile, in poco spazio, enumerare i risultati importanti che, sotto la guida di Ageno, i Laboratori di Fisica ottennero nella ricerca e nello sviluppo tecnologico: basti pensare alle ricerche sulla scintillazione nei liquidi, sulla diffusione quasi-elastica di elettroni su nucleo, sulla luce di sincrotrone, allo sviluppo della microscopia elettronica e della metrologia delle radiazioni, alla progettazione e realizzazione di catene elettroniche originali. Ageno firmava soltanto i lavori cui si era dedicato appieno, ma si può ben dire che ogni pubblicazione dei Laboratori era il risultato di discussioni, talora sferzanti, con Ageno, che a tutti dava idee e suggerimenti essenziali.

            Di pari passo con la ricerca e la gestione dei Laboratori Ageno continuò a coltivare la passione per lo studio dei fondamenti della fisica che lo vide da una parte maestro indiscusso di intere generazioni di studenti di medicina, dall’altra trattatista ineguegliabile: basti ricordare, di quegli anni, gli Elementi di FisicaLa costruzione
operativa della fisica
 ma anche le dispense di Elementi di Radioattività e, in particolare, di Esercizi e Problemi di Fisica, che raccolgono la sua esperienza di «pedagogo» degli studenti di fisica all’Università di Roma.

            Nel 1969, in un periodo difficile per l’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito più generale del malcontento che serpeggiava un po’ dappertutto nel mondo della cultura, Ageno lasciò l’Istituto Superiore per l’Univeristà di Roma e si dedicò a pieno tempo alla Biofisica, del cui Corso divenne titolare. Con grandi difficoltà, in carenza di mezzi e
persone, riuscì tuttavia a formare molti validi allievi e a portare avanti ricerche importanti, le cui conclusioni sono alla base dei tanti libri che Ageno da allora andò pubblicando: tra gli altri, Le radici della biologiaIntroduzione alla biofisicaDal non vivente al vivente; fino al recentissimo Punti cardinali. In tutti questi testi è evidente il
permanente interesse di Ageno per l’epistemologia, che trova un’ulteriore eloquente espressione nel volume Alle origini dell’irreversibilità.

            Della funzione importante della SIF (Società Italiana di Fisica, n.d.r.) Ageno fu sempre un sostenitore e stimolava i suoi più giovani collaboratori a frequentare i Congressi portandovi i contributi delle loro ricerche; della SIF fu vicepresidente, sotto la presidenza Polvani; fu invitato a tenere la Relazione Generale «Tra fisica e biologia» al
LXXIII Congresso Nazionale di Napoli nel 1987 e ricevette il Premio per la Didattica al LXXVII Congresso Nazionale de L’Aquila nel 1991.

           Rigido con gli altri, ma soprattutto con se stesso, riteneva, infatti, che nell’esercizio delle proprie funzioni sia indispensabile un comportamento rigoroso e coerente, senza compromessi: tali convincimenti egli professava in tutte le occasioni, dalla didattica, alla ricerca, alla pubblicistica, coinvolgendo nello stesso modo di pensare i suoi collaboratori. Diverso, invece, era l’atteggiamento fuori dell’ambito del lavoro: nonostante il carattere introverso, che lo portava a isolarsi dal mondo esterno, sapeva mostrare una disponibilità piena verso chi gli si rivolgeva per un consiglio, per un aiuto, per un semplice scambio di opinioni, e traspariva allora tutta la sua gratitudine per chi con lui cercava questo contatto umano. Rifuggiva, e se ne faceva un merito, da quelle che considerava inutili manifestazioni esteriori, che gli avrebbero certamente dato una notorietà maggiore di quanta non gliene sia venuta dall’indiscusso valore scientifico. Ebbe, ciononostante, numerosi riconoscimenti e fra questi la nomina a Socio Nazionale dell’Accademia dei Lincei e la Laurea «honoris causa» in Scienze Biologiche all’Univerisità de L’Aquila; per i suoi 70 anni fu organizzato a Roma un Simposio dai cui Atti, pubblicati dalla SIF, appare evidente il prestigio che gli riconoscevano e l’affetto che gli portavano colleghi e allievi.

            Mi si consenta qui un ricordo personale di chi mi è stato Maestro di metodo e di rigore, non solo nella ricerca e nella didattica. Non so quanto Ageno avrebbe gradito che si parlasse della sua solitudine umana, che aveva spesso, anche troppo, voluto celare: ma questa mi apparve ancora più evidente dopo la scomparsa di Amaldi, forse suo unico vero amico. Gli mancò, allora, un «punto fermo» nella vita ed egli si ritrovò nella grande casa sovrabbondante di libri (ne contava decine di migliaia, non solo scientifici, alcuni dei quali rari e preziosi), privo di affetti veri, sinceri. Ce ne parlò in occasione di una «lettura magistrale» tenuta all’Accademia Anatomico-Chirurgica di Perugia nel 1990, durante una cena con pochi intimi: vivo e vivace come poche altre volte lo rammento, tanto da lasciarsi andare al ricordo di episodi salienti della sua vita, si preoccupava del «dopo» e della sua biblioteca che avrebbe voluto destinare al mondo scientifico, affinché il sapere fosse patrimonio a disposizione di tutti coloro che potessero intenderne il valore. L’avverarsi del suo desiderio sarebbe ora un degno modo di ricordarlo.

            Con la scomparsa di Ageno la fisica italiana perde un protagonista, forse scomodo come soleva dire, ma che alla fisica si è dedicato fino all’ultimo con intelligenza, rigore, originalità.

Paolo Salvadori

Il dovere di essere scienziato

Gilberto Corbellini 

            La concezione della ricerca intellettuale intesa come impegno civile è stato senz’altro il tratto più caratteristico dell’attività culturale di Mario Ageno.

            Per Ageno il vincolo sociale umano impone a ciascuno il dovere di contribuire attraverso lo sviluppo e la coltivazione dei propri interessi e delle proprie competenze al miglioramento della società nel suo complesso. In questo processo l’intellettuale ha più
responsabilità di altri, sia che svolga le sue ricerche nel campo umanistico sia che si tratti di uno scienziato e questa responsabilità deve essere assunta e continuamente vagliata per evitare che si trasformi, come troppo spesso accade, in mero privilegio, a scapito della professionalità, dell’efficienza e dell’onestà. 
Un posto di grande rilievo egli assegnava all’educatore ed era seriamente spaventato per le conseguenze che scaturiranno dalla grave e progressiva degenerazione del sistema dell’istruzione nel nostro paese. Ageno rifletteva spesso sul fatto che, paradossalmente, via via che le potenzialità conoscitive e applicative della scienza aumentavano, si impoveriva il bagaglio culturale dello scienziato, con evidenti ricadute sul piano dell’etica della ricerca. La causa di ciò andava ricercata, per Ageno, nell’inadeguatezza dei programmi educativi e nella latitanza dei governanti per quanto riguarda l’attività di formazione e aggiornamento degli insegnanti. Ed era sua convinzione che andasse contrastata la pessima tendenza a privilegiare nell’insegnamento e nella divulgazione la semplificazione dei problemi, che aumenta, invece di diminuirla, l’incomunicabilità degli scienziati fra loro, con gli studenti e con la gente «della strada».
Il contributo di Ageno alla cultura italiana è stato rilevante e incredibilmente sottovalutato. Non solo la sua opera pedagogica, svolta attraverso l’insegnamento e la stesura di trattati di fisica e biofisica, ha influenzato generazioni di studenti, ma egli è stato sicuramente il saggista scientifico più autorevole e originale che abbiamo avuto in Italia. I libri pubblicati da Ageno meritano di essere studiati non solo per i contenuti, ma anche da un punto di vista formale, cioè per il modo in cui sono stati concepiti e realizzati: insomma, per lo stile. Questo è assolutamente inconfondibile. A partire dal linguaggio, che non è mai appiattito e uniformato a incedere anonimo della prosa, sino alla composizione degli argomenti in un tutto organico, al loro svolgersi lungo percorsi tematici logicamente concatenati.
Ageno difendeva strenuamente le sue opzioni di stile e si prendeva incredibili arrabbiature quando gli ritornavano le bozze con «l’italiano corretto» da qualche saccente redattore.
Libri come Le radici della biologiaLe origini dell’irreversibilitàDal non vivente al vivente, Introduzione alla biofisicaLa costruzione operativa della fisica occupano a mio giudizio posizioni di assoluta rilevanza nella cultura scientifica contemporanea e si tratta di rarissimi esempi di una produzione originale nel campo della saggistica scientifica italiana. Da questo punto di vista non ci si può che rammaricare del fatto che non si sia operato, da parte degli editori e delle istituzioni scientifiche italiane per promuovere la pubblicazione in inglese di alcune di queste opere.
È il caso di spendere qualche parola anche sul modo in cui Ageno inseriva, didatticamente ed euristicamente, i problemi epistemologici e metodologici nell’elaborazione delle teorie scientifiche presentate nei suoi saggi. 
Scienziati e filosofi hanno spesso frainteso le sue riflessioni teoriche e metodologiche, tese a mettere in discussione ogni forma di primato disciplinare e prive di quella misera retorica che molti filosofi della scienza spacciano per epistemologia. L’epistemologia di Ageno non era la premessa, ma la sintesi di un percorso che, attraverso la ricerca scientifica svolta al crocevia fra scienze fisiche e scienze biologiche mirava a stabilire le basi metodologiche dell’autonomia concettuale dei diversi campi del sapere.
Ma vediamo, in modo più ravvicinato, quali sono stati i contributi teorici più rilevanti che Ageno ha apportato alla cultura scientifica.
Penso, innanzitutto, che egli abbia messo in luce come pochi i limiti dell’atteggiamento epistemologico dei fisici. Per Ageno il fisico dimentica facilmente che i modelli dei fenomeni naturali che egli elabora sono delle idealizzazioni della realtà, in cui vengono introdotte ulteriori schematizzazioni per renderli trattabili con gli strumenti della matematica e derivarne deduttivamente delle previsioni da sottoporre a verifica empirica. «Il fisico, di regola, finisce col persuadere se stesso che “esiste” veramente qualcosa che egli chiama velocità istantanea della particella in moto ch’egli considera, e che la erraticità dei risultati delle sue operazioni di misura è solo l’effetto di reali perturbazioni occasionali e di piccoli errori che egli inevitabilmente commette a causa della imperfezione dei suoi mezzi di osservazione. È questo il fondamento, ovviamente metafisico, del suo realismo scientifico, in fondo molto più arbitrario e ingenuo del cosiddetto realismo ingenuo dell’uomo della strada». Queste osservazioni si trovano in Le origini dell’irreversibilità, il libro in cui Ageno sviluppa un’affascinante riflessione sui rapporti fra logica e realtà attraverso l’analisi dei problemi concettuali affrontati da Boltzmann nel tentativo di dar conto, con il il teorema H, dell’irreversibilità dei fenomeni naturali. A mio modesto parere questo libro dovrebbe essere letto e attentamente meditato dai fisici, soprattutto da quelli più giovani e un po’ fanaticamente attaccati all’idea irrazionale che i modelli matematici siano la «vera» realtà, come un salutare esercizio di igiene mentale.
Nel contesto della sua critica alla concezione matematizzante, che sta prevalendo fra i fisici, Ageno calava, negli ultimi tempi, le osservazioni sul riemergere di uno spirito «Scolastico», volto a forzare il valore conoscitivo della matematica e che si manifestava anche nell’idea, che viene spacciata per originale ma che per la verità è alquanto arcaica, che dalla «nuova fisica» ci si debba aspettare la soluzione dei problemi della biologia.
Questa idea, sostenuta da autorevoli ricercatori, è apertamente in contrasto con quello che, indubbiamente, si può considerare il contributo teorico più rilevante di Ageno alla scienza e che riguarda la fondazione metodologica della biofisica.
La premessa da cui parte Ageno nella definizione del campo conoscitivo della biofisica è proprio la critica dell’atteggiamento prevalente fra i fisici, che considerano la biologia una scienza «sottosviluppata», mentre, egli lo ribadiva in ogni occasione, si tratta di una
scienza «a tutti gli effetti», solo diversa nella sua struttura teorica e nei suoi metodi di indagine dalle scienze fisico-matematiche. Ma se la fisica e la biologia sono due scienze autonome, senza che l’una o l’altra possa avanzare pretese di qualche primato epistemologico, in che modo allora il fisico può contribuire allo sviluppo della biologia ? E cosa vuol dire fare della biofisica ? Per Ageno, fare della biofisica non è che un modo diverso di fare3 della biologia. E il fisico può contribuire alla crescita del sapere biologico mostrando in che cosa consiste, dal punto di vista dell’indagine fisico-matematica, la diversità del vivente, su cui si fonda l’autonomia della biologia come scienza. Per Ageno il compito della ricerca biofisica era l’individuazione e l’impostazione metodologica di quei problemi di frontiera fra fisica e biologia, come la questione dell’origine della vita, la collocazione concettuale dei sistemi viventi nel contesto dei sistemi naturali e la dimostrazione del «passaggio al limite» che porta dalla legalità degli enunciati della fisica alla storicità di quelli della biologia. In altri termini con le sue ricerche di biofisica Ageno intendeva stabilire un raccordo fra il sistema di concetti della fisica e quello della biologia, in modo tale che le conoscenze e i metodi della fisica possano essere utilizzati per contribuire allo sviluppo delle conoscenze biologiche al di fuori di qualsiasi sterile progetto di ridurre il sistema di concetti della biologia a quello della fisica. Ageno stava lavorando a impostare, con lo stesso criterio, il problema dei rapporti epistemologici fra scienze della vita e scienze umane.
A un modello biofìsico del vivente, Ageno era arrivato ragionando sulle diverse caratteristiche di organizzazione dei sistemi naturali. Mentre nella maggior parte delle teorie cosiddette biofisiche non viene quasi mai definita la natura del sistema che si è in grado di descrivere con una determinata teoria, Ageno distingue all’interno degli «aggregati materiali non casuali», che possono essere sistemi naturali o artificiali, due
categorie di sistemi: i sistemi legati, in cui sono prevalenti le forze di attrazione fra i componenti (esempio atomi o sistema solare), e i sistemi coerenti, in cui i componenti concorrono passivamente a processi di dissipazione dell’energia che ricevono dall’esterno, assumendo un certo grado di organizzazione. Fra i sistemi naturali coerenti ve ne sono di un tipo particolare, in cui i processi chimici degradativi vengono incanalati da un programma, che controlla la costruzione dell’ordine. Questi «sistemi chimici coerenti dotati di programma» sono i viventi.
La presenza di un programma genetico che regola i processi interni di un sistema vivente determina, per Ageno, «una rottura di simmetria», o, meglio, una frattura logica fra una qualsiasi descrizione fisica della molecola che trasporta l’informazione biologica e la funzione biologica di questa molecola. In estrema sintesi, per Ageno, le proprietà dell’organizzazione biologica si collocano, concettualmente, in uno spazio di indifferenza fisica.
Alla «definizione di vita» Ageno ha dedicato un libro, che aveva terminato di scrivere durante l’estate scorsa, ma che avrebbe inviato all’editore nel 1993. La scelta di consegnarlo in quest’anno si spiega con il titolo che egli aveva deciso di dare al libro: Che cosa è la vita? Cinquant’annì dopo Schrödinger. Come è noto Ageno aveva tradotto in italiano nel 1948 il famoso saggio di Schrödinger del 1944, di cui l’anno prossimo ricorre quindi il cinquantenario della pubblicazione.
Nel libro, che ho avuto il piacere di leggere in una stesura preliminare, Ageno fa un bilancio delle conoscenze sulla natura dei fenomeni biologici e fa i conti con i problemi aperti nel campo della ricerca biologica, affrontando, per la prima volta in modo approfondito, alcune questioni concettuali relative allo studio del cervello.
È un luogo comune, fra biologi, storici della biologia e divulgatori, dire che la teoria di Ageno sull’origine della vita non è che una variante di quella di Oparin. Un tale giudizio mi sembra riflettere una notevole dose di approssimazione e, soprattutto, l’incapacità di cogliere lo sfondo metodologico, assolutamente originale, in cui Ageno ha collocato il problema.
D’altro canto, un conto sono i particolari di una teoria, altra questione è l’impostazione logica del problema. Si può concordare e personalmente avverto qualche simpatia – Ageno lo sapeva e ogni tanto «mi riprendeva» – per le critiche all’ipotesi del «brodo prebiotico». Ma lui stesso – e questa era la mia risposta – aveva ridefinito recentemente le caratteristiche di questo ipotetico ambiente primordiale in modo tale da superare molte delle difficoltà concettuali evidenziate da altri scienziati.
Non è questa la sede per esaminare la questione nei dettagli, mentre vorrei insistere sulla coerenza dell’impostazione logica che Ageno dà al problema delle origini della vita.
Egli parte dall’assunto che il problema del passaggio dal non vivente al vivente, un passaggio di cui nessuno è stato testimone e che quindi può solo essere pensato nel contesto di un uso coerente dei concetti e delle teorie sull’organizzazione biologica di cui disponiamo attualmente, mette in giuoco, dal punto di vista della costruzione di una teoria esplicativa di tale evento, la questione di come utilizzare, insieme, le conoscenze della fisica e della biologia, che sono basate su differenti presupposti concettuali. «Quello che per il biologo è il problema dell’origine della vita sulla Terra – osserva Ageno – diventa per il fisico il problema della transizione spontanea dal non vivente al vivente». Orbene, la prima operazione da farsi per poter utilizzare in modo appropriato e insieme gli strumenti della fisica e quelli della biologia per costruire una teoria coerente e completa dell’origine è quella di riqualificare il ruolo del tempo. Mentre infatti il fisico tratta il tempo come un parametro di un modello logico-deduttivo, per il biologo il tempo è quello della «realtà fenomenica» in cui accadono «gli eventi unici, irreversibili e irripetibili, decisivi come la nascita e la morte». E se non viene adeguatamente formulato il problema avremo da una parte i fisici che tenteranno di produrre dei modelli che non tengono conto del ruolo cruciale che ha la concatenazione storica degli eventi, e, dall’altra, i biologi che si accontenteranno di resoconti plausibili, senza cercare un fondamento logico per la teoria.
Ageno ribadisce, nel suo libro Dal non vivente al vivente, che, contrariamente a quanto continuano a pensare molti epistemologi, una teoria storica è una teoria scientifica, nonostante non possa essere altro che «la narrazione di una concatenazione di eventi ipotizzati, ciascuno dei quali ha probabilità di verificarsi nell’ordine dell’unità, una volta che tutti gli eventi precedenti della catena si siano veriflcati». E, proprio in questa diversa accezione della probabilità, per Ageno, sta la chiave per uscire dagli equivoci.
«Il concetto di probabilità per unità dì tempo – dice Ageno – risulta essenziale quando si tratti di spiegare come mai sia possibile il verificarsi di un certo esito, che di fatto richiede la concorrenza concertata di un gran numero di eventi casuali diversi. È la difficoltà di fronte alla quale molti capitolano, quando si tratta di giustificare in qualche modo il formarsi spontaneo di un sistema chimico appropriato di una prima cellula vivente. Sembra loro che il numero di eventi casuali concorrenti che debbono verificarsi sia talmente elevato, da rendere la probabilità della comparsa spontanea della vita un evento di probabilità evanescente». 
Insomma, Ageno ci dà, forse per primo, uno strumento per scandagliare le teorie sull’origine della vita e differenziare quelle dotate di una plausibilità scientifica da quelle che non sono difformi da una impostazione creazionista del problema. Poi, ovviamente, è anche una questione di gusti. Se qualcuno vuole farsi prendere in giro da Francis Crick, che ha rinnovato le teorie della panserpermia teleguidata, o da Graham Cairn-Smith, con le sue improbabili argille di biblica memoria che sarebbero state in grado di sviluppare un codice genetico minerale, o da Ilya Prigogine, con la sua inverosimile termodinamica dei sistemi viventi, o da Manfred Eigen, con le sue iperboli concettuali, liberissimo di farlo.
Ageno ha mostrato concretamente, diciamo pure sperimentalmente, per essere più chiari, in cosa consiste l’autonomia della biologia. Nel suo ultimo libro pubblicato, La «macchina» batterica, presenta la prima matematizzazione di un sistema vivente, il batterio, e una teoria funzionale, sperimentalmente verificata, della crescita di una coltura batterica e della divisione cellulare nei batteri.
L’idea alla base di questo studio, le cui tappe sperimentali sono state pubblicate sui Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, è quella di sottoporre un sistema biologico, il più semplice possibile, cioè una coltura batterica in terreno liquido, a vincoli rigorosi, in modo tale «che esso non abbia altra possibilità di svilupparsi, almeno per un certo intervallo di tempo, che come sistema apparentemente deterministico». In tali condizioni, Ageno è riuscito a descrivere il comportamento del sistema mediante una teoria di tipo fisico, che si sviluppa deduttivamente a partire da postulati quantitativi, suggeriti dalla fenomenologia osservata. Ma è anche riuscito a far vedere come, man
mano che le condizioni più restrittive e vincolanti vengono lasciate cadere, o col passare del tempo qualche imprevedibile alternativa nell’evoluzione  del sistema, nonostante tutte le precauzioni prese, incomincia a presentarsi, la teoria formulata deve progressivamente essere ampliata e si trasforma gradualmente, con lo svanire della significatività delle leggi e della forza delle deduzioni logiche, in una teoria di tipo biologico, costituita essenzialmente dalla descrizione di un complesso di eventi particolari, logicamente collegati e organizzati solo in base alle loro concatenazioni storiche. Insomma, è riuscito a dimostrare sperimentalmente in che cosa consiste quel «passaggio al limite» fra fisica e biologia che giustifica la frattura logica fra le due scienze.
Si tratta di un risultato significativo, di cui i biologi non potranno non tenere conto, dato che esprime una implicita critica del loro atteggiamento di sufficienza di fronte all’indagine quantitativa e controllata delle forze che guidano l’evoluzione biologica.
Una di queste forze è indubbiamente la riproduzione dei viventi, cioè il processo per cui, ad esempio, da un batterio se ne formano due. Ageno ha dimostrato che, contrariamente all’opinione corrente, gli ordinari processi biosintetici nel batterio non hanno nulla a che
fare con la divisione cellulare. Ragionando funzionalmente intorno a questo fenomeno, egli ha quindi cercato di vederlo come un evento normale del processo di crescita esponenziale del materiale biologico nella coltura, ma nello stesso tempo di cogliere il significato evolutivo della discontinuità che si stabilisce con questo evento singolare, di cui sono responsabili numerosi geni, che in certe condizioni limite si attivano e innescano la divisione cellulare. Tra i problemi di frontiera della biofisica Ageno metteva anche quello della natura dei rapporti fra scienze biologiche e scienze umane. Egli notava che la storia della biosfera terrestre è stata caratterizzata dall’emergere, «ogni tanto», di sistemi viventi che mostrano un livello più alto di complessità e di organizzazione, dai batteri ai protozoi, poi ai multicellulari solitari fino alle società animali.
A livello delle società animali si realizza un’altra rottura di simmetria, quella che porta all’emergere della persona e alla possibilità di scelte consapevoli e quindi di una legge morale. Negli uccelli e nei mammiferi, e in modo particolare nella specie umana, il valore adattativo del comportamento ha trovato le sue condizioni di realizzazione grazie alle «cure parentali», che guidano e istruiscono i nuovi nati sul come affrontare con probabilità di successo i problemi esistenziali. In tal senso l’individuo viene plasmato in relazione alla società di cui entra a far parte e le sue scelte assumono un significato che è indifferente rispetto alle condizioni biologiche di partenza, analogamente a quanto accade nei rapporti fra le descrizioni degli aspetti biologici e di quelli fisico-chimici della materia vivente.
Questa seconda rottura di simmetria che avviene nel tempo dell’individuo e che gli offre la possibilità di svilupparsi e affermarsi come persona rappresenta per Ageno la base dell’evoluzione socio-culturale e l’ambito d’indagine delle cosiddette scienze umane. Dunque, se è vero che le scienze umane, per quanto riguarda lo studio del singolo individuo, devono armonizzare i loro sistemi di concetti con quelli delle scienze biologiche, il fatto che «l’esemplare solitario» sia stato il punto di partenza di ogni studio scientifico e filosofico della natura umana rappresenta per Ageno un’impostazione metodologicamente sbagliata. Infatti, l’entità biologica autonoma e coerente non è il singolo, ma la società umana evolutasi dalle società dei mammiferi attraverso la creazione, con il prolungamento delle cure parentali e dei condizionamenti educativi, di uno spazio di indifferenza biologica che è «il tempo della persona» e che deve essere il punto di partenza di ogni studio sull’uomo. Ageno stava lavorando con incredibile dedizione a un libro su Le società umane, che era diventato l’argomento principale delle nostre ultime conversazioni. Egli si stava rendendo conto della inafferrabilità di molte idee sociologiche, linguistiche e filosofiche, in quanto è quasi la regola, in questi campi di ricerca, procedere per asserzioni, che non vengono dimostrate o introdurre termini descrittivi che non vengono definiti.
A conclusione di queste note, vorrei esprimere l’auspicio che si realizzi concretamente la possibilità di valorizzare il prezioso patrimonio di testi dattiloscritti che Mario Ageno ha lasciato in eredità alla comunità intellettuale. Chi è stato legato ad Ageno da sentimenti di amicizia e stima non eluderà il debito morale che ci vincola indissolubilmente al suo ricordo e al dovere di operare per diffondere i contenuti di un’esperienza scientifica e umana che riscatta, in una fase della storia del nostro paese e della cultura laica nel mondo occidentale, il valore morale e razionale della ricerca intellettuale vissuta come impegno civile. 




Gilberto Corbellini
è (era, n.d.r.) dottorando in Sanità pubblica presso l’Università

di Roma «La Sapienza»



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