Dalla fine del IV secolo (Teodosio) all’inizio del IX secolo (Carlomagno) attraverso l’impetuosa espansione islamica
Roberto Renzetti
FEBBRAIO 2011
IL CRISTIANESIMO COME RELIGIONE DI STATO CON TEODOSIO I
Con l’Editto di Tessalonica (Cunctos polulos) del 380 Teodosio I, che dal 394 sarà imperatore unico d’Occidente ed Oriente, sancì la definitiva intolleranza di quello che fu il più grande Impero del mondo. L’editto, a cui seguirono nel 391 e 392 i decreti attuativi, sanciva che il Cristianesimo e per di più quello che era uscito dal Concilio di Nicea del 325, era religione di Stato con la minaccia di ogni persecuzione contro pagani e cristiani che non avessero aderito al credo niceno come religione unica ed obbligatoria dell’Impero romano. Il Cristianesimo, in un Impero in disfacimento, marcava un nuovo passo verso l’oppressione, l’intolleranza, l’abominio, i crimini di un potere ottuso imposto dallo Stato che si rendeva prono ai voleri del vescovo di Roma, tal Damaso, e di quello di Alessandria, tal Pietro, che avevano il riconoscimento di fonti indiscutibili della teologia cristiana.
Iniziarono subito le epurazioni e da Costantinopoli fu cacciato il vescovo di credo ariano che rappresentava la quasi totalità della popolazione, sostituito dal vescovo di poche anime di credenze nicene Gregorio Nazianzio, un presunto teologo davvero non in grado di reggere tanto impegno. A questo personaggio Teodosio affidò il Primo Concilio di Costantinopoli del maggio 381 che doveva affermare teologicamente quanto Teodosio aveva deciso nel 380. Il Concilio, dopo aver definito Costantinopoli la Nuova Roma e seconda per l’autorità vescovile, riaffermò quanto teologicamente deciso a Nicea nel 325 (condanna dell’arianesimo e di altre eresie) ed in particolare il credo niceno, con l’aggiunta dello Spirito Santo (il Credo diventava ora niceno-costantinopolitano), così espresso: Credo in Spiritum Sanctum qui ex Patre per Filium procedit ma che venne conosciuto solo nel Concilio di Calcedonia del 451. Risolto così il problema della natura delle tre entità della Trinità restava scoperto il nuovo terreno della disputa teologica, come si integravano in Gesù la natura umana e divina, con la nascita di nuove importanti eresie. Non è peregrino denunciare che anche ora, come con Nicea, non si è conservato alcun documento, pratica utilizzata dalla Chiesa ogni volta che doveva e deve nascondere.
Negli anni che seguirono vennero via via presi altri provvedimenti a favore del Cristianesimo: nel 381 vennero vietati tutti i riti di altre religioni e si stabilì che i cristiani apostati non avessero diritto ad un testamento; nel 382 furono permessi gli oggetti pagani solo nel caso avessero valore artistico; nel 383 il giorno dedicato al Sole (dies solis) divenne il giorno dedicato al Signore (dies dominicus); nel 385 fu ribadito il divieto di cerimonie pagane. Nel 391 e 392 emanò i decreti attuativi dell’Editto di Tessalonica del 380. Il primo decreto (febbraio 391) vietava: culti pagani anche in privato, l’ingresso in templi pagani, il pellegrinaggio in santuari e/o statue pagani con forte pena pecuniaria. Il secondo decreto (maggio 391) prevedeva pene amministrative per i pagani convertiti al Cristianesimo e poi tornati pagani. Il terzo decreto (giugno 391) specifica meglio il divieto di ingresso ai templi decretato a febbraio (se si tiene conto che i pagani erano in maggioranza nell’Impero si può capire l’ira che provocò il decreto e la necessità di usare l’esercito per applicarlo). Il quarto decreto (novembre 392) proibiva categoricamente, esplicitandoli, tutti i culti pagani che seguivano in privato. Il reato era gravissimo tipificato come lesa maestà e prevedeva la perdita dei diritti civili fino alla pena di morte, con la confisca di ogni bene e pene pecuniarie ingenti per coloro che dovevano far rispettare il decreto e non lo facevano. Iniziarono le spedizioni dei cristiani contro i templi pagani, tutti distrutti e date alle fiamme, con violenze inenarrabili per chi tentava la difesa del proprio credo.
L’ignoranza di questo Imperatore era tale che nel 393, su sollecitazione di Ambrogio, proibì i Giochi Olimpici ritenendoli manifestazione pagana. Finalmente, nel 395, Teodosio morì e dopo la sua morte si ebbe la divisione definitiva dell’Impero in quello d’Occidente ed in quello d’Oriente.
La dura e feroce lotta di Teodosio contro le religioni pagane fu efficace e, come afferma Gibbon, solo a 28 anni dalla sua morte sembrava fossero state tutte annientate. Queste religioni allora, come oggi il Cristianesimo, erano sostenute dalla consuetudine più che dal raziocinio e la consuetudine era sostenuta dalle festività e cerimonie pubbliche che, una volta annullate, fiaccavano rapidamente la religione medesima. Bastava intervenire sulla miriade di funzionari pubblici per spegnere ogni attività religiosa. Il popolo era (ed è) più che mai ignorante e lascia condurre i suoi istinti verso le nuove divinità che vengono proposte. Questo popolo ha fame di fede, spiritualità e superstizione e non resiste senza il tempio e le cerimonie materiali che gli erano state sottratte. Bastò una generazione perché si assuefacesse alla nuova fede. Pochi intellettuali e filosofi continuarono a lamentare la tragedia della perdita delle antiche religioni ed il filosofo Eunapio (347-414), nella sua Vita dei filosofi e dei sofisti, ebbe a denunciare la sostituzione delle decadute divinità con quelle di schiavi ignobili, i cosiddetti martiri, morti non per altra causa che per i loro delitti. Già si era quindi affermato nell’Impero il culto dei martiri e dei santi e, mentre Roma poteva vantare tutta una Via Ostiense piena di trofei il più delle volte fasulli, in Oriente c’era poco da venerare tanto che Costantino fece erigere sul Bosforo una Basilica degli Apostoli in cui tentò di radunare il maggior numero di resti santi (ad Andrea, Luca e Timoteo si aggiunsero i presunti resti del profeta Samuele) e reliquie che gli fu possibile. Da allora ogni chiesa doveva dotarsi delle spoglie di un qualche santo, fosse pure di un suo osso, per far accorrere i fedeli a frotte. Con il culto dei santi terminava la predicazione di Gesù, la spiritualità del messaggio apostolico ed il monoteismo reclamato dal Cristianesimo. Come prevedibile le reliquie divennero miracolose ed in un circuito perverso i miracoli le accreditavano richiamando sempre più creduloni del gregge infinito di cui dispone la Chiesa. Reliquie, miracoli, guarigioni, visioni fu la salsa in cui intingevano i loro privilegi gli addetti al clero. Da questi miracoli fatti dai santi e dai martiri si iniziò ad argomentare che costoro erano in grado di ascoltare le richieste dei miserabili sofferenti in vita. Ed allora non dovevano essere stati cancellati al momento della loro morte. Dovevano esistere in qualche luogo in attesa della Resurrezione. Da qui tutte le teorie sul Paradiso, Inferno ed accessori vari. C’è infine da osservare che le chiese del culto erano diventate del tutto simili ai templi pagani: sfarzo, luminarie, riti degradanti, persone che si trascinavano in ginocchio per chiedere grazie non già ad un Dio spirituale ma a qualche salma di santo o a qualche reliquia. I riti di soli cento anni prima si erano trasferiti al Cristianesimo codificando una santa continuità che rese estremamente più facile al popolo, divenuto gregge, seguire la nuova religione.
L’IMPERO D’OCCIDENTE DOPO TEODOSIO.
Alla morte nel 395 di questo ultimo imperatore unico, seguirono i figli Arcadio ed Onorio che si divisero di nuovo l’Impero rispettivamente in Impero d’Oriente (Dacia, Macedonia, Tracia, Asia Minore, Ponto, Oriente, Egitto) ed Impero d’Occidente (Italia, Africa, Gallia, Britannia, Hispania, Dalmazia ed altri territori balcanici) dove la giovane età di Onorio fece affidare la reggenza al generale vandalo Stilicone (che si legò ad Onorio dandogli successivamente le sue due figlie in sposa).

La linea punteggiata suddivide l’Impero Romano in Oriente ed Occidente
Mentre l’Oriente era relativamente tranquillo, in Occidente vi erano continue spinte dei barbari all’interno ed al di fuori dei confini. Stilicone, il più competente dei generali romani riuscì a respingerli fino al 408 quando Onorio per complotti di palazzo lo fece uccidere. Da questo momento l’Impero d’Occidente fu praticamente indifeso e ne approfittò Alarico che dopo varie vicende saccheggiò Roma nel 410 con i suoi Visigoti (Papa Innocenzo I sembra abbia contrattato con Alarico il saccheggio di tutto meno quello delle chiese, in ogni caso, per sicurezza, si allontanò da Roma durante i saccheggi e si fece ospitare in luogo sicuro a Ravenna). Fu l’inizio della dissoluzione dell’Impero d’Occidente ormai guidato da un inetto capace solo di intrighi e di alleanze momentanee ed inutili. Mentre accadeva ciò nel cuore d’Italia, in Gallia ed in altri territori d’Occidente vari personaggi si facevano eleggere imperatori e reclamavano potere. Per tentare di difendersi dai vari attacchi al suo trono, Onorio, chiese l’aiuto diretto della Chiesa facendo concessioni sull’eliminazione di preesistenti feste pagane, maggiore intransigenza verso pagani ed eretici, ulteriori privilegi ai vescovi, concessione ai vescovi di poter essere gli unici a giudicare i chierici e di poter intervenire in proprio a impedire pratiche pagane, esenzione da tasse sia per le chiese che per i chierici, (privilegi confermati ed accresciuti dal successore Valentiniano III) … ma senza ottenere nulla in cambio. Finalmente nel 423 moriva senza eredi Onorio e la successione fu prima di un usurpatore, il funzionario imperiale Giovanni Primicerio, quindi, dal 425, di Valentiniano III, figlio di 6 anni della sorella di Onorio e quindi figlia di Teodosio e nipote di Valentiniano I, Galla Placidia che lo aveva avuto da Costanzo III, un generale che Onorio aveva associato al trono d’Occidente nel 421. E’ utile ricordare che per contrasti avuti con Onorio, Galla Placidia nel 422 si trasferì a Costantinopoli presso la corte di Teodosio II.
Ed a poco più di 50 anni dal suo riconoscimento a Nicea, come si presentava il Cristianesimo a Roma ? Lo racconta Gregorovius:
A Roma, nel complesso, prevaleva ormai l’elemento religioso; ma non si creda che esso avesse serbato la sua originaria purezza; qui anzi il cristianesimo era stato più rapidamente corrotto poiché il terreno sui cui era caduto il nuovo insegnamento era, meno di qualunque altro, adatto a raccoglierlo. […]
[E lo storico Ammiano Marcellino (circa 330-391)], che pure non era ostile ai cristiani, aveva già riprovato il lusso e l’ambizione dei vescovi romani in un passo riguardante la cruenta lotta tra Damaso e Ursicino(1) per il seggio vescovile di Roma. «Se considero lo sfarzo delle cose cittadine, riconosco che quegli uomini, per desiderio di raggiungere il loro scopo, devono essersi combattuti l’un l’altro con violenza partigiana; infatti se avessero ottenuto il loro scopo, sarebbero stati sicuri di arricchirsi coi regali delle matrone, di viaggiare in carrozza, di vestirsi con sfarzo e di tenere banchetti più sontuosi di quelli dei principi. E invece essi potrebbero essere detti beati se disprezzassero il lusso cittadino, con cui mascherano i loro vizi, e se imitassero i modi di vita di certi preti di campagna. Poiché per la moderazione nel cibo e nel bere, per la modestia degli abiti e per l’umiltà dello sguardo essi sono onorati dai veri credenti del Dio eterno come uomini puri e venerandi».
Ed Ammiano scriveva queste cose quando ancora non erano operanti i decreti di Teodosio, quando cioè la Chiesa aveva altre religioni con cui confrontarsi. Quando divenne unica religione, gli eccessi, gli abusi, le vergogne divennero metodo e consuetudine.
Ci sono poi i racconti di San Gregorio, segretario di Damaso, che parlano di vizi di ogni genere attecchiti nelle numerose categorie di preti e dell’olimpico scavalcamento della regola monastica della castità sostituita da una vergognosa lascivia di ambedue i sessi. Preti che si accoppiano con minorenni dimoranti nelle loro case con l’invenzione dell’agapete, le vergini che si mettevano al servizio di questi satiri gaudenti per spirito di carità. Ed i potenti aristocratici convertiti, che si facevano accompagnare a messa in lettiga preceduti e seguiti da stuoli di schiavi ed eunuchi, distribuendo elemosine per poter acquisire meriti. Boria, lussuria e crimine erano semplicemente passati dai pagani ai cristiani, il battesimo era una misera ed inutile cerimonia che serviva anche a mostrare sfarzo.
Mano a mano che la Chiesa aumentava la sua influenza ed i suoi privilegi, la nobiltà si interessò ad essa ed iniziò ad intravedere la carriera ecclesiastica come una uscita vantaggiosa. Tanto più per chi disponeva del prestigio di una famiglia importante e del denaro della medesima, la carriera era un modo di dire perché in realtà le strade erano apertissime in tempi brevissimi. Il primo Papa candidato dai nobili fu Siricio (384-399), sul finire del IV secolo. E con Siricio la Chiesa iniziò a fare leggi (il Decretale del 385) nella stessa forma in cui erano fatte nell’Impero. Dopo Siricio furono direttamente le famiglie nobili a eleggere propri rampolli. Intanto nel V secolo Papa Leone I, detto Magno (440-461), alzò la soglia per essere ammessi alle cariche ecclesiastiche. Nel 443 criticò aspramente l’ammissione di chierici senza raccomandazioni:
una discendenza adeguata, gente che non avrebbe ottenuto la libertà dai suoi padroni, viene innalzata all’alto rango sacerdotale, quasi che la volgarità di un servo fosse degna di tale onore. Si nutre l’opinione che possa piacere a Dio chi non è stato capace di piacere al suo signore e padrone [Leo, ep., 4]
Si compiva così uno degli insegnamenti di Gesù: e gli ultimi saranno i primi. Ed iniziato l’andazzo con questo Papa, naturalmente Santo, esso continuò subito con Papa Gelasio I (492-496) che vietò agli schiavi ed addirittura ai dipendenti di diventare chierici. Deschner [2] cita le parole di uno studioso di fine Ottocento, Otto Seeck, come rappresentative di cosa era accaduto nella Chiesa:
«Finché fu limitata al popolino, fu democratica e socialisteggiante; a mano a mano che penetrò nei ceti superiori le sue forme istituzionali si trasformarono completamente, riproducendo l’organizzazione statuale del tempo, vale a dire un dispotismo sfrenato, con tutta la sua gerarchia burocratizzata. Questa trasformazione si attuò gradualmente, senza salti improvvisi, tanto da essere impercettibile da parte dei contemporanei. Ciò che si era imposto per motivazioni di ordine pratico, diventò prima usanza ecclesiastica, poi legge spirituale, e ben presto nessuno ricordò più che una volta le cose andavano diversamente. Era quindi assolutamente interno alla mentalità del cristiano nutrire il convincimento che Cristo e i suoi Apostoli avevano fondato la loro Chiesa esattamente come ciascuno la vedeva nel proprio tempo; infatti, nessun mutamento venne introdotto con uno scopo ben preciso, ma tutte le modifiche si erano costituite da sole sotto la spinta delle circostanze. Così anche le forme della costituzione ecclesiastica poterono diventare verità di fede intoccabili ed eterne come l’insegnamento di Cristo. Nessuno sapeva che ciò era in contraddizione con la realtà storica, e se per caso qualcuno lo sospettava, allora si provvedeva mediante falsificazioni innocenti, spesso senza una precisa coscienza dei fatti».
Tutto ciò mentre andava avanti una continua imitazione in tutto ciò che era stato costume dell’Impero e della corte imperiale, compreso il titolo di Pontifex Maximus per il vescovo di Roma (che beffardamente ci ritroviamo ancora oggi) ed i paramenti dei sacerdoti pagani compresa la Stola. Forse con una differenza: mentre il lusso nell’Impero era giustificato dalle ricchezze che affluivano a Roma da molte parti di un Impero generalmente florido, dal III secolo la miseria e la fame erano diventate dominanti. Durante i primi tempi in cui vi fu convivenza con l’Impero cadente, la Chiesa ebbe vari scontri con i regnanti ma MAI su questioni di fede, solo su questioni di potere.
A ciò si deve aggiungere la grande delusione che rappresentò il Cristianesimo per il popolo degli oppressi, soprattutto schiavi. Una delle più belle illusioni che il Cristianesimo portava con sé nei tempi eroici era destinata a morire non appena la Chiesa assurse al potere. Non era vero che tutti gli uomini erano uguali ma, a causa del peccato originale, era inevitabile la schiavitù (quale cosa non sarebbe capace di giustificare una religione ben strutturata?). In questo senso si espressero molti padri della Chiesa tra cui Agostino d’Ippona (354-430). Già nel 324 il Concilio di Granges aveva intimato: “Se qualcuno, sotto il pretesto di pietà, incita lo schiavo a disprezzare il suo padrone, a sottrarsi alla schiavitù, a non servire con buona volontà e rispetto, anatema sia su di lui“. E quasi tutti gli ecclesiastici a titolo individuale, e la Chiesa in quanto istituzione, disponevano di ingenti quantità di schiavi. E se qualche ecclesiastico avesse avuto la malaugurata idea di affrancare i suoi schiavi, egli avrebbe dovuto risarcire la Chiesa della quantità corrispondente in denaro. Infine, nella grandissima maggioranza dei casi, lo schiavo non era ammesso al sacerdozio.
A margine di questa corruzione iniziavano le prediche dei Padri della Chiesa come Girolamo ed Agostino. E mentre Girolamo, dal suo rifugio di Betlemme, piangeva accorato per il saccheggio di Roma, paragonando l’evento ai tristi destini biblici di Ninive e Sodoma, l’indegno Imperatore Onorio, da Ravenna, paragonava il disastro alla perdita di uno dei suoi galli preferiti che aveva chiamato Roma. Agostino l’africano era invece indifferente al saccheggio perché Roma, la sua storia, la sua cultura erano solo opera del demonio. Diceva Agostino che la caduta di Roma era la caduta della Babilonia del paganesimo, ed anche qui, richiamando Sodoma, affermava che Alarico era solo un ammonimento perché Roma non era stata rasa al suolo. Era morente il nostro saggio pensatore quando, nel 430, cioè 20 anni dopo, i Vandali assediarono la sua cara città, Ippona … Anche Agostino era diventato cittadino della città dell’uomo, Roma, in palese contraddizione con la città di Dio che in altre epoche aveva auspicato.
Dal punto di vista dottrinale questo periodo vide in Occidente la lotta della Chiesa contro due nuove eresie, la dottrina di Origene ed il Pelagianesimo.
CONTRO ORIGENE E CONTRO PELAGIO
Origene (circa 185 – 253) fu colui che mise in piedi il primo sistema filosofico cristiano, sistema accolto inizialmente con entusiasmo da tutti i pensatori cristiani e poi condannato come eterodosso. Origene non si discostava molto dagli gnostici pagani in alcune delle cose che sosteneva. Egli iniziava a riconoscere agli Apostoli l’aver tramandato con grande chiarezza tutto ciò che c’era da sapere nella forma più semplice, tale da poter essere compresa anche dagli spiriti più lenti. Ma nei loro insegnamenti vi era anche da cogliere alcune ragioni profonde e tale scopo era stato riservato agli spiriti superiori, dotati di facoltà superiori, di saggezza, di capacità di parola e di scienza. Siamo quindi di fronte ad un cristianesimo fondamentale per i più semplici ed uno accessorio per gli spiriti più elevati che hanno anche il compito di spiegare il primo ed interpretare il secondo, andando a ricercare i significati reconditi delle Scritture che hanno sempre un significato letterale ed uno allegorico, utilizzando la ragione nel senso degli gnostici(2). Il significato letterale ci fornisce la fede che diventa conoscenza nel passaggio al significato allegorico. E’ quindi evidente il primato della conoscenza che racchiude in sé la fede. Ma le Scritture sono il livello minimo di conoscenza risultando una semplice introduzione ad essa. Al di sopra del Vangelo che ci è stato fornito materialmente vi è un Vangelo eterno che solo a pochi iniziati è dato conoscere. Riguardo alla natura di Dio è da rigettare ogni antropomorfismo ed ogni sentimento terreno riferibile a Dio, così come rappresentato nel Vecchio Testamento. La formazione del mondo sensibile è molto vicina a come la pensavano gli gnostici. Il mondo intellegibile era pieno di sostanze intellettuali o intelligenze incorporee che, essendo create, sono soggette a mutamento e dotate di libero arbitrio. La loro caduta è dovuta alla pigrizia che queste intelligenze hanno mostrato di fronte agli sforzi necessari per praticare il bene che dipendeva esclusivamente dallo loro libera volontà. Quindi la caduta è conseguenza di un libero atto di ribellione a Dio delle intelligenze incorporee (questa cosa era esclusa dagli gnostici che negavano la libertà delle intelligenze). L’unico ad opporsi alla ribellione fu Gesù. La punizione dei ribelli fu l’acquisizione di un’anima rivestita di un corpo, fatto che rappresenta un secondo grado della caduta. Queste anime rivestite da corpi rendono conto della varietà del mondo sensibile perché il corpo è più o meno luminoso o tenebroso a seconda della gravità della ribellione. Vi sono così delle anime che costituiscono le intelligenze eteree, altre gli angeli, altre ancora si rivestono dei corpi umani, le ultime diventano invece diavoli. Il mondo visibile è quindi la caduta e la degenerazione del mondo intellegibile. E’ il Logos che regola il mondo, lo dirige, lo regola e proprio per questo è distinto da Dio risultandone subordinato. Esso è la forza che è in grado di permettere la divinizzazione del mondo penetrando nell’uomo ed operando per ricondurlo alla perfezione originaria. E’ il Logos quindi che permette l’incarnazione ed in particolare è il Logos che rende l’anima ed il corpo di Gesù una unità assoluta, anche se poi la funzione di Gesù sembra non essere più importante allo stesso modo del suo sacrificio e della sua resurrezione. In ogni caso ogni spirito tenderà alla redenzione e quindi a tornare a Dio perché ogni male prevede una punizione che pian piano convincerà gli spiriti alla suddetta redenzione. Ciò comporterà la scomparsa della materia e quindi del male.
Questi sono i tratti essenziali della formulazione dottrinale del cristianesimo fatta da Origene(3) di ispirazione chiaramente idealista e fondata in gran parte sul platonismo e lo stoicismo innestati al cristianesimo ma con la novità della libertà dell’azione dell’uomo e quindi della sua redenzione non in modo passivo come prevedevano le altre interpretazioni di differenti pensatori cristiani.
Nella polemica trinitaria che scoppiò a Nicea (325) gli ariani tentarono di richiamarsi alle tesi di Origene per difendere la loro fede. Era stato Origene, infatti, a sostenere che il Figlio o Logos era della stessa sostanza ed eterno come il Padre, pur essendo una persona diversa. Ma Gesù era anche considerato solo un attributo del pensiero o della volontà del Padre. In modo più netto lo Spirito Santo era una figura di minore importanza nella Trinità. Siamo quindi nel subordinazionismo che il Concilio condannò drasticamente.
Alla fine del IV secolo ed agli inizi del V, si scatenò, partendo dall’Oriente, una polemica contro Origene. Si ruppero amicizie, vi furono voltafaccia clamorosi (come quello di Girolamo che da ammiratore di Origene passò ad essere un antiorigenista), vi fu anche lo schierarsi contro Origene del criminale vescovo di Alessandria, il Teofilo che aprì la strada all’assassinio di Ipazia consumato nel 414 dalle feroci bande del nipote Cirillo, per il suo odio particolare contro il Patriarca di Costantinopoli, Crisostomo, che dava asilo agli origenisti, … Peggior mostra di sé la fornì Girolamo che utilizzò linguaggi da trivio contro l’origenista Rufino . Finché l’intera polemica non passò a Roma con l’aristocrazia che si divise sui due fronti e con il Papa Anastasio (399-402) che si schierò con Origene che mantenne per molto tempo un grande prestigio.
Una polemica quasi interamente occidentale fu quella contro il monaco britannico Pelagio (circa 360-427) che predicò contro l’ascetismo esagerato di Girolamo e contro il fatalismo del manicheismo (già condannato come eresia a Nicea)(4). Tra l’altro l’eresia manichea predicava il dominio dei desideri carnali per poter purificarsi e salvarsi. Inoltre, i più ascetici, i Perfetti (distinti dai semplici Uditori), non potevano avere alcuna proprietà, mangiare carne o bere vino, avere rapporti sessuali, svolgere qualsiasi attività lavorativa, praticare la magia o altre religioni. Secondo Pelagio, che rielaborava e riproponeva vecchie dottrine, gli uomini non erano predestinati ma potevano, invece, solamente con la propria volontà, cioè con il libero arbitrio, e per mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna. Ciò significa che non era necessario l’intervento della Grazia divina. Anche il peccato originale non si era esteso all’intera umanità ma era restato al solo Adamo e ciò voleva solo dire che il Battesimo non era necessario per la salvezza ma un rito utile per poter entrare nella comunità ecclesiastica.
Contro queste posizioni si batté energicamente Agostino, da bravo antico fornicatore e manicheo. questi, dopo la conversione, divenne un feroce avversario del sesso e da questa sua posizione partiva per affermare l’esistenza per tutti del peccato originale, peccato che entra nel feto quando esso è concepito mediante l’atto sessuale. E, naturalmente, anche quel libero arbitrio vedeva l’opposizione, non solo di Agostino ma, dell’intera Chiesa che non a caso aveva un apparato gerarchico che a qualcosa doveva servire e, in particolare, ad accompagnare l’uomo alla salvezza. Ed Agostino aveva ascendente su Papa Innocenzo (402-417) tanto che costui condannò il pelagianesimo minacciando di scomunica chi avesse sostenuto tali tesi. Ma dopo Innocenzo venne Papa Zosimo (417-418) che invece accettò il pelagianesimo. Intervenne allora Onorio che nel 418 cacciò Pelagio da Roma condannando le loro tesi come superstizione. A questo decreto di Onorio si allineò anche Zosimo mostrando a che livello di interrelazioni andava la religione con il potere politico fino al punto che Onorio cacciò tutti i vescovi che non avessero aderito alle sue decisioni. Tutti i cacciati da Occidente trovarono asilo in Oriente dove però furono cacciati (430) da Teodosio II che intanto era diventato Imperatore d’Oriente. Sembra che Pelagio dalla Palestina dove si era rifugiato andò a morire in Egitto.
Nonostante queste dispute dottrinali il Cristianesimo non era entrato ancora a Roma. Lo storico Ammiano Marcellino, nell’Expositio totius mundi del 359, ce la descrive come una città completamente pagana. Il senato poi, ancora nel 384, risultava in maggioranza pagano. Secondo vari storici l’aristocrazia di Roma iniziò la conversione tra il 394 ed il Sacco di Roma del 410.
Intanto poco a poco l’Impero d’Occidente veniva smembrato ed assegnato a popolazioni barbare con la creazione, intorno alla metà del V secolo, di 4 regni romano-barbarici: quello gotico e burgundico in Europa del Nord, quello vandalico in Africa e quello svevo in Spagna (con la Britannia ormai perduta). Nel frattempo, alla frontiera danubiana premevano gli Unni che dal 444 iniziarono ad essere guidati da Attila.
L’IMPERO D’ORIENTE DOPO TEODOSIO
In Oriente anche l’Imperatore Arcadio aveva un tutore nella persona del Prefetto del pretorio, il cristiano origenista Rufino. Anche qui intrighi vari che portarono all’assassinio, sembra organizzato da Stilicone che voleva controllare tutto l’Impero, del medesimo Rufino nel 395 (Stilicone fu ucciso proprio per essere stato accusato della morte di Rufino). A Rufino successe l’altro cristiano, eunuco ed altrettanto ambizioso Eutropio che iniziò una intensa attività per acquisire il massimo potere alla corte di Arcadio, anche attraverso la sua fattiva intercessione per il matrimonio di Arcadio con la bella Eudossia. Nel 397 si fece nominare capo dell’esercito che guidò alla vittoria contro gli Unni di origine mongola. Ciò gli dette il prestigio necessario per far nominare Giovanni Crisostomo come patriarca di Costantinopoli e se stesso come console e patrizio. Anche qui comunque intrighi successivi portarono prima (399) all’esilio a Cipro, quindi a morte Eutropio, nonostante la difesa di Crisostomo che lo aveva rifugiato nella sua chiesa Hagia Sofia, dimenticando che era stato proprio Eutropio a far abrogare la legge che assegnava alle chiese il diritto d’asilo. Eudossia fece quindi deporre Crisostomo nel 404 e lei stessa morì nel 405 con Arcadio che proseguì regnando sotto il suo nuovo tutore, il Prefetto Antemio, fino alla sua morte nel 408. A questa data l’Impero d’Oriente passò a Teodosio II, figlio di Arcadio ed Eudossia. Teodosio II aveva 7 anni quando salì al trono e fu quindi affidato alle cure di Antemio che in pratica regnò con la collaborazione di un pensatore pagano di nome Troilo.
In questa metà dell’Impero non vi furono le invasioni che funestavano l’Occidente ma vi furono dispute teologiche molto accese tra due sedi episcopali, quella di Alessandria e quella di Antiochia che faceva tutt’uno con quella di Costantinopoli. Ho già accennato al criminale Teofilo al quale era affidata la Chiesa di Alessandria. Alla morte di tale personaggio (412), con nepotismo letterale, successe il nipote Cirillo che non ebbe nulla da invidiare allo zio (e per questo fatto santo). Cirillo, un violento capobanda, fu parte importante nella difesa dell’ortodossia contro le eresie, in questo caso contro quella del vescovo Nestorio (381-451), senza però disdegnare la lotta contro le tesi dell’antipapaNovaziano (circa 220-258), una criminale persecuzione contro gli ebrei dei quali fece distruggere le sinagoghe e l’insediamento ad Alessandria espellendoli dalla città ed una sorda lotta contro il governatore civile della città, il cristiano Oreste, che aveva la colpa di essere stato estimatore della scuola-biblioteca di Alessandria e di Ipazia (in questo Cirillo era sostenuto dalla sorella maggiore di Teodosio II, per questo fatta santa). In occasione della cacciata degli ebrei da Alessandria, Oreste intervenne presso Teodosio II per evitare questo scempio. A ciò Cirillo reagì portando in città 500 monaci straccioni, una vera squadraccia, che attaccarono Oreste per strada, con un tal Ammonio che colpì il governatore alla testa con una pietra. Oreste si salvò anche se la scorta fuggì. Successivamente fece catturare Ammonio ed uccidere pubblicamente provocando, l’ira del sodale Cirillo che scrisse a Teodosio II falsificando i fatti. Teodosio dette credito ad Oreste e Cirillo fece dimenticare l’episodio che avrebbe dovuto dargli al morte. Insomma, di episodi come questo ve ne sono molti e non spetta a me raccontarli. Debbo solo sottolineare cosa comportò la Chiesa al potere: una violenza, un odio, una barbarie che superarono in qualità e di gran lunga in quantità le persecuzioni contro i cristiani.
Ma vediamo quali erano le tesi di Novaziano e di Nestorio.
Novaziano, da persona colta qual era, entrò nella disputa cristologica molto comune all’epoca sostenendo delle tesi che inizialmente parvero scismatiche, visto che Novaziano fu un antipapa, ma che successivamente risultarono eretiche. Intanto Novaziano, che operava prima del riconoscimento del Cristianesimo da parte di Costantino, sosteneva che coloro i quali, per evitare le persecuzioni, avevano negato di essere cristiani, non dovessero essere perdonati. Non vi era perdono possibile per questi e per coloro che avessero dei peccati mortali, neppure la penitenza poteva salvarli (un qualcosa di simile al montanismo). Dal punto di vista dottrinale era la concezione del Figlio che, dopo il Concilio di Nicea, risultò non accettabile perché postulava una specie di subordinazionismo del Figlio rispetto al Padre. Da ultimo va ricordata la sua posizione di totale condanna dell’idolatria che probabilmente gli fu fatale. I novazianisti si definirono i puri ed una qualche assonanza con loro la ebbero i catari del Sud della Francia tra XII e XIV secolo. Nonostante che i novazianisti approvassero le tesi vincenti a Nicea, furono sempre perseguitati a d iniziare da Costantino fino al VII secolo quando si persero le loro tracce.
Nestorio fu invece coinvolto in violente lotte di potere, che avevano al centro la priorità del patriarcato di Costantinopoli (che comprendeva Antiochia) discusso dal criminale vescovo di Alessandria, Cirillo (che era stato allievo di Nestorio), dissimulate da diversità dottrinarie. La predicazione di Nestorio riguardava una dottrina che era perfettamente in linea con la Chiesa ortodossa ma che fu artatamente travisata e riportata in modo distorto da Cirillo ed i suoi seguaci per attaccare la sede di Costantinopoli alla quale Teodosio II aveva elevato Nestorio al patriarcato (428), un Nestorio in lotta perenne e violenta contro le eresie (meno quella di Pelagio) e contro gli ebrei. Anche qui vi fu somma cura a far sparire i documenti e, solo nel XX secolo, è stato scoperto uno scritto di Nestorio, il Liber Heraclidis, che fa chiarezza sulle sue posizioni. Quali erano dunque le eresie che venivano attribuite a Nestorio ? Secondo ciò che Cirillo denunciò a Papa Celestino I, Nestorio avrebbe sostenuto che il Figlio avrebbe avuto due nature, una umana ed una divina (difisismo). E fin qui non vi erano problemi di sorta. Il fatto è che, secondo i calunniatori, Nestorio avrebbe pensato che alle due nature di Gesù corrispondessero anche due persone. Conseguenza di ciò, la vergine Maria non doveva essere chiamata Madre di Dio (non si possono assegnare ad un Dio le categorie di nascita e morte) ma Madre di Cristo, in quanto madre della natura umana di Gesù. Lo scontro si aprì subito fino ad arrivare al Concilio di Efeso del 431 in cui questa pretesa dottrina di Nestorio fu condannata. Cirillo si era presentato al Concilio con un’orda di monaci straccioni, analfabeti, credenti ma combattenti, strumento del potere politico dei vescovi da un centinaio di anni. Con queste squadracce pronte ad ogni violenza, Alessandria aveva vinto su Costantinopoli-Antiochia e, per sommo piacere di Cirillo, Nestorio fu esiliato. Lo sciocco Papa Celestino ebbe a dire che in quel sinodo vi era una grande schiera di santi che davano conto della presenza dello Spirito Santo. Ma le cose non terminano qui. Nel 444, alla morte di Cirillo, il vescovato di Alessandria passò a Dioscoro che, ancora, ebbe da attaccare il patriarca di Costantinopoli Flaviano perché, in un sinodo da lui presieduto, era stata dichiarata eretica l’affermazione che Gesù avesse la sola natura divina (monofisismo)(5). Dioscoro di Alessandria sosteneva che questa sola natura divina di Gesù era nel vero in quanto condanna della natura doppia (con la conseguenza delle due persone) sostenuta da Nestorio. In un primo tempo, in un sinodo ad Efeso del 449, vinse Dioscoro con la conseguenza che Flaviano fu esiliato da Costantinopoli (è utile ricordare che come di costume i Papi, in questo e nel seguente caso Leone Magno, non partecipavano ai Concili ed inviavano delegati). In questo Concilio Dioscoro assunse un ruolo da vero delinquente non dando la parola agli avversari, facendo votare solo i favorevoli alle sue tesi e non leggendo le lettere del Papa che condannava il monofisismo. Per buon peso, appena vinsero le tesi di Dioscoro, furono aperte le porte del Concilio ed entrarono le solite squadracce cristiane di Alessandria che picchiarono tanto violentemente Flaviano che morì mentre veniva portato nel luogo destinato all’esilio. Papa Leone definì questo non un Concilio ma il brigantaggio di Efeso. Ma la questione, per quanto accennato, aveva creato molti problemi e molte insoddisfazioni nei non presenti e non votanti tanto che, appena dopo la morte di Teodosio II nel 450, venne convocato, da Pulcheria e Marciano(6), il IV Concilio ecumenico di Calcedonia del 451 che avrebbe dovuto dirimere la questione. Qui il monofisismo fu definitivamente condannato con la conseguenza dell’esilio di Dioscoro da Alessandria. Ma le squadracce di Cirillo erano sempre attive e passate a Dioscoro. Appena il vescovo Proterio, portatore della nuova dottrina di Calcedonia sul monofisismo, prese possesso della sua sede in Alessandria, fu ucciso dalle squadracce di Dioscoro (457). Scrive Mazzarino che il grosso problema dello stato bizantino fu sempre, d’allora in poi, quello della riconquista spirituale dell’Egitto e della Siria. Da questo momento iniziò a formarsi la Chiesa egiziana Copta, staccata da Bisanzio e la Chiesa d’Etiopia. Azioni repressive di nuovi imperatori (Giustino e Giustiniano) provocarono il distacco della Chiesa di Siria, Persia ed Armenia. Tutte chiese monofisite.
Credo che queste povere note facciano capire che era in atto un porgressivo distacco tra la Chiesa d’Oriente e d’Occidente.
RITORNIAMO IN OCCIDENTE
Quasi 50 anni dopo il sacco di Roma da parte di Alarico, con Valentiniano III Imperatore e Leone I (Magno) Papa, altri barbari premevano ai confini, gli Unni di Attila. Nel 452 Attila era ad Aquileia e sembrava non vi fossero ostacoli alla conquista di Roma. Vi sono racconti che parlano del flagello di Dio che aveva paura di avanzare per paura superstiziosa poiché Alarico era morto improvvisamente dopo il Sacco di Roma. Valentiniano è incapace di ogni azione ed addirittura non nomina il valente Ezio come condottiero dell’esercito per paura che la sua fama lo offuschi. Anche ora si intavoleranno delle trattative che avranno luogo a Peschiera, vicino Mantova. La delegazione di Roma era composta anche da Leone Magno che sembra sia stato il più attivo negoziatore (quel Leone che, mentre predicava il perdono e l’amore per il nemico, perseguitava con ferocia tutti coloro che riteneva eretici, tra cui gli ebrei, diffamando in modo particolare le donne). Non si sa cosa si siano detti. Sembra che il motivo dirompente sia stata l’offerta da parte di Leone Magno di enormi quantità d’oro sottratto dal tesoro della Chiesa. Sta di fatto che Attila rinunciò ad avanzare e si ritirò(7). Ma anch’egli morì l’anno successivo ubriaco e stremato nel letto di nozze. Scongiurata questa minaccia, Roma si vide invasa dalla corte di Valentiniano III che prima risiedeva altrove (Aquitania). Un vero Imperatore miserabile, incapace, lussurioso che creò problemi gravi all’intera città perché indirettamente favorì l’invasione dei feroci vandali di Genserico(8) che, si faccia attenzione, erano degli eretici ariani (quasi la totalità dei barbari si convertì al credo niceno intorno alla fine del VI secolo. Resistette invece l’Italia dove i Longobardi si convertirono sotto Papa Gregorio Magno ad opera del Re Agilulfo e della moglie Teodelinda). L’Imperatore era Massimo che come tutti gli altri era incapace di qualsiasi azione e che addirittura ostacolò il tentativo popolare di tassarsi per mettere su un esercito contro il terrore imminente di un invasione di Vandali. Ancora una volta fu Papa Leone Magno ad andare a trattare con Genserico che aveva attraccato la sua flotta alle foci del Tevere. Con costui non bastò l’offerta di oro perché desistesse. Leone ottenne solo che nel saccheggio di Roma del 455, non si desse alle fiamme la città, non si uccidessero civili e fossero risparmiate le basiliche di San Pietro, San Paolo e del Laterano. Per 15 giorni la città fu a completa disposizione di Vandali che la spogliarono di ogni bene. Statue, ori, vasellame, arredi, di ogni palazzo, ad iniziare da quello imperiale, di ogni tempio pagano, includendo le cose preziose che Tito aveva portato dal saccheggio del Tempio di Gerusalemme, ogni cosa fu trafugata e caricata sulle navi ormeggiate alle rive del Tevere. Anche migliaia di romani furono fatti schiavi e portati in Africa e, con loro, l’imperatrice Eudossia, che aveva incitato i Vandali ad invadere Roma, e le sue due figlie, Eudocia e Placidia. Gran parte del bottino andò perso nel naufragio che si ebbe sulla via del ritorno. Ma l’oro del Papa era ancora abbondante e, andati via i Vandali, Leone lo usò e non per alleviare i danni ed i lutti della popolazione ma per ricostruire chiese, ripristinare arredi ed ogni cosa fosse andata distrutta nelle chiese medesime. Su quest’opera di ricostruzione e ripristino degli splendori precedenti lavorò anche il successore di Leone Magno, Ilario (461-468) un Papa che non si occupò mai di religione, e, come denuncia Gregorovius, Mentre Roma precipitava nella miseria e moriva, le chiese si coprivano di pietre preziose e le basiliche traboccavano di tesori favolosi, davanti agli occhi di un popolo che si era dissanguato nel tentativo di armare un esercito e una flotta contro i Vandali. Nel Liber Pontificalis, un elenco dei vari pontefici e delle loro opere principali che si iniziò ad elaborare nel V secolo, si può leggere un elenco infinito di oggetti preziosi, d’oro e d’argento, con cui egli arredò chiese e sacrestie. Già a quel tempo quindi la Chiesa era ricchissima ed in essa affluivano montagne di beni da parte delle corti cristiane e da parte di innumerevoli donazioni di chi sperava di conquistarsi un posto vicino a Gesù. A tali beni c’era da aggiungere un immenso patrimonio immobiliare e terriero che forniva gigantesche rendite.
A Papa Ilario seguì Papa Simplicio (468-483), regnante quando nel 474 si firmò la pace con i Vandali. A partire dal 465 l’Occidente non aveva più un Imperatore. Vi erano state delle nomine di uomini di paglia da parte dell’Imperatore d’Oriente Leone I, morto il quale nel 474 iniziò una guerra di successione ad Oriente che interessò anche l’Occidente. Zenone, assurto (poi deposto, poi di nuovo tornato al potere nel 476) con complotti vari al ruolo di Imperatore d’Oriente, firmò nel 474 una pace con i Vandali quando costoro avevano conquistato il Nord dell’Africa insieme a tutte le grandi isole del Mediterraneo: Sicilia, Sardegna, Corsica e Baleari. Naturalmente Papa Simplicio si schierò con Zenone tessendone le lodi. La passione del Papa per Zenone nasceva dal fatto che quest’ultimo, per avere l’appoggio di Roma, visto che la Chiesa di Costantinopoli non gli era favorevole, si era detto ortodosso e contrario all’arianesimo che da quelle parti era in maggioranza. Intanto in Italia, dopo vari saccheggi successivi di Roma e devastazioni ovunque, veniva deposto da orde di barbari l’ultimo pupazzo dell’Impero, Romolo Augustolo. Alla testa dei barbari che erano sommatorie di Rugi, Eruli, Sciri e Turilingi, vi era Odoacre che si proclamò Re d’Italia il 23 agosto del 476. Zenone non approvò il titolo di Re ma riconobbe il fatto che Odoacre fosse un patricius romanorum, un protettore della città di Roma (sic!). La Chiesa, come sempre, accettò il fatto compiuto dei barbari padroni d’Italia anche se pericolosamente Odoacre era ariano. Paradossalmente era l’inizio dell’aumento spropositato del potere della Chiesa in Occidente che iniziò ad operare senza i vincoli dell’Impero d’Occidente ed assumendo in pratica la direzione politica di esso. Anche qui vi è una chiara visione della situazione di Gregorovius: Liberatosi dall’Imperatore d’Occidente, il papato cominciò la sua ascesa e la Chiesa di Roma crebbe potentemente sulle rovine, sostituendosi all’impero. Alla caduta di quest’ultimo, essa era già un organismo solido e imponente che la tragica sorte del mondo antico non poté neppure sfiorare; anzi, colmando subito la lacuna creata da quella scomparsa, la Chiesa gettò il ponte che avrebbe unito l’antichità al mondo nuovo. Riconoscendo il diritto di cittadinanza a quei tenaci Germani che avevano distrutto l’impero, la Chiesa romana si procurò gli elementi vitali che le permisero di ergersi a dominatrice finché, attraverso un lungo e memorabile processo, l’impero occidentale poté risorgere come impero romano-germanico.
L’ASCESA DEL PAPATO
Da questo punto, la storia dell’Impero d’Occidente inizia a diventare storia di Papi.
Fino alla morte di Simplicio, avvenuta nel 483, l’elezione del vescovo di Roma era avvenuta per elezione popolare del popolo dei fedeli, del popolo cioè di Roma, con ratifica di un funzionario dell’Impero. Poiché ora l’erede dell’Impero era Odoacre, fu lui a pretendere di ratificare le elezioni. Anzi chiese ed ottenne, in base ad un presunto decreto del defunto Simplicio, che la nomina papale sarebbe avvenuta tramite la consulenza di delegati regali. E fu con questo nuovo metodo che fu eletto vescovo di Roma Felice III (483-492), un nobile romano della famiglia degli Anici. Prima di accedere a così alta carica Felice era stato sposato ed aveva avuto un figlio, Gordiano, che a sua volta ebbe come figlio l’altro vescovo di Roma Agapito I e trisavolo dell’altro vescovo di Roma Gregorio I (una famiglia eccellente, come vedremo). Felice si occupò di ristabilire rapporti con la Chiesa d’Oriente, con la quale vi erano stati violenti litigi e scomuniche reciproche fino ad un vero e proprio scisma che durò dal 484 al 519, e per farlo chiese a Zenone chiarimenti sulla sua ambiguità (da un lato ortodosso e dall’altro in rapporti di potere con gli ariani ed i monofisiti). Zenone non solo fece finta di non capire ma incitò l’ariano Teodorico, Re degli Ostrogoti, ad invadere l’Italia e cacciare Odoacre responsabile dell’elezione di Felice. Nella guerra tra i due Re barbari vinse Teodorico (con l’inganno e con un feroce massacro di Odoacre e della famiglia da parte del medesimo Teodorico) che, nel 493, si proclamò Re d’Italia. A quella data Zenone e Felice erano morti e nuovo vescovo di Roma era diventato Gelasio I (492-496). A questo punto gli ariani erano praticamente padroni dell’Italia ma non praticarono le conversioni forzate tanto care ai cattolici e lasciarono completa libertà di culto ai romani. Teodorico per parte sua mantenne ottime relazioni con l’Impero d’Oriente ed in politica estera si legò ai Visigoti localizzati in Spagna, ai Merovingi ed ai Burgundi di Francia, ai Turingi che regnavano oltre il territorio dei Franchi, agli Eruli che dominavano le zone danubiane. Con queste popolazioni, tutte convertite al Cristianesimo, la Chiesa romana mantenne relazioni con un misto di dominio ed influenza ed anche con un adattarsi ai loro costumi e cultura (più arretrata di quella che l’Italia aveva ereditato dall’Impero). Con gli altri barbari (come Ostrogoti e Vandali) che avevano abbracciato l’arianesimo, la Chiesa di Roma non ebbe altra scelta che convivere sperando nel momento di sradicare la tremenda eresia. Intanto a Roma si continuava a morire di fame, con l’aggravarsi della situazione per il popolo a seguito delle ulteriori spogliazioni degli Ostrogoti di Teodorico. La questione toccava solo marginalmente la Chiesa, sempre risparmiata in cambio di losche contropartite. Sotto il regno di Gelasio I fu realizzato il Liber Censum, libro nel quale venivano elencate, tra le altre cose, le disponibilità di grano della Chiesa derivanti dalle sue proprietà terriere e dalle donazione di Teodorico. Il munifico Gelasio ordinò che di quella quantità di grano si facessero 4 parti delle quali una avrebbe continuato ad essere sua proprietà esclusiva per impiego in elemosine che alleviassero tanta miseria, un’altra parte era per il Clero, una terza parte sarebbe servita per la distribuzione ai poveri e l’ultima parte per costruire chiese. In questa suddivisione vi è una cosa chiara ed un imbroglio. Cosa doveva distribuire Gelasio se una parte era già destinata ai poveri ? Quella parte di grano rimaneva nelle sue disponibilità e basta. L’imbroglio è proprio quello che la suddivisione faceva sembrare che la metà del grano andasse ai poveri mentre ad essi andava solo una quarta parte. Comunque, anche qui, l’idea di costruire chiese sembra maniacale e stupida in un momento così drammatico. Ma Gelasio, oltre alla sua manifesta generosità con i poveri, è noto per aver rivendicato presso l’Imperatore d’Oriente, Anastasio I (interlocutore più potente che la corte di Teodorico), il primato del potere sella Chiesa su quello dello Stato, del potere spirituale su quello temporale. E’ un manifesto delle aspirazioni della Chiesa che illuminerà di sé l’intero Medioevo. Scriveva Gelasio(9):
«Due sono i poteri, augusto imperatore, che principalmente governano questo mondo: il potere sacro dei vescovi e quello temporale dei re. Di questi due poteri il ministero dei vescovi ha maggior peso, perché essi devono render conto al tribunale di Dio anche per i re dei mortali. […] Ti è pure noto che per partecipare ai divini misteri hai bisogno di adempiere ai precetti della religione, che a te non è lecito di stabilire, perché in tali cose dipendi dal giudizio dei ministri del santuario che non puoi piegare a compiere il volere tuo. […] Nelle cose temporali invece, riguardanti lo Stato, anche i preposti al culto di Dio prestano obbedienza alle tue leggi, perché sanno che per divino potere ti fu data la potestà imperiale affinché nelle cose temporali ogni resistenza venisse esclusa. […] E se conviene che tutti i fedeli si sottomettano ai vescovi, i quali rettamente dispensano le cose sacre, quanto maggiormente è necessario procedere con il capo di quella sede che Dio ha preposto a tutte le altre e dalla Chiesa universale [naturalmente Roma, ndr] fu sempre venerata con devozione filiale».
Dopo una breve parentesi del vescovo di Roma Anastasio II (496-498) che tentò di conciliarsi con la Chiesa d’Oriente, vi fu di nuovo una elezione con tumulti e scontri violenti in tutta la città. Risultò eletto Papa(10) Simmaco (498-514). In realtà i Papi eletti furono due, uno per ogni fazione in lotta. Una fazione, che non voleva essere conciliante con la Chiesa d’Oriente, elesse Simmaco mentre l’altra, che voleva superare lo scisma, elesse Lorenzo. Come risolvere il problema di due Papi eletti nello stesso giorno in due basiliche diverse ? Ci si rivolge a Teodorico in Ravenna. E Teodorico dice che il primo eletto è quello che ha diritto, conta poi anche il numero di coloro che hanno votato o per l’uno o per l’altro. Simmaco è allora l’eletto ma con il grave sospetto di aver corrotto l’intera corte di Teodorico. L’eletto convoca (499) un Concilio a cui partecipano 72 vescovi italiani. Il Concilio è aperto dalle parole di Simmaco che, spudoratamente, dice: “Vi ho chiamati per cercare un modo di sopprimere i maneggi dei vescovi, gli scandali ed i tumulti popolari, come quelli provocati durante la mia elezione“. Alla fine del concilietto si decise di non fare più campagna per un Papa o un altro quando ancora è in vita il predecessore ed a sua insaputa. Sarà eletto il Papa che avrà i voti di tutto il clero o almeno la maggioranza dei voti. Sarà il Papa regnante che designerà il successore. In queste poche parole vi sono due cambiamenti radicali ed una vergogna rispetto al passato: da una parte vengono esclusi i laici dall’elezione del capo della comunità dei cristiani e dall’altro sparisce l’unanimità dei voti del clero che era stata voluta in precedenza. La vergogna è quell’indicare il successore. Comunque queste norme rimasero lettera morta perché i laici entrarono ancora nelle elezioni dei Papi e la nomina del successore resterà un pio desiderio. Simmaco ed il clero in bell’ordine accolsero come un grande della storia, un novello Traiano, Teodorico che nel 500 visitò la città. Teodorico ricambiò on doni alla Chiesa, con restauri di chiese e monumenti. Sembrava che tutto andasse verso un’epoca di pace e benessere ma Simmaco fu denunciato a Teodorico ufficialmente per una questione di culto (aver celebrato la Pasqua in un giorno sbagliato) in realtà ed in segreto per avere rapporti immorali con varie donne ed aver sperperato i beni della Chiesa. Simmaco fu abbandonato dai suoi sostenitori e dovette rifugiarsi in San Pietro per evitare guai anche fisici. Intervenne Teodorico per processare chi sembrava colpevole, per sequestrare i beni della Chiesa e per richiamare Lorenzo, l’altro Papa, a Roma. A seguito di ciò iniziarono violenti scontri in tuta Roma, una vera guerra tra le due fazioni ancora in piedi, che durò ben 4 anni, fin quando si arrivò a sistemare il tutto con Simmaco che tornò Papa operante. Per farsi perdonare e per seguire sulla strada scellerata dei suoi predecessori, a fronte della miseria e fame dilaganti, spese soldi per costruire nuove chiese e rendere fastosi gli edifici del clero.
L’elezione del nuovo Papa, Ormisda (514-523), non creò problemi. Vi fu accettazione da parte di tutti. Poco dopo, in Oriente, era eletto Imperatore Giustino che, come uno dei suoi primi atti, convocò a Costantinopoli un Concilio con il fine di condannare il monofisismo e riuscire a riconciliare le due Chiese. Il proposito si attuò nel 519 con la firma di 2500 vescovi d’Oriente. Ad Ormisda successe Giovanni I (523-526) che si trovò di fronte problemi enormi causati da quanto era avvenuto tra Ormisda e Giustino. Quest’ultimo, per mostrare di essere più papista del Papa, aveva emanato un decreto in cui metteva fuori legge l’arianesimo, confiscava le chiese ariane per cederle ai cattolici, imponeva la conversione ai medesimi ariani ed altri li martirizzava (la Chiesa cattolica se ha uno spiraglio vi entra dentro con ogni infamità). Della cosa venne a conoscenza Teodorico che era ariano. Disse che quanto pativano i suoi correligionari in Oriente sarebbe stato pagato con la stessa moneta dai cattolici d’Occidente ed iniziò con il distruggere qualche chiesa. Proibì quindi ai romani l’uso delle armi ed iniziò a reprimere ogni suo collaboratore che avesse qualche rapporto con i cattolici (tra essi fu giustiziato anche Boezio, l’autore del De consolatione philosophiae). Infine costrinse Giovanni ad andare a Costantinopoli per convincere Giustino a ritirare il suo decreto. Giovanni partì (ed il fatto è in sé eccezionale perché si tratta del primo Papa in visita in Oriente) ma non ottenne tutto ciò che aveva chiesto Teodorico (in particolare il ritorno all’arianesimo di coloro che erano stati convertiti al Cristianesimo). Ritornata la delegazione in Italia fu fatta imprigionare da Teodorico e fu così che un Papa riuscì a morire in prigione. E fu Teodorico ad imporre il successivo Papa, Felice IV (526-530)(11).
Da questo punto parlare di Papi in senso religioso diventa addirittura ridicolo. Seguirà una cronaca criminale e basta. Felice IV fu certamente un Papa che lavorò per i beni materiali e gli interessi della Chiesa di Roma ma, altrettanto certamente, tralasciò le funzioni pastorali per dedicarsi indegnamente ai suoi piaceri. La morte di Teodorico rese debole il governo dei Goti che passò al figlio Atalarico che, essendo un giovanetto, necessitò della reggente Amalasunta. Quest’ultima anziché portare a termine i progetti di Teodorico, tra cui il passaggio delle chiese cattoliche agli ariani, emanò un editto con il quale la Chiesa poteva amministrare giustizia in questioni che fossero sorte tra laici e religiosi. Se un laico aveva qualche problema con un religioso doveva rivolgersi al Papa. Solo se quest’ultimo avesse respinto l’istanza, allora vi era la possibilità di rivolgersi al tribunale civile. Questa norma significava solo una cosa: il clero non rispondeva più davanti ai tribunali civili (credo si possa capire da dove derivi la cultura di qualche Presidente del Consiglio). Queste scelte crearono un solco sempre più grande tra le due fazioni esistenti a Roma, ora rappresentabili come o favorevoli a Roma medesima o a Bisanzio e, per paura di gravi disordini, prima di morire Giovanni si servì del decreto di Simmaco ed indicò davanti a qualificati testimoni e con un bando esposto in tutte le chiese la sua volontà di avere Bonifacio come suo successore. Alla morte di Giovanni i suoi desideri furono ignorati e fu eletto da una fazione maggioritaria Papa Dioscuro, mentre solo pochi elessero Papa Bonifacio II. Stando a quanto aveva decretato Teodorico in passato il titolo sarebbe spettato a Dioscuro ma nella votazione intervenne direttamente Dio che fece morire Dioscuro 22 giorni dopo la sua elezione, rattoppando un’altra contesa nel partito dell’amore. Bonifacio chiese ed ottenne il pentimento dei sostenitori di Dioscuro e si affrettò ad indicare il suo successore nel diacono Vigilio. Per questa sua presa di posizione il Senato mise Bonifacio sotto accusa. Dalle polemiche che seguirono venne fuori che Dioscuro aveva corrotto i suoi elettori e, conseguentemente, il Senato emanò una legge secondo cui era vietato corrompere o farsi corrompere per una qualsiasi elezione (sic !). A parte gli esiti che non vi furono, questa legge mostra come meglio non si può quanto fosse diffusa la pratica della simonia e della vendita delle cariche ecclesiastiche. Il passaggio al papa successivo, Giovanni II (533-535), richiese due mesi di trattativa. Gli avvenimenti avevano reso il Senato arbitro di molte situazioni ed in definitiva era l’Istituzione che doveva ratificare la nomina papale. Molti ecclesiastici capirono che era lì dove rivolgersi, oltre alla compera diretta dei voti da altri ecclesiastici, per ottenere i consensi necessari ad una ascesa verso il soglio pontificio. E, per la prima volta, dei beni della Chiesa erano sottratti dal clero (arredi sacri e d’altare) per pagare laici al fine di ottenere cariche dalla Chiesa. La legge del Senato restava comunque una denuncia che rendeva miserrima la considerazione negli ecclesiastici. Vi fu un momento di tregua dovuta alla vergogna o necessaria ad una migliore riorganizzazione della simonia e, dopo due mesi, si elesse un umile prete della chiesa romana di San Clemente che si chiamava Mercurio. Eleggere Papa un Mercurio sembrò eccessivo per cui venne chiesto al papa di cambiare il nome in Giovanni II. E da questo momento i Papi acquisirono la facoltà di cambiare nome.
Intanto in Italia moriva Atalarico ed Amalasunta, per non perdere il regno dei Goti, sposò l’odiato cugino Teodato. In Oriente invece arrivò al trono un imperatore bigotto, ortodosso, nemico della conoscenza e fedelissimo alla Chiesa di Roma, Giustiniano ed i Papi con tale Imperatore tornarono alle dipendenze dello Stato. Le vicende dell’epoca si possono riassumere così. Giustiniano aveva intrapreso campagne contro i Vandali ed aveva riconquistato l’Africa. I suoi possedimenti si estendevano ormai in vaste aree del Mediterraneo. Sua intenzione era quella di riprendere possesso dell’Impero d’Occidente. Aiutò i suoi piani Teodato che aveva assassinato sua moglie Amalasunta. Con la scusa di voler vendicare tale affronto, Giustiniano inviò una flotta in Sicilia per marciare su Roma agli ordini di Belisario. Teodato cercò aiuto nel Papa Agapito I (535-536), figlio di Papa Felice III della famiglia Anicia,che però, pur essendosi recato come ambasciatore a Costantinopoli dove morì, non riuscì a fare nulla. La notizia della morte di Agapito senza che si avessero notizie su cosa intendesse fare Giustiniano, indusse Teodato a nominare in fretta un nuovo Papa, Silverio I (536-537), figlio del Papa Osmida. Di fronte alla imminente disfatta Teodato fu destituito ed ucciso dal suo esercito. Fu eletto successore Vitige. Intanto Belisario avanzava mentre la Chiesa si esercitava in una ulteriore giravolta che la vedeva sostenere il futuro vincitore. Arrivato a Roma Belisario ne ordinò la ripulita, il riordino, il restauro, la fortificazione e, soprattutto, di rifornirla di alimenti di cui la popolazione era sprovvista. Dopo varie vicende di complotti e tradimenti, Silverio fu deposto per lasciar posto al candidato di Belisario, Vigilio che aveva pagato profumatamente il comandante di Giustiniano. Papa Vigilio (537-555) era molto vicino al monofisismo e per questo arrivò al soglio pontificio. Vigilio mantenne fede a ciò che si sapeva di lui, recandosi subito a Costantinopoli disposto ad accettare, anche se solo in parte, la teoria monofisista che era dell’Imperatrice Teodora. In tal modo tentò di mantenere almeno un poco dell’autorità della Chiesa rispetto all’Impero d’Oriente. Di fatto tutte le sue successive azioni furono di asservimento totale a Giustiniano ed alla Chiesa d’Oriente. A Roma, intanto, la popolazione era inferocita. La rabbia dei romani non era tanto conseguente ad una questione di fede particolare, della quale francamente non sapeva nulla e davvero non si interessava, quanto al fatto che ci si fosse inchinati alla volontà di un Impero estraneo al potere che ormai era altra cosa in Roma. La fortuna di Vigilio fu di morire a Siracusa, durante il viaggio di ritorno da Costantinopoli, perché a Roma avrebbe trovato una accoglienza non festosa.
Seguirono molti Papi che si mossero sui soliti problemi di: lotta all’eresia, costruzione di chiese e palazzi (in un certo senso dando lavoro alla città), ricerca di alleati utili alla Chiesa, tentativi di ricomporre le differenze con l’Oriente, lotta all’eresia, difesa del primato di Roma, antipapi, elezioni illegali di Papi, corruzione e simonia. Una sorta di ristabilimento momentaneo di moralità si ebbe con Gregorio I, detto Magno (540-604) della famiglia Anicia, e con i suoi successori. Ma Gregorio, l’inventore del Purgatorio, nel suo affanno di purificazione fece bruciare tutti i libri “pagani” includendo l’intera Biblioteca palatina. E, come tutti i Papi, fece molto di più perché ormai essere Papi significava essere padroni che possono disporre dei sudditi e degli schiavi. Ed infatti Gregorio aveva molti schiavi, in gran parte sardi, e chiedeva al rappresentante imperiale nell’isola che vigilasse perché gli fosse inviata la merce migliore. Schiavi cristiani oltre a quelli pagani ma guai se gli ebrei avessero avuto un solo schiavo cristiano, perché i malvagi avevano ammazzato Gesù ! Così scriveva nel 599 il “santo padre” a Gianuario, vescovo di Cagliari, su alcuni pagani presenti nell’isola: i pagani ed idolatri devono essere convertiti mediante un convincente ammonimento e se tuttavia Voi notate che non sono disposti a modificare la loro condotta, desideriamo che con grande zelo Voi li arrestiate. Se sono schiavi, domateli con botte e torture al fine di ottenerne il miglioramento; ma se sono liberi, devono essere indotti al pentimento con una dura carcerazione, adeguata alle circostanze, affinché coloro che disdegnano d’ascoltare le parole di redenzione, che li salvano dal pericolo della morte, in tutti i casi possano essere ricondotti alla sana fede augurata per mezzo dei tormenti fisici. Sugli schiavi e su come erano considerati da questo Papa, ritenuto saggio e santo, merita citare cosa dice Deschner [1] che dedica un intero capitolo a questo personaggio abietto.
Sappiamo dallo stesso Gregorio che molti vescovi non si prendevano cura né degli oppressi né dei poveri, specificamente quelli della Campania. Ma lui era davvero un padrone moderato? In occasione della nomina a rettore del defensor Romanus [il rappresentante dell’Impero, una sorta di Prefetto, ndr] così scrisse ai coloni di Siracusa: “Vi ordiniamo dunque di obbedire prontamente alle disposizioni ch’egli riterrà giuste per la salvaguardia degli interessi della Chiesa. Gli abbiamo conferito il potere di punire severamente chiunque oserà disobbedire o ribellarsi. Gli abbiamo inoltre ordinato di ricercare tutti gli schiavi fuggitivi appartenenti alla chiesa e di recuperare con cautela, prontezza e energia tutta la terra da qualcuno occupata illegalmente”.
Per la gestione dei suoi beni Gregorio aveva ovviamente bisogno di veri eserciti di schiavi e di coloni obbligati alla terra: “I contadini liberi legati alla chiesa erano rari” (Gontard). Va da sé che il papa non scosse l’istituzione schiavistica: da dove avrebbe dovuto prendere altrimenti il denaro pei poveri l’amministratore del patrimonio dei poveri? Per non parlare del mantenimento dei “posti di lavoro”, già allora la preoccupazione di tutti gli imprenditori. Gregorio ricorda certo – da sempre infatti la sua chiesa rende contemporaneamente giustizia ai ricchi e ai poveri, e questo è forse il suo più straordinario miracolo! – anche ai signori che gli schiavi sono uomini, loro eguali per natura; ma benché siano uguali, assolutamente uguali, le condizioni concrete sono pur sempre del tutto differenti. Ergo, secondo Gregorio era necessario esortare gli schiavi “ad osservare in ogni situazione la bassezza della loro condizione” e che “significa oltraggiare Dio rifiutare i Suoi ordinamenti con un comportamento superbo”. Il santo pontefice insegna che gli schiavi devono “considerarsi servitori dei padroni” e i padroni “conservi fra i servi”. Ben detto!
Non è una religione utile? “Per natura, insegna Gregorio, gli uomini sono tutti uguali”, ma una “misteriosa disposizione” relega “alcuni più in basso di altri”, crea la “diversità delle classi”, e precisamente “come conseguenza del peccato”. Prima conclusione: “Ora, dal momento che gli uomini non procedono nella vita alla medesima maniera, gli uni devono dominare sugli altri”. Seconda conclusione: Dio e la Chiesa – nella prassi per il clero sempre la stessa cosa – erano per il mantenimento della schiavitù. E dalla Britannia alla Gallia e all’Italia ai suoi tempi c’era un florido commercio cristiano degli schiavi.
La chiesa romana aveva bisogno di schiavi, i conventi avevano bisogno di schiavi (Gregorio stesso nel 595 sollecitò il rettore della Gallia Candido all’acquisto di fanciulli inglesi schiavi per i chiostri romani), tutti compravano, usavano e usuravano schiavi come il proprio bestiame. E anche a un nemico quale il re longobardo Agilulfo il papa poté assicurare che il lavoro di tali servi tornava ben utile a entrambe le parti! (Di nuovo un concetto straordinariamente moderno, direi globalizzante). Quando poi questi miserabili fuggivano dalla propria miseria, il che accadeva piuttosto sovente, il santo padre si dava naturalmente molto da fare per renderli ai loro padroni: perseguitò gli schiavi fuggiti da un convento di Roma con lo stesso zelo usato con un cuoco del fratello, che aveva tagliato la corda. Ma poiché il papa era anche magnanimo, non puniva le colpe dei “coloni” privandoli delle loro proprietà, ma facendoli picchiare di santa ragione; e agli amici regalava “normalmente degli schiavi” (Richards).
Gregorio, che andava predicando con insistenza l’imminente fine del mondo (insieme alle lotte per la fede, addirittura l’idea guida del suo pontificato), intanto concludeva ottimi affari. San Pietro diventò con lui sempre più ricco: elevò notevolmente i profitti del suo patrimonio, fondando definitivamente il dominio territoriale del papato, tanto gravido di conseguenze; rifornì Roma coi cereali dei suoi latifondi siciliani, pagò il soldo alle truppe imperiali delle partes Romanae, provvide alla difesa della città e in tempi di crisi ne comandò la guarnigione. Il “ministro con portafoglio dell’imperatore”, ”l’amministratore della cassa dei poveri”, come si definì egli stesso, il “console di Dio”, come lo decanta l’iscrizione funebre, diede in questo modo la spinta propulsiva alla formazione dello stato della chiesa, con conseguenze pressoché impensabili di faide, guerra e inganni.
E tutto questo, come ogni lettore può facilmente capire, per maggior gloria di Gesù e del messaggio evangelico.
Comunque, la supposta moralità di Gregorio discendeva dalla situazione economica, anche della Chiesa (ed è un tutto dire), che precipitava sotto le continue richieste di denaro da parte di ogni occupante. L’ultimo famelico fu Alboino con i suoi Longobardi che entrò in Italia nel 568 [era Papa Giovanni III (561-574)] senza alcuna resistenza perché l’Oriente aveva deciso di lasciare l’Italia al suo destino. Alboino avanzò quindi senza contrasti ed entrò a Pavia dopo 3 anni di assedio, assedio al quale costrinse anche Roma a partire dal 573. Nel frattempo la truppa di Alboino devastò e saccheggiò tutti i luoghi dove mise piede affamando ancora di più le popolazioni. A seguito di ciò, la Chiesa aggiunse ai suoi compiti anche quello di convertire i Longobardi, la cui opera fu iniziata da Papa Onorio I (625-638) il quale dovette far fronte anche ad una nuova eresia orientale, il monotelismo, teorizzato dal Patriarca Sergio di Costantinopoli, secondo la quale in Cristo, una volta incarnato, opera una sola volontà ipostatica che è divina in rapporto alla natura e volontà divina di Cristo ed umana rispetto alla natura e volontà umana di Cristo (con ciò volontà ed azione erano considerati come attributi non della persona ma della natura, in netto contrasto con il dogma della doppia natura di Gesù). Se ciò sembra poco si deve aggiungere una incredibile inclemenza meteorologica. Sotto Papa Pelagio II (579-590) il Tevere straripò (589) facendo crollare mezza città compresi templi e granai del Papa. Nel 590 una pestilenza flagellò Roma e dintorni decimando la popolazione. Le disgrazie non si accanirono solo su Roma, anche Veneto e Liguria furono devastate da piogge torrenziali che inondarono tutti i campi. Un cronista dell’epoca raccontava che mai, dal Diluvio Universale, si era vista cosa simile. Qualcuno richiamò alla memoria le prime profezie di Gesù sull’approssimarsi della fine del mondo.
Da quest’epoca fino alla metà dell’ VIII secolo, si alternarono molti Papi, alcuni dei quali per un tempo brevissimo ed altri per l’inutilità della loro presenza. Solo pochi ebbero ruoli di rilievo per l’invenzione di miracoli e per la risoluzione di problemi con l’Oriente e con i barbari occupanti. Questo periodo è caratterizzato dal verificarsi di alcuni fatti storici che ebbero notevole rilevanza sullo sviluppo del papato. Mentre Costantinopoli premeva sempre di più sulla Chiesa di Roma per toglierle il primato ed anche il potere temporale, la Chiesa non restava inerte e cercava di crearsi spazi di manovra ad Occidente, particolarmente verso il regno dei Franchi. La dinastia Merovingia era praticamente finita con l’ultimo discendente pensante di Clodoveo, Dagoberto II assassinato nel 679. Altri discendenti, quando non erano fanciulli, risultarono totalmente inetti e tarati mentali. Il trono finalmente passò, sotto forma di gerenza e con il sostegno della Chiesa francese, ad un rappresentante della famiglia Heristal, Pipino, un Maggiordomo di Palazzo (una sorta di Primo Ministro) facente parte di quella categoria di funzionari che assunsero sempre più un ruolo decisivo a fronte di un monarchia morente. Alla morte di Pipino gli successe il figlio Pipino II ed a questo Carlo Martello (il Martello è una derivazione da piccolo Marte, come era soprannominato) che impose la sua personalità e la sua competenza militare con una impresa rilevante, l’aver bloccato l’avanzata arabo musulmana, che già aveva conquistato con facilità l’Africa del Nord e l’intera penisola iberica dei cattolici Visigoti, a Poitiers nel 732 (come vedremo). La minaccia musulmana era la più grande che la Chiesa avesse mai avuto dai tempi di Costantino. La Chiesa, circondata da musulmani e Longobardi e con problemi continui con l’Impero d’Oriente, aveva bisogno di un esercito che operasse in suo nome a sua difesa ed a tale fine l’esercito dei Franchi sembrava essere quello con le caratteristiche richieste: il più forte sul campo e guidato da un Re condottiero cattolico ortodosso.
ANCORA IN ORIENTE
Mentre in Occidente i Papi si facevano interpreti della maggior gloria di Dio, in Oriente continuavano le lotte dottrinali sulla cristologia con l’illusione di riuscire, con argomenti, a mostrare la validità una tesi o un’altra. L’unità religiosa tra monofisiti egiziani e nestoriani siriaci (ma poi estesi a tutto l’Oriente) era del tutto vacillante ed i vari imperatori d’Oriente tentarono di puntellarla (si tenga conto che il monofisismo era la religione dell’Impero e chi si opponeva a questa entità poteva essere o monofisita o qualunque altra cosa se, al momento, il contrario era praticato dalla religione ufficiale). Il tentativo dell’Imperatore Zenone (474-491) di trovare una dottrina concordata tra Alessandria e Costantinopoli (ma in realtà monofisita) provocò lo scisma della Chiesa d’Oriente da Roma, scisma che fu fatto rientrare dall’Imperatore Giustino (518-527). Anche se la rottura tra Roma e la Chiesa d’Oriente divenne molto più profonda sulla via del riconoscimento del primato di Roma su Costantinopoli e quindi su tutto l’Oriente. Tentò di recuperare l’unità l’Imperatore Giustiniano (527-565) con la condanna pubblica (544) di tre testi di autori nestoriani (Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Cirro e Iba di Edessa) molto influenti (I tre capitoli) e quella dell’eresia di Origene. Papa Vigilio nell’accettare la condanna di Giustiniano dei tre capitoli riaffermava, nel suo scritto Indicatum (548), il suo completo sostegno alla dottrina del Concilio di Calcedonia del 451. Praticamente tutto il mondo cristiano si sollevò contro il Papa chiedendogli di fare penitenza per quanto aveva sostenuto. Fu così che il Papa chiese a Giustiniano di convocare il Concilio di Costantinopoli del 553 per far chiarezza sulla questione. Al Concilio, che Giustiniano convocò con il fine di riportare alla ragione i monofisiti copti dell’Egitto, questa volta, fu costretto ad intervenire anche il Papa Vigilio. Dal punto di vista dottrinale il Concilio ribadì la condanna dei tre capitoli, contro i quali furono scagliati 14 anatemi, e riaffermò le già accettate tesi sulla Trinità: le tre persone sono uguali in dignità e natura e quindi abbiamo a che fare con un unico Dio, unico nell’essenza e nella distinzione delle tre persone (ogni persona è irripetibile ed interamente Dio). Fu la condanna dei tre capitoli che creò gravi problemi. Essa in Oriente fu accolta con qualche problema, perché non avrebbe portato alla pace in quanto portava allo schierarsi con una delle due fazioni in conflitto. In Occidente ci fu invece una violenta reazione perché la condanna sembrava andasse contro il Concilio di Calcedonia del 451, che per l’Occidente erano un riferimento intoccabile ed accertato. Vigilio si presentò però al Concilio con uno scritto in cui condannava le tesi di Teodoro e Teodoreto ma non le persone perché erano morte in grazia di Dio; non condannava invece le tesi di Iba perché non contrastavano con Calcedonia. Ne nacque uno scontro con Giustiniano che vinse facendo approvare ai vescovi, ai quali chiese di non interessarsi del Papa, ciò che lui voleva. Alla fine Vigilio, ancora a Costantinopoli, ubbidì a Giustiniano e nel 554 pubblicò uno scritto in cui condannava i tre capitoli. Durante il viaggio di ritorno a Roma, morì a Siracusa (555). Il risultato che ottenne Giustiniano(12) con la sua politica fu il non avvicinamento dei copti egiziani e l’allontanamento della Chiesa d’Occidente che non mandava giù le condanne del Concilio.
Con i successori di Giustiniano (Giustino II, Tiberio Costantino, Mauricio, Foca) le cose non cambiarono. Eraclio (610-641), che chiude la fase romana per aprire quella bizantina, con una importante riorganizzazione dell’esercito (i contadini-soldati che rompevano la contraddizione tra servizio militare e produttività economica), riuscì a fermare l’avanzata dei Persiani, che avevano già conquistato Damasco e Gerusalemme, a Ninive (627). E’ l’ultimo successo da quelle parti perché ora s’avanza una potenza di gran lunga maggiore dei Persiani, l’Islam che inizierà la sua impetuosa diffusione.
L’ARABIA PREISLAMICA
Per capire meglio cosa accade in una zona dell’Asia, l’Arabia, sul finire del VI secolo è utile avere presente una carta geografica che metta insieme quel territorio, con la suddivisioni nei diversi regni, con il bacino del Mediterraneo:

L’Arabia sul finire del VI secolo. Da Atlante Storico
Dopo questa mappa ne riporto altre due con le rotte commerciali dall’Oriente all’Arabia e quindi al bacino del Mediterraneo.


A questo punto è possibile capire quali sono gli avvenimenti che condizionano la nascita della religione islamica. Allo scopo debbo entrare in qualche particolare utile per capire un mondo che noi euopacentrici non conosciamo sufficientemente.
Come si può vedere anche dall’ultima cartina (Happy Arabia), fino ai primi secoli dopo Cristo, vi era una parte dell’Arabia, distinta da quella desertica (Arabian Desert) che è un deserto pietroso ed inabitabile, che era nota come Arabia Felix. Il motivo dell’aggettivo felix risiedeva nella prosperità della penisola nei suoi territori al Sud più vicini all’Oceano Indiano, dove sugli altipiani il clima è temperato e la terra offre le ricchezze del caffè, delle erbe aromatiche e dell’incenso mentre dalle miniere si ricavano oro e pietre preziose (Gibbon afferma che questa differenza tra le due arabie mentre era nota alle civiltà mediterranee, era ignota agli abitanti della penisola arabica). La popolazione araba, popolazione semitica, era principalmente beduina, allevava le pecore, il cavallo ed il cammello in un nomadismo pastorale e coltivava palme e viti nelle poche zone coltivabili (da questa popolazione, intorno alla fine del XX secolo a.C., si erano staccate le popolazioni ebraiche per migrare a Nord, verso la Mesopotamia) mentre il grado di evoluzione e di civiltà dell’Arabia felix era del tutto simile a quello dell’Egitto, dell’Assiria, di Babilonia. Le tribù beduine, costituite da varie sottotribù, in periodi estivi o in periodi invernali con penuria di ogni frutto della terra, migravano verso le zone costiere, sugli altipiani dell’Arabia felix, verso l’Eufrate, verso terre più pericolose come la Siria, la Palestina ed addirittura l’Egitto. La loro vita era povera e miserabile e, come ci fa capire Gibbon, al confronto con un privato mediamente agiato dell’Europa, un emiro arabo alla testa di 10 mila uomini era meno agiato e viveva con molta minore tranquillità. Il benessere che piano piano intervenne derivava dal trovarsi l’Arabia sulle rotte commerciali (seta, spezie, tessuti, materie prime, schiavi) che dalla medesima Arabia, dall’India e dalla Cina, passando per il Mar Rosso o su rotte via terra vicine al mare, permettevano il commercio con i Paesi del Mediterraneo. Questo benessere aveva permesso l’irrigazione di vaste zone desertiche non pietrose, prevalentemente vicine al mare, generando ulteriore ricchezza e tranquillità economica. Come conseguenza ulteriore si erano iniziate a creare delle concentrazioni sedentarie di persone, dei veri e propri centri urbani, in alcune zone strategiche per le vie carovaniere dove alberi, ombra, acqua rendono la vita possibile (per importanza vanno citate La Mecca e Medina). La Mecca, situata in una infelice pianura arida circondata da aridi monti con pascoli lontani ed acqua amara o salmastra, era un luogo commercialmente strategico per la sua vicinanza al porto di Gedda che collegava con facilità all’Abissinia. Da qui le ricchezze dell’Africa erano trasportate attraverso la penisola fino a Gerrha nel Golfo Persico ed ancora da qui, insieme alle perle dello stesso Golfo, il tutto era trasportato mediante zattere fino all’Eufrate. Inoltre la Mecca è situata a metà strada tra lo Yemen e la Siria e quindi, nel complesso era un punto strategico per i commerci (le carovane, anche di 2 mila cammelli, passavano l’inverno nello Yemen e l’estate nella Siria). Nello Yemen, governato da un’oligarchia di mercanti cristiani ricchi come i corrispettivi di Alessandria e Edessa, attraccavano le navi provenienti dall’India e dalla Cina e le carovane evitavano a tali navi il difficile percorso marittimo del Mar Rosso per arrivare in Siria. Nei viaggi verso Nord le carovane portavano quanto già detto (seta, spezie, tessuti, materie prime, schiavi) e da Damasco portavano verso Sud manufatti e grano. L’altra città importante sulle rotte commerciali era Yathrib (che poi diventerà Madīnat an-Nabī, cioè la città del Profeta, Medina).
L’Arabia prima del 622 non esisteva come nazione vera e propria, ma solo come sistema tribale. E, nonostante ciò, essa non sarà mai conquistata per intero e stabilmente da qualche potenza straniera. Nella letteratura si parla della Provincia romana d’Arabia ma in realtà era ben poca cosa: le città di Bosra e Petra, quest’ultima capitale dei Nabatei, conquistate da Palma, un luogotenente di Traiano. La cosa fu episodica come episodici furono alcuni sbarchi romani ed alcune incursioni di Giustiniano. Al contrario lo Yemen vide molte occupazioni, di abissini, di persiani, di turchi. I combattenti arabi che dalla Mecca all’Eufrate iniziarono ad essere chiamati Saraceni, anche molti anni prima di Maometto, provenivano da quei beduini educati dalla vita dura che facevano alla quale si accompagnavano esercitazioni fisiche continue, corse a cavallo, esercitazioni con l’arco, il giavellotto e la scimitarra. Quando vi era una qualche invasione, mettevano da parte le loro dispute e guerre interne ed accorrevano in massa, lasciando la cura del bestiame alle donne della tribù ed erano aiutati dalla conoscenza di un territorio completamente ostile a chi non ne conosceva le trappole, le sorgenti nascoste, i pozzi in alcune oasi, le radici commestibili, le vie di fuga con animali addestrati a muoversi rapidamente nel deserto. Lo appresero sulla loro pelle le legioni di Augusto che, senza combattere, furono decimate da malattie, fame e sete. Solo con le flotte si riuscì a sottomettere lo Yemen.
La religione di queste tribù era strettamente connessa alle stelle del cielo che avevano suddiviso in 28 costellazioni, al Sole ed alla Luna. Erano gli astri che indicavano le stagioni e la strada da seguire in pianure e terre sterminate prive di altri riferimenti. Oltre agli astri venivano venerati gli spiriti che popolavano la terra (animismo), spiriti generalmente invisibili, ma con la possibilità di manifestarsi sotto forma di animali, di alberi o rocce. Queste divinità naturali, non assegnabili ad un particolare luogo, se ne aggiunsero altre, locali, quando si iniziarono i primi processi di sedentarismo. In tal modo le divinità divennero numerose, ma nessuna prevaleva sulle altre. A queste divinità se ne aggiungeva una, Hubal, risalente alla preistoria e venerata da tutti gli arabi in un tempio a forma di cubo (Kaaba) che si trovava (e si trova) nel centro de La Mecca. La leggenda parla di una primitiva Kaaba distrutta dal Diluvio Universale. Da tale distruzione si sarebbe salvata una pietra nera (probabilmente un meteorite) andata ad incastrarsi in una montagna. Essa fu recuperata da un personaggio mitico, Ibrāhīm, che, aiutato dal figlio Ismā’īl, iniziò la ricostruzione della nuova Kaaba della quale ci parla anche Diodoro Siculo nel I secolo a.C.. Da notare che questi due personaggi sono rispettivamente l’Abramo e l’Ismaele della Bibbia e che Maometto sosterrà che la Kaaba era il luogo dove Abramo, il progenitore di tutti gli arabi, aveva un tempo sacrificato all’unico vero Dio. Anche gli arabi, come ogni altra popolazione dell’epoca, credevano nella divinazione ed in particolare nel predire il futuro attraverso il volo degli uccelli, avevano timore del malocchio dal quale si proteggevano con amuleti. E’ d’interesse far notare che Hubal era chiamato da tempi remotissimi con l’appellativo di onnipotente che in arabo suona al-illah che ha come forma contratta Allah. Questo Dio è assimilabile direttamente alla denominazione biblica del Dio ha-heloim.
I contatti frequenti con la Siria e la Palestina convertirono molti arabi nomadi al Cristianesimo, arabi che, quando tornavano al Sud, venivano perseguitati dai benestanti ebrei che, al Sud, erano preponderanti. Grande attrazione per gli arabi verso il Cristianesimo rappresentò la Costantinopoli cristiana. La maggiore influenza sugli arabi sembra però sia derivata dalla parte dei cristiani apostolici, quelli che non condividevano le teorie di Paolo di Tarso, cristiani che furono perseguitati dai confratelli paolini e spesso dovettero scappare e/o ritirarsi in terre desertiche ed in grotte sparse tra la Palestina ed il Sinai. Queste vicinanze con ebrei e varie comunità cristiane separate sia da Roma che da Costantinopoli (in gran parte nestoriani e monofisiti) crearono la base per l’accettazione del monoteismo in tribù che avevano varie divinità e quindi erano politeiste. I cristiani non erano comunque un riferimento importante perché a quell’epoca erano ricaduti in una sorta di politeismo con i culti praticati delle reliquie e delle immagini, con la Trinità e con la dea Vergine Maria (la spiegazione di queste cose sarà buona solo per un credente).
Questa situazione economica e spirituale del mondo arabo, situazione che dall’esterno sembrava immobile nel tempo, improvvisamente cambia agli inizi del VII secolo risvegliando interessi verso quelle terre e popoli anche da parte dei distratti europacentrici. Attacchi continui da parte degli etiopi verso le zone ricche dell’Arabia del Sud e le terre fertili della costa si erano incrementati nell’ultimo secolo. Ciò aveva fatto abbandonare queste terre ricche e con esse l’estendersi dell’operazione di fertilizzazione ed irrigazione. Restavano le carovane dirette verso e provenienti dal Mediterraneo che erano il bersaglio prediletto dei predoni provenienti ancora dall’Etiopia e da altre terre africane. Quelle rotte lungo il Mar Rosso erano ormai diventate troppo insicure e vennero sostituite con rotte più lunghe e faticose ma meno pericolose, rotte che, dopo l’attraversamento della penisola da Saba a Gerrha nel Golfo Persico, si addentravano nei territori dell’Impero Persiano Sassanide (attuale Iraq ed Iran), più sicuri, per poi entrare in quello Bizantino. L’insieme di questi eventi comportò un cambiamento radicale di vita che divenne sempre più precaria. Le città si impoverivano e le poche terre fertili tornavano a desertificarsi. Come è spesso accaduto nella storia, una popolazione in profonda crisi, che perde molte delle certezze di cui disponeva per andare in situazioni sempre più miserabili, è terreno fertile per rivolgimenti religiosi e, perché no, messianici. Insomma, in epoca in cui religione è politica senza intermediari, le popolazioni aspettano dalla religione la soluzione dei problemi che le assillano.
Una delle personalità di maggiore spicco che seppe caricarsi di questa crisi religiosa per esaltarla e portarla ad uno sbocco fondamentale per l’Arabia e per il mondo intero, fu Muhammad o Maometto, il messia degli arabi.
MAOMETTO
Si sa poco di certo sui primi anni di vita di Maometto. Discendeva dalla tribù dei Quraishiti e dalla famiglia degli Hashimiti, arabi illustri e custodi delle Kaaba. Non era quindi un povero come molta letteratura cristiana lo descriveva. Ma a questo punto si sono ricostruite leggende sulla sua famiglia, a partire da suo nonno che avrebbe alleviato le sofferenze di molti indigenti colpiti dalla carestia e avrebbe combattuto valorosamente contro gli abissini cristiani, cacciandoli dall’occupazione dello Yemen mentre avanzavano verso La Mecca, con l’aiuto di uno stormo di uccelli che bombardarono con pietre gli invasori. Questo nonno ebbe una ventina tra figli e figlie ed il più affascinante dei figli, Abdallah, si sposò con la bella Amina spezzando il cuore a moltissime fanciulle, duecento delle quali morirono di crepacuore. Maometto fu unico figlio di Abdallah ed Amina. A parte le leggende che fanno da contorno ad ogni mito della storia e della religione, davvero non si sa bene come furono condotti i primi anni di vita di Maometto. Egli nacque a La Mecca quattro anni dopo la morte di Giustiniano quindi intorno al 570, secondo calcoli complessi per la difficoltà di raccordare date ed effettuati da dei benedettini. I suoi genitori ed il nonno morirono quand’egli era ancora ragazzo e gli zii si approfittarono dell’eredità lasciandolo con poche cose (5 cammelli ed una schiava etiopica). Anche qui però, come nel seguito, vi sono molti dubbi per la difficoltà di dipanare la leggenda dalla storia. Un suo zio lo prese con sé e gli fece da tutore fino all’età di 25 anni. Durante questo periodo la leggenda racconta di Maometto che a 12 anni (da notare che è l’età della presentazione di Gesù al Tempio), al seguito di una carovana dello zio, incontra a Bosra (estremo sud della Siria) il monaco cristiano siriano Bahīra che intravede in lui potenzialità carismatiche ed il simbolo profetico in un neo che aveva in una determinata posizione dietro le spalle. Ai 25 anni Maometto passò a servire una ricca e nobile vedova de La Mecca, Khadigia, che era dedita ai commerci. La cura e la fedeltà di Maometto verso la donna furono premiati con il matrimonio e con molte ricchezze, eventi che riportarono Maometto al suo elevato rango. Maometto divenne allora carovaniere e tutto andò senza particolari da ricordare fino ai 40 anni di Maometto quando lo prese la vocazione religiosa e lo spirito nazionalista, assumendo il titolo di Profeta ed iniziò a predicare. Questo episodio è anch’esso ammantato di leggenda secondo la quale, in un dato giorno del ramadān (mese del digiuno) dell’anno 610, gli apparve l’Arcangelo Gibrā’īl (il nostro Arcangelo Gabriele) che lo chiamò a diventare il messaggero di Allah(13). Ed iniziarono le rivelazioni ma con una sospensione, durante la quale Maometto pensò di suicidarsi. Poi tutto riprese con rivelazioni sulla vita che segue dopo la morte, una vita di delizie ma anche di pene che sarà definita nel Giorno del Giudizio. In tale giorno si avrà un Dio misericordioso per chi lo avrà servito ed un Dio implacabile per chi, con coscienza, si sarà allontanato da Lui. Il Dio misericordioso si adirerà contro chi ha smanie di ricchezza (secondo Lo Jacono questo insegnamento di Maometto discende direttamente dalle pratiche esose dei prestiti a tassi usurai tali da escludere i clan più poveri dagli affari più lucrosi. La richiesta di dirittura morale porterà grandi consensi alla predicazione di Maometto da parte della maggioranza delle tribù arabe che non vivevano floride condizioni economiche). Queste rivelazioni che spesso avvenivano con Maometto in stato di alterazione fisica (aveva freddo, tremava violentemente, rantolava, urlava) gli conquistarono i primi seguaci in famiglia e furono oggetto delle prime Sure del Corano, il libro sacro dei musulmani che raccoglie le rivelazioni di Allah a Maometto. Quando la predicazione uscì fuori dal clan familiare le Sure erano già diventate 70 (sulle 114 che compongono il Sacro libro). Ma, a questo punto, la predicazione di Maometto passò dalla curiosità che suscitava ad essere osteggiata per gli effetti dirompenti che avrebbe prodotto la denigrazione delle differenti divinità nel tessuto sociale tribale.
Nella sua predicazione Maometto respingeva il culto degli idoli e quello degli uomini. Inoltre, con la semplice motivazione che tutto ciò che sorge deve tramontare e che tutto ciò che è corruttibile deve perire, respingeva il culto degli astri e degli uomini. Fin qui non vi è argomento del contendere. Molti argomenti vengono invece sollevati da religioni rivali all’islam. Per secoli vi è stata la demonizzazione di Maometto: sarebbe stato un ignorante casualmente assurto alla fama. Su questa strada sarebbe possibile scaricare insulti anche su Gesù Ma evidentemente non è su questa strada che occorre muoversi. Quel poco che si sa della vita giovanile di Maometto non autorizza a pensarlo ignorante. La famiglia era agiata ed aveva rapporti stretti con la religione praticata, quella della Kaaba essendo i familiari di Maometto custodi del tempio. Essere agiati ed avere entrature nell’ambiente più colto pensabile all’epoca non autorizza in alcun modo a definire Maometto un ignorante. Ma c’è di più perché Maometto fece il carovaniere e lo fece dalla posizione di compartecipe primario agli utili. In tale posizione ebbe contatti diretti con le culture più avanzate del Mediterraneo (Siria, Palestina ed Impero Bizantino da una parte e culture orientali arrivate nello Yemen dall’altra). E’ invece accettabile il discorso di Ostrogorsky che afferma: l’opera di Maometto, poco sviluppata ed intellettualmente debole, contiene peraltro una certa energia primordiale che la rende un potente stimolo all’azione. Mentre sull’ultima parte non ho nulla da eccepire, posso fornire un brevissimo commento alla prima parte di tale giudizio. Il ritenere poco sviluppata ed intellettualmente debole l’opera di Maometto non è un giudizio assoluto ma relativo alle infinite disquisizioni che accompagnavano il Cristianesimo ed alla tradizione profetica millenaria dell’ebraismo. E, non a caso, Maometto viene collocato nella tradizione profetica biblica come uno dei profeti inviati da Dio all’umanità: Adamo, Abramo, Mosè e Gesù (e gli altri profeti citati nella Bibbia, per un totale di 28, e chiunque rifiuta uno solo tra i profeti è un infedele). Egli è l’ultimo profeta che viene a chiudere il ciclo profetico con l’avvento dell’Islam nella storia dell’umanità.
A La Mecca Maometto, pur attaccato, godeva della protezione del suo clan anche se sempre più si sentiva in pericolo. Spedì allora alcuni suoi seguaci convertiti(14) a predicare verso la costa del Mar Rosso ed addirittura in Abissinia. Da notare che fu Maometto ad introdurre la preghiera nel suo insegnamento religioso, preghiera prima inesistente tra gli arabi ed invece di grande importanza tra ebrei e cristiani. Le preghiere dei fedeli di Maometto si recitavano rivolti a Gerusalemme.
Poiché non vi era una religione strutturata nel territorio arabo, quel titolo di Profeta era una sorta di assimilazione ai profeti dell’antico testamento, ma la comunità ebraica, i Qurayza, non gli riconobbe il titolo e ciò creò un profondo risentimento verso gli ebrei da parte di Maometto. Egli era comunque mosso dall’aver visto la condizione degradata del suo popolo ed egli attribuì la decadenza alla corruzione (denaro e commercio) esistente, soprattutto nelle città, e all’abbandono del culto del Dio Hubal per corrompersi nell’idolatria (osservo le similitudini esistenti con Gesù e con lo scontro che esisteva in Israele tra i Re ed i Profeti). Nel 619 Maometto perse due affetti ed importanti protettori, la moglie e lo zio. Intanto la sua predicazione incontrava sempre più decisi oppositori, soprattutto tra la tribù araba dei Quraysh, tanto che, nel 622, fu costretto a scappare da La Mecca, dove era ospite di una cugina, per rifugiarsi a Medina. Anche qui la leggenda ammanta questa fuga con fenomeni sovrannaturali: egli di notte viene rapito dall’Arcangelo Gabriele su una cavallo bianco, con ali e di nome Baruk, che lo portò, passando per La Mecca e Gerusalemme, in cielo, nel luogo più vicino possibile a Dio che gli fece altre rivelazioni. Durante questo fantastico viaggio Maometto attraversò i sette cieli incontrando Adamo nel primo, Giovanni e Gesù nel secondo, Giuseppe nel terzo, Idris nel quarto, Aronne nel quinto, Mosè nel sesto, Abramo nel settimo. Tutti costoro lo accolgono festosamente come fratello e sommo profeta. Dialogando con Allah, Maometto riesce ad ottenere che le 50 preghiere al giorno che i fedeli gli debbono, possono essere ridotte a 5. L’anno del trasferimento da La Mecca a Yathrib (Medina), il 622, è l’anno 1 della nuova era musulmana o Ègira (emigrazione), è lo stesso giorno dell’inizio delle vittorie dell’Imperatore bizantino Eraclio contro i persiani.
A Medina, con il sostegno di dodici adepti e vari seguaci emigrati, tra cui il suo fedele Abū Bakr(15) (del quale nel 622 sposò la figlia Aisha), da La Mecca, continuò la predicazione di Maometto che fece vari proseliti riuscendo a rompere antiche tradizioni tribali con l’affermazione che i legami di fede dovevano essere più importanti di quelli familiari. In questa città i musulmani erano ospiti e questa condizione non si poteva mantenere indefinitamente. I musulmani sapevano commerciare, condurre carovane e difenderle, ma in mancanza di queste occupazioni ricorsero alle razzie per procurarsi i mezzi di sussistenza. Era una sorta di ripetizione di quanto avevano fatto gli ebrei per secoli, con il sostegno del Dio degli eserciti. Fu redatto un accordo con alcuni clan medinesi (Sahīfa o Rescritto) secondo il quale, in cambio di protezione per i musulmani, i medinesi avrebbero tratto profitto economico dalle razzie. Nasceva in tal modo la Umma, la prima comunità politica di musulmani a Medina. Chi avrebbe mediato su eventuali contrasti sarebbe stato Maometto. Le razzie sarebbero avvenute contro le carovane dei clan di La Mecca che avevano osteggiato Maometto. Si attaccavano e depredavano le carovane che transitavano lungo il Mar Rosso per trasportare merci in Palestina ed in Siria. Tutto andò bene per un paio di anni finché un incidente non rischiò di pregiudicare l’intera predicazione di Maometto. Durante un mese sacro in cui tutti rispettavano una tregua, un attacco di musulmani ad una carovana, produsse un morto tra i carovanieri. La generale condanna per questo episodio fu tamponata da una opportuna rivelazione di Dio al Profeta:
216. Vi è stato ordinato di combattere, anche se non lo gradite. Ebbene, è possibile che abbiate avversione per qualcosa che invece è un bene per voi, e può darsi che amiate una cosa, che invece vi è nociva. Allah sa e voi non sapete.
217. Ti chiedono del combattimento nel mese sacro. Dí: “Combattere in questo tempo è un grande peccato, ma più grave è frapporre ostacoli sul sentiero di Allah e distogliere da Lui e dalla Santa Moschea. Ma, di fronte ad Allah, peggio ancora è scacciarne gli abitanti. L’oppressione è peggiore dell’omicidio. Ebbene, essi non smetteranno di combattervi fino a farvi allontanare dalla vostra religione, se lo potessero. E chi di voi rinnegherà la fede e morirà nella miscredenza, ecco chi avrà fallito in questa vita e nell’altra. Ecco i compagni del Fuoco: vi rimarranno in perpetuo”. [Corano, 2, 216-217]
Insomma: è certamente peccato ammazzare durante il mese sacro ma è peccato più grande allontanarsi da Dio, bestemmiarlo, eccetera. Cosa non giustificano le religioni ? Basta entrare nel meccanismo e si avranno sempre le rivelazioni giuste. Ma, al di là di questa povera osservazione, questi versetti fanno entrare nella predicazione di Maometto il concetto di guerra di offesa contro i nemici di Maometto e di Allah. Queste guerre si facevano quindi per volontà di Allah, per estendere la sua legge e quindi la comunità dei musulmani era chiamata ad un sacro impegno, alla ğihād. In quest’epoca si riformò anche la modalità di preghiera, spostando il luogo dove orientarla: la Kaaba della Mecca, il Tempio Sacro. Ciò rappresentava un distacco dagli ebrei di Medina che non lo avevano riconosciuto come Profeta nel solco biblico sembra perché Maometto mostrava di non conoscer la Bibbia nei dettagli. Spostare la direzione della preghiera voleva dire rinunciare definitivamente a Gerusalemme per individuare un luogo con precise caratteristiche arabe. Ed insieme a questo spostamento di riferimento si modificarono varie date importanti, come quelle del digiuno, che prima Maometto aveva fissato in comune con gli ebrei per renderle solo musulmane.
La politica delle razzie creò un ulteriore passo in avanti nella religione attraverso altre rivelazioni. Un nutrito gruppo di musulmani attaccò una carovana proveniente dalla Siria. Un contingente di molti armati, proveniente da La Mecca, arrivò ad aiutare la carovana ed in tal modo i musulmani si trovarono in netta inferiorità. A portare gli islamici alla netta vittoria fu la promessa del castigo di Allah per coloro che rifuggivano dalla battaglia e quella della salvezza eterna per coloro che avrebbero trovato la morte per sostenere il volere di Allah. I caduti, i martiri, sarebbero stati accompagnati in cielo da una fitta schiera di angeli. A parte il lauto bottino, quella vittoria mostrò che quando si combatte con e per Allah, la vittoria è certa. Da La Mecca partì però un intero esercito con la decisa volontà di vendetta. I musulmani furono sconfitti e lo stesso Maometto fu ferito (dente e labbro rotti e colpo di scimitarra sulla spalla). Quella battaglia fu crudele (addirittura, per vendetta personale, venne squartato un cadavere e la donna che doveva vendicarsi mangiò il fegato del caduto) perché per la prima volta si scannarono tra membri delle medesime famiglie che combattevano su bandi opposti, visto che quanto aveva predicato Maometto a proposito del primato della fede sulla famiglia era stato accettato. Comunque, i soldati della Mecca non infierirono entrando a La Mecca perché credevano che molti abitanti non erano schierati con Maometto. Il colpo per la Umma musulmana fu tremendo tanto che addirittura a Medina iniziarono a vedere i musulmani come coloro che avevano portato lutti e disgrazie alla città. Quando la crisi è grande vi è sempre il buon Dio che interviene con delle rivelazioni:
138. Questo è un proclama per gli uomini, una guida e un’esortazione per i timorati.
139. Non perdetevi d’animo, non vi affliggete: se siete credenti avrete il sopravvento.
140. Se subite una ferita, simile ferita è toccata anche agli altri. Così alterniamo questi giorni per gli uomini, sicché Allah riconosca quelli che hanno creduto e che scelga i testimoni tra voi – Allah non ama gli empi –
141. e Allah purifichi i credenti e annienti i negatori. [Corano 3, 138-141]
Anche qui la sconfitta discendeva dal fatto che i combattenti non avevano ubbidito al Profeta. Ed i responsabili principali erano i demoralizzatori ipocriti della città, cioè gli ebrei che furono anche accusati di aver attentato alla vita del Profeta. Gli ebrei dovettero lasciare la città per recarsi in un’oasi più a Nord. Portarono con loro ogni bene di cui disponevano che fosse trasportabile ma dovettero lasciare l’oasi di Medina con i beni immobili ai musulmani. E questi ultimi ripresero pian piano gli attacchi alle carovane mostrando così che quella sconfitta era stata episodica. Da La Mecca si mise su un nuovo esercito che marciò su Medina per mettere fine alle scorrerie musulmane che disponevano di un numero inferiore di uomini e peggio armati. Le difese approntate dai musulmani resero necessario assediare la città. Ma la stagione era diversa dalla precedente. Ora per la mietitura era già avvenuta con la conseguenza che, per assediare i musulmani, occorreva ammazzare ogni giorno decine di cavalli. Dopo qualche scontro da poco l’esercito di La Mecca si ritirò. Fu un successo enorme per Maometto che ebbe subito il riconoscimento di varie tribù che cercarono amicizia con la Umma musulmana. E Maometto si vendicò sterminando le tribù che si erano schierate con La Mecca a cominciare dalla tribù ebrea(16) dei Banū Qurayza, insediata a Sud est di Medina dove possedeva vaste distese di terra (fu in questa occasione che Maometto prese come sua concubina l’ebrea Rayhana, poi convertita all’Islam), per proseguire con altre tribù ebraiche, tra cui la Banū Mustaliq (comportamenti del tutto simili a quelli che gli ebrei avevano nello sterminare i loro rivali in Palestina). Questi gesti di forza contro i perdenti spinsero sempre più tribù beduine a cercare alleanze con i musulmani. Ora però Maometto pretendeva il pagamento di una imposta per accettare l’alleanza. E gli alleati potevano muoversi liberamente su rotte mercantili che ormai erano vietate ai commercianti e carovanieri de La Mecca che dovettero scegliere l’impervia via dell’attraversamento della penisola con il passaggio attraverso all’Impero Persiano Sassanide. In questo periodo, sembra che Maometto abbia scritto una lettera ai Re degli Stati confinanti l’Arabia (a Eraclio dell’Impero Bizantino al quale inviò un emissario ad Emesa; a Cosroe II di Persia; al governatore dello Yemen; al Negus dell’Abissinia; a Gassani Harith governatore del regno Gassanide di Siria; a Muqawqis sovrano dell’Egitto), chiedendo che si convertissero. Il potere dei musulmani si andava estendendo su tutta la penisola e Maometto iniziò a pensare al pellegrinaggio verso La Mecca, forzandolo nell’anno 628 con un rischio molto grande: l’insuccesso infatti avrebbe pregiudicato l’ulteriore espansione dell’Islam. Ma Maometto sapeva che, se l’operazione fosse riuscita, egli si sarebbe accreditato come capo indiscusso dell’Arabia (ed allo scopo si dotò di un esercito di armati). Con le forti difese della Mecca in funzione, Maometto pensò e riuscì ad arrivare ad un accordo che permettesse il pellegrinaggio, non solo per quell’anno ma per i 10 anni successivi, rinunciando però agli armati. In fondo, per La Mecca, si trattava di un riconoscimento di quel loro tempio. Qualche musulmano non accettò questo accordo ma si convinse della sua correttezza dopo un’altra rivelazione al Profeta di un Dio Pacificante. Tra il primo ed il secondo anno, Maometto si dette alla conquista della varie oasi ancora non in suo potere mentre la maggior parte della tribù dei Quraysh lasciò La Mecca per i tre giorni del pellegrinaggio, perché non si sentiva sicura. Il pellegrinaggio risultò una manifestazione di forza con Maometto a dorso di cammello che fece i rituali sette giri intorno alla Kaaba e toccò la pietra nera solo con un bastone per mostrare che era ancora intrisa di politeismo (in questa occasione Maometto completò i rituali legati al pellegrinaggio). Le conversioni aumentarono e la pace durò poco. Prendendo a pretesto un episodio di sangue (beduini alleati ai Quraysh avrebbero aggredito altri beduini alleati dei musulmani) Maometto marciò a capo di un potente esercito verso La Mecca (630). I Quraysh, vista la sproporzione delle forze, decisero di arrendersi e di convertirsi all’Islam per avere salva la vita (solo in pochi non cedettero). La Mecca era ormai in balìa dei musulmani e Maometto tornò alla Kaaba e distrusse i 360 idoli presenti dentro e fuori il Tempio, lavò gli affreschi ivi presenti e, secondo alcune testimonianze, lasciò solo le immagini di Gesù e di sua madre Maria. Solo qualche giorno dopo tornò a Medina tranquillizzando gli abitanti che temevano di averlo perso, dicendo loro che gradiva morire in quel luogo che era stato così ospitale con lui.
Mancava poco ormai per completare la conquista di tutta la fascia costiera del Mar Rosso (Hijāz), la più dura fu la battaglia vittoriosa per la conquista di Ta’if, una città fortificata immediatamente a Sud di La Mecca. Ormai Maometto dominava sull’intera Arabia avendo convertito una gran quantità di arabi. Siamo al 632 quando Maometto sentiva venir meno le sue forze. Organizzò allora un grande pellegrinaggio d’addio che gli servì per mostrare alle future generazioni ogni piccolo dettaglio del rituale. Con un gesto che oggi definiremmo populistico chiese ai pellegrini se egli aveva compiuto bene il suo ruolo di profeta, domanda alla quale vi fu l’ovvio gradimento dei musulmani. Come riassume Lo Jacono si era ormai definita nei dettagli la nuova fede:
Fede in un Dio Uno e Unico e nella missione profetica ultima di Muhammad, imposta di purificazione gravante sulle proprie ricchezze, preghiere canoniche cinque volte al giorno, digiuno in ogni mese di ramadān, pellegrinaggio maggiore e «sacro impegno» (gihād) erano ormai definitivamente i «pilastri» su cui la fede islamica si sarebbe dovuta poggiare.
Maometto morì l’8 giugno del 632, anno undicesimo dell’ègira, tre mesi dopo essere tornato a Medina, lasciando il compito di guidare l’Islam al suo amico il califfo (che vuol dire successore o vicario) Abū Bakr.

L’Arabia nel 632, alla morte di Maometto. Da Atlante Storico
L’ESPANSIONE MUSULMANA
Nel 634 iniziò l’espansione dell’Islam con l’attacco alla Siria, regione dell’Impero di Bisanzio. Un esercito, guidato da Abū Bakr, partì da Medina. I primi scontri non furono favorevoli ai musulmani che, comandati da Khalid b. Saìid b.’As, vennero sconfitti duramente presso Damasco ad opera di un contingente di arabi cristiani, i Ghassanidi, comandati dal Theodoros, fratello dell’imperatore Eraclio. Sostituito il comandante musulmano con Abu ‘Ubayda b. al-Jarrah, nel 637, i musulmani riuscirono a conquistare l’intera area mediorientale (Giordania, Palestina, Siria ed Iraq) ad eccezione di Cesarea che cadde nel 640. Tra il 636 ed il 637 l’esercito di Eraclio era stato annientato a Yarmuk ed Antiochia. Eraclio era in grave difficoltà soprattutto nel fronte Sud. Per far fronte all’inarrestabile avanzata nel 638 utilizzò ancora gli arabi cristiani di Al Jazira, ultima roccaforte dell’Impero bizantino, per tentare di fermare l’avanzata in territorio siriano. I musulmani inviarono subito ingenti forze verso Al Jazira e conquistarono l’intera regione nel medesimo 638. Questo fu anche l’anno della caduta di Gerusalemme.
Tra il 639 ed il 641, dopo la Persia(17) e la Mesopotamia bizantina da cui passarono alla conquista dell’Armenia, cadde anche l’Egitto con la decisiva sconfitta dei bizantini nella battaglia di Heliopolis (1640). Questa sconfitta dei bizantini lasciò l’intero Egitto militarmente sguarnito e fu da deterrente per i nativi, i monofisisti perseguitati dai cattolici, a ribellarsi ed a cacciare i commissari di governo. Finalmente, nel 642, cadde l’ultima roccaforte egiziana, Alessandria, da dove iniziarono ad espandersi lungo la costa del Nord Africa conquistando le principali città della Libia fino a Tripoli (643). Vi fu solo la resistenza del bizantino Conte Gregorio, governatore dei territori libici. Ma la sua sconfitta vicino Cartagine, aprì la via alla conquista di tutto il Nord Africa. Ma tutto si fermò perché i musulmani iniziarono una feroce guerra civile. Nel 642 era morto Abū Bakr che aveva lasciato la guida dell’Islam a ‘Omar ibn al-Khattāb (Omar) della tribù Quraysh che la mantenne fino al 644 quando fu ucciso da uno schiavo persiano (sembra senza motivazioni politiche)(18). Il successore, ‘Othmàn ibn ‘Affàn (Othman) del clan Omeya della tribù Quraysh, fu designato da un consiglio costituito dagli antichi compagni di Maometto e mantenne il potere fino al 656 quando fu ucciso e gli successe a Medina, come quarto califfo, il cugino e genero di Maometto, Ali ibn Abi Talib (Alì), primo Imam della comunità islamica Sciita, che resterà al potere fino al 661 (non si sa bene chi uccise Othman ma i sospetti si appuntarono sul successore. Ma anche Alì fu ucciso inaugurando guerre civili a ripetizione in ogni regione conquistata). A Damasco invece venne proclamato califfo Muhawiyah – vedi oltre – e, come è facilmente intuibile, da questo momento iniziarono lotte di potere che creeranno fratture tra musulmani, a cominciare dall’odio che si iniziò ad insinuare tra persiani e turchi (anche Aisha fu nemica implacabile di Alì e dei figli avuti con Fatima, la figlia di Maometto, per aver consigliato a Maometto di ripudiarla). I persiani, sciiti cioè settari, hanno aggiunto alla religione dell’Islam un atto di fede che così recita: se Maometto è il profeta di Allah, il suo compagno Alì ne è il vicario, mentre gli altri successori sono degli usurpatori. I sunniti, l’altra Importante fazione islamica (delle tante che ne seguirono), sono invece ortodossi e quindi più tolleranti perché riconoscono tutti e tre i califfi che sono succeduti a Maometto valutando come più debole proprio Alì. Gli sciiti ritengono più in generale che solo i discendenti diretti di Maometto possono essere assunti come califfi dell’Islam ed in tal senso Muhawiyah è il primo usurpatore. La rottura degli sciiti con i sunniti divenne insanabile quando il figlio di Alì e Fatima (la figlia di Maometto), Hussein, che pretendeva di assumere il ruolo di califfo dell’Islam in quanto discendente di Maometto, fu ucciso e decapitato nella battaglia di Kerbala nel 680. Con l’assassinio di Alì, finì il califfato elettivo e iniziò la dinastia omeyyade e nel 665 riprese la conquista del Nord Africa.
Tutti gli storici concordano nell’ammettere una generale accettazione delle popolazioni all’occupazione musulmana almeno fino a circa la metà del VII secolo. Un importante contributo in tal senso lo dettero le autorità religiose che avevano preso il controllo della situazione in quel periodo in cui Eraclio era morto (641), le autorità civili si erano dissolte e l’esercito era allo sbando. Una volta che un così vasto territorio f conquistato in relativamente poco tempo, vi fu difficoltà di controllo tanto più da un centro come Medina che era distante e difficilmente raggiungibile. E tali autorità erano cristiani, quei monofisiti e nestoriani che non vedevano l’ora di rompere ogni legame con le assurde scomuniche di Roma. A questo punto furono i comandanti musulmani allora che presero la gestione del potere delle singole province conquistate.
Da parte bizantina ad Eraclio successe il figlio maggiore Eraclio Costantino (figlio della prima moglie Eudocia) che morì di tubercolosi dopo soli 4 mesi di co-regno con il fratellastro Eraclio II, detto Eracleona (figlio della seconda moglie Martina). La repentina morte di Costantino fece sospettare all’esercito che fosse stato assassinato. Il generale armeno Valentino Arsacido si sbarazzò dei sospettati, Martina ed Eracleona, esiliandoli mutilati a Rodi. Prima di ciò, costrinse Eracleona a nominare co-imperatore il figlio undicenne di Costantino, Costante che assunse il nome di Costantino IV, anche se nei documenti è ricordato come Costante II, che regnò fino al 668. Nei rimasugli dell’Impero romano, ancora lotte di potere che continuavano a sfaldarlo.

L’Impero musulmano nel 661, alla morte di Alì. Da Atlante Storico
A questo punto dell’avanzata musulmana, ci si rese conto della necessità di avere una flotta. La cosa era completamente al di fuori della cultura di un Paese sempre vissuto nel deserto e sempre servitosi di cammelli e cavalli per gli spostamenti. Fu il califfo del clan omeyyade Mu’awiya ibn Abi Sufyan (Muhawiyah), che regnò a Damasco tra il 661 ed il 680 (proclamatosi califfo, primo califfo omeya, dell’intero Islam alla morte di Alì nel 671), che capì l’importanza della flotta per attaccare l’Impero bizantino nel suo cuore, Costantinopoli. Iniziò quindi a costruirla e nel 649, utilizzando gli efficienti arsenali bizantini di Siria ed Egitto, la inaugurò con la prima spedizione contro Cipro, conquistando la capitale Costanza. Il governo di Bisanzio pagò profumatamente i musulmani per avere una tregua di tre anni durante i quali Muhawiyah rafforzò la flotta tanto che, passata la tregua, nel 654 assediò Rodi e quindi attaccò e saccheggiò Coo e Creta. La traiettoria degli attacchi puntava a Costantinopoli e da quella città si capì subito. Sulla flotta bizantina salì al comando l’Imperatore Costante II che attaccò la flotta araba al largo delle coste della Lydia (regione nella attuale Turchia, affacciata alla Grecia). Vi fu una drammatica sconfitta bizantina che vide anche l’Imperatore a rischio di morte. Da questa vittoria i musulmani non trassero un immediato vantaggio perché erano scossi dalle guerre civili tra loro, era scoppiata la guerra civile tra Muhawiyah ed Alì, conclusasi nel 661 con l’uccisione di Alì. Questa volta fu Muhawiyah a chiedere una guerra a Bisanzio per ottenere la quale pagò addirittura dei tributi all’Impero. Di questo momento di debolezza ne approfittarono in Armenia dove chiesero di tornare ad avere rapporti con Bisanzio.
Costante II approfittò invece della tregua per sconfiggere gli slavi delle province orientali dell’Impero (658) e per portare avanti una dura lotta con il Papato di Roma per come venivano eletti i Papi, senza il rispetto delle norme che volevano il parere di alcune autorità bizantine (la dura controversia era iniziata con Papa Martino salito al trono pontificio nel 649). Successivamente Costante, con l’opposizione di tutta la corte, pensò di trasferire la sede imperiale in Occidente e, dopo il tentativo di far fronte in Italia ai Longobardi (Benevento, dove fu sconfitto), dopo esser passato per Napoli e Roma, si stabilì a Siracusa, in Sicilia, dove iniziavano minacce da parte della flotta araba musulmana e dove egli pensava di fare da argine a questa imminente avanzata. In questa città vi fu una congiura di corte contro Costante che fu ucciso nel suo bagno (668). Un tal Mezezio venne acclamato Imperatore dall’esercito ma la cosa durò pochissimo perché l’esarcato di Ravenna(19) reagì con una dura repressione dei cospiratori ed usurpatori (669).
Costantino IV, figlio di Costante, successe al trono di Costantinopoli apprestandosi a dover affrontare prove fondamentali per lo sviluppo della storia. Muhawiyah, una volta sistemate le lotte interne all’Islam, riprese gli attacchi all’Impero bizantino a partire dall’Asia Minore (663) con incursioni continue e ripetute ogni anno. L’intera regione fu devastata e gli abitanti schiavizzati. In poco tempo lo scontro arrivò molto vicino a Costantinopoli, a Calcedonia, dall’altro lato del Mar di Marmara. Lo scontro però decisivo tra musulmani e bizantini doveva avvenire in mare dove Muhawiyah aveva già mostrato la sua superiorità. Alle precedenti conquiste delle isole di Cipro, Rodi e Coo si aggiunse quella di Chio, sempre più vicina a Costantinopoli. Nel 670 fu conquistata la penisola di Cizico ancora più vicina e che servirà da base per azioni successive. Nel 672 furono conquistati altri territori come Smirne e le coste della Cilicia che nell’insieme rappresentavano l’accerchiamento della capitale dell’Impero. Finalmente nel 674 fu posta d’assedio Costantinopoli con una flotta imponente. L’assedio durò l’intera estate poi la flotta si ritirò a Cizico. Continuò nelle estati successive fino al 678 quando una nuova arma fece la sua comparsa nelle fila dei bizantini, arma che ebbe ragione dei musulmani che furono finalmente sconfitti. Si tratta del fuoco greco,un qualcosa di micidiale, una specie di lanciafiamme che incendiava le navi nemiche e le torri d’assedio, con in più un effetto di non possibile spegnimento con acqua (una specie di iprite o napalm o fosforo bianco)(20). Oltre a questo la flotta araba, menomata da una violenta tempesta, subì un altro rovescio in mare tanto che Muhawiyah fu costretto a firmare una tregua trentennale con Costantino IV di Bisanzio, tregua durante la quale doveva pagare ogni anno pesanti tributi (monete d’oro, schiavi e cavalli) alla città vincitrice. Per la prima volta dall’apparire dell’Islam sulla scena mediterranea, erano stati sconfitti duramente e questa vittoria, insieme a quelle successive di Leone III nel 718 e di Carlo Martello nel 732, servirono a salvaguardare l’Europa dal dominio arabo. Da questo momento l’Impero bizantino poté spostare truppe verso i Balcani e la Tracia per difendersi dalle invasioni dei barbari dell’Europa del Nord. Queste battaglie saranno portate avanti dal figlio di Costantino IV, Giustiniano II, che successe al padre, morto nel 685 all’età di 33 anni. Costui si mostrò incapace ed il suo sistema di tassazione portò all’esasperazione ed alla rivolta. Fu deposto dalla furia della popolazione che lo catturò, gli tagliò il naso e lo esiliò a Cherson, l’attuale Sebastopoli, in Crimea (695).
Intanto, come accennato, nel 665 riprese la conquista del Nord Africa che durerà fino al 689. Si cominciò con le zone più occidentali della Libia (Barqa) dove venne sconfitto un grande esercito bizantino. Nel 670 si aggiunse alle forze musulmane un altro esercito proveniente da Damasco e comandato da Uqba ibn Nafi che si situò nella località di Qayrawan (a Sud dell’odierna Tunisi e che sarebbe poi diventata la capitale della provincia islamica dell’Ifriqiya) presa come base per un’ulteriore espansione verso la Libia, la Tunisia, l’Algeria e la Mauritania (l’odierno Marocco) che si affaccia sull’Atlantico. Qui, in corrispondenza della città di Tingi, l’odierna Tangeri, l’avanzata fu fermata dal Conte Giuliano (un generale dei Goti) e fu costretta a ritirarsi sui monti dell’Atlante. I successi di Uqba lo fecero rimuovere nel 673 da Muhawiyah che temeva la sua fama crescente. Fu sostituito dal comandante ‘Abd Allāh ibn al-Zubayr, un sahabi (compagno del Profeta) in quanto discendente di Abu Bakr, primo califfo, e nipote di Aisha, moglie di Maometto. Ma siamo al 680, alla morte di Muhawiyah, quando scoppiò una nuova feroce guerra civile tra i califfati di Arabia e Siria. Quattro califfi si successero in 5 anni, fino all’arrivo al potere del califfo di Damasco ‘Abd al-Malik ibn Marwān nel 685 (per un certo tempo, dal 683 al 692, vi furono due califfi che governavano su due parti in cui risultò diviso l’Impero islamico e la guerra civile continuò fino alla morte dell’avversario di Marwān, al-Zubayr proclamatosi califfo di La Mecca in quanto discendente di un compagno del Profeta. Al-Zubayr fu decapitato ed il suo corpo fu crocifisso).
Con la fine della guerra civile riprese la conquista musulmana del Nord Africa che fu affidata ad Hassan, all’epoca governatore dell’Egitto, che dovette ricominciare dalla conquista dell’Ifriqiya, nel frattempo ripresa da Bisanzio. Vi fu però una dura resistenza bizantina che inviò truppe da Costantinopoli, navi e soldati dalla Sicilia. A questo esercito si aggiunsero i Visigoti di stanza in Spagna che intravedevano il grave pericolo musulmano premere alle frontiere della penisola iberica. I musulmani furono costretti a ritirarsi alla loro base di Qayrawan. I cristiani ebbero l’illusione della vittoria e festeggiarono inneggiando i simboli della croce ma l’anno successivo i musulmani attaccarono in forze Cartagine incendiandola ed in una successiva battaglia, quella di Utica presso Cartagine, sconfissero i bizantini cacciandoli definitivamente dal Nord Africa. Siamo al 698 quando la maggior parte del Nord Africa era stato conquistato dai musulmani ai bizantini.
Musa, un generale musulmano di origine yemenita, si incaricò di completare alcune conquiste. Nel 700 conquistò Algeri e le isole mediterranee di Maiorca, Minorca ed Ibiza e finalmente, nel 709, con l’esclusione di Ceuta (piccolo enclave nel territorio africano che si affaccia alla Hispania) difesa dal generale goto Conte Giuliano, tutto il Nord Africa era stato conquistato. L’anno successivo anche Ceuta cadde per un accordo tra Musa e Giuliano. Quest’ultimo infatti cercava l’aiuto di Musa per vendicarsi del Re dei Goti, Roderico, per aver violentato sua figlia Florinda. E sembra che questa fu la chiave che aprì ai musulmani omayyadi le terre della penisola iberica. Sempre nel 710 il generale musulmano di origine berbera Tariq ibn Ziyad conquistò Tangeri che divenne il ponte per l’invasione dell’Europa attraverso l’Hispania e nel 711 Musa inviò Tariq ibn Ziyad ad attraversare lo stretto di Jabal al-Ţāriq (Gibilterra)(21), partendo da Ceuta con navi fornite da Giuliano, ed invadere la penisola iberica. Tariq sconfisse l’esercito del sovrano iberico, Roderico dei Visigoti, che morì nella battaglia del Guadalete (luglio 711). Tariq in breve tempo conquistò le principali città della penisola (Cordova, Granada, Malaga, Siviglia) arrivando a Toledo, la capitale, nel 712, e proseguendo verso la Cantabria e Tarragona, conquistate nel 713-714(22). Nello stesso 714 Tariq conquistò Saragoza, Soria e Palencia entrando nelle Asturie fino alla città di Gijon (a questo punto Musa fu richiamato a Damasco). Caddero poi, nel 716, Logroño e Leon e Tariq arrivò fino all’Ebro. Nel 719 furono conquistate Pamplona, Huuesca e Barcellona. Da qui si entrò in territorio de Regno visigoto in Gallia con la conquista di Narbonne (720).

L’Impero musulmano nel 720, dopo il completamento della conquista iniziata da Tariq ibn Ziyad. Da Atlante Storico

L’Impero musulmano nella sua successiva espansione dal 622 al 750 (con estensione al 945). Da Atlante Storico
I MUSULMANI VENGONO DEFINITIVAMENTE FERMATI
A Costantinopoli erano in corso lotte violente per la successione dopo Giustiniano II. Si erano avuti vari deboli imperatori successivamente eliminati in un modo o in un altro. Nel 717 fu un usurpatore di umili origini del settentrione della Siria, Leone, a impadronirsi del trono di Costantinopoli con il nome di Leone III. Dalla sua terra natale, Leone era stato trasferito in Tracia con la famiglia, per fini colonizzatori dell’Imperatore Giustiniano II. Quando questo Imperatore, al quale era stato tagliato il naso, nel 705 passò per la Tracia nel viaggio che intraprese al fine di riprendersi il trono di Costantinopoli, Leone si mise al suo seguito. Giustiniano gli fu grato ed egli poté accedere agli alti gradi dell’esercito, restando al servizio dei successivi imperatori che si susseguirono fino a Teodosio III. Leone prese il potere mettendo fine alle lotte intestine durate 20 anni ed il suo regno durò fino al 741.
Il primo pressante impegno di Leone fu nei preparativi per l’imminente assedio musulmano a Costantinopoli. Già un suo predecessore, Anastasio II, aveva fortunatamente dato il via a imponenti fortificazioni che Leone terminò. Poco dopo infatti, sia per terra che via mare, fu lanciato l’attacco degli eserciti musulmani. Anche stavolta tutti sapevano che se cadeva Costantinopoli vi sarebbe stata l’invasione d’Europa senza alcuna difesa. Anche stavolta gli arabi furono sconfitti da una serie di eventi. Innanzitutto, oltre alla resistenza delle mura, ancora il fuoco greco scagliato contro le navi assedianti, quindi l’attacco di un esercito bulgaro, infine il freddo particolare di quell’inverno aggiunto alla carestia che fece molti morti tra le fila arabe. Un anno dopo l’inizio dell’assedio i musulmani si ritirarono. Ma non terminarono le ostilità, da questo momento solo via terra. Ogni anno, a partire dal 726, vi erano attacchi continui dei musulmani con occupazioni e distruzioni di varie città vicine a Costantinopoli (Cesarea, Nicea, …). Leone riuscì a fermare tutto questo grazie all’alleanza con i Cazari del Caucaso e dell’Armenia, alleanza che sigillò anche con il matrimonio del figlio Costantino, suo futuro successore, con una figlia del Khān dei Cazari (733). Finalmente, nel 740 Leone sbaragliò completamente l’esercito musulmano nella battaglia vicino alla città di Akroinos. Era finito l’incubo. Da questo momento gli arabi attaccarono qua e là ma sempre con minore intensità e mai più puntando a Costantinopoli. Alle porte d’Europa dell’Est erano stati fermati.
Cosa accadeva ad Ovest, dove ormai già l’intera Hispania (a parte qualche piccolo territorio irraggiungibile a Nord, nella cordigliera cantabrica) era stata conquistata ? I musulmani sembrava potessero ormai entrare nelle pianure della Gallia senza alcuna resistenza. Già erano entrati nell’attuale Francia perché il Regno Visigoto che avevano travolto si estendeva anche in quei territori. Musa, ancora nel 714, disponeva di un imponente esercito e si preparava ad attaccare i Regni declinanti dei Franchi (i Re fannulloni Merovingi) e dei Longobardi per arrivare a Roma ad unificare il Dio sugli altari del Vaticano. Come scrive Gibbon, la conquista sarebbe proseguita soggiogando i barbari della Germania. Seguendo poi il corso del Danubio fino alla sua foce sarebbe stato possibile prendere Costantinopoli dal Nord mettendo fine all’Impero Romano d’Oriente. La corte di Damasco si insospettì di questi piani ad ampio respiro di Musa e della fama che lo accompagnava. Il califfo al-Walīd I lo richiamò a Damasco e Musa obbedì. Intraprese il viaggio di ritorno verso la Siria via terra portando con se immensi tesori. Fu dovunque acclamato in vero trionfo fino al suo arrivo a Damasco nel 715. A Damasco una iniziale pena di morte per il presunto reato di malversazione fu tramutata in una multa e nell’allontanamento da ogni incarico pubblico, finché nel 716 non fu assassinato. In Hispania, a Musa seguirono altri governatori (wālī) che durarono però poco per successive congiure, assassinii o rapide sostituzioni. Merita essere ricordato il wālī di Al-Andalus (la vecchia Hispania) nominato nel 730, ‘Abd al-Rahmān ibn ‘Abd Allāh al-Ghāfiqī. A quell’epoca, nel 719, i musulmani erano già arrivati a Tolosa e nel 725 avevano occupato Carcassonne e Nimes. Intanto, nel 720, iniziano gli attacchi alla Sicilia, attacchi che continueranno tra il 727 ed il 753, quando si interromperanno fino all’827 per un periodo di ulteriore guerra civile tra musulmani in Africa.
Al-Rahmān ammassò un grosso esercito, comandato da Abdul Rahman, nel lato spagnolo dei Pirenei atlantici a Pamplona e nel 732 li attraversò nel passo di Roncisvalle penetrando nella regione dell’Aquitania. L’attacco era stato portato in un momento in cui l’esercito del Conte Eudes (noto anche come Oddone), Duca di Aquitania, era impegnato a difendersi dall’attacco da Nord di Carlo Martello, Maggiordomo di Palazzo di Austrasia e Neustria, sovrintendente cioè alle necessità del Palazzo reale dei Ducati Franchi d’Austrasia e Neustria, che tentava la riunificazione del Regno dei Franchi (nel 735, con la morte di Eudes, Carlo Martello mise una forte ipoteca anche sull’Aquitania). Il primo di questi due ducati era quello più a Nord-Est e il più potente dei 4 ducati in cui era diviso il Regno dei Franchi della dinastia merovingia: Austrasia, Neustria, Aquitania, Borgogna, mentre il secondo era a Nord Ovest. Dopo aver attraversato la Garonna e la Dordogna, l’esercito musulmano si scontrò vicino Bordeaux con un esercito cristiano guidato dal Conte Eudes. Questo esercito fu distrutto con un numero di morti gigantesco (732). Anche al Sud, da Narbonne, un esercito musulmano avanzò diritto verso il Rodano ed assediò Arles distruggendo, anche qui, l’esercito cristiano che era venuto in aiuto. L’esercito che aveva vinto a Bordeaux si spinse più oltre arrivando fino in Borgogna ed occupando Lione e Besançon, saccheggiando ogni bene di valore e devastando ogni cosa, soprattutto nei monasteri e nelle chiese che incontrava (in quell’epoca era un sogno vano pensare di trovare ricchezze altrove, a parte naturalmente i palazzi del potere). Lungo questa rotta si trovavano Tours e Poitiers che erano le mete più ambite per quanto si raccontava di ricchezze che si trovavano in quei monasteri dedicati uno a San Martino di Tours (quel santo del mantello …) e l’altro a Sant’Ilario di Poitiers. Commenta sarcastico Gibbon che i santi patroni in oggetto dimenticarono quel potere miracoloso che avrebbe dovuto difendere le loro tombe.
Fu a questo punto che Carlo Martello, figlio illegittimo di Pipino il Giovane (oppure Pipino II) e fondatore della dinastia Carolingia, intervenne. E si discute sul perché tardasse ad intervenire con differenti ipotesi: la prima era lo spirito di vendetta verso Eudes che lo spingeva ad attendere la distruzione dell’Aquitania; la seconda è parto arabo ed afferma che Carlo attendeva che i musulmani fossero carichi di ricchezze saccheggiate e quindi più deboli per attaccarli; la terza e più ragionevole riguarda ragioni di opportunità che consigliavano di preparare bene un esercito, di attendere i rinforzi dei germani e di ammassare uomini prima di andare a scontrarsi con quell’orda infinita resa più potente dalla fame di ricchezze che intravedeva (anche il nemico Eudes portò i suoi armati agli ordini di Carlo). Era la fine di ottobre del 732 quando Carlo marciò contro i musulmani localizzati tra Tours e Poitiers. La marcia avvenne in modo che non fosse notata dietro una catena di colline e l’esercito di Carlo sorprese i musulmani che non se lo aspettavano. Vi furono alcuni scontri parziali e limitati che durarono sei giorni. Sembrava che la meglio andasse ai musulmani. Al settimo giorno vi fu invece lo scontro frontale che vide in primo piano i germani battere sonoramente quell’esercito che pareva invincibile ed uccidere il loro comandante Al-Rahmān. Arrivò la notte e si aspettava un altro scontro per il giorno successivo. Ma in questo lasso di tempo vi furono scontri armati tra diverse tribù musulmane, tra chi voleva restare e chi voleva scappare. Il mattino seguente l’esercito di Carlo non trovò i suoi nemici ed al principio pensò a qualche imboscata ma dopo un poco si convinse che i musulmani erano stati definitivamente sconfitti e messi in fuga.
Vi furono altri tentativi musulmani di invasione. Nel 734 un loro esercito avanzò lungo la valle del Rodano occupando Arles ed Avignone. Fu ancora Carlo Martello(23) che li respinse verso Narbonne (e stessa cosa accadrà nel 738) senza però andare a fondo e liberare anche quel territorio che sarà definitivamente liberato da Pipino il Breve, il successore di Carlo, solo dopo il 750, dopo cioè la definitiva caduta del califfato Omeya di Damasco per le solite lotte interne ai musulmani, questa volta con gli Abassidi (da notare che, sfruttando supposte motivazioni religiose, iniziarono divisioni territoriali nell’Impero arabo. In particolare un omeyyade decretò la separazione della penisola iberica che da quel momento si rese autonoma dal nuovo centro di potere arabo-musulmano, passato da Damasco a Bagdad). Le vicende di Carlo mostrano che i Merovingi, una dinastia morente, si affidavano ormai solo ai Maggiordomi di Palazzo. Le vicende del Regno dei Franchi era sempre più nelle mani dei Pipinidi che attendevano ormai solo la consacrazione ufficiale al Regno. Finalmente, con la morte di Dagoberto I i merovingi erano finiti ed i vari successori si servirono solo dei Maggiordomi di Palazzo per tirare avanti. La vicenda dei Merovingi fu chiusa da Pipino il Breve con il colpo di Stato del 751 che tramutò una situazione de iure ad una de facto (vi era stata una riunione dei grandi personaggi del Regno a Soisson e qui Pipino si fece eleggere Re in luogo di Childerico, ultimo Merovingio che venne poi internato in un monastero).
CONSIDERAZIONI SULL’ISLAM
Scrivono Tabacco e Merlo che la rapidità sbalorditiva dell’espansione musulmana fu il risultato di un connubio potente, mai prima verificatosi, tra la forza aggressiva dei nomadi verso le ricche regioni razionalmente sfruttate dai sedentari e una coesione ideologica permeata di volontà politica conquistatrice. Il connubio si presenta nell’Islam già in radice: in una sintesi determinatasi nella vita del suo profeta armato. Ed aggiungono: Via via che nell’Arabia centrale e settentrionale le tribù più aggressive si andavano orientando, attraverso inte4se ora prevalentemente politiche, ora più schiettamente religiose, intorno a quel capo d’eccezione che era Maometto, la potente somma di aggressività che fin allora ra andata dispersa in una incoerente molteplicità di razzie e contrasti per lo più all’interno del mondo arabo,, veniva convogliata in una guerra-razzia di dimensioni crescenti contro i nemici della nuova fede.
Effettivamente in soli 100 anni l’Islam ha costruito un Impero impressionante che va da Costantinopoli ai Pirenei. Secondo gli storici dietro vi era un doppio movente, da un lato l’unificazione religiosa e dall’altro la voglia di acquisire potere e ricchezza. Naturalmente occorre tener conto di varie differenze, di vari influssi, di varie personalità alla testa dell’Islam. Ma il fondo del movente espansionista era stato certamente delineato da Maometto ed i suoi primi collaboratori. A Maometto si deve infatti una prima stesura del libro sacro dei musulmani, il Corano, che merita una qualche attenzione.
Le vicende che hanno portato all’odierno Corano sono interessanti per capire cosa si può fare con le religioni. Intanto la parola araba Quràn e cioè Corano vuol dire recitazione a voce alta. Questo nome deriva dalla leggenda secondo cui l’Arcangelo Gabriele avrebbe dettato a Maometto il testo delle rivelazioni leggendolo a voce alta da uno scritto nell’alto dei cieli. Questo testo sacro è solo l’ultimo delle 104 scritture che Dio avrebbe rivelato successivamente all’uomo molte delle quali sarebbero state o nascoste o falsificate da ebrei e cristiani (chiamati nel loro insieme nel Corano i popoli del Libro). In una di tali scritture, ad esempio, Gesù avrebbe annunciato l’avvento di Maometto ma essa è stata opportunamente occultata. Tra le scritture che rimangono e che sono riconosciute come dettate da Dio, anche per i musulmani, vi sono: il Pentateuco di Mosè, i Salmi di Davide, il Vangelo di Gesù. L’ultimo libro che Dio ha dettato tramite l’Arcangelo è appunto il Corano. Insomma: non si tratta di una nuova religione ma della stessa unica religione che fu rivelata agli ebrei ed ai cristiani ma che costoro non capirono, non vollero capire e quindi alterarono.
Questo libro, quello che è arrivato a noi oggi, è qualcosa di diverso da quello di Maometto. Studiosi di lingua araba vi riconoscono stili diversi che fanno pensare ad elaborazioni successive, anche perché il materiale è estremamente disordinato. I 114 capitoli (sure) che lo costituiscono alternano argomenti tra loro molto diversi come mitologia e morale, politica, questioni legali e finanziarie, prescrizioni religiose, affari personali di Maometto. Aggiungo io che è estremamente complesso leggerlo (mi riferisco alle traduzioni in italiano, tra l’altro tra loro diversissime) e capire di cosa si stia davvero parlando. Non stupisce che il testo arabo, lo stesso testo, abbia letture così diverse da parte dei musulmani. Le rivelazioni fatte a Maometto, furono trascritte in fogli di pergamena. Alla morte del Profeta, nel 632, furono riviste dal primo califfo ed amico di Maometto, Abū Bakr. In epoca successiva tra il 644 ed il 665, sotto il califfo Othman, il testo del Corano fu ancora rivisto e, finalmente, fu rivisto definitivamente agli inizi dell’VIII secolo quando tutte le versioni precedenti furono distrutte. Da ciò si può capire che tipo di manipolazioni debbono essere avvenute dall’epoca eroica di Maometto a quella in cui l’Impero islamico era alla sua massima espansione (soprattutto perché la ragione sociale dei correttori era radicalmente cambiata). Siamo comunque in epoca in cui la scissione tra sunniti e sciiti era già avvenuta. Per definire il Corano in termini religiosi riporto le parole di Donini:
Il concetto fondamentale del Corano è quello dell’abbandono alla volontà divina, della «sottomissione», o islam, da cui deriva il termine muslim, musulmano, per definire i seguaci della nuova religione. Si ritiene che l’anima sopravviva in forma corporea anche dopo la morte e che nella vita futura il credente potrà godere di ogni sorta di piaceri; ma chi si ostina nell’empietà e nel peccato sarà divorato dalle fiamme infernali. Se gli infedeli oppongono resistenza alla propagazione della nuova fede, devono essere sterminati (la «guerra santa», o gihàd); ma se si sottomettono e accettano di riscattarsi con un tributo, potranno vivere in pace e praticare i loro culti. Di qui una certa tolleranza, che ha caratterizzato nel corso dei secoli alcune grandi società islamiche nei confronti degli stessi Stati cristiani.
Per concludere, l’Islam vede la religione come un modo di vivere, un insieme di comportamenti, una legge, un ideale politico; mancano invece quasi del tutto quelle connotazioni strettamente sacerdotali e liturgiche che appaiono essenziali alla nostra idea di religione. Ciò spiega come l’Islam abbia potuto tradursi, e continui a tradursi anche oggi, in un programma di unificazione politica e d’indipendenza nazionale per la maggior parte dei paesi del mondo arabo. Ma è innegabile, allo stesso tempo, che nelle mani delle classi dominanti e della parte più reazionaria del clero le norme religiose e sociali del Corano si sono rivelate un ottimo strumento per mantenere docili e sottomessi i ceti subalterni in tutta una serie di paesi convertiti alla dottrina di Maometto.
Da parte mia un solo brevissimo commento all’ultima affermazione di Donini, che condivido completamente. Debbo io aggiungere che, purtroppo, le religioni, tutte le religioni, al di là della buona fede dei credenti o fedeli, sono i più formidabili strumenti di potere e di coercizione in cambio, non già di buoni rapporti con un Dio, di un regno paradisiaco per i gerarchi di quella religione in terra. Basta dare un’occhiata alla storia della Chiesa di Roma, alla sua volontà continua di allearsi sempre con i peggiori oppressori del mondo, a quella dell’Islam che è una vera calamità per milioni di persone oppresse dai peggiori regimi reazionari del mondo, a quella dell’Ebraismo sfociata in un Paese teocratico e violento come Israele. Ma ora ritorno a commentare l’Islam, almeno quello che ho trattato da Maometto alla conquista del Regno visigoto di Spagna.
Il gran successo nella conquista così rapida di zone abitate a prevalenza ebraica e cristiana merita un minimo d’indagine. Tralasciando il punto di vista militare, vediamo perché vi fu una sorta di accettazione popolare degli invasori. Il fatto che Allah sia un Dio unico è del tutto evidente ai musulmani ma, contrariamente ai cristiani, i seguaci dell’Islam credono di avere una dote in più rispetto a coloro che hanno altri dei. Sono loro i fortunati che non debbono andare a pietire (o peggio, imporre) conversioni ma tranquilli aspettare le eventuali persone che hanno finalmente capito e desiderano convertirsi. Non sono i musulmani che devono chiedere qualcosa come conversione ai vinti. Si accontentano della sottomissione. Tra i barbari era il vincitore ad andare spontaneamente incontro al vinto. Tra gli arabi accade il fenomeno opposto, sarà il vinto ad andare verso il vincitore. Ciò potrà avvenire solo se spontaneamente il vinto capirà che Allah è unico, che il Corano è il sacro testo, che l’arabo è la lingua santa. Quindi nessuna propaganda o oppressione ma assoluta libertà religiosa, anche per i cristiani monofisiti e nestoriani che erano invece perseguitati dalla casa madre del Cristianesimo. In tutte le zone conquistate dagli arabi erano le suddette religioni a dominare e si può quindi capire che, di fronte alla libertà religiosa garantita, e non per calcolo politico ma per quel senso di superiorità che si ha quando si è convinti di essere i migliori, tutti preferivano accettare tranquillamente il nuovo al duro passato oppressivo. I musulmani si sentivano magnanimi verso dei poveretti che non capivano la grandezza di Allah, accettavano tra loro persone degradate, spregevoli ed abiette. E’ l’infedele, del quale non viene attaccata la fede ma ignorata, che si sente demoralizzato e tenta di riconquistare una qualche dignità mondana, è lui che si dirige verso il musulmano e, nel farlo romper i legami con la sua patria ed il suo popolo. Devo qui ricordare che con l’Ebraismo ed il Cristianesimo non vi era distinzione tra religione e politica con la conseguenza che i dominatori precedenti risultavano oppressori sia religiosi che politici. I nuovi conquistatori garantivano la completa libertà di culto e non chiedevano in tasse più di quanto non chiedessero i bizantini. Perché opporsi ?
I musulmani erano anche pagati da qualcosa che invece era semplicemente disprezzata dai cristiani che, proprio per questo, non si accorgevano di quanto guadagnavano i musulmani. Tutta la scienza, la tecnica, la cultura e l’arte greca, romana e, soprattutto, alessandrina, così ferocemente denigrate e diffamate dalla Chiesa, erano invece assorbite con insaziabile interesse e passione dai musulmani (per la fortuna di noi tutti). Le stesse leggi, norme civili, istituzioni verranno assimilate per governare un impero ingovernabile con i costumi e le usanze tribali.
LA CHIESA, I PAPI, CARLOMAGNO E LA DONAZIONE DI COSTANTINO
Cosa accadeva intanto nel resto d’Europa ? Che sviluppi territoriali e religiosi avevano le invasioni barbare sui territori che vanno da Costantinopoli ai Pirenei, attraverso i Balcani ed il Regno dei Franchi ?
Iniziamo dal vedere come stavano le cose territorialmente alla morte di Eraclio, nel 641, servendoci di una mappa:

Qualche riga più su avevo scritto che l’anno del trasferimento di Maometto da La Mecca a Yathrib (Medina), il 622, è l’anno 1 della nuova era musulmana o Ègira (emigrazione), è lo stesso giorno dell’inizio delle vittorie dell’Imperatore bizantino Eraclio contro i persiani. Finito questo impegno, durato 28 anni, Eraclio iniziò a scontrarsi con i musulmani che premevano da Sud. Nel 641 quando moriva Eraclio, le cose erano radicalmente cambiate: i musulmani occupavano territori strappati ai persiani, attaccavano l’Armenia e la Mesopotamia. Qualche anno dopo, nel 650 (data a cui è riferita la carta), già i musulmani avevano esteso il loro potere a tutti i territori indicati nella carta medesima. Ora però dobbiamo volgere lo sguardo a nord dell’Impero che da Eraclio smette di essere Romano per diventare Bizantino, con l’Italia che, a partire da Giustiniano, diventa provincia dell’Impero d’Oriente con i Vescovi che assumono inizialmente vigilanza e controllo amministrativo ma che pian piano utilizzano queste funzioni per estendere il loro potere in modo capillare.
Sul finire del VII secolo il Cristianesimo era diffuso principalmente nell’Impero bizantino e nelle province d’Italia e di Spagna. A partire dagli inizi del VI secolo anche i Franchi, con il Re dei Merovingi Clodoveo, iniziarono a convertirsi. Le conversioni avvenivano senza alcuna strategia ma improvvisando a seconda delle situazioni. Intanto vi era il problema se intervenire prima nelle campagne e quindi nelle città o viceversa. Se la conversione di un sovrano avrebbe comportato quella dei sudditi. E’ certo che i Papi non fecero nulla di rilevante e che le conversioni furono opera di monaci, prima irlandesi e quindi anglosassoni. Famoso è l’irlandese San Colombano che si mosse, insieme ai benedettini, per l’intera Europa fondando monasteri che, con l’esempio e con opere pastorali, avvicinavano le persone più umili e bisognose di consolazione ed aiuto. Questo tipo di conversione andava bene per Paesi privi di città importanti, come era appunto l’Irlanda, e dove i centri di aggregazione erano proprio e solo i monasteri. Altra realtà era quella di territori con monarchie consolidate dove, tra l’altro, si rischiava di essere quantomeno scacciati facendo opere di conversione che toglievano dei denari al sovrano locale. In questi casi il metodo utilizzato era quello detto di Costantino. Ai sovrani avvicinati si illustravano le vittorie che Costantino aveva avuto subito dopo la sua conversione e quindi si ricorreva all’invocazione magica che nulla aveva a che fare con la fede. Ma i monaci ben sapevano che su queste persone poteva più la superstizione che la convinzione di fede. E fu proprio con questo metodo che venne convertito Clodoveo, quando il suo regno di Franchi (da lui ampliato con successive conquiste di altri regni Franchi e attraverso il matrimonio con la cristiana Clotilde, nipote del Re dei Burgundi) fu attaccato dagli Alamanni di Germania. In questa occasione Clotilde ed il vescovo Remigio impegnarono Clodoveo a convertirsi se avesse vinto (interessante il mercanteggiamento). In ogni caso Clodoveo vinse e si convertì (inizi VI secolo). Questa conversione fu importante perché i germani, a cominciare dai Goti (quindi Ostrogoti e poi Vandali ed infine Visigoti), erano già convertiti al Cristianesimo(24) ma a quello di Ario che garantiva loro una distinzione da Roma (con la caduta dell’Impero fu difficile nei primi tempi distinguere il termine romano da cristiano e, allo stesso modo, era difficile associare il termine barbaro con quello di cristiano). Anche se Clodoveo era convertito all’ortodossia cattolica (ma qui si parla solo di conversioni formali), il dialogo con i Germani divenne molto più semplice (anche se intorno alla metà del V secolo tribù barbare come i Vandali avevano attuato con atrocità verso i cattolici che non si convertivano all’arianesimo). La conversione di Clodoveo fu importante anche per gli effetti a catena che produsse questa volta per ragioni di opportunità politica attraverso legami matrimoniali. Proprio per questo i confinanti Visigoti si convertirono dall’arianesimo agli inizi del VII secolo, epoca in cui i Longobardi in Italia (con Agilulfo e Teodolinda) ebbero una conversione analoga. Un poco più tarda sarà la conversione dei popoli slavi (Bulgari, Ungari e Slavi) dell’Europa centrorientale, per lo più convertiti per l’opera di cristiani bizantini. Tale conversione passò anche qui per i vertici politici di popoli che erano in grandissima maggioranza nomadi e produsse l’effetto di trasformare il nomadismo in strutture stabili perché stabili erano le strutture religiose che operavano in quelle terre (ed anche perché si passava da differenti dei per differenti popolazioni ad un unico Dio che risultava unificante). Effetto secondario e non previsto fu la maggiore forza che poterono presentare tali popolazioni nel loro irrompere nell’Europa mediterranea come conquistatori.
Con l’espansione del Cristianesimo si accentuarono pratiche che con Gesù non avevano nulla a che fare (ed ormai a quest’epoca davvero è puro atto di masochismo tentare di trovare nel Cristianesimo un solo ricordo di Gesù). Il culto dei santi(25) si estendeva e con esso si facilitavano le conversioni perché ogni villaggio ritrovava o si ricostruiva il proprio Dio locale, ogni malato il protettore dell’organo offeso, ognuno con le sue simpatie. Vi è molto di più perché il culto dei santi estese a dismisura quello delle reliquie per cui ci si legava a pezzetti di qualcosa (corpo, ossa, vestito, utensile) per affermare la fede, tornando alle consuetudini e pratiche magiche da sempre dominanti. Legato allo spappolamento del Cristianesimo primitivo, vi è anche il culto delle immagini che era vietato nei Dieci Comandamenti originali, opportunamente riscritti da zelanti cattolici(26). Infine i miracoli, il miracolo dei miracoli truffaldini e buffoneschi, che avevano un infinito potere di convinzione presso popolazioni superstiziose ed ignoranti.
Per quanto riguarda le gerarchie ecclesiastiche, particolarmente in Italia, dalla fine del VII fino alla metà dell’ VIII secolo, si alternarono molti Papi, alcuni dei quali per un tempo brevissimo ed altri per l’inutilità della loro presenza. Solo pochi ebbero ruoli di rilievo per l’invenzione dei suddetti miracoli e per la risoluzione di problemi con l’Oriente e con i barbari occupanti. Questo periodo è caratterizzato dal verificarsi di alcuni fatti storici che ebbero notevole rilevanza sullo sviluppo del papato. Mentre Costantinopoli premeva sempre di più sulla Chiesa di Roma per toglierle il primato ed anche il potere temporale, la Chiesa non restava inerte e cercava di crearsi spazi di manovra ad Occidente, particolarmente verso il regno dei Franchi (27). La dinastia Merovingia era praticamente finita con l’ultimo discendente pensante di Clodoveo, Dagoberto II assassinato nel 679. Altri discendenti, quando non erano fanciulli, risultarono totalmente inetti e tarati mentali. Il trono finalmente passò, sotto forma di gerenza e con il sostegno della Chiesa francese, ad un rappresentante della famiglia Heristal, Pipino, un Maggiordomo di Palazzo facente parte di quella categoria di funzionari che assunsero sempre più un ruolo decisivo a fronte di una monarchia morente. Alla morte di Pipino gli successe il figlio Pipino II ed a questo Carlo Martello che impose la sua personalità e la sua competenza militare con una impresa rilevante, l’aver bloccato l’avanzata arabo musulmana a Poitiers, come visto. La minaccia musulmana era la più grande che la Chiesa avesse mai avuto dai tempi di Costantino. La Chiesa, circondata da musulmani e Longobardi e con problemi continui con l’Impero d’Oriente, aveva bisogno di un esercito che operasse in suo nome a sua difesa ed a tale fine l’esercito dei Franchi sembrava essere quello con le caratteristiche richieste: il più forte sul campo e guidato da un Re condottiero cattolico ortodosso.
A questo punto compare un documento clamoroso, il Constitutum Constantini più noto come la Donazione di Costantino. Questo documento, suddiviso in due parti, vede nella sua prima parte il racconto della guarigione dell’Imperatore Costantino dalla lebbra grazie a Papa Silvestro I, la sua conversione e la sua professione di fede. Vi è ribadita l’autorità trasmessa, mediante la simbolica consegna delle chiavi, da Dio a Pietro e da questi ai suoi successori «eleggendo il principe degli apostoli e i suoi vicari a nostri protettori presso Dio». La seconda parte contiene invece l’atto di donazione che Costantino fa alla Chiesa dell’Impero romano d’Occidente. Il documento, come fu dimostrato da Lorenzo Valla (1406-1457) nel 1440, è un falso clamoroso realizzato tra il 714 ed il 750 (Carlo Martello era allora morto da circa 10 anni e esercitava il potere suo figlio Pipino III, detto il Breve). Questo falso documento fu presentato per la prima volta nel 754 da Papa Stefano II a Pipino il Breve per chiedergli aiuto contro Astolfo, Re dei Longobardi, che era deciso alla conquista dell’Intera Italia avendo iniziato a marciare su Roma (fu fermato per una tregua dietro il solito pagamento di tributi). E Pipino in cambio di titoli ecclesiastici (e con il figlio Carlomagno che divenne Capo del Sacro Romano Impero), promise a Stefano II (768-772), per mezzo del suo legato Fulrado, abate di Saint-Denis, le province dell’Esarcato e della Pentapoli, quando fossero state sottratte ad Astolfo. Quelle terre gli spettavano di diritto secondo la donazione di Costantino.

La situazione in Europa e nell’Islam nel 750
L’impegno di Pipino era rilevante perché lo impegnava a rompere l’alleanza con i Longobardi; la parte relativa ai rapporti con Costantinopoli non preoccupava perché sarebbe stata risolta con il Constitutum. Sottoposto il problema all’assemblea dei nobili Franchi ebbe il via. In cambio Pipino, sua moglie Bertrada ed i figli Carlo e Carlomagno, furono unti dalla Chiesa e Pipino fu riconosciuto Re per grazia di Dio (28 giugno 754). Ciò voleva dire che sarebbe stato scomunicato chiunque avesse tentato di mettere sul trono di Francia persona che non provenisse dalla dinastia carolingia. L’intera famiglia fu poi insignita del titolo di patrizi dei romani. Dopo questa cerimonia Pipino partì per l’Italia insieme al Papa. Astolfo fu sconfitto e, dopo un breve periodo di assedio a Pavia, cedette alla pace ed alla cessione delle terre occupate alla Chiesa. In realtà Astolfo aspettò che Pipino si ritirasse in Francia per attaccare di nuovo Roma. Il Papa scrisse a Pipino indignato e, dopo qualche tergiversare, ottenne il ritorno del medesimo in Italia. Astolfo fu di nuovo sconfitto e cedette definitivamente le terre che occupava alla Chiesa (gli restò solo Pavia). Comunque nel 757 Astolfo morì e suo figlio Desiderio comprese la situazione facendosi amico del Papa non con preghiere ma promettendogli in regalo alcune città (sic!) che erano ancora in suo potere (Bologna, Imola, Osimo, Ancona, Faenza e Ferrara). Intanto nel 756 veniva suggellato il patto di alleanza tra il Franchi e il papato con la fondazione dello Stato pontificio. Finiva così il dominio bizantino in Italia e grazie all’intervento franco, si dava luogo alla formazione di un potere temporale del papa nell’Italia centrale. Osservando le cose con maggiore attenzione si scopre che con i Carolingi l’Europa subisce dei profondi cambiamenti passando da una statica antichità a dover affrontare l’urgenza dell’Islam che impone un cambiamento degli equilibri. Ciò ha avuto un riflesso plastico nel colpo di Stato che dai Merovingi ha portato ai Carolingi, cambiamento che non deve essere inteso quasi fosse una naturale successione ma un vero e proprio strappo che conduce ad una nuova epoca.
Intanto, in Vaticano, Papa Stefano II era sul letto di morte che già si erano scatenate lotte furibonde per quel trono. Da un lato vi era il partito di coloro che volevano rapporti più stretti del Papato con l’Imperatore d’Oriente, il partito bizantino, che sul piatto offriva l’arcidiacono Teofilatto e dall’altro vi era il diacono Paolo, fratello del Papa morente che era un naturale continuatore della politica di Stefano aperta al regno dei carolingi. L’ebbe vinta Paolo che divenne Papa Paolo I (757-767).
Si strinsero i rapporti con Pipino il Breve, che fu qualificato dal Papa come nuovo Mosè e David, e ripresero le tensioni con i Longobardi poiché Desiderio non aveva mantenuto la promessa di cessione delle città. Mentre accadeva ciò, l’Impero d’Oriente sollevava questioni teologiche che assunsero un aspetto di notevole importanza perché legato al culto delle immagini. Le Tavole della Legge che Dio dettò a Mosè dicevano espressamente due cose: Dio è il solo Dio da venerare; non si dovevano fare sue immagini. In Occidente le cose andarono (e vanno) invece con le immagini onnipresenti e debordanti. Ebbene, la Chiesa d’Oriente fece un ulteriore Concilio a Costantinopoli nel 754 per ribadire la condanna del culto delle immagini. E, questa volta, l’Imperatore bizantino Costantino V, saltando il Papa, inviò dei messi a Pipino per convincerlo ad adottare le decisioni di quel Concilio. Pipino non cedette e la questione delle immagini fu regolata nel 767 in un Concilio che ufficialmente le ammise. Anche le vicende di Desiderio si sistemarono con le promesse cessioni in cambio di altre concessioni terriere della Chiesa. Ma il peggio iniziava con la morte di Paolo. I laici avevano capito che accedere a quel soglio avrebbe dato immenso potere ed inestimabili ricchezze. Poiché tutto era ed è corrompibile da parte dei potenti e poiché vi sono sempre potenti che vogliono esserlo di più, la morte di Paolo I generò disordini grandi e vicende che resero di fatto la sede di Roma vacante per oltre un anno. Lo stesso giorno della morte del Papa ve ne fu un altro eletto dalla potente famiglia del Duca di Nepi, Totone. Si trattava di Costantino, fratello del Duca che neppure era un chierico ma un semplice laico. Fu un’elezione lampo che ebbe anziché alti prelati come contorno, armati fino ai denti che minacciosamente imposero Papa Costantino. Gli eventi divennero torbidi perché alcuni prelati si rivolsero a Desiderio per denunciargli la situazione di illegalità. Desiderio era ben felice di poter mettere il becco su una elezione papale ed intervenne a Roma dove riuscì ad ammazzare Totone (768) e ad imprigionare Costantino. Venne preso un presbitero filolongobardo di nome Filippo ed in un batter d’occhio fu fatto Papa, Papa per un giorno. Dopo questi 13 mesi di Papi a go go, ci si accordò per Stefano III (768-772) come Papa accettabile da tutti, non senza aver cavato gli occhi a Costantino e a tutti coloro che egli aveva eletto a qualche carica (Filippo fu solo rinchiuso in un convento). Un vero giudizio veterotestamentario di Dio.
Seguì un Papa eletto in modo normale, il nobile Adriano I (772-795) che lavorò per legare il Papato ai Franchi riuscendo a divenire succube di Carlo, figlio di Pipino il Breve. Ma Adriano I è il primo Papa della saga di Tuscolo (una cittadina sulle colline che circondano Roma) che, in breve tempo, darà, con armi e simonia, ben 24 Papi alla Chiesa, tutti timorati di Dio e fedeli interpreti degli insegnamenti di Gesù, come vedremo. Si occupò anche di iniziare ciò che i romani pagano ancora oggi, la corsa alla proprietà terriera della campagna romana da parte di Papi, Cardinali e parenti vari (la nobiltà nera). Ad Adriano seguì il Papa di Carlomango, Leone III (795-816), che fu ancora eletto in modo normale ed addirittura all’unanimità. Questo Papa si rese subito disponibile con il Regno di Francia il quale però, con Carlomagno, disponibile non era se non a certe condizioni. In pratica Carlomagno si metteva a disposizione della Chiesa per la sua difesa contro ogni nemico e riconosceva alla stessa ogni autorità in fatto di fede ma manteneva per sé ed il suo regno ogni altro potere. Con tale accordo, il Papa arrivò ad incoronare, la notte di Natale dell’800, Carlomagno (il nuovo Costantino, il nuovo Augusto) come Imperatore del Sacro Romano Impero. Da una parte un Re era elevato al trono da una investitura divina e dall’altra alla Chiesa veniva il prestigio di aver incoronato un potente del mondo. La diarchia nacque lì e si fortificò in futuro: da una parte il braccio armato e dall’altra il braccio spirituale. Con l’Oriente che era privo in quel momento di Imperatore le cose si ponevano come se Carlomagno fosse diventato l’analogo occidentale. Con la Chiesa le cose erano meno idilliache di quel che il Papa pensasse perché Carlomagno si considerava padrone di tutto, compresi i territori italiani che cedette come regno a suo figlio Pipino. Ciò che è d’interesse riguarda l’intromissione del Re dei Franchi anche in questioni teologiche che impose, analogamente a quanto fatto da Costantino. Ancora sulla questione trinitaria, in un Concilio che il Re convocò ad Aquisgrana nell’809, risultò che lo Spirito Santo procedeva dal Padre e dal Figlio, mentre nel Credo di Costantino il Grande, lo Spirito Santo procedeva dal solo Padre. La Chiesa non recepì le conclusioni di questo Concilio per paura di altri scontri gravi con la Chiesa d’Oriente. Ma così vanno le cose nella Chiesa di Roma. A questo rifiuto teorico seguì nella pratica l’allineamento con questo Spirito che discende da Padre e Figlio. La morte di Carlomagno nell’814 sembrò un sollievo per il Papa, sembrò che ora poteva riprendersi beni, potere ed autorità. Non fu così ma l’inizio di ulteriori scontri a Roma, nei territori cristiani e nell’Impero tra fazioni, scontri sempre al calor bianco, con morti, devastazioni e condanne a morte.

L’Europa e l’Islam, ormai diviso in diversi califfati, nell’814, alla morte di Carlomagno
Ed eravamo solo agli esordi perché iniziavano ora i 700 anni di guerre per la Reconquista di Spagna e si iniziavano ad incubare le Crociate, compresa quella europea contro gli Albigesi.
Roberto Renzetti
NOTE
(1) Papa Damaso (366-384) è il primo Papa che viene eletto in mezzo a lotte furibonde tra i seguaci di due candidati, lo stesso Damaso e Ursino (argomento del contendere era l’essere o meno concilianti con gli eretici pentiti e con i seguaci dell’antipapa Felice II). I due vennero eletti simultaneamente vescovi di Roma in due Basiliche romane: in Santa Maria in Trastevere venne eletto Papa Ursino che: era contrario alla mitezza che era stata mantenuta da Liberio con eretici e seguaci di Felice; rimproverava a Damaso di essere stato un sostenitore di Felice e … di avere il sostegno delle nobildonne romane; in San Lorenzo in Lucina veniva eletto Papa Damaso, un patrizio spagnolo. La maggioranza degli elettori era con Damaso ma Ursino resistette. Per tre giorni vi furono scontri violenti con molti morti, finché non vinse il partito di Damaso. Iniziavano, per la prima volta con tutta evidenza, le brame di potere per esaudire le quali ogni mezzo diventò lecito. Scrive in proposito Rendina, citando tra l’altro lo storico pagano Ammiano Marcellino:
«L’ardore di Damaso e Ursino per occupare la sede episcopale superava qualsiasi ambizione umana. Finirono per affrontarsi come due partiti politici, arrivando ad uno scontro armato con feriti e morti; il prefetto, incapace di impedire o soffocare il tumulto, dovette tenersi fuori dalla mischia. Damaso ebbe la meglio: la vittoria, dopo molti assalti, arrise al suo partito; nella basilica di Sicinnio, dove i cristiani erano riuniti, furono trovati 137 morti, e passò molto tempo prima che gli animi si calmassero. Non c’è comunque da meravigliarsi, considerando lo splendore di Roma, che un premio così ambito accendesse il desiderio di uomini maliziosi e determinasse le lotte più feroci e ostinate. Una volta raggiunto quel posto, si gode in santa pace della fortuna assicurata dalle donazioni delle matrone, si va in giro su un cocchio vestiti elegantemente, si partecipa a banchetti il cui lusso supera quello della tavola imperiale».
Del resto questo malcostume ecclesiastico non è denunciato soltanto da uno scrittore pagano come Ammiano Marcellino, portato evidentemente a calcare la mano su certi avvenimenti; San Girolamo, sempre nei confronti di Damaso, di cui era segretario, ricorda che da vescovo aveva tentato di convertire il prefetto di Roma, Pretestato, e si sentì rispondere con una frase che rifletteva una certa mentalità diventata evidentemente un luogo comune: «Senz’altro, però voglio essere eletto vescovo di Roma!».
E San Girolamo ancora è fonte di altri particolari che documentano la vasta degenerazione dei costumi ecclesiastici. «Ci sono alcuni che si fanno consacrare diaconi e preti solo per poter fare visita liberamente alle donne», denuncia in un suo scritto. «Pensano solo a vestirsi bene e profumarsi di mille odori. I calzari devono essere perfetti. Si arricciano i capelli col calamistri; le dita sono sfolgoranti di anelli e per timore di sporcarsi le scarpe di fango li vedi camminare come in punta di piedi. A guardarli andare in giro in questo modo li prendi più per vagheggini che per chierici. L’operosità e la scienza di molti consiste esclusivamente nel conoscere nomi, case e tenore di vita delle matrone».
Una delle imprese di Damaso che va ricordata è relativa allo Spirito Santo. Sotto il suo regno, si celebrò il Concilio di Costantinopoli del 381 in cui venne affermata la divinità dello Spirito Santo. Meno male, altrimenti avevamo una Trinità sbilenca.
Riguardo agli antipapi che già davano bella mostra di sé. Felice II (355-365) è il terzo antipapa. Gli altri due furono Ippolito (217-235) e Novaziano (251). Felice fu fatto eleggere dall’Imperatore Costanzo che aveva fatto arrestare il Papa Liberio (352-366) per controversie politiche legate anche all’arianesimo. Stranamente questo antipapa risulta nell’elenco dei Papi della Chiesa offerto dal Liber Pontificalis e compare anche raffigurato tra i Papi della Basilica di San Paolo. Papa Liberio verrà liberato nel 358 e Costanzo gli chiede di condividere il Papato con Felice. Sarà il popolo di Roma a decidere, con una rivolta, per Liberio che considerava un buon Papa.
(2) Lo gnosticismo, movimento molto complesso ed articolato in diversi filoni, iniziò a svilupparsi nel II secolo. Per iniziare ad intuire di cosa si tratti si può far riferimento al nome, di origine greca, gnosi (γνῶσις), che vuol dire conoscenza. Un riassunto quindi della parola gnosticismo potrebbe essere come raggiungere la salvezza attraverso la conoscenza.
La ricerca sulle antiche origini del pensiero gnostico sono ancora argomento di serrata discussione. Nello gnosticismo si intravvede il confluire di diversi elementi filosofici, culturali e religiosi. Si tratta di una sorta di sincretismo tra antichi culti misterici di provenienza orientale (Iran ed India) già presenti nella religione che si sviluppò a Babilonia dopo la conquista dint-size: 14pt”> (539 a.C.). Ad essi via via si sono aggiunti: l’astrologia magica, lo zoroastrismo, l’ermetismo, la cabala ebraica, … Ciò solo basterebbe a mostrare che questo movimento nacque indipendentemente dal Cristianesimo e che solo successivamente vi fu una sorta di fusione con esso. Successivi contributi allo sviluppo dello gnosticismo vennero dalla filosofia greca, a partire da Platone, e quindi dall’ellenismo di Alessandria d’Egitto. Tutto ciò è argomento di dotte ed approfondite discussioni con un elemento che sembra accertato, l’influenza ellenistica in quanto molti dei testi di cui disponiamo di letteratura gnostica, in lingua copta, sono stati trovati in Egitto aNag Hammâdi nel 1945.
Per quel che ci riguarda è interessante vedere e capire le intersezioni tra Gnosticismo e Cristianesimo. Gli gnostici avanzavano la teoria della dualità tra mondo materiale e mondo spirituale, mondi in dura contrapposizione tra loro. Questa era anche la visione di Marcione, e per questo considerato gnostico, ma qui andiamo oltre perché la visione del Dio del Vecchio Testamento, il Dio giusto, come Dio superato da quello nel Nuovo Testamento, il Dio clemente. Qui siamo di fronte alla considerazione di quell’antico Dio che diventa un malvagio Demiurgo, una entità che proprio per aver creato il mondo materiale dei peccatori e degli errori, è malvagio. Ciò vuol dire che la salvezza si deve conseguire lottando contro le potenze responsabili della creazione del mondo che sono più spregevoli che sinistre. Il mondo creato da loro in imitazione illegittima della creatività divina e come prova della loro propria divinità, è di fatto una dimostrazione della loro inferiorità sia nella sua costituzione che il suo governo [Jonas]. Contro questo demiurgo del mondo responsabile anche delle potenze inferiori che generano paura, l’anima tende a sfuggire utilizzando il sacramento che la rende invisibile a queste potenze inferiori malvagie. Tutto questo e molto altro comporta un atteggiamento contrario alla Legge mosaica ed il ripudio del Dio del Vecchio Testamento. Tra gli gnostici iniziò a svilupparsi l’idea che quel primo Dio non poteva essere il responsabile della creazione la quale doveva essere di un potere molto lontano e separato che neppure aveva conoscenza di quel Dio. E, come scrisse Ireneo [I. 26, 1], Cristo fu il primo a predicare nel mondo il Padre sconosciuto. Il sostegno a queste tesi è anche rintracciabile in Matteo e Luca nel Nuovo Testamento:
25 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. [Mt. 11, 25-27]
21 In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. 22 Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». [Lc. 10, 21-22]
E’ la ricerca e lo svelare questi segreti, queste cose nascoste, che Dio (quello clemente) ci permette o meglio che permette a chi entra in questo contatto spirituale con lui.
(3) Altri punti ritenuti eretici nel pensiero di Origene erano: la pre-esistenza delle anime; il libero arbitrio per raggiungere la salvezza; la ciclicità delle esistenze umane e la reincarnazione. l’universalismo, il fatto cioè che tutti, angeli, uomini o diavoli, verranno salvati; l’esistenza di infiniti mondi prima e dopo quell’attuale; l’interpretazione allegorica e non letterale di alcuni passi della Bibbia, soprattutto della Genesi.
(4) Il manicheismo era una nuova eresia che preoccupava molto l’ortodossia per la sua rapida espansione in Oriente ed Occidente. Nasceva dal pensiero del persiano Mani (il nome sembra sia il titolo di una persona che è uno spirito superiore), che la aveva sviluppata nella seconda metà del III secolo sulla base di un’intersezione sincretica tra Cristianesimo, gnosticismo e religioni orientali (principalmente il buddhismo e la religione misterica di Mazda). Nel pensiero di Mani era la ragione e non la fede in dogmi che portava alla divinità. Con la ragione era possibile capire l’intero cosmo e le sue finalità. In definitiva la salvezza si conseguiva solo con la conoscenza. Anche su questa eresia avevamo perso tutti i documenti fatti sparire dai cristiani. Solo un paziente lavoro di storici e studiosi ed il ritrovamento di documenti nel Turkestan cinese nel XIX secolo ha permesso di ricostruire del basi del manicheismo precedentemente note solo attraverso citazioni dei nemici cristiani.
La dottrina manichea in somma sintesi è basata sul principio dualista del confronto tra il Bene ed il Male, tra il regno del Bene, comandato da Dio Padre e il regno del Male, comandato dal Principe delle Tenebre. Ciascuna di queste due entità si manifestava sotto forme diverse. Dalla lotta mortale tra Bene e Male, dagli scontri che nel passato si sono susseguiti, il Bene fu costretto a emanare una Madre di Vita che a sua volta emanò l’uomo. L’uomo ebbe bisogno di una seconda emanazione del Bene, lo Spirito di Vita e quindi di una terza, un Messaggero il quale continuò la lotta contro il Male. Da questo scontro nacquero i due fanciulli di nome Adamo ed Eva. Fu quindi necessario al Bene mandare un Salvatore della discendenza di Adamo ed Eva (attenzione si parla di Salvatore e non di un Dio terreno come Gesù). Occorreva dominare i desideri carnali per poter purificarsi e salvarsi. Inoltre, i più ascetici, i Perfetti (distinti dai semplici Uditori), non potevano avere alcuna proprietà, mangiare carne o bere vino, avere rapporti sessuali, svolgere qualsiasi attività lavorativa, praticare la magia o altre religioni.
(5) Il monofisismo (dal greco monos e fusis, e cioè unica natura) era un’altra interpretazione trinitaria secondo la quale il Figlio aveva la stessa natura del Padre, era cioè un Dio. Con ciò andava a sparire la sua natura umana. Questa eresia risaliva al vescovo Apollinare di Laodicea che la aveva sviluppata sul finire del IV secolo. Era stata poi ripresa e sviluppata dall’abate Eutiche nella prima metà del V secolo. La natura umana di Cristo era spiegata da Eutiche come una trasformazione divina. In un processo del 448 per eresia contro Eutiche egli spiegò che Cristo prima dell’Incarnazione aveva certamente in sé due nature (divina ed umana) ma dopo l’Incarnazione si era avuta una trasformazione in una sola natura divina. Anche Papa Leone Magno (inizialmente) disse di non trovare nulla di sbagliato in quanto sosteneva Eutiche. Ma poi, nel 449, aderì alla condanna del monofisismo, stolto ed innaturale errore.
(6) Il Concilio di Calcedonia del 451 fu convocato dai nuovi regali di Costantinopoli, la fondamentalista cristiana Pulcheria sorella maggiore di Teodosio II e l’ufficiale germanico Marciano suo sposo. Il matrimonio fu realizzato per motivi di potere solo perché Pulcheria aveva bisogno di un alleato. Infatti aveva fatto voto di castità ed il matrimonio con Marciano avvenne perché quest’ultimo si era impegnato a rispettare il voto di castità di Pulcheria. Naturalmente la transizione non fu semplice ma conseguenza di dure lotte con Crisafio che era l’eunuco consigliere di Teodosio II, ma in realtà colui che regnava al suo posto. Tra l’altro Crisafio riuscì a scongiurare l’attacco degli Unni di Attila che nel 447 erano arrivati sotto le mura di Costantinopoli. La rinuncia di Attila si deve alle enormi quantità d’oro che ebbe da Crisafio e sembra che da qui discenda il motivo della sua morte che venne dopo che aveva perso il potere: la popolazione lo ammazzò a sassate per l’enorme aumento di tasse. Pulcheria morì nel 453.
(7) Un grave danno sembra comunque si sia avuto perché Leone, tornato a Roma, per ringraziare Dio dell’accaduto, fece fondere la statua di bronzo dedicata a Giove per realizzare la statua di bronzo di San Pietro esistente ancora oggi in San Pietro.
(8) Valentiniano molestò la moglie Anicia del senatore Massimo. Quest’ultimo si vendicò uccidendo Valentiniano e divenendo imperatore. Morta Anicia, Massimo sposò Eudossia II, moglie di Valentiniano e figlia dell’Imperatore d’Oriente Teodosio, che nulla sapeva dell’assassinio di Valentiniano. Quando seppe cosa era accaduto, Eudossia si rivolse di nascosto al capo dei Vandali, Genserico, chiedendogli di invadere la città.
(9) Mentre regnava Gelasio, in Francia accadevano cose che sarebbero diventate rilevanti in futuro, anche per i rapporti con la Chiesa di Roma. Il regno franco occupava allora zone che comprendevano parte dell’attuale Francia e dell’attuale Germania. Nel regno vi erano importanti comunità cristiane e vescovati, tra i quali il più importante era Reims. All’epoca di Gelasio, Reims era retto da Saint Remy ed il regno dal Re pagano Clodoveo I (che regnò dal 481 al 511), membro della dinastia dei merovingi, famiglia fondata da Meroveo, considerato un semidio e rappresentante di una tribù germanica che adorava una Dea Madre che i romani avevano identificato in Diana. Clodoveo intraprese una vasta campagna di conquista che lo portò ad estendere il suo potere in gran parte d’Europa (gran parte dell’attuale Francia e degli attuali Paesi Bassi insieme a molti piccoli regni confinanti) fino a renderlo il più grande dominio barbaro in Europa che andava a confinare con il Regno d’Italia degli Ostrogoti di Teodorico e con la Spagna dei Visigoti. Questa situazione era vantaggiosa per la Chiesa di Roma perché aveva ai suoi confini un re pagano (ma sposo di una cristiana del Regno di Borgogna con grande influenza su Clodoveo, Clotilde il cui confessore era Saint Remy) nel cui regno i cristiani erano maggioranza e, comunque, in cui l’arianesimo non era entrato. Per buon peso Clodoveo si convertì (496) fornendo alla Chiesa una estensione territoriale di influenza enorme. Clodoveo fu chiamato, dopo la conversione, il Nuovo Costantino e già la Chiesa aveva mire per la sua espansione in quei territori che la avrebbero portata abbastanza presto alla costituzione del Sacro Romano Impero. Alla morte di Clodoveo nacquero e seguirono per moltissimi anni, lotte sanguinose per la successione tra mogli, figli e figlie e parenti vari. La Chiesa era sempre pronta a schierarsi con il vincitore con un particolare. prima del suo schieramento la Chiesa si poneva come mediatrice guadagnando terreni, preziosi e prebende da ambedue i contendenti. I peggiori crimini erano perdonati … bastava pagare. In tal modo anche la Chiesa di quel regno aumentava in modo incredibile la sua ricchezza ed il suo status.
(10) Per semplicità inizio da qui, dall’inizio del VI secolo, a chiamare Papa il vescovo di Roma anche se la cosa diventerà una scelta ufficiale della Chiesa a partire da Papa Gregorio VII. Si veda in proposito il mio precedente articolo, I “santi” imbroglioni.
(11) Sotto questo Papa iniziò l’importante esperienza ed esempio di vita di San Benedetto. Vi sarebbe qui da discutere la grande esperienza del monachesimo e dell’ascesi, anche se tale pratica non aveva nulla a che fare con l’insegnamento evangelico di Gesù che amava vivere in mezzo al prossimo (la vicenda dell’esilio nel deserto è solo una concessione ad altri culti) ma piuttosto con esperienze religiose orientali. Va comunque detto che le esperienze monacali intendevano ricostruire delle comunità di uguali che fossero autosufficienti e dediti al lavoro materiale ed intellettuale. La Regola di San Benedetto, la famosa Ora et Labora è esemplificativa. Per la prima volta in Occidente si ripudiava l’avversione platonica al lavoro manuale e lo si integrava a pieno titolo con quello intellettuale. L’insegnamento di Benedetto assunse il significato di una grande rivoluzione. Inoltre il suo esempio di vita umile e dedita ai bisognosi era di scandalo per una Chiesa corrotta fino al midollo. Non a caso Benedetto fu oggetto di un tentativo di assassinio da parte del clero di Subiaco (Vicovaro e Mandela). Da questo momento il grande pensatore abbandonò l’eremo di Subiaco, dove ancora esistono due suoi monasteri, che sono qualcosa di incredibile per bellezza e immersione storica, per andare a fondare il monastero di Montecassino. Al di là però di figure distaccate come quella appena delineata, il bisogno di egualitarismo e di vita comunitaria è stata sempre una grande aspirazione delle comunità di cristiani fin dalle loro pure origini. L’avvento del monachesimo sarebbe potuto essere un’occasione per ritornare alle origini sane del Cristianesimo. Così non fu ed i monaci, sempre presentati come esempio ma mai imitati dalle gerarchie, furono sempre avversati perché pericolosi nel confronto con abiti regali e vita lussuosa e lussuriosa dei capi della Chiesa. La stessa esperienza di San Francesco è indicativa di cosa accadeva nella Chiesa. Dopo i massacri che erano stati fatti di ogni istanza pauperista (eretica per Roma) con le violenze e le uccisioni ad esempio dei dolciniani, alla Chiesa serviva avere un docile movimento pauperista. In tal senso il giullare Francesco serviva bene allo scopo ed nche per inaugurare la vergogna della doppia morale (una per i monaci e l’altra per le gerarchie). Rivendicava la povertà ma solo per sé (ci mancherebbe che la rivendicasse anche per il Papa come faceva ad esempio Dolcino). Tanto è vero che i francescani si spaccarono e solo i fedeli al giullare restarono con la fiducia del Papa che, anzi, li nominò come inquisitori a lato dei domenicani a difesa della fede. Quelli che non si riconobbero nei cedimenti divennero eretici.
(12) Giustiniano era sposato con Teodora (497-548) delle cui imprese vergognose ci informa Procopio di Cesarea nelle sue Storie segrete. Figlia di un guardiano d’orsi all’ippodromo, già da ragazza spingeva i visitatori del circo a pratiche lussuriose e contronatura con giovanetti. Passò poi in un bordello a fare osceni servizi pagani e a partecipare ad inenarrabili orge. Gli aborti per lei erano un momento di piacere che prolungava il piacere. Era corrotta, indegna, libidinosa, un incrocio tra una prostituta di infimo rango, un pagliaccio in gonnella ed una cabarettista. Questo orrore, istoriato nella Basilica di San Vitale a Ravenna, divenne la sposa di Giustiniano condividendo con lui la passione per la teologia.
Una delle cose per cui Giustiniano sarà ricordato per sempre come sciocco, ottuso ed ignorante fu la sua decisione di chiudere (529) l’ultimo baluardo della cultura in Occidente, la Scuola di Atene, l’Accademia. Per buon peso ne confiscò il patrimonio, così che i filosofi neoplatonici abbandonarono la secolare scuola e si trasferirono in Persia, presso l’Accademia reale di Gondishapur. Ormai era possibile conoscere la filosofia greca solamente attraverso il filtro di Aristotele. E queste sarebbero le radici cristiane ?
(13) L’episodio è riportato nel Corano in un modo che io ritengo un poco oscuro. Nella sura (o capitolo) 96 ai versetti 1-5, si legge:
1. Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato,
2. ha creato l’uomo da un’aderenza.
3. Leggi, ché il tuo Signore è il Generosissimo,
4. Colui Che ha insegnato mediante il calamo,
5. che ha insegnato all’uomo quello che non sapeva.
Secondo il curatore della traduzione, Hamza Piccardo, questi versetti si inseriscono nella storia seguente: [Maometto] si era ritirato in meditazione, in una grotta del monte Hirâ, nelle vicinanze della città. In una delle ultime notti del mese, all’improvviso gli apparve una figura umana che gli disse: “Leggi!”. Muhammad rispose: “Non so leggere”, allora quegli lo strinse fortissimamente e insistette: “Leggi!”. Dopo che questo fatto si ripeté ancora una volta la creatura recitò i primi cinque versetti di questa sura affinché, come disse poi l’Inviato di Allah, “le parole fossero scolpite nel mio cuore”. Sconvolto ed impaurito Muhammad fuggì dalla grotta correndo giù dalla montagna, ma una voce risuonò prodigiosamente nell’oscurità della notte: “O Muhammad tu sei il Messaggero di Allah e io sono Gabriele”. Egli alzò gli occhi e vide la forma angelica riempire tutto l’orizzonte.
Il calamo è una pianta aromatica medicinale.
Riguardo al termine aderenza i fedeli di Maometto si sono sforzati di trovare un significato scientifico con dati tratti dall’embriologia. Sempre così, tentare l’impossibile per giustificare una fede che sarà pure degna ma sempre irrazionale. Il riferimento è un tal professor Keith L. Moore che avrebbe mostrato che in realtà quanto veniva detto a Maometto, quell’aderenza che in arabo si dice alaqah, è ciò che accade nell’utero materno. Letteralmente, la parola araba alaqah ha tre significati: (1) sanguisuga, (2) cosa sospesa e (3) coagulo sanguigno. Moore avrebbe mostrato che tutti e tre i significati si accordano alle descrizioni dell’embrione allo stadio iniziale, alaqah (fino a circa 21 gg). Lo stadio successivo dell’embrione è lo stadio mudghah.
Nella Sura 23, ai versetti 12-14, si dice invece come si arriva all’aderenza:
12. In verità creammo l’uomo da un estratto di argilla.
13. Poi ne facemmo una goccia di sperma [posta] in un sicuro ricettacolo,
14. poi di questa goccia facemmo un’aderenza e dell’aderenza un embrione; dall’embrione creammo le ossa e rivestimmo le ossa di carne. E quindi ne facemmo un’altra creatura. Sia benedetto Allah, il Migliore dei creatori!
(14) La parola Islam significa sottomesso (s’intende a Dio). Gli islamici sono i sottomessi a Dio e quindi, in un’altra accezione i salvati. I musulmani (da muslim che vuol dire sottomesso) sono i seguaci della religione dell’Islam e quindi anch’essi sono sottomessi a Dio.
(15) Di Abū Bakr, il Profeta Maometto sposò la figlia Aisha che aveva nove anni (ma sull’età sono riportate diverse versioni che vanno da 9 a 17). Una indegna virago in circolazione al servizio di un Sultano italiano contemporaneo, mosse scandalo in TV per questo. chiamando Maometto pedofilo. Non riporto un mio giudizio ma quello dello storico Gibbon, un puritano della fine dell’Ottocento, che commenta la cosa tra parentesi affermando: tanto precoce è la maturità sessuale in quel clima. Aisha prese comunque il sopravvento sulle altre 8 mogli e 3 concubine di Maometto, ebbe sempre il suo amore e la sua fiducia e, alla di lui morte, fu venerata come la madre dei fedeli. Si deve osservare che il Corano, che condanna il celibato, prevede per il fedele un massimo di 4 mogli ed un numero indeterminato di concubine (per gli schiavi le mogli sono 2). Maometto ebbe 9 mogli perché glielo aveva concesso Allah (e come no ?) attraverso una rivelazione particolare, quella riportata nella Sura 33, Versetto 52. Commenta Hamza Piccardo, il curatore della traduzione del Corano che utilizzo: Quando fu rivelato il versetto che limitava a quattro le spose dei credenti, l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) aveva già nove mogli. Siccome per esse non era possibile contrarre un altro matrimonio (vedi versetto 53), il Profeta propose di divorziarne alcune e provvedere al loro mantenimento vita natural durante. Nessuna di loro accettò la proposta e allora Muhammad decise di limitare i rapporti coniugali a quattro di loro pur mantenendole tutte nel suo gineceo. Questa rivelazione gli permise di attuare una rotazione tra le prescelte e quelle, per così dire, “in sonno”, in modo tale che “siano confortate e cessi la loro afflizione”. E’ la fede che fa dire queste cose.
Almeno una delle Sure del Corano è dovuta ad Aisha. Durante una marcia notturna, la giovane Aisha rimase indietro per risolvere problemi fisiologici. Quando ritornò la carovana era già ripartita e lei si perse. Tornò ad unirsi agli altri solo qualche giorno dopo, accompagnata da un beduino che le salvò la vita. Maometto era molto geloso e non agì con violenza e neppure ripudiò Aisha come gli suggerì il cugino Alì, solo perché una rivelazione gli comunicò l’innocenza di Aisha. Questo ebbe l’immediato riflesso nel Corano con l’affermazione che una donna sarà ritenuta colpevole d’adulterio solo se sarà stata vista commetterlo (stylum in pixide) da almeno 4 uomini.
(16) Non si sa se gli appartenenti a tale tribù fossero ebrei che si erano rifugiati in quei territori per le vicende che si vivevano in Palestina (resistenti a Roma, o zeloti ricercati dai governi locali, …) o se fossero degli arabi convertiti.
(17) Eraclio aveva combattuto per 30 anni contro i persiani e la loro sconfitta aveva debellato quell’esercito aprendo la strada all’occupazione musulmana.
(18) Ad Alessandria era sopravvissuta alla barbarie cristiana parte della famosa ed incredibile Biblioteca. Secondo il racconto di un cristiano del XIII secolo, arrivavano altri barbari che rasero al suolo ciò che restava. Il devastatore sarebbe stato proprio Omar che è anche il personaggio che avrebbe data una risposta agghiacciante ad una certa domanda. Alla richiesta di uno degli ultimi filosofi alessandrini, che frequentava la Biblioteca, di salvarla, Omar rispose con la sicumera del fondamentalismo ignorante: Se gli scritti dei greci concordano con il Corano, sono inutili e non occorre conservarli; se discordano, sono pericolosi e si devono bruciare. Ad Alessandria, civilissima città, esistevano 4000 bagni pubblici. I volumi della Biblioteca erano di carta e pergamena, materiali infiammabili. Essi sarebbero stati distribuiti ai 4000 bagni per alimentare il fuoco che scaldava l’acqua. Il numero dei volumi era tale che sarebbero stati necessari più di sei mesi per consumarli tutti. L’episodio è raccontato dallo scrittore siriano del XIII secolo, figlio di un ebreo convertito, vescovo e primate della Chiesa orientale, Abu’l-Farag (in italiano Gregorio Abulfaragio). Gibbon mette in dubbio questa storia affermando che negli Annali di Eutichio (patriarca di Alessandria del X secolo) e nella Storia dei Saraceni di Elmacin (XIII secolo) non vi è traccia di essa. Comunque siano andate le cose, il fanatismo, il fondamentalismo, le religioni vanno tenute lontane come la peste dello spirito e della ragione..
(19) L’Esarcato di Ravenna (o d’Italia) era formato da città delle attuali Romagna e Marche che costituivano i territori bizantini in Italia. Le città erano: Ravenna, Forlì, Forlimpopoli, Classe, Cesarea (pentapoli), Rimini, Pesaro, Ancona, Senigallia e Fano.
(20) Il fuoco greco, in quanto arma di enorme potenza, era fabbricato con una formula segreta nota solo al basileus ed a pochi tecnici che la realizzavano. L’invenzione è attribuita all’architetto greco Callinico che dalla città di Eliopolis (Siria), nell’attuale Libano, era emigrato a Bisanzio. Si trattava probabilmente di una miscela di pece, salnitro, zolfo, petrolio e calce viva sistemata dentro un otre molto grande al quale era collegato un tubo di rame. Queste armi erano montate sopra le navi bizantine per attaccare quelle nemiche (tutte costruite in legno con catrame che teneva unite le singole tavole e quindi molto infiammabili). Se l’otre era di cuoio si premeva e da esso veniva spruzzato il suo contenuto operando come un vero e proprio sifone lanciafiamme con quell’effetto di non possibile spegnimento dovuto alla calce viva. Se l’otre era di terracotta veniva lanciato con il sistema delle petriere, grandi fionde.
(21) Jabal al-Ţāriq significa Monte di Tariq, in omaggio a Tariq ibn Ziyad che iniziò la conquista, morendo nel 720.
(22) La Spagna, provincia di Roma, nel 409 viene invasa da varie tribù barbare (svevi, vandali, …). Nel 411 i Visigoti vengono in aiuto di Roma e scacciano gli altri barbari. Da questo momento l’amministrazione di questa provincia è lasciata loro. Nel 475, un anno prima della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, viene fondato in Spagna il regno Visigoto che, a partire dal 589, sarà interamente cristianizzato.
In soli tre anni, tra il 711 ed il 714, gli arabi musulmani del califfato Omeya di Damasco occupano la penisola iberica provenendo da Sud. I cristiani vengono respinti verso nord e lì si attesteranno in piccoli regni situati in posti strategici sulle montagne della cordigliera Cantabrica e dei Pirenei. Nel 756 gli Omeya di Spagna si rendono indipendenti da Damasco e costituiscono il Califfato di Cordova. Questo Califfato si manterrà fino al 1031 per poi smembrarsi in tanti piccoli regni (taifas). A questa data la penisola contava al Nord i regni cristiani di León, Navarra, Aragón, Cataluña (circa un terzo del territorio) una striscia di terra di nessuno divideva questi piccoli regni dai taifas arabi costituenti la regione di ‘Al Andalus’. La debolezza militare araba avvia, nel 1045, la Riconquista che si concluderà nel 1492. Da sottolineare la conquista cristiana di Toledo del 1085, il formarsi al Nord di tre stati cristiani sempre più grandi ed aggressivi (Portogallo, Castiglia, Aragona e il piccolo Navarra). Dalla metà del XIII secolo il regno di Granada è tutto ciò che resta di arabo nella penisola. Nel 1469 Isabella I di Castiglia sposa Fernando II di Aragona dando inizio alla prima convergenza di regni ispani che in poco tempo occuperà tutta la penisola ed inizierà una impetuosa espansione in altri territori. Nel 1492 cade il regno di Granada, compiendosi il disegno di Fernando e Isabella: unificare i popoli di Spagna in nome della cristianità contro gli invasori arabi. La Crociata è portata a termine vittoriosamente e Papa Alessandro VI Borgia concede ai Re di Spagna il titolo di ‘Re Cattolici’ (1494).
Gli arabi ebbero il merito di conservare la maggior parte del patrimonio culturale greco ed ellenistico, salvandolo dalla distruzione dei cristiani. Fu questo prezioso patrimonio di libri e pergamene che in lingua araba arrivò in Spagna a partire dall’VIII secolo. In un ambiente di tolleranza, queste conoscenze furono trasferite ai cristiani indigeni, ed ai moltissimi ebrei che vivevano nella penisola da epoche remote (con alterne vicende di accettazione e persecuzione sotto il dominio cristiano-visigoto e con la piena accettazione degli arabi musulmani per l’aiuto che gli stessi ebrei avevano fornito loro nella conquista di Spagna). Non vi furono persecuzioni di nessuno verso nessuno. Vi era una sorta di divisione del lavoro che vedeva gli arabi padroni di una agricoltura che con irrigazioni avanzatissime, con l’introduzione dell’arancio, del riso, del cotone, della canna da zucchero e di molte altre piante commestibili avevano reso molto fiorente, artefici di un artigianato tecnologicamente avanzato di articoli di lusso (pelli, tessuti, ceramica), ottimi commercianti; gli ebrei gestori di commercio, prestiti e finanza , mentre i cristiani erano il ‘popolaccio’, la forza lavoro in massima parte povera ed ignorante, costituita da discendenti dei visigoti, schiavi, slavi, schiavi liberati. I cristiani vedevano con grande ammirazione gli arabi per la loro cultura, raffinatezza ed addirittura per il suono della lingua e, spontaneamente, si convertivano alla religione musulmana diventando ‘mozarabi’ (arabizzati). Con il passare degli anni cominciarono a nascere musulmani nella stessa Spagna (muladì) che andava pian piano arabizzandosi. Tutti vedevano crescere il livello materiale della loro vita. Non vi erano momenti della precedente dominazione cristiano-visigota di cui andar orgogliosi. Gli stessi cristiani riconoscevano in svariati scritti la loro ignoranza rispetto allo splendore della cultura araba.
E’ utile ricordare che la dinastia Omeya crollerà nel 750 per far posto a quella Abasside. Marwān II ibn Muhammad ibn Marwān nel 750, l’ultimo Califfo omayyade, fu sconfitto dalle forze della dinastia abbaside, il cui capo è Abū l-‘Abbās al-Saffāh.
(23) Osserva giustamente Gibbon che per il suo operato Carlo Martello avrebbe dovuto essere santificato in quanto salvatore della cristianità. Fu invece diffamato con il solito costume clericale perché dovette usare le rendite dei vescovati per pagare gli stipendi ai soldati che avevano combattuto, visto che le casse dello Stato erano vuote.
(24) Probabilmente i primi barbari a convertirsi al Cristianesimo, anche se ariano, furono i Germani che militavano negli eserciti di Roma. La superiore civiltà di Roma era sufficiente a far convertire al Cristianesimo le popolazioni di confine federate con Roma. Ma il nazionalismo di quelle popolazioni, che volevano comunque distinguersi da Roma, aveva fatto preferire l’arianesimo soprattutto da quando Teodosio iniziò a perseguitarlo. Vi è anche un aspetto dottrinale perché la Trinità di Ario era molto più comprensibile con la sua gerarchia tra Padre, Figlio e Spirito Santo che non il Dio uno e trino del Credo niceno.
(25) Quando le persecuzioni contro i cristiani terminarono, intorno al 311, le Catacombe furono abbandonate ed andarono in rapido deperimento. Fu Papa Damaso I (305-384) che le fece restaurare ed ampliare al fine di mantenere la memoria delle persecuzioni e che fece ricercare e trovare le tombe dei martiri in modo da amplificarne il ricordo. I martiri divennero così i santi e ad essi furono associati coloro che avevano abbracciato la fede cristiana e la avevano mantenuta per tutta la vita. A questa categoria di santi se ne aggiunsero delle altre: le vergini, i dottori della Chiesa, gli educatori, … ed i papi.
I primi santi, a partire dal III secolo, furono dunque i martiri, la cui storia fu sapientemente manipolata e resa una sorta di testimonianza di sangue (non si capisce bene perché una morte debba essere testimonianza di verità). Questi martiri nei primi secoli del Cristianesimo furono gli unici santi che iniziarono a svolgere il fondamentale ruolo di sostituzione degli dei pagani in alcune loro funzioni, come le guarigioni. Tra i primi vi sono Cosma e Damiano, Zenobio, Zenobia, Michele. Tanto per esemplificare la perfida sostituzione di dei con martiri, anche inventati ed in seguito non mantenuti, si deve ricordare che: Apollo Efebo, dio anche della medicina, divenne il taumaturgo Sant’Efebo; Dioniso Eleuterio (salvatore), divenne Sant’Eleuterio; Giove Nicoforo divenne San Niceforo; Venere Afrodite divenne santa Fredisia; Cerere Flava divenne Santa Flava; Proserpina divenne Santa Filomena; … Anche alcune date furono santificate cosicché le idi divennero Santa Ida. Allo stesso modo alcuni modi di dire come il romano Perpetua felicitas divennero Santa Perpetua e Santa Felicita. Insomma un vero e completo saccheggio che portò alla sostituzione di divinità protettrici pagane con santi cristiani che avevano stesse caratteristiche e funzioni con medesimi miracoli. La cosa è certificata dallo stesso Agostino che nel De Civitate Dei (22, 10) scriveva: Così i miracoli degli dei sono stati sconfitti dai miracoli dei martiri.
Il culto di questi santi martiri divenne un’imitazione del culto greco (poi romano) degli eroi, culto che, a sua volta, si rifaceva a quello dei morti. Il luogo dove si svolgevano le cerimonie era la tomba vera o presunta del morto e poi dell’eroe. La tomba divenne sempre più ricca, piena di adorni, di offerte, di fiori e pian piano, in alcuni casi, divenne un tempio che disponeva di un altare per i sacrifici. I riti e le cerimonie avevano fissate periodicità. Tutto questo fu ripreso, a partire dal II secolo, dalla Chiesa che costruì, a partire dal IV secolo, templi sempre più grandi e basiliche per i santi martiri che, come accennato, avevano storie costruite ad imitazione dei personaggi che dovevano andare a sostituire. E se non ve ne erano di adeguate, come non potevano perché la gran parte di loro era assolutamente anonima, si inventavano di sana pianta con agiografie fantastiche. I doni alla tomba e poi al tempio acquisirono via via grande importanza tanto che i martiri accumularono fortune. Agli inizi la Chiesa distribuiva tali fortune tra i poveri ma a poco a poco decise che restassero di proprietà dei martiri. Insieme a fiori, a cibi, ad animali, ad oro e pietre preziose, si aggiunsero, nei luoghi in cui si veneravano i martiri, le medesime offerte, fabbricate dagli stessi artigiani, che erano fatte agli dei pagani: lampade votive, unguenti, lumini, incenso, … Ed ancora ad imitazione dei riti pagani e degli antichi costumi funebri, si iniziarono a festeggiare alcune ricorrenze, anche con sfrenate gozzoviglie e banchetti fino a notte fonda in onore dei martiri. Con l’istituzionalizzazione delle feste, ad esse si affiancarono fiere e mercati con la partecipazione sempre più massiccia di affaristi d’ogni tipo, non esclusi ladri, prostitute e delinquenti in genere. Ci si accoppiava liberamente, si ammazzava, ci si ubriacava, ci si abbandonava ad oscene orge. Ad evitare possibili confusioni (?) il Sinodo di Elvira (l’attuale Granada), tenutosi tra il 300 ed il 313, proibì alle donne cristiane di pernottare nei cimiteri oltre a vietare il matrimonio con ebrei. Quelle feste in onore dei martiri erano diventate qualcosa di estremamente malfamato se San Gerolamo (347-420) esortava le madri a non mandarvi le figlie o ad accompagnarle sorvegliandole strettamente e se il vescovo di Cirro, Maris, testimoniava della verginità di una fanciulla nonostante avesse partecipato a varie feste dei martiri. Ma già siamo in epoca di agapete, di quella casta convivenza o amore spirituale tra fanciulle che avevano deciso di dedicare la propria verginità a Dio ed uomini di Chiesa che avevano fatto voto di castità, in cui le peggiori nefandezze, aberrazioni e degenerazioni venivano compiute in nome di Dio e per di più autorizzati dallo stesso San Paolo che così aveva sostenuto nella Prima lettera ai Corinzi (9, 4-5): Non abbiamo forse noi il diritto di mangiare e di bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Pietro ? Lo stesso San Gerolamo denunciò (Lettera ad Eustochio) le vergogne dell’agapete (la pratica dell’agapete fu soppressa definitivamente nel 1139, sotto il pontificato di Innocenzo III, dal Concilio Lateranense II) e non solo:
Oh vergogna, oh infamia! Cosa orrida, ma vera!
Donde viene alla Chiesa questa peste delle agapete?
Donde queste mogli senza marito?
E donde in fine questa nuova specie di puttaneggio?
Naturalmente per riuscire a penetrare nei sentimenti popolari più profondi in modo da prendere il posto di altre religioni serviva sostituire la venerazione [l’ipocrisia dei cattolici è infinita. Si sono inventati questa parola per non utilizzare quella più pericolosa di adorazione] di alcune divinità pagane con dei santi cristiani appositamente pensati. Ma ciò non bastava perché, nel corso dell’anno vi erano molte feste dal sapore pagano che dovevano essere necessariamente rimpiazzate. Tali feste erano sempre molto attese perché erano giorni di riposo e di gozzoviglie e la Chiesa non poteva certo pensare di ottenere consenso semplicemente cancellandole. Si trattava, anche qui, di riprendere tali feste una ad una e di cristianizzarle. Occorreva innanzitutto collocare alcuni capisaldi del Cristianesimo in giorni dell’anno fondamentali in altre religioni e quindi si cominciò a collocare la nascita di Cristo in luogo opportuno, in quel 25 dicembre che era data di nascita di dei padani tra cui Mitra.
(26) Il primo dei comandamenti dettati da Dio a Mosè nell’Esodo dice: Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altro Dio al di fuori di me. Non ti farai idolo o immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non servirai alcuno poiché io sono il Signore tuo Dio.
Il decimo comandamento della Bibbia dice:Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo.
I comandamenti insegnati nella Bibbia sono dieci, quelli insegnati nel Catechismo della Chiesa Cattolica sono in realtà soltanto nove! Il secondo, infatti, è stato letteralmente cancellato, e dal decimo ne hanno ricavato due “pezzi”, per coprire il vuoto del secondo. Così, ora il secondo è in realtà il terzo, il terzo è il quarto, e così via.
I comandamenti 1, 9 e 10 del Catechismo della Chiesa cattolica sono infatti:
Io sono il Signore Dio tuo:
1 – Non avrai altro Dio fuori di me.
9 – Non desiderare la donna d’altri.
10 – Non desiderare la roba d’altri.
Ci vuole poco a scoprire che la Chiesa ha censurato Dio nella parte in cui dettava a Mosè:
Non ti farai idolo o immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.
(27) Mentre regnava Gelasio, in Francia accadevano cose che sarebbero diventate rilevanti in futuro, anche per i rapporti con la Chiesa di Roma. Il regno franco occupava allora zone che comprendevano parte dell’attuale Francia e dell’attuale Germania. Nel regno vi erano importanti comunità cristiane e vescovati, tra i quali il più importante era Reims. All’epoca di Papa Gelasio I (fine V secolo), Reims era retto da Saint Remy (o Remigio) ed il regno di Clodoveo I (che regnò dal 481 al 511), membro della dinastia dei merovingi, famiglia fondata da Meroveo, considerato un semidio e rappresentante di una tribù germanica che adorava una Dea Madre che i romani avevano identificato in Diana. Clodoveo intraprese una vasta campagna di conquista che lo portò ad estendere il suo potere in gran parte d’Europa (gran parte dell’attuale Francia e degli attuali Paesi Bassi insieme a molti piccoli regni confinanti) fino a renderlo il più grande dominio barbaro in Europa che andava a confinare con il Regno d’Italia degli Ostrogoti di Teodorico e con la Spagna dei Visigoti. Questa situazione era vantaggiosa per la Chiesa di Roma perché aveva ai suoi confini un re pagano (ma sposo di una cristiana del Regno di Borgogna con grande influenza su Clodoveo, Clotilde il cui confessore era Saint Remy) nel cui regno i cristiani erano maggioranza e, comunque, in cui l’arianesimo non era entrato. Per buon peso Clodoveo si convertì (496) fornendo alla Chiesa una estensione territoriale di influenza enorme. Clodoveo fu chiamato, dopo la conversione, il Nuovo Costantino e già la Chiesa aveva mire per la sua espansione in quei territori che la avrebbero portata abbastanza presto alla costituzione del Sacro Romano Impero. Alla morte di Clodoveo nacquero e seguirono per moltissimi anni, lotte sanguinose per la successione tra mogli, figli e figlie e parenti vari. La Chiesa era sempre pronta a schierarsi con il vincitore con un particolare. prima del suo schieramento la Chiesa si poneva come mediatrice guadagnando terreni, preziosi e prebende da ambedue i contendenti. I peggiori crimini erano perdonati … bastava pagare. In tal modo anche la Chiesa di quel regno aumentava in modo incredibile la sua ricchezza ed il suo status.
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(10) Rita Grenz – Il figlio del falegname
(11) Mario Alighiero Manacorda – Dal Politeismo al Monoteismo
(12) Il Sacro Corano traduzione interpretativa in italiano a cura di Hamza Piccardo (UCOII): http://www.corano.it/corano.html
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