CICLO DEL COMBUSTIBILE NUCLEARE, SCORIE, COSTI, RADIOPROTEZIONE

Roberto Renzetti

IL CICLO DEL COMBUSTIBILE

        Riprendo ed amplio quanto già detto in estrema sintesi in altro articolo.



            La preparazione del “fuel” nucleare dalla miniera al suo impiego nel reattore è detto nuclear fuel cicle. Questo tipo di ciclo, senza però la fase di reprocessing, è quello attuato nella maggior parte dei paesi che hanno centrali nucleari tipo LWR, perché il passaggio del reprocessing è costoso e in cui si separa il Pu che potrebbe venire usato militarmente. Il minerale estratto viene macinato per ottenere il “yellow coke” che contiene l’80% di U3O8 . La conversione in UF6 , che è gassoso a relativamente bassa temperatura e pressione, serve per il passaggio successivo di arricchimento. Più in dettaglio il ciclo del combustibile è quello di figura seguente:

Ciclo attuale del combustibile nucleare all’uranio per 1000 kg di combustibile in reattori a neutroni termici. A partire dall’uranio purificato, si ottiene il combustibile arricchito (al 3.5% di U235) ed una grande quantità di uranio impoverito di scarto. Dopo l’uso in reattori, si ottiene il “combustibile esaurito” (linea nera continua del grafico delle radiotossicità sopra riportato) che è estremamente più pericoloso e radiotossico dell’uranio di partenza. La maggior parte dei paesi dotati di impianti nucleari (per es. gli USA) considerano il combustibile esaurito come scorie nucleari da smaltire. Il combustibile esaurito può essere riprocessato per separarne le componenti, con particolare interesse per il plutonio, considerando come scorie solamente i prodotti di fissione (linea rosa del grafico delle radiotossicità); si ricava anche una gran quantità di uranio di ritrattamento che tuttavia non è adatto al riutilizzo in reattori nucleari in quanto contaminato da altri atomi pesanti (attinoidi).
Il riprocessamento può essere effettuato a scopo civile o militare, in quest’ultimo caso a scopo di ottenere materiale per la costruzione di armi atomiche. A partire dagli anni ottanta, specialmente in Francia, è stato messo a punto un combustibile costituito da plutonio ed uranio impoverito, denominato MOX; attualmente viene prodotto in quantitativi solo dalla Francia (l’Inghilterra ha un impianto non operativo a Sellafield) ed usato in una trentina di reattori europei: tuttavia Belgio, Germania e Svizzera ne cessaranno l’uso appena terminate le riserve acquistate negli anni novanta in Francia ed Inghilterra. Il MOX esaurito, rispetto al combustibile esaurito bruciato una sola volta, contiene un tenore ancora più elevato di Pu 240 ed isotopi superiori, rendendo più problematico e quindi più antieconomico un ulteriore ritrattamento.

SCORIE

            Nella evoluzione dei frammenti di fissione verso isotopi stabili si formano prodotti radioattivi che costituiscono le scorie dei reattori nucleari. Molti decadono in tempi brevi altri hanno vite medie molto lunghe.

Il punto problematico delle scorie radioattive e’ il fuel spento.
Nei 3-4 anni che una barra di Uranio rimane nel reattore, molto U235 e poco U238 e’ consumato producendo materiale fissile e isotopi
transuranici. Delle centinaia di radionuclidi prodotti come prodotti di fissione solo 7 hanno vita media T1/2 maggior di 25 anni.

 Gli ultimi 5 si possono considerare stabili, data la lunga vita media, per cui l’attività a lungo termine dei prodotti di fissione è
praticamente solo quella dello Stronzio e del Cesio 137 .
Dopo 1000 anni l’attività di questi prodotti diminuirà fino a divenire radioattivi al livello dell’Uranio da miniera.
Il problema è il Pu(239) che ha una vita T1/2 di 24000 anni ed è classificato come una scoria ad alta attività HWL. Le scorie si possono
riprocessare (es. Francia ed Inghilterra) e così separare gli isotopi e riusarli come fuel. Nella separazione si isola il Pu che però può essere impiegato per le armi nucleari. Alcuni stati non fanno reprocessing ( es. USA) per sicurezza.

 Dopo il reprocessing rimangono nuclidi a vita media lunga e attinidi. Questi debbono essere isolati dai sistemi biologici per periodi di
105-106 anni.
Diversi metodi sono applicati e nuovi metodi sono studiati per risolvere il problema dello stoccaggio. Il problema è di trovare una soluzione che garantisca che non vi sia possibilità di contaminazione con falde acquifere o catena alimentare.

DUE PAROLE SULLA RADIOPROTEZIONE

                Su questo argomento riporto, come discorso generale, quanto scrivono Early, Razzak, Sodee, nel loro testo di Medicina Nucleare (Editrice Ambrosiana 1978). Si tenga però conto che molto probabilmente le notizie qui riportate possono essere state superate in alcuni punti perché gli studi sulle radiazioni e sulla radioprotezione sono ancora ad uno stato non propriamente avanzato. Dalla data di redazione del libro da cui traggo le informazioni ad oggi sono passati 35 anni che, in questo campo, sono molti.

EFFETTI DELLE RADIAZIONI SULLE CELLULE

Non esistono cellule viventi che siano completamente resistenti alle radiazioni, tuttavia il danno cellulare si può manifestare in molte maniere differenti. Il danno può variare dalla alterazione di una singola molecola, che può essere immediatamente riparata, fino alla morte cellulare. Quale parte della cellula sia la più sensibile e la più direttamente responsabile del danno cellulare è oggetto di ricerca e di dibattito da lungo tempo. È un dato acquisito che esiste una grande differenza fra la radio-sensibilità del nucleo e quella del citoplasma della cellula. Le strutture nucleari, particolarmente i cromosomi al momento della divisione cellulare, subiscono alterazioni drammatiche per effetto delle radiazioni. Il citoplasma invece, anche in queste condizioni, non risulta egualmente radiosensibile.

Arresto della crescita. Uno degli effetti più significativi della irradiazione cellulare è l’arresto della crescita. I tessuti più radiosensibili sono quelli caratterizzati da una più elevata attività mitotica: questa dipende sia dal numero delle cellule che entrano in mitosi che dalla durata del processo mitotico. Non è strettamente necessario che la cellula sia in fase mitotica durante l’irradiazione, ma è sufficiente che essa sia destinata ad entrare in mitosi in un tempo successivo. Questa forma di danno latente da radiazioni si manifesta al momento della divisione mitotica, quando la cellula si dimostra incapace di dividersi correttamente.
La relazione tra radio sensibilità ed attività mitotica ha tuttavia un certo numero di eccezioni. Alcuni tumori, come il melanoma maligno ed il sarcoma osteogenico sono relativamente radioresistenti benché dimostrino una considerevole attività mitotica. Al contrario, il seminoma ed i linfociti sono radiosensibili benché non abbiano attività mitotica (anzi i linfociti rappresentano una delle popolazioni cellulari più radio sensibili del corpo umano).
Altri effetti delle radiazioni sulle cellule sono la riduzione della motilità, la inattivazione di enzimi e la alterazione delle secrezioni nelle cellule ghiandolari.

Effetto sui cromosomi. Un’altro tipico effetto cellulare delle radiazioni è la alterazione del patrimonio cromosomico. Dopo l’irradiazione si hanno modificazioni dei cromosomi caratterizzate da aumento di «appiccicosità», fusione in una massa nucleare ed infine rottura. La rottura cromosomica introduce una nuova ragione di mortalità nelle cellule pesantemente irradiate. Infatti, dopo la rottura i frammenti cromosomici rimangono separati oppure si uniscono in maniera diversa. Le sequenze geniche dei cromosomi possono così essere amputate, spostate, invertite, duplicate, mentre nei punti di rottura possono insorgere mutazioni. La risultante di queste alterazioni può essere la morte cellulare.

Formazione di cellule giganti. Uno degli effetti più evidenti della irradiazione cellulare è la formazione di cellule giganti: questo tipo di cellule si ha frequentemente dopo irradiazione terapeutica dei tumori. Una cellula irradiata può non essere più capace di divisione mitotica, ma può ancora conservare, per un certo tempo, la sua attività metabolica e perciò diviene sempre più grande. Tuttavia, essendo bloccata la possibilità di suddivisione, la cellula è destinata a morire.

Fattori ambientali. Fattori ambientali giocano un ruolo non trascurabile sui fenomeni radiobiologici. Anche se il meccanismo di azione non è completamente conosciuto, tuttavia è ben acquisito che il contenuto di ossigeno, la temperatura e la pressione possono aumentare o diminuire la radiosensibilità: si può anzi dire che la radiosensibilità cellulare è direttamente proporzionale alla concentrazione di ossigeno, alla temperatura ed alla pressione, nel senso che all’aumentare dei valori di questi aumenta parallelamente la grandezza di quella.

EFFETTO DELLE RADIAZIONI SUI SISTEMI BIOLOGICI

L’effetto delle radiazioni varia considerevolmente da un organo all’altro e da un sistema biologico all’altro. La breve rassegna che ora segue ha lo scopo di fornire alcuni elementi di base per la comprensione dei principi di radioprotezione.

Sistema ematopoietico

I luoghi di produzione delle cellule ematiche, midollo osseo, milza, linfonodi, sono estremamente radiosensibili, così come, se pure in grado minore, le cellule mature del sangue circolante. La radiosensibilità dell’apparato ematopoietico è dimostrabile entro poche ore dalla irradiazione, attraverso l’effetto indotto sulle cellule circolanti. I precursori dei globuli bianchi sono i più sensibili e pertanto i leucociti sono i primi a ridursi o anche a sparire nel sangue circolante. Tra questi, primi in ordine di tempo sono i linfociti, seguiti dai granulociti. I globuli rossi si riducono più tardivamente, seguiti dalle piastrine.
La caduta dei linfociti, in quanto più radiosensibili, è divenuta un indicatore biologico della irradiazione. Se il numero dei linfociti circolante diminuisce fino al livello di 100-200/mm3 entro 12 o 24 ore, la dose di radiazione è probabilmente letale (la concentrazione normale dei linfociti è di 2.100/mm3). La discesa al livello di 500/mm3 nelle prime 24-48 ore indica una prognosi riservata, mentre questa è buona se il conteggio rimane al di sopra di 1.000/mm3: se la concentrazione dei linfociti circolanti tende a risalire dopo la prima settimana, il recupero è in genere assicurato. La caduta della concentrazione delle cellule ematiche circolanti è dovuta alla mancata rigenerazione da parte del tessuto ematopoietico. I linfociti scompaiono rapidamente dal circolo poiché hanno una vita media di circa 2 giorni; gli eritrociti, avendo una vita media di circa 120 giorni, hanno modificazioni assai più tardive, per cui la morte per irradiazione può intervenire prima di avere evidenziato apprezzabili alterazioni della serie rossa.
Fenomeni emorragici possono essere un sintomo di sovraesposizione alle radiazioni, sia a causa della riduzione del numero di piastrine circolanti che anche per l’effetto diretto delle radiazioni sui vasi capillari. La diminuzione delle piastrine provoca un allungamento del tempo di coagulazione. Tuttavia raramente si hanno fenomeni emorragici gravi finché il numero delle piastrine non scende al di sotto di 20.000 – 30.000/mm3 (la media normale è 200.000/mm3).
I costituenti plasmatici sembrano assai radioresistenti e non sono descritte finora modificazioni di essi. Inoltre non sembrano osservabili alterazioni cardiocircolatorie, quali modificazioni della gettata cardiaca o della pressione arteriosa, almeno fino a che non si superino dosi enormi di radiazione. Tuttavia possono aversi disturbi circolatori anche per dosi di esposizione relativamente non grandi, per le alterazioni vascolari indotte dalle radiazioni, quali aumentata fragilità delle pareti vascolari ed occlusione per trombosi.

Sistema riproduttivo

Le gonadi (le ovaie nella femmina ed i testicoli nel maschio) sono alquanto radiosensibili: mutazioni ed alterazioni cromosomi che si verificano sia nelle cellule uovo che nelle cellule spermatiche dopo irradiazione e si può avere sterilità, che può essere, a sua volta, transitoria o permanente. Sia l’una che l’altra si verificano nella femmina per dosaggi di radiazioni inferiori che per il maschio. Sterilità temporanea si verifica nella femmina dei mammiferi per una esposizione non superiore a 200 R [R è l’abbreviazione dell’unità di misura roentgen che definirò alla fine della citazione, ndr]; permanente si verifica per esposizione ad una dose superiore a 300 R. Nel maschio la sterilità temporanea si verifica per una esposizione dei testicoli intorno a 300 R, mentre sterilità permanente si verifica per dosi superiori a 1.000 R. Nella femmina l’elemento più radiosensibile è la cellula uovo; nel maschio la massima radiosensibilità è dimostrato dagli spermatogoni, ossia le cellule riproduttive dei costituenti seminali; spermatociti, spermatidi e spermatozoi sono invece assai resistenti, benché dopo irradiazione si possa notare un aumento delle anormalità degli spermatozoi e una riduzione della loro motilità. È da notare tuttavia, nel maschio, la possibilità di completa rigenerazione testicolare e ripresa della formazione di spermatozoi funzionanti dopo esposizione alle radiazioni.
Il personale professionalmente esposto ed i pazienti sottoposti a terapia radiante sono spesso preoccupati di andare incontro a sterilità o impotenza per effetto delle radiazioni; spesso anzi i due termini sono confusi e usati addirittura come sinonimi. Si tratta in realtà di due distinte entità. La sterilità è la totale incapacità alla riproduzione, mentre l’impotenza è la incapacità, da parte del maschio, di compiere l’atto sessuale. Le radiazioni possono causare sterilità, transitoria o permanente, a seconda della esposizione più o meno alta, ma non possono in alcun caso determinare impotenza (tranne che, ovviamente, in dosi letali). Infatti le radiazioni possono arrestare la spermatogenesi, ma non influenzano la secrezione ormonale testicolare, responsabile dei caratteri sessuali secondari. Non bisogna confondere con un effetto diretto delle radiazioni le alterazioni della potenza virile che possono conseguire alla astenia del «male da raggi», o a fattori psicologici quali la paura o la preoccupazione della malattia.

Sistema linfatico

Milza, linfonodi e timo, centri principali del sistema linfatico, mostrano un elevato grado di radiosensibilità. Nella milza dopo meno di un’ora da una irradiazione di media entità si manifesta l’arresto delle mitosi, seguito rapidamente da un grave danneggiamento dei linfociti. Un altro effetto delle radiazioni sulla milza è la diminuzione del suo peso, tanto costante che questa variazione può essere considerata un sensibile indice della dose a cui l’organo è stato esposto. Un danno ulteriore è rappresentato dall’arresto della produzione dei globuli rossi e dei globuli bianchi del sangue, dovuta alla completa atrofia degli elementi cellulari precursori. Se le lesioni da radiazioni sono tali da provocare una sindrome emorragica, le emorragie intraspleniche sono cospicue.
I linfonodi e l’altro tessuto linfoide sono egualmente assai sensibili anche a basse dosi di radiazioni, manifestando immediatamente una riduzione del loro volume. A seconda della dose ricevuta essi possono ricuperare volume e funzione oppure andare incontro a fenomeni regressivi, quali edema, emorragia e necrosi.
Anche il timo presenta un elevato grado di radiosensibilità. A questo riguardo va ricordato che negli anni intorno al 1920 fu largamente praticata, specialmente nei paesi anglosassoni, la radioterapia per la cura della ipertrofia timica nell’infanzia. A distanza di tempo si è evidenziato, in questi pazienti trattati, un aumento dell’incidenza della leucemia (oltre che del cancro tiroideo, per irradiazione di vicinanza).

Apparato gastroenterico

L’epitelio della mucosa dell’apparato gastroenterico è assai radiosensibile, benché in grado minore rispetto all’apparato emotopoietico ed alle gonadi. Anche in questo caso il primo effetto delle radiazioni è la cessazione delle mitosi, seguita da edema, degenerazione, e necrosi delle cellule mucosali. Queste alterazioni, assai precoci, sono responsabili dei sintomi gastrointestinali della malattia da radiazioni: questi si manifestano come anoressia, nausea, vomito e diarrea. Si hanno anche alterazioni funzionali, quali la depressione della secrezione peptica ed acida dello stomaco, aumentata produzione di muco da parte dell’inteestino tenue e del colon ed alterato assorbimento intestinale. Un altro sintomo abbastanza comune è la secchezza della bocca causata dalla ridotta secrezione salivare. All’aumentare della dose di radiazione compaiono segni di flogosi intestinale e cellule di forma bizzarra nella mucosa. La diarrea è inizialmente chiara, quindi mucoide e infine sanguinolenta. Il vomito è un segno relativamente precoce e può avere importanza diagnostica. La precocità del suo inizio e la sua intensità sono abitualmente il segno di una irradiazione pesante e comportano una prognosi severa. D’altra parte il vomito può avere anche importanza diagnostica per eliminare cause di ordine psicosomatico o tentativi di simulazione. Infatti può essere controllato da farmaci antiemetici qualora non sia di origine psicosomatica.

Pelle

La radiosensibilità della pelle è pressapoco dello stesso ordine di grandezza di quella dell’apparato gastroenterico. L’effetto delle radiazioni sulla pelle si manifesta abitualmente come arrossamento (eritema) e alterazioni delle appendici cutanee (capelli ed unghie). Caduta dei capelli, ed in genere depilazione, può aversi anche per esposizione a dosi piuttosto basse. Con dosi più alte, si può avere depigmentazione, dermatite ed ulcerazioni. Il trattamento delle lesioni da radiazioni è identico a quello delle lesioni da calore, previa accurata eventuale decontaminazione, da farsi con l’uso di abbondante acqua e sapone. Le lesioni vengono deterse, medicate e trattate con antibiotici.

Occhio

La protezione degli occhi ha molta importanza per il personale esposto alle radiazioni. La parte dell’occhio più radiosensibile è il cristallino, ove possono formarsi opacità (cataratta) a seguito di esposizione a radiazioni ionizzanti. Il rischio è particolarmente sentito per radiologi, tecnici di radiologia e soprattutto per coloro che lavorano con apparecchiature di radioscopia, nella cui progettazione va appunto tenuta in gran conto la protezione degli occhi. Cataratta da radiazioni è stata descritta nei tecnici impiegati per la messa a punto del ciclotrone e nei giapponesi sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Il cristallino ha una struttura istologica assai semplice, per cui l’unica lesione radiobiologica è la cataratta; per azione delle radiazioni possono anche aversi, a carico dell’occhio, flogosi della cornea, fotofobia, dolore ed iperemia congiuntivale.

Sistema nervoso centrale

Il sistema nervoso centrale è, nei mammiferi, il sistema biologico più radioresistente. Il cervello è relativamente più sensibile del midollo spinale, tuttavia questa radiosensibilità si manifesta solamente per esposizioni dell’ordine di migliaia di R. Infatti alterazioni da radiazioni del sistema nervoso centrale si manifestano in genere solamente per irradiazione localizzata, quale si verifica in radioterapia, piuttosto che per esposizione del corpo intero. Il danno radiobiologico si manifesta soprattutto come lesione permanente dei vasi sanguigni del cervello o del midollo, risultandone ischemia cerebrale con le alterazioni correlate. Esposizioni dell’ordine di parecchie migliaia di R possono anche distruggere cellule nervose dell’encefalo, causando l’alterato funzionamento di centri nervosi vitali.

Altri organi

Altri organi, come il cuore, il rene, il fegato ed il pancreas sono assai resistenti alle radiazioni. Dosi elevate possono provocare alterazioni, quali edema, emorragia, infarto e necrosi.

RADIOSENSIBILITA’

Come risulta dai paragrafi precedenti, gli organi possono essere divisi in tre gruppi, piuttosto mal definiti: radiosensibili, radioresponsivi e radioresistenti. Nella categoria degli organi radiosensibili entrano l’apparato ematopoietico, in particolare il midollo osseo ed il tessuto linfatico, e gli organi dell’apparato riproduttivo; tra i radioresponsivi entrano l’epitelio del tratto gastroenterico e la pelle. Tutti gli altri organi rientrano nel gruppo dei radioresistenti.

Questa divisione in tre gruppi di risposta è piuttosto qualitativa che quantitativa; d’altra parte non è ben chiaro a tutt’oggi su quali basi riposi questa differenza di risposta. Un fenomeno ancora più difficile da comprendere è l’enorme variabilità da specie a specie della sensibilità alle radiazioni e quindi della dose letale. Per fare un esempio bisogna richiamare i concetti di LD50 e di MLD/30: il primo indica quella dose (di radiazioni o di qualunque altro farmaco) capace di causare la morte del 50 % dei soggetti della stessa specie; il secondo, usato per descrivere la mortalità da radiazioni, indica la dose mediana per la quale il 50 % dei soggetti esposti muore nel periodo di 30 giorni. Per avere un’idea delle variazioni da specie a specie si può ricordare che la cavia ha una MLD/30 di 250 rems, il pipistrello ha una MLD/30 di 16.000 rems, il paramecio, una delle forme di vita più resistenti, ha una MLD/30 di 300.000 rems. Nell’uomo si calcola che il valore della MLD/30 sia di 400 ± 100 rems. Tutti gli altri organismi hanno valore di MLD/30 compresi tra quelli della cavia e quello del paramecio.

Gli organismi unicellulari sono generalmente più radioresistenti di quelli pluricellulari. I mammiferi sono più radiosensibili di uccelli, pesci e rettili; in questo comportamento il fatto di essere organismi a sangue caldo riveste una certa importanza. Un’altro fattore di estrema importanza è l’età, in quanto l’organismo o la cellula adulta sono assai più resistenti dell’embrione e della cellula neoformata. Questo fatto è una delle basi della terapia radiante dei tumori, in quanto il tumore, caratterizzato da crescita incontrollata, è costituito in gran parte di cellule neoformate. Un altro elemento importante è la vivacità di proliferazione cellulare, soprattutto di quelle cellule indispensabili per il mantenimento della funzionalità dell’organo o dell’apparato. b questo il caso dell’apparato emopoietico, della mucosa del tubo gastroenterico, di precursori delle cellule germinali, della pelle, ecc. Invece le cellule mature, quali quelle della cartilagine, dell’osso, del muscolo, del sistema nervoso centrale, sono relativamente insensibili alle radiazioni. Come già detto, l’aumento della temperatura, della pressione e soprattutto del tenore di ossigeno aumentano anche grandemente la radiosensibilità.

EFFETTI SOMATICI ACUTI DELLE RADIAZIONI

In caso di esposizione dell’intero corpo ad una irradiazione massiccia, in dose unica, di breve durata (da pochi minuti a poche ore) ne risulta una sindrome complessa, denominata sindrome (o malattia) acuta da radiazioni. Questa rappresenta l’espressione clinica sia del danno subito dai vari organi ed apparati che, insieme, del blocco riproduttivo delle cellule più radiosensibili. In base all’esperienza raccolta dallo studio delle vittime dei bombardamenti atomici, delle vittime di infortuni sul lavoro ed anche dei pazienti sottoposti a radioterapia, la sequenza di eventi che segue all’esposizione dell’intero corpo ad una larga dose di radiazioni può essere divisa, dal punto di vista clinico, in quattro stadii:

1. stadio iniziale: da 0 a 48 ore dopo l’esposizione;

2. stadio di latenza: da 48 ore a 2 o 3 settimane dalla esposizione;

3. stadio di acuzie: da 2-3 fino a 6-8 settimane dalla esposizione;

4. stadio di ricupero: da 6-8 settimane fino a parecchi mesi dalla esposizione.

I sintomi clinici dello stadio iniziale comprendono perdita dell’appetito (anoressia), nausea, sudorazione, astenia. Nello stadio di latenza, che inizia circa due giorni dopo l’esposizione, il quadro clinico sembra tornare normale e rimane tale per 2-3 settimane. Nello stadio di acuzie compaiono febbre e fenomeni settici, perdita dei capelli, emorragie, diarrea, sopore, disturbi della coscienza e del sensorio, collasso cardiovascolare. La gravità di questi sintomi dipende dalla dose ricevuta. Benché sia difficile codificare la risposta di un individuo ad una determinata dose, [… si può fornire una correlazione,] sia pure approssimata, tra i sintomi clinici e la dose di irradiazione. Il primo sistema ad essere interessato dall’irradiazione è l’apparato ematopoietico. All’aumentare della dose diventano predominanti i sintomi a carico dell’apparato gastroenterico. Infine, se la dose diventa particolarmente elevata, il danno inferto al più resistente sistema nervoso centrale è causa di morte immediata o a brevissimo termine, benché l’esatto meccanismo di questa morte non sia a tutt’oggi ben conosciuto. Il fatto che siano predominanti i sintomi gastrointestinali per dosi intorno a 600 rads e quelli a carico del sistema nervoso centrale per dosi intorno a 3.000 rads non significa, ovviamente, che non si abbiano, in questi individui, cospicui danni anche dell’apparato ematopoietico. Solamente questi individui non sopravvivono abbastanza per manifestare le conseguenze del danno ematologico. I dati [di cui disponiamo] sono basati soprattutto su casi di esposizione alla irradiazione esterna. Manifestazioni simili si possono anche avere per irradiazione interna, dopo somministrazione di radionuclidi quali 1’oro-198 ed il fosfooro-32, in dosaggio molto elevato. Tuttavia gli effetti dell’irradiazione interna ben raramente si manifestano con i segni della sindrome acuta da radiazioni, caratterizzandosi piuttosto per quelli di una irradiazione cronica a basso livello.

EFFETTI SOMATICI CRONICI

Gli effetti somatici cronici causati dall’esposizione alle radiazioni sono assai più difficili da dimostrare con certezza. È solo dopo molti anni dalla scoperta dei raggi X e della radioattività che si comprese come gli effetti somatici derivanti da sovraesposizione alle radiazioni ionizzanti potessero rendersi evidenti dopo anni o anche decenni. Questa scoperta ebbe origine dalla osservazione delle alterazioni cutanee, apparendo chiaro che ustioni e dermatiti da raggi potevano evolvere verso il tumore della pelle. L’ipotesi, così formata, della possibilità di effetti delle radiazioni non acuti, ma cronici, e manifestati a distanza di tempo, ha trovato un largo appoggio di dati sperimentali ottenuti dagli animali di laboratorio. Altri effetti cronici delle radiazioni sono l’accorciamento della durata di vita e l’invecchiamento precoce, l’aumento dell’incidenza della leucemia e di tumori, sia benigni che maligni.

Accorciamento della durata di vita. La sperimentazione sugli animali ha dimostrato chiaramente che l’irradiazione, sia in dose singola che ripetuta, porta ad un accorciamento della vita media; tuttavia non vi è, per quanto riguarda l’uomo, una sicura dimostrazione e definizione di questo fenomeno, sia per l’ovvia difficoltà di ottenere dati di questo genere dall’uomo, sia per la difficoltà di extrapolare all’uomo i risultati della sperimentazione animale. Inoltre va anche considerato che l’aumentata incidenza di leucemia e tumori, negli individui irradiati, comporta egualmente la riduzione della sopravvivenza. Al momento attuale si ritiene che si possa affermare una generica riduzione della sopravvivenza nell’uomo irradiato, anche se mancano dati per una stima quantitativa. Lo studio dei sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki non ha permesso finora risultati conclusivi in questo senso. Ha suscitato peraltro molte discussioni una indagine statistica secondo la quale i medici radiologi vivrebbero in media 5,2 anni in meno dei colleghi non radiologi. Questa differenza sembra comunque ridursi negli ultimi anni, con il miglioramento delle apparecchiature e dei provvedimenti di ordine radioprotezionistico.

Invecchiamento precoce. La accelerazione dei processi fisiologici di invecchiamento è stata correlata con sicurezza alla esposizione alle radiazioni. Questa infatti si dimostra capace di provocare fibra si della pelle, del miocardio, degli organi linfoidi e delle ghiandole endocrine, atrofia e difetti di sviluppo degli organi linfoidi, del midollo osseo e delle gonadi, atrofia ed alterazioni della pigmentazione della pelle e dei capelli, flogosi cronica polmonare. Tutti questi processi sono associati al fenomeno della senescenza: l’argomento è però già in se stesso maldefinito e controverso, per cui non si possono dare, a questo proposito, che indicazioni generiche.

Leucemia. Un dato sicuro è l’aumento dell’incidenza della leucemia nella popolazione esposta alle radiazioni: sopravvissuti ai bombardamenti atomici, radiologi, bambini trattati con Rx-terapia per ipertrofia timica ed adulti trattati con Rx-terapia per artrosi vertebrale. Il rischio leucemogeno rappresenta una delle principali motivazioni dei provvedimenti di ordine radioprotezionistico.

Cancerogenesi. Anche lo sviluppo di tumori maligni sembra rappresentare uno dei principali e più sicuri effetti dell’esposizione alle radiazioni. L’insorgenza di neoplasie è stata infatti sicuramente dimostrata in lavoratori professionalmente esposti: tumori della pelle nei pionieri della radiologia, tumori polmonari nei minatori delle miniere di uranio, tumori del cavo orale negli utilizzatori di vernici fosforescenti ai sali di radio. […]


EFFETTI GENETICI

Ogni individuo vivente si sviluppa a partire da un’unica cellula formata dalla fusione di due cellule germinali provenienti dai due genitori. Ciascuna cellula contiene un certo numero di strutture, a forma di filamenti, chiamate cromosomi, ciascuna delle quali contiene a sua volta dei geni, i quali ultimi costituiscono il patrimonio ereditario dell’individuo. Ciascun genitore contribuisce per metà al corredo cromosomico della progenie. Da questo dipende la costanza dei caratteri ereditari familiari.
Occasionalmente, per cause varie, può succedere che un gene venga alterato: si ha allora una mutazione cui consegue, nella prole, la variazione di quelle caratteristiche ereditarie che sono controllate dal gene alterato. Le cause delle mutazioni possono essere varie, stimoli termici, stimoli chimici, ed anche radiazioni ionizzanti.
Alcune mutazioni sono benefiche. Si presume ad esempio che il processo di evoluzione degli esseri viventi sia avvenuto ad opera di piccole mutazioni succedutesi nel corso dei millenni. Altre mutazioni sono dannose, alcune addirittura letali: si considerano di origine genetica buona parte di malformazioni congenite, alterazioni mentali, ecc. Le mutazioni possono essere dominanti oppure recessive. Le mutazioni dominanti si manifestano nella prima generazione, chiunque sia il genitore portatore del gene alterato. Le mutazioni recessive si manifestano solamente se entrambi i genitori sono portatori del gene alterato. Le mutazioni dominanti sono assai più rare delle recessive, e la probabilità di passaggio di esse alla progenie è anche più rara. La mutazione recessiva si trasmette, anche se latente, alle successive generazioni, benché con probabilità sempre minore. Secondo le leggi della genetica, se entrambi i genitori sono portatori della alterazione, esiste il 50 % di probabilità che ne sia affetto il figlio, 25 % che ne sia affetto il nipote ed il 12,5 % che ne sia affetto il pronipote. È chiaro comunque che ciascuno è portatore della sua parte di mutazioni recessive ereditate dai suoi avi, e questa è una delle ragioni per cui si sconsiglia il matrimonio tra consanguinei, in quanto è ovvio che i consanguinei abbiano maggior probabilità di essere portatori dello stesso gene recessivo, ciò che aumenta la probabilità della sua manifestazione nella progenie.
Le radiazioni ionizzanti sono sicuramente capaci di indurre la comparsa di mutazioni, come confermato da una larga mole di dati sperimentali ottenuti sugli animali. Su questo argomento possono venire fissati con buona sicurezza i seguenti punti:

1. qualsiasi dose di radiazione può produrre mutazioni: non esiste un livello di soglia inferiore;

2. il numero delle mutazioni è proporzionale alla dose ricevuta;

3. non esiste possibilità di ricupero del gene quando la mutazione è avvenuta;

4. a differenza del danno somatico, il danno al materiale genetico è cumulativo. A parità di dose, l’esposizione protratta ad una irradiazione di bassa intensità produce lo stesso danno genetico di una irradiazione breve di elevata intensità;

5. le radiazioni aumentano la frequenza ma non variano il substrato chimicofisico delle mutazioni genetiche.

L’extrapolazione all’uomo di questi dati è assai difficile. Lo studio accurato dei superstiti di Hiroshima e Nagasaki ha rivelato alla prima generazione assai poche alterazioni riferibili a mutazioni, d’altra parte non distinguibili dalle mutazioni risalenti alla eredità precedente. Per contro, solamente lo studio delle generazioni successive potrà permettere dati definitivi.
 

                A questo punto occorre dire qualcosa sulle unità di misura utilizzate in radiologia e radioprotezione. Devo avvertire che le cose sono estremamente complesse perché, negli anni, si è capito che occorreva misurare una molteplicità imprevedibile di grandezze che riporto di seguito:

ATTIVITA’

                Le particelle (protoni e neutroni, essenzialmente) costituenti i nuclei degli atomi sono tenute insieme da particolari forze (dette nucleari) e al loro stare unite per formare un nucleo corrisponde una energia detta di legame. Per un nucleo, la situazione di maggiore stabilità si ha in corrispondenza di una sua composizione con un eguale numero di protoni e neutroni. Più si altera questo equilibrio (in natura, a partire dall’elemento 84 della tavola periodica degli elementi; artificialmente, “aggiungendo” particelle – neutroni o, indirettamente, protoni – al nucleo), più il nucleo diventa instabile. Il nucleo tende allora a ritornare in situazione di stabilità e, per farlo, emette energia, cioè radiazioni.

                Le radiazioni che vengono emesse dal nucleo possono essere di tipi differenti: alfa, quando dal nucleo vengono emessi gruppi di 4 particelle (due protoni + due neutroni) legate insieme (si tratta di una radiazione che possiede quindi grande massa e una carica positiva); beta quando dal nucleo (dopo complicati processi interni di trasmutazione) vengono emessi degli elettroni (si tratta quindi di una radiazione che possiede una piccola massa e una carica negativa); gamma quando dal nucleo (per problemi di riaggiustamento energetico al suo interno) vengono emesse “particelle” di pura energia chiamate fotoni gamma (si tratta di una radiazione priva di massa e priva di carica). A parte occorre considerare la radiazione neutronica, che non è propriamente l’emissione di neutroni da parte di un nucleo, ma di neutroni che vengono liberati nei processi di fissione nucleare; quando un nucleo pesante viene spezzato in due o più frammenti, alcuni neutroni appartenenti al nucleo iniziale vengono espulsi (si tratta di una radiazione con una discreta massa e priva di carica; occorre però sottolineare la sua estrema pericolosità in quanto tali neutroni vengono facilmente catturati dai nuclei delle sostanze circostanti il luogo di loro produzione, alterando il rapporto di stabilità neutroni-protoni in quei nuclei e rendendo quindi radioattive molte di quelle sostanze – tra cui aria, acqua, terra…).

                Ogni volta che un nucleo emette un corpuscolo alfa o una particella beta o un fotone gamma si dice che ha subito una trasmutazione (o disintegrazione) nucleare. Si definisce allora attività dì una data sostanza radioattiva (o sorgente) il numero di trasmutazioni nucleari spontanee n che avvengono, nella quantità di sostanza considerata, nell’unità di tempo t

A = n/t

ATTIVITA’ SPECIFICA IN MASSA

        Si tratta evidentemente dell’attività che presenta una unità di massa della sostanza radioattiva considerata

ASM = A/m

ATTIVITA’ SPECIFICA IN VOLUME

        Anche qui, si tratta dell’attività che presenta una unità di volume della sostanza radioattiva considerata

ASV = A/V

ESPOSIZIONE

        Gli effetti indotti sulla materia dalle radiazioni dipendono dalla facoltà che queste hanno di ionizzare (direttamente o indirettamente) atomi del materiale che è esposto ad esse. La facoltà di ionizzare che le radiazioni presentano è un importante aspetto del loro carattere nocivo.

        Nel corpo umano questa ionizzazione può portare al danneggiamento del Dna e dell’Rna, e quindi del patrimonio genetico. Si possono cioè rompere alcuni legami chimici che tengono insieme le catene molecolari con produzione di radicali liberi, e ciò porta a un danneggiamento di cellule, e alla loro morte repentina o ritardata. Quindi la quantità di ioni che vengono prodotti da una data radiazione è un indice importante della pericolosità di una data radiazione. La grandezza “esposizione” descrive la capacità della radiazione non corpuscolare di ionizzare l’aria (ci si riferisce quindi solo a radiazione X o gamma ); è quindi la quantità di carica elettrica (q) che viene creata in una unità di massa d’aria (m):

X = q/m

        C’è da notare che l’esposizione fornisce un indice della quantità di radiazione e non della sua intensità; è quindi indipendente dal tempo, fornendoci solo la quantità complessiva di ioni prodotti in una data massa d’aria, da una determinata sorgente, in un tempo qualunque.

DOSE ASSORBITA

        E’ l’energia che le radiazioni ionizzanti cedono all’unità di massa in un dato punto del materiale irradiato. Si avrà quindi

D = E/m

        Occorre notare che il concetto di dose assorbita può essere riferito a qualsiasi radiazione ionizzante. Inoltre, poiché un ruolo importante nella definizione di questo concetto lo assolve il materiale irradiato, a seconda della struttura di quest’ultimo la dose assorbita sarà più o meno grande, a parità di attività della sorgente (ad esempio l’aria assorbe meno dei tessuti molli del corpo umano che, a loro volta, assorbono meno delle ossa; se poi ci si riferisce a un generico osso la dose assorbita varia al variare del punto specifico che si prende in considerazione).

DOSE ASSORBITA INTEGRALE

        Si tratta della quantità totale di energia che viene assorbita dal materiale irradiato in una sua regione di massa m predeterminata (ad esempio, riferendoci ancora all’osso precedentemente citato, ci si può chiedere qual è la dose complessivamente assorbita da tutto l’osso, indipendentemente dal fatto che punto per punto questa dose varia). Si ha allora a che fare con una dose moltiplicata per una massa

e = D.m

che ha, evidentemente, le dimensioni di una energia.

EQUIVALENTE DI DOSE EFFICACE

        Abbiamo visto che la dose assorbita è diversa per sostanze diverse, a parità di sorgente. Ma anche il variare il tipo di radiazione della sorgente dovrà avere un’influenza sulla dose assorbita. Questo fatto è particolarmente importante ai fini radioprotezionistici, e proprio per questo motivo è stata introdotta la grandezza “equivalente di dose efficace” come misura degli effetti biologici che una data radiazione può provocare. Poiché gli effetti biologici che vengono provocati dalle radiazioni ionizzanti possono avere caratteristiche molto differenti anche a parità di dose fisica, cominciamo con l’introdurre il concetto di “Efficacia biologica relativa” (Ebr).

        L’Ebr è stata introdotta al fine di render conto della diversità degli effetti (in sostanze o sistemi biologici) prodotti da differenti tipi di radiazione, anche a parità di dose assorbita. L’Ebr è definita come il rapporto tra una dose determinata di radiazione X o gamma (scelta come valore di riferimento) e la dose della radiazione ionizzante in esame, in grado di produrre lo stesso effetto biologico. Ora, poiché l’Ebr delle diverse radiazioni dipende solamente dal numero di ionizzazioni prodotte, è evidente che una data radiazione dotata di carica produrrà un’Ebr più grande di una radiazione X o gamma. E, tra le radiazioni dotate di carica, quelle che ne possiedono di più produrranno più ionizzazioni (così l’Ebr dei raggi X o gamma vale 1; quella delle radiazioni beta vale 1,7; quella delle radiazioni alfa vale 20).

        Oltre al tipo di radiazione che colpisce un determinato organismo, molti altri fattori influenzano l’effetto biologico di quella data radiazione (ad esempio: il contenuto di ossigeno in un dato tessuto, la temperatura di un dato tessuto, l’età, il sesso, il volume di tessuto irradiato, il frazionamento o la protrazione nella somministrazione della dose…). L’Ebr risulta quindi un concetto limitato, soprattutto perché non è espresso da un valore costante sempre valido. Si è pensato allora di introdurre una grandezza, il “fattore di qualità” (Q), che assegna valori ben precisi ai differenti tipi di radiazione (il fattore Q vale 1 per radiazioni X, beta o gamma di qualunque energia; passa dal valore 2 al valore 11 – e non linearmente – per radiazioni neutroniche di differenti energie; vale 20 per radiazioni alfa). Per tener conto di tutto ciò che si diceva sopra, si è introdotto un nuovo fattore(N), che è dato dal prodotto di svariati fattori correttivi che tengono soprattutto conto della distribuzione spaziale e temporale della dose assorbita (attualmente a N viene assegnato il valore 1 per irradiazione proveniente dall’esterno del corpo).

        Arriviamo così alla definizione di “equivalente di dose efficace”. Essa è data dal prodotto della dose assorbita, per il fattore di qualità, per il numero N

H = D.Q.N.

(in passato H era invece definita come il prodotto tra D ed Ebr

H = D.Ebr

ma per i motivi sopra esposti questa definizione è stata abbandonata).

        Una cosa importante di cui si deve tener conto è la seguente: mentre le dosi in gray di radiazioni non si possono sommare ai fini dei danni biologici, le dosi in sievert (vedi oltre) sono additive.

INTENSITA’ DI DOSE DI ESPOSIZIONE

        Concetto importante, che ci dice quanta esposizione c’è stata nell’unità di tempo.

INTENSITA’ DI DOSE ASSORBITA

        Si tratta della dose che viene assorbita nell’unità di tempo.

INTENSITA’ ASSORBITA INTEGRALE

        È la dose assorbita integrale nell’unità di tempo.

INTENSITA’ DI DOSE (BIOLOGICA) EFFICACE

        È l’equivalente di dose per unità di tempo.

KERMA

        II termine “kerma” è un acrostico che in lingua inglese sta ad indicare l’energia cinetica ceduta (dalla radiazione) per unità di massa (del materiale irradiato). È quindi un rapporto tra una energia (Etr) e una massa m, dove Etr rappresenta la somma delle energie cinetiche iniziali di tutte le particelle cariche originate dalle particelle indirettamente ionizzanti, e di tutte le altre energie dei vari processi secondari che vengono originati in un dato elemento di volume di uno specificato materiale; m è la massa di quel dato elemento di volume

K = Etr/m

        È utile notare che è possibile dare il valore del kerma (o dell’intensità di kerma, vedi prossima definizione) in un dato materiale posto all’interno di un altro materiale di natura differente. Il valore ottenuto è lo stesso che si avrebbe avuto se una piccola quantità del materiale dato fosse posta nel punto d’interesse (è quindi possibile fare affermazioni del tipo: il kerma relativo all’aria nel punto P – che potrebbe essere un piccolo osso – all’interno del corpo umano).

INTENSITA’ DI KERMA

        Si tratta del kerma che viene ceduto nell’unità di tempo.

RELAZIONE TRA DOSE ASSORBITA E KERMA

        Dalla tabella 3 si può facilmente vedere che la dose D assorbita e il kerma K hanno le stesse unità di misura e dimensioni e quasi la stessa definizione. Quale differenza esiste tra le due grandezze? Abbiamo già visto che è stato necessario introdurre la dose assorbita (1953) in aggiunta all’esposizione, perché gli effetti biologici delle radiazioni non dipendono tanto dalla ionizzazione delle molecole delle cellule dei tessuti viventi quanto dall’energia che queste radiazioni forniscono a una data massa, in una certa porzione di volume del materiale irradiato. Vediamone il significato con un esempio.

        Supponiamo di avere una massa m in un dato volume V e supponiamo che nel punto P interno a V si sia misurata la dose D (figura 1). Supponiamo ora che tre radiazioni ionizzanti (corpuscolari o no) abbiano creato tre elettroni secondari nei punti segnati con asterisco. Ebbene, è solo l’energia persa da questi elettroni nel tragitto effettuato dentro V a contribuire a determinare D.

        Consideriamo ora la stessa situazione precedente (una massa m in un dato volume V e tre radiazioni ionizzanti che abbiano prodotto tre elettroni secondari nei punti segnati con asterisco – figure la, 2b e 2c). Nel caso di figura la (elettroni che vengono prodotti ed esauriscono il loro percorso all’interno della massa m) l’energia ceduta dalla radiazione coincide con quella depositata nel mezzo, e quindi dose assorbita e kerma hanno lo stesso valore. Nel caso di figura 2b (elettroni che dissipano parte della loro energia all’interno della massa m – dove sono stati creati – e parte all’esterno) l’energia ceduta dalla radiazione non coincide più con quella depositata nel mezzo; essa è maggiore di quella depositata nel mezzo. In questo caso allora il kerma è maggiore della dose assorbita. Nel caso infine di figura 2c, l’energia ceduta dalla radiazione è minore di quella depositata nel mezzo, con la conseguenza che il kerma è minore della dose assorbita.

        Più in generale si dovranno considerare situazioni intermedie, analoghe a quelle di figura 1. In questo caso: il kerma coinciderà con la dose assorbita se l’energia dissipata dagli elettroni di tipo 1 all’interno del volume considerato è compensata dall’energia trasportata dagli elettroni di tipo 3 fuori di esso (situazione che si usa indicare come di equilibrio delle particelle cariche). Il kerma sarà invece rispettivamente maggiore o minore della dose assorbita, se prevale la situazione degli elettroni 3 o quella degli elettroni.

CONSIDERAZIONI SULLE VARIE GRANDEZZE INTRODOTTE

        La gran parte delle grandezze che abbiamo definito sono state introdotte da un organismo internazionale e sovranazionale, l’Icrp (International commission on radiological protection) e, per la parte relativa alle unità di misura, dall’Icru (già citato).

        L’Icrp si riunisce periodicamente: per definire nuove grandezze, per eliminarne altre, per modificarne qualcuna e, soprattutto, per fissare le dosi massime ammissibili per i lavoratori del settore nucleare, le dosi limite per la popolazione, le concentrazioni massime ammissibili ecc.

        I rapporti periodici di questi due organi sono talmente autorevoli che, pur non avendo forza di legge, vengono sempre recepiti dalle legislazioni dei vari paesi, tra cui l’Italia.

        In questi ultimi anni l’Icrp ha avuto un superlavoro; a parte i vari limiti di dose, di concentrazione ecc., che più volte si sono dovuti abbassare (non mi occuperò qui di questa rilevante questione), si è resa sempre più urgente l’introduzione di nuove e più “affidabili” grandezze di tipo radiologico. E di queste nuove grandezze l’Icrp ne ha introdotte moltissime: oltre a quelle qui definite ve ne sono decine di altre. Ciò nonostante la situazione resta del tutto insoddisfacente, secondo l’opinione di quasi tutti i tecnici di origine non sospetta (ad esempio C. Polvani, M. Pelliccioni, R.F. Laitano… solo per quanto riguarda l’Italia).

UNITA’ DI MISURA

        Ognuna delle grandezze che ho elencato ha la sua unità di misura. Non è qui il caso di aprire una discussione su tali unità perché richiederebbe un intero trattatello. Mi limito a definire le unità incontrate e quella che attualmente usiamo per rendere conto dei danni biologici da radiazione.

        Nelle cose scritte abbiamo incontrato le unità roentgen, rem e rad. Vediamo di cosa si tratta attraverso il testo di Medicina Nucleare citato:

Il roentgen. Il roentgen (R) è quella quantità di radiazione di raggi X o gamma tale che l’emissione corpuscolare associata per 0,001293 grammi d’aria produce, in aria, ioni di carica pari a una unità elettrostatica di ambedue i segni (1 u.e.s. = 0,33 X 10-9 C). Vi sono due concetti che devono essere sottolineati nella definizione del roetgen. Il roentgen è la misura della quantità di radiazione, non dell’intensità. È una misura della dose totale e non tiene conto del tempo di esposizione; inoltre è una unità che riguarda solamente i raggi X ed i raggi gamma.


Il rad (Radiation Absorbed Dose: unità di dose assorbita). Il rad è la misura della quantità di energia liberata nella materia dalla radiazione ionizzante, per unità di massa del materiale irradiato. Un rad è uguale a 100 erg di energia assorbita per grammo di materia assorbente. Due concetti devono essere sottolineati in questa definizione. Primo, il rad vale per qualsiasi radiazione ionizzante, e si distingue dal Roentgen, che si applica solamente ai raggi X o gamma. Secondo, il rad è una misura di energia assorbita dalla materia e non si riferisce alla quantità o alla intensità del campo di radiazione.

L’EBR (Efficacia Biologica Relativa). L’EBR è una grandezza introdotta per indicare che diversi tipi di radiazione producono effetti diversi nei materiali o sistemi biologici, a parità di dose assorbita. Più specificatamente, è il rapporto fra una dose assorbita di raggi X o gamma e la dose assorbita da un’altra radiazione capace di produrre lo stesso effetto biologico. In formula si ha:

 

EBR = [dose in rad per produrre un certo effetto con radiazioni X o gamma]/[dose in rad della radiazione in esame che produce lo stesso effetto]

 

L’efficacia biologica relativa delle diverse radiazioni ionizzanti dipende solamente dal numero di ionizzazioni prodotte, valore comunemente indicato come trasferimento lineare di energia (LET). Poiché il LET è una funzione della carica e della velocità della particella ionizzante, è chiaro che una certa quantità di radiazione alfa produce un effetto biologico molto maggiore di una eguale quantità di radiazione X o gamma.

Il rem (dose equivalente). Il rem è l’unità di dose biologica all’uomo quale risulta dall’esposizione a qualsiasi radiazione. È uguale alla dose assorbita in rad moltiplicata per l’efficacia biologica relativa del particolare tipo di radiazione assorbita. In formula si ha:


dose in rem = dose in rad x EBR


Il valore della dose in rem per radiazione X, gamma e beta corrisponde numericamente al valore della dose in rad per il fatto che queste radiazioni hanno un EBR uguale a 1.

Si deve sottolineare la differenza tra le unità di misura della radiazione. Il roentgen è l’unità di esposizione; il rad è l’unità di dose assorbita ed il rem è l’unità di dose equivalente (dal punto di vista dell’effetto biologico). Tutte e tre le unità sono usate in medicina nucleare, naturalmente con applicazioni diverse. Il roentgen, o più comunemente il suo sottomultiplo, milliroentgen (mR), per misure nell’ambiente di esposizione; il rad per misure di dose assorbita dal corpo intero o da un organo a seguito della somministrazione di un radiofarmaco; il rem per misure di dose equivalente del personale sottoposto a controllo dosimetrico.

Resta ancora da definire l’unità attualmente in uso e che sentiamo nominare spesso, il sievert (Sv). Questa unità misura, come il rem, la dose equivalente. Serve quindi solo dire a quanti rem corrisponde un sievert:

1 Sv = 100 rem.

Da ultimo riporto una tabella tratta da l’Espresso del 7 aprile 2011 in cui sono riportati gli effetti sull’uomo di diverse dosi di radiazioni di differente provenienza:


RIPROCESSAMENTO



Come detto, in realtà, il combustibile estratto (“scaricato”) dai reattori contiene ancora una grandissima quantità di elementi fertili (torio, uranio 238…) e fissili (uranio 233, 235, plutonio) potenzialmente utilizzabili. In particolare le scorie degli attuali reattori (2º e 3º generazione funzionanti ad uranio) contengono una grandissima quantità di U238 (94%), una piccola quantità di U235 e di plutonio (2%) una ancor minore quantità di altri nuclei pesanti (attinoidi) mentre un 3-4% è dato dagli atomi “spezzati” cioè dai prodotti di fissione.
Benché il plutonio sia radiotossico (la sua tossicità chimica è intermedia fra il cianuro e il concentrato di caffeina [2]), il suo recupero insieme all’uranio 238 e 235 è talvolta attuato. Il problema è che tali atomi sono frammisti ai prodotti di fissione (anch’essi altamente radiotossici) e vanno dunque separati. Tale processo è detto ritrattamento o riprocessamento delle scorie e produce da un lato nuovi elementi fertili e fissili, dall’altra delle scorie inutilizzabili ed estremamente pericolose che devono essere collocate in luoghi sicuri. Per quanto riguarda i costi, dovendo operare sul “combustibile irraggiato” cioè “spento” ovvero altamente radioattivo, il ritrattamento è una operazione estremamente onerosa e non è detto che sia economicamente conveniente effettuarla.
Va inoltre sottolineato che gli impianti di ritrattamento (così come quelli di arricchimento) sono ovviamente a rischio di incidente nucleare; lo stesso trasporto dei materiali da e per questi impianti è soggetto a rischi. Alcuni degli incidenti più gravi oggi noti sono infatti avvenuti in queste installazioni. Nel 2008 in Francia sono avvenuti alcuni incidenti riguardanti proprio impianti di ritrattamento (come quello di Tricastin gestito dalla Areva).
Per tali motivi non è detto che il ritrattamento venga attuato (alcuni paesi come gli USA hanno deciso di non ritrattare il combustibile esausto): pertanto con “scorie” si può intendere sia il combustibile scaricato dai reattori, sia lo scarto inutilizzabile dei processi di ritrattamento. Nei due casi i volumi da smaltire (così come i rischi ed le problematiche citate) sono molto differenti.
 

COSTO DELLE SCORIE

Il nucleare che non c’è ci costa già 4 miliardi

Questa al cifra stimata per il riprocessamento del combustibile dalle scorie. Un lavoro pericoloso cui gli Usa hanno rinunciato. Ancora più esorbitanti i costi di smantellamento delle vecchie centrali nucleari. Quasi tutte quelle attive oggi risalgono agli anni 70 ed entro il 2020 verranno chiuse

Tra i  molti dubbi una cosa è certa: il costo che gli italiani stanno già pagando per il “riprocessamento” del combustibile esausto e per il decommissioning (smantellamento) dei loro impianti nucleari non più funzionanti.

“Riprocessare” il combustibile significa, infatti, separare dalle scorie le parti riciclabili: l’uranio non ancora utilizzato e soprattutto il plutonio formatosi nel combustibile stesso durante il funzionamento del reattore. Si tratta di lavoro “sporco” perché presenta rischi di proliferazione dovuti al fatto che parte del materiale sia sottratto senza che ve ne sia evidenza. Per evitare questi rischi gli Stati Uniti sino ad oggi hanno scelto di non riprocessare le loro scorie, considerando il combustibile come un vero e proprio rifiuto a perdere. Molti altri Paesi sono in una situazione di attesa, cosicché – secondo i dati forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’Aiea – solo un terzo del combustibile nucleare irraggiato prodotto sino a oggi nei reattori di tutto il mondo è stato riprocessato, mentre tutto il resto è stoccato, in attesa dello smaltimento o della decisione circa il suo destino.

L’Italia sceglie di trattare le scorie

A differenza di questi Paesi, l’Italia ha sposato, per il combustibile esausto proveniente dagli impianti oggi fermi, la scelta del riprocessamento, una strada rischiosa e costosa, tant’è che per onorare il contratto con la francese Areva, dal primo gennaio 2007 è stata triplicata la quota della componente A2 (nella bolletta), i cosiddetti “oneri nucleari”, che hanno comportato, come dice l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, “un aumento dell’ordine di un punto percentuale sulla tariffa domestica”. Al netto di imprevisti, la stima degli oneri complessivi del programma di riprocessamento trasmesso all’Autorità, a dicembre 2006 e confermato a marzo 2007, ammonta a 4,3 miliardi di euro, comprensivi, sia dei costi già sostenuti dal 2001 a moneta corrente, sia di quelli ancora da sostenere a moneta 2006.

La stima dei costi per la chiusura del ciclo del combustibile è articolata in tre distinte partite:

1. la sistemazione del combustibile irraggiato delle centrali di Trino, Caorso e Garigliano ancora stoccato in Italia, del quale è previsto l’invio in Francia per il riprocessamento, con ritorno dei prodotti post-ritrattamento al deposito nazionale

2. la sistemazione della quota parte Sogin del combustibile della Centrale di Creys-Malville, per la quale è prevista la cessione onerosa a EdF, con la conseguente presa in carico da parte di Sogin del relativo plutonio presso gli stabilimenti della Areva e quindi la successiva cessione onerosa di detto plutonio

3. la sistemazione del combustibile irraggiato che, a fronte di contratti già stipulati, è stato già inviato in Inghilterra e i cui prodotti post-trattamento saranno trasferiti direttamente al deposito nazionale

Devono poi aggiungersi i costi per le attività tecniche a carattere generale, di supporto, funzionamento sede centrale e imposte. Tutti questi costi sono oggi fatti pagare agli utenti con la bolletta dell’energia elettrica.

Smantellare le centrali

La grandissima maggioranza delle centrali nucleari oggi operanti nel mondo sono state ordinate negli anni ’60 e ’70 (quelle ordinate dopo il 1979 sono pochissime) e sono entrate in servizio negli anni ‘70 e ’80. All’inizio si assegnava a una centrale nucleare una vita produttiva di trent’anni, estesa poi a quarant’anni. Entro il 2020 tutte o quasi le centrali nucleari oggi attive nel mondo compiranno quarant’anni e dovrebbero essere smantellate.

Nel caso italiano gli esperti sostengono che i costi di decommissioning (comprensivi anche del confinamento delle scorie) equivalgono a una volta e mezzo il costo di una nuova centrale. D’altra parte Francia, Inghilterra e Stati Uniti fanno valutazioni analoghe. Nel 2005 il ministero dell’Industria francese, in base a un criterio stabilito nel 1991, valutava in 13,5 miliardi di euro il costo di smantellamento del parco nucleare, ma già nel 2003 la Corte dei conti aveva valutato tale costo in una forchetta di 20-39 miliardi di euro, mentre una commissione ad hoc parla oggi di centinaia di miliardi di euro (e si capisce che i francesi, che pagano oggi il 30% in meno degli Italiani la bolletta elettrica, in realtà stanno staccando un acconto e che la richiesta di Edf al governo di un aumento di 20 euro al Mwh per il decommissioning, finisce col pareggiare già adesso il conto).

L’Inghilterra ha prodotto la sua prima stima del costo della “uscita “ del Paese dal nucleare in circa 80 miliardi di euro, una cifra gigantesca, oltre il doppio del costo di costruzione ex-novo dell’intero parco nucleare inglese. Per il governo Usa trattare i 25 reattori a minore potenza già fermi costa attorno a 500 milioni di dollari a impianto. Senza contare che lo stesso studio di previsione ritiene che occorrano almeno 50 anni di “fermo impianto” per poter consentire nei 60 anni successivi l’accesso sicuro degli operatori. Tutti rilievi e conti confermati dall’Ue, che, attraverso il Joint Research Center nel sito di Ispra (Varese), si appresta al decommissioning di Essor – un reattore sperimentale di 42 MW che ha prodotto nella sua attività 3.000 m3 di scorie – con un budget ventennale di oltre 1,5 miliardi di euro complessivi.

Da ciò si deduce che i costi “nascosti” e “rinviati” del nucleare sono ancora ben lontani dall’essersi manifestati interamente e sono dello stesso ordine di quelli di costruzione. Oggi cominciano a venire al pettine. La chiusura degli impianti che compiono 40 anni di attività, a seguito della crisi finanziaria e dei bilanci statali, viene rinviata di qualche anno, come in Germania e Spagna, ma è una necessità ineludibile. Quindi i costi (e i problemi) del decommissioning salgono alla ribalta e quelli “veri” del nucleare inevitabilmente lievitano. Potremmo dire che, per ogni euro pagato in fase di costruzione di un nuovo reattore oggi, occorre ipotecare un analogo pagamento che andrà a scadenza entro la fine del secolo.

di Mario Agostinelli (Portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima. L’articolo, pubblicato in anteprima da ilfattoquotidiano.it, uscirà a Maggio sul mensile Valori)
 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/30/il-nucleare-che-non-ce-ci-costa-gia-4-miliardi-di-euro/108192/


Depositi in cavità sotterranee o in miniere e depositi geologici


Attualmente vengono principalmente proposti due modi per depositare le scorie (preventivamente solidificate se liquide o gassose): per le scorie a basso livello di radioattività si ricorre al deposito superficiale, ovvero il confinamento in aree terrene protette e contenute all’interno di barriere ingegneristiche; per le scorie a più alto livello di radioattività si propone invece il deposito geologico, ovvero allo stoccaggio in bunker sotterranei profondi e schermati in modo da evitare la fuoriuscita di radioattività nell’ambiente esterno. Al 2003 tuttavia non esisteva al mondo alcun deposito geologico definitivo in esercizio[3].
I siti di destinazione ottimali vengono individuati e progettati in base a rigorosi studi di natura geologica, come il deposito Konrad, in Germania [4], che ha subito un esame più approfondito che rispetto al vicino deposito di Asse. Il deposito geologico di Asse in Germania, ricavato in una miniera di potassa aperta dagli inizi del 1900 [5], venne inizialmente studiato negli anni sessanta. In seguito allo scavo di ulteriori camere per lo stoccaggio di rifiuti a bassa e media attività [5], venne raggiunta la parte più esterna della miniera [6]. Data la conformazione delle rocce e dell’uso abbastanza intensivo della miniera, oltre che l’uso di materiale di riempimento proveniente dai processi di lavorazione della potassa e per i naturali movimenti delle rocce [6], negli anni si ha avuto un iniziale e successivo aumento delle infiltrazioni d’acqua, andando ad intaccare la tenuta di alcuni contenitori che contenevano i rifiuti radioattivi, portando a perdite di cesio; questo porta anche a ritenere che non fossero stati condizionati correttamente parte dei rifiuti[7] e che alcuni contenitori non fossero a tenuta [7]. Nonostante si ritenga generalmente che le miniere di sale siano immuni alle infiltrazioni d’acqua e geologicamente stabili, e pertanto adatte ad ospitare per migliaia di anni le scorie nucleari, nel caso di Asse le infiltrazioni ci sono e le perdite di sostanze radioattive sono state rilevate per la prima volta nel 1988. Gli studi preliminari effettuati negli anni sessanta viceversa consideravano Asse una locazione adatta per lo stoccaggio dei rifiuti a bassa e media radioattività, rispettivamente LAW e MAW. Per eliminare le infiltrazioni, si stanno studiando vari metodi per la stabilizzazione delle rocce che formano il deposito [6]. Seppur al livello di bozza, vi è anche la possibilità che i rifiuti vengano recuperati, nel caso che questo non comporti rischi maggiori per la popolazione e per il personale che dovrà maneggiare i rifiuti [8][9].
In genere comunque, prima del riprocessamento o comunque prima del deposito delle scorie, queste vengono stoccate per non meno di 5 mesi [10], ma arrivando anche agli anni di attesa, in apposite piscine d’acqua situate nel complesso della centrale che hanno lo scopo di raffreddare il materiale radioattivo, e schermare la radioattività generata dagli elementi con emivita (o tempo di dimezzamento) più breve, in attesa che questa scenda a livelli accettabili per intraprendere la fasi successive.
A parte tali elementi molto pericolosi ma a vita breve, il problema maggiore legato alle scorie nucleari riguarda infatti l’elevatissimo numero di anni necessari affinché si raggiunga un livello di radioattività non pericoloso. Il “tempo di dimezzamento” è il tempo che un determinato elemento impiega a dimezzare la propria radioattività: è quindi necessario un tempo molte volte superiore alla “emivita” affinché l’elemento perda il proprio potenziale di pericolo. Si consideri che ad esempio il plutonio, con una emivita di circa 24000 anni, richiede un periodo di isolamento che è nell’ordine di 240 mila anni e che, nel suo complesso, il combustibile scaricato da un reattore di 2º o 3º generazione ad uranio mantiene una pericolosità elevata per un tempo dell’ordine del milione di anni (si veda il grafico soprastante).


http://it.wikipedia.org/wiki/Scoria_radioattiva

 
Quantitativi e pericolosità delle scorie nel mondo

 
Secondo l’INSC,[21] la quantità di scorie prodotte annualmente dall’industria nucleare mondiale ammonta, in termini di volume teorico, a 200.000 m3 di Medium and Intermediate Level Waste (MILW) e 10 000 m3 di High Level Waste (HLW). Questi ultimi, che sono i più radiotossici, prodotti annualmente in tutto il mondo occupano il volume di un campo di pallacanestro (30 m x 30 m x 11 m).
Dati i piccoli volumi in gioco, la maggior parte dei 34 Paesi con impianti nucleari di potenza ha per ora adottato la soluzione del deposito delle scorie presso gli impianti stessi in attesa di soluzioni più durature. Alcuni Paesi hanno in costruzione depositi geologici sotterranei (Finlandia, Olkiluoto, gestito da Posiva Oy), altri paesi hanno viceversa abbandonato i loro progetti (ad esempio gli USA con Yucca Mountain, Nevada, che avrebbe dovuto essere gestito dal DOE, governativo).
Tali volumi teorici di materiale non possono essere “impacchettati” realmente in spazi del medesimo volume, ma devono essere “diluiti” in spazi più ampi soprattutto a causa del calore di decadimento delle scorie, della matrice in cui queste vengono incorporate per stabilizzarle, nonché delle barriere tecnologiche necessarie a contenerle (i contenitori, detti cask). Per tali ragioni i volumi reali sono maggiori di quelli teorici del materiale radioattivo in senso stretto. Nel caso del combustibile ritrattato, le 30 tonnellate annue scaricate dal reattore, producono 60 m3 di concentrato liquido ad alta attività [10], pari a circa 130 milioni di Curie. Con i processi sviluppati per solidificare la soluzione, il volume dei rifiuti ad alta attività si riduce a 4 m3, corrispondenti a circa 8 tonnellate[10], che equivalgono a 28
m3, una volta posizionati nel canister[22].

http://it.wikipedia.org/wiki/Scoria_radioattiva

 
Le scorie negli Stati Uniti d’America


Nel marzo del 2008 è stato definitivamente abbandonato il progettato e mai ultimato deposito geologico reversibile posto a 300 metri di profondità sotto la Yucca Mountain (una montagna di tufo alta 1.500 metri) in Nevada, costruito dopo un percorso di ben oltre 20 anni e costato al governo federale 7,7 miliardi di dollari, che avrebbe dovuto accogliere a partire già dal 1998 77.000 tonnellate di scorie. Al momento non è stata ancora trovata una destinazione alternativa e le scorie continueranno ad accumularsi nei 121 depositi esistenti (non sotterranei) dislocati in 39 stati.[19] Il deposito di Yucca Mountain era stato progettato per essere a tenuta d’aria e a prova di infiltrazione per 10.000 anni, anche se l’economista Jeremy Rifkin sostiene che in realtà non fosse così[20]. Il deposito aveva ottenuto una licenza dal NRC per 70 anni di esercizio, in previsione di un probabile riutilizzo futuro delle scorie stesse, che contengono ancora circa il 95% di energia sotto forma di isotopi di uranio e plutonio. Radiotossicità (in sievert per gigawatt termico all’anno) del combustibile esausto scaricato dai reattori per diversi cicli del combustibile, in funzione del tempo. È altresì indicato l’andamento dei prodotti di fissione (approssimativamente simile per tutti i cicli) e la radiotossicità dell’uranio naturale e del torio 232 di partenza. Entrambe queste categorie,
accumulandosi, tendono ad impedire il corretto svolgersi della reazione a catena e pertanto periodicamente il “combustibile” deve essere estratto dai reattori ed eventualmente riprocessato cioè “ripulito”.
Complessivamente questo “combustibile esausto” (o “spento”) costituisce le “scorie radioattive”. Si noti che i cicli all’uranio determinano scarichi nettamente più radiotossici e di lunga vita rispetto ai cicli al torio, e che gli attuali reattori (2º e 3º gen. ad uranio) determinano i risultati di gran lunga peggiori con ben un milione di anni per ridurre la radiotossicità al valore dell’uranio di partenza. Per dare un’idea del valore di un sievert, si tenga presente che la dose che in media un uomo assorbe in Italia in un anno per esposizione alla radioattività naturale è in media di 0,0024 Sv, con sensibili variazioni regionali e locali.
Come visibile in figura, a seconda del “combustibile” e del ciclo (cioè in pratica della tipologia di reattore/i) utilizzati, la radiotossicità delle scorie può essere nettamente differente; questo si traduce in tempi di isolamento delle scorie che oscillano indicativamente dai 300 anni al milione di anni.
Questo è il tempo necessario affinché le scorie diminuiscano la loro radiotossicità fino al valore dell’uranio naturale; dopo tale periodo la radiotossicità delle scorie non è zero, ma comunque, essendo pari a quella dei giacimenti di uranio normalmente presenti nella crosta terrestre, è accettabile in quanto sostanzialmente si ritorna – in termini di radiotossicità – alla situazione di partenza.

http://it.wikipedia.org/wiki/Scoria_radioattiva

 
Yucca Mountain, le scorie nucleari sotto al tappeto

 
di Marco Cedolin – 04/06/2009

Le scorie nucleari verranno immagazzinate all’interno di
12.000 sfere container che saranno sigillati singolarmente
ed allineati nelle viscere della montagna all’interno dei tunnel

Il progetto Yucca Mountain oltre ad essere stato avversato fin dall’inizio dalla popolazione del Nevada, il 70% della quale è contraria all’opera, e dalle autorità locali, ha destato grandi critiche e perplessità anche all’interno della comunità scientifica.
Da parte di molti esperti è stata messa fortemente in dubbio l’opportunità di seppellire le scorie nucleari in maniera definitiva ed irreversibile con l’ausilio di una tecnologia come quella odierna scarsamente evoluta in materia e pertanto largamente soggetta ad errori di valutazione e di scelta, tanto dei materiali da impiegare quanto dei processi tecnologici da mettere in atto.
Altrettante perplessità riguardano il lasso temporale di 10.000 anni durante il quale le scorie nucleari dovrebbero rimanere in condizione di sicurezza nelle viscere del monte Yucca. La National Academy of Sciences e il National Research Council ritengono questa grandezza temporale del tutto insufficiente perché si possa parlare di “messa in sicurezza” di materiale radioattivo che rimarrà tale per centinaia di migliaia di anni. Proprio in virtù di queste osservazioni, la Corte d’Appello Federale ha recentemente stabilito che un sito destinato al seppellimento delle scorie nucleari deve dimostrare di potere accogliere in sicurezza le stesse per almeno 300.000 anni, fino al decadimento della loro radioattività.
Il deposito di Yucca Mountain oltre a non essere in grado di rispondere a questa necessità, pone anche una serie d’interrogativi correlati alla sua reale capacità di preservare il materiale radioattivo in sicurezza per 10.000 anni come previsto nel progetto. Recenti studi hanno infatti dimostrato come anche il modesto grado di umidità della zona (19 cm annui di pioggia) sia in grado di corrodere i contenitori delle scorie nel corso di un periodo temporalmente così significativo, con il risultato di trasportare la radioattività attraverso i sistemi irrigui ed i pozzi di acqua potabile della regione, bombardando in questa maniera ignare generazioni d’individui con rilevanti dosi di radioattività. Un altro problema è determinato dal calore connaturato nei rifiuti nucleari stipati all’interno di una montagna in mancanza di sistemi di raffreddamento. Tale calore determinerà la formazione di vapore acqueo in grado di corrodere i contenitori o frantumare la roccia circostante, con gravi conseguenze per la sicurezza.
Nel corso del decadimento radioattivo le particelle altamente energetiche potrebbero inoltre interagire con i materiali circostanti, frantumandoli o provocando l’emissione d’idrogeno, innescando in questo modo la possibilità di esplosioni ed incendi.
Altri studi mettono seriamente in dubbio i dati che sanciscono la scarsa sismicità della zona in cui sorge il monte Yucca ed identificano in 1.400.000 le persone che vivendo in prossimità dell’area interessata dal progetto, risulterebbero nel corso del tempo a rischio di contaminazione. Il fatto che la stessa città di Las Vegas si trovi all’interno di un raggio di circa 150 km. dal futuro deposito, crea fondati motivi di allarme nel caso di eventuali fuoriuscite radioattive.
Il trasporto al deposito di Yucca Mountain delle scorie sparse in ogni angolo del paese rappresenta inoltre uno degli aspetti più
complessi dell’intero progetto. Non esistono al momento stime attendibili concernenti gli enormi costi di una simile operazione, così come non è ancora stato determinato il reale grado di rischio che la movimentazione comporterà per le popolazioni residenti nei territori attraversati dal trasporto. Si tratterà in ogni caso della più grande operazione logistica mai sperimentata prima dall’uomo, avente come oggetto materiale altamente pericoloso. Qualunque situazione di pericolo connessa ad eventuali incidenti, attentati terroristici, guasti dei mezzi preposti ad effettuare il trasporto, rischierebbe di creare una tragedia senza paragoni.
Come corollario a tutta questa lunga sequela di dubbi e problematiche che sta dividendo il mondo scientifico e politico americano, nella primavera del 2005 il Dipartimento dell’Energia statunitense ha denunciato forti sospetti concernenti una serie di gravi omissioni ed irregolarità compiute dai tecnici del servizio geologico, al fine di costruire in maniera fraudolenta elementi che confermassero la sicurezza del sito di Yucca Mountain. Tali sospetti ingenerati dal contenuto di alcune mail intercettate, hanno contribuito a creare nuove perplessità sulla reale affidabilità di un progetto che è già costato circa 8 miliardi di dollari, senza riuscire a proporsi con una qualche credibilità come risolutivo di un problema come quello delle scorie nucleari che ogni giorno che passa appare sempre più un rebus senza soluzione.
 

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Cosa sono le scorie nucleari?

 da www.zonanucleare.com/

Con il termine di scorie nucleari si intende indicare il combustibile esausto originatosi all’ interno dei reattori nucleari nel corso dell’esercizio.
Esse rappresentano un sottoinsieme dei rifiuti radioattivi, a loro volta suddivisibili in base al livello di attività in tre categorie: basso, intermedio ed alto.


Esempio di rifiuti a basso livello sono costituiti dagli indumenti usa e getta usati nelle centrali nucleari; il 90% dei rifiuti radioattivi prodotti appartengono a questa categoria, ma contengono solo il 1% della radioattività di provenienza antropogenica. Rifiuti a livello intermedio sono costituiti ad esempio dall’incamiciatura del combustibile, richiedono schermatura, e costituiscono il 7% del volume dei rifiuti radioattivi prodotti nel mondo (ma contengono solo il 4% della radioattività). Al contrario le scorie ad alto livello costituiscono solo il 3% del volume prodotto nelle attività umane, ma contengono il 95% della radioattività. Tipico esempio è costituito dal combustibile esausto delle centrali nucleari. I 436 reattori nucleari presenti in 31 nazioni infatti producono annualmente migliaia di tonnellate di scorie.
 

Un reattore del tipo PWR scarica annualmente da 40 a 70 elementi di combustibile, un BWR da 120 a 200 (rispettivamente 461.4 e 183.3 Kg di uranio per assembly). Infatti dopo 3 anni di permanenza all’interno del reattore il combustibile passa alle piscine di raffreddamento; si sono formati in totale circa 350 nuclidi differenti, 200 dei quali radioattivi.
Si ha, in media, la seguente composizione:
– 94% uranio 238
– 1% uranio 235
– 1% plutonio
– 0.1% attinidi minori (Np, Am, Cm)
– 3÷4% prodotti di fissione
 

Si osservi che:
– la radiotossicità del combustibile esausto decresce nel tempo e pareggia quella dell’uranio inizialmente caricato nel reattore solo dopo 250.000 anni;
– il contributo maggiore alla pericolosità delle scorie è dato dal plutonio: l’80% dopo 300 anni, il 90 % dopo 500 anni;
– dopo il plutonio i maggiori contributori sono gli attinidi minori (nettunio, americio e curio), che contribuiscono per un ordine di grandezza meno del plutonio ma circa mille volte più dei prodotti di fissione;
– gli attinidi rappresentano dunque il maggiore pericolo potenziale delle scorie nucleari; tuttavia bisogna tener conto anche di alcuni prodotti di fissione quali alcuni isotopi dello iodio, del tecnezio e del cesio, data la loro maggiore mobilità nella biosfera e la loro maggiore affinità biologica (vie di ritorno per l’uomo).
 

Dato che le scorie radioattive, al contrario dei rifiuti convenzionali, decadono nel tempo, si osserva che i prodotti di fissione sono pericolosi per circa 300 anni, gli attinidi minori per circa 10.000, il plutonio per circa 250.000.
Per alleggerire il problema dello stoccaggio permanente delle scorie dei reattori nucleari è necessario quindi:
– ridurre la formazione del plutonio;
– bruciare quello già prodotto.
A tale scopo sono state proposte varie soluzioni, fra le quali possono essere citati l’ADS (Accelerator Driven System), i reattori veloci ed ora anche i reattori HTR. Si noti che questo fenomeno è dovuto alla formazione degli elementi transuranici, in generale assai più radiotossici dell’uranio presente nelle miniere; si noti che le scorie high-level pareggiano la radioattività dell’uranio dopo 10.000 anni.


Si noti che un impianto nucleare da 1000 MWe produce annualmente solo 25÷30 tonnellate di scorie ad alto livello vetrificate, pari ad un volume di circa 3 m3E’ stato calcolato che un uomo che usasse solo energia di origine nucleare produrrebbe, nell’arco della propria vita, un volume di scorie di questo tipo tale da poter essere contenuto nel palmo di una mano. Del resto dai dati sopra esposti si calcola facilmente che il consumo di 1 KWh per 100 anni produrrebbe un volume di scorie vetrificate pari a 0.3 litri (meno di una lattina da 33 cl!), o se si preferisce una sfera di diametro pari a 8.3 cm. Un impianto da 1000 MWe, annualmente, ne produce 12 cilindri di altezza 1.3 e diametro 0.4 metri con 400 Kg di vetro.

fonte:
Tesi di laurea in ingegneria nucleare di Romanello Vincenzo – “Analisi di alcune peculiari potenzialità degli HTR: la produzione di idrogeno ed il bruciamento degli attinidi”


I rifiuti radioattivi 

  da www.zonanucleare.com/

                                  A) Definizione di “Rifiuti Radioattivi”

Definizioni in ambito internazionale

“… qualsiasi materiale che contiene o è contaminato da radionuclidi a concentrazioni o livelli di radioattività superiori alle “quantità esenti” stabilite dalle Autorità Competenti, e per i quali non é previsto alcun uso …”

(Dal Glossario IAEA)

“… materiale radioattivo in forma solida, liquida o gassosa per il quale non è previsto alcun ulteriore uso e che è tenuto sotto controllo come rifiuto radioattivo dall’Organismo Nazionale a ciò preposto secondo le norme e le leggi nazionali”

(Art. 2 punto “h” della Joint Convention on the Safety of Spent Fuel Management and on the Safety of Radioactive Waste Management”)

Definizione secondo la legge italiana

“… qualsiasi materia radioattiva, ancorché contenuta in apparecchiature o dispositivi in genere, di cui non é previsto il riciclo o la riutilizzazione …”

(Decreto Legislativo 17 marzo 95 N° 230 modificato dall’ Art. 4, comma 3/i del Decreto Legislativo 241/00)

                                       B) Modalità di classificazione

Per classificare i rifiuti radioattivi possono essere presi in considerazione vari parametri, quali:

– il contenuto in radionuclidi

– l’origine

– lo stato fisico

– il tipo di radiazione emessa

– il tempo di dimezzamento dei radionuclidi presenti

– la radiotossicità dei radionuclidi presenti

– l’ attività specifica

– l’ intensità di dose

– la modalità di gestione

– la destinazione finale (tipo di smaltimento definitivo)

                               C) Classificazione in base allo stato fisico

Relativamente allo stato fisico i rifiuti sono classificati in:

– Rifiuti gassosi

– Rifiuti liquidi

– Rifiuti solidi

Rifiuti gassosi

Sono prodotti essenzialmente nel ciclo del combustibile nucleare (reattore, riprocessamento).

Sono costituiti essenzialmente da gas nobili, ad esempio:
Kr-85 (cripto 85), tempo di dimezzamento 10,7 anni
Xe-133, (xeno 133), tempo di dimezzamento 5,2 giorni
Alcuni radioisotopi solidi particolarmente volatili possono accompagnare i rifiuti gassosi. Ad esempio:
I-131 (iodio 131), tempo di dimezzamento 8 giorni
I-129 (iodio 129), tempo di dimezzamento 15 milioni di anni
Cs-137 (cesio 137), tempo di dimezzamento 30 anni.
Anche il tritio(H-3) e il carbonio-14 possono dar luogo a prodotti radioattivi gassosi (idrogeno, vapor d’acqua, anidride carbonica).

Per tutti questi deve essere previsto un efficace sistema di intrappolamento, con conseguente produzione di rifiuti solidi o liquidi, a seconda delle tecniche impiegate. 

Rifiuti liquidi

Sono prodotti in tutte le attività che implicano la produzione e l’impiego di radionuclidi.
Sono costituiti essenzialmente da soluzioni acquose, più o meno concentrate in sali.

Per quanto riguarda la quantità e qualità dei radionuclidi in essi contenuti, possono appartenere a tutte le categorie di classificazione.

I volumi più importanti (anche se relativamente a bassa radioattività) sono prodotti nelle operazioni di lavaggio e decontaminazione.

Sono generalmente raccolti e contenuti in serbatoi di caratteristiche adeguate, in attesa di essere sottoposti ai processi di trattamento e condizionamento.

Sono anche prodotte relativamente piccole quantità di rifiuti liquidi non acquosi, come ad esempio i solventi organici usati nel riprocessamento, oli lubrificanti contaminati, miscele di composti organici usati per scopi analitici (scintillazione liquida).

Rifiuti solidi

Sono prodotti in tutte le attività che implicano la produzione e l’impiego di radionuclidi.

Per quanto riguarda la quantità e qualità dei radionuclidi in essi contenuti, possono appartenere a tutte le categorie di classificazione.

I rifiuti solidi possono essere distinti : 

Per contenuto in acqua – Solidi umidi
 – Solidi asciutti
Per proprietà fisiche – Solidi combustibili
 – Solidi non combustibili
 – Solidi comprimibili
 –  Solidi non comprimibili
Per fonte di produzione – Rifiuti tecnologici
 – Rifiuti di processo
 – Rifiuti da smantellamento di impianti

                    D) Classificazione italiana – Guida Tecnica n.26 – ANPA

CategoriaDefinizioneEsempiSmaltimento definitivo
Prima CategoriaRifiuti la cui radioattività decade in tempi dell’ordine di mesi o al massimo di qualche annoRifiuti da impieghi medici o di ricerca, con tempi di dimezzamento pari o inferiori a 75 giorniCome i rifiuti convenzionali
Seconda CategoriaRifiuti che decadono in tempi dell’ordine delle centinaia di anni a livelli di radioattività di alcune centinaia di Bq/g, e che contengono radionuclidi a lunghissima vita media a livelli di attività inferiori a 3700 Bq/g nel prodotto condizionatoRifiuti da reattori di ricerca e di potenza, rifiuti da centri di ricerca, rifiuti da disattivazione di impiantiIn superficie o a bassa profondità con strutture ingegneristiche
Terza CategoriaRifiuti che decadono in tempi dell’ordine delle migliaia di anni a livelli di radioattività di alcune centinaia di Bq/g, e che contengono radionuclidi a lunghissima vita media a livelli di attività superiori a 3700 Bq/g nel prodotto condizionatoRifiuti vetrificati e cementati prodotti dal riprocessamento;
combustibile irraggiato se non riprocessato;
rifiuti contenenti plutonio.
In formazioni geologiche a grande profondità

                                     E) Origine dei Rifiuti Radioattivi
 

Tutte le attività in cui sono utilizzati o manipolati materiali radioattivi generano rifiuti radioattivi.
Si illustrano di seguito le principali fonti di produzione dei rifiuti radioattivi, distinte per le diverse concentrazioni di radioattività.

 – Rifiuti a bassa attività
 – Rifiuti a media attività
 – Rifiuti ad alta attività


Rifiuti a bassa attività

Le principali fonti di produzione sono:
·  Installazioni nucleari
·  Ospedali
·  Industria
·  Laboratori di ricerca

Essi includono generalmente:
·  Carta, stracci, indumenti, guanti, sovrascarpe, filtri
·  Liquidi (soluzioni acquose o organiche)

Un tipico reattore nucleare di potenza ne produce circa 200 m3 all’anno.
Un significativo contributo proviene dalla disattivazione delle installazioni nucleari non più in funzione.

Rifiuti a media attività

Le principali fonti di produzione sono:
·  Centrali nucleari
·  Impianti di fabbricazione del combustibile a ossidi misti (MOX)
·  Impianti di riprocessamento
·  Centri di ricerca

Includono generalmente:
·  Scarti di lavorazione, rottami metallici
·  Liquidi, fanghi, resine esaurite

Un tipico reattore nucleare di potenza ne produce circa 100 m3 all’anno.
Un significativo contributo proviene dalla disattivazione delle installazioni nucleari non più in funzione

 


Rifiuti ad alta attività

Sono le “ceneri” prodotte dal “bruciamento” dell’uranio nei reattori. I principali componenti sono i prodotti di fissione e gli attinidi transuranici.

Essi sono costituiti:
·  dal combustibile nucleare irraggiato “tal quale”
· dalle scorie primarie del riprocessamento

Un tipico reattore nucleare di potenza produce circa 30 tonnellate all’anno di combustibile irraggiato.
Nel caso del riprocessamento, questo quantitativo corrisponde a circa 4 m3 di prodotti della vetrificazione dei rifiuti ad alta attività.

 fonte: A.N.P.A
 


Tecnologie sperimentali e progetti alternativi per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi: nel passato, nel presente, nel futuro

 da www.zonanucleare.com/

Il problema dello smaltimento delle rifiuti radioattivi ha portato i diversi Stati della mondo ad adottare diverse soluzioni: gli USA hanno deciso di stoccarli nello Yukka Mountain, in Nevada, senza riciclarli. La Federazione Russa è propensa a compiere un’operazione simile. Francia, Belgio, Inghilterra, Giappone hanno invece deciso di riciclarli sotto forma di MOX (ossidi di U e Pu) e riutilizzarli per aumentare la resa di produzione di energia e ridurre la quantità degli stessi. Sono due filosofie completamente differenti con grosse implicazioni politiche e strategiche, culminanti nel cosiddetto NPT (Non Proliferation Treaty), avente la finalità di minimizzare il rischio di proliferazione, incidente o sabotaggio.

Alcune soluzioni sono rese impossibili:
– depositare le scorie nei ghiacci polari dell’Antartico non è permesso a seguito di un trattato internazionale il quale sostiene che l’ultimo continente incontaminato non deve venire a contatto con il nucleare
– seppellire le scorie radioattive nella crosta terrestre ad un livello sufficientemente profondo perché possano essere risucchiate nel nucleo incandescente del pianeta, è una possibilità che è già stata studiata dagli Stati Uniti e dalla Russia, ma non esisterebbero i presupposti geologici per realizzarla.

Altre soluzioni sono poi state prese in considerazione nel passato e ancora altre si prendono in considerazione per il futuro. Vediamo alcune di queste idee.
 

A – Lo smaltimento sotto i fondali marini

B – La “trasmutazione” dei nuclei radioattivi a vita media-lunga in elementi stabili

C – Il Sole come discarica per le scorie nucleari

D – L’uso civile e bellico dell’ uranio impoverito (il “prodotto di scarto”)

E – Il batterio che ripulisce dalla radioattività


D – L’uso civile e bellico dell’ uranio impoverito (il “prodotto di scarto”)

L’uranio naturale è formato principalmente da due isotopi, l’uranio 235 e l’uranio 238.
Il 235 è fissile, cioè fa fissione, ed è quello che viene bruciato nelle centrali.
Quindi, generalmente nelle centrali non si usa uranio naturale, ma uranio arricchito, cioè uranio in cui sia stata aumentata la concentrazione del 235.
Si usano quindi grosse quantità di uranio naturale, e si toglie il più possibile il 235 da una parte di esso per concentrarla in un’altra parte che poi andrà in centrale.
Quello che resta, quasi tutto 238, è l’uranio impoverito (che è una miscela di nuclidi: U-238, U-235, U-234. Ma ciò che lo caratterizza è la grande percentuale presente di U-238).

Dal punto di visto radioprotezionistico non è considerato pericoloso, vista la sua bassissima attività. Il fatto è che può essere pericoloso se respirato o ingerito, visto che le particelle alfa, che verrebbero altrimenti fermati dallo strato corneo della pelle, andrebbero a colpire direttamente i tessuti. In realtà l’uranio impoverito è più pericoloso dal punto di vista chimico, in quanto metallo pesante, che dal punto di vista della radioattività in quanto emettitore alfa.   [10]


Dunque l’ uranio impoverito è il prodotto di scarto della lavorazione dell’arricchimento dell’uranio. L’arricchimento e/o l’impoverimento dell’uranio naturale è relativo alla concentrazione in peso dell’ U-235, presente nella miscela.
Ma l’ uranio impoverito è anche ottenuto come prodotto di scarto dai procedimenti di riprocessamento del combustibile nucleare irradiato.

L’uranio impoverito viene utilizzato principalmente per le sue caratteristiche intrinseche:

  • Prodotto di scarto presente in grande quantità
  • Basso prezzo (proprio perchè è un prodotto di scarto)
  • Alta densità (la sua densità è quasi il doppio di quella del piombo)
  • Duttilità

I campi dove si usa sono:

  • Nell’industria petrolifera per le attrezzature di perforazione
  • Nell’industria aeronautica per i dispositivi di lanciamento
  • Nell’industria navale per la costruzione delle chiglie delle navi
  • Nell’industria spaziale come zavorra sui satelliti
  • Nell’industria nucleare come materiale per schermature
  • Negli impianti di ricerca come calorimetri di alta energia
  • Nell’ambito dell’utilizzo militare dell’uranio impoverito va ricordato che esso viene usato: nelle corazze dei carri armati, nelle munizioni anticarro, nei missili e proiettili vari.

L’utilizzo militare dell’uranio impoverito è dettato dalle seguenti motivazioni:

  • alta densità e pertanto ottima per le corazze
  • alto coefficiente di penetrazione
  • piroforicità (prende facilmente fuoco a contatto con l’aria)

[11]


La gestione dei rifiuti radioattivi

 da www.zonanucleare.com/


                                            A) Introduzione

La gestione dei rifiuti radioattivi comprende tutte le attività, operative ed amministrative, che riguardano la manipolazione, la raccolta, il trattamento, il condizionamento, il trasporto, lo stoccaggio, e lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi stessi.

Tali attività vengono effettuate nel rispetto di principi fondamentali universalmente accettati, allo scopo di perseguire l’obiettivo finale della loro messa in sicurezza.
La gestione dei rifiuti radioattivi si articola in differenti fasi tra loro interconnesse.


              B) Principi fondamentali nella gestione dei rifiuti radioattivi

Nella gestione dei rifiuti radioattivi possono individuarsi due approcci fondamentali:

– Diluisci e Disperdi (D&D)
si ricorre a questo tipo di approccio solo in casi limitati
– Concentra e Confina (C&C)
costituisce il principio guida

I principi fondamentali nella gestione dei rifiuti radioattivi sono:

  1. La gestione dei rifiuti radioattivi deve essere effettuata in maniera tale da garantire un adeguato livello di protezione della salute dell’uomo.
  2. La gestione dei rifiuti radioattivi deve essere effettuata in maniera tale da garantire un adeguato livello di protezione dell’ambiente.
  3. La gestione dei rifiuti radioattivi deve essere effettuata in maniera tale da tener conto dei possibili effetti sulla salute dell’uomo e sull’ambiente al di fuori dei confini nazionali.
  4. La gestione dei rifiuti radioattivi deve essere effettuata in maniera tale che i prevedibili impatti sulla salute delle future generazioni non siano superiori ai livelli di impatto oggi ritenuti accettabili.
  5. La gestione dei rifiuti radioattivi deve essere effettuata in maniera tale da non imporre carichi indebiti alle generazioni future.
  6. La gestione dei rifiuti radioattivi deve essere effettuata nell’ambito di una adeguata legislazione nazionale, che includa una chiara ripartizione delle responsabilità e che preveda un organismo regolatorio indipendente.
  7. La generazione dei rifiuti radioattivi deve essere limitata al minimo possibile.
    Deve essere tenuta nella dovuta considerazione l’interdipendenza tra tutte le fasi della generazione e della gestione dei rifiuti.
  8. La sicurezza degli impianti e delle infrastrutture ove si effettua la gestione dei rifiuti radioattivi deve essere assicurata durante tutto il loro previsto periodo di vita.


                                              C) Obiettivi generali

I Principi Fondamentali per la gestione dei rifiuti radioattivi possono essere condensati nei due seguenti obiettivi:

– Protezione delle presenti e delle future generazioni da esposizione alle radiazioni
– Protezione delle presenti e future generazioni dal riciclo nella biosfera di radionuclidi

Tali obiettivi sono perseguiti in modo ottimale attraverso la applicazione del concetto “multibarriera”

Per impedire il rilascio dei rifiuti radioattivi nella biosfera, essi sono circondati da un adeguato numero di barriere, sia artificiali che naturali. Le barriere, sia artificiali che naturali, adempiono i seguenti compiti:
– fungere da schermo nei confronti delle radiazioni emesse dai rifiuti;
– impedire o ritardare la migrazione dei radionuclidi, in modo da garantire che essi non raggiungano la biosfera.
Il sistema “multibarriera” e’ costituito da un insieme di barriere di tipo fisico e chimico, poste in serie tra il rifiuto radioattivo e l’ambiente esterno, in modo ridondante, per assicurare l’immobilizzazione dei radionuclidi a fronte di un loro possibile trasporto nella biosfera da parte di acque di origine meteorica o sotterranea.


                                                   D) Fasi

Generazione dei rifiuti

I rifiuti possono essere generati da diverse fonti. Le più importanti sono:

– Reattori nucleari
– Ciclo del Combustibile
– Produzione ed uso di radioisotopi (medicina, industria, ecc.)
– Decontaminazioni
– Disattivazione impianti nucleari


Trattamento

In questa fase della gestione si perseguono i seguenti principali obiettivi:
– Riduzione di volume
– Predisposizione alla successiva fase di “Condizionamento”

A tale scopo, si impiegano processi fisici e/o processi chimici di cui vengono riportati i più significativi.
 

ProcessoTipologiaScopoCampo di applicazione
EvaporazioneChimico – FisicoConcentrare la radioattività nel residuo dell’evaporazioneRifiuti liquidi acquosi a bassa, media e alta attività
FiltrazioneFisicoSeparare la radioattività contenuta nel corpo solidoRifiuti liquidi torbidi, sospensione
UltrafiltrazioneFisicoSeparare microparticelle in cui e’ concentrata la radioattivitàRifiuti liquidi acquosi a bassa e media attività
Precipitazione
Flocculazione
ChimicoAggiunta di un reattivo che insolubilizza la componente radioattiva separandola dalla soluzione acquosaRifiuti liquidi acquosi a bassa, media e alta attività
IncenerimentoChimico – FisicoBruciamento del rifiuto con concentrazione della sua componente radioattiva nelle ceneriRifiuti solidi combustibili a bassa e media attività
SupercompattazioneFisicoSchiacciamento a pressioni elevatissime di rifiuti solidi per diminuirne al massimo il volume senza trattamenti chimiciRifiuti solidi comprimibili a bassa e media attività



Il condizionamento

In questa fase della gestione si persegue il seguente obiettivo principale:
immobilizzare, all’interno di un idoneo contenitore, il rifiuto radioattivo, inglobandolo in una matrice solida stabile che soddisfi i requisiti di resistenza fisica, chimica e meccanica(*) , in modo da ottenere una forma finale idonea allo smaltimento definitivo.

Le principali proprietà che la matrice immobilizzante deve dimostrare di possedere sono le seguenti:
– Compatibilità fisica e chimica con il rifiuto da immobilizzare
– Insolubilità in acqua e impermeabilità all’acqua (resistenza alla lisciviazione)
– Resistenza meccanica
– Resistenza agli agenti esterni
– Resistenza agli sbalzi termici
– Resistenza alle radiazioni
– Stabilità nel tempo

(*) In Italia tali requisiti sono definiti dalla Guida Tecnica 26 dell’ANPA

Per i rifiuti a bassa e media attività, e per quelli a più alta radioattività ma con bassa emissione di calore, la matrice più usata e’ un particolare tipo di cemento: condizionamento mediante cementazione.
Per i rifiuti ad alta attività e significativa emissione di calore, la matrice più usata e’ un particolare tipo di vetro, il vetro borosilicato: condizionamento mediante vetrificazione.


Stoccaggio temporaneo

In questa fase della gestione, che permette di conservare in sicurezza i rifiuti radioattivi condizionati per alcune decine di anni, si persegue il seguente obiettivo principale:
Conservazione in sicurezza, per alcune decine di anni, dei rifiuti radioattivi condizionati, in modo da permettere:
– Che si verifichi un congruo abbattimento dell’emissione di calore, per effetto del progressivo decadimento dei radionuclidi a breve-media vita
(caso tipico: combustibile irraggiato , rifiuti ad alta attività vetrificati)
– Che sia realizzato il sito nazionale centralizzato per lo smaltimento definitivo
(caso tipico: rifiuti a bassa e media attività cementati)
– Che sia possibile adottare nuove strategie di gestione finale, nel frattempo resesi disponibili


Lo smaltimento definitivo

L’ultima fase della gestione dei rifiuti radioattivi si caratterizza per i seguenti obiettivi fondamentali:
– Collocazione definitiva, in apposita struttura, dei rifiuti radioattivi condizionati, con l’intenzione di non recuperarli(*)
– Protezione dell’uomo e dell’ambiente fino a quando la radioattività residua, per effetto del decadimento, non raggiunge valori paragonabili a quelli naturali
– La dose annua alla popolazione non deve superare una frazione del valore di dose massima annua per le persone del pubblico definita dalla vigente normativa

I rifiuti a bassa e media attività e basso-medio tempo di decadimento (Rifiuti di Seconda Categoria) necessitano di alcune centinaia di anni per raggiungere livelli di radioattività paragonabili al fondo naturale.
Essi vengono smaltiti in depositi superficiali o a bassa profondità;

I rifiuti ad alta attività e/o a lungo tempo di decadimento (Rifiuti di Terza Categoria) necessitano fino a centinaia di migliaia di anni per raggiungere livelli di radioattività paragonabili al fondo naturale.
Essi vengono smaltiti in formazioni geologiche a grande profondità.

(*) Negli ultimi tempi, si sta sempre più affermando il concetto di “retrievability” (recuperabilità), nel senso di progettare il deposito in modo tale da non precludere l’eventuale recupero dei rifiuti ivi depositati, in vista di possibili altre destinazioni.

fonte: A.N.P.A

 


Inventario Nazionale dei Rifiuti Radioattivi – ENEA 2000

 da www.zonanucleare.com/

Nel 1997, l’ ENEA-TFS (Task Force Enea per il Sito nazionale di deposito dei materiali radioattivi) ha proceduto al primo inventario nazionale -situazione e proiezioni- di tutti i rifiuti radioattivi presenti in Italia, inventario successivamente aggiornato al 30 settembre 1999 e poi al dicembre 2000, principalmente finalizzato alla progettazione del sistema di smaltimento mediante deposito definitivo superficiale.
L’inventario è stato aggiornato dall’ ENEA-TFS mano a mano che sono state meglio definite le produzioni future (in particolare le tecniche di smantellamento ed i valori di soglia applicabili al rilascio incondizionato di materiali) provenienti dallo smantellamento di impianti nucleari.

I rifiuti radioattivi vengono considerati nell’ inventario nella loro forma condizionata, cioè come manufatti finali; pertanto per i rifiuti non ancora condizionati e per quelli di cui è prevista la produzione in futuro, in particolare quelli prodotti dallo smantellamento degli impianti nucleari, il produttore/detentore ha proceduto ad ipotesi sulle tecniche di condizionamento (condizionamento che avverrà presso i luoghi di produzione) ed a valutare i volumi dei manufatti risultanti e le loro caratteristiche radiologiche (i rifiuti da smantellamento saranno prodotti dal 2010 al 2040, secondo il previsto piano di “decommissioning”).


Qui è possibile consultare le schede dell’ Inventario Nazionale dei Rifiuti Radioattivi ENEA, aggiornato al dicembre 2000. Esso presenta 161 schede descrittive.

centrali nucleari in fase di smantellamento ex-ENEL
centrale nucleare in fase di smantellamento ex-ENEL di Trino Vercellese (Vercelli)
centrale nucleare in fase di smantellamento ex-ENEL di Caorso (Piacenza)
centrale nucleare in fase di smantellamento ex-ENEL di Latina
centrale nucleare in fase di smantellamento ex-ENEL di Garigliano (Caserta)
impianti del ciclo del combustibile in fase di smantellamento
ex-ENEA
impianto ex-ENEA EUREX di Saluggia (Vercelli)
impianto ex-ENEA FN-Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria)
impianto ex-ENEA OPEC in Casaccia (Roma)
impianto ex-ENEA Plutonio in Casaccia (Roma)
impianto ex-ENEA ITREC in Trisaia, Rotondella (Matera)
altri impianti
Laboratorio di Ricerca Cisam di Pisa
Laboratorio di Ricerca Fiat Avio Avogrado di Saluggia (Vercelli)
Centro Comune di Ricerca CCR Ispra di Varese
impianto e deposito Nucleco in Casaccia (Roma)


N.B. eventuali località assenti dipendono dal fatto che questo inventario risale al dicembre 2000.
Attualmente l’ inventario volumetrico e radiometrico più recente è l’ Inventario Nazionale dei Rifiuti Radioattivi APAT (o, per alcuni, ANPA) del 31 dicembre 2002.


Eventuali differenze dei dati con l’ inventario ENEA 2000 sono dovute
al fatto che si fa riferimento a un documento diverso e inoltre è bene ribadire che in tutti questi casi i dati sono composti:
– sia dai dati di accumulo esistenti (quindi più o meno certi)
– sia dai dati stimati dei rifiuti risultanti in futuro dalle operazioni di smantellamento (molto variabili!!: infatti dipendono sia dalle tipologie di operazione sia dai valori fissati per i livelli di rilascio).


Inoltre, è interessante tenere conto dei dati ufficialmente forniti dallo stesso Generale Carlo Jean (presidente della Sogin) in merito ai rifiuti radioattivi dell’ Italia:

  • circa 50.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di (prima e) seconda categoria
  • circa 8.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di terza categoria
  • 62 tonnellate di combustibile irraggiato che si trovano ancora oggi  in Francia (Creys-Malville)
  • diversi “cask” di combustibile riprocessato che attualmente sono in Gran Bretagna (Sellafield)
  • inoltre ospedali, acciaierie, impianti petrolchimici e così via producono circa 500 tonnellate di rifiuti radioattivi ogni anno

(fonte: Audizione di Carlo Jean di fronte alla Commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti, in data 23 febbraio 2003)
 

Per comprendere meglio quanto ridotto sia, tutto sommato, il quantitativo di rifiuti radioattivi dell’Italia è utile il confronto con un Paese quale la Francia: in Francia ogni anno si producono una quantità di nuovi rifiuti radioattivi pari a tutti quelli presenti in Italia.

fonte:

E.N.E.A. – sito web attualmente non più online della TaskForce http://www.casaccia.enea.it/taskforce  [1]

SO.G.I.N. 


COSTI SMANTELLAMENTO CENTRALI

Sui costi dello smantellamento delle centrali nucleari “esaurite” vi è uno studio dell’OCDE reperibile al link: http://www.oecd-nea.org/rwm/reports/2010/nea6831-cost-estimation-decommissioning.pdf 
Sullo stesso argomento si può trovare uno studio della Sogin al link seguente: http://www.mi.infn.it/~alimonti/press/docs/Pres_Bolla.pdf 
Questi costi che Testa di Chicco afferma con la sicumera di un pollo essere a carico dello Stato, sono invece a carico degli utenti di elettricità nella voce A2 in bolletta. Tanto è vero ciò che la Comunità europea ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia dal 2003. Leggiamo:


E in bolletta, intanto, continuiamo a pagare il nucleare


Sara Ligutti (http://www.linkiesta.it/e-bolletta-intanto-continuiamo-pagare-nucleare)


Quanto continua a costare il nucleare in Italia? A causa del sovrapprezzo in bolletta per «onere nucleare» che nel 2003 la Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Procedura d’infrazione che rimane aperta a tutt’oggi, a distanza di otto anni.
Uno dei motivi alla base dell’infrazione (n. 2003/2246) è che «i plus pagati in bolletta dagli utenti per finanziare gli oneri dell’uscita dal nucleare […] gravano su tutta l’energia elettrica» e sono considerati dall’UE decisamente troppo generosi. Questi rimborsi vengono dati dallo Stato italiano alle aziende che hanno dovuto interrompere la produzione di energia nucleare in seguito al referendum del 1987. La Commissione Europea, però, «non mette in discussione il rimborso per le centrali la cui costruzione è stata bloccata dal referendum, come quella di Montalto di Castro, prima della loro entrata in funzione».
Come scrive il portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima Mario Agostinelli, l’uscita dal nucleare ci costa già 4,3 miliardi di euro per il trattamento delle scorie, per non parlare dello smantellamento delle centrali. Per l’Inghilterra, ad esempio – scrive sempre Agostinelli – la cifra stimata per lo smantellamento viaggia attorno agli 80 miliardi di euro.
A questo proposito la Commissione Europea sottolinea che «la costruzione e lo smantellamento finale delle centrali nucleari fanno parte dei costi fissi che sono coperti durante il ciclo di vita dell’impianto dai rispettivi produttori» e che «una quota di risorse finanziarie avrebbe dovuto essere messa da parte dagli operatori durante il ciclo produttivo degli impianti». Inoltre «una parte dei costi inerenti alla gestione dei rifiuti avrebbe dovuto essere sostenuta dagli operatori nucleari prima della chiusura definitiva degli impianti».
Insomma, in tempi di crisi economica, in cui le bollette gravano già enormemente sul bilancio delle famiglie e delle persone, i cittadini italiani si trovano a dover pagare di tasca propria i costi dall’uscita dal nucleare a causa delle inadempienze dei privati.
La procedura d’infrazione è ancora ad una fase iniziale, quella di messa in mora complementare (art. 258 TFUE), ma se l’Italia non dovesse mettersi in regola – ed è molto probabile, visto che non lo ha fatto negli ultimi otto anni – si passerebbe alla fase dei ricorsi e con quelli verrebbero le spese processuali. Arrivare a parlare di sanzioni pecuniarie forse è esagerato, visto che solitamente le procedure si chiudono prima di arrivare a quella fase, ma ogni infrazione aperta è pur sempre una sanzione in potenza


4 maggio 2011




I Costi del Nucleare: analisi di una grande menzogna


Giulio Budini ( http://www.risparmiodienergia.it/energia-nucleare/i-costi-del-nucleare-analisi-di-una-grande-menzogna  )

 
29 maggio 2010

 
L’alto costo dell’energia elettrica italiana è dovuta a quattro principali fattori, non certo al fatto che non abbiamo il nucleare:
1. il sistema di formazione del prezzo dell’elettricità nella borsa elettrica, detto anche “sistema del prezzo marginale”. Con questo sistema l’energia elettrica offerta dai produttori non viene remunerata in base al prezzo richiesto da ogni produttore, ma in base al prezzo più alto offerto dai vari produttori nel loro complesso, con il risultato di consentire loro grossi extra-profitti e un prezzo finale per i consumatori più alto anche del 10%.
2. I cosiddetti “oneri generali di sistema”, che pesano per un altro 10% sulle bollette elettriche e che servono a pagare lo smantellamento delle 4 vecchie centrali nucleari italiane (212 milioni di Euro nel 2008), a ripagare le imprese elettriche e l’Enel in particolare per gli investimenti fatti prima della liberalizzazione (680 milioni di Euro nel 2007, 200 milioni di Euro nel 2008 fino alla sua sospensione nell’ottobre del 2008) e soprattutto per incentivare le fonti assimilate alle rinnovabili, ossia la produzione di elettricità con gli scarti delle raffinerie di petrolio, con i rifiuti, con la cogenerazione a gas naturale. In particolare, queste fonti non rinnovabili, nel 2008 hanno rappresentato l’83,3% dei ritiri obbligati CIP-6 e il costo per i consumatori è stato di 1.720 milioni di Euro.
3. L’inadeguatezza della rete elettrica nazionale sia in Alta, che Media e Bassa tensione. La rete di trasporto e di distribuzione è stata progettata negli anni ‘60 del secolo scorso, gli anni del monopolio, e pensata principalmente come monodirezionale (poche grandi centrali convenzionali che producono energia da trasportare prima di tutto ai grossi consumatori industriali) e quindi passiva. Le odierne esigenze sono invece di sviluppare reti di trasmissione sia passive che attive, cioè in grado di accogliere e smistare efficientemente anche i flussi in immissione provenienti dai tanti piccoli e medi impianti (la cosiddetta generazione distribuita). Inoltre nel Sud dell’Italia la rete di trasmissione è particolarmente insufficiente e congestionata. Il risultato è che, per esempio, mentre nel Centro-Nord l’energia elettrica è scambiata in Borsa tra un minimo notturno di 25 €/MWh e 70 €/MWh nelle ore di punta, in Sicilia il prezzo oscilla tra 25 €/MWh e 120 €/MWh, per non parlare della Sardegna dove arriva a 180 €/MWh in ore di punta (1). Possiamo sostenere quindi che un’altra buona fetta della tariffa elettrica è imputabile alla inadeguatezza della rete elettrica italiana.
4. Infine quasi il 20% della bolletta elettrica se ne va in tasse e IVA. Secondo una indagine svolta da Confartigianato la tassazione dell’energia in Italia risulta superiore del 30 per cento rispetto alla media europea, del 19,3 rispetto alla Germania, del 36,2 rispetto alla Francia e addirittura del 63,9 per cento rispetto alla Spagna. Certamente la tassazione più consistente riguarda i prodotti petroliferi, ma anche sull’energia elettrica lo Stato non scherza. Due le imposte indirette che gravano sulle imprese per l’energia elettrica in proporzione ai consumi: una erariale di consumo e una addizionale provinciale.
L’impatto di questo sistema di imposizione sull’industria è pesante: escludendo l’iva, un’impresa che consuma 160 megawattora all’anno, paga il 25,4 per cento di imposte sui suoi consumi elettrici, contro una media del 9,5 per cento in Europa. La Confartigianato fa notare che in nessun’altra parte del continente si paga così tanto e che in 12 paesi l’accisa è addirittura zero. Ma non è finita. Dal 2001 l’Italia fa pagare meno tasse ai grandi consumatori di elettricità. In sostanza, chi consuma più di un certo livello di kilowattora al mese non paga né l’imposta erariale né l’addizionale provinciale.[Sergio Zabot]


http://www.aspoitalia.it/attachments/255_la%20politica%20dell%27emotivit%C3%A0_zabot.pdf 
 

Tutto ciò incide anche più del 40%. Lo dicano invece di spingerci al nucleare che ci farà aumentare il costo in bolletta a dismisura…
Il costo del nucleare ora non conviene certamente in regime di libero mercato, nel 2008 stima Moody’s per costruire una centrale nucleare il costo è di 5,46€/W e il costo al kWh è di 7 centesimi di euro.


http://magazine.quotidianonet.ilsole24ore.com/ecquo/masullo/2010/05/06/centrali-nucleari-la-realta-oltre-la-propaganda/

 
J. Wayne Leonard, amministratore delegato di Entergy Corp. la seconda compagnia americana di impianti atomici, afferma che se diamo un costo appropriato ai rischi siamo semplicemente fuori mercato (“When we price the risk appropriately … the numbers just don’t work”) perlomeno finché il costo del gas e del carbone non raddoppino.


http://uk.reuters.com/article/idUSTRE64N5S420100524


La nuova vocazione nucleare italiana si chiama SOGIN

 da www.zonanucleare.com/

La SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari Spa) è stata istituita nel quadro del riassetto del sistema elettrico in ottemperanza al decreto legislativo n. 79 del 16.03.1999 (che ha disposto la trasformazione dell’ENEL in una Holding formata da diverse società indipendenti, tra cui la Sogin, che ha ereditato tutte le attività nucleari dell’ENEL).

Lo stesso decreto assegna:
– le azioni della società al Ministero del Tesoro (trasferite al Ministero del Tesoro il 3 novembre 2000) (ora Ministero dell’Economia e delle Finanze)
– il compito di fornire gli indirizzi operativi al Ministro dell’Industria (ora Ministro delle Attività produttive)

Istituita il 01.11.1999 come società del Gruppo ENEL, SOGIN ha incorporato le strutture e le competenze precedentemente applicate alla progettazione, alla costruzione e all’esercizio delle quattro centrali elettronucleari italiane.

Gli indirizzi strategici e operativi alla società sono stati formulati
– nel Documento del Ministro dell’Industria al Parlamento del 14.12.1999;
– nel DM Industria 07.05.2001.

In attuazione del DM Industria-Tesoro 26.01.2000, i programmi di attività di SOGIN sono sottoposti alla valutazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che ne controlla l’efficienza al fine del riconoscimento da parte dello Stato dei relativi oneri economici.


L’atto costitutivo e lo statuto di SOGIN sono stati redatti in data 31 maggio 1999 e sottoscritti dall’Amministratore delegato dell’ENEL.

  • L’oggetto sociale è definito nel Titolo II dello statuto (art. 4):
    • La società ha per oggetto l’esercizio delle attività relative allo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse, alla chiusura del ciclo del combustibile, e le attività connesse e conseguenti.
    • La società svolge la propria attività nel rispetto degli indirizzi formulati dal Ministro dell’industria, commercio e artigianato e può operare sia in Italia che all’estero e svolgere qualsiasi altra attività connessa, strumentale, affine, complementare o comunque utile per il conseguimento dell’oggetto sociale.
  • Il funzionamento e i poteri dell’assemblea dei soci sono definiti nel Titolo IV dello statuto (artt. 12-16):
    • L’assemblea è presieduta dal presidente del consiglio di amministrazione o, in caso di sua assenza o impedimento, dal vicepresidente se nominato, oppure, in mancanza di entrambi, da altra persona delegata dal consiglio di amministrazione.
    • L’assemblea delibera su tutti gli oggetti di sua competenza per legge con le maggioranze richieste dalla legge nei singoli casi.
    • Le deliberazioni dell’assemblea, prese in conformità delle norme di legge e dello statuto, vincolano tutti i soci.
       
  • In base alle definizioni contenute nel Titolo V, artt. 17-27:
    • La società è amministrata da un consiglio di amministrazione composto da un numero di membri (determinato dall’assemblea) non inferiore a tre e non superiore a nove.
    • Il consiglio di amministrazione è nominato per un periodo fino a tre anni ed è rieleggibile a norma dell’Art. 2383 del codice civile. Il consiglio, qualora non vi abbia provveduto l’assemblea, elegge fra i suoi membri un presidente e può eleggere un vicepresidente, che sostituisce il presidente nei casi di assenza o impedimento.
    • Il consiglio di amministrazione è investito dei più ampi poteri per l’amministrazione ordinaria e straordinaria della Società e può delegare, nei limiti di cui all’art. 2381 c.c., proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo e/o ad uno dei suoi componenti (con facoltà di subdelega).
    • La rappresentanza legale della Società e la firma sociale spettano sia al presidente sia all’amministratore delegato e, in caso di assenza o impedimento del primo, al vice presidente se nominato.
    • Il presidente ha poteri di rappresentanza della Società, presiede l’assemblea, convoca e presiede il consiglio di amministrazione e verifica l’attuazione delle deliberazioni del consiglio.
       
  • La composizione dell’organo di controllo è stabilita al Titolo VI (art. 28), che prevede un collegio sindacale costituito da tre sindaci effettivi eletti dall’assemblea, che elegge altresì due sindaci supplenti. I sindaci uscenti sono rieleggibili.

il vecchio logo della Sogin il vecchio logo della Sogin

il nuovo logo della Sogin il nuovo logo della Sogin (2004)


In base allo Statuto la SOGIN è amministrata da un Consiglio di amministrazione composto di un numero di consiglieri non inferiore a tre e non superiore a nove. Il Consiglio di amministrazione è nominato per un periodo fino a tre anni ed è rieleggibile a norma dell’art. 2383 del codice civile.

Il Consiglio di amministrazione in carica è stato nominato in data 21.11.2002 ed è composto di sette membri:
Prof. Carlo Jean (Presidente)
Prof. Paolo Togni (Vicepresidente)
Ing. Giancarlo Bolognini (Amministratore delegato)
Ing. Silvio Cao (Consigliere)
Dott. Fernando Carpentieri (Consigliere)
Dott. Paolo Mancioppi (Consigliere)
Dott. Nando Pasquali (Consigliere)
Avv. Renato Ciccarello (Segretario permanente)*
* Nominato dal Consiglio di amministrazione, con Deliberazione n. 20, in data 18.09.2003.


La SOGIN ha un’articolazione territoriale che comprende

  • la sede centrale di Roma
  • le centrali nucleari in fase di smantellamento ex-ENEL
    • Trino (Vercelli)
    • Caorso (Piacenza)
    • Latina
    • Garigliano (Caserta)
  • gli impianti del ciclo del combustibile in fase di smantellamento ex-ENEA
    • Impianto EUREX Saluggia (Vercelli)
    • Impianto FN Bosco Marengo (Alessandria)
    • Impianto OPEC Casaccia (Roma)
    • Impianto Plutonio Casaccia (Roma)
    • Impianto ITREC Trisaia, Rotondella (Matera)

Le risorse finanziarie impiegate da SOGIN per l’attuazione dei programmi di messa in sicurezza e smantellamento degli impianti derivano da due diversi contributi:

  • il fondo trasferito a SOGIN dall’ENEL all’atto del conferimento delle attività nucleari
  • il finanziamento pubblico accordato dal governo sulla base delle determinazioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas a valere sulla componente A2 della tariffa elettrica (oneri nucleari)

Un aspetto importante che regola la gestione SOGIN è che sia il fondo trasferito dall’ENEL sia le risorse derivanti dal finanziamento pubblico hanno per oggetto esclusivo la copertura dei costi di smantellamento degli impianti e di sistemazione del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, e non possono essere utilizzati per scopi diversi.


Il meccanismo di finanziamento delle spese relative al decommissioning degli impianti nucleari di proprietà Sogin è definito nel DM Industria del 26 gennaio 2000 ed opera nel modo seguente:

  1. SOGIN sottopone a cadenza annuale i propri programmi di attività all’Autorità per l’energia elettrica e il gas
  2. L’Autorità sottopone a revisione i programmi sotto il profilo della giustificazione e dell’efficienza economica
  3. Esaurita la verifica, l’Autorità propone gli oneri da addizionare alla componente A2 della tariffa elettrica
  4. Gli oneri sono addebitati sulla componente A2 della tariffa elettrica con decreto del Ministro delle attività produttive di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze
  5. I distributori elettrici versano alla CSCE i proventi derivanti dalla componente A2 della tariffa elettrica
  6. La CSCE versa a SOGIN il gettito di competenza derivante dalla componente A2 della tariffa elettrica

                                                                                                                [1]


Il progetto di punta della Sogin si chiama “Global Partnership”
: prevede lo smantellamento di una serie di sottomarini a propulsione atomica ormai obsoleti, parcheggiati nei porti dove attracca la flotta russa. “Global Partnership” nasce nel giugno del 2002, quando i Paesi del G8 – al summit di Kananaskis – decidono di investire 20 miliardi di dollari Usa nel giro di dieci anni.
Con la Sogin – risulta dai resoconti della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, 9 luglio 2003 – sono coinvolte le imprese Fincantieri, Ansaldo, Duferco e Camozzi.
La Sogin e le aziende italiane contano – come ha spiegato alla Commissione lo stesso Carlo Jean – di realizzare in Russia anche un impianto chiamato “Accelerator Driven System (Ads)”, ideato dal Nobel Carlo Rubbia ma mai sperimentato: questa macchina dovrebbe bruciare parte delle scorie nucleari russe, riducendone la pericolosità. Se questo impianto dovesse svilupparsi e rivelarsi efficace, secondo il generale potrebbe accogliere anche le scorie italiane che, ha detto ancora Jean, non possono essere stoccate in casa dati i “seri problemi” causati dalla “emotività esistente a riguardo”.  [2]
 

L’ Ansa in data 19/02/04 ha riportato la notizia che per smantellare entro il 2015 i cinque impianti del ciclo del combustibile nucleare presenti in Italia – i due della Casaccia, nei pressi di Roma, e quello di Rotondella (Matera), Saluggia (Vercelli) e Bosco Marengo (Alessandria) – la Societa’ di gestione degli impianti nucleari (Sogin), creata nel 1999 all’ interno della holding Enel e dal novembre 2000 trasferita al Ministero dell’ Economia, spenderà  862 milioni di euro. Cifre e programmi sono stati illustrati oggi dal Direttore della disattivazione degli impianti di combustibile, Ivo Tripputi, e dal Direttore delle relazioni esterne di Sogin, Ugo Spezia, a Rotondella (Matera), dove si trova il centro Itrec frutto di un accordo fra Italia e Stati Uniti che risale al 1959. Oltre ai cinque impianti del ciclo del combustibile, Sogin gestisce anche le quattro centrali nucleari italiane (Trino Vercellese, Caorso, Latina e Garigliano). Tripputi e Spezia, rispondendo alle domande dei giornalisti, hanno spiegato che tecnici di Sogin stanno collaborando allo smantellamento di tre sommergibili nucleari dell’ ex Unione Sovietica, nella base di Arcangelo, e alla costruzione di un deposito a Murmansk: ”Queste attivita’, controllate dal G8 – ha detto Spezia – non hanno alcuna relazione con gli impianti italiani ne’ e’ previsto alcun trasferimento di materiale o scorie in Italia”. Nell’ impianto di Rotondella – che e’ stato fatto visitare ai giornalisti mentre era in corso, in alcune parti, un controllo da parte di ispettori dell’ Iaea e dell’ Euratom – Sogin, che lo gestisce dal 6 agosto 2003 quando e’ subentrata all’ Enea, investira’ fino al 2015 una somma pari a 210 milioni di euro. L’ impianto fu completato nel 1970 e, a partire dal 1968, ha ricevuto 84 elementi (ognuno del peso di 37,5 chilogrammi) di combustibile irraggiati provenienti dalla centrale di Elk River (Minnesota, Stati Uniti). Venti elementi sono stati ritrattati. Oggi, in una ”piscina”, sono custoditi 64 elementi. Nel centro sono inoltre custoditi rifiuti liquidi (in 433 fusti) e solidi (in 337 fusti). ”A Rotondella – ha detto Spezia – non c’ e’ mai stato un solo grammo di plutonio, perche’ il centro fu realizzato per sviluppare la filiera uranio-torio”. Attualmente, la condizioni di sicurezza della struttura e’ definita ”accettabile”, ma Sogin – hanno detto i suoi dirigenti – sta lavorando per migliorarla. Inoltre in riferimento alla vicenda del deposito di scorie nucleari che il Governo, nel novembre 2003, aveva deciso di realizzare a Scanzano Jonico (Matera), i dirigenti di Sogin hanno detto che durante contatti che la societa’ ebbe con gli amministratori regionali e locali dopo il 6 agosto 2003 non si parlo’ mai del deposito unico a Scanzano, che il Governo non aveva ancora deciso.   [3]


 fonti:

 SOGIN     [1]
 http://www.reporterassociati.org
/index.php?option=news&task=viewarticle&sid=114      [2]
 http://www.ansa.it/ambiente/notizie/fdg
/200402191701138615/200402191701138615.html          [3]
 


Le attività della Sogin

 da www.zonanucleare.com/

1. Le attività di smantellamento in corso in Italia


Nel corso del 2003 SOGIN ha speso complessivamente 136,8 milioni di euro per le attività di smantellamento e messa in sicurezza degli impianti nucleari italiani. Sono stati investiti in particolare 58,3 milioni per lo smantellamento delle centrali nucleari, 44,6 milioni per la sistemazione del combustibile nucleare irraggiato, 11,6 milioni per lo smantellamento degli impianti del ciclo del combustibile ereditati nell’estate dello scorso anno da ENEA e FN e 11 milioni per servizi di ingegneria nucleare e ambientale resi a terzi.
Nel corso del 2003 SOGIN è stata inoltre chiamata dalla Presidenza del Consiglio a finanziare le attività del Commissario delegato per la sicurezza delle installazioni e dei materiali nucleari, nominato con l’ordinanza n. 3267 del 7 marzo 2003. Le attività del Commissario delegato hanno impegnato complessivamente 2,3 milioni di euro per migliorare la protezione delle installazioni nucleari italiane.
SOGIN è responsabile delle quattro centrali nucleari e dei cinque impianti di trattamento e fabbricazione del combustibile nucleare esistenti in Italia, ora dismessi e in fase di smantellamento. Il mandato operativo di SOGIN è quello di provvedere alla disattivazione (decommissioning) delle installazioni nucleari, conducendo tutte le attività necessarie per consentirne lo smantellamento in condizioni di sicurezza e per arrivare al rilascio dei siti senza alcun vincolo di tipo radiologico. In particolare tali attività comprendono:

  • il mantenimento dell’impianto al necessario livello di sicurezza fisica e nucleare;
  • la progressiva disattivazione dei sistemi non più necessari all’esercizio e al mantenimento in sicurezza dell’impianto nonché il condizionamento e la sistemazione dei rifiuti derivanti dall’esercizio pregresso;
  • lo smantellamento delle parti radioattive e il trattamento dei materiali di risulta ai fini del rilascio e del condizionamento in contenitori idonei all’invio al deposito;
  • la caratterizzazione finale del sito e le demolizioni di edifici e impianti convenzionali fino al rilascio senza vincoli radiologici del sito stesso.


Centrali nucleari

A seguito della decisione governativa di arrivare al rilascio dei siti ove sono ubicate le centrali entro il 2020, SOGIN ha definito un programma complessivo di attività articolato in tre fasi:

  • Nella prima fase, che copre il periodo sino al 2007, oltre all’ottenimento delle prescritte autorizzazioni dal Ministero delle attività produttive e all’espletamento delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) con il Ministero dell’ambiente, si prevede di effettuare attività di messa in sicurezza degli impianti, in primo luogo rimuovendo il combustibile irraggiato e mettendolo in sicurezza in contenitori metallici a secco, di condizionamento dei rifiuti radioattivi derivanti dal pregresso esercizio, di smantellamento di parti di impianto non contaminate o debolmente contaminate.
  • La seconda fase, che copre il periodo dal 2006 al 2008 (data indicata nel 1999 dal governo per la disponibilità del deposito nazionale), comprende attività preparatorie allo smantellamento dell’isola nucleare. Slittamenti significativi nei tempi di costruzione del deposito nazionale potrebbero
    comportare lo slittamento di alcuni degli interventi previsti o oneri aggiuntivi derivanti da interventi integrativi;
  • La terza fase, a partire dal 2009, comporta lo smantellamento progressivo dell’isola nucleare. Un ritardo nella disponibilità del deposito nel corso di tale fase comporterebbe oneri aggiuntivi, buona parte dei quali dovuta alla gestione “straordinaria” in sito dei rifiuti o, a seconda dei casi, al frazionamento delle attività, con un allungamento complessivo dei programmi di intervento. In questa fase si riconoscono due blocchi di attività. A partire dal 2012 avranno luogo le attività di caratterizzazione finale del sito ai fini del rilascio, le demolizioni convenzionali e la riqualificazione del sito per i fini che saranno stati definiti.

Il programma è condizionato dal rispetto, da parte di tutti i soggetti competenti, dei tempi autorizzativi previsti dalle norme vigenti. Le principali ipotesi adottate nel programma delle attività sono le seguenti:

  • disponibilità del deposito nazionale per il conferimento dei rifiuti a partire dal 31/12/2008;
  • rispetto dei tempi di legge previsti dall’art. 15 della legge 7 agosto 1990, N. 241;
  • coordinamento degli iter autorizzativi sulla base dell’accordo di collaborazione istituzionale promosso da SOGIN nel 2003;
  • tempi di approvazione ridotti in accordo all’OPCM 3267/03 per le autorizzazioni di alcune attività ritenute critiche.


Le attività condotte nel 2003 presso le centrali nucleari sono di seguito elencate.

Centrale di Caorso
– Rimozione amianto reattore: in attesa approvazione APAT, in corso procedure di gara
– Decontaminazione primario: attività ultimata
– Invio rifiuti pregressi al trattamento: in attesa approvazione APAT, in corso procedure di gara
– Rimozione turbina e componenti a piano governo: attività in corso
– Fabbricazione della stazione centralizzata gestione materiali: attività in corso
– Adeguamento alimentazioni elettriche edificio turbina: attività approvata, in corso procedure di gara
– Smantellamento altri componenti edificio turbina: progettazione in corso
– Demolizione edificio Torri RHR: in attesa approvazione APAT
– Demolizione edificio off-gas: progettazione in corso


Centrale del Garigliano
– Bonifica delle trincee e attività propedeutiche (depositi in sito, adeguamento radwaste, adeguamento accesso controllato): istruttoria APAT completata, approvazione prevista a breve; difficoltà per le autorizzazioni comunali
– Rimozione amianto turbina: in attesa approvazione APAT
– Realizzazione nuovo camino e demolizione del vecchio: in attesa approvazione APAT


Centrale di Latina
– Recupero e condizionamento fanghi radioattivi: approvazione APAT ottenuta; inizio attività in sito prevista a breve; le prescrizioni APAT nell’autorizzazione comportano la realizzazione di un nuovo deposito. Sono in corso approfondimenti, anche con il Comune, circa l’iter autorizzativo da seguire
– Smontaggio e smaltimento boilers e rottami metallici: in attesa approvazione APAT
– Recupero e condizionamento residui magnox radioattivi: in attesa approvazione APAT
– Rimozione condotte inferiori: attività in corso
– Rimozione e vendita dei componenti turbina: gare in corso
– Alienazione materiali rilasciabili: attività completata


Centrale di Trino
– Rimozione amianto in zona controllata: attività in corso
– Decontaminazione generatori di vapore: attività in corso
– Modifiche di impianto per il rilascio della traversa sul fiume Po: attività in corso
– Rimozione e vendita dei componenti turbina: attività in corso


Attività comuni a più impianti
– qualifica dei contenitori per i rifiuti radioattivi;
– aggiornamento dei codici di calcolo per le analisi di tipo radiologico all’esterno delle centrali in relazione alle attuali situazioni socio economiche e alle programmate attività di smantellamento;
– revisione dei regolamenti di esercizio;
– revisione dei programmi di garanzia qualità;
– sviluppo normativa tecnica collegata agli smantellamenti;
– sviluppo di linee guida per la gestione dei materiali radioattivi.


Impianti del ciclo del combustibile

Il 13 maggio 2003 SOGIN ha siglato con Enea una convenzione per il trasferimento delle licenze ed autorizzazioni degli impianti di ricerca del ciclo del combustibile di proprietà Enea – EUREX a Saluggia (VC), ITREC a Trisaia (MT), OPEC1 e IPU alla Casaccia (Roma) – nonché un protocollo d’intesa con il quale si prevede il trasferimento a SOGIN della proprietà degli impianti stessi. Il 6 giugno 2003 SOGIN
ha siglato analoghi accordi con FN per quanto attiene l’impianto di fabbricazione del combustibile nucleare di Bosco Marengo (AL). L’affidamento in gestione a SOGIN dei diversi impianti è avvenuto fra il 30 giugno e il 6 agosto 2003. Contestualmente all’affidamento in gestione degli impianti, il relativo personale, previo consenso, è stato comandato da Enea e distaccato da FN alle dipendenze funzionali di SOGIN, in attesa del definitivo trasferimento in organico. Il trasferimento degli impianti, che secondo le intese sottoscritte con Enea e FN avrebbe dovuto aver luogo entro settembre 2003, non è ancora avvenuto.
L’attività sugli impianti del ciclo del combustibile svolta da SOGIN nella seconda metà del 2003 si è focalizzata su due iniziative rilevanti: la progettazione di un sistema di nuovi serbatoi in edificio bunkerizzato per i rifiuti liquidi a più alta attività esistenti a EUREX e l’analisi approfondita tecnico-economica delle opzioni per la loro solidificazione. Altre attività rilevanti hanno riguardato la definizione del problema
della messa in sicurezza a secco del combustibile esistente sui vari siti. A luglio è stata presentata la revisione dell’istanza di disattivazione dell’impianto FN. Per tutti i siti sono state predisposte schede di progetto che, a valle di una progettazione di massima, identificano in dettaglio le soluzioni tecniche e le modalità di gestione dei vari progetti.


Le attività condotte nel 2003 presso gli impianti del ciclo del combustibile sono di seguito elencate.

Impianto EUREX
– Messa in sicurezza a secco del combustibile irraggiato: è stata completata la progettazione delle modifiche dell’edificio piscina onde permettere la movimentazione del combustibile e del relativo cask.
– Gestione rifiuti radioattivi pregressi: è stata completata la progettazione di massima degli interventi di potenziamento del sistema antincendio dell’edificio contenente fusti con rifiuti solidi e sono state avviate le attività di progettazione e realizzazione di un deposito bunkerizzato per i rifiuti liquidi ad alta attività.


Impianto ITREC
– Solidificazione della soluzione uranio-torio: è stato affidato l’incarico per la redazione di uno studio di fattibilità per il condizionamento della soluzione
– Messa in sicurezza a secco del combustibile irraggiato: sono state avviate le attività propedeutiche alla fornitura dei cask e relativa movimentazione sull’impianto
– Gestione rifiuti radioattivi pregressi: sono stati compattati e caratterizzati, nel prosieguo di un contratto già in essere, 500 fusti; è stato effettuato il lavoro di ispezione, riconfezionamento e riclassificazione di 210 fusti contenenti rifiuti solidi a più alta attività; è stata eseguita la caratterizzazione radiologica dell’impianto ed è stato affidato l’incarico per decontaminazione, compattazione e caratterizzazione
radiologica dei fusti debolmente contaminati Impianto OPEC1
– Smantellamento di tre serbatoi interrati contenenti effluenti liquidi: è stata effettuata la progettazione preliminare dell’indagine necessaria a caratterizzare il serbatoio interrato, per il quale le informazioni non sono complete, in vista dello smantellamento dell’intero parco
– Depositi temporanei dei rifiuti in sito: la struttura dell’impianto OPEC-2, attualmente non-nucleare e non facente parte delle strutture da smantellare consegnate a SOGIN, è stata individuata quale deposito dei rifiuti contaminati da plutonio e sono state avviate le attività progettuali dei relativi lavori di adeguamento
Impianto IPU
– Gestione rifiuti radioattivi d’esercizio: si sono concluse le attività relative all’accorpamento, in serbatoi di circa 2500 litri di capacità, di rifiuti liquidi declassificati e alla seconda campagna di caratterizzazione, mediante misure in spettrometria gamma dei filtri esausti del sistema di ventilazione.


Impianto FN
– Gestione rifiuti radioattivi di esercizio: sono state condotte attività di infustamento e caratterizzazione radiologica mediante spettrometria gamma di parte dei rifiuti solidi.
– Decontaminazione e smantellamenti: sono proseguite le attività propedeutiche alla decontaminazione e allo smantellamento di apparecchiature e infrastrutture presenti nell’area controllata.
– Combustibile fresco: sono quasi terminate le trattative con NUKEM per la cessione definitiva dell’uranio naturale presente in FN.

[1]

2. Le attività per terzi


Le attività per terzi svolte da SOGIN nel corso del 2003 hanno comportato ricavi per 10,5 milioni di euro e sono state sviluppate su tre filoni di attività: servizi di ingegneria ambientale, servizi di ingegneria nucleare, e servizi di decommissioning di impianti.
Nel loro complesso le attività per terzi sono state condotte da SOGIN in modo complementare con l’attività di “core business”, consentendo il mantenimento
delle risorse umane su elevati standard professionali e il raggiungimento degli obiettivi economici sia in termini di ricavi di competenza che di margine di contribuzione.


Servizi di ingegneria ambientale

L’area dei servizi di ingegneria ambientale ha confermato lo sviluppo fatto registrare negli anni precedenti.
Le attività principali condotte nel 2003 hanno riguardato
– la gestione e l’ampliamento della rete accelerometrica nazionale nell’ambito di un contratto pluriennale con la Presidenza del Consiglio dei Ministri;
– la gestione di stazioni sismoaccelerometriche e la localizzazione e realizzazione di nuove stazioni di rilevamento nell’ambito di un contratto triennale stipulato nel 2000 con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia;
– la consulenza geotecnica all’Enel nell’ambito della costruzione dell’impianto idroelettrico presso Gilgel Gibe (Etiopia) le cui attività proseguiranno fino al termine della costruzione, previsto alla fine del 2004;
– la consulenza relativa alle attività di bonifiche ambientali, regolata da un’apposita convenzione stipulata nel 2000 con il Commissario di governo per l’emergenza rifiuti, bonifiche e tutela delle acque nella regione Campania.


Servizi di ingegneria nucleare

Il secondo filone, ampiamente consolidatosi nel tempo, è quello della fornitura di servizi di ingegneria nucleare per la Commissione Europea anche in associazione con partner europei quali EdF (Francia), Tractebel (Belgio), Iberdrola (Spagna), nell’ambito del programma di assistenza ai paesi dell’ex-Unione Sovietica per il miglioramento della sicurezza delle loro centrali nucleari. Le attività principali
hanno riguardato:
– l’assistenza presso la centrale nucleare di Medzamor in Armenia, con la predisposizione di studi e valutazioni per il decommissioning, co-finanziata dal Ministero delle attività produttive;
– l’assistenza alle centrali nucleari di Aktau (Kazakstan), Bilibino (Siberia), Beloyarsk (Siberia), Kalinin (Russia) per l’ammodernamento degli impianti e l’adeguamento agli standard di sicurezza dell’Europa occidentale;
– lo studio, per la centrale nucleare di Cernavoda (Romania), dei costi di decommissioning e la modellazione per l’accumulazione del fondo necessario attraverso una imposta sul kWh di origine nucleare;
– l’assistenza all’ENEL per valutazioni su impianti nucleari francesi e per la definizione di un accordo su ritiro di energia elettrica di origine nucleare, nonché per l’eventuale partecipazione ENEL al progetto EPR.


Servizi di decommissioning

Il terzo campo d’attività riguarda le attività di smantellamento e trattamento dei rifiuti radioattivi presso impianti di terzi. Le principali attività svolte nel 2003 hanno riguardato:
– la messa a punto di tecnologie innovative ideate da SOGIN per il decommissioning dell’impianto di Hunterston in Gran Bretagna su richiesta della BNFL;
– il decommissioning dei laboratori del CESI di Segrate (ENEL);
– la collaborazione prestata a EdF per il decommissioning della Centrale di Creys-Malville;
– l’assistenza al project management del decommissioning dei laboratori nucleari del centro di ricerca di Ispra della Commissione Europea.

[2]

3. Accordo Global Partnership Italia-Russia


L’Italia contribuirà con 360 milioni di euro in dieci anni alla messa in sicurezza
del nucleare in Russia. A guidare la partecipazione italiana sarà SOGIN.
E’ stato firmato il 5 novembre 2003 l’accordo di collaborazione bilaterale fra i governi italiano e russo che dà attuazione all’accordo Global Partnership sottoscritto nel vertice G8 di Kananaskis per la messa in sicurezza degli impianti nucleari ex sovietici.
L’accordo affida a SOGIN, che coordinerà per parte italiana la partecipazione di Fincantieri, Ansaldo-Camozzi, Techint e Duferco, la leadership su sei progetti.

  • Progetto n. 1 (budget 70 milioni di euro). Prevede lo smantellamento di tre sottomarini a propulsione nucleare: uno della classe Oscar (15.000 t), uno della classe Victor (6.000 t) e uno della classe Papa (6.000 t). Le imprese italiane dovranno fornire uno studio sull’orgaizzazione di cantiere, macchine di taglio e smembratura, macchine di saldatura e sistemi di sollevamento e movimentazione.
  • Progetti n. 2 e 3 (budget 133 milioni di euro). Prevede la realizzazione di un impianto centralizzato a livello regionale per il trattamento di rifiuti radioattivi solidi finora accumulati e di quelli che deriveranno dalle operazioni di smantellamento. E’ inoltre prevista la realizzazione di un impiant trasportabile per il trattamento dei rifiuti radioattivi liquidi. Le imprese italiane condurranno uno studio tecnico-economico per l’individuazione delle tecnologie da utilizzare, il progetto degli impianti e la fornitura dei sistemi e dei componenti necessari.
  • Progetto n. 4 (budget 45 milioni di euro). Riguarda la realizzazione dei sistemi di protezione fisica (security) delle basi navali che ospitano materiali radioattivi e combustibile nucleare irraggiato ubicate nella penisola di Kola, regione di Arcangelo.
  • Progetto n. 5 (budget 30 milioni di Euro). Ha per oggetto la progettazione e la realizzazione di contenitori per il trasporto e lo stoccaggio temporaneo di elementi di combustibile nucleare irraggiato.
  • Progetto n. 6 (budget 60 milioni di euro). Prevede la progettazione e la realizzazione di un mezzo navale idoneo al trasporto, dopo smantellamento, dei contenitori di materiali radioattivi e delle sezioni centrali dei sottomarini, contenenti i reattori nucleari.

[3]

fonte:
comunicato stampa SOGIN del 6.9.2004  [1] 
comunicato stampa SOGIN del 6.9.2004  [2] 
comunicato stampa SOGIN del 6.11.2004  [3] 
 


La mappa degli attuali depositi temporanei di materiale radioattivo in Italia

 da www.zonanucleare.com/

Secondo i dati forniti dal generale Carlo Jean alla commissione ambiente della Camera, in Italia ci sono circa 60.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di seconda e terza categoria, ai quali vanno aggiunte 298,5 tonnellate di combustibile irraggiato. Le centrali nucleari italiane (chiuse dopo il referendum del 1987) hanno prodotto 55 mila metri cubi di scorie. Ma la verità è che più che chiuse le centrali sono in stato di «custodia protetta passiva», dunque continuano a produrre ogni anno una certa quantità di rifiuti radioattivi. A questi vanno aggiunti altri 2 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, di origine medica e sanitaria, o creati durante le attività di ricerca o simili, e poi rottami metallici, vecchi quadranti luminescenti, parafulmini. E inoltre è bene ricordare che ospedali e aziende producono ogni anno 500 tonnellate di nuove scorie. [1]

Secondo i dati raccolti dal Servizio di prevenzione sanitaria della Regione Lombardia, ad esempio, in un solo anno (tra il giugno 1997 e il giugno 1998) le aziende sanitarie lombarde hanno rilevato più di 100 carichi di rottami metallici radiocontaminati, quasi tutti in provincia di Brescia, evidentemente sfuggiti ai controlli doganali. Nel 55% dei casi l’oggetto radioattivo era costituito da materiale metallico radiocontaminato, nel 17% dei casi da vere sorgenti radioattive e nel 18% dei casi da quadranti di strumenti. In alcune sporadiche occasioni sono stati ritrovati parafulmini radioattivi e rilevatori di fumo
C’è poi un ulteriore quantità di materiale radioattivo su cui si hanno poche informazioni, quello proveniente dai traffici illeciti. Il rapporto di Legambiente ricorda che nel periodo 1996-1998, in particolare, risultavano entrati 2 milioni e 260mila tonnellate di rottami ferrosi attraverso i valichi ferroviari di Gorizia e Villa Opicina e quello stradale di Valico Sant’Andrea, lungo la frontiera orientale italiana: oltre 15mila tonnellate sono risultate radioattive e rispedite oltre confine. [2]


  1. In dettaglio ecco le tutte le “installazioni nucleari italiane”: stato attuale, rifiuti radioattivi e combustibile irraggiato in stoccaggio (rapporto del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato – 14 dicembre 1999)
     
  2. Brevi cenni sulla situazione attuale e mappa geografica degli attuali depositi temporanei di materiale radioattivo in Italia



A. In dettaglio ecco le tutte le “installazioni nucleari italiane”: stato attuale, rifiuti radioattivi e combustibile irraggiato in stoccaggio (rapporto del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato – 14 dicembre 1999)


In dettaglio ecco le tutte le “installazioni nucleari italiane”: stato attuale, rifiuti radioattivi e combustibile irraggiato in stoccaggio (rapporto del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato – 14 dicembre 1999):

ESERCENTEIMPIANTODESTINAZIONE ORIGINARIADATA ARRESTO STATO ATTUALERIFIUTI STOCCATICOMBUSTIBILE IRRAGGIATO STOCCATO
      ENELReattore BWR GariglianoProduzione elettricità  Arresto 1978 Disattivazione2200 mc 570 TBqnessuno  
Reattore GCR Latina  Produzione elettricità  Arresto 1986 Disattivazione850 mc 40 TBqnessuno (ritrattam.) Attesi 24 mc di  vetri
Reattore PWR Trino VercelleseProduzione elettricità  Arresto 1987 Disattivazione800 mc 2 TBq47 elementi (14,5 ton) Attesi 6 mc di  vetri
Reattore BWR CaorsoProduzione elettricitàArresto 1986 Disattivazione2000 mc 5 TBq (1)1032 elementi (187 ton) (2) (3)
            ENEAImpianto EUREX SaluggiaImpianto pilota RitrattamentoArresto 1983 Gestione rifiuti1600 mc 7150 TBq53 elementi (2 ton)  
Impianto ITREC TrisaiaImpianto pilota Ciclo U-ThArresto 1978 Gestione rifiuti2700 mc 1160 TBq64 elementi U-Th (1,7 ton)
Impianto Plutonio CasacciaImpianto pilota Fabbr. Combust. PuArrestato Gestione rifiuti60 mc (alfa)Circa 4 kg Pu in varie   pezzature
Impianto OPEC 1 CasacciaCelle calde per esami Post irraggiamentoArrestato Deposito mater. nucl.   Circa 100 kg (spezzoni Combust. Nucleare)
Reattore TRIGA CasacciaReattore di ricerca  In esercizio   147 elementi
Reattore TAPIRO CasacciaReattore di ricerca  In esercizio    
Reattore RB-3 MontecuccolinoReattore di ricercaIn disattivazione  
ENEA NUCLECOImpianti tratt.e depos. Rif. Radioatt. CasacciaDeposito e trattam. Rifiuti Bassa attivitàIn esercizio6300 mc 700 TBqnessuno
FIAT AVIODeposito comb.irragg. Avogrado  SaluggiaDeposito comb. Irragg. Dell’ENELIn esercizio25 mc 4,8 TBq371 elementi (81,5 ton) (3)
FNImpianto fabbr. Comb. Nucl.   BoscomarengoImpianto fabbr. Comb. per reattori LWRArresto, in disattivazione250 mc 0,7 TBqnessuno
      CCR ISPRAReattore Ispra 1Reattore di ricercaArresto in disattivaz     Circa 3000 mc  alcune decine di elementi
Reattore ESSOR  Reattore di ricerca  Arresto, in attesa di disattivazione.
Deposito E 39.2Depos. mat. Radioatt.In esercizio
Laboratorio PERLAMisure di U-PuIn esercizio
Deposito rifiutiDepos. Rif. Radioatt.In ristrutturazione
Laboratorio ETHELRicerca su handling TrizioIn regime di prove nucleari
        ALTRI REATTORI DI RICERCAReattore L54M CESNEF MilanoRicerca Universitaria  Cambio di destinazione       Poche decine di mc         Alcune decine di  elementi
Sottocritico SM-1 Legnaro PadovaRicerca Universitaria  In esercizio  
Reattore LENA Università di PaviaRicerca Universitaria  In esercizio  
Reattore AGN Università di PalermoRicerca Universitaria  In esercizio (prossima disattivazione)
Reattore Galilei CISAM PisaRicerca militareIn disattivazione
  OPERATORI PRIVATI  DI DEPOSITI DI RIFIUTI A BASSA ATTIVITA’Dep. Compoverde MIRaccolta di rifiuti a bassa attività e/o di sorgenti radioattive dismesse (da impieghi medici e/o industriali)       In esercizio     8300 mc,
 11 TBq    
       nessuno
Dep. Cemerad TA
Dep. Controlsonic AL
Dep. Protex FO
Dep. Sicurad PA
Dep. Sorin VC
Dep. Gammatom CO
Dep. Crad UD

(1) Materiali già classificati “rifiuti radioattivi” (volumi lordi al 31.12.1998). Il materiale attivato o contaminato ancora montato sull’impianto, non considerato rifiuti radioattivo, quindi non è compreso nell’inventario dei rifiuti.
(2) Va inoltre considerata la quota ENEL di combustibile irraggiato Superfénix, pari a 121 elementi (298 ton)
(3) Peso riferito a “Heavy Metal”
[4]

fonti:
 http://www.ansa.it/ambiente/notizie/notiziari/rifiuti/20031113175832754415.html  [1]
 http://italy.indymedia.org/news/2003/11/429883.php  [2]
(riporta l’articolo “Un palazzo di sessanta piani di paure atomiche – La mappa dei 53 mila metri cubi di scorie nucleari custoditi in Italia” di Flavia Amabile (La Stampa del 24/11/2003)  http://lanazione.quotidiano.net/art/1999/11/23/347535 [3]   
 Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato [4]


depositi per lo smaltimento dei rifiuti nucleari nel mondo

 da www.zonanucleare.com/

  Lo smaltimento dei rifiuti a bassa radioattività (o a vita breve)
 

  1. Depositi definitivi per rifiuti radioattivi a bassa attività. Riepilogo generale della situazione nei vari paesi
    1. Depositi in fase di selezione del sito
    1. Depositi con sito selezionato
    1. Depositi in fase di progetto o di licensing
    1. Depositi in costruzione
    1. Depositi in esercizio
    1. Depositi in fase di chiusura
    1. Depositi chiusi

       
  2. Lo smaltimento dei rifiuti ad alta attività (o a vita lunga)


A. Lo smaltimento dei rifiuti a bassa radioattività (o a vita breve)


Quando i rifiuti condizionati vengono depositati in un sistema di smaltimento definitivo, il loro isolamento dalla biosfera deve essere assicurato per tutto il periodo in cui dura la loro pericolosità. Tale isolamento viene realizzato tramite barriere di contenimento poste in serie, la cui funzione è di impedire la diffusione degli isotopi radioattivi verso l’esterno del deposito. La prima di queste barriere è costituita dallo stesso manufatto di condizionamento; barriere addizionali dovranno essere fornite dal deposito stesso, e saranno di tipo artificiale o naturale, o una combinazione delle due.
La sicurezza del deposito sia nel breve che nel lungo periodo si basa quindi sull’affidabilità di queste barriere addizionali, la cui natura dipende dalla severità del contenimento richiesto e da quanto a lungo dovrà essere garantito.
Nel caso di rifiuti a bassa attività, che costituiscono circa il 95% dell’intera produzione, l’isolamento deve essere garantito al massimo per qualche secolo (trecento anni è il tempo che determina un abbattimento dei livelli di radiazione di circa mille volte dei radionuclidi a vita più lunga come il Cs-137 o lo Sr-90). Questo è un periodo durante il quale è certamente possibile assicurare la conservazione e la durata di barriere artificiali adeguatamente progettate e messe in opera. Infatti, lo smaltimento dei rifiuti a bassa attività è già praticato industrialmente mediante la collocazione dei manufatti in strutture ingegneristiche di vario tipo, nella maggior parte dei casi realizzate in superficie, (trincee, silos, tumuli) costruite in calcestruzzo e con criteri che ne assicurano la conservazione in tutte le condizioni prevedibili. Le unità di deposito, una volta riempite con i rifiuti condizionati e sigillate con opportuni accorgimenti, diventano nei sistemi più avanzati dei blocchi di calcestruzzo di grande stabilità meccanica e chimica. In tal modo tra il rifiuto radioattivo e l’ambiente esterno sono interposte almeno tre barriere di protezione altamente affidabili, la cui conservazione per qualche secolo non pone problemi di sorta. La sicurezza radiologica, e cioè l’efficienza delle barriere e dell’isolamento, è continuamente controllata da sistemi e reti di monitoraggio ambientali, estesi al deposito ed alle aree circostanti, e attivi per tutto il periodo di controllo istituzionale, al termine del quale il sito viene rilasciato senza restrizioni. Oltre a ciò, i siti per la localizzazione di questi depositi vengono scelti sulla base di indagini geografiche che tengono conto di parametri generali e locali di idoneità, con l’obiettivo di conferire al sito stesso una difesa supplementare e di non favorire comunque la dispersione dei radionuclidi nell’ambiente anche dopo la fine del periodo di controllo istituzionale.
Esistono casi in cui il sito ha caratteristiche tali da non richiedere barriere artificiali di contenimento particolarmente severe, com’è il caso dei siti desertici, caratterizzati da una quasi completa assenza di precipitazioni e di falde significative.

Centri di deposito definitivo per rifiuti a bassa attività sono in funzione o in progetto in tutti i paesi che detengono rifiuti radioattivi di questo tipo. I più moderni e avanzati si trovano in Francia, Spagna, Svezia, Giappone, Regno Unito, USA. Importanti progetti sono in stato di avanzato sviluppo in Germania, Svizzera, ed in alcuni paesi dell’Est europeo.
Il primo deposito per rifiuti radioattivi fu realizzato nel 1944 ad Oak Ridge nel Tennessee. Si trattava di una trincea semplice riempita con rifiuti solidi non condizionati. Attualmente lo smaltimento viene effettuato in depositi superficiali realizzati con barriere artificiali più o meno complesse, o in cavità sotterranee. Oltre 100 depositi sono stati o sono operativi nei Paesi membri della IAEA e circa 50 sono in fase di progetto più o meno avanzato.
La tendenza generale, nei depositi attualmente in progetto o costruzione in paesi con climi non estremi, è quella di realizzare sistemi di contenimento della radioattività utilizzando le seguenti barriere :
– la matrice di condizionamento;
– l’eventuale materiale di riempimento (backfilling);
– le strutture in calcestruzzo delle unità di deposito;
– sistemi di raccolta e drenaggio delle acque;
– le difese naturali del sito.

La maggior parte dei depositi realizzati nel mondo sono del tipo superficiale (near surface), caratterizzati da strutture di isolamento semplici o assenti del tutto o con strutture ingegneristiche di contenimento, come quelli francesi, spagnolo, giapponese, inglese.
Depositi non superficiali per rifiuti a bassa attività sono realizzati o previsti in cavità artificiali (depositi scandinavi) o in miniere esistenti (soluzione proposta in Germania). In alcuni paesi vengono presi in considerazione depositi geologici anche per i rifiuti a bassa attività, nel senso che per essi viene proposto il deposito insieme con quelli ad alta attività.
Una statistica approssimata della tipologia di depositi (inclusi quelli in progetto o in
studio) è la seguente:
-il 20 % sono depositi superficiali con barriere semplici;
-il 70 % sono depositi con barriere multiple realizzati in superficie;
-il 7 % sono depositi in cavità sotterranee;
-il 3 % sono depositi in formazioni geologiche profonde.


depositi superficiali con barriere semplificate sono costituiti da trincee generalmente scavate in formazioni sabbiose o argillose e localizzate in zone aride, ricoperte dopo la messa a dimora dei rifiuti da uno strato di materiale naturale e attrezzate di drenaggi semplificati (talora assenti nelle località desertiche). Esempi sono costituiti dai depositi di Vaalputs (Sud Africa), di Hanford, Nevada e Barnwell (USA).
I depositi superficiali con barriere ingegneristiche multiple costituiscono le realizzazioni più recenti ed avanzate.
Esempi sono costituiti dai centri di La Manche e Aube (Francia), di El Cabril (Spagna), di Rokkasho (Giappone). Il deposito britannico di Drigg, inizialmente avviato con trincee scavate non rivestite, è stato riadattato e prevede attualmente l’impiego di celle di deposito parzialmente interrate e rivestite in calcestruzzo, destinate ad essere sigillate con una copertura artificiale dopo il riempimento.
I depositi francesi e spagnolo sono costituiti da celle in calcestruzzo fuori terra nelle quali i rifiuti condizionati vengono messi a dimora e successivamente protetti con barriere (backfilling) costituite da malta cementizia. e copertura in calcestruzzo.
In Giappone (sito di Rokkasho-mura) sono state realizzate celle in cemento concettualmente simili a quelle dei depositi francese e spagnolo, la cui principale caratteristica è la loro localizzazione in un sito umido e acquitrinoso, che ha richiesto una particolare e sofisticata difesa idrogeologica.
Nei Paesi dell’Ex Unione Sovietica ed in altri dell’Est europeo, i depositi a bassa e media attività, sono stati costruiti negli anni ’60 e’70. I depositi sono stati realizzati con pareti in cemento armato a doppio strato ed interposizione di bitume.

I casi più noti di depositi in cavità sotterranee sono costituiti dai depositi scandinavi, resi possibili ed anche preferibili a quelli superficiali dalla particolare geologia dell’intera area scandinava, giacente su formazioni affioranti di granito dotate di grande potenza e stabilità.
In Svezia il deposito di Forsmark per rifiuti a bassa e media attività costituisce la realizzazione più spettacolare del suo genere, essendo costituito da gallerie scavate alla profondità di 60 sotto il livello del mar Baltico, a circa un chilometro dalla costa, ed accessibili direttamente dalla terra ferma. In Finlandia è stato realizzato il deposito di Olkiluoto con un concetto simile a quello svedese.

Un esempio di deposito in miniera è costituito dal progetto in corso da anni in Germania, che prevede di utilizzare la dimessa miniera di ferro di Konrad, nella Bassa Sassonia, caratterizzata da condizioni eccezionalmente anidre e da grande stabilità geologica e meccanica. Il progetto incontra peraltro gravi difficoltà di tipo autorizzativo.

Per rifiuti a vita breve, i depositi in formazioni geologiche profonde sono estremamente rari, e presi in considerazione, come sopra richiamato, in quei paesi in cui è comunque prevista la realizzazione di un deposito geologico per i rifiuti ad alta attività, per le cospicue quantità detenute o previste di tale tipo di rifiuti (depositi tedesco e britannico, tuttora allo stadio di individuazione del sito). Un caso particolare è costituito dal deposito geologico in una miniera di sale di Morsleben (Germania), ereditato dalla ex Germania Orientale e chiuso nel 1998, concepito inizialmente per rifiuti a bassa e media attività.
In Germania viene anche preso in considerazione attualmente lo smaltimento dei rifiuti a bassa attività nel futuro deposito geologico previsto per quelli ad alta attività.
Fino al 1998 (quando cambiò governo) il sito considerato era quello del domo salino di Gorleben, in una formazione profonda delle Bassa Sassonia, studiato da diversi anni. Il nuovo governo ha rimesso in discussione il sito di Gorleben, peraltro dotato di ottime caratteristiche, così come intende fare per quello di Konrad.
 

 fonte:   E.N.E.A.

 




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