TOKAMAK

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1 – La fusione termonucleare

E’ la reazione nucleare che avviene nel sole e nelle altre stelle, con produzione di una enorme quantità di  energia.
Nella reazione di fusione nuclei di elementi leggeri, quali l’idrogeno, a temperature e pressioni elevate, fondono formando nuclei di elementi più pesanti come l’ elio.
Sono noti tre isotopi dell’ idrogeno : l’ idrogeno propriamente detto(H), il deuterio(D) e il trizio(T). Il nucleo di tutti e tre contiene un protone, il che li caraterizza come forme dell’ elemento idrogeno; il nucleo di deuterio contiene inoltre un neutrone mentre quello del trizio due neutroni. In tutti i casi l’ atomo neutro ha un elettrone al di fuori del nucleo per compensare la carica del singolo protone.
La reazione più probabile è quella che avviene tra un nucleo di deuterio e un nucleo di trizio, reazione in cui si genera un nucleo di elio (particella alfa) e un neutrone. In questa reazione la massa complessiva dei prodotti è inferiore a quella delle particelle interagenti e si verifica liberazione di energia secondo il principio di equivalenza massa-energia. L’energia liberata si distribuisce tra la particella alfa e il neutrone in rapporto inverso alle  rispettive masse.

I due nuclei interagiscono solo a distanze molto brevi, equivalenti alle dimensioni del nucleo (10-13cm-3); in questo caso le forze nucleari sono predominanti sulle forze di repulsione elettrostatica dovute alla carica positiva dei nuclei (forze che crescono all’ avvicinarsi dei nuclei in proporzione inversa al quadrato della distanza). Perché due nuclei si avvicinino a distanze sufficientemente brevi è necessario che la velocità con cui si urtano sia molto alta;  la loro energia cinetica (e quindi la temperatura) cioè deve essere molto elevata.  Per ottenere in laboratorio reazioni di fusione, ad esempio, è necessario portare una miscela di deuterio e trizio a temperature elevatissime (100 milioni di gradi) per tempi di confinamento sufficientemente lunghi. In tal modo i nuclei hanno tempo di fare molte collisioni, aumentando la probabilita’ di dar luogo a reazioni di fusione.

2 – Le reazioni termonucleari delle stelle

A temperatura ordinaria, in un gas, le particelle sono neutre; viceversa a temperatura superiore a qualche eV, poichè le singole particelle tendono a dissociarsi negli elementi costitutivi (ioni ed elettroni) il gas si trasforma in una miscela di particelle cariche, cioè un plasma .
Il plasma, costituisce il 99% della materia di cui e’ composto l’ Universo e quindi è detto anche: “quarto stato della materia”.  E’ il principale costituente delle stelle e del sole. Nel sole, che ha una temperatura interna di 14 milioni di gradi, la reazione di fusione di nuclei di idrogeno (reazione protone-protone) è responsabile  di gran parte dell’energia che giunge fino a noi sotto forma di calore e di luce (e di neutrini solari).

In stelle più calde o di massa maggiore prevalgono altre reazioni. A temperature intorno ai 15-20 milioni di gradi queste reazioni si basano  sul ciclo del carbonio in cui il C12 funge da catalizzatore per la fusione di  4 protoni in  un nucleo di He,due positroni, due neutrini, e  un gamma, con  sviluppo di   26.63 MeV di energia ( di cui il 5%  è associata ai neutrini prodotti).
Il problema dell’evoluzione stellare è governato dall’energia da fusione e dall’energia gravitazionale: in una stella molto giovane composta da atomi di idrogeno, l’energia gravitazionale è dominante, la stella si contrae,  aumenta la sua  temperatura e la sua  densità finchè diventano importanti le reazioni di fusione con liberazione di energia.
Si verificano in sequenza stadi gravitazionali e nucleari a temperature e densità crescenti e vengono bruciati nuclei con carica crescente, fino ai nuclei di ferro per i quali l’energia di legame presenta un massimo. A questo punto le reazioni  nucleari assorbono energia anzichè produrla.

Per ottenere la reazione di fusione il plasma  di idrogeno deve esser confinato in uno spazio limitato: nel sole questo si verifica ad opera delle enormi forze gravitazionali in gioco.
Inoltre, il processo di fusione, nel sole, avviene con estrema lentezza, ragione per cui esso brilla da miliardi di anni.

3 – Reazioni nucleari esoenergetiche

Gli elementi ,in natura, sono costituiti da molecole formate da  atomi. Gli atomi sono caratterizzati da, un nucleo carico positivamente e dagli elettroni periferici negativi, che ne determinano la specie.
Il nucleo a sua volta è costituito da neutroni e protoni, i nucleoni, tenuti insieme da forze estremamente intense e a breve raggio di azione, le forze nucleari. La massa di un nucleo e’ minore della somma delle masse dei nucleoni (protoni e neutroni) che lo costituiscono : la differenza di massa (Dm), che è in relazione con l’energia di legame secondo la legge di equivalenza massa energia, DE = c2Dm, si chiama difetto di massa.

Sono possibili combustibili nucleari, i nuclei che hanno più bassa energia di legame per nucleone, cioè quelli a piccola o ad elevata massa atomica: gli uni danno energia nucleare per fusione, gli altri per fissione.

 Consideriamo ora le reazioni nucleari che avvengono con sviluppo di energia: la reazione di fusione di due nuclei leggeri, in cui si origina un nucleo più pesante: in essa si ha liberazione di energia perché la massa del nucleo risultante è minore delle masse dei due nuclei reagenti; la reazione di fissione, in cui un nucleo molto pesante si spezza in due nuclei più leggeri: anche in questo caso la massa complessiva dei frammenti è minore della massa del nucleo di partenza.

L’ energia liberata nelle reazioni nucleari, a parità di quantità di sostanze reagenti, è milioni di volte più grande di quella liberata nelle reazioni chimiche (combustione).

4 – Condizioni per la fusione termonucleare controllata

Per ottenere in laboratorio la fusione termonucleare controllata, con un bilancio energetico positivo, è necessario riscaldare un plasma di deuterio-trizio a temperature molto alte (100 milioni di gradi, più di sei volte la temperatura all’ interno del sole), mantenendolo confinato in uno spazio limitato per un tempo sufficiente a che l’energia liberata dalle reazioni di fusione possa compensare sia le perdite, sia l’energia usata per produrlo.

Occorre cioè soddisfare le condizioni espresse dal Criterio di Lawson, condizioni che dipendono dalla temperatura del plasma.

Nel caso di un plasma di deuterio-trizio a 100 milioni di gradi, (pari a circa 10 KeV di energia) a basso contenuto di impurità, il Criterio di Lawson afferma che il prodotto della densità di particelle del plasma per il tempo di confinamento deve esser maggiore di 3×1020 m-3 s.

A temperature così elevate il problema diventa, come confinare il plasma  in un recipiente.

In linea di principio il plasma costituito da particelle cariche (ioni di deuterio e trizio) può essere confinato mediante un campo magnetico: in assenza di questo campo le particelle si muoverebbero a caso in tutte le direzioni , urterebbero le pareti del recipiente e  il plasma si raffredderebbe inibendo la reazione di fusione.

In un campo magnetico invece le particelle sono costrette a seguire traiettorie a spirale intorno alle linee di forza del campo mantenendosi lontano dalle pareti del recipiente.

5 – Confinamento magnetico del plasma

Nella fusione a confinamento magnetico il plasma  caldo è racchiuso in una camera a vuoto, e una opportuna configurazione di campi magnetici esterni e/o prodotti da correnti circolanti nel plasma impedisce il contatto con le pareti del recipiente.
Sono state studiate,a questo proposito, diverse configurazioni magnetiche :
configurazioni a specchio in cui le linee di forza del campo magnetico sono aperte alle estremità del plasma  e configurazioni a simmetria  toroidale (es.Stellarator, Tokamak ).
Quella che ha ottenuto finora i migliori risultati nella fusione a confinamento magnetico, è quella del Tokamak.

Il tokamak è un dispositivo di forma  toroidale caratterizzato da un involucro cavo, costituente la “ciambella”, in cui  il plasma  è confinato mediante un campo magnetico con linee di forza a spirale.

Questa  configurazione magnetica è ottenuta mediante la combinazione  di un intenso campo magnetico toroidale prodotto da bobine magnetiche poste intorno alla “ciambella”, con un campo magnetico poloidale realizzato mediante la  corrente indotta nel plasma dall’ esterno, quest’ ultimo necessario per evitare la deriva delle particelle del plasma verso le pareti del recipiente.
Le particelle di plasma si avvitano intorno alle linee di forza del campo.

Bobine supplementari esterne occorrono per realizzare campi magnetici ausiliari che controllano la posizione del plasma nella “ciambella”.

Riscaldamento del Plasma

Essendo il plasma un conduttore elettrico, è possibile riscaldarlo  mediante una corrente indotta dall’esterno: il plasma nella “ciambella” si comporta come una spira cortocircuitata che costituisce il secondario di un trasformatore il cui primario è all’esterno.
La corrente indotta ha così il duplice scopo di creare il campo poloidale e di riscaldare il plasma a temperatura elevata (4 nella figura sottostante).
Questo tipo di riscaldamento è detto riscaldamento ohmico  o resistivo, obbedisce alla legge di Joule, ed è  analogo al riscaldamento di una  lampadina o di una stufetta elettrica.

Un limite a detto riscaldamento ohmico (4 in figura) è dato dal fatto che la resistività del plasma decresce al crescere della temperatura e la massima temperatura ottenibile nel plasma, è di alcuni milioni di gradi. Per raggiungere le temperature richieste per la fusione termonucleare è  necessario, quindi, ricorrere al riscaldamento supplementare, che si può realizzare:
– per assorbimento nel plasma di onde elettromagnetiche, iniettate mediante guide d’onda  o antenne che trasferiscono ad esso energia elettromagnetica (1 in figura);
– per iniezione di atomi neutri  di elevata energia cinetica che attraversano il campo magnetico, vengono ionizzati e trasferiscono per collisione la loro energia al plasma (2 in figura);
– per compressione adiabatica del plasma, ottenuta spostando il plasma verso regioni a campo magnetico più forte, con conseguente riscaldamento (3 in figura). 15039.mov (QuickTime movie 866KB):
15030.mov (QuickTime movie 1.2MB):
13711.mpg (mpeg movie 280KB):
Sequenze filmate del comportamento del plasma viste dalla telecamera del limiter del Tokamak FTU (dall’Archivio Immagini).

 La configurazione tipo Tokamak è comunque particolarmente stabile e permette  lunghi tempi di confinamento del plasma.

6 – Fusione a confinamento inerziale

Sempre in accordo con la legge di Lawson si è sviluppata  un’ altra linea di ricerca: la fusione a confinamento inerziale, ( Impianto ABC ) che consiste nell’ ottenere in laboratorio una serie di micro-esplosioni bombardando piccolo sferette contenenti una miscela di deuterio-trizio con fasci di luce laser o di particelle, di alta energia. L’ energia elettromagnetica dei fasci laser di alta potenza  (o l’ energia cinetica delle particelle accelerate) è trasferita uniformemente alla superficie della sferetta . La superficie della sferetta evapora  e, secondo il principio di azione e reazione, il combustibile viene compresso e riscaldato. Si realizza così la condizione di altissima densità del plasma anche se per tempi di confinamento molto brevi.

 Apparato di fusione inerziale. 

Altri esperimenti sono allo studio al fine di ottenere reazioni di fusione. Ad esempio: la fusione di deuterio-trizio catalizzata da fasci di  “muoni” (particelle nucleari negative, instabili, di massa uguale a 207 volte quella dell’ elettrone e di vita media di 2,2 microsecondi), che avrebbero la proprietà di ridurre le distanze internucleari e quindi di  favorire la reazione. La fusione catalizzata da muoni non è, per ora, conveniente ai fini di un bilancio energetico positivo, sia per la necessità di produrre queste particelle mediante acceleratori che consumano molta energia, sia perché il muone tende a legarsi al nucleo di elio prima di aver ottenuto un numero di reazioni sufficiente a rendere redditizio il processo.

7 – Combustibili e Risorse

Le reazioni nucleari di interesse per la fusione sono, quindi, quelle che coinvolgono i nuclei più leggeri, cioè i nuclei dell’ idrogeno e dei suoi isotopi.
In particolare, la reazione di interesse più immediato è quella che si verifica tra i nuclei di due forme pesanti dell’ idrogeno, gli isotopi deuterio e trizio (a temperature di 100 milioni di gradi):

deuterio + trizio =  elio4 +  neutrone + 17.5 MeV di energia

Questa reazione è la più facile da realizzare ed è  anche la più efficiente al fine della produzione di energia.
Prodotti della reazione sono l’elio4, isotopo dell’elio, detto anche particella alfa che porta, sotto forma di energia cinetica, 1/5 dell’energia totale prodotta nella reazione (3,5 MeV) e un neutrone che ne porta i 4/5 (14,1 MeV).

Il deuterio è abbondante nell’ acqua di mare (30 g /m3) mentre il trizio, materiale radioattivo con un tempo di dimezzamento di 12.36 anni, non esiste in quantità apprezzabili in natura e deve quindi essere generato.

Nel futuro reattore a fusione i neutroni, che trasportano l’ 80% dell’ energia prodotta, saranno assorbiti in un “mantello”, posto intorno al nocciolo del reattore stesso, contenente litio ( Li ), che si trasforma in trizio ed elio secondo le reazioni:

Li7 +n=He4+T+n* – 2.5 MeV
Li6+n=He4+T+4.86 MeV
(n*= neutrone lento)

Il litio naturale (di composizione 92.5% Li7, 7.5% Li6) abbonda nelle rocce della crosta terrestre (30 parti su un milione per unità di peso) ed è presente, in concentrazione minore, anche negli oceani.
Il “mantello” di litio contribuisce insieme ad altri materiali a moderare i neutroni.

Altre reazioni esoenergetiche sono di interesse per la fusione termonucleare controllata, cioè le reazioni che coinvolgono nuclei di deuterio e di elio.
Esse richiedono condizioni piu’ spinte per il plasma (p. es. temperature molto piu’ elevate di 100 milioni di gradi), e quindi piu’ difficili da realizzare, ma sono sicuramente importanti ai fini del reattore a fusione del futuro piu’ lontano, perche’ evitano o limitano fortemente il flusso di neutroni. Sono i neutroni infatti che rendono radiattivi i materiali che compongono il reattore.

Nella figura “probabilita’ di reazione” significa che il suo valore (per ciascuna delle reazioni di fusione indicate) moltiplicato per le densita’ dei nuclei interagenti da’ il numero di reazioni di fusione per unita’ di tempo e unita’ di volume.










8 – Condizioni per la realizzazione del reattore a fusione

Il cammino per arrivare alla realizzazione del reattore a fusione prevede il raggiungimento di alcuni obbiettivi  fondamentali in sequenza:

il breakeven, in cui l’ energia generata dalla fusione  eguaglia quella immessa dall’ esterno per mantenere il plasma a temperatura termonucleare. Il breakeven dimostra la  fattibilità scientifica del reattore a fusione; l’ ignizione in cui si ha l’ autosostentamento della reazione di fusione, ad opera dei nuclei di elio prodotti; la fattibilità tecnologica quando, il rendimento netto di tutto l’ impianto  è  positivo.

Nel futuro reattore a fusione la reazione dovrà infatti autosostenersi: si suppone cioè che le particelle alfa intrappolate nel volume di plasma cedano ad esso  la loro energia  così da mantenerlo caldo dopo l’iniziale riscaldamento ottenuto con mezzi esterni. I neutroni trasferiscono intanto la loro energia al mantello del reattore, generando il trizio e tramutando energia in calore, utilizzabile per produrre energia elettrica.

L’energia prodotta dalle reazioni di fusione si esplica sotto forma di energia cinetica (calore) dei prodotti della reazione:

  • i neutroni, che trasportano circa l’ 80% dell’energia prodotta, abbandonano il plasma senza interazioni apprezzabili e vengono assorbiti dal “mantello” di litio, posto intorno al nocciolo del reattore e utilizzato per la rigenerazione del trizio. Il mantello di litio deve essere sufficientemente spesso (circa 1 m) per assorbire i neutroni di fusione ( di 14 MeV). Essi vanno quindi a riscaldare un fluido e producono energia elettrica attraverso uno scambiatore di calore;
  • i  nuclei di elio, più pesanti, rimangono intrappolati nel plasma e trasferiscono ad esso la loro energia, ottenendo così l’ autosostentamento della reazione senza ulteriore riscaldamento dall’ esterno.
Questo schema prefigura il futuro reattore termonucleare in cui la potenza liberata nella reazione (energia per unità di tempo) sarà proporzionale alla densità dei nuclei reagenti, alla probabilità che ha la reazione di verificarsi e alla temperatura del plasma.

Storia dei Laboratori della FusioneTermonucleare a Frascati

I Laboratori di Fisica del Plasma, detti anche Laboratori dei Gas Ionizzati, sono nati negli anni ’60 presso i Laboratori Nazionali di Frascati, in cui fin dal 1956, si erano svolte ricerche nel campo della fisica fondamentale o fisica delle alte energie, ricerche che  proseguono ancora oggi  sotto l’egida dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Dal 1976 le attività di ricerca  sulla fusione termonucleare controllata, sempre realizzate  in collaborazione con l’EURATOM e con il CNR, e le ricerche riguardanti le collaborazioni con le industrie, sono proseguite a Frascati nell’ambito dei programmi dell’ENEA.

La fisica del plasma a Frascati: i primi esperimenti

Per un ventennio, i laboratori di fisica del plasma hanno svolto una intensa attività  di studio e ricerca sulla produzione e sulle proprietà  fisiche di plasmi  densi e di breve durata, con l’obiettivo di  stabilirne la possibile  applicabilità alla fusione nucleare controllata quale sorgente di energia pulita. Questa  attività ha portato negli anni ’70 alla realizzazione della macchina prototipo FT (FrascatiTokamak) e quindi alla macchina FTU (Frascati Tokamak Upgrade).

Quattro furono gli esperimenti di fisica del plasma del primo periodo:

  • Mirapi, che produceva  l’implosione di una corteccia cilindrica di plasma verso l’asse di simmetria (Z pinch cavo), mediante la scarica di un banco di condensatori.
    Questo esperimento si trasformò in un “ Plasma Focus “, in cui operando con deuterio  si producevano per reazioni di fusione 1011  neutroni per impulso, una sorgente di neutroni molto potente. Mediante il Plasma Focus era possibile studiare le leggi di scala per la produzione di neutroni in funzione della tensione e della capacità del banco di induttori.
  • Mirapino, in cui si studiava l’efficienza di compressione di un campo magnetico sulla corteccia di plasma.
  • Hot Ice, in cui venivano studiate le proprietà di un plasma denso, irraggiando un cilindretto di deuterio solido mediante intensi fasci di luce laser.
  • Mafin, in cui gli alti campi magnetici, dell’ordine dei megagauss, necessari per ottenere la fusione venivano realizzati mediante implosioni sollecitate da esplosivi convenzionali.

Ulteriori esperimenti furono:

  • Cariddi (un Theta pinch), che permetteva lo studio delle onde d’urto idromagnetiche mettendo in evidenza le onde d’urto oblique e la struttura del fronte d’onda.
  • Macchina Q, che studiava la dinamica delle onde d’urto in un plasma alcalino.
  • TTF (detto “torello”), un piccolo tokamak utilizzato per lo studio del riscaldamento turbolento del plasma in una configurazione toroidale.

A questo insieme di esperimenti si aggiungevano gli studi sulla conversione diretta di energia nucleare in energia elettrica. Il metodo magnetoidrodinamico prevedeva l’uso di un gas nobile e un metallo alcalino a temperatura elevata (2000 Kelvin) e quindi la necessità di acquisire conoscenza del  comportamento dei materiali ad altissime temperature. Obiettivo finale era prevedere realisticamente le prestazioni di convertitori di grandi dimensioni.


Nel 1977 entrò in funzione la macchina FT, Frascati Tokamak, un apparato sperimentale di forma toroidale per lo studio  della fusione termonucleare controllata caratterizzato dalla compattezza, dall’alto valore del campo magnetico (10 Tesla), da corrente elevata e dal particolare metodo di riscaldamento supplementare del plasma mediante onde elettromagnetiche a radiofrequenza.

Parametri del Tokamak FT ( Frascati Tokamak ): campo magnetico 10 Tesla corrente di plasma 1 MA raggio maggiore 0.83 m



Modello di FT.

FTU e’ entrato in operazione nel 1989. FTU si basa sulle stesse caratteristiche di FT, cioe’ macchina compatta ad alto campo magnetico, ma offre una superficie di accesso al plasma molto maggiore di quella su FT, per permettere un sostanziale riscaldamento del plasma, con sistemi di iniezione di potenza a radiofrequenza. Tre sistemi diversi caratterizzati dalla loro frequenza (433 MHz, 8 GHz e 140 Ghz) possono accoppiare al plasma fina a 5 MW di potenza addizionale. In questo modo si pensa di poter aumentare la temperatura del plasma ad alta densita’ fino a valori di 50-100 milioni di gradi.

Parametri del Tokamak
FTU
( Frascati Tokamak Upgrade):

campo magnetico 8 Tesla corrente di plasma 1.6 MA raggio maggiore 0.92 m









Vista dall’alto del Tokamak
FTU

Piccolo Album Storico

Frammento quasi “archeologico”
del progetto del primo “toro” inglese.
1960  
Mafin ExperimentPlasma FocusHot Ice ExperimentBrunelli 1965Brunelli 1968
19701980
ABC LaserFT TokamakFTU Tokamak
1990
RFX ExperimentFTU Radio FrequencyITER Divertor 

click to enlarge images

Frascati Tokamak Upgrade multimedia

photo albums – films – virtual tours

Photo Album title FTU repertoire Working on FTU FTU Remote Handling FTU Radio Frequency Heating FTU Control Room at workVideo Clip title type FTU in 1 minuto (in italiano) mpeg1 (12MB) FTU in 1 minute (in english) mpeg1 (12MB) FTU in 1 minute (in french) mpeg1 (12MB) Example 1 of Plasma pulse QuickTime (866KB) Example 2 of Plasma pulse QuickTime (1.2MB)

La Fusione in Europa e nel mondo

Il programma di fisica della Fusione è condotto in Europa in modo coordinato dall’insieme degli Istituti nazionali associati con l’ EURATOM, le Associazioni, attraverso lo sfruttamento delle varie macchine sperimentali e del tokamak europeo JET (Joint European Torus) operante a Culham (GB). In Europa e nel mondo sono in funzione molte macchine sperimentali più piccole del JET e specializzate in vari aspetti dello studio della Fusione: per esempio FTU, al Centro Ricerche Frascati dell’ ENEA, è una di queste. Tramite l’ European Fusion Development Agreement (EFDA), sono coordinate le attività di ricerca e sviluppo tecnologico, il funzionamento del tokamak europeo JET e il contributo alle collaborazioni internazionali. Il JET è la macchina per la fusione più grande al mondo (raggio maggiore 3 m, raggio minore 1.2 m). Nel 1997 ha raggiunto le migliori prestazioni producendo 16 MW di potenza di fusione (65% della potenza assorbita), 21 MJ di energia, operando con un plasma di deuterio-trizio e sperimentando alcune tecnologie necessarie per il funzionamento del reattore a fusione.
Il JET ha confermato la fisica e le leggi di scala in regimi di plasma vicini a quelli che saranno realizzati nel prossimo reattore sperimentale ITER. L’ Unione Europea, il Giappone , gli Stati Uniti e la Russia, integrando le rispettive esperienze sulla fusione e sui tokamak in particolare, stanno collaborando alla progettazione di ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), la cui missione sarà quella di dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione come fonte di energia. ITER avrà dimensioni lineari doppie rispetto al JET e produrrà 500 MW di potenza di fusione per tempi di circa 15-30 minuti, utilizzando in maniera integrata e testando tutti i componenti chiave per il funzionamento del reattore a fusione. La decisione di costruire ITER è attualmente all’analisi dei partner, a cui si sono aggiunti la Cina, e la Corea con dichiarazioni di interesse. Quattro sono i paesi che si sono candidati ad ospitare la macchina, di cui due europei (Canada, Francia, Spagna e Giappone). Considerando che la costruzione di ITER richiederà 10 anni, il primo plasma potrebbe essere realizzato nel 2015.

 
 

La Fusione in Italia

L’ Italia è fortemente impegnata nelle ricerche sulla fusione a livello europeo ed internazionale sia nel campo della fisica che nel campo della tecnologia. Le attività vengono svolte dall’ Associazione ENEA-EURATOM che, oltre all’ EURATOM e alla UTS Fusione dell’ ENEA, comprende: l’Istituto di Fisica del Plasma del CNR (Milano), il Consorzio RFX (CNR-Padova), dove è attiva la macchina di tipo Reversed Field Pinch RFX, Istituti Universitari quali il Politecnico di Torino, l’ Università di Catania e il Consorzio UniversitarioCREATE (Consorzio di Ricerca per l’Energia e le Applicazioni Tecnologiche dell’Elettromagnetismo). Le attività sono svolte in collaborazione con un gran numero di Istituti Universitari e laboratori di Enti di Ricerca italiani e stranieri. Esse riguardano: ricerche condotte in Italia presso le macchine FTU e RFX, attivita’ di ricerca presso il tokamak europeo JET (Joint European Torus), il piu’ grande tokamak esistente al mondo, la progettazione della macchina IGNITOR. Infine, l’Italia e’ fortemente impegnata nella attività di progettazione e di R&S per ITER. Parallelamente alle attività delle istituzioni di ricerca, numerose industrie italiane sono coinvolte nella realizzazione di componenti ed impianti nonché nello sviluppo tecnologico richiesto per la realizzazione del reattore a fusione. Le attività italiane sono perfettamente inserite nello scenario europeo e l’ Italia ha largamente contribuito nel campo della fisica e della tecnologia allo sforzo comune, sia in termini qualitativi che quantitativi. 
 

LINKS

La ricerca sulla fusione nucleare viene svolta a livello internazionale ed è sempre stata caratterizzata da un’ampia collaborazione tra i vari istituti che nel mondo si dedicano ad essa. Qui sotto potete trovare una selezione di siti web dei maggiori istituti di ricerca sulla fusione, contenenti informazioni sulle relative attività di ricerca. Se il vostro sito non è incluso, oppure l’indirizzo è sbagliato, per favore informateci.

In EuropaENEA, the Italian National Agency for New Technology, Energy and the Environment. — FUSIONE at ENEA. — Frascati Tokamak Upgrade (FTU official site), at ENEA Frascati. — FTU OnLine (Operation & Physics), at ENEA Frascati. — EURATOM: Nuclear Fusion EnergyEURATOM AssociationsEFDA European Fusion Development Agreement — Joint European Torus (EFDA-JET)The European Commission, DG-Research Fusion pages. — Imperial College, London University, Plasma Physics Group. — UMIST Plasma Physics Group. — Max Planck Institute for Plasma Physics (IPP), Garching, Germany. — European Fusion Development Agreement (EFDA), Close Support Unit, Garching, Germany. — UKAEA Fusion at Culham — KFA-Juelich, Germany, including energy research. — FZK Karlsruhe, Germany – Nuclear Fusion Project. — Department of Physics- University of GreifswaldAlfven Laboratory Division of Plasma Physics, Sweden. — Chalmers University of Technology, Gothenburg, Sweden. — Centro de Fusao Nuclear, Portugal. — CIEMAT, Spain – see also Vandellos as a European site for ITER.CEA Cadarache, France – see also Cadarache as a European site for ITER.Association Euratom – Risø National Laboratory, Denmark. — FOM-Institute for Plasma Physics, Netherlands. — CRPP, the Plasma Physics Research Center of Switzerland — Ecole Royale Militaire – Plasma Physics School — Université Libre de Bruxelles – Statistics and Plasma PhysicsInstitute of Plasma Physics – Prague — TEKES – Technology Development Centre, Finland
  Nel MondoITER   USAFIRE – Fusion Ignition Research ExperimentVirtual Laboratory for Technology for Fusion Energy ScienceThe ARIES Programme. — Directory of US fusion facilities and personnel.. — Los Alamos National Laboratory and the Fusion System Studies. Also studies of Inertial Confinement Fusion. — Idaho National Engineering and Environmental Laboratory (INEEL) Fusion Safety Program. — US Fusion Energy Sciences Programme. — Princeton Plasma Physics Laboratory (PPPL), and the PPPL Fusion Education site. — Massachusetts Institute of Technology (MIT) Plasma Science and Fusion Centre. — University of California San Diego (UCSD) Fusion Energy Research Program. — Argonne National Laboratory and the ANL Fusion Power Program. — General Atomics (Fusion Group) and the GA Educational Site on Fusion Energy. — Fusion Power AssociatesLawrence Livermore National Laboratory (Inertial Fusion Research) and the National Ignition Facility (NIF). — Oak Ridge National Laboratory (ORNL), Fusion Energy Division. — University of California, Irvine (UCI) Fusion Energy Program.
  GiapponeJapan Atomic Energy Research Institute (JAERI), the Fusion Research program and the JT-60U project. — National Institute for Fusion Science (NIFS) and the Large Helical Device (LHD) project. — Kyoto University Plasma Physics Laboratory.   Russia — Kurchatov Research Center / Institute of Nuclear Fusion, 1, Kurchatov Sq., Moscow, 123182, Russia. — Troitsk Institute of Innovative and Thermonuclear Research (TRINITI  AltroveITER Canada Fusion Energy Inc. — University of Saskatchewan Plasma Physics LaboratoryWeizmann Institute of Science (WIS), Israel, with the comprehensive Plasma on the Internet page. — Australian Fusion Research Group
  Altri siti utiliNuclear Fusion, an international journal published monthly by IAEA. — Planet Science, the site of New Scientist, the weekly science and technology magazine, with the Hotspots listing of key scientific Web sites (including this one).

Il progetto internazionale ITER

L’Unione Europea, il Giappone , gli Stati Uniti e la Russia, integrando le rispettive esperienze sulla fusione e sui tokamak in particolare, collaborano dal 1988 alla progettazione del reattore sperimentale ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), la cui missione sarà quella di dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione come fonte di energia.   ITER ha dimensioni lineari doppie rispetto al JET e produrrà 500 MW di potenza di fusione per tempi di circa 15-30 minuti, utilizzando e provando in maniera integrata tutti i componenti chiave per il funzionamento del reattore a fusione.
modello di ITER
Gli elementi di base della fisica di ITER sono stati dimostrati con successo negli esperimenti già effettuati su un ampio intervallo dei parametri del plasma, i regimi di plasma di ITER richiedono una ragionevole estrapolazione di tali parametri. La realizzazione della macchina ITER, e in particolare di alcuni componenti chiave, ha richiesto la messa a punto di tecnologie innovative, la cui fattibilità è stata dimostrata con la costruzione di prototipi nel corso delle attività di R&D condotte negli ultimi dieci anni.

L’ENEA – UTS Fusione ha partecipato e partecipa alla progettazione di ITER attraverso EFDA, dando sostanziali contributi nei campi della superconduttività, dei componenti interfacciati al plasma, della neutronica, della sicurezza, del remote handling e della fisica.

Energia. C’è nucleare e nucleare  –  01/04/2004

Energia. C’è nucleare e nucleare
Vogliamo qui parlare di una forma di produzione di energia che, pur essendo di origine nucleare, è completamente diversa da quella che alimenta le centrali nucleari convenzionali. Si tratta della fusione nucleare controllata, un metodo alternativo di produrre energia dall’atomo che secondo molti potrebbe costituire in futuro la soluzione ai problemi energetici dell’umanità. Vediamo di capire di cosa si tratta, e quali siano lo stato di sviluppo e le reali possibilità di questa tecnologia.

La fusione nucleare è il processo che consente al Sole e alle altre stelle di “bruciare”, e dunque di produrre energia. Essa è quindi il fenomeno da cui trae sostentamento la vita sulla Terra, e che alimenta anche le cosiddette fonti di energia rinnovabili (solare, eolico, ecc.). Nonostante la somiglianza dei nomi, che può essere all’origine di confusione, è un processo molto diverso dalla cosiddetta “fissione nucleare”, che è quello che alimenta le centrali nucleari convenzionali. Mentre la fissione prevede la divisione di nuclei atomici pesanti (uranio o plutonio) in nuclei più leggeri (ricordiamo che il nucleo è la parte centrale dell’atomo, attorno al quale orbitano gli elettroni), la fusione prevede che nuclei leggeri (simili a quello dell’idrogeno) si fondano assieme, creando nuclei più pesanti e generando energia. In sostanza, mentre nelle centrali nucleari convenzionali si produce energia frantumando gli atomi, la fusione prevede di “appiccicare insieme” atomi differenti.

Per dare origine alle reazioni di fusione occorre far avvicinare i nuclei a distanze molto piccole, cosa a cui essi si oppongono fieramente a causa della loro carica elettrica. Mentre sul Sole ciò si verifica grazie alla grande massa del Sole stesso, che comprime gli atomi gli uni contro gli altri come i passeggeri di un autobus sovraffollato, per realizzare questo processo in maniera controllata in laboratorio sono state identificate due possibili strade: il confinamento inerziale e il confinamento magnetico. A queste si affianca la cosiddetta “fusione fredda”, che molto clamore ha suscitato alla fine degli anni ’80, ma che successivamente è diventata una sorta di argomento tabù per la comunità scientifica (e della quale qui non parleremo).

Dei due metodi citati, il confinamento inerziale prevede di bombardare una pallina di combustibile solido per mezzo di potentissimi laser, causandone la compressione e l’innesco delle reazioni di fusione. In sostanza, si tenta di schiacciare in maniera molto rapida il combustibile. Questa strada è perseguita soprattutto negli Stati Uniti, ed è caratterizzata dal fatto che la ricerca in merito presenta forti contiguità con la ricerca militare, in quanto gli apparati sperimentali adoperati sono anche utilizzati per la simulazione di esplosioni di ordigni nucleari. Anche di questa via non parleremo qui ulteriormente.

Viceversa, vogliamo approfondire le prospettive della seconda metodologia, il confinamento magnetico, che è quella perseguita in Europa (ma anche in altri paesi, inclusi gli USA), attraverso un programma di ricerca parzialmente finanziato dalla UE che è uno dei maggiori esempi di integrazione europea nel settore della ricerca scientifica.

Il confinamento magnetico prevede il riscaldamento del combustibile, che si trova allo stato di gas, a temperature estremamente elevate (circa 100 milioni di gradi). In queste condizioni estreme, gli elettroni si staccano dagli atomi, e il gas assume uno stato particolare, chiamato plasma (o gas ionizzato). Il problema è tenere questo gas “confinato”, cioè mantenerlo separato dalle pareti del contenitore, che altrimenti si scalderebbe tanto da fondersi.. Per fare questo si adoperano potenti campi magnetici. Il macchinario in cui si realizza questo procedimento si chiama “tokamak”, un acronimo russo derivante dal fatto che il dispositivo è stato inventato negli anni ’50 in Unione Sovietica.

Il tokamak è un dispositivo a forma di ciambella, costituito da una camera in cui viene contenuto il plasma, da grandi avvolgimenti che, percorsi da corrente elettrica, generano il campo magnetico, e da apparati per il riscaldamento del plasma stesso, che viene realizzato sia facendovi passare correnti elettriche (come avviene in una stufetta elettrica) che per mezzo di fasci di particelle e di microonde (come negli omonimi forni).

Attraverso la costruzione di tokamak sempre più grandi e perfezionati, la ricerca sulla fusione controllata ha fatto costanti progressi dagli anni ’50 a oggi. I più grandi tokamak esistenti al mondo, costruiti negli anni ’80 in Europa (la macchina JET, sita presso Oxford), negli USA e in Giappone, hanno consentito di avvicinarsi al “pareggio” tra l’energia usata per far funzionare l’impianto e quella prodotta.

Il passo successivo sarebbe quello di costruire una macchina abbastanza grande da produrre una quantità di energia sostanzialmente maggiore di quella consumata, come ci si aspetta da ogni fonte di energia degna di questo nome. Mentre esiste un discreto accordo (anche se non unanime) tra i ricercatori su come procedere, ed è stato anche redatto un progetto, la quantità di risorse necessaria ha dissuaso i singoli stati dall’imbarcarsi in questa impresa. Viceversa, è stato raggiunto un consenso sul fatto che questo progetto, denominato ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), dovrà essere realizzato sotto forma di collaborazione internazionale.

Purtroppo, il raggiungimento di un accordo in materia si è dimostrato difficile. In particolare nel 1998, quando il progetto era praticamente pronto, gli USA si sono ritirati, e questo ha portato a un sostanziale congelamento delle attività. L’anno scorso gli Stati Uniti hanno cambiato idea, e questo ha portato nuovo impulso. Attualmente si stanno svolgendo dei negoziati tra i partecipanti all’impresa, cioè Europa, USA, Giappone, Russia, Cina e Corea del Sud, per suddividere i costi e decidere i dettagli “politici”, primo fra tutti la localizzazione del sito dell’esperimento. La scelta tra i due candidati, Cadarache nel sud della Francia e Rokkasho in Giappone, si sta rivelando non facile, non per ragioni tecniche ma per rivalità politiche, alle quali hanno contribuito le recenti vicende della guerra irachena e i conseguenti contrasti tra la Francia e gli USA (che difatti appoggiano il sito giapponese). E’ da notare comunque che il costo totale del progetto, che è di 4,7 miliardi di Euro, pur nella sua rilevanza ammonta ad appena lo 0,5% delle spese militari mondiali annuali.

Ma quali sono le prospettive di questa tecnologia? Iniziamo col dire che si prevedono tempi molto lunghi perché sia effettivamente possibile immettere in rete elettricità prodotta da centrali a fusione. La sola costruzione di ITER, una volta che siano risolti i problemi negoziali, durerà 8 anni, a cui faranno seguito 10 anni di sperimentazione. Di seguito dovrebbe essere possibile costruire un vero reattore dimostrativo, al quale seguiranno le centrali commerciali. Complessivamente, sembra molto difficile che si arrivi a uno sfruttamento commerciale della fusione prima dell’anno 2040. Va notato che i problemi legati al progressivo esaurimento delle riserve di petrolio e metano e al cambiamento climatico indotto dall’uso di questi combustibili si manifesteranno ben prima.

Qualche parola sull’importante tema della sicurezza. Va subito detto che le centrali a fusione saranno intrinsecamente sicure, cioè non presenteranno rischi di perdita di controllo della reazione e di conseguenti esplosioni, come si è ad esempio verificato nell’incidente di Chernobyl. I due principali rischi sono legati all’utilizzo nell’impianto di trizio, un gas simile all’idrogeno ma radioattivo e alla produzione di scorie radioattive. Per il primo problema, va detto che il trizio verrà prodotto nell’impianto stesso, senza dover essere trasportato, e in quantità tali da rendere le conseguenze di una sua eventuale dispersione nell’ambiente comunque limitate. Per quanto riguarda le scorie, si tratterà di rifiuti di tipo diverso da quelli delle centrali nucleari convenzionali. Si prevede che tali scorie, opportunamente immagazzinate, diventeranno inerti nel giro di un secolo. Si tratta di un tempo certamente lungo, ma ancora gestibile, al contrario di ciò che si verifica per i tempi di decine di migliaia di anni necessari per le scorie delle centrali convenzionali. In queste considerazioni non va sottovalutato il fatto che una singola centrale a fusione sarà in grado di produrre la stessa quantità di energia elettrica di 3000 grandi turbine eoliche o di un milione di tetti fotovoltaici.

In definitiva, la fusione si presenta come una tecnologia non del tutto priva di problemi ambientali, ma che appare necessario sviluppare, in considerazione del fatto che il problema energetico e quello ambientale ad esso legato si fanno sempre più pressanti, e che comunque nessuna fonte energetica è del tutto esente da problemi. In questo senso, sembra opportuno che i vari paesi coinvolti nel progetto ITER rompano gli indugi e arrivino in tempi rapidi ad iniziare la costruzione dell’esperimento. Lo sviluppo di questa nuova forma di energia, visti anche i tempi lunghi in gioco, non può comunque costituire un alibi per evitare di affrontare il problema della riduzione dei consumi e della limitazione di una crescita economica sperequata e insostenbile.

[Emilio Martines, ricercatore CNR, Redazione Cunegonda Italia]

http://www.ph.unito.it/~maina/didattica/SIS/rel2000/basilicata/

Un po’ di storia

La prima fusione nucleare artificiale fu realizzata all’inizio degli anni Trenta, mediante il bombardamento di un bersaglio di deuterio, con nuclei di deuterio ad alta energia accelerati da un ciclotrone; ma, poiché era richiesta molta energia per accelerare i nuclei, l’energia prodotta fu molto meno di quella consumata. Un rilascio di energia positivo fu ottenuto per la prima volta negli anni Cinquanta, con le sperimentazioni sulle armi nucleari da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia. Stiamo parlando dell’esplosione termonucleare della cosiddetta bomba H (la prima avvenne nel 1952 nell’Oceano Pacifico), in cui la temperatura necessaria per innescare la reazione di fusione nella miscela deuterio e tritio, è stata fornita dall’esplosione di una bomba a fissione (essa funge, per così dire, da miccia). Le bombe all’idrogeno possono diventare delle armi dal potenziale distruttivo di proporzioni astronomiche.

Vi sono delle reazioni di fusione che avvengono in natura: esse sono reazioni termonucleari cioè prevedono una temperatura di innesco di 10 milioni di gradi kelvin. La reazione termonucleare più comune è la fusione di atomi di idrogeno in atomi di elio. Da 5 miliardi di anni il Sole ogni secondo trasforma in energia 4 miliardi di tonnellate di idrogeno ed il processo è così “economico” che la nostra stella continuerà a brillare almeno per altri 5 miliardi di anni.

Nel 1938 H.A. Bethe studiò la catena dell’idrogeno e il ciclo del carbonio, due cicli di reazione che portano, a partire dall’idrogeno, la sintesi dell’elio. Nella prima reazione, attraverso una successione di fasi intermedi, si perviene alla formazione di un nucleo di elio (particella a), di due nuclei di idrogeno, di un positrone, di un neutrino e di un certo numero di fotoni con uno sviluppo di energia pari a 26 MeV. Nel ciclo di carbonio, pur interessando nella reazione il carbonio, l’azoto e l’ossigeno, in definitiva l’idrogeno si trasforma in elio producendo due positroni, due neutrini e un numero elevato di fotoni. 

Seconda lezione(2 ore)

Vediamo ora i due metodi più perseguiti che consentono di provocare reazioni di fusione per produrre energia.

I due maggiori problemi tecnici della realizzazione della fusione nucleare su larga scala sono il riscaldamento del gas ad altissima temperatura, e il “confinamento” dei nuclei reagenti (parola chiave che verrà poi ripresa quando si parlerà dei reattori nel dettaglio). Per temperature superiori ai 100.000 °C, gli atomi di idrogeno sono completamente ionizzati. Ma come mantenere l’idrogeno alla temperatura di decine di milioni di gradi? Quale contenitore può reggere ad una prova così devastante?

Il gas reagente si trova nello stato della materia detto plasma, che consiste in una miscela di cariche libere positive e negative (ioni ‘nudi’ ed elettroni liberi), complessivamente neutra. Perché il processo sia efficiente è necessario confinare il plasma entro uno spazio ridotto, in modo da aumentare il più possibile il numero degli eventi di fusione. Per confinare il plasma si possono usare due tecniche.

Il confinamento  magnetico si basa sulla reazione deuterio-trizio; il plasma è racchiuso in un reattore a forma di ciambella e isolato da un fortissimo campo magnetico. Anche se non vengono prodotte scorie radioattive, nel reattore c’è radioattività, per l’emissione di neutroni.

Il confinamento inerziale si basa sulla reazione deuterio-trizio. Si ottiene colpendo delle piccole masse di deuterio e tritio con dei raggi X che produrrebbero delle piccole esplosioni di fusione.

Reattore a confinamento magnetico

Abbiamo già detto che nel reattore a confinamento magnetico la materia è trasformata in plasma; possiamo  trovare questo stato della materia anche in natura: nelle stelle, nel vento solare, nella ionosfera terrestre, nei fulmini e nelle aurore boreali.

Come si produce il plasma dalla miscela di deuterio e tritio?

La transizione da gas a plasma si  ottiene per riscaldamento o per il  passaggio di una  corrente elettrica, questi metodi  forniscono l’energia necessaria per ionizzare gli atomi cioè per strappare loro degli elettroni.

E’ a  partire dalla fine della seconda guerra mondiale, che si cerca di realizzare un plasma simile a quello della parte centrale delle stelle e del sole, ma per affermarsi ci vorranno ancora alcuni decenni.

Il plasma viene portato ad una temperatura dell’ordine di 100 milioni di gradi, gli ioni positivi di deuterio e tritio, che tendono a respingersi, acquistano un energia cinetica (dovuta all’agitazione termica) che fa superare la repulsione, avviene dunque la fusione. Alcuni neutroni prodotti dalla reazione vengono riutilizzati per produrre tritio, nella reazione:

n + 3Li6 = 2He4 + 1H3

oppure

n + 3Li7 = 2He4 + 1H3 + n

Si può chiedere ai ragazzi, che già conoscono il processo di fissione, di che tipo di reazione si sta parlando.

Per avviare la reazione di fusione all’interno del reattore a confinamento magnetico, cioè raggiungere l’ignizione è necessaria una grande quantità di energia ed, inoltre, per il mantenimento della reazione, deve permanere un delicato equilibrio tra energia prodotta ed energia  perduta (energia che sfugge dal plasma per conduzione, convezione e irraggiamento). Il periodo di tempo necessario affinchè si stabiliscano le condizioni di temperatura opportune, si chiama tempo di confinamento.

Un tipo di reattore a confinamento magnetico  ideato e sviluppato da un gruppo di Mosca, guidato da L.A. Artsimovitch, è il Tokamak.

In seguito ai successi degli esperimenti condotti in diversi laboratori con piccoli tokamak, all’inizio degli anni Ottanta ne vennero costruiti due di grandi dimensioni, di cui uno all’università di Princeton, negli Stati Uniti, e l’altro nell’ex Unione Sovietica.

Il plasma viene confinato in una regione toroidale e rimane tenuto ‘sospeso’ mediante la sovrapposizione di tre campi magnetici; essi funzionano in modo da riportare  nella regione di confinamento quegli ioni che tendono a sfuggirvi (da qui deriva il nome di reattore a ‘confinamento magnetico’). Grazie a quale forza? Questa domanda si rivolgerà direttamente ai ragazzi.

E’ la forza di Lorentz che il campo magnetico esercita sugli ioni e gli elettroni, in modo che il plasma rimanga confinato, evitando che si raffreddi a contatto con le pareti del reattore nucleare.

 E’ interessante il fatto che uno di questi campi magnetici è generato da una forte corrente circolare di circa 1 milione di A, che attravera il plasma stesso; inoltre esso provoca  il riscaldamento del plasma e quindi lo porta ad avvicinarlo alle condizioni di fusione.

Anche qui si fa ricordare ai ragazzi il legame tra corrente elettrica e campo magnetico ed effetto Joule.

 Se osserviamo lo schema del reattore tokamak vediamo che nella parte centrale vi è il plasma in cui avvengono le reazioni di fusione e intorno vi è il litio, utile per la produzione del trizio. L’elio prodotto dalla reazione nucleare è raccolto all’esterno del reattore. L’enorme energia prodotta dalla reazione di fusione, che si manifesta sottoforma di calore, è portata via dall’acqua, come accade in un reattore a fissione, per produrre energia elettrica.

A Culham, in Inghilterra, è stato ideato e costruito il reattore JET(Join European Teams): al suo interno sono stati raggiunti i 200 milioni di gradi e si è ottenuta, per un solo secondo, la produzione di una potenza di 10 MW capace di dare il 60% dell’energia impiegata per riscaldare il plasma.

Per avere interesse dal punto di vista pratico un reattore dovrebbe fornire almeno l’energia spesa per farlo funzionare, (cioè per scaldare il plasma ecc.)

Terza lezione (2 ore)

Reattore a confinamento inerziale

Un reattore a confinamento  inerziale, capiremo poi perchè si chiama proprio così,  è composto principalmente da quattro parti: un sistema di acceleratori che producono i pacchetti di ioni, le capsule di deuterio e trizio in cui avvengono le reazioni di fusione, la camera di fusione che assorbe i neutroni (raffreddata opportunamente produce vapore ad alta temperatura) ed infine le turbine che producono elettricità.

La reazione di fusione avviene in un volume di meno di un mm3, la miscela di deuterio e tritio è portata ad una densità molto superiore rispetto a quella di un solido ordinario (il ghiaccio di deuterio-trizio viene racchiuso in una ‘pallina’ di berillio e altri materiali più pesanti).

Vediamo come avviene la reazione di fusione: due pacchetti di ioni pesanti (ad esempio ioni di piombo) vengono accelerati a 10 GeV di energia dal sistema di acceleratori ed inviati contemporaneamente sui convertitori, fatti di berillio. Gli ioni, frenati dall’interazione con gli atomi di berillio, si fermano nel convertitore. Qui accade che il 15% di energia dissipata dagli ioni nel berillio si trasforma in raggi X che fanno rapidissimamente evaporare la capsula sferica che contiene il ghiaccio di deuterio e trizio; se la potenza dei raggi X è alta, la compressione della capsula (il suo diametro varia da 1mm a 0.1 mm e la sua densità aumenta più di 1000 volte!) fa avvenire la fusione.  

I raggi X colpiscono la capsula in tutte le direzioni per qualche nanosecondo; a causa del bombardamento i molti atomi si allontanano con energia elevata e per il principio di azione e reazione spingono verso l’interno della capsula altri atomi adiacenti. Il processo è così veloce che gli atomi di deuterio e trizio, per il principio di inerzia, continuano a muoversi uno contro l’altro, fino ad urtarsi (gli atomi, pur avvicinandosi, è come se non avessero il tempo di sentire la forza di repulsione colombiana e quindi di allontanarsi).

 Dalla fusione di una parte della capsula si ottengono circa 200 MJ di energia per capsula, molto di più rispetto a quella trasportata dai pacchetti di ioni.

Facciamo i conti

Nel reattore a confinamento inerziale, inizialmente abbiamo 105 ioni per ogni pacchetto, il quale porta 10 GeV di energia, di conseguenza l’energia trasportata è

E=105 x 1010 eV x 1,6 x 10-19 J/eV = 1,6 MJ

Entrambi i pacchetti di ioni trasportano 3.2 MJ di energia. Come abbiamo detto prima, essa viene loro fornita da un sistema di acceleratori che hanno un efficienza del 10%, perciò per accelerare gli ioni vengono spesi circa 10 MJ di energia (10 MJ=3.2 MJ x 100/30).

Ogni capsula produce 200 MJ di energia; il calore trasportato via da un circuito di raffreddamento si trasforma in energia elettrica con efficienza del 35%, di conseguenza l’energia utilizzabile sarà

200 MJ x 35% = 70 MJ

di cui 10 MJ si riutilizzeranno all’interno del reattore per accelerare gli ioni, l’energia rimanente di 60MJ  verrà immessa in rete.

Normalmente un reattore a confinamento inerziale potrebbe utilizzare 10 capsule al secondo (disposte con distanze ben precise nella camera a fusione, il cui diametro è di una decina di metri) e produrre 600 MW elettrici.

Ricordiamo che per avere interesse dal punto di vista pratico, un reattore a fusione dovrebbe fornire almeno l’energia spesa per farlo funzionare, quindi gli sforzi degli scienziati sono concentrati sul miglioramento dell’efficienza dei reattori.

Solo nel 2010 gli studiosi prevedono di poter dire se un reattore a confinamento inerziale è industrialmente vantaggioso.

Una differenza importante tra i due tipi di reattori visti è che mentre un reattore a confinamento magnetico produce continuamente energia come una caldaia che brucia petrolio, un reattore a confinamento inerziale produce energia di tanto in tanto, solo quando una capsula fonde, come accade in un motore a scoppio, i cui pistoni sono spinti quando scocca la scintilla.

L’utilizzo di metafore e paragoni all’interno di una lezione aiuta moltissimo i ragazzi a comprendere e memorizzare i concetti importanti.

Bibliografia utilizzata

-P.Caldirola, G.Casati, F.Tealdi, ‘Nuovo corso di Fisica’ per i licei scientifici, Ghisetti e Corvi, vol.3.

-U.Amaldi, ‘Immagini della Fisica’,Zanichelli.

-A.Caforio, A.Ferilli, ‘Physica’ per i licei scientifici, Le Monnier, vol.3.

-Dispense e appunti del prof. Maina.



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