ENRICO FERMI E LA RINASCITA DELLA FISICA IN ITALIA 

Roberto Renzetti

(Con due estese note sul brevetto dei neutroni lenti e su Bruno Pontecorvo di Simone Turchetti)

PREMESSA

            È ormai noto che dal momento della distruzione della fisica italiana operata dalla Chiesa di Roma a partire dalla condanna di Galileo nel 1633, il baricentro della ricerca scientifica, prima solidamente situato in Italia, si sposta nel Nord Europa. Qualche allievo di Galileo produrrà ancora qualcosa (es. Torricelli), ma piano piano tutto si spegnerà. Resteranno: la ricerca in matematica (non ha mai fatto paura a nessuno, è un ‘gioco’ che risponde solo a se stesso, una invenzione della mente che non deve avere nulla a che fare con il mondo reale); le ricerche in botanica ed in geologia (classificare e descrivere sono anch’esse operazioni inoffensive). Naturalmente nei circa 300 anni che separano quell’evento disastroso dal secolo XX, vi sono stati bravi ricercatori. Scienziati di fama (come Mossotti, Bartoli, Amici, Nobili, …)e alcuni di grande fama (Volta, Avogadro, Cannizzaro). Ma l’aspetto deprimente è stata l’impossibilità di ricostruire una scuola di fisica, un insieme di persone connesse in un contesto in cui le conoscenze si costruissero, consolidasserro, tramandassero in un ambiente che ne garantisse continuità. In altre occasioni ho avuto modo di dire che, se da una parte basta poco a distruggere una Scuola, la sua costruzione può richiedere anche centinaia d’anni. Ed in questa ottica, con tutta l’enfasi necessaria, occorre guardare all’insieme di concause che hanno permesso la rinascita di una Scuola di fisica in Italia nel primo quarto del XX secolo, Scuola che non è stata un fuoco di paglia e che, a 75 anni di distanza, possiamo guardare come forte, consolidata, in grado di produrre dei Nobel e di proiettarci ai vertici della ricerca mondiale. Tutto questo inizia da Fermi che nasceva, appunto 100 anni fa.

            Queste note vogliono rendere omaggio a questo grande italiano che, come Galileo, è diventato patrimonio dell’umanità e che a noi italiani ha reso un servizio immenso.

            Per capire, almeno nei suoi tratti fondamentali, il “fenomeno” Fermi e la sua Scuola, occorre capire cosa accadeva nel mondo della fisica verso la fine del secolo XIX ed all’alba del XX. Farò quindi un breve sunto per punti delle ricerche che, soprattutto in Europa (gli Stati Uniti non avevano alcun peso scientifico all’epoca), si portavano avanti. Tenterò poi, sempre per punti, la ricostruzione dell’ambiente socio – politico – scientifico italiano, al fine di cogliere gli elementi di novità. Seguirà una biografia scientifica di Fermi che tenterà di cogliere gli aspetti salienti del suo lavoro e della sua capacità organizzativa. Finirò con una bibliografia che riporterà i testi in cui gli argomenti da me solo accennati sono trattati in modo completo ed approfondito.

LA FISICA SUL FINIRE DEL XIX ED AGLI INIZI DEL XX SECOLO

            In estrema sintesi la situazione della fisica si presentava nei seguenti termini. Innanzitutto vi erano tre Paesi che avevano in mano gran parte della ricerca di punta. La Gran Bretagna era certamente la prima potenza scientifica per la quantità e la qualità dei lavori prodotti. La Germania veniva emergendo possente a partire dal momento della sua unità (1870) sostenuta anche da una importantissima eredità degli stati preunitari (anche se brevissimamente, occorre dire che fu la politica scolastica che da una parte permise alla Germania di crescere a fronte del declino sempre maggiore della Gran Bretagna: nel primo Paese la scuola divenne pubblica e sostenuta da una importantissima politica di borse di studio, mentre nel secondo era, come è ancora, affidata a College in gran parte privati che selezionano a priori in base al censo). La Francia, che pure aveva rappresentato dei momenti fondamentali nella ricerca (soprattutto durante e dopo la Rivoluzione che aveva dato vita a quelle Scuole Politecniche che ancora oggi sono un vanto per quel Paese), andava perdendo palesemente terreno. A questi Paesi ne vanno aggiunti altri. L’Austria-Ungheria aveva costruito una fecondissima scuola di fisica. L’Olanda, la Svezia, la Danimarca avevano sempre tenuto alto il livello della loro ricerca. Anche la Russia aveva una importante tradizione iniziata dalla illuminata Caterina. Mancavano e mancano certamente all’appello Spagna e Portogallo, i due Paesi in cui l’oppressione della Chiesa di Roma fu più forte (ma su questo tornerò quando parlerò dell’Italia).

            La ricerca abbarcava tutti i più svariati campi, ma era centrata in problematiche che avevano portato a maturazione questioni cruciali.

            L’elettromagnetismo (si vedano gli articoli su Faraday, Maxwell ed Hertz) era ad un punto fondamentale di maturazione. Tra l’altro l’ottica, che sembrava un capitolo chiuso su se stesso, ritrovò nuovo impulso dalla teoria di Maxwell (luce come fenomeno elettromagnetico). Particolarmente era restato aperto il problema che lo stesso Maxwell aveva individuato nella sua lettera a Todd pubblicata postuma: la necessità di evidenziare la presenza del supposto etere che doveva, nella teoria, essere “sostegno” delle onde elettromagnetiche; ciò sarebbe dovuto avvenire mediante esperienze che misurassero la velocità della luce su un tragitto andata e ritorno sulla Terra (in un caso il moto si sarebbe sommato a quello dell’etere, nell’altro sottratto, con il risultato che la velocità in oggetto avrebbe dovuto dare risultati diversi, di pochissimo, ma diversi). Su questa importante branca della fisica certamente i più grandi contributi venivano dalla Gran Bretagna e dalla Germania (anche l’Olanda si era innestata con i lavori di Lorentz, l’Austria-Ungheria con Doppler e Mach, la Francia con Poincaré). Sul finire del secolo XIX fa anche la sua comparsa la fisica degli USA (precedentemente rappresentata dai soli lavori di Franklin ed Henry). Il guardiamarina Michelson si recò a studiare a Berlino e lì realizzò l’esperienza auspicata da Maxwell: non si trovò la differenza prevista nella velocità della luce. Prima di lasciare gli USA un brevissimo cenno alle problematiche di questo Paese. Un gigante privo di mano d’opera. I problemi più urgenti erano di tipo tecnologico e su questo essenzialmente si lavorò: meccanizzazione del lavoro nei campi e nelle fabbriche. Questo portò a tecnologie avanzate in campo agricolo, nelle macchine utensili, nelle comunicazioni, nei trasporti che saranno poi alla base della forte crescita di quel Paese (uno dei tecnici più noti che merita di essere ricordato è Edison). L’Europa viveva problemi opposti: molte braccia e poco lavoro.

            Naturalmente non mi dimentico di Guglielmo Marconi in Italia. Il problema è che il nostro non è uno scienziato ma un validissimo tecnico ed eccellente empirico. In nessuna storia della fisica è riportato il suo contributo ed egli stesso non ha lasciato nessuno scritto teorico in cui si capisse da dove partiva per fare le sue ricerche; restano solo i suoi discorsi in cerimonie ufficiali come “scienziato” del regime. Un vero scienziato che in Italia si occupò di elettromagnetismo, con un qualche successo e sulla scia dei lavori di Hertz, fu il bolognese Augusto Righi.

            Altri studi avanzati ed alla frontiera erano quelli in termodinamica. Anche qui la Gran Bretagna (Joule, Maxwell, Andrews, Dewar,…), insieme alla Germania (Mayer, Clausius, Wien, Planck, …) ed all’Austria-Ungheria (Stefan, Boltzmann) erano i Paesi più avanzati (agli inizi del XX secolo si inseriranno i fondamentali contributi di termodinamica statistica dello statunitense Gibbs). Un problema che qui stava creando scompiglio era l’intersezione di queste ricerche con quelle di spettroscopia atomica iniziate verso la metà del XIX secolo dal tedesco Kirchhoff. Nessuna teoria veniva a capo dei dati sperimentali relativi al “corpo nero” (vedi articolo su Planck) oltre a non riuscire a comprendere il come si generassero le linee spettrali.

            Sul finire del secolo insieme a queste “due nubi oscure” (esistenza dell’etere e risultato “negativo” dell’esperienza di Michelson; incapacità di spiegare il corpo nero) vi era un altro problema sperimentale alla ricerca di una spiegazione teorica: l'”effetto fotoelettrico”, scoperto da Hertz come disturbo sperimentale ma ancora sfuggente ad ogni spiegazione. Inoltre, in Gran Bretagna, J.J. Thomson aveva “scoperto” l’elettrone (1897) e ne aveva misurate carica e massa (è la prima particella che compare nel mondo della fisica). In Francia H. Becquerel aveva casualmente scoperto la radioattività (1896): un pezzo di minerale (sali di uranio) che gli era stato portato in regalo da un amico di ritorno dall’Africa, aveva la proprietà di impressionare lastre fotografiche. Sempre in Francia, Pierre e Maria Curie (di origine polacca) scoprono altri elementi radioattivi come il torio, il polonio, il radio (1898). Ancora in Francia P. Villard scopre la radiazione gamma (1900) dopo che Rutherford in Gran Bretagna aveva scoperto (1899) i raggi alfa e beta. In Germania, Roentgen aveva scoperto strane radiazioni (le X) provenienti da un tubo a vuoto in particolari condizioni.

            In ognuno dei Paesi di cui abbiamo parlato si era all’interno di queste problematiche con scuole di pensiero e di ricerca avanzatissime. Vediamo qualche risultato che viene fuori dalle problematiche che abbiamo evidenziato.

            Nel 1900 Planck fa una ipotesi che sconvolge l’intero modo di concepire l’energia in fisica: essa è quantizzata, si distribuisce per quantità discrete e non in modo continuo (vedi il lavoro su Planck). La scoperta (che poi si presenta al suo primo apparire come un artificio matematico) farà discutere, anche in modo accanito, ma con quel modo di interpretare le cose si raccoglieranno subito successi in vari altri campi della fisica (essenzialmente atomica).

            Nel 1905 Einstein pubblica tre suoi famosi lavori che daranno una spallata a molte delle concezioni del secolo che si era appena chiuso. Intanto, con l’uso dei “quanti” di Planck, fornisce una semplice spiegazione dell’effetto fotoelettrico. Fornisce poi la spiegazione di un altro fenomeno che circa 50 anni prima aveva scoperto il medico britannico Brown, il moto browniano, e che fino ad allora non era mai stato capito risultando di grave impaccio ad uno dei principi più importanti della termodinamica (dal disordine si crea ordine! È una violazione del 2º principio che Einstein spiega mediante la ‘teoria delle fluttuazioni’). Infine si sbarazza dell’etere con “un colpo di penna”. Ha il coraggio di rivedere i principi fondamentali della fisica che si erano affermati da Galileo e Newton. La meccanica, che nessuno avrebbe osato toccare, viene rivista nei suoi concetti fondamentali: simultaneità, spazio, tempo, lunghezze, … È la nascita della impropriamente chiamata “Teoria della relatività” che proprio per questo nome darà adito alle speculazioni di ignoranti vari, soprattutto tra i bigotti cattolici che allegramente confonderanno relatività con relativismo (la cosa poi faceva il gioco di chi poteva parlare della fisica “ebrea” da opporre al sano ed incorruttibile pensiero – sic! – cristiano). In realtà il lavoro di Einstein ha per titolo “L’elettrodinamica dei corpi in movimento” ed è un lavoro che, come osservò Planck, non ricerca ciò che nel mondo fisico varia, ma ciò che in esso resta invariante (come ad esempio la velocità della luce).

            Tra il 1906 ed il 1909 il britannico Rutherford prova che i raggi alfa sono particelle cariche positivamente. Nel 1909 sempre Rutherford, con Geiger e Mardsen, scoprono il nucleo atomico e nel 1911 Rutherford fornisce un primo modello atomico (sarà lo stesso Rutherford, nel 1913, ad ipotizzare che il nucleo è costituito da protoni, particelle dotate di carica positiva). Nel 1913 il danese Bohr, utilizzando di nuovo i quanti di Planck, fornisce un nuovo modello atomico che (con gli aggiustamenti del tedesco Sommerfeld -1916 – ) spiegherà brillantemente gli spettri atomici ed aprirà la strada allo studio della fisica atomica superando molti dei problemi che il precedente modello poneva. Intanto, tra il 1910 ed il 1913, i britannici J.J. Thomson e F.W. Aston scoprono l’isotopia (anche se non sanno fornirne una spiegazione che non potrà venire fino a quando, nel 1932, il britannico James Chadwick non scoprirà l’esistenza del neutrone).

LA SITUAZIONE ITALIANA

            Nella premessa ho già accennato allo stato di abbandono della ricerca fisica italiana, ricerca che era praticamente finita con chi l’aveva iniziata: Galileo. Le note vicende della sua condanna allontanarono dall’Italia la ricerca e, salvo qualche caso sporadico, essa è stata quasi del tutto assente fino a che, con i bersaglieri a Porta Pia, non si è rinchiusa la Chiesa dentro le mura leonine.

            Proprio la liberazione di Roma ed il disastro lì trovato nell’insegnamento della fisica presso l’Università la Sapienza, può far rendere conto dello stato in cui ci trovavamo.

            Nel 1816 il cardinale Consalvi affidava all’abate Scarpellini la cattedra di “fisica sacra” al fine di rimettere a posto le conoscenze “segnatamente nel tempo presente, in cui si abbusa dei progressi delle scienze naturali, o delle nuove cognizioni, per introdurre degli errori a danno della religione cattolica”. C’è dietro la paura della Rivoluzione francese e l’esempio negativo dell’Encyclopédie che aveva permesso la diffusione di un sapere scientifico di massa, diffusione con la quale si poteva trasmettere l’idea di progresso sociale, culturale e politico aborrito dalla Chiesa.

            Nel 1824, Leone XII in “Quod divina sapientia” affermò la volontà di sottoporre ogni organismo educativo ad un ferreo controllo al fine di difendere la religione cattolica.

            Nel 1837, il matematico S. Proja, nel “Giornale accademico di scienze, lettere ed arti” (nº 74, pagg. 106-110), così descrive la cattedra di Fisica sacra di Scarpellini alla Sapienza di Roma:

“In un ramo della pubblica istruzione, che ha per oggetto l’applicazione delle scienze naturali alla considerazione di Dio, non può immaginarsi sistema né più ordinato né più sublime di quello, che la stessa divina sapienza ne tratteggiò laonde con saggio divisamento dal primo libro della Genesi desunse la nostra cattedra l’ordine e la distribuzione delle materie, nonché l’appellazione di FISICA MOSAICA, FISICA SACRA, COSMOLOGIA TEOLOGICA. Pertanto in sei grandi trattati se ne divise l’ampio argomento, essendoché in sei giorni divise Mosè l’opera divina della creazione, ed a ciascun trattato serve di tema ciò che creò Iddio nella corrispondente giornata. Quindi è che il I si occupa della creazione del mondo, o piuttosto della creazione delle sostanze elementari; il II del firmamento, o sia dell’aria, e della divisione delle acque sopra la Terra divisa in continenti e mari; il III della produzione dei vegetabili; il IV dei corpi celesti, e de’ loro uffici; il V della produzione dei pesci e dei volatili; il VI finalmente della produzione degli altri animali e della formazione dell’uomo … “.

            La cattedra di Scarpellini durò fino al 1840, ma il suo spirito restò. Esso andava sotto il nome di “concordismo”, il mettere sempre d’accordo Bibbia con fatti scientifici. E così le scienze erano insegnate in modo aristotelico, con inutili e superficiali classificazioni. Anche quei pochi scienziati (astronomi gesuiti) che tentarono ricerche (Secchi, Pianciani, De Vecchi) dovettero abbandonare Roma nel 1848, a seguito dell’allontanamento della Compagnia di Gesù, per recarsi in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Allo stesso modo l’altro scienziato in tonaca, Schiapparelli, non ebbe vita facile. E poco prima che i bersaglieri entrassero in Roma, anche il darwinismo veniva a dare altri colpi al concordismo.

            In questo disastro, tanto minore quanto più ci si allontanava da Roma, c’era una parte di ricerca che vedeva l’insieme degli stati preunitari al livello delle ricerche di punta in altri Paesi. Si tratta della matematica e questo fatto è di grande rilievo per ciò che servirà da sostegno agli sviluppi della fisica. Basta ricordare qualche nome di giganti italiani in questo campo: Lagrange, Peano, Cremona, Dini, Vailati, Ruffini, Ricci Curbastro, Levi Civita, Volterra, Ugo Amaldi, Enriques, Castelnuovo, Severi. La nostra matematica presentava comunque lacune in alcuni settori che poi si riveleranno strategici: l’algebra astratta (che sarà introdotta in Italia intorno al 1955 da Lucio Lombardo Radice) e la logica.

            Tanto per completare il quadro con i fisici che l’Italia nel suo insieme poteva vantare, si può vedere l’ampia rassegna che in epoca di retorica fascista fu fatta dal fisico G. Polvani (si veda: “Un secolo di progresso scientifico italiano”, SIPS, 1939, Vol. I).

            Con l’Unità d’Italia si trattò di rimettere insieme varie tradizioni di Stati preunitari, di costruire una scuola pubblica che avesse caratteristiche unitarie, si tentò di eliminare la pletora di università che erano nate per dar lustro e cattedre ma che non producevano nulla. Il Ministro della Pubblica Istruzione di uno dei primi governi unitari, il fisico Matteucci (l’altro fisico alla Pubblica Istruzione sarà Orso Mario Corbino, di cui parleremo), ebbe a dire che in Italia è più facile spostare la capitale che non chiudere una università. Il suo piano di razionalizzazione ebbe però almeno un successo: la creazione (da fondamenta antiquate) di una Scuola di elevatissimo prestigio, la Scuola Normale Superiore di Pisa.

            Con una economia non certamente florida, con una politica di tipo coloniale del Nord Ovest industrializzato rispetto al Sud agricolo, fu assai difficile riuscire a trarre le fila di un discorso che avesse una qualche premessa comune. Tra l’altro si affossarono esperienze culturali importanti come ad esempio quella di Napoli che, da fiorente capitale, anche culturale, fu degradata a provincia. Comunque si riuscì piano piano a scolarizzare una grande percentuale di italiani. Questa scolarizzazione fu pubblica ed aveva come obiettivo l’uniformità dei programmi di studio proprio al fine di fare l’unità a partire dai cittadini.

            In questo clima si innestano le vicende di Enrico Fermi che nasce nel 1901, a 30 anni dall’Unità d’Italia, una generazione dopo tale Unità e che inizierà a produrre intorno al primo quarto di secolo, due generazioni dopo l’Unità, quando ci si apprestava a rimettere in gioco la Chiesa con il Concordato (1929).

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

            Se gli anni che vanno dal 1925 al 1940 furono per moltissimi versi insoddisfacenti per lo stato della ricerca in Italia, come si spiega che proprio in quegli anni sia maturato il più esaltante dei nostri successi, cioè le ricerche di Fermi e del suo gruppo ?

            I motivi si possono brevemente rintracciare nelle considerazioni seguenti (che saranno riviste nei dettagli più oltre):

– intanto si incontrarono e lavorarono proficuamente insieme delle persone di grande talento;

– la protezione politica e scientifica di una personalità come quella di Orso Mario Corbino;

– l’apertura di Corbino, Fermi e gli altri a quanto di più nuovo si faceva nel campo della fisica;

– il vivere della fisica un poco al margine degli immediati eventi politici (ed anche in momenti bellici in cui forse si sarebbe potuto richiedere un aiuto ai nostri scienziati atomici, indipendentemente dalla loro disponibilità a farlo, nessuno pensò mai alla cosa);

– la retorica fascista che assegnò fondi a Roma (il “destino imperiale”) più che ad altre università;

– la nuova legislazione universitaria che permise maggiore agilità nelle “assunzioni” e, anche se in piccola parte, l’attività del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR);

– la felice intersezione tra fisici teorici e sperimentali.

            Ma, nonostante ciò, occorre sottolineare che gli eventi furono favoriti dal fatto che ci si avvicinò ad un ramo della fisica (essenzialmente quella nucleare) che era alla sua “prima infanzia”. Ciò vuol dire che gli investimenti necessari erano relativamente piccoli (l’intero gruppo dispose per quattro anni di lavoro di un finanziamento di un milione e mezzo dell’epoca). Quando la fisica nucleare si fece “adolescente” i finanziamenti divennero ridicoli e la Scuola di Roma decadde rapidamente tanto che, si può dire che, anche se fosse rimasto in Italia, Fermi non avrebbe mai potuto realizzare la “pila atomica”. A riprova di ciò (mancanza di finanziamenti per la ricerca, male tuttora cronico in Italia) si deve osservare che in tutti gli altri campi della fisica, già “adulti” e quindi bisognosi di maggiori investimenti, come alte pressioni, basse temperature, grandi tensioni, intensi campi magnetici, … , la ricerca italiana brillò per la sua assenza.

ENRICO FERMI: PRIMI DATI BIOGRAFICI

            Enrico Fermi nacque a Roma, in via Gaeta 19, il 29 settembre 1901 da Alberto ed Ida De Gattis. Aveva una sorella, Maria, nata nel 1899 ed un fratello, Giulio, nato nel 1900. Suo padre era un piccolo borghese, un funzionario delle ferrovie dello Stato. Il piccolo fu affidato ad una balia e stette in campagna fino all’età di due anni e mezzo. Sua madre era maestra.

            Iniziò regolarmente le elementari a sei anni in una scuola completamente laica. Non ebbe mai insegnamenti religiosi e per tutta la vita restò completamente agnostico. Il primo ricordo “scientifico” del giovane Enrico risale ai suoi 10 anni. Gli amici di suo padre, ingegneri, parlavano spesso in sua presenza. Ed una volta egli sentì dell’equazione di una circonferenza. Stette a ripensare a questa cosa per molto tempo.

            A dieci anni entrò al ginnasio “Umberto” (l’attuale Pilo Albertelli, a Santa Maria Maggiore). Fece regolari studi classici avendo una intensa amicizia soprattutto con il fratello il quale però morì di una infezione ai 15 anni. Il colpo per Enrico fu durissimo palliato solo dall’amicizia che iniziò ad instaurare con un compagno di scuola del fratello, Enrico Persico. Secondo un ricordo di Persico, Fermi acquistò in una bancarella di Campo de’ Fiori un libro di fisica in latino in due volumi del 1840. Aveva allora 14 anni. In quella stessa epoca si affezionò molto ad un amico del padre, l’ingegnere Adolfo Amidei. Questi fu persona che assecondò le curiosità scientifiche di Fermi. Rispondeva sempre amabilmente e lo faceva tanto più volentieri quanto più vedeva che il giovane seguiva con competenza e con domande che suscitavano anche il suo interesse. Fu Amidei che guidò Fermi nelle sue prime letture scientifiche. Allo stesso tempo iniziò a realizzare piccoli esperimenti scientifici che gli insegnarono l’uso delle mani nella feconda dialettica mani – cervello. Dapprima con suo fratello, quindi con Persico. L’interesse per la fisica divenne piano piano preminente ed il giovane Fermi approfondiva le sue conoscenze presso la Biblioteca Vittorio Emanuele a partire dai suoi 16 anni (comunicava a Persico che si stava preparando per entrare alla Scuola Normale di Pisa).

            Il 14 novembre 1918 sostenne l’esame di ammissione a quella Scuola prestigiosissima. Il tema era “Caratteri distintivi dei suoni”. Fermi lo risolse con una tale maestria, utilizzando una matematica avanzata (equazione differenziale della corda vibrante con sviluppi in serie di Fourier), che l’esaminatore volle conoscerlo ed incitarlo a proseguire negli studi di fisica.

            Si iscrisse alla Scuola Normale nell’autunno del 1918 e per 4 anni lasciò Roma tornandovi solo per le vacanze. A Pisa Fermi diventò amico di Franco Rasetti, studente di fisica all’Università e non alla Normale. Già alla fine del primo anno aveva conoscenze approfondite della matematica più avanzata (meccanica analitica di Hamilton e Jacobi) e di ognuna delle opere più attuali di fisica (Bohr, Planck, Einstein, Sommerfeld, Rutherford, Boltzmann, Lorentz, …). Nel 1920 tenne una conferenza ai suoi professori sulla teoria dei quanti. Evidentemente le sue conoscenze linguistiche erano importanti, a parte il latino ed il greco del ginnasio-liceo, conosceva il tedesco e quindi studiò inglese e francese. Si laureò il 7 luglio del 1922. Era uno dei pochissimi che in Italia avesse conoscenze di frontiera nel campo della fisica.

            Tornato in famiglia, Fermi iniziò a cercare un lavoro che egli si auspicava fosse presso l’Università. Era già noto nell’ambito ristretto dei fisici e dei matematici come una delle persone più promettenti in circolazione. Fu ricevuto da eminenti matematici e fisici. Ma la strada per chi volesse far carriera all’Università era burocratica, lenta, piena di aspettative senza certezze. Rarissimo che qualcuno accedesse ad una cattedra intorno ai 30 anni. Occorrevano vari anni da borsista, poi un poco di assistente volontario, poi la libera docenza, poi, … Infine un qualche bando per un concorso a cattedre.

            Tra le persone che Fermi conobbe vi era colui che era ritenuto il più grande fisico italiano dell’epoca, Orso Mario Corbino, professore di fisica sperimentale e direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università, già senatore del regno per meriti scientifici, ministro della Pubblica Istruzione nel 1921 e ministro dell’Economia Nazionale nel 1923, nel 1º Governo Mussolini (pur non essendo e non essendo mai divenuto fascista). Il 28 ottobre del 22, giorno della Marcia su Roma, Fermi era a colloquio con Corbino che gli manifestava preoccupazione per il clima di violenza che stava instaurandosi in Italia. Fermi condivideva questi giudizi ed espresse il desiderio di andarsene dall’Italia. Il 30 ottobre una commissione presieduta da Corbino, gli assegnò, all’unanimità, una borsa di studio per recarsi all’estero a perfezionare i suoi studi. Fermi si recò a Gottinga nell’Istituto di Max Born. In questo paradiso della fisica conobbe e lavorò con coloro che poi diventeranno i massimi fisici del secolo: Heisenberg, Jordan, Franck, Sommerfeld, Pauli. I risultati di questa permanenza non furono all’altezza delle aspettative. Fermi non riuscì ad integrarsi anche perché Born non capì il valore di questo giovane borsista. Solo successivamente Fermi divenne amico di Heisenberg e Pauli.

            Tornato a Roma, Corbino gli fece ottenere l’incarico di professore di matematica per chimici (a.a. 1923 – 1924). Nel 1924 morì la madre di Fermi e la cosa lo scosse molto. Un lavoro che Fermi aveva fatto a Gottinga aveva risvegliato l’interesse di un grande fisico, protettore di giovani talenti, l’olandese di Leida, Paul Ehrenfest. Questi pregò il suo connazionale Uhlenbeck (noto per aver scoperto insieme a Goudsmit lo spin dell’elettrone), che si trovava a Roma, di prendere contatto con Fermi. La cosa fu fatta e da lì iniziò una amicizia che durò tutta la vita. Poco dopo, su raccomandazione di Volterra, Fermi ottenne una nuova borsa di studio per recarsi a studiare a Leida con Ehrenfest. Qui si trovò benissimo. Ritrovò Uhlenbeck e conobbe Goudsmit. Ma soprattutto il capo del gruppo, Ehrenfest, gli mostrava fiducia e lo incoraggiava continuamente. Naturalmente durante queste vicende di vita i suoi studi andavano avanti ed egli veniva pubblicando dei lavori di grande importanza e maturando le sue idee per il primo lavoro che presto lo avrebbe reso noto al mondo intero.

            Al ritorno da Leida si presentò il solito problema del lavoro. Fermi e Rasetti ottennero un posto da assistente del prof. e sen. Garbasso (più dedito alla politica che alla ricerca) a Firenze, mentre Persico lo ottenne da Corbino a Roma. I soldi erano pochi, le attività e la strumentazione di quell’Istituto piuttosto antiquate, ma il tempo per la ricerca molto.

            Arriviamo all’estate del 1925, alle vacanze di Fermi sulle Dolomiti con molti dei più noti matematici italiani e con il figlio 17enne di Ugo Amaldi, Edoardo, che si accompagnava sempre alle passeggiate che Fermi ed il fisico olandese Kronig facevano. Ma Fermi aveva una grande premura di risolvere il problema della sua carriera. Il concorso che più si sarebbe prestato alle sue competenze sarebbe stato quello per la cattedra di fisica – matematica. Una ne era stata bandita a Cagliari. Fermi risultò nella terna ma la commissione che non sapeva nulla della “nuova” fisica gli preferì l’elettrotecnico Giorgi (noto per il sistema omonimo di unità di misura). Il risultato del concorso, un grosso smacco per Fermi, arrivò in simultanea (febbraio 1926) con la pubblicazione del lavoro che rese famoso Fermi nel mondo. Si trattava della nota “statistica di Fermi per un gas di elettroni o di particelle con spin semintero” pubblicata sulla più prestigiosa rivista di fisica del mondo, la “Zeitschrift für Physik”. Sull’onda della fama mondiale che acquistò Fermi, Corbino mosse tutte le sue pedine scientifiche e politiche perché venisse istituita a Roma la 1ª cattedra di fisica teorica italiana. Il concorso fu bandito nell’autunno del 1926.

            Proprio in quel periodo uscirono i lavori dell’austriaco Schrödinger sulla meccanica ondulatoria che aprirono a Fermi un mondo di comprensione e di applicazione. In verità egli non aveva ben digerito la meccanica delle matrici di Heisenberg e di Dirac. Non conosceva i lavori di De Broglie sulle onde materiali. Questo lavoro lo spinse a nuovi sforzi di applicazione in campi fecondi che gli si aprivano davanti. Per un certo tempo rimase con un qualche dubbio sul significato da dare alla funzione d’onda. Pur avendo letto i lavori di Born non era rimasto soddisfatto dall’interpretazione che quest’ultimo ne dava.

            Il 7 novembre del 1926 si ebbe il risultato della cattedra di Roma. Fermi risultò primo, Persico secondo e Pontremoli terzo. Fermi a Roma, Persico a Firenze e Pontremoli a Milano. Si coronava così il sogno di Fermi, a Roma, vicino al padre ed alla sorella, cattedratico di Fisica teorica a 25 anni, il più giovane cattedratico d’Italia.

NECESSITÀ DI COLLABORATORI

            A questo punto emerge un problema che era già ben chiaro nella mente di Corbino e che con Fermi si propongono di risolvere. In giro per i Paesi scientificamente più avanzati vi sono possenti scuole di fisica con schiere di menti di primo livello che lavorano con abbondanti finanziamenti. Occorre anche in Italia mettere su uno o più gruppi di ricerca e tentare di ottenere dei fondi. Sul secondo problema non si riuscirà mai (ancora oggi) a cavare un ragno dal buco: la retorica fascista (ma oggi come la chiameremmo?) che si riempiva la bocca del popolo di poeti, santi, navigatori e scienziati non tirava fuori i soldi che sarebbero stati necessari alle teoricamente (dal punto di vista fisico) possibili grandi imprese. Sul primo problema, limitatamente alle disponibilità economiche ed alla possibilità di trattenere alcune menti nel nostro Paese ed evitare la storica emorragia di cervelli, alcuni importanti risultati si riuscirono ad ottenere. Ma su questa fuga di cervelli mi concedo una breve digressione. Essa continua inesorabile ancora oggi con classi politiche che si alternano ma che caparbiamente mostrano completa ignoranza, non tanto della scienza come fatto culturale e civile – fatto che già onorerebbe chiunque – quanto, della ricerca come fattore di progresso economico ed industriale nei settori di punta. Ciò che non riescono a capire i nostri politici, che si concedono citazioni – anche sbagliate – in latino, è che la ricerca richiede del tempo perché divenga applicativa; se ci si aspettano dei risultati immediati si sbaglia clamorosamente e ci si riduce a diventare colonie di Paesi più lungimiranti che, tra l’altro, sfruttano i cervelli che sono stati preparati in Italia, per poi rivenderci a caro prezzo i brevetti conseguiti dai nostri ricercatori in quei Paesi. Francamente non so proprio come e se sarà mai possibile rimuovere una tale situazione che, oggi, è ancora più appesantita da una Chiesa che si mette di traverso in ogni questione relativa a ricerche di punta, Chiesa che per fini di basso scambio ha grande udienza presso i nostri politici.

            Ma torniamo al come Corbino e Fermi riuscirono a portare nel mondo della fisica un gruppo eccezionalmente dotato di giovani.

            Da dove cominciare a cercare ? Naturalmente presso i primi anni di studio in qualche facoltà scientifica con studi impegnativi e che, almeno all’inizio, fossero simili a quelli che si sarebbero dovuti affrontare in un corso di laurea in fisica. Solo il biennio di Ingegneria rispondeva a tali caratteristiche, e fu lì che Fermi e Corbino indirizzarono le loro attenzioni . L’Istituto di fisica, all’epoca, aveva 12 studenti sui 4 anni di corso e, a giudizio di Fermi, nessuno aveva le caratteristiche che egli richiedeva. Corbino insegnava però fisica agli ingegneri ed era in grado di segnalare ragazzi giovani, aperti ed eventualmente atti agli scopi di Fermi. Certo che si andava a proporre una specie di favola: un indirizzo universitario privo di un qualunque ipotetico sbocco se non tutto interno alla stessa università che, comunque, avrebbe potuto assorbire solo pochissime persone. Dall’altra parte vi era la solida ingegneria che invece apriva a moltissimi  sbocchi professionali.  

            Fermi iniziò a fare conferenze dirette a tali studenti. Scrisse articoli divulgativi sulle prospettive aperte dalla nuova fisica, scrisse il primo libro in italiano su tutto quanto di nuovo si stava realizzando (“Introduzione alla Fisica Atomica”, Zanichelli 1928). Insieme a Corbino riuscì a far venire a Roma l’ “altra metà” di Fermi, un fisico che si sapesse muovere in ambito sperimentale con la stessa disinvoltura con cui Fermi lo faceva in ambito teorico (pur restando comunque un ottimo fisico sperimentale). Franco Rasetti, l’amico che Fermi aveva conosciuto bene a Pisa, era la persona adatta e fu chiamata da Firenze nel 1927. Una breve digressione sul fatto che viene chiamato un “amico” di Fermi, soprattutto al senso che oggi si dà a questa parola. L’interesse principale di Fermi (ed in questo senso posso dire che lo stesso modo di pensare è rimasto vivo nell’Istituto di fisica di Roma almeno fino a quando Edoardo Amaldi ha operato in esso – 1989 -) era il successo di una impresa. Anche dal punto di vista della sua persona egli non aveva effettivo potere. Era solo il suo prestigio, che comunque sarebbe restato un fuoco di paglia se non si fosse sostanziato in risposte alle aspettative, che gli permetteva di indicare delle persone adatte a degli scopi. Se queste persone non avessero risposto agli intenti, il primo che avrebbe pagato sarebbe stato proprio lui. Il problema era di costruire un gruppo di persone riconosciute abili agli scopi richiesti dal capo del gruppo che, in ogni caso, se ne assumeva ogni responsabilità. È inutile che spieghi come oggi il concetto di amico abbia assunto un altro significato proprio perché questa amicizia non viene poi assunta in termini di responsabilità personale e chi, alla fine, pagherà gli eventuali insuccessi dell’ “amico”, sarà la collettività.

            Con Rasetti vi era un nucleo iniziale molto forte con alle spalle il prestigio ed il potere di Corbino (ma anche con invidie ed inimicizie da parte di Antonino lo Surdo, professore di Fisica Superiore, che ritenendo di essere lui il depositario della “nuova fisica” pur essendo restato a testi semiclassici ed ignorando la fisica quantistica, si era opposto all’assunzione di Fermi, arrivando a posizioni ostili nei riguardi di Corbino). Rasetti si stabilì a Roma e Corbino riuscì a creare per lui la cattedra di Spettroscopia (1931). Fu proprio Rasetti a convincere Emilio Segrè a passare da ingegneria a fisica, nello stesso anno (1927) in cui Corbino convinse Amaldi allo stesso passo (all’epoca Amaldi aveva 19 anni). Sempre nel 1927 fu Segrè a convincere il suo amico Ettore Majorana (aveva 21 anni) a seguirlo da Ingegneria a Fisica. Abbiamo già il primo nucleo di quella che sarà conosciuta come la “Scuola di Roma”. Naturalmente si tratta di giovani, certamente studiosi valenti, ma anche pieni di voglia di divertirsi (a parte Majorana che non partecipò mai alla vita del gruppo, frequentando poco l’Istituto e mantenendosi in disparte). Si erano dati dei nomignoli che rispondevano ai caratteri e/o ai compiti di ciascuno:

Corbino era il Padreterno

Fermi era il Papa

Rasetti era il Cardinal Vicario

  Segrè era il Prefetto alle Biblioteche

  Amaldi era il Fanciulletto

  Majorana era il Grande Inquisitore

  Trabacchi (che incontreremo tra un poco) era la Divina Provvidenza.

              Il gruppo gioca e si diverte in festicciole organizzate in casa ora dell’uno ora dell’altro. Amaldi si vestiva da Greta Garbo; in casa della giovane Laura Capon (futura signora Fermi) i ragazzi di Via Panisperna (dal nome della strada in cui aveva sede l’Istituto di Fisica) venivano chiamati logaritmi; Amaldi, Fermi e Rasetti erano usi “torturare” le ragazze, Laura e Ginestra (futura signora Amaldi), con domande di fisica strane ed “impossibili”; ma lo stesso Amaldi, il piccolo della comitiva, era “torturato” da Segrè e Rasetti allo stesso modo.

            Ma il lavoro procede intenso per molte ore al giorno.

Nel 1927 Fermi pubblicò un altro lavoro di grande importanza, “Un metodo statistico per la determinazione di alcune proprietà dell’atomo”. Si tratta di un modello di atomo che permette calcoli in modo agile. Questo modello atomico è oggi noto sotto il nome di Thomas – Fermi. Intanto l’intero gruppo che, ricordiamolo, era formato in gran parte da studenti, lavorava essenzialmente su problemi di spettroscopia atomica e molecolare.

Nel 1928 si incorporò al gruppo Giovanni Gentile junior (figlio del famoso filosofo Giovanni Gentile) appena laureatosi alla Normale di Pisa. Nello stesso anno si laureò Segrè. In quello stesso anno Fermi si sposò con Laura Capon.

Nel 1929, lo stesso giorno, si laurearono Amaldi e Majorana.

Altri fisici che successivamente si incorporarono furono: Wich, Fubini, Fano, Pincherle, Pontecorvo (che avrà un ruolo importante nel gruppo e nel quale si inserirà nell’estate del 1934), Racah, … Anche Salvador Luria, futuro Nobel per la medicina, studiò fisica alla scuola di Fermi. I fisici ora citati provenivano da varie parti d’Italia. Questo fatto significava che Fermi era ormai noto ed aveva raggiunto lo scopo di interessare alla fisica giovani validissimi di tutta Italia.

Ma non solo Roma ebbe una Scuola di Fisica. Da Roma, come un’operazione di apostolato (per mantenere una terminologia che gli stessi fisici romani avevano utilizzato), si diffusero per l’Italia vari apostoli della “nuova fisica” e costruirono Scuole di grande prestigio in altre città italiane. Altre Scuole nacquero per iniziativa di influenti fisici – politici, come il già citato sen. Garbasso a Firenze. Egli già disponeva di Persico (che nel 1930 si sposterà a Torino) e chiamò Bruno Rossi da Bologna mettendo su una Scuola che annoverò personaggi come Occhialini, Gilberto Bernardini, Racah, Daria Bocciarelli (che poi diventerà una stretta collaboratrice di Amaldi a Roma), Righini, Lorenzo Emo. Ma Rossi darà vita anche alla Scuola di Padova dove lavorò anche Ettore Pancini. Naturalmente qui si potrebbero seguire altre importanti vicende per la vita scientifica del nostro Paese ma restiamo a questi cenni per tornare alla Scuola di Roma da cui iniziò l’intera reazione a catena.

Nel 1929 ci si rese conto che, mentre la parte teorica procedeva bene, la parte sperimentale lasciava a desiderare. Era urgente apprendere tecniche, conoscere nuovi strumenti e per far ciò c’era una sola possibilità: recarsi nei prestigiosi laboratori funzionanti europei (e non solo, anche gli USA iniziavano ad apparire) con borse di studio. Rasetti si recò prima a Pasadena (California) a lavorare nei laboratori di Millikan quindi a Berlino a lavorare nei laboratori di Lise Meitner; Segrè andò ad Amsterdam a lavorare con Zeeman e quindi ad Amburgo con Stern; Amaldi a Lipsia con Debye. Intanto nel 1929 Fermi venne nominato Accademico d’Italia ma per la sua “allergia” alla politica non riuscì a trarne vantaggio (quando andava a sciare in Val Gardena l’albergatore gli chiedeva se era parente di “Sua Eccellenza” Fermi ed egli rispondeva che si trattava di un lontano cugino; al che l’albergatore rispondeva che lo sapeva poiché Sua Eccellenza ogni volta che si recava da quelle parti si recava nel suo albergo. Solo una volta, ricorda sua moglie Laura, in un blocco di traffico a Roma, riuscì a passare facendo valere il suo titolo con un poliziotto).

Nel 1930 lo stesso Fermi si recò negli USA per tenere lezioni in varie università. Rimase profondamente colpito dalla mole di attrezzature presenti in quei laboratori.

All’inizio degli anni ’30 molti fisici tedeschi iniziarono a passare per Roma perché preoccupati dalla minacciosa situazione politica tedesca. Tra di essi ricordo Bethe, Bloch, Peierls, London, Goudsmit, Teller (dall’Ungheria), … A parte il fatto che il Fascismo non era visto da loro come il Nazismo, è di interesse notare che la Scuola di Roma iniziò a funzionare come richiamo internazionale. Se solo si fosse potuto disporre di una lungimirante politica di “accoglienza”, avremmo potuto disporre di una concentrazione impressionante di cervelli (questa operazione, certamente con ben altri mezzi, fu fatta dagli USA). A lato delle tragiche vicende politiche che già indicavano chiaramente, in Germania, una scellerata campagna antisemita, la venuta di scienziati così famosi permise lo scambio fecondissimo di opinioni scientifiche.

Il corso degli avvenimenti scientifici, le visite all’estero, gli scambi di opinione con eminenti scienziati stranieri fecero capire che ormai gli studi spettroscopici potevano dirsi esauriti e comunque non più fecondi. Una serie di indizi faceva intendere che la strada da seguire era quella del NUCLEO ATOMICO. Per la Scuola di Roma, priva di fondi e strumentazione, si trattò di una faticosa riconversione. Ma la “macchina” mostrò allora di essere a regime, di essere in grado di operare il grande salto e mettersi ad operare da subito a pieno ritmo.

UN NUOVO INDIRIZZO DI RICERCA

            Siamo al 1932. Ricapitoliamo in modo estremamente succinto le conoscenze che si avevano sul nucleo atomico.

            Il nucleo di un atomo è costituito da particelle cariche positivamente, i protoni e da particelle neutre, i neutroni. Si conoscono svariati elementi che presentano il fenomeno della radioattività naturale. DAL NUCLEO vengono emesse radiazioni di tre tipi:

– le alfa, costituite da due protoni e due neutroni legati insieme (sono radiazioni dotate di carica positiva, con grande massa e poca energia cinetica, penetrano quindi pochissimo in un bersaglio e risentono dell’azione di campi elettrici e magnetici);

– le beta, costituite da elettroni (sono radiazioni dotate di carica negativa, hanno piccolissima massa ed elevata energia cinetica, penetrano quindi abbastanza in un bersaglio e risentono dell’azione di campi elettrici e magnetici). L’esistenza di tali radiazioni sarà un gigantesco rompicapo. Nel nucleo vi dovrebbero essere anche degli elettroni? La cosa che sembrava sperimentalmente evidente, era negata da studi teorici;

– le gamma, costituite di sola energia (sono radiazioni prive di carica, prive di massa ed enorme energia cinetica, penetrano quindi attraverso spessori elevati di svariate sostanze e non risentono di campi elettrici e magnetici );

– si inizia ad intuire la presenza di radiazioni neutroniche (radiazioni prive di carica, abbastanza penetranti per la loro elevata energia cinetica e soprattutto perché non risentono dell’azione di campi elettrici e magnetici); tali radiazioni, individuate per la prima volta da Frédéric Joliot ed Irene Curie (in Francia), risultavano addirittura più penetranti dei raggi gamma. Fu Chadwick, come già accennato, a comprendere che si trattava di particelle prive di carica, con massa circa uguale a quella del protone e con grande potere penetrante poiché non “fermate” o rallentate dalla repulsione coulombiana dei nuclei dei materiali con cui interagiscono.

              Si sa che di un dato elemento chimico ne esistono vari tipi. Un dato elemento è determinato dal numero dei protoni che ha nel nucleo. Ebbene, dato un certo numero di protoni (che, ripeto, definiscono univocamente l’elemento e le sue proprietà chimiche), ad essi si possono associare dei neutroni in numero differente costituendo differenti ISOTOPI dello stesso elemento (ad esempio l’idrogeno. Esso è costituito in natura da un solo protone nel nucleo. Vi è poi il deuterio che è l’idrogeno con un neutrone aggiuntosi al protone nel nucleo. Vi è infine il trizio che è l’idrogeno con due neutroni aggiuntisi al protone nel nucleo. E così per tutti gli elementi). In natura vi sono svariati isotopi di svariati elementi, alcuni dei quali sono stabili (non radioattivi) ed altri instabili (la radioattività naturale).

             Altra scoperta di rilievo è quella dello statunitense Anderson che, nel 1932, evidenziò l’esistenza del positone, di una particella cioè identica all’elettrone, solo con carica opposta (la cosa, oggi nota come “antimateria”, era stata prevista dal fisico britannico Dirac nel 1928).

            Dal punto di vista teorico e, purtroppo aneddotico, Majorana aveva intuito l’esistenza dei neutroni nei nuclei. Nonostante l’esistenza di Fermi e collaboratori, Majorana si rifiutò di pubblicare il suo lavoro perché lo riteneva incompleto. La cosa  irritò molto il gruppo che AVEVA BISOGNO di risultati con visibilità internazionale. Fu Heisenberg che nello stesso anno pubblicò un lavoro che teorizzava un nucleo costituito da neutroni e protoni (Heisenberg era amico di Majorana, l’unico amico che si era fatto durante la sua permanenza a Lipsia in Germania, amico che lo convinse a pubblicare il suo lavoro con un anno di ritardo, appunto nel 1933).

            Nel panorama di una fisica tutta da costruire, già si imponevano tre grosse questioni:

– come può un nucleo atomico emettere elettroni ?

– perché il bilancio energetico delle reazioni nucleari non torna, ogni volta che viene emessa radiazione beta (gli elettroni di cui prima) sembra che dell’energia svanisca ?

– come è possibile tenere insieme in un nucleo due protoni, cioè due particelle cariche dello stesso segno che, secondo la legge di Coulomb, dovrebbero respingersi schizzando via come proiettili supersonici?

            Le forze che entrano in gioco per tenere unito un nucleo furono battezzate da Heisenberg – Majorana come “forze di scambio”. Una loro trattazione completa fu fornita dal giapponese Yukawa nel 1935 con l’introduzione di ipotetiche nuove particelle chiamate da Yukawa “mesoni” (ciò che sta in mezzo) o “colla nucleare”. Secondo la teoria di Yukawa i protoni si legano ai protoni, i protoni ai neutroni, i neutroni ai neutroni scambiandosi delle particelle molto appetibili, i mesoni. ê un poco lo stesso meccanismo che lega insieme due cani dello stesso sesso che si evitano accuratamente, salvo quando incontrano un succoso osso che li vede disperatamente uniti per la bocca attraverso il medesimo osso. Il mesone è una particella succosa. Ed io ho più volte sostenuto che le teorie possono essere le più fantasiose. Il fatto straordinario, fermo restando che uno trova ciò che vuole trovare, è che poi l’esperienza dia ragione a tali teorie: il mesone ( o pione) è stato trovato sperimentalmente nelle sue tre versioni previste da Yukawa (mesone positivo, mesone negativo, mesone neutro). Queste particelle furono scoperte nei raggi cosmici nel 1947 da Lattes, Occhialini (ambedue italiani) e Powell (statunitense) negli USA. Per tale scoperta Powell ebbe il Nobel nel 1950, agli altri due niente: non si dà un Nobel ad un Paese ex fascista ed alleato del Nazismo (l’Italia ha pagato fino al 1984 questa situazione politica con, ad esempio, Conversi e svariati altri. Stesso trattamento è stato riservato alla fisica sovietica).

            Restavano i primi due problemi che erano interconnessi.

            Nel 1933 Pauli ipotizza che, a lato dell’elettrone, il nucleo emetta anche un’altra particella non ancora rilevata (tale particella fu battezzata da Fermi: neutrino; doveva essere priva di carica e con una massa, nel caso fosse esistita, infinitesima). È il “mito” della conservazione dell’energia: piuttosto che rinunciare a questa certezza, i fisici preferirebbero il martirio. Quali erano le caratteristiche di tale particella? Esattamente quelle che mancavano perché tornasse la conservazione, o meglio, le conservazioni (oltre all’energia, c’è la carica, la parità, la simmetria, …). Anche qui, il fatto straordinario è che  questa particella, il neutrino, fu scoperta nel 1956 da Raines e Cowan (USA).

            Nel 1934 fu Fermi ad entrare in argomento con un lavoro ancora storico e pietra miliare di ogni ricerca fisica: “Tentativo di teoria di emissione dei raggi beta”, pubblicato in tedesco da “Zeitschrift für Physik” ed in italiano su la “Ricerca Scientifica” (è da notare che la prestigiosa rivista inglese Nature gli rifiutò la pubblicazione in quanto il lavoro era ritenuto “troppo astratto”). Si tratta di quella che oggi è nota come “interazione debole” o come “interazione universale di Fermi”. Nel lavoro viene spiegato il fenomeno dell’emissione degli elettroni da parte di un nucleo con il decadimento di neutroni in protoni, elettroni e neutrini. In particolari condizioni un neutrone presente nel nucleo decade (o si disintegra) originando un protone, un elettrone ed un neutrino (oggi sappiamo che si tratta di un antineutrino). La reazione di decadimento conserva tutto ciò che la fisica nota prevede (essenzialmente: energia, carica e massa). Questo risultato di Fermi, a giudizio di tutti gli storici, sarebbe bastato a passarlo definitivamente alla storia della fisica insieme all’altro, già menzionato, della statistica di un gas di elettroni.

            Questa scoperta di Fermi inizia a far luce su alcune trasmutazioni nucleari già evidenziate ma, evidentemente, non capite dal britannico Blackett nel 1923.

            I problemi sono i seguenti: che accade del nucleo di un atomo quando perde “un elettrone”? e  cosa accade quando perde una particella alfa (cioè due protoni + due neutroni)? Le questioni relative alle radiazioni gamma e neutroniche si porranno in seguito e saranno in gran parte risolti dalla soluzione ai due problemi posti.

            La perdita di un elettrone da parte di un nucleo corrisponde ad un suo neutrone che è diventato un protone (con, appunto, l’espulsione dell’elettrone). Il numero dei protoni dell’atomo cresce di una unità. L’elemento chimico cambia natura (trasmuta) e si sale di un posto nella tavola periodica degli elementi.

            L’espulsione di una particella alfa comporta, da parte di un nucleo, la perdita di due protoni. La conseguenza è che si scende di due posti nella tavola periodica e, anche qui, l’elemento chimico è un altro. Il sogno degli alchimisti è diventato realtà! I nuovi stregoni hanno realizzato il sogno di tramutare il piombo in oro 2500 anni dopo Aristotele! La cosa è sperimentalmente realizzabile. Peccato che il costo dell’oro così ottenuto sia di gran lunga più elevato di quello che si può acquistare in qualunque mercato!

DUE PAROLE SULLA CONSERVAZIONE DELLA MASSA-ENERGIA: EINSTEIN

            Nel novembre del 1905, in due pagine, Einstein completò con alcune conseguenze, il suo lavoro del marzo sull’ellettrodinamica dei corpi in movimento (relatività). Il lavoro trattava dell’ “inerzia dell’energia”. Come conseguenza della ridiscussione dei concetti fondamentali della meccanica (spazio, tempo, velocità, simultaneità, costanza della velocità della luce nel vuoto, suo essere considerata una velocità limite, 2º principio della dinamica non più in termini di massa per accelerazione ma in quelli di variazione di quantità di moto, … ) Einstein aveva trovato che anche la massa, fino ad allora  (e dai tempi di Lavoisier – 1789 – ) considerata come invariante, era soggetta a dei cambiamenti radicali. In pratica, poiché la velocità della luce era ammessa come velocità limite e quindi era impensabile il suo superamento, un corpo non può accelerare all’infinito; da un certo punto in poi gli effetti della forza, non potendo più agire su variazioni di velocità devono intervenire su variazioni di massa. Quanto detto significa che la massa e l’energia sono esattamente la stessa cosa. La massa, detto in modo brutale, è energia condensata. Ad ogni sparizione di  una PICCOLA quantità di massa corrisponde la comparsa di una ENORME quantità di energia e viceversa. Il che vuol dire che da questo momento (1905) non ha più senso parlare della conservazione della massa come di un qualcosa separato dalla conservazione dell’energia. Ora si parla solo della conservazione della massa-energia. È la famosa relazione di Einstein che fa bella mostra di sé anche sulle magliette sportive. È la relazione che solo 30 anni dopo la sua scoperta teorica inizia a fare la sua prepotente comparsa nel mondo della fisica sperimentale.

            Cosa c’entra una tale reazione con le forze che tengono legate le particelle in un nucleo ? Se si fanno i conti si scopre una cosa di grande interesse. La massa di ogni particella costituente il nucleo, misurata al di fuori del nucleo stesso, ha un determinato valore. Sembrerebbe che, per avere la massa di un nucleo occorre fare la semplice somma delle particelle che lo compongono. Ebbene, le cose non stanno così! La massa di un nucleo legato è sempre inferiore alla massa delle particelle che lo compongono. La parte di massa che è “scomparsa” è andata a costituire l’energia di legame del nucleo. È possibile verificare ciò rompendo un nucleo (di un elemento pesante): in corrispondenza alla rottura, questo elemento emette una enorme quantità di energia corrispondente esattamente a quella che è necessaria per tenerlo legato.

IL GRUPPO DI ROMA ALLE PRESE CON LA FISICA NUCLEARE

            Nel 1934 F. Joliot e I. Curie scoprirono la radioattività artificiale: “bombardando”  con neutroni (il termine che può sembrare forte è la traduzione a livello atomico di ciò che la nato ha fatto su Belgrado, si tratta di disporre di neutroni  da inviare contro un dato materiale) degli isotopi esistenti e stabili in natura, si ottengono degli isotopi instabili dello stesso elemento che, dopo l’emissione di uno o più tipi di radiazione ed un certo tempo, che varia da elemento ad elemento (vita media), ritornano spontaneamente ad essere isotopi stabili.

            Nello stesso anno inizia a Roma una grande e metodica serie di ricerche che hanno il fine di bombardare tutti gli elementi della tavola periodica e di studiare gli isotopi degli elementi che si ottengono dopo la reazione nucleare. Tra i fisici del gruppo non vi era chi avesse importanti conoscenze di chimica. Per questo fu associato al gruppo stesso il chimico Oscar D’Agostino. Era lui che, dopo ogni esperimento di bombardamento, doveva studiare le proprietà chimiche dei prodotti di reazione e, alla fine, dire quali elementi si erano ottenuti.

            La cosa non era così semplice. Anche oggi, ad esempio, se si chiedesse ad una persona di raccogliere un campione dei 92 elementi della tavola periodica, avrebbe delle difficoltà. All’epoca le cose erano più complicate ed allo scopo venne addetto Segrè. Egli aveva trovato un negozio di prodotti chimici in Via delle Botteghe Oscure, il cui proprietario, il Sig. Troccoli, gli procurava via via ciò di cui il gruppo aveva bisogno, anche perché aveva delle scorte invendute e perse nella parte più alta degli scaffali. Il sig. Troccoli era uso accompagnare le consegne a Segrè con pittoresche frasi in latino, del tipo: “Rubidium caesiumque tibi donabo gratis et amore Dei“.

            Alle ricerche sperimentali furono impegnati direttamente Fermi, Amaldi, Pontecorvo, Rasetti e Segrè. I lavori erano progettati in modo scrupolosissimo. Intanto era curata la geometria dei sistemi. Dei cilindri cavi, sempre della stessa dimensione, venivano riempiti della sostanza da irradiare. Quindi la sorgente di neutroni veniva posta ad una distanza determinata per uno stesso tempo. Alla fine entrava in scena D’Agostino per studiare i prodotti della reazione.

            Ma dove “si procuravano” i neutroni i nostri ricercatori? Qui entra in scena la mancanza di soldi e la Divina Provvidenza cui abbiamo accennato. Intanto non vi erano soldi per acquistare del materiale radioattivo che, come si può ben capire, era indispensabile. Quindi si dava il caso che l’edificio di Via Panisperna che ospitava l’Istituto di Fisica ospitasse anche l’Istituto Superiore di Sanità (in pratica, pur non essendovi barriere materiali, metà edificio era per la Fisica e l’altra metà per la Sanità: i due Istituti erano divisi da un  lungo corridoio). Inoltre l’Istituto di Sanità era in possesso di un grammo di radio gelosamente custodito in una cassaforte ma, allo stesso tempo, l’Istituto era diretto da un amico di Corbino e Fermi, il già citato Trabacchi (la Divina Provvidenza, con chiaro significato del termine). Ma quel radio non si poteva spostare da lì, la burocrazia è un mostro del giurassico. Però era possibile aprire la cassaforte ed avvicinarsi ad esso. Tanto bastava. I nostri fisici sapevano che del berillio contenuto in una provetta, se esposto alle “emanazioni” del radio (il gas radon) diventava una sorgente di neutroni con cui, successivamente, bombardare i materiali in studio trovati da Segrè. E qui viene la parte atletica dell’impresa. Poiché i neutroni vengono emessi dal berillio irradiato solo per tempi molto brevi, occorreva: aprire la cassaforte che si trovava nell’edificio dal lato opposto del laboratorio di fisica, procedere all’irradiazione della provetta di berillio, quindi CORRERE disperatamente verso il laboratorio di fisica per poter bombardare con i neutroni ottenuti la sostanza in studio (furono Fermi ed Amaldi a fare da staffette, perché migliori velocisti). E così molte volte al giorno per molti giorni.

            Il metodo seguito era quello indicato più su: tra i prodotti della reazione di un dato elemento bombardato si cercavano isotopi di elementi o situati un posto successivo nella tavola periodica (nel caso in cui, bombardati da neutroni, avessero emesso radiazione beta) o elementi situati due posti più indietro nella stessa tavola periodica (se l’elemento in considerazione avesse emesso radiazione alfa). Arrivati all’ultimo elemento bombardato, l’uranio, poiché non vi erano elementi che rispondessero alle caratteristiche chimiche di ciò che si trovava due posti prima nella tavola periodica e poiché non vi era nulla dopo, Fermi, CON MOLTI DUBBI, pensò di aver creato due nuovi elementi il 93 ed il 94 che, proprio perché eventualmente situati al di là dell’uranio, furono detti transuranici. Tutto era da verificare ma la cosa arrivò alle orecchie di Corbino al quale interessavano dei successi SUBITO. Comunicò la cosa ad un convegno ufficiale dell’Accademia dei Lincei, nonostante la contrarietà di Fermi e del gruppo, e battezzò i due elementi “ausonio” (l’attuale “nettunio”) ed “esperio” (l’attuale “plutonio”). Fermi perse addirittura il sonno per questa avventatezza. Andò a parlare con Corbino ed insieme stilarono un comunicato stampa che tentò di palliare le cose dicendo che quanto annunciato era tutto da verificare.

            Cosa era accaduto nelle reazioni nucleari con l’uranio ? Le cose non erano per nulla chiare perché si sovrapponevano svariati fenomeni:

– gli elementi radioattivi prodottisi nel bersaglio erano più di due;

– certamente l’uranio (l’isotopo 238) aveva dato origine a qualche transuranico ma era impossibile ricavarne proprietà chimiche che non si potevano conoscere;

– contemporaneamente l’uranio (l’isotopo 235, presente in percentuale dello 0,7% nel 238) aveva visto i suoi nuclei spezzarsi in due  (o anche tre) pezzi più piccoli (nuclei di altri elementi, anch’essi radioattivi). Si era insomma prodotta la prima FISSIONE NUCLEARE ma Fermi e collaboratori non lo capirono (Amaldi successivamente parlò di “errore storico” del gruppo). Una tale non comprensione derivava dal fatto che il metodo seguito fino ad allora faceva cercare proprietà di elementi chimici “vicini” nella tavola periodica a quello bombardato. A nessuno venne in mente di cercare proprietà chimiche di elementi “lontani”. “Spaccandosi” un nucleo di uranio con 92 protoni, circa la metà di essi costituiscono un pezzo mentre la rimanente quantità di protoni costituisce l’altro pezzo. Occorreva cercare dalle parti del rodio, del palladio, dell’argento, …, insomma verso la metà della tavola periodica degli elementi: si sarebbero trovati isotopi di quegli elementi sovraccarichi di neutroni (l’uranio 235 ha 235 – 92 = 143 neutroni che prevedibilmente si suddividono più o meno al 50% per ogni prodotto di fissione) e pertanto fortemente radioattivi (la radioattività di un isotopo è tanto maggiore quanto più il numero dei neutroni sopravanza quello dei protoni nel nucleo dell’elemento).

            La cosa era stata capita dalla chimica tedesca Ida Noddack che scrisse un articolo e ne  inviò copia a Fermi e collaboratori i quali, però, non vi fecero caso.

            Ulteriori chiarimenti ed esperienze fondamentali vennero dai tedeschi Hahn e Strassman, dagli austriaci Lise Meitner e Otto Frish, dai francesi F. Joliot e I. Curie (tra il 34 ed il 39, momento in cui cadrà il silenzio su tali ricerche per la guerra che Hitler aveva scatenato).

            Nell’ambito delle ricerche sul bombardamento dei vari elementi chimici un’altra scoperta fondamentale fu fatta dal gruppo Fermi. Si tratta della scoperta delle proprietà dei neutroni lenti. Tale scoperta  è alla base del funzionamento di ogni centrale nucleare e  Corbino, circondato dal totale disinteresse del gruppo, la fece brevettare presso un notaio in Roma (brevetto nº 324458). Successivamente (1953), dopo varie vicende legali che vedevano gli USA non riconoscere un tale brevetto, a ciascun componente del gruppo fu data una cifra ridicola, pari a 24.000 dollari a testa(*). Ma vediamo di cosa si tratta.

I NEUTRONI LENTI  

            Gli esperimenti di bombardamento con neutroni dei vari elementi avvenivano nel laboratorio a cui abbiamo già accennato. Il lavoro era abbastanza ripetitivo e non tutti erano sempre presenti ad ogni fase delle successive sperimentazioni. Tutti i risultati raccolti fino all’estate del 1934 erano piuttosto grossolani. Tra i vari isotopi prodotti mediante il bombardamento con neutroni dei vari elementi chimici si era costruita una grossolana scala che prevedeva una “attività” forte, media, debole. Occorreva essere più precisi e fu così che si iniziò nell’autunno del 1934 una nuova serie di ricerche per fornire una scala di “attività” (oggi diremmo di sezione d’urto”) più precisa. Il compito di realizzare tali misure fu affidato ad Amaldi ed all’appena arrivato giovane Pontecorvo.

            Intanto occorreva costruire delle situazioni sperimentali che avessero potuto permettere la riproducibilità dei risultati ottenuti. Anche qui la geometria, la massa, i tempi, le distanze, giocavano un ruolo fondamentale. Come riferimento per le misure venne preso l’argento per il quale si disponeva di risultati molto attendibili Ma, nonostante l’estrema cura con cui ogni esperienza era progettata vi era un qualcosa di straordinario che si presentava in corrispondenza di fattori apparentemente insignificanti. La radioattività del materiale bombardato aumentava vertiginosamente o diminuiva vistosamente se solo l’esperienza si faceva, rispettivamente, su un tavolo di legno o su un tavolo di marmo! Cosa succedeva? Tutto il gruppo fu allertato e tutti iniziarono a tentare di capire il fenomeno. Qual è la differenza principale tra un calcare (il marmo) ed il legno ? La presenza di idrogeno nel secondo. Poteva essere l’idrogeno che aveva un qualche effetto sui neutroni che andavano a bombardare il bersaglio ? Occorreva verificare tale ipotesi. Occorreva interporre un qualche materiale contenente idrogeno tra la sorgente di neutroni ed il bersaglio. Cosa contiene idrogeno ? Certamente la paraffina, ma al momento non se ne disponeva, e poi l’acqua. [Non sono molto certo della vicenda che segue, alcuni storici la raccontano, Segrè, che pure era nel gruppo in quel momento, non ne fa proprio cenno]. Nel giardino dell’Istituto vi era una fontana. Ci si recò subito lì. Seduti sul bordo della vasca si immersero con somma cura gli strumenti in acqua ed … il fenomeno divenne evidentissimo: la radioattività indotta sul bersaglio era cresciuta oltre quanto si potesse ragionevolmente immaginare. Ciò mostrava che l’ipotesi era corretta: interponendo tra sorgente e bersaglio delle sostanze idrogenate si ottiene un effetto moltiplicatore della radioattività indotta. Gli esperimenti furono ripetuti in laboratorio interponendo paraffina tra proiettili e bersaglio ed ancora si ottennero quegli stupefacenti risultati (le esperienze con paraffina sono del 22 ottobre del 1934). La sera di quel famoso 22 ottobre ci si riunì in casa Amaldi. Fermi praticamente dettava, Segrè scriveva e Rasetti, Amaldi e Pontecorvo passeggiando facevano commenti e correzioni ad alta voce. Fecero notte fonda e la domestica la mattina successiva chiese alla signora Amaldi se, per caso, i professori si fossero ubriacati. L’articolo che fu scritto, “Azione di sostanze idrogenate sulla radioattività provocata da neutroni”, fu immediatamente dato a la “Ricerca Scientifica” per la sua pubblicazione. Restava da capire il perché di un tale fenomeno. Fermi ed il suo gruppo lo fecero quasi subito per mezzo della fisica quantistica. Cerchiamo di descrivere sommariamente le cose.

            Un neutrone è un ottimo proiettile perché riesce a penetrare le difese della materia con estrema facilità. Non essendo dotato di carica non subisce repulsioni di sorta da parte del nucleo atomico. Degli elettroni non si preoccupa: il rapporto di massa è di circa uno a 2000 (un bottone di camicia ed una arancia), quindi eventuali elettroni lungo la traiettoria vengono spazzati via. Se si usassero come proiettili gli elettroni, a parte altri inconvenienti, non si avrebbe una massa sufficiente per creare un qualche scompiglio nel nucleo. I protoni hanno una grande massa (circa uguale a quella del protone) e vengono sempre prodotti con una grande energia cinetica, e ciò  vuol dire che sono dotati di grande velocità (superiore ad un km al secondo) e perciò chiamati “neutroni veloci”. Arrivati su una sostanza entrano al suo interno. Alcuni di essi passano tra nucleo e nucleo e non producono effetti. Altri vanno su di un nucleo ed in qualche modo, data la loro elevata energia, riescono ad attraversarlo senza provocare danni di un qualche tipo. Altri infine vanno a finire su dei nuclei e, venendo da questi inglobati, originano l’isotopo radioattivo. Solo pochi neutroni in definitiva arrivano in modo “utile” al bersaglio.

            L’effetto delle sostanze idrogenate sui neutroni che le attraversano è di rallentarli in modo da ridurre la loro velocità a meno di un km al secondo, quando le hanno oltrepassate. È a questo punto che, rallentati, vanno sul bersaglio vero e proprio provocando effetti molto maggiori. E la cosa fu correttamente spiegata dal gruppo Fermi: la probabilità che un nucleo “catturi” un neutrone in arrivo è molto maggiore se il neutrone ha poca energia, dello stesso ordine di grandezza dell’energia propria di vibrazione del nucleo. Quando il neutrone è in “risonanza” con il nucleo (la sua “frequenza” è la stessa di quella con cui vibra il nucleo), avviene la cattura. Insomma un neutrone rallentato non ce la fa ad attraversare un  nucleo che si trovasse sulla sua traiettoria, cresce quindi di molto il numero di atomi dell’isotopo radioattivo che si genera dall’elemento di partenza (aumenta la sezione d’urto e quest’ultimo concetto  mostra anche la possibilità di trasformare un problema di una data natura in problema geometrico):

La notizia di questo risultato si sparse immediatamente per il mondo scientifico (fu lo stesso Rutherford che presentò la ricerca alla Royal Society di Londra) che iniziò subito, sotto questa nuova prospettiva, una nuova e lunga serie di esperimenti. Il gruppo di Roma, comunque, in 4 anni scoprì ben 50 isotopi radioattivi.

Ma siamo arrivati al 1935, inizio della fine della Scuola di Roma. Ciò che la Chiesa aveva fatto nel 1633 lo stava per ripetere il Fascismo: la distruzione di un gruppo, di una vera e propria Scuola che aveva ridato dignità alla ricerca fisica italiana riportandola alla ribalta mondiale. Ma vediamo il susseguirsi degli eventi.  

LE VICENDE DEL GRUPPO FERMI DAL 1935 AL 1938

            È il 1935. Siamo alla vigilia della guerra d’Etiopia ed all’intervento militare italiano nella Guerra Civile Spagnola dalla parte del golpista Franco. Rasetti va negli USA, alla Columbia University, e vi resta. Segrè vince una cattedra di fisica a Palermo e vi si reca (in questa città scoprì il “tecnezio”, primo elemento artificiale che “mancava” nella tavola periodica). D’Agostino assunse un impiego alla Sanità. L’anno successivo fu Pontecorvo che emigrò in Francia. Scriveva Amaldi che “nel 1936 il clima si era fatto molto pesante”. Nel 1937 Amaldi vince la cattedra di fisica sperimentale a Cagliari. Ma proprio in quell’anno muore Corbino ed Amaldi viene chiamato a Roma.. Anche nell’Istituto di Fisica il clima si fa pesante. È il fascista Lo Surdo che sostituisce Corbino alla direzione dell’Istituto e Lo Surdo, lo ricordo, era vecchio nemico, oltreché di Corbino, anche di Fermi.

            Tra il 1933 ed il 1937 si realizza il tramonto scientifico della Germania. Quel Paese che era diventato il luogo dove era concentrato il maggior numero di cervelli del mondo va desertificandosi. Il Nazismo e le leggi razziali funzionanti da subito allontanano gran parte dei fisici (e non solo). Tra i famosi restano solo Heisenberg, Jordan, Hahn e Strassman. Anche la vecchia idea per i nostri fisici di recarsi a studiare in Germania svanisce. Da questa epoca si iniziano a guardare con interesse dapprima la Gran Bretagna e quindi gli USA. Fermi e collaboratori iniziarono a pubblicare in inglese anziché in tedesco (solo Majorana restò impressionato dalla propaganda nazista e scrisse in modo favorevole del clima e dell’ordine che si respirava in Germania negli anni in cui si era recato lì a lavorare con il suo amico Heisenberg).

            Nel 1937 Majorana vince una cattedra a Napoli. A Roma restano solo Fermi ed Amaldi.

            Arriviamo al 1938, l’anno scellerato. Inizia con la scomparsa di Majorana (sulla cosa si ampiamente fantasticato e non mi soffermo qui su di essa: in bibliografia riporterò testi che si occupano del caso). A seguito dell’annessione dell’Austria da parte della Germania, Schrödinger viene a Roma e chiede a Fermi di trovargli rifugio in Vaticano. Una telefonata informa la famiglia Fermi che ad Enrico è stato conferito il premio Nobel per la fisica. Ma questa notizia si accavalla all’altra: in Italia vengono promulgate le leggi razziali! Il nostro Paese che è sempre stato alieno da questi fenomeni di razzismo e che, anzi, ha rappresentato in passato un rifugio per ebrei perseguitati, ad esempio, dalla Spagna cattolica, si trova ora con queste leggi infami. Gli ebrei debbono lasciare il loro lavoro e su di loro si addensano le nubi annunciate da notizie sconvolgenti provenienti dalla Germania. Fermi è colpito da tali leggi negli affetti più cari: sua moglie Laura è ebrea. Senza farne parola con nessuno (ma avendolo certamente capito la famiglia amica, gli Amaldi), Fermi si recò a ritirare il Nobel per non ritornare in Italia: accettò una cattedra alla Columbia University. Segrè, che si trovava negli USA per motivi di studio, seppe di essere stato licenziato e non ritornò in Italia accettando una cattedra a Berkeley (nel 1940 scoprirà l’elemento “astato”; nel 1955 scoprirà l’antiprotone e nel 1959 sarà Nobel per la fisica). Rasetti nel frattempo si era recato in Canada, mentre Pontecorvo, dalla Francia, era passato in URSS(**). Nel 1939 a Roma era restato il solo Amaldi (egli aveva provato a chiedere una qualche sistemazione negli USA ma, da una parte, tutto era saturo dalla gran mole di scienziati che si recavano in quel Paese e, dall’altra, la moglie di Edoardo, Ginestra spingeva per restare in Italia e non abbandonare un campo che in definitiva era stato arato e seminato così bene). Da questo punto le strade di ognuno si dividono e solo casualmente qualcuna di esse si incrocerà in imprese scientifico-militari negli USA. Ora io seguirò la strada di Fermi, rimandando ad altro lavoro per seguire, da questo punto, le meritorie imprese di Edoardo Amaldi.

            Altri grandi italiani che lasciarono l’Italia a seguito delle leggi razziali o anche solo perché antifascisti, vanno almeno ricordati: i matematici Fano, Fubini e Beniamino Segre, il fisico Leo Pincherle, la neurobiologa Rita Levi Montalcini (premio Nobel nel 1986), il virologo Salvador E. Luria (premio Nobel nel 1969), l’economista Modigliani (premio Nobel 1985), il musicista Toscanini, … e tanti, tanti altri.

            Ci si rende conto del danno che ha subito l’Italia?

FERMI NEGLI USA: ALCUNI ELEMENTI DI FISICA DELLA REAZIONE A CATENA

            Tra il 1938 ed il 1945 Fermi lavora freneticamente negli USA con la amicizia, stima e collaborazione di svariati scienziati europei profughi come lui: Szilard, von Neumann, Wigner e Teller, ungheresi; Bohr, danese; Frisch, austriaco; …

            Nel 1939 Fermi ipotizzò la possibilità di realizzare “la reazione a catena”. Tento, anche qui per sommi capi, una spiegazione del fenomeno.

            L’uranio che si trova in natura è in grandissima parte l’isotopo 238. Solo lo 0,7% di tale uranio è l’isotopo 235 (vi sono poi altri isotopi ma sono così rari che tanto vale non tenerne conto). Disponendo di una sorgente di neutroni per bombardare tale uranio ciò che accade è che qualche nucleo di uranio si spacca in due pezzi ma la gran parte dei neutroni è assorbita dal resto dei nuclei formando transuranici con tutto il processo che si ferma qui. Iniziamo con l’osservare che dalla rottura di un nucleo di uranio si generano oltre ai due pezzi principali di cui dicevo, anche 2 o 3 neutroni (in media 2,3). Questi neutroni sono veloci e solo qualcuno di essi riesce a rompere qualche altro nucleo. Per aumentare il numero dei nuclei di uranio che si rompono, con il conseguente aumento del numero dei neutroni prodotti, occorre procedere in due possibili modi. O si usa l’uranio naturale (il 238) e si rallentano tutti i neutroni che attivano i processi di rottura utilizzando una sostanza idrogenata efficientissima (come l’acqua pesante, che è la normale acqua in cui l’idrogeno è sostituito dall’isotopo deuterio: su questa strada si è mosso il Canada) oppure si deve disporre di più nuclei  di uranio “disposti” a farsi rompere. Il 238 non gode di una tale proprietà, per rompersi necessita di neutroni lenti. Invece il 235 si rompe con neutroni di qualsiasi energia (veloci o lenti che siano). Ma nell’uranio naturale la percentuale di uranio 235 è piccolissima. Occorre allora “arricchire” tale percentuale per portarla almeno al 3,5% (usi pacifici, in centrali nucleari) o al 7% (usi militari, in bombe atomiche). I due processi, la fabbricazione dell’acqua pesante o l’arricchimento della percentuale di uranio 235 in 238 (più semplicemente (arricchimento) sono processi sofisticatissimi richiedenti tecnologie avanzatissime ed in gran parte segrete per motivi economico-industriali e, soprattutto, militari. La strada che fu scelta dagli USA fu quella dell’arricchimento dell’uranio. Disponendo quindi di uranio arricchito, bombardandolo con neutroni di qualunque energia (meglio comunque se lenti), tali neutroni incontrano sempre un nucleo da rompere (quello dell’uranio 235); da tale rottura fuoriescono i 2,3 neutroni che incontreranno altri nuclei di uranio 235 da rompere in un processo che interessa rapidissimamente l’intera massa dell’uranio a disposizione. A questo punto occorre ricordare una cosa già detta quando ho parlato dell’equivalenza massa energia, scoperta da Einstein. Ad ogni rottura di un nucleo di uranio corrisponde l’emissione di una grande quantità di energia (la massa dei pezzi separati è diversa da quella del nucleo originale, ed ad ogni variazione di massa si accompagna una enorme emissione di energia). Se queste rotture si producono con continuità si produce energia con continuità. Il modo di raccoglierla è, in linea di principio, attraverso lo scambio del calore prodotto con dell’acqua che produce vapore ad altissima pressione ed alta temperatura, vapore che va su una turbina per ulteriori trasformazioni energetiche. Nel caso di uso militare. I nuclei interessati al processo devono essere di più e la massa deve essere adeguata in modo che il processo di rottura sia così rapido da diventare immediatamente esplosivo. Naturalmente quanto detto è estremamente semplificato. I processi ed i problemi a latere sono enormi. Voglio indicarne uno solo. Mentre sta funzionando un reattore producendo energia con le rotture dei nuclei dell’uranio 235, cosa accade dell’uranio 238 ? Va via via diventando Nettunio che poi rapidamente diventa Plutonio. Il Nettunio ha vita effimera e quindi non lo prendiamo in considerazione. Ma il plutonio è un materiale prezioso per i suoi usi civili o militari che siano. Il fatto è che è incrostato con quei pezzi di uranio 235 che si sono rotti ed ora sono solo scorie ad alta radioattività. Ma non si può buttare il tutto (e dove poi?). Occorre recuperare il plutonio. Con nuovi processi sofisticati (lavaggi con acidi, stoccaggi in apposite piscine, …) si separa il plutonio dalle scorie. Il plutonio è prezioso perché ha le stesse proprietà nucleari dell’uranio 235: per rompere i suoi nuclei vanno bene neutroni di qualunque energia. Quindi questo plutonio può essere usato direttamente di nuovo in altri impianti nucleari, ma di altro tipo, più critici (è la tecnologia francese dei reattori così detti “veloci”) perché operanti a più elevate temperature e pressioni e necessitando di raffreddamenti importanti che non sono realizzabili con la normale acqua ma sono fattibili, ad esempio, con sodio liquido. Per uso militare il plutonio è poi una vera “gioia”: con soli 5 kg di tale sostanza si può costruire una bomba tipo Hiroshim

            L’idea di Fermi era che dalla rottura di un nucleo di uranio dovevano venir fuori anche dei neutroni . Accadeva ciò ? E, se sì, con quale energia ? Tutto questo è vitale saperlo per capire se una reazione a catena possa sostenersi. Se no, cosa fare per arrivare al risultato che ci si propone? Che materiali usare per rallentare i neutroni? Quali di essi hanno più efficienza? Come controllare il processo? Come realizzare i contenitori? Che geometria utilizzare ? Quali materiali sono più adatti a determinate temperature ? Insomma , data una idea per passare alla sua realizzabilità si apre una montagna di problemi che non si risolvono solo con carta e penna ma che richiedono uno sforzo pauroso di moltissimi cervelli, una collaudatissima ed avanzatissima tecnologia, una quantità di denaro impressionante. Ritorno qui a quel commento che facevo all’inizio: anche se Fermi & C fossero restati in Italia, non avrebbero mai potuto realizzare una impresa di questo tipo.

LA GUERRA FINO A PEARL HARBOR

            Si inserisce a questo punto la vicenda della guerra che Hitler scatena proprio a partire dal 1939. Le ultime comunicazioni scientifiche pubblicate (prima del silenzio bellico) parlavano di due scienziati tedeschi, Hahn e Strassman, che avevano realizzato dei processi di fissione nucleare. Hitler si andava impadronendo rapidamente di gran parte dell’Europa. Cosa ne era delle ricerche nucleari in Germania? Solo degli scienziati, tecnici ad alto livello dei problemi in gioco, potevano intravedere cosa sarebbe potuto accadere con una tecnologia nucleare in mano a quel Paese.

            Poco tempo dopo i risultati di Hahn e Strassmann, Lise Meitner e Otto Frisch, scienziati ebrei profughi in Svezia e Danimarca, confermarono i risultati dei due scienziati tedeschi. Frisch parlò subito della cosa a Bohr che stava per recarsi negli USA. L’energia che si liberava era proprio quella prevista da Einstein e la fissione poteva diventare micidiale se dalla rottura dei nuclei di uranio si fossero liberati neutroni sufficienti (più di 2). Questa cosa fu confermata dai lavori di Joliot e Curie. Nel 1939 Fermi e Szilard confermarono la presenza dei neutroni nella fissione dell’uranio. Simultaneamente la stessa cosa era verificata da Frisch a Copenaghen. Sempre nel 1939 fu Bohr che informò gli scienziati americani di ciò che accadeva in Germania. Intanto, dalla Francia, Joliot confermò che i neutroni che si liberavano dalla fissione erano più che sufficienti per produrre altre fissioni.

            Nel febbraio del 1939 Bohr e Wheeler avevano verificato che solo l’uranio 235 si sarebbe fissionato bombardandolo con neutroni. Ciò significava due cose: 1) una eventuale bomba costruita con uranio 235 avrebbe avuto grosse probabilità di esplodere; 2) date le difficoltà di separare l’uranio 235 (cosa che con due metodi diversi riuscirono a fare i due fisici americani Lawrence ed Oppenheimer) solo un grosso complesso industriale sarebbe riuscito nell’impresa.

            L’insieme di queste notizie fece crescere l’allarme tra gli scienziati, soprattutto profughi. Nell’aprile Fermi parlò della cosa ai comandi della Marina USA, ma non accadde nulla. A lugli Szilard e Wigner si recarono da Einstein (che dal 1933 lavorava a Princeton) per chiedergli di usare la sua amicizia con la Regina Madre del Belgio affinché fosse bloccato il commercio di uranio tra il Congo Belga e la Germania. In breve tempo Szilard capì che era un’altra era la strada da seguire. Si recò di nuovo da Einstein con Teller e questa volta gli chiese di scrivere una lettera direttamente al Presidente Roosvelt. La lettera fu scritta il 2 agosto del 1939 quando già la Cecoslovacchia era caduta in mano nazista. Essa fu consegnata in persona a Roosvelt dall’economista Sachs l’11 ottobre dl 1939,quando anche la Polonia  era stata occupata. Il Presidente istituì un comitato consultivo per l’uranio; ancora nel marzo del 1940 tale comitato non aveva praticamente fatto nulla. Szilard e Sachs fecero di nuovo pressione su Einstein perché scrivesse una seconda lettera, cosa che fece il 7 marzo del 1940. Einstein fu invitato a far parte del comitato, ma rifiutò sottolineando però la necessità di agire in fretta.

            Nel maggio 1940 Hitler invase Olanda e Belgio. Nel giugno vi fu la resa della Francia. Mentre la Gran Bretagna resisteva, nel giugno del 1940 Hitler iniziò l’invasione dell’URSS.

            In Gran Bretagna, agli inizi del 1940, Frisch e Peierls (profugo dalla Germania) calcolarono in circa il 7% la percentuale di uranio 235 che sarebbe stata necessaria all’esplosione di un ordigno nucleare. Essa era relativamente piccola e quindi si affrettarono ad informare il governo britannico dei pericoli di realizzabilità di un ordigno da parte tedesca. La Gran Bretagna ebbe una certa influenza sugli USA ed il 6 dicembre del 1941 si decise di impegnare ogni sforzo nella realizzazione di una bomba che utilizzasse la fissione nucleare. Esattamente il giorno dopo il Giappone attaccò la base americana di Pearl Harbor: anche gli USA furono coinvolti direttamente nella guerra.

L’ACCELERAZIONE DELLE VICENDE POLITICO-SCIENTIFICHE

            Alla fine del 1941 non era stata ancora separata né una quantità apprezzabile di uranio 235 né di plutonio. Si conoscevano già bene le proprietà fondamentali delle sostanze che avrebbero giocato un ruolo fondamentale. Si sapeva con una certa precisione quale sarebbe dovuta essere la massa critica. Non era mai stata realizzata una reazione a catena.

            Nell’ambito di un primo approccio al processo “bomba”, il fisico statunitense A. Compton fu messo a capo del progetto “reazione a catena”. Nel gruppo di Compton c’era Fermi ed il lavoro si svolgeva a Chicago.. È da notare che, dall’attacco giapponese a Pearl Harbor, essendo il Giappone alleato dell’Italia, ogni italiano era ritenuto negli USA un potenziale nemico. Furono costruiti dei campi di concentramento (niente di drammatico!) in cui moltissimi italiani furono raccolti. Il fatto che Fermi, come altri, fosse venuto negli USA per sua scelta, per la indiscutibile non condivisione della politica del Fascismo, faceva di lui un nemico-amico. A Berkeley, Lawrence tentava la separazione dell’uranio 235 con metodi elettromagnetici. Sempre a Berkeley Oppenheimer (con Teller, Bethe, Serber) tentava di progettare la “bomba” nell’ipotesi che si fossero realizzati i materiali che sarebbero stati teoricamente indispensabili. Ancora a Berkeley, Segrè (con Chamberlain e Wiegand) collaborava sia con Lawrence che con Oppenheimer (siamo, a questo punto, nell’estate del 1942).

            Il 17 settembre del 1942 nacque ufficialmente il “PROGETTO MANHATTAN” e la sua direzione fu affidata al generale Groves (con il generale Farrel ed il colonnello Nichols come collaboratori). Groves riuscì a fondere interessi militari con necessità scientifiche attraverso la “mediazione” e l’intervento della grande industria. Gli impianti industriali iniziarono a fornire uranio arricchito e grafite purissima (Dupont) per la costruzione del primo impianto (centrale) nucleare del mondo: la “pila atomica”. Essa fu realizzata nell’unico grande ambiente disponibile, quello esistente sotto le gradinate dello stadio di football di Chicago. Il capo del progetto era Fermi e la centrale funzionava con uranio naturale, utilizzando come rallentatore di neutroni (moderatore)  blocchi di grafite purissima. Lo scopo della “pila” non era la produzione di energia, ma la produzione di quel prodotto “secondario” che è il Plutonio. Questo materiale sarebbe servito per la “bomba”. Il giorno della sua entrata in funzione fu il 2 dicembre del 1942.

            Ciò che ormai si sapeva era che la bomba sarebbe stata costituita da due pezzi di plutonio, ciascuno dei quali non possedente la massa critica. Ad un dato istante i due pezzi venivano posti a stretto contatto in modo che la massa diventasse critica producendo l’esplosione. Ma, come realizzare il tutto? Come farlo in assoluta segretezza? Nel luglio del 1943 si scelse un piccolo villaggio, Los Alamos, nel deserto del Nuovo Messico per costruire gli impianti necessari alla realizzazione dell’intero progetto. La direzione scientifica fu affidata ad Oppenheimer.

            Il programma di Los Alamos, messo a punto da Rabi, Allison, Lewis e Fermi richiedeva calcoli delle proprietà esplosive dell’uranio 235, del plutonio,  dell’idruro di uranio, delle forme geometriche più efficaci per la massa critica e della riflessione dei neutroni sulle pareti del contenitore per diverse combinazioni e possibilità costruttive della bomba. Il lavoro fu subito suddiviso tra teorici e sperimentali.

            I fisici teorici dovevano perfezionare la teoria della diffusione dei neutroni nella bomba per determinare la distribuzione di energia dei neutroni di fissione e la dipendenza delle sezioni d’urto da queste energie, tutto ciò al fine di studiare l’idrodinamica dell’esplosione nucleare e gli effetti di grandi quantitativi di radiazioni liberate oltre ad analizzare i problemi connessi con il tempo di assemblaggio delle due masse subcritiche, la detonazione e la predetonazione.

            I fisici sperimentali dovevano osservare il numero medio di neutroni che si originavano dalla fissione dell’uranio 235 e del plutonio, l’intervallo di energia dei neutroni, le sezioni d’urto di fissione per l’uranio 235 ed il plutonio, la differenza di tempo tra l’inizio della fissione e l’emissione di neutroni, la diffusione dei neutroni e le sezioni d’urto di cattura. Per realizzare tutto ciò vennero realizzate in tempi record delle macchine impressionanti (per l’epoca): quattro acceleratori di particelle ed un reattore nucleare (del tipo ad acqua bollente) che lo stesso Fermi mise a punto nel Canyon di Los Alamos nel 1943 (si noti che a Los Alamos Fermi ritrovò Segrè e Bruno Rossi).

            I programmi di chimica e metallurgia erano focalizzati sulla purificazione dell’uranio 235 e del plutonio, la preparazione di materiali per esperimenti nucleari, un “iniziatore” neutronico per la bomba e la riduzione di uranio e plutonio a metalli.

            Fu una commissione, diretta  da Lewis, ad ampliare questo programma con l’introduzione di questioni di artiglieria.

            I laboratori erano suddivisi in varie divisioni: fisica teorica, fisica sperimentale, chimica e metallurgia, …., divisione F (nata nell’agosto del 1944, all’arrivo stabile di Fermi a Los Alamos, giusto un mese dopo aver ottenuto la cittadinanza americana. Nonostante tutto ciò che aveva fatto, di lui ancora non ci si fidava) che era l’abbreviazione di divisione Fermi (con cui collaborava il matematico J. von Neuman) il cui compito era di “consigliare tutti i bisognosi” (fino all’agosto del 1944 Fermi aveva lavorato al progetto Manhattan ma non stabile a Los Alamos, proprio per il suo ruolo di nemico-amico. I suoi lavori precedenti erano stati realizzati a Chicago, Oak Ridge, Hanford). Si dovettero superare enormi difficoltà sia scientifiche, sia teoriche che sperimentali, sia tecnologiche ma, nel corso di due anni, nel luglio del 1945, tutto era pronto per il grande esperimento.

            È interessante un cenno allo spirito burlesco che, nonostante la situazione, manteneva Fermi, irritato dalle smanie antispionistiche che braccavano tutto e tutti. Più volte fu udito affermare di aver ricevuto una busta con l’avvertenza di “Bruciare prima di leggere” ed altre di aver raccontato di aver udito alcuni ufficiali sostenere: “È stato un errore mettere tutti questi scienziati a conoscenza della faccenda; se il generale Groves fosse l’unico a sapere della bomba atomica, avremmo potuto essere più tranquilli”. Usava poi scrivere al suo giovane amico Feynman, che ricambiava, con falsi codici. La cosa mandava fuori di senno il controspionaggio perché nessuno avrebbe potuto decifrare un codice inesistente.

            Nel frattempo ….

            – Hitler era morto (aprile 1945);

            – la Germania era occupata (maggio 1945);

            – i supposti progressi tedeschi sulla strada della “bomba” erano inesistenti (in un

              laboratorio scavato sotto una montagna fu trovato Heisenberg a lavorare in

              modo che, rispetto a quanto fino ad ora accennato, poteva ritenersi artigianale

             (in Germania sembra non si fosse data eccessiva importanza all’energia nucleare

             preferendo la strada della missilistica con ingenti finanziamenti per le V1 e V2

             di von Braun);

            – il Giappone resisteva ma, a partire dall’aprile, in Svizzera, rappresentanti

              giapponesi avevano iniziato sondaggi per  conoscere le condizioni USA per

              la resa (in luglio lo stesso capo di stato maggiore, Mikado, tentò l’inizio di

              negoziati;

            – l’URSS aveva vinto ed in brevissimo tempo avrebbe potuto dilagare in tutta

              Europa; nel frattempo stava attaccando il Giappone da Ovest nei territori della

              Manciuria che il Giappone occupava in Asia.

            Sorse, a questo punto, tra gli scienziati atomici, l’idea che la bomba non sarebbe più stata necessaria. Qualcuno tentò una mediazione: la bomba sarebbe stata costruita e fatta esplodere in un deserto alla presenza di una delegazione internazionale di scienziati e religiosi come dimostrazione della “superiorità” USA e della mostruosità della bomba medesima. Iniziò il cammino inverso a quello di sei anni prima. Nella primavera del 1945, Szilard ed Einstein tentarono di intervenire presso Roosvelt per bloccare la bomba ma Roosvelt morì prima di aver potuto conoscere la documentazione che i due scienziati avevano preparato. Il Presidente  Truman consultò una commissione (cinque politici, tre scienziati militari, Groves, Oppenheimer, Fermi, Compton, Lawrence) alla quale non chiese se usare o no la bomba, ma dove usarla. Riassumendo, la risposta fu: su una città del Giappone senza avvertire il nemico della natura dell’arma. Vi fu una forte controffensiva degli scienziati atomici (J. Franck, Szilard, Rubinovich, …). Scrissero al Segretario di Stato informandolo della tragedia che avrebbe rappresentato la bomba. Da questo appello solo Fermi e Lawrence restarono colpiti. Fu così che Truman dette via libera ai militari. Il 16 luglio del 1945 vi fu la prima esplosione atomica sperimentale nel deserto di Alamogordo (vicino Los Alamos). Il 6 agosto fu colpita Hiroshima (con una bomba di uranio arricchito) ed il 9 agosto fu colpita Nagasaki con una bomba di plutonio. Il vero fine era raggiunto: l’URSS era avvertita.

            A questo punto un solo cenno al ruolo di Fermi nelle future vicende nucleari USA. Di fronte all’esplosione della prima atomica sovietica 1949, vi fu una spinta enorme alla costruzione di una “superbomba” (quella da fusione nucleare, la bomba H). Tra i fautori: Teller, Lawrence ed il banchiere Strauss. Oppenheimer era decisamente contrario e lo stesso Fermi fu accanito avversario del progetto. Ma Truman dette il via al progetto iniziando quella caccia alle streghe che vide Oppenheimer accusato di aver passato i piani della bomba all’URSS. Solo più tardi si seppe che l’opera di spionaggio era del fisico Klaus Fuchs per ragioni non politiche ma religiose (!). Intanto addirittura un giornale come Scientific American veniva fatto sequestrare perché aveva osato pubblicare un appello di H. Bethe contro la superbomba! E qui inizia la storia della corsa agli armamenti che tutti conoscono e che esula da questo lavoro che vuole individuare la traiettoria scientifica (purtroppo intersecatasi con quella militare) di Enrico Fermi.

GLI ULTIMI ANNI

            Nel luglio1944, quando furono risolti molti impedimenti legali (tra cui la caduta del Fascismo e la resa incondizionata agli USA del Governo Badoglio), a Fermi fu concessa la cittadinanza americana. Nel 1946 ottenne la Medaglia al Merito del Congresso degli Stati Uniti. Formalmente, a partire dal 1º luglio del 1945, accettò la carica di professore all’Università di Chicago. Per nove anni, fino al 1954, data della sua prematura scomparsa, mantenne tale posto sfruttandolo per la ricerca che sempre era stata la sua passione insieme all’insegnamento (i suoi libri, le sue dispense, le testimonianze dei suoi allievi concordano tutte nel senso di un grande educatore di intere generazioni di fisici). Di neutroni ormai sapeva tutto. Era ora di cambiare indirizzo di ricerca e passò così ai mesoni di Yukawa ed ai raggi cosmici., mantenendo sempre il suo duplice ruolo di fisico teorico e fisico sperimentale.

            Tralasciamo la fisica teorica che sviluppò in quegli anni per la difficoltà di spiegarla in modo appena comprensibile, tracciamo in breve gli indirizzi di ricerca sperimentale.

            Le grandi disponibilità di quella Università, i suoi ricchissimi laboratori gli mettevano a disposizione strumenti sofisticatissimi per la ricerca. A questo si deve aggiungere il superamento di problemi materiali e la sua relativa agiatezza con lo stipendio che gli passava l’Università. Nel 1947 l’Università di Chicago mise in cantiere un generatore di enorme energia, un ciclotrone. La macchina entrò in funzione nel 1951 e Fermi si appassionò a questo nuovo ramo di ricerca (fisica delle particelle elementari, in luogo di fisica nucleare). Da questa macchina venivano fuori mesoni prima rilevati solo nei raggi cosmici. Il loro studio sperimentale e la loro elaborazione teorica occuparono gran parte del tempo di Fermi. Altra questione che gli farà elaborare una teoria che mette in gioco questioni relative all’origine dell’universo è l’enorme energia che hanno le particelle che il Sole ci scaglia (i raggi cosmici), tra cui protoni. È un poco la stessa cosa che si verifica in un ciclotrone solo con energie enormemente più grandi: da dove si originano ? Gli ultimi suoi esperimenti riguarderanno le interazioni tra i mesoni del nucleo con i suoi componenti principali, neutroni e protoni.

            Siamo arrivati al 1954, Fermi è stanco. Accettò comunque di fare, nell’estate,  un  viaggio in Europa per un congresso sui mesoni che si tenne a Varese e per un seminario sui raggi cosmici che si tenne alle Houches, in alta montagna, vicino Chamonix. Ne approfittò e salì fino al Col du Midi, ritrovando la sua vecchia passione per l’alpinismo.

            Tornato negli USA gli diagnosticano un tumore nell’intestino, ormai talmente esteso da non poter essere operato. Accettò serenamente la cosa e “socraticamente”, come egli stesso disse, si avviò a morire il 29 novembre del 1954. Aveva solo 53 anni!

L’estate seguente, dopo che era stato scoperto da Seaborg un nuovo transuranico, il 100, fu proposto alla conferenza  di Ginevra di chiamarlo con il suo nome, FERMIO. La proposta fu accettata all’unanimità.

            Si chiude qui la vicenda di Fermi, nato a Roma e morto a Chicago. Altro duro colpo per la nostra fisica. Per fortuna le cose furono prese in mano da Edoardo Amaldi che, nel 1938 avevamo lasciato solo a Roma.

            In altro articolo riprenderò la vita e l’opera di Amaldi da dove si separarono con Fermi, per seguire le vicende della fisica italiana negli ultimi anni.


BIBLIOGRAFIA

La gran parte delle notizie qui riportate sono tratte da:

E. Segrè – Enrico Fermi, fisico – Zanichelli, Bologna 1976.

P. de Latil – Fermi – Accademia, Milano 1974.

L. Fermi – Atomi in famiglia – Mondadori, Milano 1954.

Le memorie di Amaldi di quella epoca eroica sono in:

E. Amaldi – Neutron Work in Rome in 1934/1936 – Riv. Stor. Sci. 1, (1), 1984.

Vi sono poi molti altri libri che parlano di Fermi, molti in modo assolutamente specialistico e non è qui il luogo per ricordarli. Altri libri invece di interesse per il loro carattere, almeno in parte, divulgativo sono:

B. Pontecorvo – Enrico Fermi – Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1993.

M. De Maria – Enrico Fermi – Le Scienze, Milano 2000 (l’amico Mimmo mi ha deluso, questa storia è superficiale e con un clamoroso errore).

Vi è poi un capitolo di un saggio dello storico statunitense Gerard Holton che merita di essere letto:

G. Holton – The Scientific Imagination: Case Studies – Cambridge University Press, Cambridge 1978.

Sulle vicende di Los Alamos vi sono vari lavori. Io consiglio:

 P. Goodchild – Oppenheimer – BBC, Londra 1980.

 M. Rouzé – Oppenheimer – Accademia, Milano 1973.

 A. McKay – The Making of the Atomic Age – Oxford University Press, Oxford 1984.

 P. Greco – Hiroshima. La fisica conosce il peccato – Editori Riuniti, Roma 1995.

 Un agile ed eccellente libro che spiega in modo semplice i principi della fisica nucleare è:

AA: VV – The Harvard Project Physics Course. Unità 6: Il nucleo – Zanichelli, Bologna 1977.

Sulla storia delle vicende scientifiche italiane fino all’Unità (ma anche oltre) si può vedere l’ottimo libro:

AA. VV. – Storia d’Italia. Annali 3: Scienza e Tecnica – Einaudi, Torino 1980.

Le vicende di Bruno Pontecorvo nel suo esilio volontario e poi in URSS sono raccontate in un libro molto superficiale di Miriam Mafai (Il lungo freddo, Mondadori 1992).

  Le vicende di Ettore Majorana sono raccontate in vari libri. La biografia scientifica più attendibile è quella scritta da Edoardo Amaldi per “Il Nuovo Saggiatore”. Vi è poi uno scritto fantasioso di Leonardo Sciascia (a seguito del quale Amaldi sollevò una dura polemica). Infine l’attuale studioso di Majorana, che ha raccolto maggior materiale documentario, è il fisico E. Recami.

  Su Amaldi fornisco la bibliografia specifica al termine dell’articolo che si occupa di lui.


(*) 

SESSANT’ANNI DALL’ATOMICA
Compenso in ritardo per i neutroni lenti

di Simone Turchetti

www.galileonet.it/dossier/6255/compenso-in-ritardo-per-i-neutroni-lenti,


Simone Turchetti è ricercatore presso il Centre for History of Science, Technology and Medicine della University of Manchester, UK.


L’invenzione descritta nel brevetto N. 2206634 riguarda il processo base utilizzato nella ricerca e sviluppo che conducono alla produzione dell’energia e della bomba atomica. Questa invenzione è quindi di assoluta importanza nella produzione di materiali fissili e di armi nucleari (1).
Capo della commissione: Così lei mi dice che Tizio potrebbe aver fatto la più importante invenzione in questo campo e ciò nonostante essere privato di qualsiasi compenso per essa? Capitano Lavander: Esatto. Questo è quanto potrebbe succedere nel caso in cui Tizio rifiutasse il compenso che noi gli avessimo offerto (
2).

Il generale Leslie Groves, uno dei comandanti del genio dell’esercito statunitense, decise di adottare l’innocente nome di Manhattan Engineering District (o MED) per uno dei suoi progetti meno innocenti: la costruzione della prima bomba atomica. Manhattan era infatti il quartiere della città di New York che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ospitò il quartier generale di quel corpo di armata. Groves e i suoi genieri diressero un gruppo di scienziati provenienti da tutto il mondo verso il successo di quell’impresa, dotandoli delle strutture di ricerca necessarie. Dal 1943, la maggior parte di loro fu ospitata nel Nuovo Messico, dove i militari costruirono un villaggio e un laboratorio vicino al canyon di Los Alamos. Fu lì, nella massima segretezza, che furono assemblati i due ordigni nucleari che avrebbero messo fine al conflitto fra Stati Uniti e Giappone attraverso il bombardamento delle città di Hiroshima e Nagasaki.

Il Progetto Manhattan continua a essere considerato una pietra miliare nello sviluppo della scienza contemporanea perché segna il passaggio alla big science, ovvero alla ricerca contraddistinta da grandi investimenti con il coinvolgimento su larga scala di ricercatori, laboratori e strumenti di ricerca e di complesse strutture organizzative (3).
Nel corso degli ultimi cinaquant’anni molti studiosi hanno contribuito a scrivere la storia del Progetto Manhattan (
4). Tuttavia, uno degli aspetti più interessanti e meno studiati di questa impresa sembra essere la gestione dei brevetti e delle invenzioni, della quale si conoscono solo alcuni dettagli. Per esempio, Richard Rhodes ha mostrato che già nel dicembre del 1942, quando il Progetto Manhattan era appena iniziato, alcuni scienziati chiesero compensi per dei processi nucleari brevettati prima della guerra (5).
Altri storici hanno dimostrato come nel contesto del Progetto Manhattan si definirono le leggi che permisero poi agli Stati Uniti di appropriarsi di invenzioni e brevetti ottenuti da singoli ricercatori che vi avevano presero parte. Sappiamo anche che tale appropriazione causò conflitti tra chi gestiva il progetto e singoli scienziati (
6). E che nel dopoguerra vi furono vari annosi contenziosi giudiziari il governo degli Stati Uniti in merito a brevetti “atomici” (7).

In questo articolo ricorderemo uno di questi contenziosi: quello di Enrico Fermi e i suoi ex-collaboratori (il famoso gruppo di via Panisperna) con i rappresentanti del governo degli Stati Uniti. Nel 1934, i ricercatori italiani avevano ideato un metodo per migliorare l’efficienza delle reazioni nucleari attraverso il rallentamento dei neutroni, e lo avevano brevettato. Nel corso del Progetto Manhattan questo brevetto si rivelò di fondamentale importanza per gli usi militari e industriali dell’energia atomica. Al suo impiego nel corso della guerra e nel dopoguerra avrebbe dovuto – in termini di legge – corrispondere un compenso per i suoi titolari (
8). Ma così non fu. Il Progetto Manhattan trasformò in modo sostanziale la dinamica economica e legislativa dello sfruttamento delle invenzioni (9). Come vedremo, se le conseguenze di questo cambiamento furono ad ampio spettro, esse furono per Fermi del tutto negative.

Fermi e il brevetto sui neutroni lenti, 1938-1941
Nel dicembre del 1938, Enrico Fermi e la sua famiglia emigrarono negli Stati Uniti. Dalla Svezia, dove si trovava per la consegna del premio Nobel, dopo la cerimonia l’illustre fisico italiano si imbarcò sulla nave che lo portò in America. Ad accoglierlo dall’altra parte dell’oceano fu un suo ex-allievo, Gabriello Maria Giannini, il quale si occupava della promozione di nuove invenzioni: dal suo ufficio di Manhattan offriva ad aziende americane le licenze di nuovi brevetti in cambio di denaro. Giannini fu contentissimo di rivedere il suo maestro e lieto di procurare tutto il supporto necessario in un momento particolare della vita del fisico italiano. Ma per lui l’arrivo di Fermi era anche l’occasione per parlare di affari molto importanti.

Fin dal 1935 Giannini si era occupato della commercializzazione dei brevetti di Fermi. Nel 1934, il fisico italiano insieme agli altri “ragazzi di via Panisperna” aveva scoperto che, nel corso di reazioni nucleari, sostanze idrogenate come la paraffina possono moderare la velocità dei neutroni. Il rallentamento aumenta l’efficenza delle reazioni stesse, e permette la creazione di sostanze radioattive artificiali (o radioisotopi) in quantità molto maggiore rispetto a reazioni con neutroni veloci. Sollecitato da Orso Mario Corbino, Fermi aveva deciso di fare domanda per una privativa industriale sul metodo di produzione dei radioisotopi attraverso l’uso dei neutroni lenti (
10). Al tempo egli credeva che il metodo potesse trovare applicazione nell’industria (11). In particolare, pensava alla possibilità di usare i radioisotopi in medicina (nella diagnosi e nella cura delle malattie), ma anche in chimica, fisica e fisiologia come sostanze traccianti. La domanda di brevetto era a nome di Fermi e di altri sei inventori: Emilio Segrè, Franco Rasetti, Bruno Pontecorvo, Oscar D’Agostino, e Giulio Cesare Trabacchi (12). Nel corso del 1935, Fermi stipulò anche un contratto con la olandese Philips per garantire lo sfruttamento dell’invenzione in Europa. La Philips era particolarmente interessata al metodo perché produceva strumenti radioemittenti usati in medicina e si diede da fare per presentare domanda di brevetto in altri 16 dei maggiori stati europei (13).

Nello stesso 1935, Giannini richiese il brevetto negli Stati Uniti e in Canada e avviò trattative con la General Electric e la Westinghouse per la vendita di licenze. Non fu una impresa facile, perché proprio in quell’anno le sanzioni dovute alla guerra in Etiopia generarono in molti italiani all’estero il timore che le loro proprietà venissero confiscate. Pertanto, Giannini, cittadino italiano, decise di creare una società, la G. M. Giannini & Co., alla quale intestare (piuttosto che a se stesso) le domande di brevetto (
14). Nel 1936, per conto suo Fermi fece domanda per un secondo brevetto inerente il decadimento beta di 60 radioisotopi precedentemente irradiati con il metodo dei neutroni lenti (15). Da allora, Fermi divenne estremamente fiducioso nella possibilità di sfruttare economicamente le sue invenzioni.

Tuttavia, al momento della partenza per gli Stati Uniti, Fermi era piuttosto pessimista al riguardo. La possibilità di sfruttare appieno i suoi metodi in processi industriali sembrava al tempo “fragile come un ponte di farfalle” (
16). Sia Giannini sia la Philips avevano inizialmente mostrato interesse nei brevetti, ma questo si era attenuato quando si era capito che l’efficienza del metodo non permetteva ancora investimenti su larga scala. Nel 1938, Giannini – con il beneplacito di Fermi – decise di cedere alla Philips i diritti europei del primo brevetto per appena 3.200 dollari americani (17). Peraltro, la mancanza di finanziamenti per la ricerca in Italia impediva a Fermi di sviluppare nuove ricerche per accrescere l’efficienza del metodo (18). E così, spinto anche dall’avvio della campagna antisemita del regime fascista, lo scienziato decise di abbandonare l’Italia, disinteressandosi delle sue invenzioni (19).

Prima di partire per la Svezia, Fermi aveva preso contatto con l’Università Columbia di New York, dove andò a insegnare al suo arrivo in America. Fu lì che Fermi comprese l’importanza del brevetto sui neutroni lenti. Tra il 1939 e il 1942, Fermi comprese che era la fissione nucleare a permettere la produzione di radioisotopi artificiali. Allora si andavano consolidando ricerche fondamentali sulla fissione dell’uranio, che avrebbero poi condotto agli studi sulla bomba atomica (
20). Sia il fisico ungherese Leo Szilard sia Fermi (quest’ultimo insieme ai ricercatori americani Herbert Anderson e Walter Zinn) cominciarono nuovi esperimenti, discutendo la fattibilità di una reazione nucleare a catena derivante dalla fissione dell’uranio. Se questa fosse stata possibile, allora probabilmente anche il metodo dei neutroni lenti (in essa implicato) avrebbe finalmente provato la propria importanza. E quindi anche i brevetti che lo proteggevano avrebbero acquistato tutt’altro valore.

Certo, specialmente dopo il 1940, Fermi fu impegnato nella verifica dei possibili impieghi militari della fissione, e quindi era meno interessato agli aspetti industriali. Il 19 agosto 1941 il fisico italiano fu messo a capo di un comitato consultivo sulla ricerca nel contesto del Progetto uranio (il progetto militare che anticipa il Manhattan). Dato che il progetto era segreto, Fermi si trovò sempre meno a discutere di brevetti con Giannini e con gli altri inventori (
21). Ma se da un lato queste ricerche cominciavano a far luce sui fenomeni e sulle implicazioni della fissione nucleare, dall’altro mostravano che i brevetti potevano essere estremamente redditizi. Fu, quindi, per lui un “peccato” che nel 1940 la pubblicazione del secondo brevetto (quello sul decadimento beta) venisse bloccata (22).
Nello stesso anno il primo brevetto fu però finalmente approvato e pubblicato negli Stati Uniti. Nel contesto del Progetto uranio, Fermi cominciò quindi a interrogarsi sul futuro dell’unico brevetto ormai rimasto.

Invenzioni a Los Alamos, 1942-1945
La definizione di una politica per i brevetti che fosse in grado di accomodare le esigenze di scienziati, tecnici e industria privata divenne uno dei punti più delicati del Progetto uranio. Nel 1942, il neonato Office for Scientific Research and Development degli Stati Uniti (ORSD) definì i punti essenziali di tale politica stabilendo che chiunque (impresa o singolo scienziato) era coinvolto nel progetto doveva cedere al governo americano i diritti derivanti dall’uso delle nuove invenzioni (
23).


Al tempo Fermi era impegnato all’Università di Chicago nella costruzione della prima pila nucleare, il primo strumento che mostrò la fattibilità di una reazione a catena derivante dalla fissione dell’uranio. Dopo vari tentativi di produrre le condizioni di criticità necessarie a far autoalimentare la pila, Fermi, Szilard e i loro assistenti si trasferirono all’Università di Chicago per lavorare nei sotterranei dello stadio del campus. Fu in quei locali che nel dicembre del 1942 la pila sperimentale Chicago Pile 1 (o CP-1) divenne critica (24). Occorre tener presente che il metodo dei neutroni lenti era implicato nel funzionamento della pila in quanto la stessa era “moderata” con blocchi di grafite (sostanza contenente atomi di idrogeno) proprio al fine di garantire il loro rallentamento. Quando dunque il “navigatore italiano approdò nel nuovo mondo” (25) era perfettamente consapevole di avere in mano un brevetto che copriva – come brevetto base – il funzionamento di strumenti che rendevano possibile lo sfruttamento dell’energia atomica.

Non è chiaro se Fermi chiarì subito l’importanza del suo brevetto con i dirigenti dell’ORSD. Sappiamo però che il 4 dicembre del 1942, appena due giorni dopo l’esperimento, Szilard sollevò il problema. Il fisico ungherese, che era inventore di un brevetto sul processo di reazione a catena, riteneva infatti che non fossero ancora state date regole certe rispetto alle invenzioni fatte e brevettate prima dell’inizio del progetto e utilizzate nel medesimo (
26). Robert A. Lavander, avvocato, capitano della marina e direttore dell’ufficio brevetti dell’ORSD a Washington, si occupò della questione e i due risolsero il contenzioso. Ma da quel momento fu chiaro che esisteva un problema: se gli scienziati erano pronti a donare le loro future invenzioni agli Stati Uniti, essi volevano garanzie rispetto alle invenzioni fatte prima dell’inizio del progetto.

Con l’avvio del Progetto Manhattan e l’insediamento degli scienziati a Los Alamos, il regolamento sui brevetti fu ottimizzato con la predisposizione di quattro tipi differenti di contratti. Tali contratti prevedevano gradi diversi di sfruttamento dei brevetti da parte delle aziende che ne facessero richiesta ma, in ogni caso, ne assegnavano la proprietà al governo degli Stati Uniti (
27). Inoltre, il nuovo centro di Los Alamos fu dotato di un ufficio brevetti, operativo dal luglio 1943 e diretto dal capitano Ralph Carlisle Smith, uno degli assistenti di Lavander all’ORSD (28). Smith chiese immediatamente che tutti i ricercatori coinvolti nel progetto rinunciassero ai loro contratti con agenti o con società privare relativi allo sfruttamento di invenzioni. Richiese, inoltre, che tutto il personale si premurasse di tenere aggiornati i propri quaderni di lavoro, in quanto prove essenziali qualora fosse stato deciso di avviare pratiche legali relative a nuovi brevetti (29). Infine Smith ottenne che, prima di lasciare Los Alamos, tutto il personale di ricerca dichiarasse che non vi era alcuna invenzione di cui non esisteva una documentazione aggiornata (30). Nei tre anni di attività, l’ufficio di Smith stilò circa 500 nuove domande di brevetto, le quali furono trasferite nell’ufficio di Lavander a Washington e in seguito all’ufficio brevetti degli Stati Uniti (31).

Diciotto di queste domande erano relative a invenzioni fatte da Fermi e riguardavano prevalentemente la sua ricerca sulle pile atomiche. Esse furono intestate al governo degli Stati Uniti per il prezzo simbolico di un dollaro. La maggior parte di questi brevetti furono tenuti segreti per circa dieci anni e, quindi, divennero parte integrante dei brevetti utilizzati negli anni successivi per lo sfruttamento dell’energia atomica (32). Ovviamente, dato che l’intera ricerca di Fermi era stata finanziata con i soldi del governo, sembrò del tutto legittimo sia a Fermi che agli altri scienziati coinvolti nel progetto che la proprietà di questi brevetti fosse assegnata al governo degli Stati Uniti. Ma sia gli scienziati sia i militari sapevano benissimo che tutti i brevetti che erano stati pubblicati prima del progetto avrebbero dovuto essere oggetto di remunerazione separata. Fermi rinunciò ai propri diritti sui brevetti delle pile sapendo che avrebbe dovuto ricevere un compenso per quello sui neutroni lenti. E fu proprio all’inizio del 1944 che con Segrè (insieme al quale si era trasferito a Los Alamos) si attivò per cercare di capire come ottenerlo (33). Lavander e gli altri militari dell’ORSD non avevano però alcuna intenzione di portare avanti una trattativa per un brevetto già da loro conosciuto e di fatto in uso. E così preferirono prender tempo. Un primo incontro avvenne il 14 luglio 1944, ma non produsse alcun risultato. Di fronte alle tattiche dilatorie dei militari, i fisici italiani presero perfino in considerazione la possibilità di rivolgersi direttamente al generale Groves (34).

Oltretutto Fermi e Segrè ritenevano di avere delle responsabilità nei confronti degli altri inventori e dello stesso Giannini, visto che ora pensavano al loro brevetto come altamente remunerativo. Tuttavia, se essi avessero comunicato a Giannini o agli altri inventori il perché di questo loro nuovo convincimento (in relazione al Progetto Manhattan), sarebbero andati contro il regolamento di Los Alamos (
35). Era quindi necessario muoversi con cautela. I due prepararono una lettera per Giannini, mostrata anche ai funzionari dell’ORSD, nella quale gli proponevano di cedere a loro, come inventori, la proprietà del brevetto in quanto ritenevano di essere in una posizione migliore per avviare negoziati con soggetti che avrebbero potuto mostrare un certo interesse nel suo acquisto (36). Ma Giannini respinse l’offerta (37).

La questione non fu mai risolta nella mesa del Nuovo Messico e quando, alla fine della guerra, Fermi e Segrè lasciarono Los Alamos essa era più aperta che mai. Nell’ottobre del ’45 Giannini, ora a conoscenza degli aspetti del Progetto Manhattan relativi al brevetto, egli scrisse a Vannever Bush, direttore dell’ORSD, spiegandogli l’intera questione e chiedendo un compenso. Bush stesso era convinto della legittimità della richiesta e sembrò accettare la proposta di vendere il brevetto all’ORSD per 900.000 dollari (
38). I negoziati tra Bush, Lavander e Giannini andarono avanti per un po’ ma non ebbero esiti positivi (39).

Alla fine della guerra, la trattativa fu gestita da Lawrence Bernard, uno dei più stimati avvocati di Washington. Un procuratore di peso, pensava Giannini, avrebbe favorito una rapida conclusione del negoziato. Ma anche Bernard si trovò di fronte a un muro di gomma. Il 14 giugno del 1946 l’avvocato fece richiesta a Lavander di una somma non inferiore a 450.000 dollari e il capitano convenì che quello era un buon punto di partenza da cui iniziare la trattativa. Il mese successivo, però, Giannini scrisse di nuovo a Bush chiedendo la formulazione di una offerta definitiva. Se Fermi aveva ora delegato la questione a Giannini, Segrè era invece furibondo e convinto che l’indifferenza di Lavander fosse ingiustificata. Secondo Segrè il capitano sapeva benissimo che lui, e in misura ancora maggiore Fermi, erano stati estremamente generosi con il governo, cedendo tutti i brevetti relativi al progetto. Lavander stava quindi tirando un po’ troppo la corda (
40). E questa alla fine si ruppe, ma – come vedremo – non solo a causa sua.

Dalla trattativa con i militari a quella con i civili, 1948-1953
I ritardi nel riconoscere il giusto compenso per il brevetto dei neutroni lenti dipese dalle tattiche dilatorie dell’ORSD ma anche dal fatto che dalla seconda metà del 1945 il Congresso aveva iniziato a discutere la possibilità di trasferire tutte le questioni relative al programma nucleare a una nuova agenzia governativa. Il 1° agosto del ’46 venne istituita la Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti (US Atomic Energy Commission, USAEC), che fu dotata di un comitato generale consultivo (General Advisory Committee, GAC) di cui Fermi divenne membro (
41). La legge che istituì l’USAEC le conferì l’autorità di obbligare qualunque proprietario di “brevetti atomici” (ovvero brevetti su processi e strumenti di interesse per il programma nucleare americano) a venderli alla Commissione. Ciò impedì che di tali brevetti potesse essere fatto un qualsiasi altro uso privato e creò quindi un vero e proprio monopolio governativo sulla tecnologi nucleare (42). La legge istituiva, inoltre, un sottocomitato dell’USAEC, il Consiglio per il compenso dei brevetti (Patent Compensation Board, PCB), con il compito di stabilire il giusto compenso per i brevetti che ne avevano titolo. Così, all’inizio del 1947, l’avvocato dei fisici italiani, Bernard, venne a sapere che tutta la documentazione relativa al brevetto sui neutroni lenti era stata trasferita dall’ORSD ai nuovi uffici dell’USAEC. Bernard era convinto che questo passaggio avrebbe assicurato un diverso esito della trattativa. Ma si sbagliava. In primo luogo, l’organizzazione del PCB richiese tempi piuttosto lunghi (43). Secondo, il passaggio rimise in discussione la legittimità di Fermi e dei suoi associati nel chiedere un compenso (44).


Solamente il 13 ottobre del 1948 la richiesta di compenso per il brevetto n. 2206634 fu consegnata da Bernard e Giannini al direttore esecutivo del PCB. In essa veniva sottolineato che il brevetto copriva il metodo base utilizzato nella ricerca e nello sviluppo per la produzione di energia nucleare e della bomba atomica, essendo di fondamentale importanza nella produzione di materiale fissile (45). Nella domanda veniva richiesto il pagamento di un milione di dollari per gli usi pregressi, e di altri centomila all’anno per gli usi futuri fino alla data della sua scadenza (1957). Verrebbe da chiedersi perché i due decisero di chiedere una somma così alta (1.900.000 dollari) invece di quella richiesta da Bernard due anni prima. Probabilmente, Giannini, il quale si era occupato della questione dei brevetti per quasi 13 anni, era molto scontento dell’atteggiamento dei militari americani e riteneva ora opportuno “alzare il prezzo”. Fermi e Segrè non condividevano pienamente questa strategia (46). Ma Giannini sapeva bene che il brevetto copriva una serie di attività extra-militari che presto avrebbero fruttato molti soldi all’USAEC, compresa la produzione di radioisotopi e di reattori nucleari per l’energia (47).

Ma prima ancora di iniziare una trattativa con il PCB, la domanda finì sul tavolo dell’avvocato dell’ufficio legale dell’USAEC, Bennett Boskey, per verifiche sulla legittimità del compenso. Il rapporto di Boskey del giugno 1949 fu la fonte di nuovi guai e ritardi (
48). Non solo egli negò l’esistenza di un legame tra il brevetto sui neutroni lenti e la produzione di energia (o della bomba) atomica, ma negava anche che esso fosse stato usato nel Progetto Manhattan (!). Ancor più preoccupanti erano le conclusioni di Boskey circa la nazionalità di alcuni dei richiedenti. Secondo l’avvocato, i Trattati di Pace siglati dagli Stati Uniti con governo italiano il 10 febbraio 1947 negavano che cittadini italiani potessero essere compensati per richieste relative a brevetti o invenzioni (49). Sconcertanti, infine, erano le accuse mosse proprio nei confronti di Fermi. Essendo un membro del GAC, egli era in conflitto di interessi nel richiedere un compenso all’USAEC, e quindi addirittura perseguibile in base al codice penale (50).

Boskey pensava probabilmente che il suo rapporto sarebbe stato un’arma efficace per convincere Giannini a chiedere meno soldi. Ma a questo Giannini e Bernard ritennero necessario mettere il PCB sotto pressione e, dopo un anno di contrattazioni senza successo, nell’agosto del 1950 decisero di fare causa al governo degli Stati Uniti per gli usi passati, presenti e futuri del brevetto sui neutroni lenti. La somma richiesta fu di ben dieci milioni di dollari. I due pensavano che la mossa avrebbe semplicemente creato una certa attenzione da parte della stampa. Ma Fermi divenne furibondo e scrisse a Giannini che essa avrebbe solo avuto un impatto negativo nell’opinione pubblica, diminuendo ulteriormente la possibilità di una conclusione positiva della trattativa (
51).

Successe, invece, l’imprevedibile. Nell’estate del 1950, infatti, uno degli inventori del brevetto sui neutroni lenti, ovvero il fisico Bruno Pontecorvo, decise di emigrare nella Russia Sovietica (
52). In piena Guerra Fredda, la cosa di certo non fece piacere alle autorità americane, tanto meno all’UsAEC. Le conseguenze della fuga di Pontecorvo furono terribili per Giannini, Fermi e le altre persone coinvolte nella causa con il governo (53). Giannini decise immediatamente di ritirarla, e dichiarò di non voler avere nulla a che fare con persone coinvolte in “misteri internazionali” (54). Egli rinunciò all’accordo con gli inventori. Fermi, Segrè e Rasetti (55) decisero tuttavia di continuare la trattativa con il PCB nonostante il caso della scomparsa di Pontecorvo. Anzi, ritennero che la controparte avrebbe giudicato come sospetta proprio la decisione di sospendere la trattativa.

Giannini alla fine decise di ritornare sui propri passi, proprio mentre le trattative riprendevano. Il PCB ora poteva “giocare la carta” del caso Pontecorvo come un elemento a proprio favore, e dichiarare quindi di essere disposto a offrire un compenso solo per una somma di gran lunga inferiore a quella di partenza (
56). Inoltre, ora, senza la presenza di una causa in tribunale, ritardare la trattativa era diventata di nuovo la prassi consolidata per gli americani. “È un sistema da porci”, osservò Rasetti “ma si possono permettere tutto quello che vogliono” (57). Gli anni, tuttavia, passarono e malgrado la disponibilità degli inventori nel risolvere la faccenda il prima possibile, nel 1951 il personale del PCB stava ancora una volta prendendo (o perdendo?) tempo.

Fu solo nel novembre 1952 che il PCB fece una offerta per 300.000 dollari. La somma fu immediatamente accettata dagli inventori, che però dovettero aspettare l’estate del 1953 per incassarla. A ciascun inventore e a Giannini andarono circa 28.000 dollari per il brevetto sui neutroni lenti. Non sorprenderà il lettore che l’unico a non ricevere neanche un centesimo fu Pontecorvo. La sua parte fu infatti posta in un conto sigillato con la promessa della consegna quando egli fosse “ricomparso” dopo la sua misteriosa sparizione. Ma Pontecorvo riapparve in Unione Sovietica, circostanza che, non sorprendentemente, non lo autorizzò a ottenere quello che gli spettava (
58).

Conclusioni
Il compenso per l’uso del brevetto sui neutroni lenti avvenne a 19 anni di distanza dalle ricerche iniziali di Fermi e degli altri fisici di via Panisperna; a 13 dalla sua pubblicazione presso l’Ufficio brevetti degli Stati Uniti; a otto dalla fine del Progetto Manhattan e ad appena quattro dalla scadenza del brevetto.

A quella data il valore del brevetto era ancora notevolmente elevato (
59). Da esso dipendevano le sorti dell’intero programma americano, ovvero la produzione di energia atomica per scopi industriali e la produzione di materiale fissile per bombe atomiche. Il brevetto apriva la strada alla produzione di energia nucleare proprio nel momento in cui l’USAEC aveva deciso di investire nella produzione di reattori nucleari da vendere anche all’estero. A quattro mesi dalla fine della trattativa, il presidente Eisenhower lanciava il programma “Atomi per la Pace” che avrebbe assicurato la vendita di reattori nucleari in Europa per un introito annuale di circa due miliardi di dollari. Fra le compagnie che avrebbero esportato reattori nucleari figuravano anche la Westinghouse e la General Electric, ovvero le stesse a cui Giannini aveva proposto fin dal 1935 di acquistare il brevetto Fermi. Ora queste società si trovavano nella condizione di poter usufruire del metodo dei neutroni lenti (che viene impiegato in ogni reattore moderato con sostanze contenenti idrogeno), senza pagare un dollaro, visto che era la stessa USAEC a fornire loro le licenze a titolo gratuito (60). Se fossero esistite normali leggi di mercato o se il brevetto Fermi fosse stato venduto alla Westinghouse o alla General Electric prima della guerra, a ciascuno degli inventori sarebbe spettata una fetta consistente di quella torta da due miliardi all’anno.


Ma abbiamo visto che il Progetto Manhattan mutò radicalmente l’apprezzamento e il modo di gestire i brevetti atomici, che per ragioni militari furono sottoposti a un regime di rigoroso monopolio che avrebbe privato inventori e possessori di qualunque introito. Benché le ragioni di sicurezza fossero di assoluta importanza, esse di fatto crearono le circostanze per legittimare il monopolio anche sugli usi extra-militari dell’energia nucleare. Inevitabilmente, non solo i brevetti prodotti nel corso del Progetto divennero di proprietà del governo americano, ma anche il compenso per i brevetti precedenti sarebbe dipeso, nella quantità e nei tempi, dai militari. Il passaggio dal controllo militare a quello civile dell’energia atomica mutò in parte questo stato di cose, ma solo a scapito di inventori e proprietari di “brevetti atomici”. Da un lato, li costrinse a iniziare di nuovo l’intera procedura necessaria a mostrare il loro diritto a un compenso; dall’altro li mise nuovamente nelle condizioni di dipendere dalle decisioni degli amministratori, questa volta civili. Non sorprende che proprio la sezione 11 della legge sull’energia atomica del 1946, ovvero quella relativa ai brevetti, fu attaccata da molti come il prodotto di una cultura “sovietica” in materia di brevetti, in quanto poneva fine alla libera contrattazione in base alle leggi di mercato (61). Per ironia dalla sorte proprio nella nazione dove i diritti alla proprietà intellettuale sono da sempre percepiti come fondanti la propria economia, il governo abbia adottato una legislazione di segno opposto in relazione allo sfruttamento dei brevetti atomici. Ciò avveniva senz’altro in difesa degli interessi militari della nazione ma, al tempo stesso, era evidente che così si apriva la strada a investimenti e profitti enormi a vantaggio esclusivo di alcune compagnie associate con l’USAEC. E a scapito di tutti coloro che, come Fermi, in tempo di guerra avevano offerto le proprie invenzioni nella difesa del paese.

I rapporti tra Fermi e i suoi associati di certo non lo aiutarono a risolvere celermente la trattativa. La riottosità di Giannini lo mise in cattiva luce nei confronti dei militari prima e degli amministratori civili poi (
62). La causa intentata da Giannini era forse l’unico strumento per metter l’USAEC sotto pressione. Ma la fuga di Pontecorvo complicò ulteriormente le cose. Tutti questi elementi furono sapientemente sfruttati dalla controparte per costringere gli italiani ad accettare una somma pari ad appena un terzo di quanto inizialmente promesso da Bush. Osservando questi eventi proprio pochi mesi prima della sua morte, Fermi poteva essere certo solo di una cosa. Non solo aveva aspettato ben nove anni per ricevere l’unico compenso per il suo contributo al Progetto Manhattan. Non solo era stato accusato di essere perseguibile penalmente per averlo preteso. Ma la somma ottenuta in ritardo corrispondeva ben poco a quello che il brevetto sui neutroni lenti valeva veramente.

Ringraziamenti
L’autore ringrazia Gianni Battimelli, Anna Guanini, Jeff Hughes, Thomas Lassman, e Spencer Weart per il loro aiuto. Il finanziamento di parte di queste ricerche si deve ai Friends of the Centre for the History of Physics dell’American Institute of Physics, che qui ringrazio. L’autore è responsabile della traduzione dall’inglese di quanto contenuto in questo articolo.



NOTE

(1) G.M.Giannini&Co., Domanda per un giusto compenso e computo di una giusta royalty in base alla Sezione 11 della legge sull’energia atomica del 1946, p. 3.
(2) “Atti della commissione del senato sull’energia atomica, discussione sui brevetti atomici”, in Bulletin of the Atomic Scientists (BAS), 1: 7 (1946), pp. 10-11.
(3) Il termine si deve al sociologo della scienza Derek de Solla Price. Per una analisi del suo significato vedi: P. Galison e B. Hevly (ed.), Big Science and the growth of large-scale research, Stanford, 1992; J. Hughes, The Manhattan Project. Big Science and the Atom Bomb, Londra, 2002.
(4) Vedi per esempio: S. Grueff, Manhattan Project. The Untold Story of the Making of the Atomic Bomb, Boston, 1967; L. Badash, J. O. Hirshfielder e H. P. Broida (ed.), Reminiscences of Los Alamos, 1943-1945, Dordrecht, 1980; D.Hawkins (ed.), Project Y. The Los Alamos Story, San Francisco, 1983. L. Hoddeson, P. W. Henriksen, R. A. Meade e C. Westfall, Critical Assembly. A Technical History of Los Alamos during the Oppenheimer Years, 1943-1945, Cambridge, 1993.
(5) R. Rhodes, The Making of the Atom Bomb, New York, 1986, pp. 504-508 (ed. it. R. Rhodes, L’invenzione della bomba atomica, Rizzoli, Milano, 1990)
(6) H. DeWolf Smyth, Atomic Energy for Military Purposes. The Official Report on the Development of the Atomic Bomb Under the Auspices of the US Government, Stanford, 1989 [1945], p. 284; F. M. Szasz, British Scientists and the Manhattan Project. The Los Alamos Years, Londra, 1992, p. 25; R. J. Hewlett e O. E. Anderson Jr., The New World. A History of the US Atomic Energy Commission, 1939-1946, Berkeley, 1962, pp. 284-285.
(7) Per esempio, l’invenzione della fissione nucleare e le relative domande di brevetto si devono al fisico francese Frèdèric Joliot-Curie e ai suoi assistenti Lev Kowarski e Hans Von Halban. Nel dopoguerra essi furono oggetto di un contenzioso tra il francese Commissariat à l’Energie Atomique (CEA) e l’Ufficio brevetti degli Stati Uniti, che ne contestava la validità. Il caso fu discusso da tre diverse corti americane prima di approdare alla Suprema Corte di Giustizia degli Stati Uniti. Nel 1960 quest’ultima rigettò le richieste del CEA chiudendo il caso definitivamente. Vedi: C. Gilguy, “A good example of protection in the nuclear field. The history of the fundamental patents of Joliot’s team,” Library, UKAEA Research Group, October 1963 (copy translated by O. S. Whitston).
(8) Questo studio è reso possibile dall’uso di tre diverse collezioni d’archivio. 1. Collezione Nuovo Amaldi (CNA), Archivio Amaldi, Istituto di Fisica dell’Università di Roma; 2. Enrico Fermi Papers (EFP), Special Collection Research Centre, University of Chicago; Niels Bohr Library (NBL), Centre for the History of Physics, Maryland. Alcuni dettagli di questa vicenda possono essere trovati nei seguenti lavori: E. Segrè, Enrico Fermi. Physicist, Chicago, 1970 (ed. it. E. Segrè, Enrico Fermi, fisico, Zanichelli, Bologna, 1971); E. Amaldi, “From the discovery of the neutron to the discovery of nuclear fission,” Physics Reports, 111 (1984), pp. 5-331; e L. Fermi, Atoms in the family. My life with Enrico Fermi, Chicago, 1954 (ed. it. L. Fermi, Atomi in Famiglia, Mondadori, Milano, 1954). Vedi anche l’eccellente G. Maltese, Enrico Fermi in America. Una Biografia Scientifica, 1938-1954, Bologna, 2003.
(9) Per una analisi dei brevetti e della loro storia vedi: H. Etzkowitz e A. Webster, “Science as intellectual property,” in J. Peter, G. Markle, S. Jasanoff, and T. Pinch (eds.), Handbook of science, technology, and society, Beverly Hills, 1994, pp. 480-505; Erich Kaufer, The economics of the patent system, Harwood Academic Publishers, Switzerland, 1989. Per una analisi a più ampio spettro di queste dinamiche vedi anche LASER, Il Sapere Liberato, Feltrinelli, Roma, (di prossima pubblicazione).
(10) La moglie di Fermi, Laura Capon, avrebbe scritto anni dopo: “Una mattina […] Corbino venne in laboratorio […] Preparavano una relazione più completa dei loro esperimenti […]. Corbino saltò su: – Ma come? Ma siete pazzi? Volete pubblicare maggiori particolari a questo punto? […] Non vedete che la vostra scoperta potrebbe avere applicazioni industriali? Dovete prendere un brevetto prima di pubblicare altri particolari”. Fermi L, op. cit., pp. 121-122.
(11)Vedi anche la nota di Fermi del 31 Gennaio 1935: E. Fermi, “Trasmutazione degli Elementi,” in Sapere 4 (1015), Agosto 2001, p. 53.
(12)Trabacchi era al tempo il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma. Benché non avesse direttamente partecipato alle ricerche, egli aveva fornito al gruppo di Fermi il materiale radioattivo per gli esperimenti. Fu per questo motivo che Fermi inserì il suo nome tra gli inventori. Il brevetto italiano n. 324458 fu spedito all’ufficio brevetti dall’ingegnere Letterio Labboccetta e le tasse sulla privativa furono pagate per i successivi quattro anni. Non è rimasta alcuna copia del brevetto italiano nelle carte del Ministero dell’Industria all’Archivio Centrale dello Stato. Il brevetto inglese conteneva invece il nome di 6 inventori (senza Trabacchi): “Method for increasing the efficiency of nuclear reactions and products thereof,” GB 465045. Pubblicato il 26 Aprile 1937. Infine il brevetto americano conteneva il nome di 5 inventori (senza Trabacchi e D’Agostino): “Process for the Production of radioactive substances,” domanda di brevetto statunitense n. 43462 del 3 Ottobre 1935.
(13) L’inizio della trattativa si deve a Segrè che in Olanda per studiare con Pieter Zeeman nel 1931 aveva conosciuto Cornelius J. Bakker, un ricercatore della Philips (vedi E. Segrè, A Mind always in motion, p. 66). Nel 1935 Bakker mise Giannini e Fermi in contatto con H. Hijmans, il direttore dell’ufficio brevetti della Philips, il quale fu entusiasta del metodo Fermi. Dettagli della corrispondenza tra Fermi, Giannini e Hijmans possono essere trovati in Scatola 1, Fascicolo 2, “Brevetto Neutroni, carte 34-35”, CNA. Vedi anche T. C. Lassman, “Industrial Research Transformed: Edward Condon at the Westinghouse Electric and Manufacturing Company, 1935-1942” Technology and culture, 44:2 (2003), pp. 306-339.
(14)Giannini a Fermi, 11 Novembre 1935, Scatola 1, Fascicolo 2, “Brevetto Neutroni, carte 34-35”, CNA.
(15) E. Fermi, “Composition of Matter and Method of Producing the Same,” domanda di brevetto statunitense n. 57325 del 2 Gennaio 1936.
(16)Così fu definita il 10 Agosto del 1953 in un articolo del magazine americano Time.
(17)Secondo Edoardo Amaldi, i grandi industriali dell’epoca non compresero l’importanza applicativa e le possibilità dei metodi che la fisica nucleare stava sviluppando al tempo. E. Amaldi, “From the discovery of the neutron to the discovery of nuclear fission”, Physics Reports 111, p. 158.
(18)Che si materializzarono soprattutto nell’impossibilità di usare acceleratori di particelle. Vedi: G. Battimelli e I. Gambaro, “Da via Panisperna a Frascati: gli acceleratori mai realizzati” Quaderni di storia della fisica, 1 (1997), pp. 319-333.
(19)P. Nastasi, G. Israel, Scienza e razza nell’Italia fascista, Il Mulino, Bologna, 1998
(20)Specialmente per quello che riguarda le differenze tra l’isotopo 238 dell’uranio, che non può essere utilizzato come materiale fissile, e l’isotopo 235 che invece può produrre reazioni nucleari critiche.
(21)Sia quelli rimasti in Italia sia quelli che come Segrè, Pontecorvo e Rasetti che erano emigrati o stavano emigrando in America.
(22)Il primo brevetto fu pubblicato il 2 Luglio 1940 con il numero di serie n. 2206634. Il secondo non fu mai pubblicato negli Stati Uniti dove gli ispettori mossero varie obiezioni sia di carattere legale sia tecnico. Fu invece pubblicato in Canada a nome di Fermi: “Radio-active Isotope Production,” brevetto canadese CA 407559 del 22 Ottobre 1942.
(23) L’OSRD fu creato il 28 Giugno 1941 come organo specializzato nella ricerca per la difesa del paese. Il suo direttore era l’ex-chimico James B. Conant. La nascita dell’OSRD restrinse le funzioni dell’altro organismo per l’organizzazione della ricerca militare ovvero il National Research Defence Council (NRDC), di fatto responsabile per la maggior parte degli aspetti del Progetto uranio.
(24)Per gli aspetti tecnici di questa ricerca vedi Hoddeson, Henriksen, Meade e Westfall, Critical Assembly. A Technical History of Los Alamos during the Oppenheimer Years, 1943-1945, Cambridge University Press , 1993, cap. 3 e G. Maltese, op. cit., cap. 6.
(25)Dal noto messaggio telegrafico in codice inviato dal capo del Progetto uranio, il fisico Arthur Compton.
(26) R. Rhodes, op. cit., p. 503
(27) “Senate Hearing on Atomic Energy, Atomic Bomb Patents,” BAS, 1:7 (1946), pp. 10-11
(28) D. Hawkins, “Towards Trinity,” Parte 1 in Ralph Carlisle Smith, David Hawkins, and Edith C. Truslow, Manhattan District History: Project Y, the Los Alamos Story, Tomash, Los Angeles, 1983, p. 34.
(29) Capt. Smith, Restricted Memorandum to Technical Personnel, 15.11.1943, Copia nelle carte di Leo Lavatelli, Busta 6, NBL.
(30) Inoltre, tutte le domande di brevetto relative a invenzioni più segrete furono protette dal secrecy order , facendo dipendere la pubblicazione di brevetti dalla presenza del segreto di stato. Questa legge, approvata durante la Prima Guerra Mondiale (1917), autorizza esercito, marina e aviazione statunitensi a sospendere la pubblicazione di un brevetto che si riferisca a processi o strumenti che per ragioni militari devono essere tenuti segreti. Da allora all’Ufficio brevetti degli Stati Uniti esiste una ‘sezione speciale’ per i brevetti classificati. L’idea di brevetto ‘segreto’ potrebbe sembrare un paradosso (e in un certo senso lo è), ma può essere spiegato come una specie di ‘sospensione temporale’ del diritto allo sfruttamento dell’invenzione fino a quando non esistano condizioni idonee (ovvero la protezione esclusiva di invenzioni di carattere industriale e non militare) al suo esercizio.
(31) D. Hawkins, op. cit., pp. 60-63. Nell’Agosto del 1946 Smith divenne direttore della Divisione D responsabile per brevetti, declassificazione di documenti e persino l’uso di fotografie e opere d’arte (per ragioni di copyright) dentro Los Alamos.
(32) Impossibile fornire in questa sede una lista completa. Le copie di ciascun brevetto si trovano nella scatola 19, buste 9 e 10 di EFP. In gran parte riportano la firma di Lavander, come procuratore, e portano date di pubblicazione tra il 1956 e il 1961.
(33) Segrè non pensava di boicottare il Progetto ma riteneva che senza una protesta formale i diritti su quei brevetti sarebbero andati persi per sempre. Segrè a Fermi, 7 Dicembre 1943, Scatola 11, Busta 13, EFP.
(34) Segrè a Lavander, 29 Luglio 1944, copia in Scatola 9, Busta 2, EFP.
(35) Il regolamento di Los Alamos vietava di comunicare all’esterno dettagli di qualsiasi genere in relazione al Progetto. Chiunque avesse violato il regolamento sarebbe stato accusato di spionaggio in conformità allo Espionage Act.
(36) Fermi al Colonnello Herbert Metcalf, 9 Dicembre 1943, Scatola 9, Busta 2; Fermi a Segrè, 9 Dicembre 1943, Scatola 9, Busta 10; e Segrè a Giannini, 9 Dicembre 1943, Scatola 19, Busta 2, EFP.
(37) Segrè a Fermi, 11 Marzo 1944, Scatola 19, Busta 2, EFP.
(38) Giannini a Bush, 19 Ottobre 1945, Scatola 19, Busta 2, EFP.
(39) In questo periodo Segrè scrive a Fermi che Lavander “cerca di spremere tutti all’ultimo sangue” ed è convito che il capitano dell’OSRD stia tentando di appropriarsi di tutti i brevetti atomici, anche quelli in possesso di singoli ricercatori o università alla fine della guerra. Segrè a Fermi, Scatola 2, Busta 13, EFP.
(40) “Fermi and to a lesser degree myself have been extremely generous in patent matters with the Govt. as Mr. Lavander knows, and I think he is trying to pull the rope too much”. 28 Maggio 1946, Segrè a Giannini, Scatola 11, Busta 13, EFP.
(41) Vedi R.G. Hewlett and O.E. Anderson, Jr., The New World, 1939-1946, in A History of the United States Atomic Energy Commission , Volume I, Pennsylvania State University Press, 1962, p. 513.
(42) “The Revised McMahon Bill”, Bulletin of Atomic Scientists, 1:9 (1946), pp. 2-5
(43) Nel gennaio del 1947 fu istituita una commissione per l’esame delle politiche sui brevetti (Patent Policy Panel) che avrebbe dovuto produrre delle linee guida su come la Sezione 11 della legge sull’energia atomica dovesse essere applicata. Le linee guida furono pubblicate solo nel giugno 1948. Questo significa che il PCB cominciò effettivamente a funzionare dall’estate del 1948.
(44) Non a torto, Franco Rasetti avrebbe dichiarato che il governo sembrava essere in una certa misura favorevolmente disposto a concedere dei compensi, grazie al generale Groves e a Bush. Essi conoscevano e apprezzavano quanto Fermi e Segrè avevano fatto per il Progetto Manhattan. Ma quando la USAEC fu istituita e l’energia atomica finì nelle mani dei civili questi ultimi furono molto restii a riconoscere i diritti dei fisici italiani. Franco Rasetti, Interview with John Kennedy, 1966, Intervista per il documentario su Fermi nel contesto dell’ “Harvard Physics Project”, Scatola 1, NBL.
(45) G. M. Giannini & Co., Application for Just Compensation and the Determination of a Reasonable Royalty Fee Under Section 11 of the Atomic Energy Act of 1946, 13 Ottobre 1948, copia dell’accordo è visibile nella scatola 2, busta 2, CNA.
(46) Segrè in particolare, pensando che “col governo [Giannini] potrebbe anche rompersi il collo” (lettera di Segrè a Fermi, 15 Novembre 1948, scatola 11, busta 13, EFP). I fisici, comunque, erano molto scontenti del fatto che Giannini volesse più soldi di quanto inizialmente previsto. E sosteneva che, avendo venduto il 75% della sua azienda e prevedendo gli accordi una spartizione paritaria tra inventori e proprietà, lui avrebbe ottenuto solo 1/32 (ovvero il 25% di 1/8) degli introiti. Ma Segrè e Fermi ribadivano che Giannini non aveva inventato un bel nulla e che loro non erano responsabili per quello che lui aveva deciso di fare della sua azienda.
(47) Già nel 1946 Bush era perfettamente consapevole di questo e infatti aveva riferito a Giannini di essere favorevole a un compenso che fosse dell’ordine delle migliaia di dollari. Se invece gli inventori italiani avessero chiesto alcuni milioni di dollari, lui si sarebbe opposto. Bush fece anche l’esempio del valore della produzione di materiale fissile dell’impianto di Hanford (uno dei primi e più importanti reattori nucleari) che in royalties del 5% avrebbe già fruttato questa cifra. Giannini a Segrè, 2 Febbraio 1946, scatola 19, busta 2, EFP.
(48) B. Boskey, Office of the General Counsel, Response to the Application of G. M. Giannini and Company Inc., USAEC-PCB, Docket N. 2, 6 Giugno 1946, pp. 3-9. Copia di questo documento è in scatola 2, busta 2, CNA. Per un esame di tutti i brevetti atomici per i quali fu richiesto un compenso può essere vista anche l’analisi di Boskey in B. Boskey, “Inventions and the Atom,” Columbia Law Review 50 (1950), pp. 433-447.
(49) Amaldi, Trabacchi e D’Agostino figuravano tra gli inventori ed erano di cittadinanza italiana.
(50) Non esistono documenti che permettano di chiarire fino in fondo la questione, ma sembra che fu proprio l’accusa di essere in un conflitto di interessi che spinse Fermi a rinunciare a essere membro del GAC. Nel Gennaio 1950, Fermi scrisse a Segrè che date le circostanze stava seriamente prendendo in considerazione l’opportunità di rassegnare le dimissioni dal GAC (Fermi a Segrè, 9 Gennaio 1950, scatola 19, busta 4, EFP). Per comprendere se effettivamente esisteva un conflitto di interessi, Fermi scrisse direttamente a Joseph Volpe, il direttore dell’ufficio legale dell’USAEC. Nel Novembre 1949, Fermi seppe di non essere perseguibile penalmente e successivamente una legge negò anche le conseguenze in materia di diritto civile di un presunto “conflitto di interesse”. Peraltro, la partecipazione al GAC non fruttava un dollaro a Fermi, visto che i membri del comitato potevano chiedere solamente un rimborso spese per la loro partecipazione.
(51) Giannini chiarì che non pensava assolutamente che la somma richiesta per danni fosse realistica, ma che proprio Bernard la aveva suggerita in base alla sua esperienza in casi simili. (Giannini a Fermi, 15 Agosto 1950, scatola 2, busta 2, CNA). Va detto che nella maggior parte dei procedimenti per uso illegale di brevetti è una procedura abbastanza consueta quella di chiedere per danni cifre astronomiche almeno come base di partenza. In ogni caso Fermi disse a Giannini che non approvava affatto la strategia. (Fermi a Giannini, 13 Agosto 1950, scatola 2, busta 2, CNA).
(52) Per maggiori informazioni vedi S. Turchetti, “Segreti e bugie”, Sapere, aprile 2004, pp. 6-23.
(53) Segrè scrisse a Fermi che appena il caso era divenuto di pubblico dominio, il fisico Louis Alvarez era piombato nel suo ufficio sostenendo che era del tutto ingiustificato chiedere un compenso per il brevetto e che gli inventori italiani avrebbero probabilmente pagato un milione di dollari a testa per evitare di rimanere in Italia durante il conflitto. Segrè era convinto che presto la stampa li avrebbe attaccati con vere e proprie campagne di diffamazione. Segrè a Fermi, 25 ottobre 1950, scatola 2, busta 2, CNA.
(54) “Giannini’s press release,” copia in scatola 19, busta 7, EFP.
(55) È noto che Rasetti fu estremamente critico circa gli usi militari dell’energia atomica e per alcuni anni interruppe le comunicazioni con Fermi e Segrè. Ma verso la fine del 1948, decise di riprendere attivamente a discutere con loro questioni legali relative ai brevetti. Gli inventori avevano un sistema di rappresentanza per cui si alternarono nel coordinare le trattative con Giannini. Fermi lo fece durante la guerra, Segrè dal 1946 and 1950, seguito da Rasetti che se ne occupò fino alla conclusione della vicenda nel 1953.
(56) Roland A. Anderson, PCB a Bernard, 14 Agosto 1951, scatola 2, busta 2, CNA.
(57) Rasetti a Segrè, 4 Dicembre 1951, scatola 2, busta 2, CNA.
(58) Il fatto che Pontecorvo ricomparve all’Istituto di fisica di Dubna in Russia nel 1955 di certo pregiudicò la possibilità del pagamento finale.
(59) Non tanto per il metodo, che era allora conosciuto. Si sa che in termini assoluti (cioè in relazione al suo carattere innovativo) il valore di un brevetto decresce rapidamente avvicinandosi allo zero alla sua data di scadenza. Tuttavia, in questo caso il possesso del brevetto permetteva lo sfruttamento legale dell’energia atomica ed era questa circostanza specifica a costituire il suo valore.
(60) Secondo Leonard Weiss, furono in molti sia nel governo che nell’industria privata a percepire “Atomi per la pace” come il cappello politico per la realizzazione di un nuovo mercato nucleare dominato dagli Stati Uniti. L. Weiss, “Atoms for Peace,” Bulletin of Atomic Scientists 59 (2003), pp. 34-41.
(61) Al Senato, al momento dell’approvazione della legge sull’energia atomica, la sezione 11 sui brevetti fu accusata di segnare “la fine del sistema dei brevetti” e un deputato che aveva precedentemente lavorato per la compagnia RCA dichiarò che si trattava di una legge modellata sul sistema sovietico: era pericolosa e socialista. B. Miller, “A Law is Passed – The Atomic Energy Act of 1946,” The University of Chicago Law Review, 15 (1948), pp. 779-799.
(62) La promessa del compenso non mise fine ai conflitti tra gli inventori e Giannini. Segrè si rifiutò di autorizzare il pagamento finché Giannini non avesse consegnato una lista dettagliata delle spese sostenute nei precedenti dieci anni. Rasetti lo convinse però a tornare sui suoi passi e portò avanti la pratica per ottenere un compenso per i brevetti canadesi. Nessuna delle cause intentate però ebbe buon fine. La Philips, che ufficialmente aveva ancora i diritti allo sfruttamento in Europa, fece causa all’USAEC. Ma anch’essa senza costrutto e decise quindi di ricattare la Commissione per l’Energia Atomica del Regno Unito (UKAEA), ancora una volta senza ottenere alcun risultato.

Dossier, luglio 2005 © Galileo


(**) 

IL CASO PONTECORVO
Segreti e bugie*
di Simone Turchetti

http://www.galileonet.it/dossier/5939/segreti-e-bugie


Simone Turchetti è ricercatore presso il Centro della Scienza, Tecnologia e Medicina (CHSTM) dell’Università di Manchester, UK.


Il ministro per gli Approvvigionamenti, George Strauss, ha dichiarato ieri in Parlamento di non sapere dove si trovi al momento il Professor Bruno Pontecorvo […]. Strauss non ha confermato che il professore abbia in passato ottenuto informazione scientifica di valore, ma ha rilevato che recentemente Pontecorvo ha avuto solo un accesso molto “limitato” a segreti atomici…

The Manchester Guardian, 24 ottobre 1950


Sin dall’inizio dell’era atomica la preoccupazione che informazioni scientifiche segrete possano finire nelle mani sbagliate segue di pari passo lo sviluppo della ricerca nucleare. Paesi come la Gran Bretagna sono costantemente impegnati nel monitorare la loro diffusione, soprattutto per evitare che altri Stati siano in grado di produrre armi di sterminio. Durante la Guerra Fredda (e anche dopo) le agenzie governative dei paesi occidentali hanno spesso avviato indagini per capire se segreti atomici fossero finiti in mano “nemica”. Per esempio, rilevando il ruolo cruciale svolto dai servizi d’intelligence, il governo britannico ha in passato affermato la loro capacità di produrre rapidamente prove inconfutabili di situazioni di pericolo e di compilare specifici dossier sulla diffusione delle informazioni nucleari (
1). Questi dossier sono strumenti importantissimi tanto nella risoluzione di controversie internazionali, quanto nella definizione delle regole per la sicurezza nei paesi che possiedono conoscenze scientifiche di rilievo per la produzione di armi nucleari. In tali paesi, le attività condotte in università e centri di ricerca sono monitorate e regolate da leggi specifiche (2).

Tuttavia, molti aspetti della ricerca e delle tecnologie nucleari non sono sempre così facili da definire. Recentemente, storici e sociologi della scienza hanno rilevato che nella ricerca nucleare gli stessi mezzi possono essere usati per scopi civili e militari. Innanzitutto, quei materiali che possono essere utilizzati sia come combustibili nei reattori, per produrre energia, sia come esplosivi nelle testate nucleari. Inoltre, gli strumenti per la misurazione della radioattività possono essere utilizzati tanto nella ricerca “pura” quanto in quella “applicata” (3). E ancora, sono proprio gli scienziati nucleari che sanno come trasferire le conoscenze specifiche da un settore all’altro (4).
Va infine sottolineato che la definizione di criteri scientifici per la valutazione dell’impatto delle ricerche nucleari è sempre soggetta a decisioni di carattere economico, politico e diplomatico prese sull’opportunità di massimizzare oppure minimizzare tali valutazioni. Ciò che i rapporti d’intelligence definiscono pericoloso potrebbe essere sapientemente manipolato nelle “stanze del potere” prima di pervenire all’attenzione dell’opinione pubblica.

Questi temi, che sono stati al centro della recente politica internazionale, richiamano alla mente i casi di spionaggio atomico dei primi anni Cinquanta. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, la paura che l’Unione Sovietica stesse sviluppando un proprio programma atomico attivò i servizi di sicurezza occidentali. Le indagini culminarono nella scoperta che l’URSS stava utilizzando scienziati impiegati presso centri di ricerca americani e britannici per ottenere segreti atomici. Nel settembre 1945 un impiegato dell’ambasciata sovietica a Ottawa, Igor Gouzenkouu, rivelò alle autorità canadesi che in America esisteva una organizzazione dedita allo spionaggio atomico. Successive investigazioni condussero all’arresto nel 1946 del fisico inglese Allan Nunn May e, nel gennaio del 1950, del fisico tedesco Klaus Fuchs (emigrato in Gran Bretagna prima della guerra). Analoghi episodi ci furono negli Stati Uniti, dove nel luglio del 1950 il chimico Harry Gold e il sergente dell’esercito David Greenglass ammisero la loro attività di spionaggio. La loro confessione portò all’arresto dei coniugi Ethel e Julius Rosenberg, poi condannati a morte. In questi paesi la “caccia alle streghe” fu all’origine di molte altre accuse di tradimento e spionaggio che, se pur non sempre fondate, furono utilizzate nella propaganda anti-comunista di quegli anni (5).

Curiosamente, tra i casi di spionaggio ufficialmente riconosciuti non compare quello di Bruno Pontecorvo, la cui probabile fuga nell’Unione Sovietica fu annunciata il 21 ottobre del 1950. Quel giorno i quotidiani britannici riportarono che il fisico era misteriosamente scomparso in Finlandia mentre ritornava da una vacanza nel Mediterraneo. Italiano di nascita, ma cittadino britannico, Pontecorvo era al momento uno degli scienziati di spicco del primo centro di ricerche nucleari in Inghilterra, l’Atomic Energy Research Establishment (AERE) di Harwel. Allievo del premio Nobel Enrico Fermi, durante la guerra Pontecorvo aveva anche lavorato presso la stazione nucleare di Chalk River, in Canada, parte integrante del Progetto Manhattan. Tuttavia, le prime reazioni del governo britannico alla sua scomparsa furono decisamente contenute. In due audizioni parlamentari, infatti, il ministro inglese per gli Approvvigionamenti George Strauss dichiarò che Pontecorvo aveva avuto un accesso molto limitato ai segreti atomici perché in anni recenti si era occupato soprattutto di raggi cosmici. Tuttavia, Strauss non stava dicendo tutta la verità.

Questo saggio prende in esame la carriera e la fuga di Bruno Pontecorvo principalmente per rispondere a due domande: “Cosa è segreto nei segreti atomici?” e “In quale modo i governi si preoccupano di accertare i rischi derivanti dalla fuga di informazioni atomiche?”. Considereremo le possibili risposte a queste domande alla luce di documenti di archivio relativi al “caso Pontecorvo” di recente messi a disposizione degli studiosi (6). La vicenda del fisico italiano è infatti molto più interessante di quanto la letteratura storica sull’argomento suggerisca. Pontecorvo fu una figura di spicco nel quadro del programma atomico britannico e in particolare nella progettazione di reattori e in quella di strumenti per la rilevazione di giacimenti di elementi radioattivi. Entrambi questi settori erano soggetti a segretezza poiché il programma nucleare bellico necessitava di quantità significative di uranio naturale da trasformare in uranio fissile nei reattori nucleari.

Subito dopo la fuga di Pontecorvo il direttore esecutivo del Dipartimento dell’energia atomica britannico, Michel Perrin, fu chiamato a esaminare il caso per conto del governo. Al funzionario fu chiesto di minimizzare l’impatto del caso Pontecorvo per non compromettere i negoziati che erano in corso con gli Stati Uniti e il Canada per la collaborazione in campo nucleare. Pertanto, Perrin sostenne pubblicamente che Pontecorvo aveva avuto accesso a segreti atomici in modo estremamente limitato (7). Contemporaneamente, però, sulla stampa britannica il fisico veniva dipinto come una spia atomica. In effetti, l’agenzia di intelligence MI5 sapeva che non esistevano elementi a sostegno di questa accusa ma, in virtù di accordi con lo statunitense Federal Bureau of Investigation (FBI), non la smentì (8). Né le dichiarazioni ufficiali sulla limitata importanza del ruolo di Pontecorvo nei programmi atomici, né le accuse di spionaggio avanzate dai media avevano un riscontro oggettivo. Ma, di fatto, la campagna mediatica sul caso Pontecorvo contribuì a creare un clima di allarme favorevole all’introduzione di misure di controllo più restrittive per la ricerca nucleare e, in particolare, con il famigerato positive vetting (9) nei confronti del personale impiegato presso i centri di ricerca.

Negli ultimi cinquant’anni, tanto l’opinione pubblica quanto l’esame storico del caso Pontecorvo sono stati influenzati dalla versione dei fatti proveniente da fonti diplomatiche e da agenzie di intelligence. La distanza tra quanto il pubblico ha avuto modo di sapere circa le attività del fisico italiano e quanto era noto a pochi diplomatici o agenti dei servizi britannici ha generato due tipi di resoconti storici del tutto incoerenti. In uno si sostiene che Pontecorvo era una spia atomica (10) nell’altro che Pontecorvo non passò alcun segreto di valore all’Unione Sovietica perché era al di fuori della ricerca nucleare “segreta” (11). Nessuno storico ha finora tentato di risolvere questa contraddizione, che è invece proprio quello che tenteremo di fare in questo saggio.
Riteniamo che il caso Pontecorvo offra una lezione importante per gli storici della scienza, così come per chi studia la “scienza” della politica (
12). Da un lato, infatti, dimostra che nella fisica nucleare il concetto di “segreto atomico” non trova necessariamente applicazione nel lavoro quotidiano dei ricercatori, poiché i medesimi principi e strumenti sono utilizzati sia nella ricerca pura sia in quella applicata (o segreta). Dall’altro mostra che nel corso dell’era nucleare certe trame segrete relative alla politica nazionale erano considerate molto più importanti che non l’ottenimento di informazioni da parte di organismi di intelligence. E pone quindi un interrogativo rispetto al futuro, proprio perché suggerisce che simili disegni possano avere ancora un ruolo di rilievo nella risoluzione delle controversie internazionali.

In giro per il mondo

Al’epoca della sua fuga, il fisico nucleare italiano Bruno Pontecorvo era conosciuto dai suoi colleghi come una personalità affascinante, un uomo cui piaceva viaggiare più di ogni altra cosa. Nel 1950, Pontecorvo e sua moglie, la svedese Rosanne Nordblum, avevano tre bambini e un ugual numero di passaporti (di cui uno canadese e uno britannico). La fuga in URSS giunse infatti al termine di un quindicennio, a cavallo della Prima Guerra Mondiale, vissuto tra l’Europa e l’America, in un continuo spostarsi da un laboratorio all’altro.
Nel 1936 “il cucciolo” (
13) aveva lasciato l’Istituto di Fisica di via Panisperna a Roma per lavorare presso il Laboratorie de Chimie Nucleaire di Parigi, grazie a una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione. Tuttavia, la pubblicazione delle leggi razziali nel 1938 costrinse Pontecorvo, di famiglia ebrea, a lasciare definitivamente l’università italiana (14). Nel 1940 l’invasione della Francia da parte delle truppe tedesche costrinse il fisico a lasciare anche Parigi e il paese (15). Giunto in America, tra il 1941 e il 1943 Pontecorvo lavorò presso la compagnia Wells Surveys, in Oklahoma, visitando spesso New York e Chicago, dove vivevano la maggior parte degli accademici italiani rifugiati negli Stati Uniti. Nel 1943 si stabilì in Canada ed entrò a far parte di una missione scientifica britannica collegata al Progetto Manhattan. Nel frattempo, Pontecorvo continuò a viaggiare tra le maggiori città statunitensi e l’Europa (alla fine della guerra visitò varie volte l’Inghilterra e l’Italia) fino a quando, nel 1949, decise di trasferirsi in Inghilterra per lavorare all’AERE, il centro nazionale per la ricerca atomica di Harwell. Benché tra il 1943 e il 1950 il fisico italiano mantenesse la propria posizione nel contesto del programma nucleare britannico, in diverse circostanze considerò l’opportunità di lasciarlo per impieghi accademici in America o in Europa (16).

Questo modo di vivere, con continui trasferimenti e viaggi, corrispondeva in Pontecorvo anche a un modo di intendere (metaforicamente) la ricerca nucleare. Egli è considerato da molti storici come uno dei più importanti scienziati italiani coinvolti nelle ricerche sui raggi cosmici e sulle particelle elementari nonché un pioniere della fisica dei neutrini. Lo studio di documenti di archivio mostra che in realtà Pontecorvo aveva interessi scientifici che andavano ben oltre lo studio della fisica delle particelle. Se spostarsi di luogo in luogo era un modo di intendere la propria vita, passare dallo studio di nuove particelle a quello del loro uso nella fisica applicata era parte integrante della sua ricerca. In particolare, per ciò che concerneva la soluzione di problemi applicativi attraverso pratiche sperimentali della fisica delle particelle e la possibilità di ottenere nuova conoscenza sulle particelle attraverso l’uso di strumentazione originariamente sviluppata nel contesto della fisica applicata (17).

La “flessibilità” di Bruno Pontecorvo nell’uso delle tecniche della fisica nucleare ci porta a considerare il suo rapporto con la ricerca “classificata” o “segreta”. Come abbiamo accennato, la versione ufficiale ha sempre sostenuto che Pontecorvo fosse prevalentemente impegnato nella fisica dei raggi cosmici e delle particelle elementari e che pertanto avesse un accesso molto limitato alla ricerca classificata. In realtà, fu proprio la specializzazione di Pontecorvo in questi settori di studio che lo condusse verso la ricerca segreta, come dimostrano due importanti aspetti della sua attività: la produzione di strumentazione per la rilevazione geofisica e la fisica delle pile atomiche.
Nel 1941 Pontecorvo iniziò a lavorare nel laboratorio di ricerca della Wells Surveys a Tulsa, Oklahoma. Nella sua autobiografia Emilio Segrè (altro “ragazzo di via Panisperna” che, trasferitosi in America, dal 1938 lavorava al Radiation Laboratory di Berkeley, California) ricorda come nel maggio del 1940 rifiutando una proposta della Wells Surveys avesse segnalato il nome di Pontecorvo (
18). La Wells Surveys era una delle maggiori imprese statunitensi coinvolte nella progettazione e produzione di rivelatori elettronici per le prospezioni petrolifere ma aveva avviato anche un programma di ricerca per i giacimenti di materiali radioattivi.

Negli anni successivi Pontecorvo e la Wells Surveys registrarono presso l’ufficio statunitense quattro brevetti relativi a strumentazioni per la rilevazione geofisica (19). Tre di questi brevetti riguardavano la ricerca petrolifera (20), il quarto invece un rilevatore che, utilizzando i “contatori in coincidenza”, permetteva di distinguere tra giacimenti di uranio e di torio(21). Va sottolineato che la tecnica dei contatori in coincidenza era stata sviluppata negli anni Trenta nel contesto della ricerca sui raggi cosmici ed era diventata sempre più affidabile grazie anche al circuito di coincidenza sviluppato dal fisico italiano Bruno Rossi (22). Pontecorvo, quindi, aveva trasferito sapientemente la tecnica dalla ricerca sui raggi cosmici a quella della rilevazione geofisica. Campioni di torio presenti in laboratorio emettevano radiazione gamma a un livello energetico di circa 2,6 milioni di electron volt, mentre i medesimi campioni di uranio emettevano la stessa radiazione a un livello di 2,2 milioni di electron volt. Pontecorvo capì subito che un sistema di coincidenza avrebbe potuto distinguere l’uranio dal torio proprio in base a quanto fosse penetrante la radiazione emessa dal giacimento. Questo caso indica chiaramente la vicinanza tra due aree di ricerca classificate in maniera molto diversa nel contesto dei regolamenti sulla sicurezza atomica. La ricerca sui raggi cosmici era considerata ricerca pura o di base, mentre gli studi inerenti alla strumentazione per la rilevazione geofisica diventeranno sempre più segreti in relazione alle necessità di identificare e produrre mappe di giacimenti radioattivi.

Va detto, tuttavia, che non fu la rilevazione geofisica la principale via di accesso di Pontecorvo alla ricerca militare. Nel 1943 il fisico decise di andare in Canada per partecipare al progetto atomico segreto anglo-canadese denominato in codice “Tube Alloys”. Questo progetto fu inizialmente finanziato dal Department for Scientific and Industrial Research (DSIR) britannico e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche canadese per studiare l’utilizzo dell’energia atomica. Dal 1944 il Tube Alloys fu diretto dal fisico inglese John Cockcroft e la maggior parte delle risorse furono orientate alla progettazione di un reattore nucleare eterogeneo alimentato con uranio arricchito e moderato con acqua pesante (23). Pontecorvo non solo collaborò al progetto ma vi contribuì in maniera determinante analizzando nel dettaglio questioni fondamentali per la progettazione dell’NRX (Reattore Nucleare X). Secondo la storica Margaret Gowing, in un primo momento il segretario generale del DSIR, Edward Appleton, non era stato favorevole all’assunzione del fisico italiano: “Quando fu avvertita la necessità di assumere Pontecorvo come membro della missione scientifica britannica, il segretario del DSIR si era opposto. Difatti Appleton era contrario a incrementare ulteriormente il già elevato numero di ricercatori non inglesi presenti nel progetto. Tuttavia, furono fatte pressioni su di lui sia in virtù della reputazione di cui godeva Pontecorvo sia per la mancanza di fisici così preparati nel suo campo di ricerca” (24).

Quale che fosse la ragione dell’iniziale opposizione di Appleton, l’assunzione di Pontecorvo fu vitale per la realizzazione del programma. Si consideri che il progetto dell’NRX necessitava innanzitutto di calcoli matematici per le dimensioni del reattore. In un secondo momento, sarebbero stati affrontati altri problemi di progettazione. I calcoli sulle dimensioni del reattore dipendevano prevalentemente dallo studio del comportamento dei neutroni nella pila e quindi da dati sperimentali ottenibili solo in centri di ricerca dove pile atomiche erano già operanti. Al tempo l’unica pila attiva era la Chicago Pile I (o CP-I), grazie al lavoro del gruppo di Enrico Fermi. Il maggior fisico italiano stava allora conducendo ricerche con una nuova pila, la CP-2, realizzata nel laboratorio Argonne, nei pressi di Chicago (25). Per ottenere dati essenziali per la realizzazione della pila anglo-canadese, i manager di Tube Alloys pensarono bene di inviare a Chicago proprio Bruno Pontecorvo, il quale discusse con il suo ex maestro i dati teorici elaborati in Canada. Fermi stesso fornì importanti indicazioni sul progetto. Una volta ritornato in Canada, Pontecorvo si occupò di aspetti fondamentali per il completamento di NRX, quali, per esempio, lo studio delle proprietà dei materiali fissili, dei prodotti della fissione nucleare controllata e dell’interazione fra prodotti e materiali in uso per la sua edificazione (26). Inoltre, contribuì allo studio dei materiali per la schermatura della pila atomica (27). Il ruolo di Pontecorvo nel contesto della progettazione di NRX, quindi, era sicuramente di grande importanza.

In Canada, Pontecorvo continuò a lavorare anche nel campo della strumentazione per l’identificazione di giacimenti radioattivi. Nel settembre del 1944 incontrò l’ex collega della Wells Survey Serge Scherbatskoy per testare alcuni nuovi rivelatori. Insieme esplorarono una zona all’interno della regione dei NorthWest Territories in Canada e per Cockcroft, direttore di Tube Alloys, stilarono un rapporto segreto indicante i depositi di materiali radioattivo trovati (28). Inoltre, in ottobre, esponenti di spicco dell’esercito americano coinvolti nel Progetto Manhattan organizzarono un incontro a Washington al fine di promuovere lo scambio di informazioni fra gruppi di scienziati inglesi, canadesi e americani impegnati nella produzione di strumenti per la rilevazione geofisica. Pontecorvo fu inviato all’incontro come rappresentante inglese ed ebbe quindi modo di conoscere nel dettaglio le diverse tecnologie in uso per l’esplorazione dei giacimenti di uranio. Il colonnello Paul Guarin (dell’entourage del generale Groves, il direttore generale del Progetto Manhattan), che presiedeva l’incontro, chiarì che tutti gli aspetti di ricerca inerenti alla rilevazione geofisica dovevano essere considerati segreti (29).

Di ritorno dalla conferenza, Pontecorvo consigliò Cockcroft sui possibili metodi per sviluppare nuove strategie per la mappatura dei depositi di uranio e di torio. Per una prima esplorazione su territori piuttosto vasti il fisico italiano suggerì l’impiego di potenti camere di ionizzazione installate su elicotteri o aeroplani. Una seconda indagine con rivelatori portatili dalle caratteristiche tecniche simili a quelle del rivelatore da lui progettato due anni prima avrebbe poi permesso di valutare le concentrazioni dei materiali presenti (30). In due anni il fisico italiano si era così guadagnato la fiducia e la stima dei dirigenti dei progetti atomici in corso sul territorio americano, che infatti non esitarono a coinvolgerlo nella produzione e nello scambio di informazioni in settori applicativi cruciali – la rilevazione geofisica e la fisica delle pile atomiche – nel contesto dell’uso militare dell’energia atomica (31).

Il bombardamento delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki sancì il completamento della ricerca nucleare finalizzata alla costruzione di armi per il conflitto in corso e segnò l’avvio di progetti nazionali per lo sfruttamento dell’energia atomica in campo militare e civile. Una prima stesura del programma atomico britannico assegnava a Pontecorvo la responsabilità della “fisica delle pile” (pile physics) nel nuovo centro di ricerca che gli inglesi avevano deciso di costruire ad Harwell, presso il quale alla fine del 1945 al fisico italiano fu offerta la posizione di Principal Scientific Officer (PSO) (32). Pontecorvo non accettò immediatamente la proposta. Proprio nel 1946, infatti, per la prima volta, egli fu tentato di lasciare la missione scientifica britannica in Canada. Il fisico inglese James Chadwick, responsabile per la gestione politica di Tube Alloys, dal suo ufficio a Washington si era infatti opposto alla sua richiesta di visitare l’Italia. A questo proposito va ricordato che erano appena iniziate le prime indagini sullo spionaggio atomico, grazie anche alla defezione del funzionario russo Igor Gouzenkou dell’ambasciata sovietica a Ottawa (33). Nel febbraio del ’46 Pontecorvo ebbe un incontro diretto con Chadwick e chiarì che se fosse stato autorizzato a viaggiare in Europa, avrebbe accettato l’offerta inglese; altrimenti, era pronto a lasciare la missione britannica per lavorare in un’università o in una azienda americana. Nel frattempo le investigazioni sul caso Gouzenkou erano giunte al termine (34) e, non essendo emerso nulla a carico di Pontecorvo, Chadwick non si oppose più al suo viaggio in Europa (35).

Al suo ritorno, però, Pontecorvo decise di rimanere in Canada presso la nuova stazione di ricerche nucleari di Chalk River per completare il progetto NRX, avviato verso la conclusione. Cockcroft accettò la sua decisione ma, preoccupato per le sorti della pila nucleare in costruzione ad Harwell, volle stabilire un canale di comunicazione tra gli scienziati della missione britannica in Canada e quelli impegnati nel progetto nella costruzione di BEPO (British Experimental Pile O) di Harwell. Cockcroft creò quindi un comitato che “avrebbe avuto il compito di consigliare il gruppo di scienziati impegnati nel progetto inglese e di rispondere a domande su aspetti tecnici provenienti dal Regno Unito” (36). Pontecorvo fu uno dei membri di questo gruppo e aiutò gli scienziati di Harwell a risolvere aspetti tecnici e importanti problemi nella progettazione di BEPO (37).

Nel dopoguerra l’attività di Pontecorvo si concentrò sulla ricerca dei raggi cosmici e sulla fisica delle particelle. Nel 1946 il fisico iniziò a programmare esperimenti per lo studio dei neutrini con le pile nucleari di Chalk River. Insieme ai fisici Geoffrey C. Hanna e David H. W. Kirkwood, sviluppò nuovi tipi di contatori proporzionali sensibili ai raggi b (38). I tre decisero anche di allestire a Chalk River un laboratorio per lo studio dei raggi cosmici e, in particolare, sulla disintegrazione dei mesoni. Il passaggio dalla ricerca applicata alla fisica delle particelle può essere spiegato dal desiderio di Pontecorvo di dedicarsi a un settore che prometteva grandi sviluppi. I nuovi acceleratori di particelle e i reattori disponibili avevano infatti permesso per la prima volta la produzione artificiale di reazioni nucleari. Recenti sviluppi della fisica dei raggi cosmici, inoltre, avevano fatto emergere diversi aspetti dell’interazione fra particelle nucleari.

Benché impegnato principalmente nella fisica “pura”, Pontecorvo non si allontanò dall’area della ricerca segreta: nello studio dei raggi cosmici, infatti, il fisico utilizzava strumenti “classificati”. Inoltre, mentre continuava la collaborazione con gli inglesi nel campo dello sviluppo di strumentazione per la rilevazione geofisica, iniziò a collaborare con aziende europee e americane coinvolte nella produzione di questo tipo di strumentazione. In estrema sintesi, grazie alla sua maestria nel doppio uso (ricerca di base e applicata) delle tecnologie per la rilevazione, Pontecorvo fu uno dei protagonisti nello sviluppo del programma nucleare britannico.
Si consideri inoltre che Pontecorvo usava strumenti come i kicksorter (o pulse analyser, analizzatori di impulso), che erano utilizzati nella misurazione della banda energetica delle particelle rilevate dai contatori. La pubblicazione di dettagli inerenti i kicksorter era stata autorizzata solo da poco (
39). Va inoltre ricordato che alcuni dei primi rapporti sulla rilevazione geofisica scritti da Pontecorvo erano stati trasferiti al Telecommunication Research Establishment (TRE) di Malvern, in Inghilterra. Durante la guerra, al TRE era stato sviluppato il radar per conto del Ministero dell’Aviazione inglese e ora il centro era impegnato nella produzione di nuovi rilevatori elettronici da utilizzare in diverse aree della ricerca nucleare, quali la rilevazione di particelle in acceleratori e pile nucleari, la fisica dei raggi cosmici e la rilevazione geofisica. Per quanto riguarda quest’ultima, occorre, inoltre, ricordare che i servizi di intelligence britannici, dal 1945 impegnati nella individuazione di depositi di uranio in diverse aree del mondo, avevano chiesto di poter disporre di strumenti di maggiore precisione (40). Il TRE aveva sviluppato due nuovi programmi di ricerca in merito: produzione di rilevatori portatili per l’esplorazione a terra e strumentazione per la ricerca aerea.

Nel 1947, Ernest Franklin produsse il primo rilevatore portatile, basato proprio sulla tecnica dei circuiti di coincidenza (Fig. 5) (41). All’epoca le misure di sicurezza relative a questa area di ricerca erano estremamente rigide. Nel 1948 uno dei fisici del TRE, Dennis Taylor, per aver pubblicato nel giornale del centro di ricerca i dettagli relativi a uno dei rivelatori portatili per raggi gamma fu severamente redarguito dai suoi superiori. Tutta la strumentazione per la rilevazione geofisica e per la valutazione della proporzione di uranio e torio in campioni provenienti da depositi di materiali radioattivi era ritenuta un segreto di vitale importanza (42). Davidson (vedi nota 40) era molto preoccupato per le conseguenze dell’iniziativa di Taylor: “La pubblicazione di rapporti tecnici dettagliati in giornali scientifici è un modo di fare un regalo del tutto non dovuto in termini di informazioni a certi Stati che sono interessati a sapere che cosa stiamo facendo in questo campo di ricerca. Forse sarebbe bene ricordare che la diffusione di qualsiasi informazione inerente alla rilevazione di depositi non ferrosi nell’Unione Sovietica viene al momento considerata un’offesa capitale” (43). Davidson chiese anche a un diplomatico inglese di stanza a Washington di verificare attraverso i servizi americani se l’Unione Sovietica poteva in qualche modo trarre vantaggio dalla pubblicazione di dettagli su nuovi strumenti per la rilevazione geofisica. Nella sua risposta il diplomatico sottolineò che simili informazioni potevano permettere ai sovietici di interpretare le mappe geologiche dei britannici oppure di produrne altre molto più dettagliate (44). Tra il 1947 e il 1948 Pontecorvo continuò a consigliare Cockcroft circa la produzione di nuovi rilevatori, e il fisico inglese ritrasmetteva queste informazioni al TRE (45). Nel luglio del 1948, poco dopo la sua incauta iniziativa, Taylor ricevette nei laboratori di Malvern una visita di Pontecorvo per l’avvio di alcune ricerche (46).

Nel 1946 l’attività svolta da Pontecorvo come consulente di imprese private nel campo della rilevazione geofisica aveva suscitato le obiezioni di un funzionario del Ministero per gli Approvvigionamenti ma poi il fisico italiano era stato autorizzato a continuare la collaborazione anche se con l’impegno di non depositare brevetti (47). Per questo motivo, egli evitò di registrare un certo numero di sue invenzioni lasciando che fosse Scherbatskoy a farlo (48). Grazie al fisico Giuseppe Fidecaro, è inoltre risaputo che dal 1948 i rilevatori a neutroni di Pontecorvo avevano attratto l’interesse di società europee impegnate nell’estrazione del petrolio, in particolare dell’Agenzia Italiana Petroli (AGIP) e dall’An-glo-Iranian Oil Company (49).

Nel 1948 la rivista scientifica Nature annunciò che Bruno Pontecorvo, “responsabile per lo sviluppo di pile nucleari in Canada ed ora impegnato in ricerche di fisica nucleare” era stato nominato Senior Principal Scientific Officer ad Harwell. Le ragioni per le quali Pontecorvo accettò questo incarico non sono del tutto note. In effetti, egli aveva espresso il desiderio di lavorare in Europa per essere più vicino alla sua famiglia e Cockcroft voleva che si occupasse più direttamente di alcune questioni relative al programma nucleare britannico. Inoltre, il fisico italiano era stato coinvolto in un progetto europeo per la realizzazione di un laboratorio dedicato allo studio dei raggi cosmici al Pic au Midi, nei Pirenei. Anche in tali circostanze, tuttavia, Pontecorvo non si occupò solo di “ricerca pura”. Nel 1949, fu infatti chiamato a far parte del comitato direttivo denominato “Power Steering” (PSC) e in seguito ne divenne membro a tutti gli effetti (50). Dal 1947, il PSC era probabilmente il più importante fra i comitati tecnici di Harwell e si occupava delle nuove tecnologie per i reattori, dei materiali fissili e non fissili e della progettazione di nuove pile (51). Facevano parte del gruppo i più importanti scienziati di Harwell, Cockcroft incluso.

La partecipazione di Pontecorvo al PSC mette in luce ancora una volta la relazione fra ricerca pura e applicata, aperta e segreta, all’interno del centro inglese. Ciò è anche evidente in uno degli organisational charts di Harwell ed è dimostrato dai contatti tra aree di ricerca segrete e aperte (Fig. 6) (52).
Peraltro, in Gran Bretagna Pontecorvo continuò a occuparsi di nuovi tipi di contatori proporzionali per la rilevazione di radiazione nella banda delle basse energie (
53). La rilevazione di particelle nello studio dei raggi cosmici, nei reattori nucleari e negli acceleratori era certamente una finalità di questa ricerca. Ma altrettanto lo era la costruzione di nuova strumentazione di grande sensibilità per la rilevazione di giacimenti radioattivi (e anche di petrolio e gas naturale). Nel 1950 Pontecorvo seppe che Scherbatskoy, lasciata la Wells Surveys, lavorava per la Perforating Guns Atlas Corporation, “una nuova compagnia che ha alle spalle una notevole copertura finanziaria e che presto entrerà in competizione con la Wells Surveys” (54). Entrambe le imprese erano impegnate nella rilevazione di depositi di uranio in Canada per conto del Combined Development Trust (CDT), nato nel 1944 per ottimizzare la collaborazione in questo campo fra Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna. Le imprese consideravano la produzione di rilevatori più sensibili come un segreto industriale proprio perché questi strumenti avrebbero permesso l’individuazione dei depositi con maggiore concentrazione di uranio. Scherbatskoy aveva chiesto a Pontecorvo di affiancarlo nello sviluppo di nuovi rilevatori per la registrazione di neutroni e di raggi gamma, una ricerca che, sottolineava in una lettera al fisico italiano del giugno del 1949, doveva essere trattata con la massima segretezza: “Vogliamo che nessuno, in particolare alla Wells Surveys, sappia che stiamo lavorando su questo problema” (55). La richiesta dell’ingegnere americano giungeva al termine di un periodo di intensa collaborazione fra i due, che dal 1947 si scambiavano informazioni. Anche in questa attività di Pontecorvo segreti di natura commerciale, industriale e nazionale si intrecciavano.

Nel marzo del 1950, in seguito all’arresto del fisico tedesco Klaus Fuchs e all’inizio della “caccia alle streghe” negli Stati Uniti e in Europa, un “preoccupatissimo” Pontecorvo chiese di essere ascoltato da Henry Arnold, il funzionario per la sicurezza di Harwell. Il fisico confessò di avere in Italia alcuni parenti iscritti al Partito Comunista benché lui stesso non fosse interessato alla politica. Arnold interrogò Pontecorvo e i suoi superiori più di una volta e concluse che effettivamente il fisico italiano non aveva alcuna tendenza politica. Arnold, tuttavia, sottolineò che, proprio perché Pontecorvo aveva un ruolo di primo piano ad Harwell, un rischio per la sicurezza esisteva. Herbert Skinner, che era stato il fisico di Harwell più alto in grado, suggerì a Pontecorvo di fare domanda per una cattedra di fisica sperimentale appena istituita all’Università di Liverpool, ateneo dove, peraltro, egli stesso era da poco titolare della cattedra “Lyon Jones” di fisica sperimentale. A Liverpool, il dipartimento di fisica era stato recentemente rinnovato ed era stato costruito un nuovo sincrociclotrone. In effetti, nel giugno del 1950 la nuova cattedra fu offerta a Pontecorvo (56). Ma a luglio il fisico era ancora molto indeciso circa il suo futuro. In effetti, Cockcroft e Skinner non gli avevano impedito di rimanere ad Harwell dopo la sua “confessione”, anche se gli avevano chiesto di accettare una posizione di secondo piano (e quindi con minori implicazioni nei “segreti atomici”). Comunque, alla fine di luglio Pontecorvo decise di accettare la cattedra all’Università di Liverpool e subito dopo partì per le vacanze in Italia.

Ma Pontecorvo non sarebbe mai tornato in Gran Bretagna. L’estate del 1950 fu caratterizzata da un’intensificazione della “caccia alle streghe” con investigazioni e arresti in America e in Europa. In particolare, negli Stati Uniti, dove era visto con sospetto il simpatizzare per partiti, gruppi o organizzazioni comuniste, all’inizio di ottobre 94 cittadini stranieri furono arrestati per le loro idee politiche. In Europa, alcuni governi introdussero misure per l’investigazione del personale impiegato presso uffici pubblici e centri nazionali di ricerca. Il clima era tale che nel settembre di quell’anno Ludwig Jánossy, un fisico ungherese che si occupava di raggi cosmici presso l’Università di Dublino, preferì rimanere nel suo paese piuttosto che tornare in Irlanda e rischiare di essere coinvolto in una persecuzione. Bruno Pontecorvo, in vacanza al Circeo, seguiva questi sviluppi con crescente preoccupazione: se il contenuto della sua confessione ad Arnold fosse finito sui giornali, egli sarebbe diventato un obiettivo della “caccia alle streghe”. Ancora in vacanza, il fisico informò i sovietici (probabilmente attraverso i suoi parenti) di voler lasciare l’Europa. Alla fine di settembre raggiunse in aereo la Finlandia e da lì la Russia. Per un paio di mesi nessuno seppe dove si trovasse (57) e soltanto nel novembre del 1950 l’intelligence inglese ebbe la certezza quasi assoluta che Pontecorvo fosse in URSS.

Come abbiamo visto, Pontecorvo aveva avuto un ruolo di primo piano nel progetto atomico britannico e, proprio per questo, era a conoscenza dei segreti atomici custoditi ad Harwell. Grazie all’esperienza fatta con i progetti nucleari canadesi e britannici, conosceva le tecnologie e i materiali della fisica delle pile tanto quanto le possibili applicazioni dei reattori stessi. Proprio in uno degli ultimi incontri del PSC cui aveva preso parte, Pontecorvo aveva discusso l’importanza di sviluppare nuovi reattori moderati con acqua pesante in relazione ai diminuiti costi di produzione di questo materiale e alle sue qualità rispetto ad altri, come, per esempio, la grafite. La sua conoscenza della fisica delle pile comprendeva dettagli della produzione di materiali fissili e di prodotti secondari, e dei problemi di schermatura dei reattori nucleari (58). Inoltre, Pontecorvo era specializzato nella progettazione di contatori per la rilevazione geofisica. Al tempo, le norme dell’Atomic Energy Research Establishment britannico sulle ricerche condotte in questo campo erano molto restrittive, vista la loro importanza in relazione ai piani nazionali per il monopolio dei giacimenti di uranio. Inoltre, le aziende americane del settore erano in competizione per mettere a disposizione del Combined Development Trust strumentazione di grande sensibilità ed erano, quindi, interessate a mantenere segreti i dettagli di tali strumenti. Pontecorvo era coinvolto in tutte queste aree di ricerca.

Minimizzare!

Nel gennaio del 1950, in Gran Bretagna l’arresto di Fuchs aveva messo sotto pressione l’organizzazione nucleare e creato un certo allarmismo nella stampa, nell’opinione pubblica e nei politici. Inoltre, il modo in cui i britannici avevano gestito il caso era stato particolarmente criticato dagli americani, che avevano posto l’adozione di nuove misure di sicurezza come condizione per la collaborazione tra i due paesi in campo nucleare. La fuga di Pontecorvo, quindi, avvenne in un momento critico della politica nucleare britannica. L’esame di nuove carte di archivio rivela che per non compromettere i negoziati con gli Stati Uniti per lo scambio di informazioni nucleari, alcuni diplomatici britannici decisero di minimizzare il caso. Fu quindi questo proposito che determinò l’atteggiamento ufficiale nei confronti della fuga di Pontecorvo.

Nel 1950, la Gran Bretagna era coinvolta in importanti negoziati con gli Stati Uniti e il Canada. Dal luglio del 1946, grazie all’Atomic Energy Act proposto dal senatore americano Brian McMahon, gli Stati Uniti avevano deciso di interrompere la collaborazione internazionale in campo nucleare. In seguito, la carenza di uranio per il completamento del programma nucleare nazionale aveva costretto gli statunitensi a riprendere i negoziati con la Gran Bretagna, che disponeva di maggiori risorse. Nel gennaio del ’48 un nuovo accordo era stato raggiunto (il Modus Vivendi) e prevedeva uno scambio limitato di informazioni in cambio dell’uranio inglese. Tuttavia, l’accordo non soddisfaceva nessuno dei due partner. Gli americani avevano bisogno di maggiori quantità di uranio per il loro programma militare, in rapida espansione, mentre gli inglesi volevano informazioni per la produzione di armi nucleari. I diplomatici statunitensi vedevano il progetto di un’atomica britannica come il maggiore ostacolo per ulteriori negoziati. Per due anni le trattative erano proseguite senza grandi successi, ma nel 1950, i diplomatici britannici presso gli Stati Uniti erano convinti che presto un accordo sarebbe stato raggiunto (59).

In seguito alla scomparsa di Pontecorvo i diplomatici britannici si preoccuparono soprattutto che la notizia di un possibile passaggio ai sovietici di informazioni nucleari riservate potesse interrompere in maniera definitiva i negoziati. Quindi, tentarono di anticipare le critiche degli americani. L’ambasciatore inglese a Washington, Oliver Franks, il sottosegretario del Ministero degli Esteri (Foreign Office) Roger Makins e Michael Perrin concordarono una strategia comune mentre l’ufficio di gabinetto a Londra e l’ambasciata a Washington in uno scambio di telegrammi “top secret” minimizzavano l’intera faccenda. Inoltre, sollecitata da Londra, l’ambasciata informò dell’accaduto le autorità americane. Nelle missive segrete si affermava che Pontecorvo era stato coinvolto esclusivamente in ricerche non segrete e solo in alcuni aspetti di secondaria importanza inerenti ai reattori nucleari (60), versione questa che sarebbe stata sostenuta dal ministro degli Approvvigionamenti Strauss anche nel corso di un’interrogazione parlamentare. Secondo Strauss, Pontecorvo aveva avuto un accesso molto “limitato” a documentazione segreta. Infine, le informazioni fornite alla stampa non differirono di molto da quello che circa tre anni prima era stato scritto sulla rivista scientifica Nature quando Pontecorvo era stato trasferito ad Harwell.

Ma questa versione dei fatti contraddiceva chiaramente il contenuto del regolamento sulla segretezza delle informazioni nucleari. Secondo il rapporto sull’applicazione alla ricerca nucleare delle regole di segretezza scritto nel 1948 “lo scopo principale di queste regole è di proteggere informazioni necessarie alla produzione di materiale fissile. Esse proteggono quindi il design di pile nucleari, impianti chimici di estrazione, impianti di separazione degli isotopi dagli elementi pesanti e anche informazioni inerenti alle materie prime” (61). Il rapporto chiariva che i rilevatori nucleari non erano necessariamente classificati ma sottolineava che “ricerche associate con questi strumenti sarebbero stati classificati nel caso in cui fossero stati utilizzati per applicazioni segrete, quali per esempio la ricerca di materie prime”. La versione dei fatti fornita da Strauss contraddiceva nello specifico anche l’esame fatto da Arnold nell’aprile del 1950 in seguito all’interrogatorio di Pontecorvo. Secondo Arnold, dato “che Bruno Pontecorvo ha accesso a informazioni Top Secret, dal punto di vista della sicurezza nucleare esiste virtualmente un rischio per la sicurezza” (62).

Nel frattempo l’ambasciata britannica a Washington constatò con una certa soddisfazione che le reazioni della stampa americana erano state piuttosto moderate. Le elezioni del Senato americano avevano tenuto la stampa statunitense impegnata su altre questioni e anche i politici avevano mostrato solo un “moderato interesse” (63). Il 2 novembre del 1950 Franks prese contatto con Makins, chiedendo espressamente di continuare a minimizzare l’intera faccenda: “Sono particolarmente interessato ad assicurare che “non si disturbi il can che dorme” e ho qualche speranza che l’intera faccenda sia presto dimenticata […] La mia preoccupazione è di assicurare il più possibile che il caso Pontecorvo non metta in discussione le prospettive del nuovo negoziato sul piano del Pentagono per la collaborazione trilaterale” (64).
A Perrin fu quindi riferito che Franks voleva “minimizzare le ripercussioni del caso Pontecorvo sui futuri negoziati” (
65). Perrin preparò il rapporto sulla carriera di Pontecorvo seguendo accuratamente la direttiva. Tale rapporto costituì la base per il secondo intervento di Strauss nel parlamento britannico e per la risposta alla richiesta di informazioni da parte della Atomic Energy Commission statunitense. Secondo Perrin, Pontecorvo aveva abbandonato le ricerche sui reattori nucleari e in ogni caso la sua conoscenza in questa area era molto limitata: “È improbabile che Pontecorvo abbia una conoscenza specializzata circa aspetti tecnici delle pile nucleari […] È possibile che possegga una conoscenza generale riguardo ai differenti tipi di reattori nucleari che possono essere utili nel contesto di un programma civile, ma non sarebbe probabilmente capace di descriverne i dettagli tecnici” (66).

Nel rapporto di Perrin non era menzionata la partecipazione del fisico al PSC, né tanto meno il recente sviluppo di nuove tecnologie per reattori basati sull’uso di acqua pesante. In merito alle ricerche nel campo dei rilevatori, Perrin sottolineò che Pontecorvo era coinvolto nello studio dei raggi cosmici senza citare le ricerche nel campo della rilevazione geofisica. Ma Perrin certamente doveva essere preoccupato che proprio le conoscenze del fisico italiano in questo ambito di ricerca potessero essere di grande importanza per i sovietici e il loro piano di identificare i depositi di uranio in Unione Sovietica. Alla fine degli anni Quaranta i sovietici avevano già rilevato diverse aree con differenti tipi di strutture geologiche per trovare depositi di uranio (67). Nel 1947 e nel 1948 due rapporti di intelligence inglesi avevano indicato proprio nella carenza di riserve di uranio uno dei fattori limitanti del programma atomico sovietico (68) e ancora nel 1950 l’approvvigionamento di uranio era considerato uno dei problemi urgenti da parte dei geologi sovietici (69). Infine, come abbiamo visto, la strumentazione per la rilevazione geofisica in possesso dei russi era considerata dall’intelligence americana non adeguata all’esplorazione geofisica. Era evidente, quindi, che le conoscenze di Pontecorvo potevano essere di grande importanza per il programma atomico sovietico.

Ma questo fatto fu omesso nel rapporto ufficiale sulla carriera del fisico italiano stilato dopo la sua fuga. Perrin confermò il ruolo che Pontecorvo aveva avuto in Canada come esperto di reattori nucleari ma evitò di fornire dettagli circa il fatto che fosse stato un membro del Power Steering e che, in quanto tale, era in possesso di informazioni segrete. In particolare, proprio pochi mesi prima della fuga di Pontecorvo, il PSC aveva discusso un programma di ricerca sviluppato in collaborazione con la Marina militare. Si trattava dell’impiego di reattori nucleari per la propulsione navale. In uno delle ultime riunioni del Power Steering alcuni rapporti tecnici erano stati fatti circolare tra i suoi membri, Pontecorvo incluso (70). In seguito all’arresto di Klaus Fuchs, Cockcroft si era preoccupato moltissimo del fatto che documentazione classificata su progetti per la difesa fossero stati fatti circolare tra i membri del comitato e aveva quindi deciso che i reattori nucleari per la propulsione navale non dovessero essere più discussi in quella sede.

Dopo che il rapporto di Perrin ebbe “chiarito” che il “caso Pontecorvo” non costituiva alcun pericolo di fuga di informazioni classificate, il Ministero degli Esteri britannico si preoccupò di assicurare che non ci fossero ulteriori tentativi di tirar fuori la faccenda. E quando il 24 novembre un diplomatico inglese a Helsinki fece sapere che le autorità finlandesi erano interessate a passare sotto silenzio l’intera vicenda poiché il fisico italiano era entrato in Finlandia senza le necessarie autorizzazioni (71), il Ministero rispose di “non avere alcun desiderio di andare contro le intenzioni dei finlandesi di minimizzare la faccenda” avendo “infatti il medesimo interesse delle autorità finlandesi a evitare che sull’episodio vi sia ulteriore pubblicità. Il caso”, concludeva la missiva del Foreing Office, “sembra ora attrarre minor interesse e ravvivarlo non andrebbe sicuramente a nostro vantaggio” (72). Nel novembre del 1950, in effetti, l’attenzione dei media era puntata sulla situazione internazionale, giacché la guerra in Corea, iniziata nel giugno di quell’anno, dopo l’entrata della Cina nel conflitto era in una situazione di stallo. La guerra in Asia, tra l’altro, rafforzò l’alleanza tra Stati Uniti e Inghilterra, già indebolita dai casi Fuchs e Pontecorvo (73).

Come si costruisce una spia atomica

Mentre i diplomatici britannici erano impegnati a minimizzare la fuga di Pontecorvo, i giornali inglesi cominciarono a interessarsi del passato del fisico italiano e ad accusarlo di essere stato una spia dal 1943 al 1950. Gli articoli dipingevano Fuchs, Nunn May e Pontecorvo come “spie atomiche”, senza peraltro poter provare che il fisico italiano avesse trafugato segreti atomici prima della sua defezione. Tuttavia, il caso continuò a figurare in speculazioni giornalistiche circa la presenza di talpe sovietiche nelle ambasciate, nei centri di ricerca e nei servizi segreti britannici.

Subito dopo la fuga di Pontecorvo alcuni funzionari dell’FBI fecero notare all’ambasciata inglese a Washington che il fisico non avrebbe dovuto essere autorizzato a viaggiare in Italia (74). Negli archivi dell’agenzia statunitense, infatti, Pontecorvo era identificato come simpatizzante comunista, e, sostenevano gli americani, della cosa erano stati informati i servizi d’intelligence britannici (75). Tuttavia, i funzionari dell’FBI assicuravano che non avrebbe reso pubbliche le simpatie politiche di Pontecorvo, sempre che l’agenzia non fosse messa sotto pressione dai parlamentari, come il senatore McCharty. Nel frattempo, in Gran Bretagna un comitato segreto istituito dall’ufficio di gabinetto del primo ministro si riunì per varare nuove procedure per l’esame del personale impiegato presso laboratori di ricerca pubblici. Sei giorni dopo l’annuncio della scomparsa di Pontecorvo, il comitato elaborava nuove misure per l’adozione del famigerato positive vetting, definito dal primo ministro laburista Clement Attlee anche “procedure d’epurazione” (purge procedures) (76).

Fu in questo periodo che Chapman Pincher, il corrispondente per le questioni scientifiche del tabloid londinese Daily Express, cominciò a utilizzare il caso Pontecorvo per dimostrare l’inefficienza dell’agenzia MI5 e la necessità di riformare le misure di sicurezza in merito a questioni atomiche. Nella settimana tra il 21 e il 27 ottobre del 1950, Pincher conquistò ben cinque titoli di prima pagina con articoli che gettavano ombre sulla lealtà dello scienziato italiano e criticavano la condotta delle agenzie di sicurezza britanniche (77). Lo stesso giorno in cui il comitato per l’elaborazione del positive vetting si riuniva per discutere i nuovi provvedimenti, Pincher concludeva le sue inchieste sul Daily Express con un articolo in cui sosteneva che nel 1943 Pontecorvo non era stato esaminato prima di essere assunto nel programma britannico a causa di una incomprensione tra i servizi d’intelligence britannici e canadesi (78). Al momento, benché il caso Pontecorvo avesse già avuto un certo impatto sui membri del comitato per le nuove misure di sicurezza, l’adozione del positive vetting fu comunque contemplata solo in casi eccezionali (79). Ma nel giro di qualche mese le misure di sicurezza britanniche furono rese molto simili a quelle adottate negli Stati Uniti. Questa deriva illiberale del governo britannico era fiancheggiata dalla campagna giornalistica di Pincher. In una ricostruzione dell’intero caso Pontecorvo pubblicata sul Daily Express del 26 febbraio 1951, il giornalista sosteneva che il fisico era un “fervente comunista” e che dal ’43 al ’50 aveva avuto ripetuti contatti con agenti sovietici, ai quali aveva passato “dettagli sull’esplosivo atomico che l’altra spia Klaus Fuchs non conosceva”. A Pontecorvo, concludeva Pincher, era stato ordinato di andare in Russia dopo le sue dimissioni dall’incarico di Harwell, in quanto non più utilizzabile per ottenere informazioni segrete sulla ricerca nucleare (80). Il clamore dei casi di Fuchs, Pontecorvo e Nunn May era ancora vivo quando nell’estate del 1951 a Washington si svolse una conferenza trilaterale durante la quale gli statunitensi posero l’adozione in Gran Bretagna di ulteriori misure di sicurezza, quali, il positive vetting, come condizione essenziale per la definizione della collaborazione nel campo del nucleare (81). Il 27 agosto dello stesso anno il governo britannico approvò in maniera definitiva il positive vetting (tuttora in vigore per quello che riguarda la sicurezza nazionale).

Nel 1952 il giornalista del Times Alan Moorehead, che aveva seguito il caso dall’inizio, avanzò seri dubbi sul fatto che Pontecorvo fosse veramente una spia atomica (82). Secondo Moorehead, benché la fuga del fisico italiano potesse essere interpretata come un tradimento, non esisteva alcuna prova certa di sue attività di spionaggio mentre lavorava per il programma atomico britannico. Secondo il giornalista, gli elementi a disposizione degli inquirenti suggerivano tanto che Pontecorvo poteva aver tradito quanto che era fuggito in Russia per colpa della “caccia alle streghe” (83). Ma quella di Moorehead rimase una voce isolata. Un aiuto alla causa del maccartismo venne dal lavoro letterario scritto nel 1952 e pubblicato nel 1954 dal romanziere e funzionario del governo britannico Charles P. Snow. The New Men faceva del progetto atomico britannico un soggetto narrativo in cui figuravano, sotto pseudonimo, molti protagonisti di quell’impresa scientifica (84). Anni dopo, a proposito del personaggio chiamato Eric Sawbridge, spia atomica, Snow dichiarò che non c’era mai stato “un “caso Sawbridge”, ma diversi casi simili correlati fra di loro” (85). E certo ai lettori più attenti non sfuggì il fatto che “bridge” altro non era che la traduzione dall’italiano “ponte”, il soprannome di Pontecorvo ad Harwell, come i giornali dell’epoca avevano ampiamente riportato (86). Snow, evidentemente, aveva riunito le personalità dei tre scienziati – Nunn May, Fuchs e Pontecorvo – in un personaggio di fantasia, rilanciando di fatto l’idea che il programma nucleare britannico fosse stato ostacolato da scienziati ideologicamente corrotti che avevano trasferito informazioni riservate dall’altra parte della cortina di ferro.

Durante i momenti più “caldi” della Guerra Fredda, la raffigurazione di Pontecorvo come spia atomica fu arricchita di nuovi dettagli per mostrare che la sicurezza nucleare doveva essere considerata uno degli obiettivi principali dell’Occidente. In tal senso, la propaganda degli anni Cinquanta è assimilabile solo a quella degli anni Ottanta. In due libri scritti nell’81 e nell’84 Pincher rivelò l’episodio delle note informative che l’agenzia FBI aveva prodotto su Pontecorvo. Secondo il giornalista, le note non avevano mai raggiunto l’MI5 a causa del diplomatico Kim Philby che le aveva fatte sparire. Nel 1949 Philby lavorava all’ambasciata inglese a Washington e in seguito si scoprì che era un agente sovietico che faceva il doppio gioco. Secondo Pincher, sarebbe stato proprio Philby a informare i sovietici che Pontecorvo era stato scoperto, e questi avrebbero quindi consigliato al fisico italiano di lasciare il Regno Unito (87). Nello stesso periodo si tentò anche di legare il caso Pontecorvo a quello di Igor Gouzenkou. Nel 1980, lo storico Harford Montgomery Hyde riportò che alcuni documenti segreti ottenuti dall’ambasciata sovietica si riferivano a due agenti denominati “Gini” e “Golia”. Considerando che Fuchs aveva confessato di essere l’agente segreto “Golia”, Montgomery ne deduceva che “Gini era molto probabilmente Bruno Pontecorvo, che magari potrebbe anche sembrare fantastico, ma dopotutto Bruno Pontecorvo era per molti aspetti un personaggio fantastico” (88). La defezione di alcuni ex agenti sovietici del KGB contribuì ad aumentare la confusione. Nel 1990 Oleg Gordievski, un ex ufficiale del KGB, dichiarò che Pontecorvo era una spia atomica della stessa importanza di Fuchs. Tuttavia, nel sostanziare la propria affermazione non trovò di meglio che citare come fonte proprio Montgomery Hyde.

Quale che sia la verità, la documentazione che abbiamo potuto consultare suggerisce che l’intera storia di un Pontecorvo spia atomica sia una vera e propria fabbricazione. Come abbiamo visto, nel 1950 l’FBI aveva segnalato che lo scienziato era un simpatizzante comunista. Questo è quanto risultava in tre rapporti scritti dall’agenzia americana nel febbraio del 1943 e spediti al British Security Coordinaton (BSC), l’organizzazione per le questioni di sicurezza britanniche nell’emisfero occidentale diretta da William “Little Bill” Stephenson (89). L’FBI aveva perquisito la casa di Pontecorvo a Tulsa “trovando numerosi pamphlet e libri sul Comunismo” (90) e aveva rilevato che il fisico italiano era amico dello scienziato francese Frèdèric Joliot-Curie, comunista. L’FBI aveva spedito copia dei rapporti al BSC che per ragioni non del tutto chiare, non ne tenne conto. I suoi funzionari riferirono quindi ai responsabili del progetto anglo-canadese che Pontecorvo poteva essere assunto. A questo proposito, nel rapporto sul caso Pontecorvo consegnato nel novembre del 1950 da Roger Hollis, direttore della sezione C (Sicurezza) dell’MI5, a Perrin e Strauss si riteneva “molto probabile che i rapporti non fossero stati notati dal funzionario in carica per l’esame di Pontecorvo” e che non erano stati inclusi nelle sue carte amministrative. In effetti, l’MI5 non era responsabile di alcun errore perchè non aveva mai avuto i rapporti FBI circa il caso Pontecorvo, tanto meno lo era l’MI6 che non ebbe mai modo di vederli. In ogni caso Hollis consigliò la massima cura nell’evitare la fuga di queste informazioni. L’FBI infatti avrebbe potuto impugnare la divulgazione da parte dell’MI5 di dettagli inerenti al caso Pontecorvo per denunciare gli accordi presi tra i direttori delle due organizzazioni (Percy Sillitoe e J. Edgar Hoover) secondo i quali “nessuna delle due organizzazioni avrebbe detto qualcosa a riguardo delle azioni dell’altra senza preventiva consultazione e accordo” (91). Hollis dichiarò che Pontecorvo era stato esaminato anche dai servizi di sicurezza canadesi che, nel dicembre del 1946, avevano comunicato di non avere nulla contro il suo impiego (92).

Inquadrare i rapporti dell’FBI in una prospettiva storica aiuta a chiarire la faccenda. I risultati della perquisizione nell’abitazione del fisico italiano non erano stati di certo così stupefacenti. L’amicizia con Joliot-Curie non poteva generare sospetti, specialmente se si tiene conto che i due maggiori collaboratori del fisico francese erano al tempo esponenti di spicco di Tube Alloys e che uno di loro, Hans Von Halban, a Montreal aveva diretto l’intero team internazionale di ricercatori prima che l’incarico fosse assunto da Cockcroft (93). Peraltro, l’FBI – insieme al British Security Coordinaton – era stato coinvolto nell’investigazione sul caso Gouzenkou del 1946 (94). Se il servizio d’intelligence americana avesse dubitato veramente della lealtà di Pontecorvo avrebbe avuto modo e tempo di indagare la sua posizione e scoprire prove compromettenti già tra il 1945 e il 1946. In realtà, non solo in quella circostanza non fu scoperto nulla contro il fisico italiano ma, addirittura, Pontecorvo fu autorizzato a lasciare l’America. Persino il generale Leslie Groves, che era ossessionato dalla sicurezza e che fu una delle figure determinanti nell’avvio delle investigazioni sulla defezione di Gouzenkou, dopo l’arresto di Nunn May non fece alcuna obiezione al fatto che Pontecorvo lasciasse il Canada per un viaggio in Europa. Groves era certo che Pontecorvo non fosse una spia, e comunque era abbastanza accorto da promuovere il suo pedinamento, il quale non rilevò alcuna attività di spionaggio. Quindi, nel 1950 l’FBI ripescò dall’archivio i rapporti su Pontecorvo non perché riteneva che il fisico fosse una spia ma solo per spingere il Regno Unito all’adozione di misure di sicurezza più rigorose (e illiberali). In conclusione, quei rapporti furono utilizzati dagli americani come uno strumento d’ingerenza nella politica di sicurezza nazionale britannica.

Se questa ricostruzione dei fatti è corretta, le versioni giornalistiche proposte nel corso degli anni appaiono del tutto infondate. I rapporti dell’FBI non giunsero mai a destinazione non perché, come sostenuto da Pincher, furono eliminati da Kim Philby (il quale lavorava a Washington per l’MI6) ma perché furono spediti al BSC stanziato a New York. Certo si può dubitare delle ragioni per cui il BSC non tenne in debito conto le comunicazioni dell’FBI, ma tutt’altro è attribuirle alla sovversione di Philby o alla inefficienza dell’MI5 o dell’MI6. Ciò significa che nel 1950 e nel 1980 Pincher e altri costruirono le loro storie mescolando fatti certi e fatti ipotetici su eventi probabili ma mai dimostrati. Infatti, se non esistono ancora prove del fatto che Pontecorvo fosse in contatto con agenti sovietici prima della sua fuga (cosa che a questo punto sembra sempre più difficile da dimostrare), è vero che prima del 1950 l’FBI aveva spedito delle informative ai servizi d’intelligence britannici. Queste informazioni erano considerate della massima segretezza, dati gli accordi tra i direttori delle due agenzie. Ma dopo il 1950 queste informazioni – che erano veritiere – filtrarono attraverso fonti non meglio identificate e furono utilizzate nel contesto di investigazioni giornalistiche non certo cristalline. Solo la recente de-classificazione di questo materiale ha permesso di fare luce sulla natura di tali informazioni e sulla loro successiva manipolazione.

Un necessario ripensamento

Bruno Pontecorvo a Marina di Pisa nel 1955

Nel 1955, Pontecorvo durante una conferenza stampa all’Istituto di Fisica Nucleare di Dubna, in URSS, presso il quale lavorava, disse di aver lasciato la Gran Bretagna in conseguenza della “caccia alle streghe” e dei continui interrogatori che aveva dovuto sostenere da parte dei servizi di sicurezza inglesi. Pontecorvo dichiarò di non aver partecipato a programmi militari e di aver contribuito in maniera molto limitata al programma nucleare civile sovietico. Pontecorvo lavorò in Unione Sovietica per tutta la vita e dal 1980 visitò a più riprese l’Italia. Impegnato nelle campagne per il disarmo all’interno di organizzazioni scientifiche internazionali, il fisico italiano si espose in prima persona contro la proliferazione delle armi nucleari. Se, come affermò nel 1955 e anche in seguito, egli contribuì in qualche modo al programma per lo sviluppo dell’uso civile dell’energia atomica in Russia non è ancora noto in quali ambiti e in quale modo ciò avvenne. È lecito supporre che la presenza di Pontecorvo in Unione Sovietica possa essere stata molto più importante di quanto egli abbia lasciato intendere, proprio perché la specializzazione del fisico nello studio della strumentazione per la rilevazione geofisica riguardava il fattore limitante del programma atomico sovietico: la carenza di depositi di uranio. Inoltre, la defezione di Pontecorvo mise a disposizione dei sovietici la conoscenza diretta di processi di progettazione, costruzione e utilizzo di pile atomiche: un “know how” molto più utile ed efficace di informazioni scritte. Conosciamo in maniera dettagliata i contributi di Pontecorvo nello sviluppo della ricerca sovietica nel campo delle particelle. Non sappiamo, e forse lo studio di nuove carte d’archivio potrà fornire delle risposte, se e in quale modo egli contribuì al programma atomico sovietico (95).
Se i rapporti FBI del 1943 fossero stati inclusi nel dossier su Pontecorvo dei servizi di sicurezza britannici è probabile che il fisico italiano sarebbe stato tenuto fuori dal programma nucleare britannico, che invece si avvantaggiò in modo notevole del suo contributo. “Viaggiando” tra ricerca segreta e aperta, Pontecorvo aveva sviluppato conoscenze di grande importanza nelle aree della fisica delle pile e della rilevazione geofisica. Tali competenze avevano contribuito a risolvere problemi essenziali per il programma britannico, quali la identificazione di giacimenti di uranio e la sua trasformazione in materiale fissile nelle pile nucleari. Benché coinvolto soprattutto nella ricerca sui raggi cosmici, Pontecorvo aveva sfruttato le molteplici sfaccettature della scienza e tecnologia nucleare per passare alla rilevazione geofisica, e così, dallo studio degli isotopi radioattivi ai problemi fisico-chimici nella progettazione delle pile nucleari, utilizzando metodi, pratiche e tecniche simili. Questo fatto ci ricorda che non esiste un unico segreto che potrebbe ostacolare una nazione dall’essere capace di produrre armi nucleari ma molti aspetti diversi delle conoscenze e delle pratiche sperimentali che concorrono nel completamento di un programma atomico.

Le purghe che colpirono i laboratori di ricerca britannici, e che condizionarono la carriera di circa 200 tra ricercatori inglesi e stranieri tra il 1950 e il 1980, erano state messe in atto nella convinzione, non del tutto fondata, che nel paese avevano operato almeno tre spie atomiche e che una di loro era Bruno Pontecorvo. La distanza tra quello che un numero limitato di funzionari della sicurezza nazionale sapeva e ciò che fu per anni conosciuto dall’opinione pubblica facilitò questo tipo di operazione. La manipolazione dei rapporti su Pontecorvo e sulle procedure del suo vetting assicurarono che non fossero sollevate obiezioni all’adozione di misure di sicurezza illiberali (positive vetting incluso). Non è chiaro se tale manipolazione iniziò negli uffici dell’FBI piuttosto che in quelli dell’MI5 o ancora nella elaborazione giornalistica di informazioni filtrate in qualche modo, ma è chiaro in ogni caso che una distorsione ci fu.

La gestione del caso Pontecorvo da parte delle autorità britanniche non può essere certo considerata un serio tentativo di stabilire come realmente fossero andati i fatti o di analizzare i rischi derivanti dalla sua fuga. Piuttosto, rispondeva agli interessi specifici dei servizi diplomatici in generale, e nello specifico all’interesse nel difendere i recenti negoziati trilaterali. Il fatto che Pontecorvo in passato si fosse mosso nella regione di confine con la ricerca segreta fu fatto passare come un argomento a favore della tesi del suo accesso limitato a segreti atomici, mentre tutti gli elementi probanti il suo coinvolgimento nella ricerca riservata furono omessi nella stesura finale del suo “caso”.

Per ironia della sorte, il tentativo degli inglesi di salvare i negoziati con gli Stati Uniti attraverso la minimizzazione del caso Pontecorvo fu comunque inutile ai loro scopi. Grazie a nuovi strumenti per la rilevazione geofisica gli americani trovarono depositi di uranio ad alta concentrazione nella regione dell’Athabaska, in Canada. Avendo la prospettiva di poter incrementare la propria disponibilità di uranio in questo modo, gli americani decisero di rallentare la conclusione di nuovi accordi. E l’esplosione della prima bomba atomica inglese nell’ottobre del 1952 lasciò di fatto tali negoziati nel loro stato primordiale: “uno stato di non esistenza” (96).



NOTE

* Questo articolo è tratto da un saggio vincitore del Premio Singer 2003 assegnato dalla British Society for the History of Science (BSHS) e pubblicato sul British Journal for the History of Science (BJHS), 36 (4), dicembre 2003, pp. 389-415. L’autore ringrazia Jeff Hughes, Jon Agar, Stephen Twigge, per aver fornito preziosi suggerimenti nella sua elaborazione. Ringraziamenti che vanno estesi anche ai membri del Centro per la Storia della Scienza, Tecnologia e Medicina (CHSTM) dell’Università di Manchester, e a quelli del Laboratorio Autonomo Scienza Epistemologia e Ricerca (LASER).
(1) Per esempio, il recente dossier Iraq’s Weapons of Mass Destruction. The assessment of the British Government, visibile sul sito http://www.pm.gov.uk. Va sottolineato che questo saggio fu scritto prima dell’invasione dell’Iraq da parte della willing coalition e pertanto non tiene in considerazione le polemiche sollevate dopo tale evento rispetto alla fondatezza delle accuse del governo britannico circa il programma atomico iracheno. Tuttavia, pensiamo che la gestione del caso Pontecorvo da parte delle agenzie britanniche possa fornire un esempio storico di rilievo sul modo in cui i rischi per la sicurezza nella ricerca nucleare sono stati recentemente discussi.
(2) Nel 1996 un dossier dei servizi di intelligence britannici sottolineava che le misure di sicurezza sulla diffusione all’estero di conoscenze e tecnologie britanniche erano troppo deboli. Nel 2002 una nuova legge (l’Export Control Bill) ha esteso i poteri di controllo del governo britannico sulle attività di ricerca, permettendo al governo stesso di controllare il trasferimento di conoscenze scientifiche all’estero, la pubblicazione su giornali scientifici e la presenza in Gran Bretagna di ricercatori stranieri.
(3) Per esempio, Peter Galison ha sottolineato che nell’immediato dopoguerra “strumentazione scientifica come i contatori Geiger [per la misurazione della radioattività, NDA] legavano la ricerca di base alla ricerca sulle armi nucleari”. GALISON P., Image & Logic: A Material Culture of Microphysics, Chicago 1997, p. 296.
(4) MACKENZIE D. and SPINARDI G., “Tacit knowledge and the uninvention of nuclear weapons”, American Journal of Sociology (1995), 101, pp. 44-99.
(5) Sul caso Fuchs: WILLIAMS R.C., Klaus Fuchs: Atom Spy, Cambridge, MA, 1987. Sul caso Rosenbergs: GARBER M. e WALKOWITZ R.L. (a cura di), Secret Agents: The Rosenberg Case, McCarthysm, and Fifties America, New York 1995.
(6) La nuova documentazione comprende: 1) le relazioni scientifiche scritte da Pontecorvo tra il 1943 e il 1950 come scienziato del Dipartimento per l’Energia Atomica britannico e conservate presso i National Archives (NA) britannici, serie AB; 2) corrispondenza diplomatica sul “caso Pontecorvo” nelle serie FO (Foreing Office), CAB e PREM, sempre presso i NA; 3) corrispondenza scientifica di Bruno Pontecorvo nella collezione PNVO dell’archivio del Churchill College a Cambridge.
(7) Perrin operò in relazione a fattori contingenti ma, più in generale, va sottolineato il ruolo che assunse la “cultura del segreto” nel contesto delle politiche governative in Gran Bretagna (e non solo). Lo storico David Vincent ne ha studiato il ruolo nella politica britannica del dopoguerra in The Culture of Secrecy: Britain, 1832-1998, Oxford 1998, pp. 186-247.
(8) I dettagli di questi negoziati sono nei fascicoli Defection to USSR of Dr. Pontecorvo, FO 371/84837 e Disappearance of Dr. Bruno Pontecorvo in Finland, FO 371/86437. Il Foreign and Commonwealth Office (FCO) aveva inizialmente proibito la loro pubblica visione in base alla sezione 3 (4) del Public Records Act (1958), il quale stabilisce che documenti pubblici ritenuti ancora “sensibili” possano essere tenuti segreti in contravvenzione alla norma generale secondo cui debbono essere resi pubblici a cinquanta anni dalla loro emissione. Nel marzo del 2002 l’autore del presente articolo ha chiesto una revisione del materiale d’archivio al fine di stabilire se le condizioni di segretezza erano ancora applicabili. Nel maggio 2002 i documenti sono stati resi pubblici.
(9) Introdotto in Gran Bretagna nell’estate del 1951, il positive vetting estese il diritto dei servizi di sicurezza di investigare la vita privata e politica di impiegati e funzionari del governo, inclusi gli scienziati, al fine di identificare possibili spie, sovversivi o traditori.
(10) Per esempio in PINCHER C., Too Secret Too Long, Londra 1984; MONTGOMERY HYDE H., The Atom Bomb Spies, Londra 1980; COSTELLO J., Mask of Treachery, Londra 1988.
(11) Per esempio in MAFAI M., Il lungo freddo. Storia di Bruno Pontecorvo, lo scienziato che scelse l’URSS, Mondadori, Milano 1992; BILENKY S.M., BLOKHINTSEVA T.D., POKROVSKAYA I.G. e SAPOZHNIKOV M.G. (a cura di), B. Pontecorvo Selected Scientific Works, Società Italiana di Fisica, Editrice Compositori, Bologna 1997.
(12) SCOTT L. e SMITH S., “Lessons of October: historians, political scientists, policy-makers and the Cuban Missile Crisis”, International Affairs (1994), 70, pp. 659-84.
(13) Così era chiamato, per la sua giovane età, Bruno Pontecorvo nel gruppo di ricerca di Enrico Fermi. HOLTON G., “Fermi’s group and the recapture of Italy’s place in physics”, in The Scientific Imagination (ed. G. Holton), New York 1978, pp. 155-98.
(14) Sulle leggi razziali e il loro impatto sulla comunità accademica italiana vedi ISRAEL G. e NASTASI P., Scienza e Razza nell’Italia Fascista, Bologna 1998. Va sottolineato che Pontecorvo sarebbe potuto tornare in Italia, ma avrebbe dovuto rinunciare a qualsiasi lavoro presso università italiane. Tra il 1937 e il 1940 l’attività di ricerca di Pontecorvo fu finanziata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche francese (CNRS) e dalla americana Fondazione Carnegie (“University Documents”, PNVO 1/2).
(15) Insieme al fisico Sergio De Benedetti e al genetista Salvatore Luria, anch’essi accademici italiani rifugiati in Francia, Pontecorvo viaggiò in bicicletta da Parigi a Tolosa. A Tolosa Pontecorvo prese il treno per Lisbona e quindi si imbarcò per l’America.
(16) Nel 1946 Pontecorvo ricevette offerte di impiego dalle università del Michigan, di Rochester, della California e dalla compagnia americana General Electric; nel 1947 dall’università Cornell di New York; tra il 1948 e il 1950 dalle università di Pisa, Roma e Cagliari.
(17) Questo aspetto fu più volte sottolineato dallo stesso Pontecorvo nel corso di interviste, incontri pubblici o lezioni universitarie. Per esempio, nel 1940 la ricerca sul fenomeno della “fosforescenza nucleare” condotta a Parigi insieme al fisico francese André Lazard spinse il fisico italiano a dichiarare alla stampa che la loro ricerca avrebbe avuto applicazioni nel campo della medicina (“Ici, l’on fabrique des atomes!”, L’Oeuvre, 6 Aprile 1939, copia in Assorted Papers, PNVO 4/2). Nel 1949 la recente ricerca sui mesoni spinse Pontecorvo a dichiarare che in futuro le particelle nucleari sarebbero state utilizzate in raggi per la scissione dell’atomo, nel quadro della realizzazione di un nuovo centro per la produzione di “raggi mesonici” (“University of British Columbia lecturer probing new atom-busting ray”, ritaglio di giornale canadese non datato in Scientific Correspondence, 1945-1950, PNVO 4/1/1).
(18) SEGRÈ E., A Mind always in Motion, Berkeley 1993, pp. 159-60.
(19) L’impiego della radioattività nella rilevazione geofisica era un’innovazione di grande importanza, e Pontecorvo può essere considerato a pieno titolo uno dei suoi maggiori artefici. Tra il 1920 e il 1940 la gran parte dei metodi per la rilevazione geofisica erano basati sull’uso dell’elettricità, del magnetismo e della sismografia con tecniche di rilevazione in superficie e all’interno dei pozzi. La rilevazione attraverso l’uso di materiali radioattivi (prevalentemente sorgenti di neutroni) derivò in parte dal metodo elettrico sub-superficiale di rilevazione geofisica che consisteva nell’introduzione di cavi elettrici all’interno dei pozzi petroliferi e nella registrazione della differenza di potenziale tra la parte di cavo in superficie e quella a differenti strati geologici. Uno studio storico del metodo elettrico (e degli altri) si può trovare in BOWKER G.C., Science on the Run: Information Management and Industrial Geophysics at Schlumberger, 1920-1940, Cambridge, MA 1994.
(20) Utilizzando una sorgente di neutroni, i diversi strati geologici di un pozzo venivano irradiati. La radiazione di ritorno veniva quindi registrata prima elettronicamente e poi graficamente. Il grafico così ottenuto mostrava le caratteristiche del pozzo (per esempio, la sua profondità) PONTECORVO B. e SWIFT G., “Geophysical prospecting”, P.N. US 2353619, 11 luglio 1944; PONTECORVO B., “Method of geophysical prospecting”, brevetto (P.N.) US 2508772, 23 maggio 1950; PONTECORVO B., “Well surveying”, P.N. US 2398324, 9 aprile 1946. Sullo stesso principio vedi anche PONTECORVO B., “Neutron well logging: a new geological method based on nuclear physics”, Oil and Gas Journal (1941), 40, pp. 32-3.
(21) PONTECORVO B., “Method and apparatus for geophysical exploration”, P.N. US 2349753, 23 maggio 1950. L’uranio naturale è più prezioso e raro del torio. Inoltre l’uranio naturale sarà usato nella preparazione dell’uranio arricchito nei progetti per la produzione di bombe atomiche, mentre il torio – benché inizialmente tenuto in considerazione – non sarà utilizzato. Vedi: URSU I., Physics and Technology of Nuclear Materials, Oxford 1985, p. 123.
(22) La tecnica consisteva dell’uso di contatori Geiger-Müller separati da lastre metalliche assorbenti. Il circuito Rossi assegnava a ciascun contatore un sistema valvola-condensatore-resistenza che era utilizzato come “interruttore” per il segnale elettrico proveniente dai contatori. Vedi: ROSSI B., I Raggi Cosmici, Einaudi, Torino 1964, p. 61.
(23) Eterogenea significa che NRX avrebbe utilizzato un combustibile solido ma un moderatore liquido. Sul progetto anglo-canadese vedi GOWING M., Independence and Deterrence: Britain and Atomic Energy 1939-1945, 2 voll., Londra 1964. Sul suo contributo al progetto nucleare canadese nel dopoguerra: BOTHWELL R., Nucleus: The History of Atomic Energy of Canada Limited, Toronto 1988; HURST D.G., “Overview of nuclear research and development”, in Canada Enters The Nuclear Age (ed. D. G. Hurst), Montreal 1997, pp. 1-32.
(24) GOWING M., op. cit. (n. 23), p. 191. Il fisico cecoslovacco George Placzek e il suo collega francese Pierre Auger, entrambi già parte del progetto Tube Alloys, furono tra i maggiori promotori dell’impiego di Pontecorvo a Montreal. Vedi: MAFAI M., op. cit. (n. 11), p. 125. Inoltre, Lev Kowarski e Hans Von Halban, i principali collaboratori del fisico francese Frèdèric Joliot Curie, avevano un ruolo di spicco nel progetto. Pontecorvo conosceva direttamente tutti i membri francesi del team inglese perché aveva lavorato con loro a Parigi.
(25) PONTECORVO B., “Some information on physical data obtained on a recent trip to Chicago, (Blue Print)”, 24 giugno 1944, AB 2/643. Pontecorvo aveva già visitato Chicago nell’estate del ’42, quando il progetto di Fermi per la prima pila atomica era appena iniziato.
(26) Per esempio, insieme al fisico D. West, Pontecorvo analizzò le proprietà fissili del radio 226 e del protoattinio 233, prodotti secondari di reazioni nucleari. PONTECORVO B. e WEST D., “The fissioni properties of radium 226 and protactinium 233”, 1° dicembre 1945, AB 2/318.
(27) PONTECORVO B., “Some data useful in shielding problems”, 8 agosto 1944, AB 2/655 e idem, “The side shield of the polymer plant”, 8 agosto 1944, AB 2/656.
(28) PONTECORVO B., “Report on trip to port radium, September 1944 (secret)”, AB 1/648.
(29) Durante l’incontro fu inoltre chiarito che la Wells Surveys, la società presso la quale Pontecorvo aveva precedentemente lavorato, aveva prodotto in questi anni la strumentazione più innovativa. Appendice 1, “Dr. Pontecorvo’s notes”, 31 ottobre 1944, in BURSTALL F.H., CARMICHAEL H., GILLIESON A.H. e HARDWICK J., Report on a technical conference on prospecting problems held in Washington the 24-26 January 1946, AB 2/67.
(30) PONTECORVO B., “Notes on prospecting for radioactive materials”, 2 aprile 1945, AB 2/671.
(31) Tra l’altro, Pontecorvo possedeva specifici salvacondotti che gli permettevano di visitare diversi siti del Progetto Manhattan negli Stati Uniti e in Canada e che recavano le seguenti indicazioni: “nello svolgere le sue attività ufficiali [Pontecorvo], è autorizzato a viaggiare a seconda delle circostanze da un paese all’altro e nel portare con se documenti riservati”. Office of the High Commissioner britannico all’attenzione di chiunque ne faccia richiesta, 12 febbraio 1943, in Official letters, PNVO 1/5.
(32) Da SUMNER A. (direttore del personale al Ministero degli Approvvigionamenti) a PONTECORVO B., 18 dicembre 1945, in Scientific Correspondence, doc. cit. (n. 17).
(33) Gouzenkou aveva anche rivelato che uno scienziato di Tube Alloys aveva passato informazioni ai sovietici. Nell’agosto del ’45 Chadwick scrisse a Cockcroft: “non è possibile autorizzare Pontecorvo a visitare l’Italia nell’immediato futuro e quindi non può muoversi finché la situazione non sarà più chiara di quello che è adesso. Questo richiederà almeno tre o quattro mesi”. CHADWICK J. a COCKCROFT J., 20 agosto 1945, in Work in North America, Canadian Project’, CHAD IV, 28.
(34) L’investigazione si concluse con l’arresto del fisico inglese Allan Nunn May e l’ulteriore investigazione a carico di altri scienziati che lavoravano in America come, per esempio, il fisico tedesco Klaus Fuchs, emigrato nel Regno Unito (e poi in America) prima della guerra. Sul caso Gouzenkou vedi: MOOREHEAD A., The Traitors: The Double Life of Fuchs, Pontecorvo and Nunn May, Londra 1952, pp. 5-18; ALDRICH R., The Hidden Hand: Britain, America and Cold War Secret Intelligence, Londra 2001, pp. 103-9.
(35) Anche il direttore del Progetto Manhattan, Leslie Groves, fu informato da Chadwick dell’imminente partenza del fisico italiano per l’Europa: “Pontecorvo sarà assunto dal governo britannico nella nuova stazione di ricerca di Harwell. E probabilmente deciderà di prendere il passaporto britannico”. CHADWICK J. a GROVES L., 10 Aprile 1946, Work in North America, Canadian Project, CHAD IV, 28.
(36) Verbale di riunione, “Harwell Pile discussion group, 1946”, AB 12/19.
(37) Sempre secondo Gowing, l’ingegnere James Kendall responsabile per il design di BEPO visitò la stazione di Chalk River nell’estate del ’46 e di ritorno in Gran Bretagna “affermò che l’aiuto di Bruno Pontecorvo era risultato più utile di quello di tutti gli altri scienziati messi insieme”. GOWING M., Independence and Deterrence, op. cit. (n. 23), p. 380.
(38) HANNA G.C. e KIRKWOOD D.H., “High multiplication proportional counters for energy measurements”, Physical Review (1949), 75, pp. 985-6. La tecnica dei contatori proporzionali si differenziava da quella dei contatori in coincidenza. Per dettagli vedi: KORFF S., Electron and Nuclear Counters, New York 1946, pp. 6-14 e ROSSI B. e STAUB H.H., Ionization Chambers and Counters: Experimental Techniques, New York 1949, p. 72.
(39) La classificazione di dettagli per la produzione e l’uso dei kicksorter è discussa in GALISON, Image & Logic:, op. cit. (n. 3), p. 269.
(40) Nel 1943 il geologo DAVIDSON C.F. della Geological Survey and Museum di Londra aveva organizzato per conto del Ministero degli Approvvigionamenti britannico un gruppo per lo studio dei depositi di uranio che aveva raccolto dati sufficienti circa la distribuzione di depositi di uranio nel mondo. La rilevazione dei depositi era stata fatta con strumentazione prodotta dai ricercatori canadesi. Al tempo stesso, come una nota del 1945 rileva, la produzione di nuovi rivelatori nel Regno Unito era diventata una questione della massima urgenza. “Uranium intelligence, Section 1”, AB 1/507. Vedi anche GOWING M., op. cit. (n. 23), 180-82.
(41) FRANKLIN E., “GM tubes portable equipment for uranium prospecting, 1948”, AB 15/9.
(42) DAVIDSON C.F. a HARDWICK J., 14 aprile 1948, in Security, general, AB 6/115.
(43) DAVIDSON C.F. a HARDWICK J., 14 aprile 1948, doc. cit. (n. 42), sottolineato nell’originale.
(44) “Al momento la situazione è tutta a nostro vantaggio. I nostri servizi di intelligence sanno che certi dati prodotti dai loro rilevatori non mostrano chiaramente la presenza e qualità dei loro depositi a causa della mancanza di specifici dettagli nella produzione di rivelatori”. THOMSON R.A. a DAVIDSON C.F., 1 giugno 1948, in Security, general, doc. cit. (n. 42).
(45) COCKCROFT J. a PONTECORVO B., 3 febbraio 1947, in Scientific correspondence, doc. cit. (n. 17).
(46) PONTECORVO B., “Equipment required for experimental work, 1948”, AB 1/648.
(47) FRY A.E. a DR WATSON, 31 dicembre 1946, in Scientific correspondence, doc. cit. (n. 17).
(48) SCHERBATSKOY S. a PONTECORVO B., 14 marzo 1947, in Scientific correspondence, doc. cit. (n. 17).
(49) FIDECARO B., “Bruno Pontecorvo: from Rome to Dubna”, in BILENKY S.M. et al., op. cit. (n. 11), 474.
(50) Verbale di riunione, 4 maggio 1949, Power Steering Committee, vol. 2, 1948-49, AB 12/74.
(51Power Steering Committee, vol. 1, 1947, AB 12/57.
(52) Esame del programma di Fisica Nucleare in relazione ad altri progetti in Power Steering Committee, doc. cit. (n. 50).
(53) PONTECORVO B., “Recent developments in proportional counter technique”, Helvetica Physica Acta, 1950, 23, pp. 97-118.
(54) SCHERBATSKOY S. a PONTECORVO B., 19 gennaio 1950, in Scientific correspondence, doc. cit. (n. 17).
(55) SCHERBATSKOY S. a PONTECORVO B., 27 giugno 1949, in Scientific correspondence, doc. cit. (n. 17).
(56) Vice-Chancellor J. Mountford, Università di Liverpool a B. Pontecorvo, 6 giugno 1950, in Scientific correspondence, doc. cit. (n. 17).
(57) In ottobre Skinner scrisse al fratello di Bruno, il genetista Guido Pontecorvo, osservando: “Mi dispiace ma comincio ad essere seriamente preoccupato per tuo fratello […]. La mancanza di notizie delle ultime 5-6 settimane è sconcertante”. SKINNER H. a PONTECORVO G., 10 ottobre 1950, in Scientific correspondence, doc. cit. (n. 17).
(58) Verbale di riunione, 9 gennaio 1950, in Power Steering Committee, vol. 3, 1950, AB 12/105. Vedi anche MAFAI M., op. cit. (n. 11), p. 128.
(59) PAUL S.H., Nuclear Rivals: Anglo-American Atomic Relations, 1941-1952, Columbus 2000, pp. 103-66. Sull’impatto del Caso Fuchs sui negoziati vedi anche ALDRICH R., op. cit. (n. 34), pp. 380-84.
(60) Telegramma cifrato “Top Secret” dall’Ufficio di Gabinetto al B.J.S.M., Washington, 23 ottobre 1950, in Defection, doc. cit. (n. 8).
(61) Bozza dell’applicazione delle regole di segretezza alla ricerca sull’energia atomica, 5 maggio 1948, in Security, general, AB 6/115.
(62) Servizio di sicurezza, Harwell al Ministero degli Approvvigionamenti, 25 aprile 1950, Bozza segreta sul caso Pontecorvo in Defection, doc. cit. (n. 8).
(63) Telegramma cifrato “Top Secret” dal B.J.S.M., Washington all’Ufficio di Gabinetto, 24 ottobre 1950, in Defection, doc. cit. (n. 8).
(64) Oliver Frank a Roger Makins, 2 novembre 1950, in CAB 126/307
(65) “Segreto”, MAKINS R. a PERRIN MR., novembre 1950, in Defection, doc. cit. (n. 8).
(66) “Secret and Guard” PERRIN MR. a MAKINS R., 9 novembre 1950, in Defection, doc. cit. (n. 8).
(67) HOLLOWAY D., Stalin and the Bomb: The Soviet Union and Atomic Energy, 1939-1956, New Haven 1994, pp. 174-77.
(68) GOODMAN M.S., “British intelligence and the Soviet atomic bomb, 1945-1950”, in Journal of Strategic Studies (forthcoming). Ringrazio Michael Goodman per avermi fornito una bozza dell’articolo.
(69) HOLLOWAY D., op. cit. (n. 67), p. 177.
(70) Dei due documenti in questione (PSC 63 e 65), solo uno è al momento consultabile presso il PRO. Il secondo è ancora classificato. Power Steering Committee, op. cit. (n. 50).
(71) Mr Kellas, Helsinki, a FO, 24 ottobre 1950, in Disappearance, doc. cit. (n. 8).
(72) “Confidential”, FO a Mr Kellas, 20 ottobre 1950, in Disappearance, doc. cit. (n. 8).
(73) E in ogni caso è bene ricordare che la politica di difesa del Regno Unito fu costruita attraverso una limitazione dell’accesso alle informazioni riservate inerenti alla politica e alla ricerca nucleare. Su questo vedi: AGAR J. and BALMER B., “British scientists and the Cold War: the Defence Research Policy Committee and information networks”, Historical Studies in the Physical and Biological Sciences, 1998, 28, pp. 210 e 248.
(74) In quel momento i servizi americani seguivano una politica di rafforzamento della sicurezza che prevedeva persino la privazione dei diritti civili di singoli scienziati, come già stava accadendo in altri settori di attività negli Stati Uniti. “Di recente il Dipartimento di Stato americano ha persino confiscato il passaporto di uno scienziato americano che stava per recarsi in India proprio perché aveva dubbi circa la sua affidabilità”, in Telegramma cifrato “Top Secret” dal B.J.S.M., Washington, all’Ufficio di Gabinetto, 21 ottobre 1950, in Defection, doc. cit. (n. 8). La storica Jessica Wang ha recentemente rilevato che negli anni Cinquanta il sistema di sicurezza americano poneva gli scienziati americani ritenuti sospetti in uno stato di “rischio permanente” poiché “le imputazioni non venivano mai definitivamente risolte” e “anche quando erano risolte, il singolo scienziato poteva essere accusato di nuovo in base a nuove indagini”. WANG J., American Science in an Age of Anxiety: Scientists, Anticom-munism and the Cold War, Chapel Hill 1999, p. 256.
(75) Telegramma cifrato “Top Secret” dal B.J.S.M., Washington, all’Ufficio di Gabinetto, 21 ottobre 1950, in Defection, doc. cit. (n. 8).
(76) VINCENT D., op. cit. (n. 7), pp. 194-203.
(77) I cinque titoli erano nell’ordine: “Scienziato nucleare fugge via” (21 ottobre), “Famiglia atomica in Russia” (22 ottobre), “Scienziato nucleare conosceva spia atomica” (24 ottobre), “Perquisizioni nella casa atomica” (25 ottobre) e “Lo scienziato nucleare non fu esaminato” (27 ottobre).
(78) Secondo Pincher, i canadesi si fidarono delle assicurazioni dei britannici, ma il servizio di intelligence britannico non esaminò mai Pontecorvo perché “costui non si trovava in Gran Bretagna prima di unirsi al Progetto Canadese”. PINCHER C., “Atom Man not Screened”, Daily Express, 27 ottobre 1950. Le carte d’archivio recentemente messe a disposizione degli storici mostrano che non c’erano prove contro Pontecorvo e che, al contrario di quanto adombrato sui giornali, l’MI5 era stato fin troppo rigoroso nell’esaminare il caso del fisico italiano.
(79) ALDRICH R., op. cit. (n. 34), p. 384.
(80) PINCHER C., “Pontecorvo – full story”, Daily Express, 26 febbraio 1951. Sempre secondo Pincher, “il rapporto su Pontecorvo era dettagliato e senza ombra di dubbio pervenne a me da fonti accreditate, delle quali tuttavia non ricordo il nome”. Comunicazione personale, 19 novembre 2002.
(81) Secondo Lord Portal del Ministero degli Approvvigionamenti, la collaborazione con gli americani era “essenziale allo sviluppo dei nostri programmi per l’energia atomica”. 17 agosto 1951, in CAB 130/20.
(82) “Credere che Pontecorvo fosse un traditore, semplicemente, non ha senso. Sarebbe come affermare che Einstein in segreto uccideva i bambini o che Stalin altro non era che un gentleman degli shires impegnato nella caccia alla volpe”. MOOREHEAD A., op. cit. (34), p. 171.
(83) MOOREHEAD A., op. cit. (n. 34), p. 198.
(84) SNOW C.P., The New Men, Londra 1954.
(85) HALPERIN J., C. P. Snow: An Oral Biography, Brighton 1983, p. 163.
(86) D’altra parte, il genetista J. B. S. Haldane aveva coniato il soprannome in scozzese “Crawbrigg” (in inglese Crow-Bridge) per Guido Pontecorvo, fratello di Bruno e genetista all’Università di Glasgow. B. L. Cohen, “Guido Pontecorvo (“Ponte”), 1907-1999″, Genetics, 2000, 154, p. 497.
(87) PINCHER C., op. cit. (n. 10), p. 151. La stessa versione dei fatti appare in COSTELLO J., op. cit. (n. 10), p. 533. Costello sottolineò che Pincher aveva ricevuto questa informazione da uno dei principali funzionari dell’MI5, Peter Wright (autore inoltre del romanzo Spycatcher) durante un’intervista dell’ottobre 1980. Ma Pincher ha recentemente dichiarato di non ricordare di aver parlato con Wright di Pontecorvo, anche se l’episodio è riportato in Their Trade is Treachery. Comunicazione personale all’autore, 19 novembre 2002.
(88) MONTGOMERY HYDE H., op. cit. (n. 10), p. 130.
(89) WEST N., A Matter of Trust: MI5, 1945-72, Londra 1982, p. 27. Fra gli assistenti di Stephenson c’era anche il comandante Ian Fleming, più tardi scrittore della famosa serie (in parte autobiografica) di James Bond. Vedi: STEPHENSON W., A Man Called Intrepid, The Secret War, 1939-1945, Londra 1976. Era stato proprio il BSC a condurre le indagini preliminari su Gouzenkou. Il BSC era stato istituito durante la guerra per le operazioni d’intelligence e per l’esame del personale impiegato all’estero. L’organizzazione, che aveva sede a New York, dipendeva dal Security Executive e quando fu smantellata, alla fine della guerra, tutta la documentazione prodotta fu distrutta. L’organizzazione era indipendente sia dall’MI5 sia dall’ MI6 (responsabile per la sicurezza all’estero) e dipendeva esclusivamente dal Security Executive, uno dei gruppi di lavoro dell’Home Defence Executive istituito nel maggio 1940 per ordine di Churchill per organizzare la difesa nazionale nel caso di un’invasione tedesca del Regno Unito. WEST N., MI5: British Security Service Operations, 1909-1945, Londra 1981, p. 151 e p. 154.
(90) “Bozza segreta sul Caso Pontecorvo” in Defection, doc. cit. (n. 8).
(91) Per questa ragione tutta la documentazione sui rapporti dell’FBI fu classificata come “Secret and Guard”. Mr. Perrin a R. Makins, 9 novembre 1950, in Defection, doc. cit. (n. 8).
(92) Bozza Segreta sul Caso Pontecorvo in Defection, doc. cit. (n. 8).
(93) Anche l’ufficiale dei servizi segreti britannici Guy Liddell, che riferì al Primo Ministro Clement Attlee, nel 1950 affermò che era “molto improbabile che nell’atmosfera del 1943 il rapporto dell’FBI potesse dare adito a sospetti”. “Top Secret”, nota sull’incontro del Capitano Liddell con il Primo Ministro, 23 ottobre 1950, PREM 8/1273.
(94) ALDRICH R., op. cit. (n. 34), p. 105.
(95) La ricerca condotta da Pontecorvo nella fisica delle particelle in Unione Sovietica è esaminata in DZHEPOROV V.P., “The genius of Bruno Pontecorvo”, in S. M. Bilenky et al., op. cit. (n. 11), pp. 487-93 e da altri nella stessa collezione.
(96) PAUL S.H., op. cit. (n. 59), p. 198.

Dossier, marzo 2005 © Galileo



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