FONDAMENTI DI FISICA GENERALE 14. REATTORI NUCLEARI A FISSIONE E A FUSIONE

Ingegneria Meccanica – Roma Tre

AA/2011-2012

APPUNTI PER IL CORSO

(Ripresi integralmente e da me assemblati dai testi di bibliografia)

Roberto Renzetti

Bibliografia: Paul J. Tipler, Gene Mosca – Corso di Fisica – Zanichelli, 2009

                       Jay Orear – Fundamental Physics – John Wiley & Sons Inc, 1967

                       F.W. Sears, M.W. Zemansky – University Physics – Addison-Wesley Publishing Company, 1964

                       M. Alonso, E.J. Finn – Fundamental University Physics – Addison-Wesley Publishing Company, 1969

                        R. Renzetti – Vari appunti miei raccolti negli anniwww.fisicamente.blog

REATTORI NUCLEARI A FISSIONE

                    Passo ora ad una breve rassegna dei più noti e diffusi reattori nucleari per la produzione di energia ad uso pacifico, a partire dalla fissione nucleare che abbiamo appena studiato.

                    Dunque, da una reazione di fissione nucleare controllata si ottiene energia, molta energia. Il problema è capire come prenderla e come trasformarla in apposite centrali. Le centrali per la produzione di energia hanno nomi diversi, a seconda da cosa sono alimentate. Così abbiamo a che fare con centrali idroelettriche quando utilizziamo l’energia di caduta di una massa d’acqua da una data quota; si hanno centrali a marea quando sfruttiamo il sollevarsi e l’abbassarsi del mare; si hanno invece centrali eoliche quando utilizziamo il moto di pale, originato dal vento. Fin qui per ciò che riguarda centrali fredde, centrali cioè che lavorano a temperatura ambiente, senza passare per il riscaldamento. Vi sono poi le centrali termiche che sono una classe di centrali che comprendono: centrali solari, centrali a carbone, centrali geotermiche, centrali a gas, centrali ad olio combustibile, centrali nucleari (di differenti tipologie)A parte alcuni tipi di centrali solari che lavorano a temperature relativamente basse, tutte le altre centrali funzionano sostanzialmente con lo stesso principio: vi è un fornello dentro il quale si genera il calore; questo calore viene scambiato con una qualche sostanza (generalmente acqua); questa sostanza acquista energia termica (se è acqua diventa vapore ad elevata temperatura e pressione) ed è in grado di muovere delle turbine; il moto delle turbine è connesso ad un alternatore che origina corrente alternata; questa corrente, dopo opportuna trasformazione, viene inviata negli elettrodotti per gli usi finali in fabbriche e città.

                    Nel caso di una centrale nucleare il fornello è costituito da un arrangiamento che permette di sfruttare l’energia da fissione nucleare.

                    Per sfruttare una tale energia sono necessarie alcune condizioni:

– occorrono una enormità di nuclei che simultaneamente si fissionino;

– occorre innestare la reazione a catena che deve mantenere la combustione per produrre energia con continuità;

– occorre il controllo del processo: la possibilità di regolarne la potenza nel tempo e nella durata.

                    La struttura di un reattore nucleare deve quindi prevedere schematicamente:

– un fornello, detto nocciolo, nel quale si sviluppi la reazione a catena;

– un efficientissimo sistema di estrazione del calore (raffreddamento) dal nocciolo;

– una schermatura molto importante per fermare le radiazioni prodotte in modo ineliminabile dal processo di fissione;

– sistemi di regolazione dei processi mediante strumenti di controllo, al fine dell’uso pratico del reattore.

Figura 1

                    Nella figura piccola, in basso a destra, sono schematicamente raffigurate le differenti situazioni di un nocciolo: nella prima la barra nera serve per bloccare completamente la reazione; nella seconda la barra nera si alza e la reazione aumenta di potenza; nella terza la barra nera è completamente sollevata ed il reattore funziona alla massima potenza. La figura grande mostra invece lo schema costruttivo di un nocciolo completo di tutti i suoi componenti: le barre rosse sono quelle del combustibile nucleare; le barre nere sono di sicurezza e controllo della potenza del reattore; le barre verdi servono per moderare le reazioni, per assorbire i neutroni eccedenti;  nel recipiente vi è dell’acqua che assorbe il calore prodotto; il recipiente è circondato da calcestruzzo che ha un ulteriore contenitore, generalmente di acciaio; lungo il bordo del contenitore (barre gialle) vi è una qualche sostanza che ha la proprietà di riflettere i neutroni prodotti dalle reazioni all’interno del nocciolo, al fine di non disperderli. La figura 2 mostra invece un nocciolo in fase di montaggio in una centrale da 1300 Mw (una taglia di centrale nucleare molto grande e di tipo PWR, come vedremo più oltre).

Figura 2

L’interno del nocciolo, sempre schematicamente ma in forma più dettagliata, è mostrato in figura 3.

Figura 3

Si tratta di centinaia di barre di combustibile (uranio arricchito o plutonio) alternate con barre moderatrici (in genere berillio o grafite) e di controllo (in genere cadmio o boro, che possono scorrere verticalmente comandate dall’esterno per regolare la potenza della centrale).

                    Ecco, dentro questo nocciolo viene realizzata la reazione nucleare a catena controllata che produce l’energia che ci interessa. Vedremo a breve come è connesso questo nocciolo al resto, ora vorrei dire due parole sulla peculiarità di questo fornello, rispetto agli altri delle centrali termiche. Innanzitutto il problema che si ha davanti riguarda le elevatissime temperature che si originano dalla reazione nucleare. Il sistema deve essere ben controllato per mantenerlo sempre a  temperature (intorno ai 400 °C) tali da non danneggiarlo. Lo scorrimento delle barre è fondamentale per il controllo del reattore. Serve quindi un efficientissimo sistema di raffreddamento ed estrazione del calore prodotto. In pratica dell’acqua deve circolare per estrarre il calore prodotto con continuità. La quantità d’acqua è notevole e, a volte, la stessa acqua non ce la fa ad assorbire tutto il calore prodotto; è il caso di alcune centrali nucleari che debbono utilizzare del sodio liquido per la sua maggiore efficienza relativa allo scopo. Ma su questo tornerò tra un istante. Passiamo ora a vedere come questo nocciolo è collegato all’insieme della centrale, a partire dagli elementi fondamentali. Mi riferisco alla figura 4 ed avverto che il sistema che vi è rappresentato può essere relativo a qualunque centrale termica (che utilizza, appunto, un fornello per la produzione di energia elettrica).

Figura 4

Il vapore d’acqua (mi riferisco ora al vapore d’acqua come  intermediario per gli scambi di calore, ma ve ne sono anche altri) ad alte temperatura e pressione esce dal nocciolo ed in E entra nella prima parte (scambiatore) del sistema che va a produrre energia elettrica. Nello scambiatore il vapore proveniente dal nocciolo cede gran parte della sua energia termica all’acqua ivi presente. Questa, a sua volta, diventa vapore ad alte pressione e temperatura che è canalizzato verso turbine gigantesche che, a loro volta, fanno girare enormi generatori di corrente alternata (che dovrà poi essere trasformata prima dell’invio nell’elettrodotto). Nella figura 5 è mostrato lo statore di tali generatori, mentre nella 6 è riprodotto il rotore. Li mostro solo per dare un’idea delle dimensioni 

Figura 5

Figura 6

in gioco. Ma ora torniamo al vapore che ha fatto girare le turbine. Fuoriuscito da queste, esso si dirige verso un sistema (condensatore) che serve a raffreddarlo al fine di rinviarlo sotto forma di acqua nello scambiatore. La quantità di calore da sottrarre è enorme e, spesso, non basta lo scambio semplice con una sorgente fredda naturale, come acqua di fiumi, laghi o mare (grandi masse d’acqua vengono aspirate da queste sorgenti fredde, vanno a sottrarre calore all’acqua proveniente dallo scambiatore, vengono quindi riversate di nuovo nella sorgente fredda ma a temperature superiori di vari gradi). Occorre raffreddare queste masse d’acqua prima di riversarle di nuovo nelle sorgenti fredde, facendole circolare dentro delle gigantesche torri di raffreddamento (figura 7).

Figura 7

                    A questo punto è possibile vedere un disegno (Figura 8) schematico dell’intera centrale (avverto però che non entro nei dettagli di ogni singola parte, ma ritrovo nel disegno i componenti ai quali ho accennato).

Figura 8

Iniziando dalla sinistra del disegno: il primo edificio riceve le barre di combustibile nucleare da inserire nel nocciolo che è disegnato in rosso al centro della cupola dell’edificio seguente. Nel primo edificio vengono anche provvisoriamente alloggiate in una grande piscina le barre di combustibile già utilizzate. Sotto la cupola vi sono, oltre al nocciolo, i generatori di vapore (scambiatori). Dalla cupola escono dei tubi che portano il vapore nel grande edificio parallelepipedo che segue. Il vapore entra nella turbina ad alta pressione (indicata con il n° 24) e successivamente nelle turbine a bassa pressione ( n° 25). Queste turbine fanno muovere i generatori di corrente che seguono (n° 26). Da qui la corrente passa ai trasformatori (n° 30) per poi andare nell’elettrodotto. Il vapore che esce dalle turbine a bassa pressione va invece ad essere raffreddato nel condensatore (n° 28) da dove poi torna agli scambiatori nella cupola. In accordo con quanto già detto, a parte il dimensionamento dei singoli componenti, con la sostituzione di quel nocciolo con altro generatore di calore si ha a che fare con altro tipo di centrale termica.

VARI TIPI DI CENTRALI NUCLEARI

                    Ho fino ad ora parlato genericamente di centrali nucleari senza ulteriore specificazione. E’ ora utile entrare in un minimo di classificazione dei vari tipi di centrali nucleari in commercio.

                    Le centrali più diffuse sono quelle ad acqua leggera (Light Water Reactor, LWR) che sono di due tipi, quelle ad acqua in pressione (PWR, brevetto Westinghouse) e quelle ad acqua bollente (BWR, brevetto General Electric). In tali centrali il combustibile è uranio arricchito ed il moderatore è acqua naturale.

                    Vi sono poi le centrali ad acqua pesante (Heavy Water Reactor, HWR) che sono essenzialmente quelle brevettate in Canada (CANadian Deuterium-Uranium, CANDU). In tale centrale il combustibile è uranio naturale ed il moderatore è acqua pesante.

                    Altro tipo di centrali è quello sviluppato principalmente in Francia, si tratta dei reattori autofertilizzanti o reattori veloci o breeders (LMFBR).

                    Vi sono infine alcuni tipi di centrali sviluppate nella ex URSS che vedremo oltre, soffermandoci solo al tipo VVER 440 essendo questo il reattore di Chernobyl.

                     Altre centrali hanno ormai solo un  interesse storico come quelle a gas (Magnox ed AGR), sviluppate soprattutto in Gran Bretagna. Vi sono poi reattori  raffreddati a gas ad alta temperatura (HTR), reattori di ricerca, … ma è inutile entrare in dettagli che non aggiungerebbero nulla alla comprensione di principio.

CENTRALI LWR DI TIPO PWR

                    Riproduco lo schema di funzionamento di tale centrale (Figura 9) per illustrarla in breve (ne ho già parlato in precedenza perché le esemplificazioni che facevo riguardavano questo tipo di centrale).

Figura 9

Fatto che distingue questo tipo di reattore dal BWR è il circuito chiuso dell’acqua che dal nocciolo va allo scambiatore. Un altro circuito d’acqua, completamente separato, è quello che muove le turbine. Inoltre, l’acqua che si trova nel nocciolo, oltre ad essere ad alta temperatura è anche ad alta pressione perché, ad essa, viene impedita ogni espansione. Le dimensioni standard di un nocciolo sono di circa 5 metri di diametro e di circa 15 metri di altezza con uno spessore del contenitore di acciaio che varia dai 150 ai 300 mm. La carica di combustibile prevede circa 90 tonnellate che permettono il suo funzionamento per circa un anno. La pressione dell’acqua è intorno ai 150 Kg/cm² e la temperatura intorno ai 280 °C.

CENTRALI LWR DI TIPO BWR

                    Parto anche qui da uno schema di principio di questi reattori (Figura 10).

Figura 10

Come si vede, l’acqua a diretto contatto con il combustibile nucleare, è quella che, bollendo, fornisce il vapore che fa muovere le turbine. Altro vapore viene fornito dallo scambiatore. In questa centrale, come nell’altra PWR, l’acqua svolge due ruoli: quella di raffreddamento del sistema e quella di moderatore dei neutroni generati nella reazione nucleare.

                    Uno schema più dettagliato del nocciolo di una centrale PWR, lo ho mostrato in figura 3. Mostro ora, con lo stesso dettaglio, il nocciolo di una centrale BWR (Figura 11).

Figura 11

Il contenitore degli elementi di combustibile è anche qui un recipiente a pressione ma con un volume triplo rispetto a quello previsto per il PWR. Un tale nocciolo ha un diametro di oltre 6 metri ed una altezza di oltre 20 metri. Lo spessore dell’acciaio di contenimento è di soli 150 mm. Carica una quantità di combustibile di circa 165 tonnellate. La temperatura dell’acqua è intorno ai 180 °C (la stessa del PWR) e la pressione  intorno ai 70 Kg/cm² (la metà circa di un PWR).

CENTRALI HWR DI TIPO CANDU

                     Anche qui parto da uno schema del nocciolo di un CANDU.  Cambia un poco la struttura ma il principio è il medesimo. Anche qui il vapore va ad azionare delle turbine ed è necessario un condensatore

Figura 12

per il raffreddamento dell’acqua che dovrà tornare ad estrarre calore dal nocciolo. Qui il circuito dell’acqua a contatto con gli elementi di combustibile deve essere rigorosamente sigillato in quanto contiene acqua moltro costosa, l’acqua pesante. La carica degli elementi di combustibile è circa di 130 tonnellate inserite nel contenitore che ha un diametro di meno di 10 metri, una lunghezza di circa 6 metri ed uno spessore di circa 30 millimetri. Più in dettaglio il nocciolo si presenta come in figura 13.

Figura 13

Caratteristica importante di questi reattori è che il combustibile può essere cambiato in funzione, contrariamente ai LWR che richiedono circa un mese l’anno di stop per le ricariche.

REATTORI RAFFREDDATI A GAS

                    Presento solo uno schema di una tale centrale, la GCR MAGNOX, che utilizza uranio naturale (in sbarre racchiuse in una lega di magnesio chiamata magnox) come combustibile,  anidride carbonica come estrattore del calore, barre di acciaio al boro come controllo e  barre di grafite come riflettore e come moderatore.

Figura 14

Si vede facilmente che, a parte il nocciolo ed i dimensionamenti relativi alle potenze in gioco, la struttura è ancora simile a quella delle altre centrali termiche. La carica di combustibile è di circa 350 tonnellate.

REATTORI VELOCI

                    In questi reattori manca un moderatore. Di conseguenza i neutroni non sono rallentati molto. Ciò vuol dire che il combustibile deve essere dell’uranio arricchito con una percentuale maggiore di Uranio 235 o direttamente del plutonio. Questi reattori sono anche chiamati autofertilizzanti perché portano simultaneamente avanti due processi: da una parte producono energia e dall’altra si fabbricano il combustibile per il futuro arricchendo dell’uranio naturale disposto appositamente a mantello intorno al nocciolo. Come sappiamo se l’uranio naturale viene colpito da neutroni veloci, si realizza la reazione nucleare che dà origine al plutonio. E, come abbiamo visto, queste centrali funzionano proprio con barre contenenti buone percentuali di plutonio. Per rendere efficiente il processo di conversione di uranio in plutonio occorre che il reattore lavori a temperature più alte rispetto a quelle di altri tipi di centrale. Queste elevate temperature fanno si che è impossibile usare acqua per il raffreddamento, poiché la pressione sarebbe molto elevata mettendo a rischio la sicurezza delle canalizzazioni. E’ qui dove si usa del sodio liquido che ha la proprietà di mantenere basse pressioni ad elevate temperature. Ma ciò non basta: occorre anche che questo sodio venga fatto circolare ad elevate velocità per sottrarre tutto il calore al nocciolo. Nella figura  15 è mostrato un nocciolo di tali reattori. Si noti il mantello di uranio che, nel funzionamento, viene preparato per il successivo uso.

Figura 15

REATTORI VODO-VODYANOY ENERGETICHESKY REAKTOR (VVER 440) E REATTORI BOL’SHOI MOSCHNOSTY KANAL’NYI (RBMK 1000)

                    Poiché mi riprometto di trattare con un qualche dettaglio l’incidente nucleare di Chernobyl (Ukraina, ex URSS) oltre a quello di Three Mile Island (Harrisburg, USA), è necessario descrivere con un qualche dettaglio la tecnologia ex sovietica dei reattori nucleari. Si tratta di due filiere, quella dei reattori VVER che hanno nel numero, che segue la sigla, indicata la loro potenza elettrica in MW (come si vede, quindi, la potenza di 440 è circa un terzo della media delle potenze di una centrale in funzione in occidente) e gli RBMK 1000 (Reaktor Bol’shoi Moshchnosty Kanal’nyi, ossia reattori a canali di potenza elevata), tipo in funzione nell’unità 4 di Chernobyl, quella dell’incidente. Il sistema primario dei reattori VVER, mostrati schematicamente in figura 16, è costituito da 6 circuiti di refrigerazione in parallelo, ciascuno dei quali è dotato di un proprio generatore di vapore  che va ad 

Figura 16

alimentare due turbine collegate a ciascuna unità (Figura 17 e Figura 18). Si tratta di un reattore ad acqua in pressione che non ha struttura di contenimento (le cupole in cemento armato dei reattori precedentemente visti) ma solo una struttura di confinamento costituita da vari locali interconnessi e circondanti il nocciolo. Questo tipo di realizzazione è conseguente al massimo incidente di progetto previsto. Nelle successive versioni dei VVER (i 

Figura 17

Figura 18

1000), si è passati a più sistemi di refrigerazione (e più sofisticati) ed anche al contenimento (per reattori progettati dopo il 1983, anno in cui l’ex URSS si dotò di un organo statale centrale di sorveglianza e di nuove regole di sicurezza).

                    La seconda filiera si è evoluta, a partire dagli dagli anni 50, fino ad arrivare ai reattori RBMK 1000 che debuttarono nel 1973 (Figure dalla 19 alla 22). Il corpo di tali reattori è costituito da circa 2500 blocchi di grafite, che ha il ruolo di moderatore, all’interno dei quali sono ricavate le aperture nelle quali sono

Figura 19

Figura 20

Figura 21

Figura 22

inseriti i canali del combustibile. Tali canali, in numero di circa 1700, sono costituiti da tubi all’interno dei quali sono disposti, in due fasci di barre sovrapposti, gli elementi di combustibile che vengono direttamente lambiti dall’acqua refrigerante.

Il sistema di refrigerazione è costituito nel suo insieme da due circuiti indipendenti, funzionanti in parallelo, ognuno in grado di raffreddare una metà del nocciolo. Il reattore RBMK è dotato di un sistema di refrigerazione di emergenza, mentre non è dotato di un sistema di contenimento ma, come il VVER 440, di un sistema di confinamento compartimentato. Le unità 1 e 2 di Chernobyl erano costituite dai primi reattori di questo tipo messi in funzione.

La peculiare tecnologia di tali reattori presentava, rispetto alle altre tipologie, ed in particolare rispetto alla filiera pressurizzata, una serie di vantaggi fra i quali è opportuno evidenziare:

– assenza di nuovi processi tecnologici nella costruzione,

– possibilità di incrementare la potenza con la semplice aggiunta di elementi modulari,

– carico e scarico del combustibile con reattore in funzione e quindi la possibilità di migliori prestazioni produttive.

                    Dopo svariate indagini internazionali si possono rilevare i seguenti difetti per i reattori della filiera VVER:

– insufficiente capacità di refrigerazione di emergenza nel lungo periodo;

– insufficiente ridondanza e separazione dei sistemi di sicurezza;

– assenza di un sistema di contenimento;

– insufficiente protezione dagli incendi e da altri eventi quali allagamenti, caduta di un aereo o l’onda d’urto di una esplosione.

                    La stessa filiera avrebbe invece le seguenti caratteristiche positive:

– bassa potenza del nocciolo;

– notevoli quantità d’acqua sia sul primario che sul secondario;

– semplicità impiantistica;

– possibilità di isolamento, in maniera separata, di ognuno dei circuiti costituenti il primario.

                    Riguardo alla filiera degli RBMK si possono individuare le seguenti carenze:

– instabilità dinamica del nocciolo (vibra!);

– limitata efficacia del sistema di protezione (insufficiente rapidità di inserzione delle barre di controllo);

– insufficienti caratteristiche della refrigerazione di emergenza (sistema complesso, insufficiente ridondanza);

– assenza di un sistema di contenimento (solo una parte dei circuiti primari è in compartimenti a tenuta);

– eccessiva dipendenza della regolazione e controllo dell’impianto da interventi degli operatori;

– incompatibilità chimica dei materiali presenti nel nocciolo (grafite-acqua, possibilità di produzione di idrogeno).

                    Più in generale si può aggiungere lo scarso controllo da parte di enti preposti e lo scarso addestramento del personale.

Bibliografia

1 – (a cura di Felice Ippolito) – Energia dall’atomo – Le Scienze “quaderni” n° 3,  dicembre 1982.

2 – M. Maggi, R. Mussapi, R. Spiegelberg – Il nucleare dell’Est – Sapere di febbraio e marzo 1993.

REATTORI NUCLEARI A FUSIONE

                    La fusione nucleare, come sappiamo, si realizza in natura sulle stelle ed è stata realizzata dall’uomo in modo terribilmente distruttivo nelle bombe H che vedremo nella sezione “armi nucleari”. Sono molti anni che si lavora alla realizzazione di un reattore nucleare che renda possibile l’uso pacifico di energia da fusione. Ancora non ci si riesce ma si deve continuare perché, mediante questa tecnica, sarebbe possibile sfruttare fonti energetiche praticamente inesauribili esistenti sulla Terra, come ad esempio l’idrogeno.

                    I problemi che si pongono sono enormi ed a tali problemi si sommano le inerzie dei governi nazionali che lesinano il denaro ed il freno delle multinazionali energetiche, particolarmente quelle del petrolio. I problemi tecnico-scientifici  nascono da questioni primordiali molto comprensibili a tutti. Un fornello a gas ci dà una fiamma di circa 400 °C. Sopra questa fiamma, per cucinare, disponiamo una pentola, ad esempio, di alluminio che fonde a meno di 700 °C. Pensiamo ora che la fusione nucleare sul Sole si realizza a circa 6 000 °C (e con pressioni elevatissime) e che, sulla Terra, per realizzarla occorrono temperature che oscillano intorno ai 100 milioni di gradi (più di sei volte la temperatura all’ interno del Sole). Ecco questo cenno di dati dovrebbe far capire l’enorme difficoltà prima di raggiungere quelle folli temperature e poi di contenerle in un qualche recipiente. Nonostante le difficoltà, queste cose si sono fatte, resta da realizzare, simultaneamente svariate altre condizioni che tenterò di illustrare.

UNA CRONOLOGIA MINIMA

                    Gli avvenimenti importanti sulla strada della fusione sono cronologicamente elencati di seguito:

  •  

 fine anni ’20: Atkinson e Houtermans avanzano l’idea che il Sole possa brillare a seguito di reazioni termonucleari; dieci anni dopo fu postulato il ciclo di produzione energetica mediante fusione nucleare nel Sole;

  •  

nel 1923 Rutherford, Walton e Cockcroft osservarono la cattura di un protone da parte di un atomo di Litio 7, e la disintegrazione di quest’ultimo in due particelle alfa con liberazione di energia;

  •  

nel 1925 Rutherford, Oliphant ed Harteck ottennero la fusione di due deutoni che si trasformarono in un Elio 3 ed un neutrone o in un Trizio ed un protone, liberandosi in ambedue i casi, grande energia;

  • nel 1951 una bufala di Juan Perón, che aveva affermato di avere una centrale a fusione nucleare in funzione, spinse l’astrofisico Lyman Spitzer di Princeton a studiare il problema;
  •  

nel 1951 i fisici sovietici Andrej Sacharov ed Igor Tamm disegnarono quell’oggetto che più tardi si chiamerà tokamak;

  •  

da questo momento (ma anche prima) cade il silenzio su queste ricerche. Si lavora su di esse a fini militari … la bomba H ha già debuttato e suoi perfezionamenti bussano alla porta. Siamo in piena guerra fredda!

  •  

1958, Ginevra. Vi è la Conferenza Atomi per la Pace. Si capì che era necessario studiare più a fondo i plasmi e si dette il via a studi di base che occuparono gli anni successivi;

  •  

nel 1968 il tokamak sovietico riuscì a mostrare una possibile strada del confinamento magnetico ed avviò il mondo su macchine dello stesso tipo;

  •  

negli anni ’70 la fusione entrò nella big science per la mole dei finanziamenti che richiedeva. Si capì che per andare avanti occorrevano piani di collaborazione internazionale;

  •  

nel 1978 quella che allora si chiamava Comunità Europea mise in piedi uno dei progetti di studio di fusione più ambiziosi, il JET (Joint European Torus ovvero Toro europeo insieme) che si iniziò a costruire a Abingdon in Gran Bretagna. Nel giugno 1983 il JET produsse i primi plasmi e dette mostra di funzionare fino agli esperimenti del 1991 che con successo fusero deuterio e trizio;

  •  

nel 1978 il PLT (Princeton Large Torus) statunitense ha prodotto plasmi a doltre 60 milioni di gradi. Verso la metà degli anni ’80 iniziarono gli esperimenti con il TFTR (Tokamak Fusion Test Reactor ovvero: reattore per provare la fusione di tipo tokamak) particolarmente con mescole di deuterio e trizio (1993).

  •  

dal 1988 in Giappone si sono fatti esperimenti avanzati con il JT-60, tokamak di grandi dimensioni.

  •  

dal 1989 è entrato in funzione il tokamak FTU (Frascati Tokamak Upgrade) nei Laboratori Nazionali di Frascati. Questa macchina è il risultato di ricerche iniziate nel 1976.

QUALCHE DETTAGLIO SUI TOKAMAK

                    La prima macchina che ha studiato e tentato di realizzare la fusione in scala che sarebbe potuta diventare commerciale è ex sovietica e prende il nome di TOKAMAK, acronimo russo delle parole che la descrivono: TOroidalnaya KAmera MAgnitnaya Katushka, ovvero macchina a camera toroidale e avvolgimento magnetico. Fu sviluppata all’Istituto dell’Energia Atomica di Mosca alla fine degli anni ’60. Il toro è una figura geometrica che deriva il suo nome dal latino torus = cintura, cordone  (da non confondere con taurus, da cui il più familiare toro del mondo animale). La figura geometrica toro (Figura 0) ha quindi l’aspetto di un tubo chiuso 

Figura 0

ad anello che è proprio la forma che generalmente ha la camera centrale delle macchine che lavorano intorno alla fusione nucleare (il contenitore dell’anello verde di Figura 1 che rappresenta molto schematicamente un Tokamak).

Figura 1

            Dentro la camera toroidale vi è inizialmente un gas che deve essere portato a temperature gigantesche. Ed un gas, che ha la proprietà di ionizzarsi a temperature ordinarie, si ionizza completamente (i suoi atomi perdono tutti gli elettroni) alle temperature a cui si lavora. un gas in condizioni di totale ionizzazione si chiama plasma. Per far crescere la temperatura di quel gas si usa un sistema che ricorre a giganteschi campi magnetici. Sottoponendo un plasma a tali campi, si restringe in un toro  a sezione sempre più piccola con due effetti: da una parte ci si allontana dalle pareti del contenitore evitando il contatto con alte temperature, dall’altra si portano sempre più vicini tra loro i nuclei del gas da fondere. Naturalmente quanto dico è assolutamente banalizzato. I plasmi possono essere le miscele di nuclei più favorevoli alla fusione, ad esempio deuterio e trizio. In questo caso abbiamo a che fare con la coppia di elementi che ha bisogno della più bassa temperatura di innesco, circa 50 milioni di gradi centigradi. Il contenitore di tale elevata temperatura sarà, come accennato, il campo magnetico. Ma vi è un altro criterio cui bisogna rispondere per ottenere la produzione di energia da fusione, si tratta del criterio detto di Lawson. Durante il tempo di contenimento mediante campo magnetico del plasma scelto, l’energia liberata dalla fusione, ad una temperatura più alta di quella d’innesco, dovrebbe almeno essere uguale alla somma dell’energia persa attraverso processi radiativi più l’energia necessaria ad elevare l’energia termica del plasma alla temperatura considerata. In definitiva i parametri importanti per ottenere la fusione sono tre: la temperatura caratteristica di fusione (temperatura di ignizione) per un dato plasma (che si ottiene dall’equazione del bilancio energetico tra la potenza prodotta dalla fusione e le perdite di potenza dovute a vari fattori); la densità del plasma ed il tempo di confinamento. In pratica, disponendo di un plasma ad una data densità, esso dovrà essere compresso  magneticamente per un tempo minimo necessario a raggiungere la temperatura in cui iniziano a fondere i nuclei del plasma medesimo. A questo punto sarà la macchina a dare energia attraverso le reazioni di fissione nucleare.

            Per raggiungere la temperatura di ignizione si deve scaldare convenientemente il plasma per differenti vie:

1 – riscaldamento ohmico che consiste nello ionizzare la miscela (ad esempio) di deuterio e trizio ottenendo un plasma e quindi agendo sui campi magnetici rapidamente variabili che inducono un campo elettrico il quale, a sua volta, origina una corrente nel plasma che lo riscalda;

2 – riscaldamento per compressione magnetica (o adiabatica) che si ha aumentando bruscamente il campo magnetico toroidale, fatto che fa aumentare l’energia cinetica e quindi la temperatura del plasma; un campo elettrico toroidale mantiene una corrente elettrica, pure toroidale, che fluisce nel plasma e questa corrente, a sua volta, genera una componente del campo magnetico che è poloidale  (per questo tipo di riscaldamento si veda Figura 3);

3 – riscaldamento per pompaggio magnetico che si origina facendo variare periodicamente il campo magnetico;

4 – riscaldamento attraverso  microonde che devono avere la stessa frequenza con cui vibrano le particelle del plasma;

5 – riscaldamento per iniezione di fasci di atomi neutri (che possono penetrare nel plasma senza subire disturbo dalle cariche elettriche che lo costituiscono. Nel penetrare nel plasma questi fasci neutri si ionizzano e trasferiscono parte della loro energia cinetica al plasma per urto. Tale procedimento può essere applicato in combinazione con altri;

6 – riscaldamento per onde  d’urto è quello che si ottiene attraverso raggi laser di elevata potenza che vanno ad incidere sul plasma (si può anche operare attraverso elettroni accelerati o ioni pesanti). 

Alcuni di questi metodi di riscaldamento sono illustrati nella Figura 2:

Figura 2

              Questa temperatura elevata, tendenzialmente, lavora per separare i nuclei degli atomi del plasma, essendo questi carichi tutti positivamente. Occorre quindi restringere lo spazio a disposizione del plasma mediante un suo confinamento che, nel caso in discussione, è magnetico (vi è poi da considerare un altro tipo di confinamento, quello inerziale).

                   C’è da osservare che, mentre fino ad ancora poco tempo fa (anni ’80)  si lavorava in modo semiempirico per modificare la geometria della macchina (o delle macchine), nei suoi infiniti parametri, proprio da allora iniziano delle teorie elaborate che ci fanno sperare sempre più nell’entrata in funzione commerciale di tali macchine. In Figura 3 vi è uno schema ancora più dettagliato di quello di Figura 1 di un tokamak. Nella Figura 4 vi è invece il dettaglio dei campi elettrici e magnetici dentro il plasma.

Figura 3

Figura 4

                   Per rendere conto delle dimensioni delle macchine che si stanno costruendo e con le quali si sperimenta (si tenga conto che il volume del plasma con cui si opera oscilla intorno ai 150 metri cubi), è utile la Figura 5, in cui è rappresentato l’interno del tokamak JET. Si noti che in questa macchina la figura toroidale ha già subito modificazioni importanti nella geometria. E’ anche interessante vedere l’immagine della macchia precedente con il plasma riscaldato al suo interno (Figura 6).

Figura 5

Figura 6

La Figura 7 mostra invece la stessa macchina vista dall’esterno e collegata ad una montagna di apparecchiature.

Figura 7

                    Con il progredire degli studi e con il variare delle tecniche e delle geometrie le camere toroidali si sono suddivise in almeno tre differenti tipi, a seconda del procedimento utilizzato per generare lo sviluppo ad elica del campo magnetico intorno al plasma:

  • i tokamak veri e propri (Figura 8);
  • gli stellatori (Figura 9);
  • macchine per costrizioni di campo inverso (reversed field pinch – Figura 10).

Nelle figure seguenti sono mostrate schematicamente le linee di forza del campo magnetico agenti sul plasma nei tre casi:

Figura 8

La struttura dei campi magnetici in un tokamak, già visti (Figure 3 e 4).

Figura 9

In uno stellatore la forma ad elica delle linee del campo magnetico si ottiene mediante una serie di avvolgimenti che, a loro volta ed in alcuni casi, possono avere forma elicoidale. Poiché lo stellatore non richiede il passaggio di una corrente attraverso il plasma per generare il campo magnetico, non ha trasformatore e può quindi funzionare a regime con continuità.

Figura 10

Le macchine a costrizione mediante campo inverso sono dei tokamak in cui circola una corrente molto elevata che provoca una riorganizzazione interna al plasma dei campi magnetici tale da invertire la direzione del campo toroidale nella parte centrale del plasma. Le componenti toroidali e poloidali del campo hanno intensità dello stesso ordine di grandezza.

                    Fin qui abbiamo parlato del solo confinamento magnetico. Resta ora solo da accennare al confinamento inerziale.

                    In questo caso si tratta di far interagire fasci laser (con energia vicina ai 5 MJ) o elettroni accelerati contro una piccola pastiglia (circa 1,5 millimetri di raggio)  di plutonio (circa 0, 200 grammi) circondata da una cappa sferica (di meno di 2 millimetri di spessore) di un composto del deuterio contenente impurità di trizio (ricordo che la reazione di fusione Deuterio – Trizio  è la più facile da realizzare ed è  anche la più efficiente al fine della produzione di energia). L’urto tra il fascio laser e la pastiglia origina la compressione del plutonio portandolo ad una densità di circa 250 volte quella iniziale e della buccia sovrapposta portandola a densità di oltre 4000 volte la iniziale. In linea di principio il plutonio nelle condizioni accennate origina una microesplosione nucleare (fissione) che eleva le temperature al punto da innescare la fusione nella cappa che lo ricopre. La superficie della sferetta evapora  e, secondo il principio di azione e reazione, il combustibile viene compresso e riscaldato. Si realizza così la condizione di altissima densità del plasma anche se per tempi di confinamento molto brevi. Le figura 11 e 12 mostrano, rispettivamente, l’esterno e l’interno di una camera in cui si realizza il confinamento inerziale.

Figura 11

Camera di combustione dell’istallazione laser-fissione-fusione Nova. Lawrence Livermore Laboratory, USA.

Figura 12

Interno della camera di combustione dell’istallazione laser-fissione-fusione Nova. Lawrence Livermore Laboratory, USA.

                    Questo processo è interessante ma abbisogna ancora di laser di energia sufficientemente elevata. In ogni caso la Figura 13 mostra un possibile arrangiamento che permetterebbe lo sfruttamento della fusione prodotta in questo modo.

Figura 13

                    Il modo, invece, di estrazione del calore, e quindi dell’energia prodotta dalla fusione, con un sistema di confinamento magnetico è mostrato nelle figure 14 e 15.

Figura 14

Figura 15

                    Per concludere, nelle figure 16 e 17 sono riportate le foto delle principali macchine per la fusione in studio nel mondo.

Figura 16

Figura 17

                    Altri progetti, ancora più avanzati, sono oggi in studio (PBFA 2, la macchina Z, ITER, DEMO, …) e, presto o tardi li descriverò. Si spera di avere presto dei risultati (comunque non prima del 2040) che possano permettere l’utilizzo commerciale dell’energia da fusione. In linea di principio i problemi ambientali dovrebbero essere minimi a fronte di disponibilità di combustibile praticamente infinita. 

                    Un breve commento in chiusura lo merita il progetto internazionale ITER. 

“””Mentre esiste un discreto accordo (anche se non unanime) tra i ricercatori su come procedere, ed è stato anche redatto un progetto, la quantità di risorse necessaria ha dissuaso i singoli stati dall’imbarcarsi in questa impresa. Viceversa, è stato raggiunto un consenso sul fatto che questo progetto, denominato ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), dovrà essere realizzato sotto forma di collaborazione internazionale.

Purtroppo, il raggiungimento di un accordo in materia si è dimostrato difficile. In particolare nel 1998, quando il progetto era praticamente pronto, gli USA si sono ritirati, e questo ha portato a un sostanziale congelamento delle attività. L’anno scorso gli Stati Uniti hanno cambiato idea, e questo ha portato nuovo impulso. Attualmente si stanno svolgendo dei negoziati tra i partecipanti all’impresa, cioè Europa, USA, Giappone, Russia, Cina e Corea del Sud, per suddividere i costi e decidere i dettagli “politici”, primo fra tutti la localizzazione del sito dell’esperimento. La scelta tra i due candidati, Cadarache nel sud della Francia e Rokkasho in Giappone, si sta rivelando non facile, non per ragioni tecniche ma per rivalità politiche, alle quali hanno contribuito le recenti vicende della guerra irachena e i conseguenti contrasti tra la Francia e gli USA (che difatti appoggiano il sito giapponese). E’ da notare comunque che il costo totale del progetto, che è di 4,7 miliardi di Euro, pur nella sua rilevanza ammonta ad appena lo 0,5% delle spese militari mondiali annuali. Ma quali sono le prospettive di questa tecnologia? Iniziamo col dire che si prevedono tempi molto lunghi perché sia effettivamente possibile immettere in rete elettricità prodotta da centrali a fusione. La sola costruzione di ITER, una volta che siano risolti i problemi negoziali, durerà 8 anni, a cui faranno seguito 10 anni di sperimentazione. Di seguito dovrebbe essere possibile costruire un vero reattore dimostrativo, al quale seguiranno le centrali commerciali. Complessivamente, sembra molto difficile che si arrivi a uno sfruttamento commerciale della fusione prima dell’anno 2040. Va notato che i problemi legati al progressivo esaurimento delle riserve di petrolio e metano e al cambiamento climatico indotto dall’uso di questi combustibili si manifesteranno ben prima
.“”” 

[Emilio Martines, ricercatore CNR, Redazione Cunegonda Italia]4

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ISPI

Energia quasi illimitata, sicura e soprattutto pulita. Sperimentato per la prima volta dall’Unione Sovietica negli anni Cinquanta, l’uso civile della fusione nucleare è sempre parso fuori portata. Almeno fino a ieri, quando un gruppo di scienziati americani è riuscito per la prima volta a ottenere un guadagno energetico dal processo, generando più energia di quella immessa nel sistema

Un utilizzo commerciale della fusione avrebbe tre vantaggi. Ambientale: non produce gas serra e, a differenza della fissione, non genera scorie radioattive, oltre a ridurre al minimo il rischio di disastri nucleari. Economico: gli input – deuterio e trizio – sono ampiamente disponibili. Ed energetico: secondo le stime, un bicchiere di combustibile basterebbe ad alimentare una casa per più di 800 anni

Just in time? 

Fra gli alti prezzi dell’energia e la necessità di abbandonare quanto prima i combustibili fossili, la fusione nucleare sembrerebbe proprio la boccata d’aria di cui il mondo ha bisogno. La fusione permetterebbe di rendere sostenibile un sistema elettrico che vada a sole rinnovabili, e dunque di fare a meno del 35% del gas che l’Ue utilizza oggi. 150 miliardi di metri cubi, quasi esattamente i volumi che la Russia vendeva all’Europa prima dell’inizio della crisi. 

Certo, i limiti per l’utilizzo commerciale della fusione restano molti. Ma negli ultimi anni gli avanzamenti tecnologici l’hanno resa sempre più attrattiva per gli investitori, che solo nel 2021 hanno triplicato i finanziamenti al settore (da 1,5 a 4,4 miliardi di dollari). 

Un piccolo passo per l’uomo 

Come la corsa alla Luna degli anni Sessanta, anche oggi le nazioni si sfidano in una nuova corsa alla fusione nucleare – con qualche sorpresa. Rispetto agli USA, che puntano sul confinamento inerziale”, in Europa continua la costruzione di ITER, che farà uso di magneti. Paradossalmente è proprio Mosca che, nonostante il conflitto in Ucraina, a novembre ha consegnato alla Francia uno dei sei magneti per il reattore. 

Anche i giganti asiatici sono in lizza. A gennaio il reattore cinese EAST ha prodotto il processo di fusione più lungo al mondo (17 minuti), mentre a settembre il reattore coreano KSTAR ha raggiunto per quasi 30 secondi una temperatura 7 volte maggiore a quella del Sole. 

Insomma, una gara aperta verso un traguardo per una volta comune: energia infinita, e pulita

GREENREPORT,IT

Il Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti (DOE) e la sua National Nuclear Security Administration (NNSA) hanno annunciato che il Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL) ha ottenuto l’ignizione per la fusione e dicono che si tratta di «Un’importante svolta scientifica attesa da decenni che aprirà la strada a progressi nella difesa nazionale e il futuro dell’energia pulita».

Il Doe spiega che «Il 5 dicembre, un team del National Ignition Facility (NIF) di LLNL ha condotto il primo esperimento di fusione controllata della storia per raggiungere questo traguardo, noto anche come pareggio energetico scientifico, il che significa che ha prodotto più energia dalla fusione rispetto all’energia laser utilizzata per innescarla. Questo risultato storico, primo nel suo genere, fornirà capacità senza precedenti per supportare lo Stockpile Stewardship Program della NNSA e fornirà preziose informazioni sulle prospettive dell’energia da fusione pulita, che rappresenterebbe un punto di svolta per gli sforzi per raggiungere l’obiettivo del presidente Biden di un network per la net-zero carbon economy».

Come ricorda Esmé Stallard su BBC News, «La fusione nucleare è descritta come il “Santo Graal” della produzione di energia. E’ il processo che alimenta il Sole e le altre stelle.

Funziona prendendo coppie di atomi di luce e forzandoli insieme: questa “fusione” rilascia molta energia. E’ l’opposto della fissione nucleare, in cui gli atomi pesanti vengono divisi. La fissione è la tecnologia attualmente utilizzata nelle centrali nucleari, ma il processo produce anche molte scorie che continuano a emettere radiazioni per lungo tempo. Può essere pericoloso e deve essere conservato in modo sicuro. La fusione nucleare produce molta più energia e solo piccole quantità di scorie radioattive di breve durata. E, cosa importante, il processo non produce emissioni di gas serra e quindi non contribuisce al cambiamento climatico. Ma una delle sfide è che forzare e mantenere insieme gli elementi nella fusione richiede quantità molto elevate di temperatura e pressione. Fino ad ora, nessun esperimento era riuscito a produrre più energia di quanta ne è stata impiegata per farlo funzionare».

L’esperimento di LLNL ha superato la soglia di fusione fornendo 2,05 megajoule (MJ) di energia al target, dando come risultato 3,15 MJ di produzione di energia di fusione, dimostrando per la prima volta una base scientifica fondamentale per l’energia di fusione inerziale (IFE). Gli scienziati però avvertono che «Sono ancora necessari molti sviluppi scientifici e tecnologici avanzati per ottenere un IFE semplice ed economico per alimentare case e aziende». Uno di loro in conferenza stampa del DOE ha detto che ci vorranno «Decenni. Non 6 decenni, non 5, piuttosto penso 4». Quindi addirittura oltre il 2050, quando il mondo avrebbe già dovuto ridurre a zero le sue emissioni se vuole evitare una catastrofe climatica globale della quale ci sono già evidenti segni.

Rebecca Morelle Science Editor della BBC, aggiunge che «La quantità di energia che hanno generato in questo esperimento è minuscola, appena sufficiente per far bollire alcuni bollitori. Ma ciò che rappresenta è enorme. La promessa di un futuro alimentato dalla fusione è un passo avanti. Ma c’è ancora molta strada da fare prima che questo diventi realtà. Questo esperimento dimostra che la scienza funziona. Prima che gli scienziati possano anche solo pensare di ampliarlo, deve essere ripetuto, perfezionato e la quantità di energia che genera dovrà essere notevolmente aumentata. Questo esperimento è costato miliardi di dollari: la fusione non costa poco. Ma la promessa di una fonte di energia pulita sarà sicuramente un grande incentivo per superare queste sfide».

Attualmente, il DOE sta riavviando negli Usa un programma IFE coordinato e ad ampio raggio e assicura che «In combinazione con gli investimenti del settore privato, c’è molto slancio per guidare rapidi progressi verso la commercializzazione della fusione».

La fusione è il processo mediante il quale due nuclei leggeri si combinano per formare un singolo nucleo più pesante, rilasciando una grande quantità di energia. Negli anni ’60, un gruppo di pionieristici scienziati del LLNL ipotizzò che i laser potessero essere usati per indurre la fusione in un ambiente di laboratorio. Portata avanti dal fisico John Nuckolls, che in seguito è stato direttore di LLNL, dal 1988 al 1994, questa idea rivoluzionaria è diventata la fusione a confinamento inerziale, dando il via a oltre 60 anni di ricerca e sviluppo in laser, ottica, diagnostica, fabbricazione di bersagli, modellazione e simulazione al computer, e progettazione sperimentale.

Per questo, l’LLNL ha costruito una serie di sistemi laser sempre più potenti, portando alla creazione di NIF, il sistema laser più grande ed energico del mondo, ospitato dal LLNL a Livermore, in California, che ha le dimensioni di uno stadio e utilizza potenti raggi laser per creare temperature e pressioni come quelle nei nuclei di stelle e pianeti giganti e all’interno di armi nucleari quando esplodono.

Il raggiungimento dell’ignizione è stato reso possibile grazie alla dedizione dello staff LLNL e di innumerevoli collaboratori del Los Alamos National Laboratory del DOE, dei Sandia National Laboratories e il Nevada National Security Site; Nevada National Security Site; General Atomics istituzioni accademiche, tra cui Il Laboratory for Laser Energetics dell’università di Rochester, il Massachusetts Institute of Technology, l’università della California – Berkeley e la Princeton University e partner internazionali come l’Atomic Weapons Establishment del Regno Unito e lil Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives  francese; gli stakeholders del DOE e della NNSA e del Congresso

Secondo la segretaria all’energia Usa,  Jennifer M. Granholm, «Questo è un risultato fondamentale per i ricercatori e lo staff della National Ignition Facility che hanno dedicato la loro carriera a vedere l’ignizione della fusione diventare una realtà, e questa pietra miliare stimolerà senza dubbio ancora più scoperte. L’amministrazione Biden-Harris è impegnata a sostenere i nostri scienziati di livello mondiale, come il team del NIF, il cui lavoro ci aiuterà a risolvere i problemi più complessi e urgenti dell’umanità, come fornire energia pulita per combattere il cambiamento climatico e mantenere un deterrente nucleare senza test nucleari».

Arati Prabhakar, consigliere capo del presidente Biden per la scienza e la tecnologia e direttore dell’ufficio della Casa Bianca per la politica scientifica e tecnologica, ha sottolineato che «Da oltre un secolo, abbiamo una comprensione teorica della fusione, ma il viaggio dal sapere al fare può essere lungo e arduo. La pietra miliare di oggi mostra cosa possiamo fare con la perseveranza».

L’amministratore della NNSA. Jill Hruby, ha aggiunto: «Grazie alle persone incredibili del Livermore Lab e della National Ignition Facility, lunedì 5 dicembre 2022 è stata una giornata storica per la scienza. Facendo questo passo avanti, hanno aperto un nuovo capitolo per lo Stockpile Stewardship della NNSA. Vorrei ringraziare i membri del Congresso che hanno sostenuto il National Ignition Facility perché la loro fede nella promessa della scienza visionaria è stata fondamentale per la nostra missione. Il nostro team proveniente dai laboratori nazionali del DOE e i nostri partner internazionali ci hanno mostrato il potere della collaborazione».

La direttrice del LLNL, Kim Budil, ha concluso: «La ricerca dell’ignizione della fusione in laboratorio è una delle sfide scientifiche più significative mai affrontate dall’umanità e raggiungerla è un trionfo della scienza, dell’ingegneria e, soprattutto, delle persone. Varcare questa soglia è la visione che ha guidato 60 anni di dedizione alla ricerca: un processo continuo di apprendimento, costruzione, espansione di conoscenze e capacità e quindi ricerca di modi per superare le nuove sfide emerse. Questi sono i problemi che i laboratori nazionali statunitensi sono stati creati per risolvere».

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BIBLIOGRAFIA

1 – Consorcio Fusion Expo – Dominar la energia de las estrellas – Opuscolo illustrativo dei programmi di fusione, 1995.

2 – B. Coppi, J. Rem – Il Tokamak e la fusione termonucleare controllata – Le Scienze n° 50, 1972.

3 – AA. VV. – Energy sources & development – Simposio internacional sobre fuentes de energia y desarrollo – Moneda y Credito, Madrid 1977.

4 – E. Bertolini – Il progetto JET – Il Saggiatore 5/6, 1996.

5 – (a cura di Carlo Bernardini) – Le risorse energetiche – Quaderni Le Scienze n° 129, dicembre 2002.



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