Ingegneria Meccanica – Roma Tre
AA/2011-2012
APPUNTI PER IL CORSO
(Ripresi integralmente e da me assemblati dai testi di bibliografia)
Roberto Renzetti
Bibliografia: R. Renzetti –Vari appunti miei raccolti negli anni -www.fisicamente.blog
INCIDENTNUCLEARI DI THREE MILE ISLAND, CHERNOBYL, FUKUSHIMA
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THREE MILE ISLAND
RAPPORTO KEMENY
Roberto Renzetti
Dopo gli incidenti nucleari si costituiscono delle commissioni d’inchiesta per capire cosa è accaduto ed in linea di principio per risolvere eventuali problemi per il futuro. Sono venuto da poco in possesso di un documento di grande interesse che avevo cercato a suo tempo senza successo. Mi riferisco al rapporto sull’incidente nucleare di Three Mile Island che raccoglie le conclusioni della Commissione Kemeny appositamente costituita dal Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, per far luce su quel grave incidente avvenuto alle ore 4 del mattino del 28 marzo 1979(1) in un reattore entrato in funzione da soli tre mesi. E’ curioso come io sia venuto in possesso di tale documento.
Premetto che ero in Spagna per lavoro ed avevo difficoltà di comunicazione con l’Italia (la Spagna è entrata nelle UE nel 1986). Solo da poco ho saputo che a suo tempo (non c’era ancora internet), nel 1980, tale rapporto era stato pubblicato in Italia dalla Etas Libri (Harrisburg, emergenza nucleare: il rapporto americano sull’incidente alla centrale di Three Mile Island). Andavo questa estate in cerca di qualche libro nel mercato all’aperto di Porta Portese di Roma e su una bancarella, a 5 euro, trovo questo libro. E’ stato per me una sorpresa piacevole perché si sono risvegliate vecchie curiosità mai appagate e la possibilità di risolverle. Compro il libro ed ho subito una brutta sorpresa a margine del libro stesso. Nella prima pagina interna trovo che proviene dalla Biblioteca della Regione Lazio (Presidenza Giunta, Economato e Contabilità, presa in carico 304/40). Ci resto male a toccare con mano il disprezzo per tali documenti fondamentali per una biblioteca di una istituzione pubblica. Chissà chi se ne è sbarazzato, a che livello di responsabilità, con quale incoscienza.
Io ho già scritto sull’incidente di Harrisburg ma con questo documento, e con altri che nel frattempo sono stati prodotti, credo di avere l’opportunità di essere più preciso e di fare un lavoro analogo a quello fatto per Chernobyl. Per cui leggerò, trascriverò le cose d’interesse, integrerò con notizie acquisite successivamente e con informazioni tecnico scientifiche che riterrò necessarie. Anche qui non farò una cronaca del terrore ma mi terrò su di un piano eminentemente tecnico, anche se divulgativo.
IL MANDATO DELLA COMMISSIONE
Nelle prime pagine del rapporto si dice che l’incidente che dovrà essere indagato ha creato molto allarme sia a livello nazionale che internazionale, sulla sicurezza dell’energia nucleare. Si tratta perciò di rispondere a tali preoccupazioni. Per farlo occorre indagare sugli eventi, sugli apparati e sugli operatori per capire l’accaduto. Occorreva poi capire cosa era accaduto in termini di rilascio di materiale radioattivo confrontando ciò con i rischi in normale funzionamento del reattore sia degli operatori che delle popolazioni residenti nelle vicinanze della centrale.
La commissione ha poi indagato sia sull’azienda elettrica proprietaria della centrale, sia sui fornitori di materiali alla medesima, sia sui programmi di formazione degli operatori, sia sulle procedure di esercizio della centrale. Sono stati anche analizzati i piani di emergenza previsti sia locali che statali ed il modo di reazione all’incidente da parte di tali autorità e di tutti gli enti che si occupano di tali questioni.
Attenzione è stata riservata anche al modo con cui sono state date le informazioni da parte di tutti, giornali, TV, enti autorità locali e statali. Si è distinto tra notizie sbagliate per ignoranza, quelle sbagliate per voglia di sensazionalismo ma anche quelle che minimizzano per tranquillizzare.
Da ultimo, particolare attenzione è stata data all’organismo federale di controllo delle attività nucleari, l’NRC che ha fissato norme, comportamenti, criteri per la concessione delle autorizzazioni, per le ispezioni, per la formazione e per il tipo di informazione che ha fornito.
La commissione è molto chiara nei suoi intenti e dice anche ciò che non è stato fatto: non si è estesa l’indagine al nucleare in genere negli Usa e nel mondo, non si è studiata la filiera nucleare con gli eventuali problemi dell’arricchimento del combustibile, del trasporto, della gestione delle scorie, non si è studiata l’industria nucleare che realizza pezzi e componenti per una centrale (anche se, nel fare ciò che la commissione ha fatto, se n’è fatta un’idea). La commissione non ha neppure tentato di arrivare a conclusioni drastiche sull’abbandono del nucleare e non ha neppure tentato un confronto tra i rischi nucleari e quelli di altre fonti.
Risulta di vitale importanza che si tenga conto di quanto si è ricavato per migliorare la sicurezza ed il rapporto si è proposto proprio questo fine: i cambiamenti che si possono e si debbono introdurre alla luce di quanto è avvenuto.
A questo punto il rapporto passa alle conclusioni raggiunte ma io preferisco andare invece alle caratteristiche di quell’impianto nucleare ed alla sequenza che ha portato all’incidente. Credo che così si capisca meglio cosa conclude la commissione.
IL REATTORE NUCLEARE TMI-2
Diamo, prima di iniziare, le caratteristiche della centrale TMI-2:
SITUAZIONE GEOGRAFICA
Comune di Dauphin County, Stato di Pennsylvania (USA)
Aeroporto civile a 4 km
Città vicine:
Middletown – 5 km – 9.000 abitanti
Harrisburg – 16 km – 68.000 abitanti
Lancaster – 25 km – 580.000 abitanti.
In un raggio di 5 Km si hanno 9700 abitanti ed 1 milione di abitanti in un raggio di 50 Km.
CARATTERISTICHE GENERALI
Architetto industriale: B et R / Gilbert
Reattore: Babcock et Wilcox (B&W)
Gruppo Turbo-Alternatore: Westinghouse
Potenza termica: 2.772 MW
Potenza elettrica lorda 959 MWe
Potenza elettrica netta 905 MWe, con un rendimento del 32,7%
Raffreddamento atmosferico a tiraggio naturale con due torri
CRONOLOGIA
Ordinativo reattore: 3 febbraio1967
Permesso di costruzione: 4 novembre 1968
Entrata in servizio industriale prevista all’inizio nell’ottobre 1976
Prima criticità: 28 marzo1978
Entrata reale in servizio industriale: 30 dicembre 1978
CARATTERISTICHE DEL REATTORE
Temperatura d’ingresso del nocciolo: 291°C
Temperature d’uscita del nocciolo: 320°C
Pressione: 150 bar
Massa lorda degli elementi di combustibile (UO2): 82 t.
Arricchimento iniziale: 2,57%
Natura della guaina: Zircaloy 4
Tipo di reticolo: 15 x 15.
Generatori di vapore (tipo Babock): 2 (Il sistema era a doppio circuito, con ciascun circuito dotato di due pompe ed un generatore di vapore in linea con una minima riserva d’acqua).
Turbine
velocità di rotazione 1800 giri/minuto
temperatura di vapore ad alta pressione: 296° C
pressione di vapore ad alta pressione: 62 bar
pressione al condensatore : 85 millibar.
Edificio di contenzione: cemento armato ed acciaio.
Ed ora passiamo allo schema che è allegato al medesimo rapporto della commissione.

Figura 1
La prima cosa da notare è l’esistenza dell’edificio di contenimento che non esiste nelle centrali del tipo in uso nell’Europa dell’Est. Si capisce dal nome che tale edificio in cemento armato (in genere è la cupola che si vede nelle centrali nucleari) serve a prevenire la fuoriuscita di materiali radioattivi dal reattore in caso di malfunzionamento. Tutto ciò che è all’interno di tale edificio è la parte nucleare della centrale. A sinistra vi è un edificio ausiliario dedicato principalmente al rifornimento d’acqua del reattore, allo sfogo dei gas ed alla raccolta provvisoria di residui radioattivi mentre a destra vi è l’edificio turbine per la generazione di corrente elettrica ed il sistema che avvia l’acqua che ha già prodotto vapore al raffreddamento delle torri esterne che svettano vicino alle centrali e che mandano fuori non fumi ma vapore d’acqua.

L’edificio di contenzione di TMI-2
Occupiamoci di ciò che c’è dentro l’edificio di contenimento. Al centro dello schema è mostrato il nocciolo, dove avvengono le reazioni nucleari che possono essere regolate dalle barre di controllo. Tali reazioni producono calore che in questo tipo di centrale (PWR) va a scaldare ed a portare ad alta pressione dell’acqua che a sua volta va dentro degli scambiatori di calore (i due cilindri che affiancano il nocciolo) che producono il vapore da inviare alle turbine. Nel disegno schematico semplificato riportato nella figura seguente, dentro l’edificio di contenzione a sinistra vi è il nocciolo ed a destra un solo scambiatore di calore o generatore di vapore. Dentro il nocciolo, in rosso, vi sono le barre di combustibile nucleare (uranio arricchito) e, in nero, le barre di controllo (spesso grafite). In color viola vi è l’acqua ad alte temperatura e pressione che circola in un circuito chiuso. Quando quest’acqua arriva al generatore di vapore cede parte del suo calore e torna, aiutata da una pompa, all’interno del nocciolo. Questa funzione è indispensabile oltre che per fornire energia anche per raffreddare il nocciolo che altrimenti diventerebbe fonte di gravissimi problemi. Il generatore di vapore è invece alimentato da acqua circolante in un circuito separato da primo. Torno per un istante alla prima figura per osservare che oltre a due generatori di vapore, vi è

anche un cilindro bianco tra il generatore di destra ed il nocciolo. Tale cilindro è il pressurizzatore che svolge un ruolo fondamentale: serve a mantenere l’acqua del circuito di raffreddamento del reattore (circuito primario) ad una pressione sempre elevata e tale da non mandarla in ebollizione. Nel pressurizzatore di TMI-2 vi erano circa 23 metri cubi di acqua con circa altrettanti metri cubi di vapore sovrastanti. La pressione del vapore viene regolata scaldando o raffreddando l’acqua del pressurizzatore che, a sua volta, viene utilizzata per regolare la pressione dell’acqua di raffreddamento del reattore.
L’acqua che si trova nel generatore di vapore (circuito secondario), scaldata da quella del primario, diventa vapore ad alta pressione che è inviato per muovere le turbine che vanno a generare energia elettrica. Vediamo cosa accade dopo con la figura seguente (che corrisponde all’edificio di destra della prima figura). Il vapore va alle turbine. La prima è quella che prende il vapore ad alta pressione. Il vapore che fuoriesce da questa turbina ha ancora dell’energia che

viene utilizzata per muovere la seconda turbina. Le turbine muovono degli alternatori che generano la corrente elettrica. Ma questa parte non interessa ora. Il vapore è ancora ad alta temperatura (zone rosse di figura) e deve essere raffreddato prima di essere inviato di nuovo nel generatore di vapore mediante delle pompe. Per raffreddare si usa il sistema chiamato condensatore che serve proprio a riportare il vapore allo stato liquido mediante altra acqua prelevata dall’ambiente esterno (fiume, lago, mare). L’acqua esterna che entra nel condensatore esce a temperatura elevata e necessita di essere raffreddata prima di essere rinviata da dove era stata prelevata ed a questo servono le torri di raffreddamento.
Risulta evidente che la parte critica di un reattore nucleare di questo tipo è il nocciolo ed il circuito primario d’acqua ad esso connesso direttamente con le relative pompe.
Normalmente l’acqua per il reattore della TMI-2 attraversava il sistema chiuso di tubazioni del circuito primario. L’acqua veniva forzata in circolazione nel reattore a mezzo di quattro pompe, ciascuna comandata da un motore elettrico da 9.000 HP. Nel reattore l’acqua preleva calore al passaggio attorno a ciascun elemento di combustibile, per attraversare poi tubazioni in acciaio inox da circa un metro di diametro (36 pollici), chiamate in gergo candy canes (bastoncini di zucchero), e finire nei generatori di vapore.
Nei generatori di vapore ha luogo lo scambio di calore: l’acqua ad altissima temperatura proveniente dal sistema del fluido refrigerante scende lungo i generatori di vapore, attraversando una serie di condotte resistenti alla corrosione. Nel frattempo viene mandata nel generatore di vapore acqua di pressione proveniente da un altro sistema chiuso, il circuito secondario. L’acqua del primario, che ha perduto ormai parte del suo calore, viene ripompata nel reattore per circolare tra gli elementi del combustibile, prelevare altro calore e ricominciare il ciclo.
In condizioni normali di esercizio, né l’acqua che raffredda i condennsatori, né i pennacchi vaporosi che escono dalle torri di raffreddamento, né l’acqua che circola nell’impianto idraulico di alimentazione risultano radioattivi, al contrario, come è ovvio, dell’acqua che circola nel sistema refrigerante, la quale è stata appunto esposta al materiale radioattivo presente nel nocciolo.
Ogni impianto elettronucleare prevede a progetto tutta una serie di accorgimenti per la prevenzione delle avarie. Ciascuno dei suoi principali sistemi è dotato di un sistema automatico di supporto che subentra a quello regolare in caso di guasto. Per esempio, in caso di avaria per perdita di refrigerante (LOCA o Loss of coolant accident), cioè un incidente in cui si registra perdita di fluido di refrigerazione del reattore, il massimo incidente possibile in un reattore nucleare, entra in funzione automaticamente l’impianto d’emergenza di raffreddamento del nocciolo (l’ECCS o Emergency Care Cooling System), utilizzando sempre l’attrezzatura normale della centrale per assicurare la copertura del nocciolo con acqua di raffreddamento.
In caso di LOCA, il tipo d’avaria verificatosi alla TMI-2, un ruolo di primo piano viene assunto da una parte dell’ECCS, cioè dalle pompe a iniezione a pressione (HPI o High Pressure Injection), le quali sono in grado di riversare fino a circa 4000 litri/minuto (mille galloni/minuto) nel nocciolo per compensare la perdita d’acqua di raffreddamento che si sia determinata per l’inceppamento in apertura di una valvola, per la lacerazione di una condotta o per qualsiasi altro tipo di perdita. Resta il fatto che l’ECCS può riuscire efficace soltanto se gli addetti alla centrale lo mantengono in funzionamento al regime previsto a progetto. A Three Mile Island ciò non è accaduto.
L’INCIDENTE
Alle ore 4 e 36 secondi del mattino del 28 marzo 1979, mentre il reattore era al 97% della sua potenza, suonò il primo allarme. Si era arrestata improvvisamente una pompa che portava l’acqua al generatore di vapore (in gergo un arresto improvviso di un sistema meccanico si chiama trip). Ciò comportava la mancanza di scambio di calore con il primario e quindi una brusca elevazione di temperatura del nocciolo del reattore. La mancanza di alimentazione d’acqua al secondario comportava la mancanza di produzione di vapore che a sua volta comportava l’arresto automatico delle turbine e, di conseguenza, dell’alternatore. Siamo alle 4 ore e 38 secondi.
La temperatura dell’acqua del primario che si elevava bruscamente comportò un suo aumento di volume. Conseguenza di ciò fu che il livello dell’acqua nel pressurizzatore salì a scapito di quello del vapore che risultava compresso nella parte superiore del pressurizzatore medesimo e che la pressione lì dentro salì al valore di 2255 psi(2), oltre 100 psi sopra la norma. Questo eccesso di pressione, come previsto dal progetto, fece aprire automaticamente nel pressurizzatore la valvola comandata di sicurezza (PORV o Pilot-Operated Relief Valve, indicata con il n° 10 in Figura 1) per scaricare vapore ed acqua dal circuito primario che sarebbero poi andati nel pozzo di raccolta (n° 17 di Figura 1) e quindi, mediante pompe, nel deposito esterno (n° 6 di Figura 1) all’edificio di contenzione.
Ciò non bastò perché la pressione continuò a salire. Un altro sistema automatico entrò in funzione, lo scram, quello che fa cadere nel nocciolo del reattore le barre di controllo per arrestare la reazione nucleare. Siamo alle 4 ore e 44 secondi.
Qui il rapporto dice qualcosa di contraddittorio.
Era passato sì e no un secondo dallo scram, che il calore generato dalla fissione era sceso praticamente a zero. Ciò non toglie che, come in qualsiasi reattore nucleare, il materiale radioattivo in decadimento, residuo del processo di fissione, continuasse a riscaldare il fluido refrigerante. Questo calore non era che una parte minima (appena il 6 %) di quello prodottosi in fissione, ma era ancora troppo elevato: doveva essere quindi asportato per impedire il surriscaldamento del nocciolo.
La prima frase è inutile perché l’andare avanti comunque delle reazioni nucleari, pur se in forma ridotta, è un fattore ineliminabile. Resta però la conclusione che afferma che anche un 6% di calore residuo prodotto era troppo elevato e che doveva essere asportato per impedire la cosa più temuta in un reattore nucleare, il surriscaldamento del nocciolo. Ma vi è qui qualcosa che non è stato spiegato: la potenza residua del 6% dovrebbe diminuire rapidamente al 4% dopo 30 secondi ed all’1% dopo 2 ore, ma così non è sembrato a TMI-2.
Segue qui una sequenza molto rapida di eventi in stretta connessione tra loro. Quando andarono fuori uso le pompe che normalmente inviano acqua al generatore di vapore, erano entrate automaticamente in funzione tre pompe d’alimentazione d’emergenza. Ma quattordici secondi dopo l’inizio dell’avaria (siamo alle 4 ore e 50 secondi) un addetto alla sala controllo della centrale aveva notato che le pompe d’emergenza erano entrate in funzione. Un altro guasto era però intervenuto. Le due condotte di alimentazione di emergenza erano ostruite ciascuna da una valvola che si era chiusa non si sa bene come e perché e l’acqua non poteva comunque giungere ai generatori di vapore. L’operatore non si era però accorto delle due spie luminose che segnalavano l’ostruzione al passaggio dell’acqua: una spia risultava nascosta da un cartellino giallo di manutenzione, mentre nessuno ha saputo dire come mai fosse sfuggita l’altra spia.
Siamo nella situazione di reattore bloccato con le barre di controllo calate nel nocciolo (scram) e con ancora aperta la valvola PORV. In tale situazione, considerando che nel reattore veniva prodotto ancora calore, si continuava a perdere acqua nel circuito primario. Quanto accaduto, a parte il non vedere le spie rosse accese, era tutta una conseguenza degli automatismi progettati per la centrale. A questo punto però subentrò un ulteriore problema. Quando erano passati 13 secondi dall’inizio dell’incidente (alle 4 ore e 49 secondi), con la

pressione tornata a 2205 psi, si sarebbe dovuta richiudere automaticamente la valvola PORV. Il quadro di controllo indicava che ciò era avvenuto mediante una spia rossa che diceva che era avvenuto il blocco della corrente che aveva fatto aprire tale valvola. Ma la valvola si era bloccata in posizione aperta ed in tale posizione sarebbe rimasta per ben 2 ore e 22 minuti facendo fuoriuscire l’acqua di refrigerazione del nocciolo (in una quantità pari ad oltre 120 mila litri in 100 minuti, oltre un terzo dell’acqua del sistema di refrigerazione) fino al punto da dare inizio alla fusione del nocciolo (LOCA). A questo punto la commissione afferma:
Se la valvola si fosse richiusa secondo le previsioni di progetto o se gli addetti alla sala controllo si fossero resi conto del blocco in apertura della PORV e avessero chiuso una valvola di riserva per arginare il deflusso del prezioso refrigerante, o se anche si fossero limitati a lasciare in funzione le pompe d’iniezione a pressione, l’incidente di Three Mile Island non sarebbe andato al di là di una noiosa seccatura per la Met Ed [ovvero la Metropolitan Edison Company, proprietaria della centrale].
Non c’è dubbio. Sembra evidente che si tratta ora di capire perché sia avvenuto l’errore umano. E qui entriamo in una ricostruzione che va presa per quello che è. E’ inutile fare illazioni meglio leggere dal rapporto come si sono comportati gli operatori:
L’onere di gestire i primi stadi, le fasi cruciali, dell’incidente di Three Mile Island ricadeva sulle spalle di quattro uomini, William Zewe, capoturno sia alla TMI-l sia alla TMI-2, Fred Scheimann, capoturno alla TMI-2, Edward Frederick e Craig Faust, entrambi operatori della sala di controllo.
Ciascuno di loro era stato addestrato alla propria mansione dalla Met Ed e dalla Babcock & Wilcox, la società che aveva fornito il reattore e l’impianto vapore; ciascuno di loro aveva ottenuto il certificato di idoneità dalla Nuclear Regulatory Commission; ciascuno di loro era il prodotto dell’addestramento ricevuto, un addestramento che non li aveva preparati a sufficienza ad affrontare l’incidente di TMI-2. Anzi, fu proprio il tipo di formazione ricevuta da questi uomini a determinare almeno in parte l’escalation di un’avaria di poco conto in un incidente potenzialmente catastrofico.
Frederick e Faust si trovavano in sala controllo quando risuonò il primo allarme, seguito subito da una tempesta di allarmi, almeno un centinaio in pochi minuti. Gli operatori reagirono prontamente, come era stato loro insegnato, per far fronte all’arresto della turbina e allo scram del reattore. Così Faust avrebbe in seguito ricordato, a beneficio dell’inquirente, la propria reazione a quel turbinio di allarmi: «Mi venne voglia di spaccare il quadro luminoso: non ci forniva la minima informazione utile.» Zewe, che stava lavorando in un box di vetro alle spalle degli operatori, allertò la sala comandi della TMI-1 sullo scram alla TMI·2 e richiamò il suo capoturno in centrale.
Scheimann stava sorvegliando la manutenzione del filtro 7 della centrale, uno dei dispositivi destinati ad allontanare dall’impianto d’alimentazione idraulica i minerali in soluzione. La sua squadra si stava servendo di una miscela d’aria e acqua per sciogliere la resina che aveva intasato una condotta. Una successiva indagine avrebbe rivelato che, a causa di una valvola difettosa in uno dei filtri, c’era una perdita d’acqua continua in direzione del sistema pneumatico che comanda la chiusura e l’apertura delle valvole dei filtri: questa potrebbe essere la spiegazione dell’improvvisa chiusura di queste valvole subito prima dell’incidente. Forse era stato proprio questo inconveniente a dare il via al trip delle pompe che sta all’origine dei fatti. Alla TMI-2 il problema delle perdite d’acqua nel sistema di comando delle valvole dei filtri si era verificato in precedenza almeno altre due volte. Se la Met Ed si fosse preoccupata di riparare tempestivamente il guasto, è probabile che la successione dei fatti del 28 marzo non sarebbe neppure cominciata.
Bloccatasi in apertura la PORV e con il calore che veniva asportato dai generatori di vapore, calarono di colpo la temperatura e la pressione dell’impianto del refrigerante, mentre nel recipiente in pressione calava il livello d’acqua. A tredici secondi dall’inizio dell’incidente, gli operatori misero in funzione una pompa per alimentare d’acqua il sistema, in quanto l’acqua già in circolazione andava perdendo volume per raffreddamento, rendendo così necessario il rabbocco. Al quarantottesimo secondo, mentre la pressione continuava a calare, il livello d’acqua nel pressurizzatore riprese a salire: a questo punto, infatti, il sistema stava ricevendo dalle pompe di riserva una quantità d’acqua superiore a quella che andava perduta attraverso la PORV.
A un minuto e quarantacinque secondi dall’inizio dell’incidente i generatori di vapore, essendo bloccate le condotte che li caricavano d’acqua, si prosciugarono totalmente per ebollizione. A questo punto il refrigerante del reattore riprese temperatura, tornando a dilatarsi e contribuendo all’ulteriore innalzamento del livello d’acqua nel pressurizzatore.
Allo scadere del secondo minuto, con il livello del pressurizzatore in continua risalita, si ebbe una precipitosa perdita di carico nel sistema del refrigerante: automaticamente due grosse pompe cominciarono a riversare nel sistema circa 4000 litri d’acqua al minuto. Queste pompe, dette di iniezione a pressione (HPI), fanno parte del sistema d’emergenza di raffreddamento del nocciolo. Il livello dell’acqua nel pressurizzatore continuava a salire e gli operatori, condizionati a mantenere un dato livello nel serbatoio, interpretarono il fatto come segno di un’abbondante riserva d’acqua in circolazione. In realtà si trattava di un calo di pressione dell’acqua refrigerante, mentre la sua temperatura andava assumendo un valore costante.
Circa due minuti e mezzo dopo l’entrata in funzione delle pompe HPI, il Frederick ne escluse una, riducendo nel contempo nell’altra la portata a meno di 400 litri/minuto. La perdita di carico, accompagnata da un andamento costante della temperatura del refrigerante dopo l’entrata in funzione delle pompe HPI, avrebbero dovuto far capire chiaramente agli addetti che la centrale TMI-2 era entrata in avaria LOCA e che ogni buona norma di sicurezza imponeva il mantenimento dell’iniezione a pressione. In seguito, testimoniando davanti alla Commissione d’inchiesta, il Frederick ebbe a dire: «Il rapido aumento di livello nel pressurizzatore all’inizio dell’incidente mi portò a ritenere che fosse eccessiva l’iniezione a pressione e che stavamo rischiando di andare in “sistema compatto”.»
Quando si parla di «sistema compatto», si intende dire che l’intero reattore, con il suo sistema di raffreddamento, pressurizzatore compreso, si riempie totalmente d’acqua. Agli operatori era stato insegnato a evitare a tutti i costi questo fenomeno patologico, a causa del quale sarebbe stato infinitamente più difficile regolare la pressione nell’impianto del refrigerante, con gravi danni per l’intero sistema. Gli operatori si adeguarono appunto a questo discorso, dimenticandosi per oltre quattro ore di una minaccia ben più grave: lo scoprimento del nocciolo a seguito di un’eccessiva perdita di acqua.
Il punto di saturazione fu raggiunto al quinto minuto e mezzo dell’incidente: nell’impianto del refrigerante cominciarono a formarsi bolle di vapore, con conseguente dislocazione dell’acqua refrigerante nello stesso reattore. L’acqua così spostata si trasferì nel pressurizzatore, facendone ulteriormente aumentare il livello, circostanza che convinse sempre più i tecnici che nel sistema la riserva d’acqua fosse più che sufficiente. Non si erano resi conto, insomma, che in effetti, all’interno del reattore, l’acqua era in continua evaporazione: essendo la quantità di fluido allontanata dal sistema superiore a quella in entrata, il nocciolo cominciava a scoprirsi. Gli operatori, invece, cominciarono a scaricare l’acqua di raffreddamento attraverso il cosiddetto sistema 1et-down, cioè di allontanamento del fluido.
All’ottavo minuto ci fu qualcuno (non è stato possibile accertare chi) che si accorse che ai generatori di vapore non arrivava più acqua. L’operatore Faust andò a controllare una per una le spie luminose che, sull’apposito pannello, dicono se le valvole d’alimentazione d’emergenza sono aperte o chiuse. Verificò prima di tutto una serie di valvole destinate ad aprirsi non appena le pompe abbiano raggiunto il pieno regime: erano aperte. Poi andò a guardare una seconda coppia di valvole dell’alimentazione idraulica d’emergenza, le cosiddette «valvole dodici», normalmente aperte tranne il caso di un particolare test che si effettua di tanto in tanto sulle pompe di riserva. Le due «valvole dodici» erano chiuse. Faust ne azionò l’apertura e l’acqua rifluì nei generatori di vapore.
Che le due «valvole dodici» fossero chiuse due giorni prima, il 26 marzo, era cosa nota, giacché a quella data era stato effettuato il test di manutenzione previsto. L’inchiesta della nostra commissione non è però riuscita ad appurare perché mai all’ottavo minuto dell’incidente tali valvole fossero di fatto chiuse. Ecco le spiegazioni più verosimili: finito il collaudo del 26 marzo, non erano state riaperte oppure erano state riaperte, ma i tecnici della sala di controllo le avevano richiuse per errore al primo insorgere dell’avaria, oppure erano state chiuse, sempre per errore, da punti di comando esterni alla sala controllo successivamente al test del 26, ma prima dell’avaria del 28. La perdita dell’acqua d’emergenza per la durata di otto minuti non poteva avere ripercussioni di rilievo sull’esito dell’incidente, ma la cosa importante è che questo inconveniente contribuì non poco alla confusione che tolse agli operatori la serenità necessaria a interpretare correttamente la causa del problema primario.
Per almeno due ore dall’insorgere dell’avaria gli operatori ignorarono o non compresero la portata di diverse circostanze che avrebbero dovuto avvertirli come si fosse in presenza di una PORV bloccata in apertura e di un’avaria per perdita di refrigerante. Un dato era quello delle temperature elevate nella tubazione di scarico che, attraverso la PORV, versava nel serbatoio di smaltimento del refrigerante. Una procedura d’emergenza stabilisce che una temperatura di 200 gradi °F(3) (93 °C) in tubazione denuncia una PORV aperta; un’altra prevede la chiusura della valvola di blocco a valle della PORV non appena si registri una temperatura di 130 gradi °F (54 °C) sulla tubazione di scarico. I tecnici addetti hanno invece dichiarato all’inquirente che già normalmente, a causa di lievi perdite alla PORV o a qualche altra valvola, si registravano temperature di tubazione piuttosto elevate. «Consultando i registri dopo l’incidente» ha dichiarato Zewe alla Commissione d’inchiesta, «ho visto circa 198 gradi (92 °C), però mi ricordo anche di casi precedenti … , un po’ più su di 200 gradi (93 °C).» È per questo che sia Zewe sia la sua nuova squadra trascurarono il significato dei valori di temperatura, valori che, secondo quanto ricorda Zewe, dovevano essere intorno ai 230 gradi °F (110 °C). I dati registrati indicano una punta massima di 285 gradi °F (140 °C). Alla commissione Zewe ha dichiarato di aver interpretato come calore residuo le alte temperature nella condotta di scarico: « … sapendo che la valvola di sicurezza si era sollevata, prevedevo una forte temperatura allo scarico e sapevo che ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che la tubazione tornasse al valore prestabilito di 200 gradi (93 °C).»
Alle ore 4 e 11 minuti del mattino, un avvisatore acustico segnalò acqua alta nel pozzo di raccolta dell’edificio di contenimento, segno evidente di perdita o di avaria nel sistema. L’acqua, mista a vapore, era fuoriuscita dalla PORV rimasta aperta, precipitando prima nel serbatoio di scarico sul pavimento dell’edificio di contenimento e poi colmando il serbatoio stesso e finendo per affluire nel pozzo di raccolta. Alle 4 e 15, all’aumentare della pressione nel serbatoio, saltò un disco a rottura prestabilita presente sul serbatoio di scarico, fatto che accrebbe leggermente la quantità di acqua radioattiva che si versava sul pavimento e nel pozzo di raccolta; di qui una pompa prelevava il fluido per trasferirlo in un apposito serbatoio ubicato nell’adiacente edificio ausiliario (vedi Figura 1).
Cinque minuti dopo, alle ore 4 e 20, gli strumenti che misurano i neutroni all’interno del nocciolo denunciarono un conteggio superiore al normale, altro segno (tuttavia ignorato dagli operatori) che nel nocciolo si andavano formando bolle di vapore che espellevano l’acqua di raffreddamento dal gruppo degli elementi di combustibile. Intanto, a causa del calore e del vapore che sfuggivano attraverso la PORV e il collettore di scarico, la temperatura e la pressione all’interno dell’edificio di contenimento erano salite rapidamente. Allora i tecnici misero in funzione le apparecchiature di raffreddamento e di aerazione all’interno dell’edificio stesso: il fatto che non si fossero resi conto che la situazione in atto fosse dovuta a un’avaria LOCA rivela una gravissima lacuna nel tipo di addestramento tecnico ricevuto.
Più o meno in quei momenti Edward Frederick prese una chiamata dall’edificio ausiliario: qualcuno lo avvertiva che nel collettore di scarico dell’edificio di contenimento, secondo i dati della strumentazione, l’acqua aveva superato i due metri. Frederick interrogò il computer della sala comandi e ricevette la medesima risposta, fatto che l’indusse a consigliare l’esclusione delle due pompe di smaltimento che prelevavano acqua dal pozzo di scarico nell’edificio di contenimento: poiché non sapeva di dove venisse quell’acqua, voleva evitare che acqua di origine ignota, magari radioattiva, abbandonasse l’edificio di contenimento. Entrambe le pompe di smaltimento furono arrestate alle 4 e 39, ma ormai nell’edificio ausiliario si erano già riversati non meno di 30.000 litri di acqua lievemente radioattiva. Erano passati soltanto 39 minuti dall’inizio dell’incidente.
George Kunder, sovraintendente al supporto tecnico della TMI-2, convocato per telefono, si presentò in centrale verso le 4 e 45. Quel giorno era lui il dirigente di servizio e a lui era stato detto che la TMI-2 aveva subito un blocco per arresto della turbina e scram del reattore: arrivato però sul posto, non trovò quel che si aspettava. Avrebbe dichiarato poi alla Commissione “Secondo me ci trovavamo in presenza di una situazione insolita, perché personalmente non avevo mai visto un innalzamento rapido del livello del pressurizzatore e, contemporaneamente, la diminuzione della pressione. C’era sempre stato buon accordo tra i due parametri.» L’opinione di Kunder era condivisa dai tecnici della sala controllo, i quali avrebbero definito in seguito l’episodio come una concomitanza di fatalità di cui mai avevano avuto esperienza, sia nella manovra effettiva della centrale sia in addestramento al simulatore.
Poco dopo le cinque del mattino, le quattro pompe del refrigerante del reattore entrarono in paurosa vibrazione, semplicemente perché, insieme all’acqua, stavano pompando vapore, ulteriore sintomo, se ce ne fosse stato bisogno, del rapido passaggio a vapore per ebollizione dell’acqua del reattore. Gli operatori temevano che lo scuotimento violento potesse danneggiare o le pompe (che mandano l’acqua in circolazione forzata nel nocciolo) o le condotte del refrigerante.
Zewe e i suoi tecnici si attennero alle manovre apprese in addestramento: alle 5 e 14 due delle quattro pompe furono spente. Ventisette minuti dopo gli operatori esclusero le altre due pompe, interrompendo così la circolazione forzata nel nocciolo.
Intorno alle sei del mattino era ormai chiaro che almeno una parte delle incamiciature degli elementi di combustibile si stava lacerando sotto la spinta delle forti pressioni interne, consentendo così il versamento nel fluido refrigerante di almeno una parte dei gas radioattivi che si andavano accumulando all’interno degli elementi. Il primo allarme giunse dai rivelatori di radioattività all’interno dell’edificio di contenimento. Con l’incessante fuoriuscita di refrigerante dalla PORV bloccata in apertura, e a causa della scarsezza d’alimentazione d’acqua, la parte superiore del nocciolo cominciò a scoprirsi, raggiungendo la temperatura alla quale la lega di zirconio del rivestimento degli elementi di combustibile comincia a reagire con il vapore per dare idrogeno. Nella circostanza, parte di quest’idrogeno sfogò nell’edificio di contenimento attraverso la PORV aperta e il serbatoio di scarico e un’altra parte rimase all’interno del reattore. Fu questo idrogeno (e forse altro idrogeno formatosi nel corso di quella giornata) a provocare l’esplosione verificatasi nella struttura di contenimento il pomeriggio di mercoledì e a creare la bolla gassosa che doveva destare tanta preoccupazione alcuni giorni dopo.
Intanto la sala di controllo della TMI-2 si stava affollando di altri dirigenti TMI, tra i quali Richard Dubiel, il fisico responsabile della protezione e della chimica delle radiazioni, Joseph Logan, sovraintendente della TMI-2 e Michael Ross, responsabile delle operazioni per la TMI-1.
Poco dopo le ore sei del mattino George Kunder partecipava a una conferenza in simultanea telefonica con le seguenti persone: John Herbein, direttore della centrale della Met Ed per la generazione di energia elettrica; Gary Miller, dirigente di stazione per la TMI e massimo dirigente Met Ed presso la centrale nucleare; Leland Rogers, rappresentante di cantiere della Babcock and Wilcox presso la TMI. I quattro discussero della situazione alla centrale. Nel corso della sua deposizione Rogers ha ricordato un importante quesito da lui posto nel corso della conferenza telefonica: aveva domandato se la valvola di blocco interposta tra il pressurizzatore e la PORV (una valvola d’emergenza – vedi n° 11 in Figura 1 – che si poteva chiudere in caso di mancata chiusura della PORV) fosse stata appunto chiusa.
Domanda: Quale fu la risposta?
Rogers: L’immediata risposta di George è stata «Non lo so» e siccome aveva qualcuno in appoggio al capoturno in sala controllo, mandò a sentire se la valvola di blocco era stata chiusa.
Domanda: Lei gli sentì impartire queste istruzioni?
Rogers: Sì, e poco dopo sentii la risposta data da un’altra persona a George, che diceva: «Sì, la valvola di blocco è stata chiusa … »
I tecnici avevano chiuso la valvola di blocco alle ore 6 e venti due minuti, due ore e ventidue minuti dopo l’inceppamento della PORV in apertura.
Resta sempre, però, da vedere se fosse Rogers o qualcun altro responsabile della chiusura della valvola. Edward Frederick ha testimoniato che la valvola era stata chiusa dietro suggerimento di un capoturno della successiva guardia entrante, ma lo stesso Frederick ha aggiunto che la valvola venne chiusa perché né lui né i suoi colleghi erano riusciti ad escogitare un altro modo per riportare sotto controllo il reattore.
Comunque sia, la perdita di refrigerante fu arrestata e la pressione cominciò a salire, ma l’avaria perdurava. Adesso, a carte viste, sappiamo che alle 6 e 15 l’acqua del reattore era discesa al di sotto del livello di colmo del nocciolo. Eppure, per motivi inesplicabili, doveva passare quasi un’altra ora prima che si desse il via all’iniezione ad alta pressione per compensare l’acqua sfogata attraverso la PORV e l’impianto di alleggerimento; e a questo punto Kunder, Dubiel e colleghi avrebbero dovuto già capire di trovarsi alle prese con una gravissima emergenza che coinvolgeva l’intera centrale.
Nel corso delle due ore successive all’arresto della turbina spie e avvisatori avevano segnalato la presenza di radiazioni a basso livello all’interno dell’edificio di contenimento comunque deserto. A partire dalle ore 6 i valori di radioattività cominciarono a salire rapidamente. Verso le 6 e 30 un tecnico delle radiazioni, servendosi di un contatore portatile, cominciò a ispezionare l’edificio ausiliario, operazione che richiese circa venti minuti e al termine della quale fu denunciato un rapido aumento di radioattività, anche di un rem/ora(4). Intanto sia i monitor della schermatura sia quelli dell’edificio ausiliario segnalavano radioattività in aumento. Alle 6 e 48 minuti diversi punti della centrale erano già colpiti da forti livelli di radioattività, mentre a questo punto, secondo le prove esaminate, erano allo scoperto non meno di due terzi del settore superiore del nocciolo (rispetto a un’altezza complessiva di circa quattro metri). Analisi e calcoli effettuati dopo l’incidente hanno rivelato l’esistenza sul nocciolo, durante il tempo di massimo scoperto, di temperature che andavano dai 3.500 ai 4.000 gradi °F (dai1900 ai 2100 °C). Alle ore 6 e 54 i tecnici riaprirono una delle pompe del refrigerante del reattore; ma furono costretti a escluderla nuovamente dopo diciannove minuti a causa delle intense vibrazioni. Intanto aumentavano le segnalazioni strumentali della radioattività. Poco prima delle sette del mattino, Kunder e Zewe dichiararono l’emergenza parziale (localizzata), misura prevista dal piano d’emergenza della TMI qualora un qualsiasi evento minacci «la fuga incontrollata di materiale radioattivo verso le immediate vicinanze» della centrale.
Gary Miller, dirigente di stazione di TMI, si portò in sala comandi della TMI-2 qualche minuto dopo le sette, cioè quando in tutta la centrale i livelli di radioattività erano in rapida ascesa. Miller aveva saputo quasi subito dell’arresto improvviso della turbina e dello scram del reattore, ma aveva dovuto sostenere diverse conversazioni telefoniche con il personale di centrale, compresa la conferenza in simultanea delle ore 6. Una volta giunto a Three Mile Island, Miller trovò la centrale già in emergenza parziale. Assunse immediatamente il comando in qualità di direttore dell’emergenza, costituendo una équipe di dirigenti tecnici che lo aiutassero a riportare l’avaria sotto controllo e ad attuare il piano d’emergenza previsto per la TMI-2.’9
Miller incaricò Michael Ross di dirigere l’attività dei tecnici in sala comando; Richard Dubiel assunse la direzione delle attività antiradiazione, compreso il monitoraggio dentro e fuori la centrale. ]oseph Logan fu incaricato di assicurare il rispetto più rigoroso dell’insieme di procedure e di piani in previsione d’emergenza. George Kunder si occupò del supporto tecnico e delle comunicazioni. Daniel Shovlin, sovraintendente ai servizi generali di TMI, si mise alla direzione della manutenzione d’emergenza. Leland Rogers, funzionario della B&W, fu invitato a fornire consulenza tecnica e ad assicurare i collegamenti con la sede della sua società. Miller affidò inoltre a James Seelinger, sovraintendente della TMI-1, l’incarico di dirigere il centro di comando d’emergenza costituito presso la sala controllo, della centrale sorella. In base al piano di emergenza di TMI, infatti, è previsto che la sala controllo dell’unità non coinvolta nell’incidente divenga il posto di comando d’emergenza: il 28 marzo la TMI-1 aveva in corso le operazioni di rifornimento di combustibile, ma era pronta a rientrare in funzione(5).
Il personale, intanto, stava già attuando il piano previsto, dopo aver comunicato alle autorità statali la dichiarazione di emergenza parziale. La Pennsylvania Emergency Management Agency (PEMA) fu invitata ad avvertire il Bureau of Radiation Protection (BRP), facente parte del dicastero per le risorse ambientali dello stato di Pennsylvania. Il Bureau telefonò a sua volta a Kevin Molloy, responsabile dell’Ufficio per la protezione civile della contea di Dauphin, il territorio amministrativo comprendente le municipalità di Harrisburg e di Three Mile Island, mentre venivano avvisate anche le contee confinanti e la polizia di stato.

La vista delle centrali dalla cittadina di Harrisburg
Dal canto suo la Met Ed allertò, presso il Laboratorio nazionale di Brookhaven, l’ufficio per i piani di assistenza antiradiazioni del Dipartimento federale dell’energia. Ci volle invece più tempo per comunicare con King of Prussia, Pennsylvania, sede della Regione I della Commissione per la normativa nucleare (NRC): la prima telefonata fu ricevuta da una segreteria telefonica, attraverso la quale si tentò di raggiungere nei rispettivi domicili il dirigente di servizio della NRC e il vice direttore regionale i quali erano però già in viaggio per recarsi al lavoro.
Quando finalmente la NRC venne a sapere dell’incidente (cioè alle 7 e 45, orario di apertura della sede regionale), Miller aveva già disposto l’escalation dell’emergenza parziale in emergenza generale. Poco dopo le ore 7 e 15 del mattino il personale d’emergenza dovette evacuare l’edificio ausiliario della TMI-2. William Dornsife, ingegnere nucleare del BRP, era in quel momento al telefono con la sala di controllo della centrale nucleare. Attraverso il ricevitore udì gli altoparlanti impartire l’ordine di evacuazione. Durante la deposizione Dornsife ha ricordato: «Mi dissi: “Adesso sì, che ci siamo.»”
Alle ore 7 e 20 un allarme segnalò che il monitor di cupola alla sommità dell’edificio di contenimento indicava 8 rem all’ora di emissioni radioattive. Il monitor è protetto da una schermatura in piombo destinata a ridurre di cento volte la radioattività che raggiunge il monitor stesso: fu così che coloro che si trovavano in sala controllo interpretarono il segnale monitor nel senso che in quel momento la radioattività esistente nell’edificio di contenimento aveva raggiunto gli 800 rem/ora. Quasi contemporaneamente i tecnici si erano finalmente decisi a mettere in azione le pompe di iniezione ad alta pressione, tornando ad alimentare d’acqua il reattore, ma questo intenso afflusso fu mantenuto soltanto per diciotto minuti. Intanto risuonarono in sala controllo altri avvisatori di radiazioni. Ecco perché alle 7 e 24 Gary Miller aveva dichiarato l’emergenza generale. A Three Mile Island l’emergenza generale è per definizione «un incidente che presenta l’eventualità di gravi conseguenze radiologiche a carico dell’incolumità e della sicurezza della popolazione».

Le centrali TMI ed i centri abitati interessati alla sicurezza
A norma del piano d’emergenza di TMI, le autorità dello stato dovettero essere nuovamente avvertite, mentre su tutta l’isola e sulla battigia venivano inviate le squadre di rilevazione della radioattività. La prima squadra, designata Alfa e composta di due tecnici, fu spedita sul versante occidentale dell’isola, in quel momento sottovento. Una squadra di altri due uomini, la squadra Charlie, puntò su Goldsboro, un comune di circa seicento abitanti sulla sponda occidentale del Susquehanna, cioè al di là del fiume rispetto a Three Mile Island. Nel frattempo la squadra inviata nell’edificio ausiliario riferiva aumenti di livello radioattivo e parziale allagamento degli scantinati. Alle ore 7 e 48 la squadra Alfa comunicò che i livelli di radioattività rilevati lungo la riva occidentale dell’isola risultavano inferiori a un millirem l’ora. Qualche minuto dopo un’altra squadra di rilevazione riferì valori analoghi sia al capo settentrionale dell’isola sia lungo la statale 441, che corre parallela alla sponda orientale del Susqueehanna.
A circa quattro ore di distanza dall’inizio dell’avaria l’edificio di contenimento andò automaticamente in isolamento a tenuta. L’isolamento è destinato a impedire la diffusione nell’ambiente esterno di materiale radioattivo eventualmente liberato a seguito di incidente. Quando però si parla di isolamento a tenuta, non si intende l’esclusione totale dell’edificio: tra l’edificio di contenimento e l’edificio ausiliario corrono le tubazioni che trasportano il refrigerante, tubazioni che si chiudono automaticamente all’atto dell’isolamento, ma che possono essere riaperte dagli operatori. Ciò si è verificato appunto alla TMI-2, consentendo il moto di acqua radioattiva nelle condotte anche in regime di isolamento. Per lievi perdite lungo le condotte, parte del materiale radioattivo finì nell’edificio ausiliario e, di qui, nell’atmosfera esterna.
Nel settembre 1975 la NRC aveva istituito il suo Piano di revisione standard che comprendeva anche nuovi criteri di isolamento. Erano previste tre condizioni (aumento di pressione, livelli crescenti di radioattività e attivazione dell’impianto di raffreddamento d’emergenza): al verificarsi contemporaneo di almeno due delle tre condizioni, era previsto l’isolamento dell’edificio di contenimento. La norma non andava però applicata alle centrali elettronucleari che già avessero ottenuto la licenza di costruzione. Nel caso della TMI-2, che pure era in attesa di ricevere l’autorizzazione all’esercizio, valeva ovviamente l’esenzione, poiché i lavori di montaggio erano da tempo ultimati.
Secondo le previsioni a progetto l’isolamento per la TMI-2 doveva scattare soltanto allorquando la pressione all’interno dell’edificio di contenimento avesse raggiunto un certo valore, nominalmente fissato in 4 psi, mentre l’emissione radioattiva di per sé, indipendentemente dall’intensità, non sarebbe stata motivo né di entrata in isolamento né di attivazione del sistema di raffreddamento d’emergenza. Come abbiamo visto, benché fin dai primi momenti dell’avaria forti quantitativi di vapore fossero entrati nell’edificio di contenimento attraverso la PORV bloccata in apertura, gli operatori erano riusciti a mantenere basso il carico, ricorrendo all’impianto di raffreddamento e di aerazione. Comunque anche il mancato isolamento tempestivo non ebbe molta importanza nel corso dell’incidente: anche dopo l’isolamento si verificò sempre una certa fuga di materiale radioattivo verso l’atmosfera a causa delle perdite delle condotte di alleggerimento che continuavano a inviare acqua radioattiva dall’edificio di contenimento a quello ausiliario.
Alle ore 8 e 26 gli addetti tornarono a mettere in funzione le pompe di iniezione a pressione dell’ECCS, conservando una portata relativamente alta. In quel momento il nucleo era ancora scoperto: a quanto risulta dalle testimonianze raccolte, si doveva attendere fino alle 10 e 30 prima che l’intervento delle pompe HPI consentisse il ricoprimento del nocciolo.
Alle 7 e 50 i funzionari della Prima Regione NRC erano riusciti a stabilire il contatto telefonico diretto con la sala comandi della centrale. Dieci minuti dopo la Regione I attivò il proprio Centro antinfortunio di King of Prussia, allacciò una linea telefonica diretta con il centro comando d’emergenza nella sala controllo della TMI -1 e avvertì la sede tecnica della NRC a Bethesda, Maryland. I dirigenti di regione raccolsero quanti più dati fosse possibile ottenere e li trasmisero alla sede della NRC, la quale mise in azione il proprio Centro antinfortunio. La Regione I inviò poi due squadre di ispettori a Three Mile Island: la prima si mosse circa alle nove meno un quarto, la seconda alcuni minuti dopo.
Verso le ore otto Gary Miller aveva perfettamente capito che il reattore della TMI-2 aveva subito un danno agli elementi di combustibile: glielo dicevano i livelli di radioattività. Eppure egli avrebbe dichiarato agli inquirenti: « … non penso che in quel momento fossi intimamente sicuro che il nocciolo fosse rimasto totalmente o parzialmente scoperto.»·
Nella zona circostante la centrale i valori di radioattività rilevati si mantenevano bassi: la squadra di rilevamento Charlie riferiva addirittura mancanza di valori rilevabili in località Goldsboro. Il dato era incoraggiante: verso le 8 e 30 Miller e diversi suoi collaboratori giunsero alla conclusione che il piano d’emergenza veniva attuato a dovere.
Con il notiziario delle ore 8 e 25 la WKBO, un’emittente locale di musica «Top 40», lanciò la notizia-bomba. Il redattore che si interessa alla viabilità, soprannominato Captain Dave, si serve per il suo lavoro di un’autovettura dotata di ricetrasmittente CB. Quel giorno verso le otto intercettò i messaggi di mobilitazione della polizia e dei vigili del fuoco della zona di Middletown e ne riferì alla propria stazione radio. Mike Pintek, redattore dei notiziari WKBO, telefonò a Three Mile Island e chiese di parlare con un dirigente delle pubbliche relazioni. Gli passarono invece la sala controllo e una voce gli disse: «In questo momento non posso dirle niente, abbiamo un problema.» La persona in questione smentì «che vi fossero autopompe dei vigili del fuoco» e consigliò a Pintek di telefonare alla sede della Met Ed a Reading in Pennsylvania.
Pintek seguì il consiglio e alla fine raggiunse Blaine Fabian, responsabile dei servizi di comunicazione della Met Ed. Così Pintek riferì, in un colloquio con il personale tecnico della commissione inquirente, quello che avvenne in quella circostanza:
«Viene Fabian al telefono e mi dice che c’è uno stato d’emergenza generale. E che diavolo sarebbe? Dice che un’emergenza generale è un provvedimento amministrativo che la NRC richiede qualora si verifichino certe circostanze. Quali circostanze? “C’è stato un inconveniente a una pompa d’acqua. La centrale è chiusa. Ci stiamo lavorando. Nessun pericolo all’esterno. Nessun pericolo per la popolazione.” Così andò in onda il servizio alle 8,25. Io ho cercato di minimizzare la notizia per non allarmare gli ascoltatori.»
Alle 9 e sei secondi l’Associated Press passò il suo primo servizio sui fatti, un breve comunicato per telescrivente alle redazioni dei giornali e delle reti radiotelevisive di tutti gli Stati Uniti. Nell’articolo si citava la polizia dello stato di Pennsylvania, secondo cui era stata dichiarata l’emergenza generale, «non esistevano fughe radioattive» e la direzione della Met Ed aveva chiesto un elicottero della polizia di stato «per trasportare una squadra di rilevazione». Il «pezzo» si limitava a sei frasi in quattro paragrafi, ma era sufficiente a destare interesse nei giornalisti per quella che sarebbe stata una delle più grosse «bombe» del 1979.
Molti pubblici funzionari appresero dell’incidente, non dalle autorità dello stato, non dal personale della difesa civile, bensì dagli organi radiotelevisivi e di stampa. Fu il caso, per esempio, di Paul Doutrich, sindaco di Harrisburg, al quale la cosa bruciava ancora sette settimane più tardi, in occasione della deposizione da lui resa in Commissione. Era venuto a sapere del fatto da una telefonata che gli era arrivata verso le 9 e 15 da una stazione radio di Baston. «Mi chiesero che cosa stessimo facendo per l’allarme nucleare» ha ricordato Doutrich. «La mia risposta fu: “Che allarme nucleare?” Mi dissero: “Ma come, a Three Mile Island!”. Io risposi: “Non ne so niente: in quella località abbiamo una centrale nucleare, ma io non so di nessun problema.” Così ho dovuto saperlo da altri, da una radio di Boston.»
Alle nove e un quarto la NRC annunciò i fatti di Three Mile Island alla Casa Bianca. Sette minuti dopo furono accertati livelli minimi di iodio-131, isotopo radioattivo, in un campione d’aria prelevato a Goldsboro. Questo dato in particolare doveva rilevarsi erroneo, poiché una successiva analisi dello stesso campione, eseguita a sensibilità maggiore, non mostrò traccia di iodio-131. Alle 9 e 30 John Herbein, direttore centrale della Met Ed per la produzione di elettricità ricevette dal direttore generale della società, Walter Creitz, l’ordine di recarsi da Filadelfia, a Three Mile Island. Alle dieci e cinque giunse a Three Mile Island il primo contingente di dirigenti regionali della NRC (Prima Regione).
Nei giorni che seguirono sarebbe stata la NRC a determinare l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti del caso di Three Mile Island, ma quel primo giorno l’équipe della NRC era composta di soli cinque ispettori della Regione I guidati da Charles Gallina. La situazione della centrale TMI-2 venne loro riepilogata brevemente in sala comandi TMI-1, dopo di che Gallina distaccò due ispettori alla sala comandi TMI-2, inviandone altri due a compiere ri1evazioni di radioattività all’esterno, mentre lui restava nella sala comandi della TMI-1 per coordinare le notizie e trasmetterle via via sia alla sede regionale sia a quella centrale della NRC.
Mentre l’équipe della NRC veniva relazionata sui fatti, i monitor avevano preso a segnalare che i livelli di radioattività in sala controllo della TMI-2 superavano i livelli considerati accettabili dalle norme NRC. Gli addetti dovettero indossare maschere dotate di filtri di protezione contro le particelle radioattive in sospensione aerea, circostanza che rese ancor più difficili le comunicazioni tra coloro che gestivano l’incidente.
Alle undici precise tutto il personale non indispensabile ricevette l’ordine di abbandonare l’isola. Alla medesima ora sia il BRP della Pennsylvania, sia la NRC chiesero al Dipartimento dell’energia di inviare una squadra del laboratorio nazionale di Brookhaven per coadiuvare gli sforzi di rilevazione della radioattività nell’ambiente esterno.
Sempre intorno a quell’ora il sindaco di Middletown, Robert Reid, nel corso di una telefonata da lui fatta alla sede di Reading della Met Ed, ricevette l’assicurazione, riferita poi in sede d’inchiesta, che non vi erano fughe di materiale radioattivo e che nessuno aveva ricevuto lesioni di sorta.
«Mi sentii rilassato e tranquillo e mi dissi: “Non c’è problema”. Venti secondi dopo uscivo dall’ufficio, salivo in macchina e accendevo la radio. Per radio seppi dalla voce dell’annunciatore che si era verificata un’emissione di particelle radioattive. Allora mi dissi: “Ma insomma, che cosa sta succedendo?” Alle ore sedici di quello stesso giorno lo stesso portavoce della Met Ed mi telefonò a casa per dirmi:
“Sindaco Reid, mi consenta di aggiornare la conversazione che abbiamo ‘avuta stamattina alle undici.” Gli dissi: “Non mi dirà mica che c’è stata una fuga di particelle [radioattive]?” “Sì.” E io: “L’ho saputo venti secondi dopo aver parlato con lei al telefono.»
Per gran parte della mattinata il vice governatore della Pennsylvania, William Scranton III concentrò tutta la propria attenzione sul caso di Three Mile Island: tra le altre sue incombenze c’è anche la disciplina delle funzioni di difesa civile dello stato. Per quella mattina aveva in agenda una conferenza stampa sulla conservazione dell’energia, ma quando si trovò a Harrisburg davanti ai giornalisti, l’argomento della conferenza era diventato l’incidente alla TMI-2. Nel breve comunicato d’apertura egli si espresse così:
«La Metropolitan Edison ci ha informati di un incidente all’Unità 2 di Three Mile Island. La situazione è sotto controllo. Non c’è e non c’è mai stato pericolo alcuno per l’incolumità pubblica … Si è avuta una trascurabile emissione di radiazioni nell’ambiente. Tutte le apparecchiature di sicurezza hanno funzionato a dovere. La Metropolitan Edison sta costantemente analizzando l’atmosfera in prossimità della centrale fin dai primi segni d’avaria. Non risulta alcun aumento dei normali livelli di radioattività … »
Durante lo scambio di domande e risposte con i giornalisti William Dornsife del BRP statale, il quale era presente su invito di Scranton, ebbe invece a dichiarare che il personale della Met Ed aveva «individuato una lieve quantità di iodio radioattivo … » Dornsife aveva saputo del valore di iodio (che poi doveva rivelarsi errato) pochi attimi prima della conferenza stampa e non aveva quindi avuto il tempo di avvertire Scranton. Dornsife escluse qualsiasi minaccia sanitaria in relazione con la fuoriuscita di iodio radioattivo di cui si aveva avuta notizia da Goldsboro.
La conferenza stampa era finita da poco quando un giornalista comunicò a Scranton che da Reading la Met Ed aveva smentito qualsiasi irraggiamento all’esterno della centrale. Infatti, mentre alcuni dirigenti della società ammettevano rilevazioni di radioattività a distanza dall’isola, i funzionari delle pubbliche relazioni a basso livello presso la sede della Met Ed continuarono fino a mezzogiorno a smentire qualsiasi fuga esterna di materiale radioattivo: era un vizio di comunicazione all’interno della Met Ed, uno dei tanti errori che avrebbero compromesso la credibilità dell’ente di gestione nei confronti delle autorità e della stampa. Nella sua deposizione davanti alla Commissione d’inchiesta Scranton ebbe a dire: «Era la prima notizia contraddittoria che ricevevamo e che sollevava le prime perplessità. »’
Intanto a Three Mile Island la sala controllo era affollata di tecnici e dirigenti che cercavano di ridurre sotto controllo la centrale nucleare, non essendo riusciti a ristabilire il raffreddamento a circolazione naturale. Ciò significa in pratica che non erano riusciti ad avviare un flusso d’acqua senza alcun ausilio meccanico, cioè riscaldandola nel nocciolo e raffreddandola negli scambiatori di calore. Il tentativo era fallito perché, già essendo scarsa l’acqua nell’impianto del refrigerante, al colmo del reattore si era andata formando una bolla gassosa che ostacolava la circolazione dell’acqua stessa. Alle 11 e 38 i tecnici cominciarono a deprimere il carico nel sistema, aprendo la valvola di blocco del pressurizzatore e arrestando bruscamente l’iniezione ad alta pressione, determinando però in tal modo una nuova perdita di refrigerante e l’ulteriore scoprimento del nocciolo. Il tentativo di alleggerimento della pressione si concluse alle 15 e otto minuti. Resterebbero ancora da accertare sia l’entità sia la durata dello scoprimento del nocciolo.
Verso mezzogiorno tre addetti, portatisi nell’edificio ausiliario, accertarono livelli di radioattività in un intervallo da 50 millirem a 1.000 rem (un milione di millirem) all’ora.
Durante la breve sosta nell’edificio ausiliario ciascuno dei tre ricevette una dose di 800 millirem. Alle 12 e 45 la polizia dello stato di Pennsylvania, su richiesta del Bureau of Radiation Protection statale, chiuse al traffico la statale 441 in località Three Mile Island.

La statale 441 presso TMI
Un’ora più tardi la squadra del Dipartimento federale dell’energia iniziò il primo giro in elicottero per accertare i livelli della radioattività atmosferica. Alle ore 13 e cinquanta minuti echeggiò nella sala dei comandi della TMI-2 uno strano rumore, «un tonfo», come ebbe a definirlo in seguito Gary Miller.
Il «tonfo» era l’eco di un’esplosione di idrogeno all’interno dell’edificio di contenimento, chiaramente udibile in sala controllo, dove la pressione di 28 psi restò registrata su un tabulato meccanografico che Michael Ross della Met Ed si affrettò ad

La registrazione del tabulato meccanografico delle pressioni

La registrazione del tabulato meccanografico delle pressioni. Si può osservare l’impennata della pressione al pressurizzatore.
esaminare entro uno o due minuti. Eppure né Ross né altri si resero conto della portata del fatto: soltanto nella serata di martedì si riuscì a capire che quell’aumento brusco e brevissimo di pressione corrispondeva alla deflagrazione di gas idrogeno fuoriuscito dal reattore. Sul momento, come dichiarò in sede d’inchiesta Leland Rogers della B&W, il rumore fu spiegato come lo sbattimento di una saracinesca dell’impianto di aerazione; quanto alla punta improvvisa comparsa sul grafico computerizzato, Ross ha dichiarato alla Commissione: «Diciamo che ne prendiamo atto … , ma solo come banale disfunzione struumenta1e … »
Miller, Herbein e Kunder partirono per Harrisburg subito dopo per un incontro previsto per le 14 e 30 con il vice governatore Scranton, al quale dovevano riferire sulla situazione di Three Mile Island. Alle 14 e 27 i valori di radioattività di Middletown oscillavano tra 1 e 2 millirem l’ora.
La diffusione delle notizie all’esterno della zona di Harrisburg per il tramite degli organi d’informazione prese l’avvio nel pomeriggio: i comunicati via filo dell’Associated Press e dell’United Press International avevano messo in allarme le redazioni locali e interstatali. Più tardi, con il crescere dell’apprensione per i fatti di Three Mile Island, sarebbe giunta l’onda di piena degli inviati di quotidiani e settimanali, di corrispondenti radio e televisivi, di fotografi e di cinegiornali, ma alle 16 e 30, ora del secondo incontro stampa di Scranton, il vice governatore intravide già, tra il solito gruppetto di inviati presso il campidoglio della Pennsylvania, alcuni visi nuovi.

Una troupe televisiva davanti a TMI
Scranton aveva già discusso con i suoi collaboratori della situazione di TMI, avendo anche ascoltato i dirigenti della Met Ed: «Non direi che [quelli della Met Ed] fossero molto solleciti, ma non erano neppure reticenti,» ebbe a dire poi in sede d’inchiesta. «Penso che fossero sulla difensiva.» A Scranton dette fastidio, tra le altre cose, quello che aveva detto Herbein, durante la riunione delle 14 e 30, per giustificarsi di non aver detto nulla in una precedente conferenza stampa della Met Ed a proposito delle emissioni radioattive: «Nessuno ne ha parlato.» Ecco perché Scranton cominciava a essere perplesso sulla situazione quando rilasciava nel pomeriggio il seguente comunicato alla stampa:
«La situazione è più complessa di quanto in un primo tempo non ci avesse indotto a credere l’ente di gestione. Stiamo effettuando altri esami. E per ora riteniamo che non vi sia pericolo per l’incolumità pubblica. La Metropolitan Edison ha fornito a voi e a noi notizie contraddittorie. Usciamo proprio ora da un incontro con i dirigenti dell’azienda e speriamo che il presente comunicato chiarisca almeno in parte le vostre perplessità. C’è stata emissione di radioattività nell’ambiente esterno: la sua entità è ancora da accertare, ma per ora nulla prova che si sia verificata a livelli pericolosi. La società di gestione ci ha informati che dalle ore undici di questa mattina fino a circa le ore 13 e 30 la centrale ha scaricato nell’atmosfera vapore d’acqua contenente quantità misurabili di materiale radioattivo … » Poco opportunamente la dichiarazione di Scranton attirava la pubblica attenzione sulle emissioni di vapore quali fonti di radiazioni: ciò non era affatto vero, in quanto l’acqua in circolazione nelle torri, trovandosi in circuito chiuso, non potrebbe mai mescolarsi, a meno di una falla nell’impianto, con quella contenente materia radioattiva.

William Scranton
Scranton passò poi a commentare i possibili effetti nocivi delle radiazioni:
«I livelli accertati sono risultati molto al di sotto di quelli esistenti o già previsti per eventuali interventi di emergenza, ma siamo preoccupati perché un qualsiasi aumento di esposizione comporta ovviamente maggiori rischi sanitari. Nel corso delle analisi che si vanno compiendo sui campioni atmosferici, si sta valutando anche con estrema precisione l’eventuale impatto sulla salute della popolazione. Ci preoccupa soprattutto lo iodio radioattivo, che attraverso la respirazione o l’assunzione di latte rischia di accumularsi nella tiroide. Per fortuna il rischio non è da ritenersi grave, in quanto, in questa stagione, la maggior parte del bestiame da latte riceve come alimento il foraggio conservato, con quello fresco».
Molti americani vennero a conoscenza dell’incidente di Three Mile Island attraverso i notiziari serali delle reti televisive. Erano a milioni, per esempio, a guardare Walter Cronkite quando questi diede inizio al telegiornale CBS della sera con queste parole:
«È stato il primo passo verso un incubo nucleare: per quanto ne sappiamo per ora non c’è nulla di peggio. Resta il fatto che un portavoce governativo ha dichiarato che l’avaria capitata oggi in una centrale elettronucleare della Pennsylvania potrebbe essere la più grave sciagura nucleare che si sia registrata finora … »
Alle 19 e 30 Ken Myers, sindaco di Goldsboro, riunì il consiglio comunale, ponendo all’ordine del giorno l’incidente e il piano di evacuazione municipale. Avanzò quindi la proposta di recarsi personalmente, invitando gli altri consiglieri a imitarlo, di porta in porta a parlare con gli abitanti del piccolo comune.
«Tutti ascoltarono ciò che avevamo da dire. Sostanzialmente dicemmo quel che avevamo sentito alla radio, in tv e persino tramite il nostro ufficio pubbliche relazioni e comunicazioni che ha sede al piano interrato del tribunale della contea di York. .. Abbiamo parlato anche dei nostri piani di evacuazione nell’eventualità che fossimo costretti a sgomberare quando il governatore avesse dichiarato lo stato di emergenza. Naturalmente fummo subissati da domande: “E allora, che si fa? Crede che sia bene restare o che sia meglio andarsene?” A quelli con i quali avevo parlato personalmente dissi: “Ragionateci su per conto vostro. Noi non osiamo imporvi di lasciare le vostre case.”»
GIOVEDI’ 29 MARZO
Il giorno successivo sembra tutto calmo. Vi era ancora un livello elevato di radioattività all’interno dell’edificio di contenimento ma i dati esterni sembravano tranquillizzanti. A metà mattinata si avevano da 5 a 10 millirem/ora nella centrale e da 1 a 3 millirem /ora al di là del fiume in direzione ovest. In atmosfera non sembrava vi fosse il temuto iodio radioattivo. Per controllare la contaminazione su prodotti agricoli, acqua e latte si mise al lavoro la Food and Drug Administration.
Durante la giornata vi furono innumerevoli incontri ed ispezioni. Nella centrale TMI-2 si entrava con la precauzione di tuta antiradiazioni e maschera per la respirazione. Arrivarono in visita parlamentari vari, sia repubblicani che democratici. Si discuteva animatamente in varie commissioni di studio. Nel pomeriggio si ebbe una conversazione telefonica tra Gordon MacLeod, segretario alla sanità della Pennsylvania e Anthony Robbins, direttore dell’Istituto nazionale di medicina del lavoro e di prevenzione degli infortuni. Tale conversazione lascia in sospeso un dubbio:. MacLeod afferma di ricordare che Robbins lo sollecitò a raccomandare lo sgombero della popolazione residente intorno alla centrale ma Robbins smentisce. Della cosa MacLeod parlò con varie autorità che, tutte, si opposero allo sgombero. MacLeod chiese che almeno le donne ed i bambini …. Pure questa ipotesi fu bocciata.
Un episodio che avrebbe dovuto preoccupare accadde alle 14 e 10. Un elicottero che sorvolava la centrale rivelò, a 5 metri sulla verticale del camino di sfogo della centrale (n° 1 di Figura 1) un salto di radioattività misurato di 3000 millirem/ora. La cosa fu comunicata alla NRC che però non diede importanza al fatto. Altro picco di radioattività misurato vicino alla centrale preoccupò, anche se sotto i limiti imposti dalla NRC. Già dal giorno prima non si scaricava più nessun tipo di acqua proveniente dalla centrale nel fiume. Ma molta acqua leggermente radioattiva si era accumulata nella centrale, oltre 1 milione e mezzo di litri, ed i serbatoi di raccolta erano pieni. Fu quindi chiesto di scaricare la parte eccedente nel fiume e la NRC (nelle persone di due suoi dirigenti, Charles Gallina e George Smith) non pose obiezioni se non si superavano i limiti regolamentari. Senza informare i centri abitati del luogo e la stampa, la Met Ed iniziò a scaricare liquidi radioattivi nel fiume.
Quando il Presidente della NRC, Hendrie, fu informato della cosa ordinò l’immediata sospensione degli scarichi per evitare di allarmare le popolazioni qualora si fosse saputo. Verso le ore 18, quando si sospese lo scarico già erano stati scaricati circa 150 mila litri di acque radioattive. Poco dopo la mezzanotte si continuarono a scaricare acque, nonostante che nel tardo pomeriggio vi fosse stata una conferenza stampa di Gallina che annunciava il cessato pericolo per le popolazioni residenti vicino alla centrale. Alle 18 e 30 Gallina e l’ispettore tecnico della NBC, Higgins, ricevettero i risultati delle analisi dell’acqua del refrigerante il reattore: da tali analisi risultava che il danno al nocciolo era molto più grande di quanto immaginassero. Alle 22 Higgins comunica questi dati al governatore preannunciando possibili emissioni radioattive. Intanto nella centrale tutto retava immutato a parte la consapevolezza di maggiore gravità dell’incidente di quanto fino ad allora previsto.
VENERDI’ 30 MARZO
Le emissioni di radioattività improvvise e sporadiche del giorno prima avevano fatto mettere sotto indagine l’intero sistema dei tubi. L’attenzione si concentrò sul serbatoio esterno detto di compensazione o reintegro (n° 3 di Figura 1) che è collegato ad un sistema detto di allontanamento o spillamento (n° 12 di Figura 1) mediante tubature che attraversano l’edificio di contenzione ed alla fine immettono al camino di sfogo, dal quale l’elicottero aveva misurato un picco di radioattività. Inoltre il livello del serbatoio di compensazione preoccupava molto insieme ai due serbatoi di decadimento dei gas residui (ne è mostrato solo uno in n° 2 di Figura 1). L’acqua radioattiva proveniente dal sistema di alleggerimento che è nell’edificio di contenzione va nel serbatoio di compensazione dove vi è una minore pressione rispetto a quella dell’acqua di raffreddamento ad alta pressione. In tale situazione di minor pressione l’acqua libera i gas che vi sono disciolti (dice il rapporto: come quando, aprendo una bottiglietta di bibita gassata, compaiono in superficie delle bollicine) che vanno, compressi, nei serbatoi di decadimento dei gas residui. La preoccupazione crescente era che si fossero riempiti tali serbatoi e che potessero aprirsi le valvole di sfiato emettendo nell’ambiente esterno una quantità inarrestabile di radiazioni. La preoccupazione divenne angosciosa e fu causa di molta confusione, di molte raccomandazioni poi negate di evacuazione e di molti ordini e contrordini per tutta la mattina. Un’osservazione va qui fatta sulla cattiva progettazione della centrale: è inutile prevedere l’edificio di contenzione e tre barriere alla radioattività se poi si permette ad acque connesse con il primario di fuoriuscire dalle parti protette della centrale. Tornando agli eventi, ad un certo punto arrivò l’ordine di evacuazione del governatore Richard Thornburgh. Ma seguiamo gli avvenimenti dal rapporto a partire dalla mattina del venerdì.
Verso la metà del suo turno da mezzanotte alle dodici di venerdì, James Floyd, responsabile operativo della TMI-2, decise di trasferire i gas radioattivi dal serbatoio di compensazione a uno dei serbatoi di decadimento dei gas residui: sapeva che ciò avrebbe liberato materiale radioattivo a causa delle falle nel sistema, ma riteneva indispensabile l’intervento. Nel serbatoio di compensazione la pressione era talmente alta che l’acqua normalmente idonea ad affluirvi per essere poi trasferita nel sistema del refrigerante non riusciva a entrarvi. Floyd, senza consultarsi con altri dirigenti della TMI e della Met Ed, ordinò che il trasferimento avesse inizio alle ore 7 e 10 per alleggerire la pressione nel serbatoio in pericolo. Si trattava di un’emissione controllata, che scaricava materiale radioattivo nell’edificio ausiliario e successivamente nell’atmosfera. Trentaquattro minuti dopo Floyd chiese l’invio di un elicottero perché fossero effettuate misure della radioattività atmosferica. Il mezzo registrò valori di 1.000 millirem l’ora alle 7 e 56 e 1.200 millirem l’ora alle 8 e 01, a quota 39 metri sulla verticale del camino della centrale TMI-2.
Presso la sede della NRC, Lake Barrett, un caposervizio dell’ufficio di valutazione ambientale, si preoccupava del livello del serbatoio di decadimento dei gas residui. La sera prima aveva collaborato al calcolo di «una velocità ipotetica di emissione» delle radiazioni che si sarebbero liberate in caso di apertura delle valvole di sfiato del serbatoio. Poco dopo le nove del mattino Barrett venne a sapere, da un rapporto giunto da Three Mile Island, del riempimento totale del recipiente in questione. Ricevette l’invito a riferire sul significato della cosa ai propri superiori riuniti in conferenza. Si trattava di Lee Gossick, responsabile esecutivo delle operazioni, di John Davis, a quel tempo facente funzioni di direttore dell’ufficio ispezioni e disciplina, di Harold Denton, direttore della normativa sui reattori nucleari, di Victor Stello Jr., allora capo dell’Ufficio reattori in esercizio, e di Harold Collins, vice direttore per le misure d’emergenza presso l’ufficio programmazione dello stato. Nel corso della relazione di aggiornamento, fu chiesto a Barrett di spiegare il significato del tasso di emissione rilevato in termini di dose fuori-impianto. Da un rapido calcolo Barrett ricavò una cifra: 1.200 millirem/ora a livello del suolo. Quasi contemporaneamente qualcuno dei presenti annunciava che a Three Mile Island si era registrato proprio un valore di 1.200 millirem/ ora. Per pura coincidenza il valore comunicato dalla centrale era identico al dato calcolato da Barrett: «Si trattava esattamente dello stesso numero, ed erano passati sì e no dieci o quindici secondi dalla mia prima previsione di 1.200 millirem», avrebbe dichiarato Barrett agli inquirenti.
Ovvio l’immediato allarme tra i funzionari della NRC: «un’atmosfera di grande apprensione», come l’ebbe a definire Collins nel corso della sua deposizione. Le comunicazioni tra la sede della NRC e Three Mile Island erano state meno che soddisfacenti fin dal principio. Collins in seguito testimoniò: «A mio avviso il centro operativo era quanto mai incerto sugli eventi: molti erano perplessi sulla capacità della gente della centrale di fare le cose giuste al momento giusto qualora se ne fosse presentata la necesssità». Gli alti funzionari della NRC, infatti, andarono avanti per la loro strada, senza attendere conferma del valore comunicato e senza sapere se i 1.200 millirem/ora fossero stati registrati in centrale o fuori, a livello del suolo o da un elicottero in volo, a quale quota e in che modo: avrebbero appreso in seguito che la fuoriuscita di materiale radioattivo non proveniva dai serbatoi di decadimento e che l’informazione sul riempimento totale dei serbatoi stessi era semplicemente errata.
Dopo una breve discussione, Harold Denton incaricò Collins di annunciare alle autorità della Pennsylvania che i massimi dirigenti della NRC raccomandavano al governatore di ordinare l’evacuazione. Collins telefonò dunque a Oran Henderson, direttore della PEMA e (evidentemente scegliendo una distanza che stava bene a lui) raccomandò che fosse evacuata la popolazione residente fino a dieci miglia sottovento da Three Mile Island. Henderson telefonò a sua volta al vice governatore Scranton, il quale promise di avvertire il governatore. Intanto un collaboratore di Henderson annunciava il parere di evacuazione a Thomas Gerusky, direttore dell’Ufficio antiradioattività, il quale aveva già saputo della rilevazione dei 1.200 millirem/ora. Gli bastò però una telefonata a un funzionario NRC presente sul posto a confermargli il dubbio che l’evacuazione non fosse necessaria. Tentò allora di mettersi in contatto con il governatore e, trovata occupata la linea telefonica, si recò personalmente al palazzo del governatore per opporsi all’idea dell’evacuazione.
Kevin Molloy, responsabile dell’apprestamento delle misure d’emergenza per la contea di Dauphin, aveva intanto saputo della fuga radioattiva da una telefonata giuntagli alle ore 8 e 34 da James Floyd della Met Ed. Venti minuti dopo la Pennsylvania Emergency Management Agency annunciava a Molloy un’emergenza parziale e un aumento di radioattività, ma escludeva la necessità dell’evacuazione. Poi, alle 9 e 25, fu la volta di Henderson, il quale comunicò a Molloy di aspettarsi entro cinque minuti l’ordine ufficiale di evacuazione, mentre telefonate del medesimo tenore mettevano in allarme gli uffici della difesa civile delle contee di York e di Lancaster. Molloy mise quindi mano ai preparativi, avvertendo tutti i comandi dei vigili del fuoco in un raggio di dieci miglia dalla centrale disastrata e preannunciando alla radio sulla rete WHP l’eventualità di un ordine di evacuazione.
L’annuncio radio di Molloy era stato appena diffuso, quando, a Three Mile Island, Charles Gallina della NRC venne affrontato da un dipendente della Met Ed visibilmente infuriato. «Per quanto posso ricordare,» avrebbe detto Gallina alla Commissione d’inchiesta, «quel signore urlò: “Ma che diavolo credete di fare? Mia moglie ha appena sentito che la NRC raccomanda l’evacuazione”.» Lo stesso Gallina verificò i valori di radioattività dentro e fuori la centrale e, parlando con un ispettore di reattore della NRC, si sentì dire che «le cose andavano meglio». Si precipitò quindi al telefono e chiamò i dirigenti regionali della NRC nella sede di Bethesda nel tentativo di «revocare l’ordinanza di evacuazione».
Erano passate da poco le dieci quando il governatore Thornburgh ebbe una conversazione telefonica con Joseph Hendrie. Il presidente della NRC assicurò il governatore che non c’era alcun bisogno dell’evacuazione. Aveva però un suggerimento da fare e cioè che Thornburgh invitasse perentoriamente tutti i residenti entro dieci miglia dalla centrale di restarsene al chiuso per la prossima mezz’ora. Il governatore, aderendo al consiglio, emanò quella mattina stessa l’ordinanza che invitava tutte le persone che si trovassero a meno di dieci miglia dalla centrale nucleare a rimanere al coperto. Nel corso della telefonata Thornburgh aveva chiesto a Hendrie l’invio a Three Mile Island di un unico specialista sul quale il governatore potesse contare per ricevere informazioni e opinioni tecniche.
Circa un’ora dopo Thornburgh ricevette una chiamata telefonica dal presidente Carter, il quale aveva appena finito di parlare con Hendrie, il quale gli aveva comunicato il desiderio del governatore di avere accanto a sé uno specialista. Carter, dopo aver comunicato il nome dell’esperto, Harold Denton, promise anche l’installazione di una rete di comunicazioni apposita per tenere tra loro in contatto Three Mile Island, l’ufficio del governatore, la Casa Bianca e la NRC.
Thornburgh convocò una riunione dei suoi più vicini collaboratori per discutere della situazione di Three Mile Island. Nel corso della riunione, verso le 11 e 40, Hendrie telefonò ancora al governatore. Secondo la ricostruzione di Gerusky, il presidente della NRC, di cui si udiva la voce attraverso l’apposito amplificatore telefonico utilizzato dal governatore, fece le sue scuse per l’errore compiuto dallo staff della NRC nel raccomandare l’evacuazione. Subito prima di quella chiamata, Emmett Welch, assistente di Gordon MacLeod, aveva rinnovato l’invito del segretario alla Sanità all’evacuazione delle gestanti e dei bambini al di sotto dei due anni. Thornburgh ne parlò con Hendrie il quale, secondo la testimonianza di Gerusky, avrebbe risposto: «Se mia moglie fosse incinta e avessi figli piccoli nella zona, mi preoccuperei di farli allontanare, giacché non sappiamo che cosa potrebbe capitare.» Al termine della telefonata Thornburgh prese la decisione di raccomandare che le gestanti e i bambini in età prescolare abbandonassero le località entro un raggio di cinque miglia dalla zona di Three Mile Island e che fossero chiusi gli istituti scolastici entro il medesimo raggio. L’ordinanza fu emanata poco dopo le 12 e 30.
Nel corso dell’intera vicenda Thornburgh tenne sempre presente, e la cosa gli pesava, l’eventuale necessità di un’evacuazione totale. Così doveva in seguito ricordare le proprie preoccupazioni nel corso della testimonianza resa alla Commissione:
«Mi dicono che in ogni evacuazione esistono rischi noti. Lo spostamento di persone anziane, di ricoverati in sale di rianimazione, di neonati in incubatrice, e anche i grossi problemi di viabilità derivanti da un’evacuazione sia pure tranquilla e ordinata, non mancano di esigere un prezzo elevato in morti e feriti. E poi mai prima di allora si era avuta un’evacuazione di questo genere su tutta la faccia della terra, un’evacuazione radicalmente diversa, per tipo e qualità, da quella a cui si ricorre in occasione di inondazioni o di tifoni … Quando si tratta di far sgomberare la popolazione residente entro cinque miglia dalla sede di un reattore nucleare, bisogna tener conto, come ci siamo sentiti ripetere per l’occasione, di conseguenze su distanze di dieci, venti, cento miglia. In altre parole si tratta di una calamità che la gente non avverte alla vista, all’udito, al tatto, all’odorato … ».
Nel giro di pochissimi giorni i rapporti tra giornalisti e dirigenti della Met Ed avevano preso una pessima piega: parecchi inviati sospettavano l’azienda di fornire, nella migliore delle ipotesi, informazioni errate, se non addirittura di mentire spudoratamente. La situazione precipitò allorché, alle undici del mattino di venerdì, giunse sul posto John Herbein per incontrarsi con i giornalisti nella sede dell’ American Legion di Middletown: i rappresentanti della stampa sapevano già quel che Herbein ignorava, cioè che la radioattività emessa fino a quel momento si aggirava sui 1.200 millirem all’ora. Il funzionario, nei commenti introduttivi, dichiarò che ad opera di un aeromobile in perlustrazione nel cielo dell’isola erano stati registrati valori tra i 300 e i 350 millirem/ora. Lo scambio di battute che ne seguì s’incentrò interamente sulla faccenda dei valori di radioattività («Mai sentito parlare dei 1.200,» protestò Herbein davanti ai giornalisti), se le emissioni erano controllate o non controllate, se e come era stata riversata nel fiume acqua di scarico radioattiva. A un certo punto Herbein esclamò: «Non capisco perché dovremmo … dirvi per filo e per segno tutto quello che facciamo … ».
Fu sostanzialmente questa osservazione a dissipare definitivamente quel poco di credibilità che Herbein e la Met Ed potevano ancora avere
presso la stampa.
Il giorno successivo un alto funzionario della Casa Bianca, Jack Watson, avrebbe telefonato a Herman Dieckamp, massimo dirigente della capofila del gruppo al quale appartiene la Met Ed, per esprimergli la preoccupazione che tutta la serie di dichiarazioni contraddittorie riportate dagli organi d’informazione potesse accrescere l’allarme nella popolazione. Watson avrebbe poi consigliato a Dieckamp, che acconsentì, che sugli aspetti tecnici del disastro fosse il solo Denton a comunicare con gli inviati.
La fuoriuscita di radiazioni, l’annuncio di Molloy di una probabile evacuazione e, infine, l’ordinanza del governatore diffusero tra i cittadini costernazione e persino terrore. Molti erano già partiti, provvedendo senza chiasso a un’evacuazione in proprio, altri si misero in movimento adesso. Così ha testimoniato V. T. Smith davanti agli inquirenti: «Il 29 marzo di quest’anno mia moglie ed io ci portammo a casa tutti contenti dalla clinica la nostra seconda figlia: aveva appena sei giorni. La mattina del 30 scoppiò l’inferno e noi partimmo per il Delaware per andare a stare da certi parenti.» Secondo una stima di un consigliere municipale di Goldsboro, da quella località si era già allontanato il 90% della popolazione.
In seguito all’ordinanza del governatore, le scuole furono chiuse. Nel campus di Middletown la Pennsylvania State University annunciò la sospensione delle lezioni per una settimana. Il pomeriggio di venerdì «… ancora senza aver ricevuto notizia di Three Mile Island,» il sindaco di Harrisburg, Paul Doutrich si portò in auto, in compagnia del vice assessore ai lavori pubblici del comune, al Centro d’osservazione di TMI che sovrasta l’impianto nucleare. Qui si intrattennero a colloquio per un’ora con i due massimi dirigenti della Met Ed, Creitz e Herbein. «Sarà strano, ma una delle cose che mi colpirono maggiormente, che mi dettero maggior fiducia nel buon andamento delle cose, fu il fatto che tutti, dipendenti, direttore generale, eccetera, circolavano per l’edificio tranquillamente, in maniche di camicia, senza niente in testa,» dichiarò Doutrich alla Commissione. «Non notai il minimo segno di protezione antinucleare.»
Venerdì, sabato e domenica furono giornate frenetiche negli uffici della difesa civile delle contee più vicine alla centrale nucleare. I funzionari lavorarono freneticamente per preparare prima i piani di evacuazione sulle dieci miglia e poi quelli sulle venti miglia di distanza dalla centrale. L’Emergency Management Agency della Pennsylvania raccomandò il venerdì mattina che si approntassero i piani per le dieci miglia. Le tre contee più prossime all’impianto disponevano già di piani d’evacuazione locale, che interessavano complessivamente circa 25.000 persone residenti a meno di cinque miglia dall’isola, non essendo mai stata contemplata l’eventualità di uno sgombero sulle dieci miglia. Per Kevin Molloy della contea di Dauphin l’allargamento della fascia d’evacuazione significava il coinvolgimento di alcuni centri ospedalieri, circostanza alla quale non si era mai sognato di pensare: non c’erano ospedali nel raggio di cinque miglia, ma nella tarda serata del venerdì la PEMA prescrisse alle autorità di contea di elaborare piani sulla distanza di ben venti miglia. Fu così che, di punto in bianco, le amministrazioni di ben sei contee dovettero gettarsi a corpo morto nell’elaborazione di piani di evacuazione che coinvolgevano 650.000 persone, 13 ospedali e un carcere.
Quel venerdì segna la data in cui l’intero settore nucleare venne coinvolto nell’incidente in profondità: a seguito della fuga radioattiva della mattinata, il direttore generale della GPU, Dieckamp, si adoperò per mettere insieme un’équipe di settore con funzioni consultive nella gestione del caso, intrattenendosi con esponenti dell’industria nucleare di tutta la nazione (coadiuvato da un collaboratore) e cercando di precisare i contorni delle specializzazioni e delle competenze da mettere in campo nel caso specifico. Nel tardo pomeriggio del sabato, si presentarono a Dieckamp i primi componenti del Gruppo consultivo settoriale, i quali isolarono subito gli interventi di prima necessità e si ripartirono i relativi compiti.
Harold Denton giunse alla centrale verso le 14 del venerdì, portando con sé una schiera di una dozzina di specialisti della sede NRC: in mattinata la NRC aveva appreso della combustione rapida o esplosione di idrogeno che era divampata il mercoledì pomeriggio nel contenitore del reattore. Il personale tecnico dell’ente già sapeva che nel sistema esisteva un certo gorgogliamento di gas, ma adesso si poteva dire con certezza che la bolla, una trentina di metri cubici di gas, conteneva appunto idrogeno. E, come ebbe poi a dichiarare Denton in sede d’inchiesta, si poneva l’interrogativo di una deflagrazione da accumulo di idrogeno. Per tutta la giornata di venerdì Denton lavorò sulle stime che gli erano state fornite prima della partenza da Bethesda, secondo cui sarebbe stata impossibile per almeno 5 fino a 8 giorni l’autoaccensione del gas. Denton trasferì immediatamente tutta l’attenzione sui possibili mezzi per eliminare la bolla.
Verso le 20 e 30 di venerdì Denton si trovò per la prima volta a riferire personalmente al governatore Thornburgh: il danno al combustibile era esteso, la bolla creava un problema di raffreddamento nel nocciolo, ma l’evacuazione immediata non era indispensabile. Subito dopo i due tennero la prima conferenza stampa congiunta, nel corso della quale il governatore ribadì la non necessità dell’evacuazione, dichiarando sospesa l’ordinanza che prevedeva il ricovero al coperto dei residenti entro dieci miglia da Three Mile Island, ma insistendo sulla raccomandazione che le donne in stato interessante e i bambini in età prescolare si tenessero a più di cinque miglia di distanza dalla centrale nucleare.
Poco dopo le ore 16 Jack Watson, aiutante del presidente Carter per gli affari interstatali, chiamò al telefono Jay Waldrnan, assistente esecutivo del governatore Thornburgh. I due non concordano sulla sostanza di quella telefonata: in un colloquio con il personale tecnico della Commissione d’inchiesta, Waldrnan ha affermato che Watson desiderava che il governatore non chiedesse al presidente Carter di dichiarare né lo stato di emergenza né quello di calamità grave:
«Si disse convinto che la cosa avrebbe diffuso un inutile panico, che la sola notizia di una dichiarazione di zona in emergenza o disastrata avrebbe ingenerato un panico irrefrenabile; mi assicurò che avremmo comunque ricevuto l’assistenza federale a qualsiasi livello e d’ogni genere, come se di fatto ci fosse stata la dichiarazione. Gli dissi che su questo l’avrei preso in parola e che, dietro un’assicurazione piena e formale, sarei andato dal governatore a invitarlo a non avanzare richiesta formale di dichiarazione d’emergenza.»
Watson e il suo assistente Eugen Eidenberg dichiararono entrambi in occasione dell’inchiesta che la Casa Bianca non si era mai sognata di invitare il governatore Thornburgh a non avanzare la richiesta di una proclamazione di stato d’emergenza. Qualunque fosse il tenore della conversazione di quel venerdì, sta di fatto che la richiesta da parte del governatore non ci fu. In seguito i funzionari dello stato avrebbero espresso la loro soddisfazione per l’assistenza fornita sia durante sia dopo l’incidente dal governo federale. Un po’ meno soddisfatti si dichiararono in agosto del mediocre livello di aiuti e di collaborazione assicurato dagli enti federali.
Presso il Dipartimento federale della sanità, istruzione e previdenza (HEW) qualcuno cominciava a preoccuparsi dell’eventualità che la centrale di Three Mile Island iniziasse a liberare iodio radioattivo: quel venerdì i funzionari del dicastero intrapresero l’incetta di ioduro di potassio, il farmaco capace di inibire l’assorbimento dello iodio radioattivo nella tiroide, ghiandola che assorbe lo ioduro di potassio fino a totale saturazione, impedendo così l’accesso all’isotopo radioattivo. Pertanto, se il soggetto si espone allo iodio radioattivo dopo aver ingerito una dose sufficiente di ioduro, la tiroide, ormai satura, respinge ogni ulteriore dose di iodio carico di radioattività potenzialmente nociva. Tuttavia, all’epoca dell’incidente al TMI-2, non c’era una sola casa farmaceutica o chimica che disponesse commercialmente delle quantità necessarie di ioduro di potassio per uso
medico.
Sabato mattina, poco dopo le ore tre, la Mallinckrodt Chemical Company acconsentì a fornire alla HEW circa un quarto di milione di flaconi da un’oncia. A questo punto la sede di St. Louis della Mallinckrodt, in collaborazione con la Parke-Davis di Detroit, e una casa produttrice di riempitori di flaconi del New Jersey, si gettarono con tutto il loro peso nell’iniziativa: la prima partita di ioduro di potassio giunse a Harrisburg verso l’una e trenta del mattino di domenica e già mercoledì 4 aprile, data dell’ultima consegna, la riserva era salita a 237.013 flaconi.
SABATO 31 MARZO
Con il week end arrivò il grande timore di una potenziale esplosione di idrogeno all’interno del reattore di TMI-2. L’idea che si trattasse di una paura infondata, di un disgraziato malinteso, non si è mai fatta strada nell’opinione pubblica neppure in seguito, in gran parte perché la NRC non ha fatto il minimo sforzo per informare la popolazione che si trattava di una cantonata.
Verso le 21 e 30 di venerdì il presidente della NRC invitò Roger Mattson a stabilire a che ritmo si generasse ossigeno all’interno del reattore TMI-2 e quale fosse il rischio di un’esplosione di idrogeno. «Disse di aver fatto dei calcoli,» ha dichiarato Mattson nella sua deposizione. «Era preoccupato dei risultati che aveva ottenuto.» Mattson è direttore della Division of Systems Safety (Divisione sicurezza degli impianti) nell’ambito della Nuclear Reactor Regulation (Normativa per i reattori nucleari), diretta a sua volta da Denton, e aveva passato parte del giovedì e il venerdì a darsi da fare per trovare un modo per togliere dal reattore una bolla di gas. In seguito alla partenza di Denton per TMI, Mattson in varie occasioni ha svolto le funzioni di rappresentante o di vice rappresentante della NRR presso l’Incident Response Center.
Nel reattore si era formato dell’idrogeno in seguito ad una reazione ad elevata temperatura avvenuta tra il vapore a fortissima temperatura e l’incamiciatura in zirconio degli elementi di combustibile. Affinché questo idrogeno esplodesse o si incendiasse – eventualità meno pericolosa della prima – sarebbe dovuto penetrare nell’impianto dell’ossigeno in quantità sufficiente a formare una miscela deflagrante. Sussisteva il timore che ciò si potesse verificare in conseguenza di radiolisi. In quest’ultimo processo, infatti, la radiazione divide le molecole dell’acqua, le quali contengono idrogeno e ossigeno.
Al problema lavorarono tutto il week end due team della NRC, ricorrendo entrambi all’aiuto di laboratori e scienziati esterni. Un gruppo si dedicò al ritmo di generazione di ossigeno provocato da radiolisi in TMI-2. Il secondo team analizzò il potenziale necessario a provocare la combustione dell’idrogeno. Robert Budnitz della NRC si rivolse anche ad esperti per individuare eventuali elementi chimici in grado di rimuovere l’idrogeno.
A mezzogiorno Hendrie ebbe un colloquio telefonico con Denton, al quale espresse il timore che nel reattore si stesse accumulando ossigeno liberato dalla radiolisi. In precedenza, Hendrie aveva detto la stessa cosa anche a Victor Stello jr., braccio destro di Denton a TMI. Il presidente della NRC disse a Denton che si doveva rendere edotto il governatore Thornburgh del potenziale pericolo e Denton promise di parlargliene.
Poco dopo le 13 Mattson ottenne alcune risposte preliminari circa la possibilità di una esplosione dell’idrogeno. Un’ora dopo gli pervennero ulteriori risposte. «Da quattro fonti diverse e indipendenti tra loro, tutte con ottime credenziali nel campo, mi giunse la valutazione di massima che si stava generando ossigeno,» ha deposto Mattson in udienza. «Diversa era la valutazione circa la quantità di ossigeno che si stava formando, ma tutti erano d’accordo nel ritenere che ci fosse ancora davanti un tempo considerevole, questione di più di un giorno, prima che si formasse nell’impianto di refrigerazione del reattore una potenziale miscela combustibile.»
In una successiva seduta della Commissione Mattson ammise, in risposta a domande postegli dal commissario Pigford, che, sulla base delle informazioni disponibili al momento, la NRC avrebbe potuto decidere che non si stesse generando ossigeno in eccesso e che non ci fosse reale pericolo di deflagrazione. Ma quando Mattson si incontrò con i componenti della NRC alle 15 e 27 del sabato, «la linea di fondo che percorse tutto il colloquio … fu che ci voleva più di un giorno per raggiungere il limite di infiammabilità, sebbene si stesse effettivamente generando ossigeno,» come Mattson ha ricordato nella sua deposizione. «E io espressi la convinzione che non stavamo sottovalutando la eventualità di un’esplosione nell’impianto di refrigerazione del reattore; insomma la stima secondo la quale prima di raggiungere il punto di infiammabilità occorrevano ancora due o tre giorni era molto prudente.» Ma la sera di sabato i consulenti di Mattson gli riferirono che i loro calcoli indicavano che la percentuale di ossigeno della bolla era giunta alla soglia del limite di infiammabilità.
Verso le 1.8 e 45 Mattson ebbe un colloquio con Vincent Noonan, l’uomo che nell’ambito della NRC ne sapeva di più sulle possibili conseguenze di una deflagrazione all’interno del reattore. Un consulente della NRC aveva predetto che uno scoppio di idrogeno avrebbe provocato all’interno del reattore pressioni dell’entità di 20.000 psi. La B&W, la società che ha progettato il reattore, aveva però tenuto conto anche degli effetti di assorbimento esercitati dal vapore acqueo nei confronti di un’esplosione e quelli di un ambiente a idrogeno arricchito e aveva quindi calcolato una pressione tra i 3.000 e i 4.000 psi. La cosa era incoraggiante. Analisi compiute in precedenza indicavano infatti che l’impianto di refrigerazione del reattore TMI-2 era in grado di sopportare pressioni di questa entità.
Nella tarda serata del sabato, James Taylor della B&W ribadì le conclusioni già riferite la prima volta alla NRC il giovedì sera da un altro ingegnere della B&W, secondo le quali non si sarebbe affatto generato ossigeno in eccesso. L’informazione, secondo quanto ebbe a deporre lo stesso direttore di TMI-2, non arrivò mai a Mattson.
Sabato alle 14 e 45, Hendrie parlò a Bethesda con i giornalisti, ai quali dichiarò che, se i tecnici avessero tentato di spingere la bolla fuori dal reattore, si sarebbe potuta rendere necessaria un’evacuazione precauzionale in un raggio di 10 o 20 miglia, La NRC era giunta alla conclusione che un tentativo simile – aggiunse però Hendrie – avrebbe potuto causare altri danni al nocciolo e provocare l’esplosione della bolla.
Stan Benjamin, inviato della redazione di Washington dell’Associated Press, volle approfondire la questione, dopo la conferenza stampa di Hendrie, intervistando due funzionari della NRC: Edson Case, vice di Denton all’Office of Nuclear Regulation, e Frank Ingram, portavoce ufficiale di quella commissione. Da costoro, e da un’altra fonte interna alla NRC che però volle restare anonima, Benjarnin venne a sapere dell’esistenza, nell’ambito dell’Incident Response Center, del timore che entro pochi giorni, anche solo due, la bolla potesse diventare una miscela potenzialmente esplosiva. Benjamin, prima di mandare il proprio articolo, volle anche controllarne il contenuto con Case e Ingram, rileggendone gran parte con loro parola per parola. Case e Ingram confermarono che era esatto. Il pezzo – trasmesso come nota editoriale alle 20 e 23 dall’agenzia – costituì la prima notizia data all’opinione pubblica circa il timore nutrito da alcuni funzionari della NRC che la bolla potesse eventualmente esplodere spontaneamente.
Denton aveva ricevuto per tutto il sabato pomeriggio e il sabato sera le comunicazioni di Hendrie e dei funzionari della NRC che si trovavano a Bethesda a proposito delle stime compiute sulla formazione di ossigeno e delle probabilità di combustione o incendio. Ma venne a sapere dell’articolo diramato dall’ AP solo un po’ prima di unirsi al governatore Thornburgh e al vice governatore Scranton per rilasciare, a tarda sera, una conferenza stampa a Harrisburg. Il governatore assicurò ai giornalisti che «negli impianti di Three Mile Island non è prevedibile alcun evento catastrofico imminente». Denton a sua volta dichiarò: «Non c’è miscela combustibile né nell’edificio di contenimento né nel recipiente del reattore. E a breve termine non esiste affatto pericolo.» Denton cercò anche di sgonfiare l’impressione, subito manifestata da più di un giornalista, che esistessero delle contraddizioni tra le sue parole e quelle dei suoi colleghi del quartier generale della NRC: «No, non c’è nessuna discordanza. Sono convinto che si tratti del modo in cui vengono presentate le cose,» affermò.
Ma la discordanza c’era, e Denton volle scioglierla. Il presidente Carter aveva annunciato poco prima, quella sera stessa, che si sarebbe recato a TMI l’indomani. Denton disse a Stello di affrontare ancora la questione ossigeno-idrogeno con l’ausilio di esperti esterni. Stello si rendeva conto della preoccupazione di Washington. Aveva infatti ricevuto poco dopo le 21 una telefonata di Eugene Eidenberg, un assistente del Presidente, che voleva essere ragguagliato sulla storia diramata dall’AP. Stello aveva risposto alla Casa Bianca che personalmente non condivideva i timori nutriti al quartier generale della NRC.
Il sabato, mentre la NRC si affannava a fronteggiare l’incidente e il temuto pericolo della bolla di idrogeno, funzionari del Dipartimento della Sanità, Istruzione e Assistenza avevano il loro da fare nel proprio settore. Quella mattina, i funzionari superiori dello HEW si riunirono per proseguire la discussione iniziata il giorno precedente a proposito della possibilità di un’evacuazione; per la prima volta affrontarono la questione delle dimensioni della zona da evacuare. Ma alla fine le discussioni si conclusero con una raccomandazione a prendere in considerazione un’immediata evacuazione nel caso che la NRC non fosse stata in grado di fornire assicurazioni che il reattore si stesse raffreddando in regime di sicurezza. Joseph Califano, segretario dello HEW, fece una sintesi delle conclusioni del gruppo in una memoria indirizzata a Jack Watson, dello staff presidenziale.
Più tardi, quello stesso giorno, i funzionari sanitari dello HEW parteciparono ad una riunione tra più enti tenuta alla Casa Bianca su convocazione di Watson, durante la quale ribadirono la raccomandazione del loro Dipartimento a prendere in considerazione l’evacuazione. Richard Cotton, braccio destro di Califano, avanzò anche un’altra raccomandazione del suo ministro, secondo la quale i funzionari della NRC avrebbero dovuto consultarsi con gli esperti dello HEW e dell’Environmental Protection Agency sulla questione dei potenziali effetti sanitari degli sforzi compiuti per tenere sotto controllo il reattore di TMI-2. Cotton continuò ad insistere anche dopo la riunione, e la domenica e il martedì successivi i funzionari dello HEW vennero aggiornati sulla situazione dalla NRC. Si trattò però sempre di rapporti informativi; non ci fu nessuno sforzo da parte della NRC di avvalersi dei consigli dello HEW.
DOMENICA 1 APRILE
Per tutta la notte tra sabato e domenica e nelle prime ore del mattino, gli uffici e i servizi di pronto intervento della contea furono sommersi di telefonate di cittadini preoccupati per le notizie contrastanti a proposito della bolla di idrogeno. Ma dopo l’arrivo di Denton il flusso di informazioni dal livello dello stato a quello locale si era praticamente interrotto. L’ufficio del governatore concentrava ormai la propria attenzione sull’attività federale: di Denton, cioè, e degli altri funzionari dei vari enti d’emergenza federali. Oran Henderson, direttore della Pennsylvania Emergency Management Agency, non venne più invitato alle relazioni e alle conferenze stampa del governatore, alle quali non assistette più a partire dal venerdì sera. In tal modo la PEMA – sebbene continuasse a ricevere i rapporti sulla situazione emanati dal Bureau of Radiation Protection – venne tagliata fuori dalle informazioni necessarie a livello locale.
Nella contea di Dauphin la frustrazione galoppava. Poco prima della mezzanotte di sabato, il senatore dello stato della Pennsylvania George Gekas telefonò al governatore nel tentativo di ottenere informazioni più precise. Gli venne risposto che il governatore era troppo occupato per parlare al telefono. Allora Gekas chiamò Scranton, ottenendo la stessa risposta. A questo punto il senatore disse al portavoce di Scranton che, se non si fosse provveduto ad una maggiore cooperazione e ad una migliore informazione, la contea di Dauphin avrebbe ordinato l’evacuazione alle 9 della mattina dopo, domenica. Alle due di notte Scranton telefonò al centro d’emergenza della contea e concordò con i funzionari un incontro sul posto per il mattino successivo. Il vice governatore arrivò alle 10, preceduto da Henderson, il quale si lamentava di non riuscire ad ottenere informazioni. Scranton stette a sentire Molloy e i suoi colleghi. «Credo,» ha dichiarato Molloy nella sua deposizione, «che sia rimasto davvero sconvolto da quanto traspariva al nostro livello, dalla mole di lavoro che stavamo facendo, dalle complicazioni. che affrontavamo.»
La domenica, Mattson ed altri dipendenti della NRC tennero una riunione con i commissari Hendrie, Victor Gilinsky e Richard Kennedy. Lo scopo era di arrivare ad una sentenza definitiva, sulla base delle stime e delle informazioni a disposizione, circa la fondatezza reale del pericolo di un’esplosione di idrogeno nel reattore. Secondo la deposizione di Mattson, il gruppo giunse a concordare su queste conclusioni:
Il 5 per cento di ossigeno costituiva un limite di infiammabilità realistico e 1’11 per cento un limite realistico di detonazione; sotto i 900 °F (482 °C) non poteva verificarsi combustione spontanea; il ritmo di formazione dell’ossigeno era da stimarsi approssimativamente sull’1 per cento al giorno e quindi la concentrazione d’ossigeno presente in quel momento nella bolla era del 5 per cento.

Il nocciolo di TMI-2 prima dell’incidente

Il nocciolo di TMI-2 dopo l’incidente. Si può vedere una parziale fusione all’interno.

La foto dell’interno del nocciolo
Dopo la riunione Hendrie e Mattson si recarono in auto a TMI per incontrarsi con Denton.
La domenica mattina Stello parlò con Denton e gli espose i propri argomenti a confutazione dell’esistenza di un qualsiasi pericolo di esplosione di idrogeno nel reattore. I reattori raffreddati ad acqua in pressione, il tipo adottato a TMI-2, funzionano normalmente con un po’ di idrogeno libero nel refrigerante del reattore. Questo idrogeno si combina con l’ossigeno liberato da radiolisi formando altre molecole d’acqua in quantità tale da non permettere che si verifichi un’esplosione. Stello disse a Denton che in quel momento il processo in corso era lo stesso e che non c’era quindi alcun pericolo di esplosione.
Hendrie e Mattson s’incontrarono con Denton e Stello in un hangar dell’aeroporto internazionale di Harrisburg pochi minuti prima dell’arrivo del Presidente alle 13. Era dal venerdì mattina che Mattson e Stello non si parlavano. Mattson espose brevemente le conclusioni a cui si era arrivati al quartier generale della NRC a proposito della bolla e il ragionamento che era stato seguito per arrivarci. In un colloquio avuto con lo staff di questa Commissione, Mattson ha descritto quello che avvenne a questo punto:
«E Stello mi dice che sono pazzo, che lui non ci crede, che pensa che abbiamo fatto un errore nel calcolare il tasso (di formazione dell’ idrogeno) … Stello dice che siamo matti, mentre il povero Harold è lì che deve vedersela tra cinque minuti col Presidente per dirgli come stanno le cose. Ed eccolo lì: i suoi due esperti non sono d’accordo tra loro. Uno arriva armato fino ai denti di gente che lavora in tutti ‘sti laboratori nazionali e nei reattori della Marina o che ha in mano i migliori titoli accademici di tutto il paese, e gli dice che le cose stanno così e che questo è il meglio che si possa ricavare. E l’altro suo direttore (della divisione reattori in esercizio) a dirgli: “Non ci credo. Non posso dimostrarlo, ma non ci credo. Penso che sia uno sbaglio.”»
All’arrivo del Presidente, Denton lo informò della situazione alla centrale e dell’incertezza riguardo alla famigerata bolla.
Il Presidente fu portato in automobile a TMI, si mise le soprascarpe di plastica gialla di protezione e visitò lo stabilimento insieme con la moglie, il governatore Thornburgh e Denton. Stello, Hendrie e Mattson si recarono invece negli uffici provvisori della NRC Durante il pomeriggio furono passati al setaccio per telefono gli esperti, compresi quelli della Westinghouse e della GeneraI Electric. «Per le tre,» ha dichiarato Mattson nel colloquio, «avevamo la certezza di avercela fatta: il botto non ci sarebbe stato.»
Alla fine anche gli scienziati della NRC che si trovavano a Bethesda giunsero alla stessa conclusione, quello stesso giorno ma più tardi. Poco prima delle 16 si riunirono i commissari NRC Richard Kennedy, Peter Bradford e John Ahearne. Espressero la propria preoccupazione per le differenze di valutazione esistenti nello staff della NRC e decisero che ci sarebbe potuto essere bisogno di prendere in considerazione l’evacuazione. Kennedy telefonò a Hendrie che si trovava a TMI per dirgli che tre dei commissari NRC ritenevano che il governatore Thornburgh avrebbe dovuto ordinare un’evacuazione precauzionale nel raggio di due miglia intorno alla centrale, a meno che gli esperti che si trovavano in loco non avessero informazioni tecniche migliori di quelle disponibili a Bethesda. Hendrie assicurò a Kennedy che l’idrogeno libero esistente all’interno del reattore avrebbe catturato ogni atomo di ossigeno man mano che si generava e che non esistevano problemi.
A metà pomeriggio, l’effettuazione di nuove misurazioni dimostrò che la grande bolla all’interno del reattore stava decrescendo. I gas persistevano ancora, ma erano distribuiti in tutto l’impianto sotto forma di bolle più piccole che rendevano più facile l’eliminazione della miscela a prevalenza di idrogeno. Come ciò fosse avvenuto, nessuno lo sa. Ma quel che è certo è che non fu dovuto a nessun intervento intenzionale dei tecnici della Met Ed o della NRC
Nel tardo pomeriggio della domenica, la NRC – che era responsabile di aver suscitato il timore che la bolla potesse esplodere – era a conoscenza del fatto che non vi era pericolo di scoppio e che era evidente che la bolla stava decrescendo. Era una buona notizia, ma una buona notizia di cui l’opinione pubblica restò all’oscuro. Per tutta la domenica, la NRC non fece alcun annuncio per comunicare di aver sbagliato i propri calcoli e che non esisteva minaccia alcuna di esplosione. Neppure il governatore Thornburgh venne informato degli errori di calcolo della NRC Né la NRC rivelò che la bolla stava scomparendo quello stesso giorno, in parte perché gli stessi esperti della commissione non ne erano assolutamente certi.
LUNEDI’ 2 APRILE
Il lunedì mattina Denton e Mattson tennero una conferenza stampa. George Troffer, funzionario della Met Ed, aveva già detto a un giornalista che in pratica la bolla se n’era andata. Denton riconobbe che si assisteva a una «riduzione drastica delle dimensioni della bolla,» ma avvertì che «per essere sicuri che le equazioni utilizzate per calcolare l’entità della bolla tenessero esattamente conto di tutti gli effetti» erano necessarie analisi più sofisticate. Per quanto riguardava la possibilità che la bolla esplodesse, Denton disse ai giornalisti che «il ritmo di formazione dell’ossigeno che presumevo vi fosse ieri quando ho riferito sulla possibilità di una detonazione all’interno del contenitore a quanto pare era frutto di stime troppo pessimiste». Per tutto il corso della conferenza stampa, Denton continuò a definire troppo caute le stime della NRC ma non affermò mai chiaramente che da parte di quella commissione vi era stato un errore nel concludere che la bolla era vicina al punto critico di rischio.
Secondo Mattson, il tono della conferenza stampa, la sua vaghezza e la sua imprecisione, vennero stabiliti durante una riunione di funzionari della NRC svoltasi il lunedì mattina.
«Volevamo andarci piano a dire che c’erano buone notizie. Volevamo sì dire che si trattava di una buona notizia, di non farsi prendere dal panico, che ritenevamo di tenere la faccenda sotto controllo, che le cose sembravano andar meglio, ma non volevamo concludere nettamente e definitivamente che non c’erano problemi. Dovevamo mantenerci un po’ di margine di sicurezza per poter conservare credibilità. Ecco che cosa avevamo deciso.»
EPILOGO
L’incidente di Three Mile Island non si è concluso con l’assorbimento della bolla, né è scomparsa d’improvviso la minaccia pendente sulla salute e la sicurezza dei lavoratori e della comunità locale. Restava una piccola bolla, dentro l’acqua dell’impianto di refrigerazione di TMI-2 persisteva la presenza di gas e lo stesso reattore era gravemente danneggiato. Continuava la fuoriuscita periodica di piccole quantità di radiazioni, e c’era chi temeva che si potesse verificare una più consistente liberazione di iodio-131 radioattivo. Le scuole restarono chiuse. Restava in vigore la raccomandazione del governatore di tenere donne incinte e bambini in età prescolare a più di cinque miglia di distanza dalla centrale.
Sabato 31 marzo il Dipartimento della Sanità, Istruzione e Assistenza aveva predisposto la fabbricazione immediata di circa un quarto di milione di flaconi di ioduro di potassio. Quello stesso giorno il Bureau of Radiation Protection della Pennsylvania – il quale in precedenza aveva accolto l’offerta della HEW di procurare il medicinale – trasferì al Dipartimento della Sanità dello stato della Pennsylvania la responsabilità di occuparsi dell’inibitore dello iodio radioattivo. Appena cominciarono ad arrivare, la domenica, Gordon MacLeod, che dirigeva questo Dipartimento, fece immagazzinare in un deposito gli invii di medicinali. Durante il week end, Thomas Gerusky, direttore del Bureau of Radiation Protection, richiese che lo ioduro di potassio venisse distribuito al suo personale che si trovava a TMI; egli voleva che in caso di radiazione da iodio gli uomini del BRP avessero a disposizione l’agente per il blocco della tiroide. MacLeod si rifiutò, sostenendo che se la popolazione fosse venuta a sapere che vi era stata la distribuzione di un qualsiasi medicinale, ne sarebbe scaturita la richiesta di una distribuzione in massa.
MacLeod aveva l’appoggio dell’ufficio del governatore e di Harold Denton, nella sua decisione di non distribuire a nessuno lo ioduro di potassio. Questa decisione però non incontrò il gradimento di Washington. Il lunedì Jack Watson invitò lo HEW a predisporre le istruzioni per la distribuzione e l’uso del medicinale. A queste istruzioni lavorò un gruppo diretto da Donald Frederickson, direttore dei National Institutes of Health (Istituti Nazionali della Sanità). Le raccomandazioni prevedevano: la somministrazione immediata dello ioduro di potassio a tutti i lavoratori che si trovavano sull’isola; la distribuzione del medicinale a tutti coloro che avessero avuto un preavviso inferiore ai 30 minuti in caso di emissione di iodio radioattivo (in pratica tutti coloro che si trovavano in un raggio di 10 miglia dalla centrale) e che le autorità locali valutassero tali raccomandazioni alla luce della loro conoscenza diretta della situazione.
Il governatore ricevette le istruzioni il martedì con una lettera della Casa Bianca, sebbene alcuni funzionari della Pennsylvania ne fossero a conoscenza già dal lunedì. MacLeod si oppose energicamente alla distribuzione della medicina fra la popolazione. Tra i motivi da lui addotti vi erano i seguenti: i livelli di iodio radioattivo erano ben al disotto di quelli indicati per dar corso ad un’azione protettiva, mentre la probabilità di un’emissione di livelli superiori da TMI-2 era decrescente; la distribuzione della medicina avrebbe accresciuto l’ansia della popolazione, che avrebbe anche potuto somministrarsela senza che gliene fosse data istruzione; e l’eventualità di effetti collaterali nocivi rappresentava di per sé un potenziale problema sanitario pubblico. MacLeod scelse di non dar corso alle raccomandazioni federali. Lo ioduro di potassio restò in magazzino sotto custodia armata per tutto il periodo di emergenza. In estate la FDA trasferì medicinali a Little Rock, in Arkansas, per l’immagazzinamento.
Martedì 3 aprile la General Public Utilities, casa madre della Met Ed, istituì la propria organizzazione di ripristino di TMI-2 per sovraintendere e dirigere i lunghi lavori di decontaminazione. A capo dell’operazione di ripristino venne nominato Robert Arnold, vice presidente di un’altra consociata, la GPU Service Corporation.
Mercoledì 4 aprile si riaprirono le scuole che si trovano al di fuori di un raggio di 5 miglia da TMI, mentre quelle all’interno di questa zona rimasero chiuse e restò in vigore l’ordinanza del governatore che riguardava le donne incinte e i bambini in età prescolare.
Nella zona di TMI stava tornando gradualmente una certa aria di normalità. Il governatore Thornburgh chiese più volte a Denton se si poteva ritirare l’ordinanza, per permettere alle donne in stato interessante e ai bambini piccoli di tornare a casa. Ma la NRC voleva qualche fatto preciso a simboleggiare la fine della crisi, per poterla annunciare. In un primo momento la NRC puntava sul raggiungimento del «cold shutdown» (chiusura fredda), ossia il punto in cui la temperatura del refrigerante del reattore di TMI-2 sarebbe caduta al di sotto del punto di ebollizione dell’acqua. Quando divenne chiaro che per arrivarci ci sarebbero voluti ancora giorni e giorni, tra il Bureau of Radiation Protection della Pennsyllvania e la NRC fu raggiunto l’accordo di porre fine all’ordinanza. Sabato 7 aprile, Kelvin Molloy, su richiesta dell’ufficio del governatore, lesse un comunicato stampa che annunciava la chiusura del ricovero per evacuazione della Hershey Park Arena. Ci vollero altri due giorni, però, perché il governatore Thornburgh ritirasse ufficialmente l’ordinanza.
Ma l’incidente a TMI non è finito neppure con il «cold shutdown» e ci vorrà ancora del tempo perché si possa considerare finito. Dentro l’edificio di contenimento o immagazzinati nei serbatoi dell’edificio ausiliario, restano ancora più di quattro milioni di litri di acqua radioattiva. L’edificio di contenimento, a sua volta, ritiene gas radioattivi e il nocciolo del reattore, gravemente danneggiato e fortemente radioattivo. Elementi radioattivi contaminano i muri, i pavimenti e le attrezzature di più di un edificio. Abbiamo davanti un lavoro di decontaminazione che non ha precedenti nella storia dell’industria nucleare della nazione, una decontaminazione il cui costo totale viene valutato da 80 a 200 milioni di dollari e che richiederà, per essere completata, anche due o tre anni.
La decontaminazione iniziale è cominciata in aprile. Ricorrendo ad un impianto chiamato EPICOR-I, la Met Ed ha iniziato la decontaminazione dell’acqua immagazzinata nell’edificio ausiliario prima dell’incidente, la quale contiene bassi livelli di radioattività (meno di un microcurie per millilitro). In aprile la Met Ed ha cominciato anche a decontaminare l’edificio che ospita il generatore Diesel di TMI-2, mentre il lavoro sugli edifici ausiliari e del trattamento combustibile ha avuto inizio in maggio. È un lavoro che implica soprattutto la sterilizzazione a secco e con liquidi, la pulitura e asciugatura delle zone radioattive per togliere la contaminazione: un compito che impone l’uso di abiti speciali e di respiratori per proteggere i lavoratori.
L’incidente e la successiva decontaminazione hanno già provocato un certo numero di concreti anche se piccoli danni da radioattività ad abiti, stoffe, resine ionizzate, e filtri dell’aria contaminati. Finora a Richland, nello Washington, sono stati inviati 12 camion pieni di questa roba rovinata per essere sepolta nello smaltitore commerciale.
Ma gli aspetti più difficili della decontaminazione – sia dal punto di vista tecnico che da quello politico – devono ancora arrivare. La Met Ed ha chiesto alla NRC l’autorizzazione a liberare nell’atmosfera, in emissioni controllate, il krypton 85 presente nell’aria dell’edificio di contenimento. Le emissioni dovranno durare due mesi per assicurare che le radiazioni fuori dell’impianto non superino i limiti fissati dalla NRC per la gestione operativa normale di una centrale elettronucleare.
Gran parte dell’acqua contaminata residuo dell’incidente – circa 2 milioni e 400 mila litri ancora presenti nell’edificio di contenimento e intorno ai 350 mila litri presenti nell’impianto di refrigerazione del reattore – contiene alti livelli di radioattività (oltre i 100 microcurie per millilitro). La Met Ed ha immagazzinato 1 milione e mezzo di litri di acqua contenente livelli intermedi di radioattività (da 1 a 100 microcurie per millilitro) in varie cisterne dell’edificio ausiliario di TMI-2. Durante l’estate la GPU ha installato, per il trattamento di quest’acqua, un impianto chiamato EPICOR-II. La NRC ne ha approvato l’uso purché le resine usate per rimuovere il materiale radioattivo dall’acqua venissero solidificate prima del loro invio dall’isola allo smaltimento. La Met Ed ha cominciato la decontaminazione di quest’acqua a livelli intermedi di radioattività a metà ottobre.
Finché non saranno rimossi i gas radioattivi dall’edificio di contenimento, non può essere autorizzato l’ingresso di nessun essere umano nella struttura sigillata. Nel frattempo si stanno mettendo a punto piani dettagliati per entrare a valutare le condizioni esistenti all’interno dell’edificio. Poiché nessuno conosce le condizioni esatte in cui si trovano il recipiente del reattore e il suo nocciolo, non sono stati fatti piani di sorta per il trattamento e la rimozione del nocciolo danneggiato.
E così a Three Mile Island l’incidente continua, e continua in un senso molto concreto: esso continuerà finché non sarà completato l’annoso lavoro di decontaminazione di TMI-2. Finché questo processo non sarà completato i lavoratori continueranno a ricevere altre dosi di radiazioni; a fine agosto, per esempio, cinque lavoratori sono stati esposti sulla pelle o alle estremità degli arti a dosi eccedenti quelle previste trimestralmente dalla NRC. E tuttora resta il rischio per la popolazione che dall’isola sfugga ancora qualche radiazione.
ALCUNE VALUTAZIONI DELLA COMMISSIONE
Nella sezione Conclusioni Generali, la Commissione dice alcune cose di grande interesse.
«Per prevenire incidenti nucleari della gravità di quello verificatosi a Three Mile Island, sarà indispensabile introdurre trasformazioni radicali nell’organizzazione, nella procedura, nella prassi e soprattutto negli atteggiamenti della Commissione per la normativa nucleare e, per quanto si possano considerare rappresentative le organizzazioni oggetto di indagine, dell’intero settore nucleare.»
Ma ciò non basta perché subito dopo si aggiunge un’altra considerazione d’interesse.
Noi non intendiamo sostenere che le raccomandazioni da noi avanzate siano sufficienti a garantire la sicurezza dell’energia nucleare. […] La soluzione definitiva del problema comporta certe considerazioni di carattere economico, ambientale, e di politica estera che sono suscettibili di valutazione esclusivamente nel contesto politico.
Per i limiti che la commissione si è imposti (vedi il primo paragrafo), si può dire che vi sono certamente problemi di affidabilità delle macchine e dei sistemi ma soprattutto delle persone in senso lato, in senso di sistema che gestisce il nucleare. Qui vi sono vere patologie di struttura, carenze nei processi e mancanza di comunicazione tra entità chiave. Inoltre negli ambienti che gestiscono e presiedono le centrali nucleari vi era una mentalità diffusa: la fede nella loro sufficiente sicurezza alla quale il personale addetto poteva solo essere di sussidio.
La Commissione è convinta della necessità di cambiare un simile atteggiamento, affinché prevalga quell’altro, che cioè l’energia nucleare è per sua stessa natura potenzialmente pericolosa e che, pertanto, si debba incessantemente contestare l’asserita adeguatezza delle tutele già in atto per prevenire qualsiasi incidente di una certa gravità. Si richiede, insomma, un sistema globale nel cui ambito si attribuisca pari importanza tanto agli esseri umani quanto alle attrezzature.
Secondo la Commissione le norme non bastano
Anzi, quando i regolamenti abbiano assunto le proporzioni e la complessità che abbiamo riscontrato nel caso in esame, essi non possono che esercitare un effetto negativo. Le norme sono talmente complesse che, per assicurarne l’osservanza, si richiederebbero sforzi immensi sia all’ente di gestione, sia ai fornitori diretti, sia alla NRC. È un errore stabilire, come si è fatto, l’equazione tra rispetto delle norme e garanzia di sicurezza. Il parere di questa Commissione è che l’assidua preoccupazione per la sicurezza, piuttosto che l’osservanza di norme rigide e complesse, è il solo mezzo per essere sicuri.
A giudizio della Commissione si sono fatti errori nelle normative esistenti e nella progettazione delle centrali con gli annessi studi di rischio. Ci si è preoccupati di far fronte all’incidente più grave pensando erroneamente che con questo si sarebbe poi stati in grado di intervenire in qualunque altro problema
Poiché i guasti di grande entità impongono una reazione immediata, è necessario che l’impianto stesso sia dimensionato in modo da effettuare automaticamente l’intervento, mentre gli incidenti di minor conto possono svilupparsi con notevole lentezza e il loro controllo dipendere da un adeguato intervento umano. Questa è stata appunto la tragedia di Three Mile Island, in cui i guasti meccanici associati all’incidente erano notevolmente inferiori per gravità a quelli minuziosamente previsti a progetto, mentre a mandare in confusione totale coloro che hanno gestito l’evento sono state le conseguenze del fatto meccanico. Un inconveniente potenzialmente inignificante si è trasformato così nell’incidente di TMI, con gravissimi danni al reattore. E poiché tale associazione di piccoli guasti d’impianto è suscettibile di verificarsi con frequenza notevolmente maggiore rispetto agli incidenti macroscopici, nasce la necessità di uno studio attento e approfondito proprio sulle cause minime. Si richiede inoltre la presenza di personale operativo e direttivo che conosca alla perfezione la meccanica d’esercizio della centrale e che sia in grado di reagire prontamente a qualsiasi associazione accidentale di piccoli guasti d’impianto.
Ci si è preoccupati della sicurezza delle attrezzature ma
né la NCR né il settore industriale hanno mostrato di capire che un importante sistema di sicurezza è costituito proprio dagli esseri umani che dirigono e che fanno funzionare le centrali.
CAUSE DELL’INCIDENTE
Vi sono altre inchieste che parlano di incidente provocato dai guasti alle attrezzature ma noi ci sentiamo di affermare che qui si tratta anche di errore di operatore, anche se, con ciò, non si dice tutto.
Il personale non era preparato in modo adeguato. Se poteva gestire gli impianti in normale funzionamento, non sapeva cosa fare in caso di un qualche allarme serio. Ma anche i tecnici a livello superiore sono risultati non in grado di capire i problemi nella loro complessità all’interno della centrale nel suo insieme. Le procedure d’intervento sono poi così confuse ed equivoche che hanno spesso messo in difficoltà chi intendeva seguirle. Inoltre i piccoli incidenti accaduti prima avrebbero dovuto insegnare molto ed invece non sono mai stati tradotti in una pratica operativa da insegnare agli operatori. Manca la conclusività nelle indagini: si studia molto, si indaga, si approfondisce ma non si arriva mai a conclusione e soluzione definitiva. In tal modo non vi sono mai acquisizioni da poter trasferire a chi opera nelle centrali.
Ma anche la sala comandi di TMI-2 è mal progettata. E’ enorme e piena di spie luminose ed indicatori di ogni tipo ma con ciò che è di vitale importanza dislocato lontano dal campo visivo degli operatori. Durante un normale funzionamento non vi sono problemi ma quando accade qualcosa come l’incidente che analizziamo allora anche da lì vengono i problemi: ad un certo punto oltre cento segnali di allarme erano attivi e altrettante spie erano accese o lampeggiavano, e ciò avveniva poiché mancava totalmente un sistema che consentisse l’esclusione automatica dei segnali trascurabili per attirare l’attenzione degli operatori esclusivamente sugli indicatori significativi. Un operatore dichiarò: avrei voluto mandare al diavolo il pannello degli allarmi, non ci dava alcuna informazione utile. Vi è un esempio clamoroso che mostra o l’impreparazione del personale o la cattiva progettazione degli strumenti: vi sono strumenti che indicano la pressione e la temperatura dell’impianto refrigerante ma nessuno strumento che dica a quale combinazione di queste due grandezze si è in presenza di vapore. In definitiva:
carenze addestrative, mancanza di chiarezza delle procedure, incapacità dei corpi istituzionali a far tesoro di esperienze precedenti, deficienze progettuali della sala controllo. Tali difetti sono da attribuirsi all’ente di gestione, alle ditte fornitrici di apparecchiature e alla commissione federale incaricata della normativa sull’energia nucleare. Siamo convinti pertanto che, indipendentemente dalla verifica dell’ipotesi «errore umano» per spiegare il caso specifico, un incidente quale quello di Three Mile Island fosse in ultima analisi inevitabile, date tutte le carenze sopra descritte.
QUALCHE MIA CONCLUSIONE
Le cose che ho detto nell’ultimo paragrafo riassumono circa 100 pagine del rapporto della Commissione. Si entra in dettagli sul come coordinare i vari enti, sul come avviare alla formazione del personale, sul come semplificare le procedure, su quali enti eliminare eccetera. Non credo sia d’interesse, comunque, in nota 1 vi è l’intero rapporto in lingua inglese che può essere consultato.
Per parte mia una semplice chiosa che vuole essere una realistica osservazione su una qualche gestione dello stesso tipo in Italia.
Premesso che quando si parla di nucleare, si sa che la centrale è la parte più sicura, più studiata e meno soggetta ad incidenti (e dico questo nonostante TMI e Chernobyl), vediamo quali problemi, tra i maggiori, si porrebbero in Italia.
1) Attualmente (novembre 2007) abbiamo gravi difficoltà costituzionali a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione. In particolare non è stata riservata allo Stato la possibilità di intervento centralizzato su questioni strategiche come l’energia. Oggi occorrerebbero iter defatiganti per riuscire a trovare l’accordo di municipi, comuni, aree metropolitane, province, regioni. E se non si comincia con tale accordo risulterebbe impossibile dialogare con le popolazioni.
2) Attualmente vi sono legislazioni riguardanti gli appalti che non garantiscono assolutamente nulla in termini di qualità di esecuzione dei lavori. La legge permette subappalti a ripetizione e nessuna certezza di costi e di tempi di esecuzione. Quando si stava costruendo la Centrale di Montalto di Castro si era al diciottesimo subappalto. Credo si capisca che su un’opera che richiede il massimo di attenzione e qualità, un così allegro trasferimento di denaro pubblico a chi solo nominalmente prende un appalto è intollerabile perché va necessariamente a finire in caduta di qualità. Inoltre la legge dovrebbe prevedere tempi certi e costi certi con l’introduzione di penali che dovrebbero evidentemente seguire a garanzie di solidezza economica dell’impresa che apparterà i lavori. Sappiamo per l’esperienza di molti anni che le gigantesche opere pubbliche, da noi, costano 4 volte il prezzo medio nel resto d’Europa ed un’impresa come quella nucleare non può permettersi un tale aumento di costi perché già in partenza è costosissima. Riguardo ai tempi di consegna di un lavoro credo sia esperienza di ciascuno di noi l’attesa infinita per ogni opera che riguardi minimamente il pubblico. Il nucleare se non raggiunge determinate dimensione in determinati tempi è un’impresa a perdita di energia e denaro.
3) Crea preoccupazione anche la gestione clientelare da parte della politica delle varie commissioni che si metterebbero su. Non vi sono a tutt’oggi, garanzie sulla professionalità ed il merito di chi si occuperebbe di questo settore estremamente delicato. Ricordo solo che in Italia si licenzia Rubbia per mantenere all’ENEA dei burocrati di partito (Lega!) e che si mettono ai vertici del CNR ed altri istituti scientifici personaggi con qualificazione inesistente.
4) Se si rilegge l’interscambio di telefonate, chiamate, incontri, interventi di tutti con tutti (enti, autorità, …) … relativi all’incidente di TMI-2 e lo si trasferisce da noi in Italia ci si rende conto che i problemi sarebbero moltiplicati e non gestibili. La supposta bassa densità abitativa dalle parti nostre praticamente non esiste ed eventuali piani di evacuazione su strade come le nostre sarebbero problematici.
5) Da ultimo vi è il problema della preparazione dei tecnici a tutti i livelli e qui, pur con tutta la fiducia residua nel nostro sistema, incombono una scuola ed una università in via di rapida dequalificazione.
6) Proprio per i limiti che si era imposta la commissione resto anch’io a tali limiti ma almeno i titoli dei problemi aperti relativi alla centrale li fornisco:
– Noi non abbiamo la tecnologia, quindi da chi ci riforniremo di uranio arricchito ?
– Sarà una dipendenza da un solo Paese con maggiori rischi in caso di crisi politiche ?
– Si inizia da ora a fare indagini epidemiologiche in zone d’Italia candidate a ricevere centrali o siti di stoccaggio residui ?
– Che succede con le scorie e la dismissione che attende dal 1987 del nucleare abbandonato ?
– …………..
Quando quindi si parla di nucleare, di filo e di anti, resto piuttosto perplesso perché il nucleare non può essere a sola gestione tecnica: un impianto tecnicamente perfetto che va da solo. Nessuno dimentichi tutto il resto e la necessità di dare piena e completa informazione alle popolazioni fin da ora proprio per evitare quel rifiuto irrazionale che vi sarà sempre con una classe politica non credibile.
In definitiva: si faccia pure il nucleare di quarta generazione ma, attenzione!, se non si risponde ai problemi che ho posto si mette in piedi un’azienda pericolosa, in grado di arricchire molte caste e mafie ma non di risolvere un qualche problema del Paese. Anzi !
Roberto Renzetti
NOTE
(1) Il rapporto, in inglese, è reperibile in:
http://www.pddoc.com/tmi2/kemeny/index.html
Analisi dettagliate sull’incidente si trovano in:
http://www.inl.gov/threemileisland/inl.shtml
L’elenco di tutti gli articoli sull’incidente pubblicati negli anni 1979-1980, si trovano in: http://content.cdlib.org/view?docId=tf4000034s&chunk.id=c01-1.7.6.6&brand=oac
Per accedere a moltissime informazioni sull’utilizzo dell’energia nucleare della NRC (Nuclear Regulatory Commission) degli Stati Uniti si può andare al sito:
http://www.nrc.gov/reading-rm/doc-collections/fact-sheets/
(2) PSI = Pound per Square Inch (lb/in2), : libbra (lb) per pollice (in) quadrato, è una unità di pressione anglo-sassone. 1 psi = 6 894 N/m2 = 6 894 Pa = 0,068 94 bar.
(3) La conversione da gradi farenheit (°F) a gradi centigradi (°C) si realizza mediante la formuletta:
°C = (°F – 32) x 5/9
(4) Per informazioni sui sistemi di unità in radioprotezione si può vedere il mio Grandezze e misure in radioprotezione: una selva selvaggia.
(5) Sull’isola di Three Mile Island vi erano due centrali TMI-1 e TMI-2. Quando

Al centro della foto si possono notare i due edifici di contenzione delle due centrali di Three Mile Islands
accadeva l’incidente a TMI-2, la TMI-1 stava ricaricando il combustibile nucleare.

La ricarica di TMI-1. Il grande cilindro che si vede è il nocciolo del reattore.
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CHERNOBYL
Intendo ricostruire la sequenza degli eventi che hanno portato al più grande disastro del nucleare civile della storia, quello di Chernobyl. Per quanto possibile darò solo valutazioni tecniche lasciando le politiche ad altro eventuale articolo. Non entrerò neppure in cronache del terrore lasciando stime di morti, feriti, irradiati ad altri.
IL 26 APRILE 1986 …
Per noi tutto iniziò due giorni dopo, il 28 aprile del 1986, quando alle 17:58 l’ANSA diramò per la prima volta la notizia che, in Scandinavia, erano stati rilevati alti livelli di radioattività. I sistemi di controllo della centrale nucleare di Forsmark, 150 Km a nord di Stoccolma, avevano registrato picchi notevoli di radioattività su uno degli addetti all’impianto. Fu emergenza in quella centrale e furono immediatamente evacuate 600 persone. Solo poco dopo si accorsero che le forti anomalie non provenivano dalla loro centrale. Il responsabile dell’Istituto nazionale di ricerca per la difesa, Ingemar Vintesved, dichiarò alla radio svedese: “Crediamo che provenga dall’Unione Sovietica, forse da una centrale nucleare“. Quasi subito l’ente sovietico per l’energia atomica faceva sapere all’Ambasciata di Svezia a Mosca che non aveva notizia “di incidenti in centrali nucleari sovietiche“. La sera stessa però l’agenzia di stampa sovietica, la Tass, diffuse un comunicato in cui per la prima volta si ammetteva l’incidente: “Il danneggiamento di un reattore ha provocato oggi un incidente nella centrale nucleare di Chernobyl, nella regione di Kiev, in Ukraina. Si sta dando aiuto a coloro che sono stati colpiti“.
L’incidente era avvenuto due giorni prima ed il 28 era già in fiamme. L’esplosione era avvenuta sabato 26 aprile, all’ 1:23 dopo mezzanotte. Nell’arco di due giorni, spinta verso alta quota dal calore sviluppato, aveva iniziato ad espandere il carico radioattivo per gran parte dell’Europa. Il TG 1 della sera del 28 dette per la prima volta pubblicamente la notizia. La nube radioattiva che all’inizio si era diretta verso il Nord Europa, si dirigeva ora verso il Centro Sud. Il 30 aprile inizierà ad interessare le Alpi ed il 2 maggio avrà coperto l’intera penisola. Il 4 maggio la lascerà per riaffacciarsi, secondo i capricci delle correnti d’aria, il 6 maggio.
Iniziarono polemiche che divennero subito politiche. In sostanza si diceva che il nucleare dell’Est era assolutamente inaffidabile. Questa campagna proseguì per un poco ma poi rallentò bruscamente perché si era capito che demonizzare quel nucleare non faceva gli interessi del nucleare occidentale. Sarebbe stato un lavoro titanico lo spiegare il perché un nucleare si e l’altro no. Più semplicemente i cittadini pensavano ad un solo nucleare. Ma di questo ho annunciato che non mi occupo. E’ invece interessante osservare che il silenzio delle autorità tecniche e politiche sovietiche fu esattamente identico a quello di ogni altra autorità tecnico politica del mondo di fronte ad incidenti di questo tipo. Vedremo che così accadde negli USA per vari incidenti tra cui Three Miles Island ed osservo che, durante i drammatici giorni di Chernobyl, una centrale nucleare tedesca ebbe un incidente con emissione di radioattività che non denunciò agli organismi preposti fidando di nascondere tale radioattività dietro la nube di Chernobyl.
Ma cosa accadde all’Unità 4 di Chernobyl?
LA CENTRALE
Intanto occorre dire che a Chernobyl erano localizzati in un unico sito 4 reattori nucleari (e due erano in costruzione al momento dell’incidente). Tutti e quattro erano BMRK 1000. Le unità 1 e 2 erano state costruite tra il 1970 ed il 1977, mentre le Unità 3 e 4 con stesso disegno erano state completate nel 1983.
Quindi l’Unità 4 di Chernobyl era un reattore RMBK – 1000 che funziona ad uranio naturale leggermente arricchito (intorno al 2%), ha la grafite come moderatore, utilizza l’acqua per il raffreddamento. Da notare ora che moderatore e refrigerante sono diversi. Inoltre questa filiera (come le altre della serie RMBK e VVER) è priva della cupola di contenimento. Riporto qui delle figure, alcune già viste, per avere ben presente le diverse caratteristiche del reattore RMBK.

Figura 1

Figura 2

Figura 3

Figura 4

Figura 5

Figura 6
La diversità tra moderatore e refrigerante gioca un ruolo di primo piano. Nei reattori a pressione VVER (e anche nei PWR occidentali), quando si perde l’acqua di raffreddamento diminuiscono le reazioni nucleari a catena perché non vengono più rallentati neutroni: in questo caso le barre di controllo sono un secondo sistema di sicurezza. Ma quando il moderatore è grafite e si perde l’acqua di raffreddamento, i neutroni continuano ad essere rallentati dalla grafite e le reazioni a catena proseguono indisturbate. In questo caso è decisivo l’inserimento rapido delle barre di controllo che assorbono neutroni. Però la velocità di inserimento delle barre dipende dalla fornitura elettrica. Ma la perdita improvvisa di acqua può originare un black-out. Cosicché diventa indispensabile un secondo sistema elettrico di emergenza che controlli separatamente ogni gruppo di barre di controllo (dalle 30 alle 36 per ogni gruppo).
Il corpo di tali reattori RBMK è costituito da circa 2500 blocchi di grafite (oltre 1500 tonnellate), che ha il ruolo di moderatore, all’interno dei quali sono ricavate le aperture nelle quali sono inseriti i canali del combustibile. Tali canali, in numero di circa 1700, sono costituiti da tubi, all’interno dei quali sono disposti, in due fasci di barre sovrapposti, gli elementi di combustibile che vengono direttamente lambiti dall’acqua refrigerante.
Il sistema di refrigerazione è costituito nel suo insieme da due circuiti indipendenti, funzionanti in parallelo, ognuno in grado di raffreddare una metà del nocciolo. Il reattore RMBK è dotato di un sistema di refrigerazione di emergenza, mentre non è dotato di un sistema di contenimento ma di un sistema di confinamento compartimentato. Si tratta in pratica di varie stanze che circondano il reattore dentro le quali si sarebbe dovuta espandere la radioattività che l’incidente massimo previsto nel progetto avrebbe rilasciato.
Vi è poi una lentezza esagerata nell’inserimento delle barre di controllo (20 secondi contro meno di 2 secondi di tutti gli altri reattori nucleari al mondo). Inoltre questi reattori non hanno barre di emergenza ad inserimento rapido. Le barre di controllo, costituite di carburo di boro, hanno all’estremità una punta in carbonio che, nella fase iniziale di inserzione delle barre, inizia ad aggiungere reattività, invece di diminuirla. La montagna di grafite del moderatore ha la proprietà di infiammarsi all’aria libera con la conseguenza di rendere facile la dispersione nell’atmosfera delle sostanze radioattive che sono a suo contatto. Infine, come accennato, i reattori RMBK non posseggono né dispositivi di purificazione delle emissioni gassose né edificio di contenimento : un simile edificio avrebbe almeno, nel peggiore dei casi, diminuito notevolmente e rallentato la fuoriuscita di radioattività nell’ambiente.
Il nocciolo è alto circa 7 metri ed ha un diametro di circa 12 metri. Vi sono 4 pompe di raffreddamento principale, una delle quali è sempre pronta ad essere azionata. Le barre di controllo sono 211.
La più importante caratteristica di questo reattore è di possedere una grande instabilità a basse potenze. Ciò significa che, se la potenza aumenta o il flusso dell’acqua diminuisce, c’è un aumento di produzione del vapore nei canali in cui è contenuto il combustibile, cosicché i neutroni che saranno stati assorbiti dall’acqua più densa, origineranno ora un numero maggiore di fissioni nel combustibile . Comunque, all’aumentare della potenza, aumenta la temperatura del combustibile e questo ha l’effetto di ridurre il flusso di neutroni (coefficiente di combustibile negativo). L’effetto complessivo di queste due opposte caratteristiche varia con il livello di potenza. Quando si opera normalmente ad alta potenza, predomina l’effetto temperatura, di modo che non hanno luogo escursioni di potenza per eccessivo surriscaldamento. Ma a potenze più basse, a meno del 20% di quella massima, l’instabilità è dominante ed il reattore diventa propenso ad improvvisi sbalzi di potenza. Questo sarà il maggior fattore che influirà sull’incidente.
Tra l’altro c’è da osservare che non si era previsto un incidente come quello poi accaduto. Data la grandezza e complessità del reattore si pensava solo a problemi localizzati in qualche barra o tubo. In tal caso si era pensato all’ inserimento di barre di controllo intorno al tubo o alla barra danneggiate; in tal modo si fermavano le reazioni da quelle parti; dopodiché sarebbe stato possibile ritirare le parti difettose senza la necessità di fermare il reattore.
C’è solo da accennare alla delicatezza della situazione politica tra i due blocchi in epoca di guerra fredda. Ciò comportò vari problemi di silenzi e mezze verità calibrate. Anche il KGB intervenne come si può leggere qui (in inglese).
L’ESPERIMENTO
Il reattore RBMK è diviso in due sezioni, ciascuna delle quali collegata ad un turbogeneratore (Figura 1). Con tale disegno è possibile fermare metà reattore con il suo turbogeneratore. Eravamo in questa condizione di fermo al 50% il 25 aprile 1986, per operazioni di normale manutenzione dell’Unità 4. Si pensò di sfruttare questo fermo per fare l’esperimento seguente: nel caso si fosse avuto un qualunque abbassamento di potenza, la turbina e l’alternatore funzionanti al minimo sarebbero stati in grado di dare potenza elettrica sufficiente per mettere in funzione i dispositivi di emergenza, le pompe per il raffreddamento dell’acqua del nocciolo, fino a che non si fossero messi in funzione i generatori diesel che avrebbero provveduto allo scopo ? Il fine di questi test era il determinare se il raffreddamento del nocciolo sarebbe stato assicurato lo stesso nel caso di abbassamenti fortuiti di potenza. Già si erano fatte precedenti prove, in altri periodi di fermo parziale del reattore, ma non si era addivenuti a conclusioni soddisfacenti. La ripetizione dell’esperimento si originava ora per aver aggiunto al sistema uno speciale generatore di campo magnetico, appunto, da provare. Quando si decise di mettere in pratica il test non vi fu coordinamento tra coloro che dovevano fare l’esperimento e coloro che erano incaricati degli impianti di sicurezza del reattore. Questi ultimi non erano stati avvertiti del test e del suo pericolo potenziale. Il programma dell’esperimento prevedeva la chiusura dei sistemi di raffreddamento di emergenza del nocciolo (ECCS), sistemi che avrebbero fornito l’acqua in caso di emergenza. Questa cosa non ebbe poi grande rilevanza per il succedersi degli eventi catastrofici, ma mostra a quale livello di incoscienza si operava relativamente a questioni di sicurezza.
Vi era invece un’altra questione alla quale non si è mai data soddisfacente risposta. Perché fare il test al momento del fermo del reattore, con il medesimo avente ancora un 75% di barre di combustibile quasi esaurite e quindi molto avvelenate dalla miriade di prodotti di fissione, cioè da isotopi radioattivi (con l’aggravante dell’avvelenamento da Xenon che discuteremo nel paragrafo seguente)? Sarebbe stato molto più adeguato il periodo successivo alla ricarica ed all’eventuale mantenimento, perché, in ogni caso, sarebbe stato necessario provare il reattore prima di immetterlo di nuovo nella rete.
L’AVVELENAMENTO DA XENON
Quando si ferma un reattore che abbia prodotti di fissione nelle barre di combustibile del nocciolo, nasce un problema molto grave in vari reattori, problema noto come avvelenamento da Xenon.
Lo Xenon 135 è un ordinario sottoprodotto di fissione dell’Uranio 235. Quando l’Uranio 235 viene colpito da un neutrone, tra le possibili reazioni vi è quella che origina l’Indio 135 che in poco più di 6 ore e mezza decade in Xenon 135, dopo una emissione β–
Un’altra emissione β– avviene dopo poco più di 9 ore e si ottiene Cesio 135. Ora si deve tener conto che questo Xenon 135 si trova in una barra di combustibile che continua a produrre fissioni. Ebbene, la probabilità che un nucleo di Xenon 135 catturi un neutrone (con una reazione che genera Xenon 136 e radiazione gamma) è circa 4000 volte maggiore di quella relativa ad un neutrone che vada a produrre una nuova fissione. Di questo inconveniente, che tenderebbe a bloccare la reazione a catena mediante l’avvelenamento delle barre di combustibile, non si deve tenere normalmente conto in un reattore che funziona a pieno ritmo perché ulteriori neutroni distruggono lo Xenon che, addirittura, non riesce neppure a decadere. Ma, se il reattore si ferma, allora si ha questo processo di avvelenamento che dura alcune decine di ore, finché non decade tutto lo Xenon (a ciò si aggiunga che vi è un altro processo che fa aumentare la percentuale di Xenon: il fatto che il decadimento dello Iodio 135 in Xenon è di circa 6, 5 ore che ha come conseguenza l’accumulo di Xenon prima che questo sia decaduto). Questo assorbimento di neutroni da parte dello Xenon impedisce la rapida rimessa in moto del reattore. Normalmente il reattore può essere rimesso in moto dopo due o tre giorni.
In relazione all’esperimento ciò significa che se la prima prova della turbina non avesse avuto successo, non si sarebbe potuta ripetere. Come ulteriore conseguenza si organizzò la prova in modo che si potesse ripetere una seconda ed anche una terza volt, mantenendo il reattore attivo a potenza ridotta. Nella relazione dei tecnici sovietici si legge che l’esperimento doveva essere realizzato con una potenza del reattore da 700 a 1000 MW termici che è circa la metà della potenza di un tale reattore in funzionamento normale (1600 MW termici). In queste condizioni, all’iniziarsi l’esperimento, i sistemi automatici avrebbero interpretato il tutto come un black out elettrico o ad una qualche emergenza ed avrebbero attivato immediatamente i generatori diesel e gli altri sistemi di emergenza in grado di attivare il sistema di raffreddamento. Ciò avrebbe interferito con la prova da realizzare e non avrebbe reso possibile la sua ripetizione. Fu allora deciso di isolare il turbogeneratore dai suoi sistemi di sicurezza automatici di emergenza (uno degli errori più gravi nella gestione della prova).
Ritornando al paragrafo precedente, credo si possa ben capire perché un test, che eventualmente potrebbe richiedere una o due ripetizioni, come quello di cui discutiamo non doveva essere fatto in alcun caso nel momento di gran parte delle barre di combustibile esaurite.
L’INCIDENTE
In accordo con il programma dell’esperimento, circa un’ora prima che esso venisse effettuato, furono chiusi gli ECCS con il reattore continuava ad operare a mezza potenza. Intorno alle ore 23:10 del 25 aprile il controllore della rete acconsentì ad una ulteriore riduzione di potenza. Vi è qui da osservare che l’esperimento andava ad iniziare con 10 ore di ritardo rispetto a quanto programmato e ciò avveniva (come un non convincente capodelegazione sovietica a Vienna, Legasov, disse) per una richiesta inattesa di energia elettrica nella regione di Kiev. Lo stesso capodelegazione disse che la cosa non aveva comunque nulla a che fare con l’incidente, anche qui in modo non convincente, quantomeno perché la sala di controllo sarebbe stata condotta da personale più esperto. C’è inoltre da tener conto bene delle date: il 25 aprile era venerdì e l’1 e 2 maggio sono feste nazionali. Con un paio di giorni da giocare è possibile fare un ponte lungo e certamente varie persone lo hanno fatto e probabilmente quelle più elevate in grado e quindi più esperte. Questo fatto, verosimilmente, aiutò lo svolgimento dei fatti nella direzione che sappiamo.
Per realizzare il test il reattore si sarebbe dovuto stabilizzare a circa 1000 MW termici prima di fermarlo ma, a seguito di un errore procedurale (dovuto probabilmente a cattiva taratura degli strumenti), le barre di controllo scesero più del previsto e la potenza del reattore precipitò a circa 30 MW termici, dove l’instabilità diventa dominante (si seguano gli eventi con l’aiuto delle figure 2, 3 e 4). In questo momento la turbina era a minima potenza e forniva intorno ai 10 MW elettrici, quantità insufficiente per far funzionare le pompe del sistema di refrigerazione (due, ciascuna delle quali richiedeva una potenza di 5,5 MW elettrici). A questo punto si sarebbe dovuta sospendere la prova e rimettere in funzione i dispositivi di emergenza. Gli operatori confidarono però di poter elevare la potenza a 700 – 1000 MW termici chiudendo i regolatori automatici e passando tutte le barre di controllo ad operazioni manuali (per evitare i sistemi automatici che lo avrebbero impedito). Solo verso l’una del 26 aprile si riuscì a stabilizzare il reattore a circa 200 MW termici e non c’era verso di aumentare questa potenza a seguito dello Xenon che mangiava neutroni. Questa potenza era insufficiente per realizzare l’esperimento. Benché ci fosse una direttiva che richiedeva un minimo di 30 barre di controllo per garantire la sicurezza del reattore, per realizzare il test, si passò ai comandi manuali e furono alzate altre barre di controllo, lasciandone solo 6-8 dentro il nocciolo. Ciò significa che se ci fosse stato un innalzamento di potenza, sarebbero occorsi circa 20 secondi per abbassare tutte le barre di controllo e spegnere il reattore. Nonostante ciò si decise di continuare il test programmato e, per farlo, fu aumentato il flusso di refrigerante (da 56000 a 58000 tonnellate l’ora) mettendo in funzione la pompa principale collegata alla rete elettrica principale (era l’una e 7 minuti), fatto (vietato dalle normative di sicurezza) che provocò una caduta della pressione del vapore e cambi in altri parametri del reattore. Il disinnesto automatico che avrebbe dovuto spegnere il reattore quando fosse scesa la pressione del vapore, risultava escluso. Per aumentare la potenza gli operatori estrassero quasi tutte le barre di controllo che restavano. Il reattore diventò molto instabile e gli operatori tentarono di fare aggiustamenti ogni 5 secondi cercando di mantenere costante la potenza. All’incirca in questo momento gli operatori ridussero il flusso dell’alimentazione di acqua, presumibilmente al fine di mantenere la pressione del vapore. Simultaneamente le pompe che erano alimentate dalla turbina che andava più lenta fornivano meno acqua di raffreddamento al reattore. Si era ora nelle condizioni di fare il test, era l’una 22 minuti e mezzo. Ogni indicazione da manuale indicava che il reattore doveva essere spento immediatamente. Iniziò il test.
La potenza del reattore si trovava ad un 12% del valore approssimativamente necessario a portare alla massima velocità di rotazione il turbogeneratore ed eravamo in queste condizioni a seguito della caduta di pressione cui accennavo. All’una 23 minuti e 4 secondi vennero chiuse le valvole regolatrici di emergenza del turbogeneratore numero 8, con ciò scollegando la turbina dal vapore. Il piano della prova prevedeva a questo punto che quattro pompe restassero in funzione con il turbogeneratore in rallentamento. E’ però difficile capire come si fosse pensata una cosa del genere. Se ogni pompa necessita 5,5 MW (e come minimo 4,3 MW) e se erano in funzione altre due pompe in totale sarebbero occorsi almeno una trentina di megawatt ed il turbogeneratore stava fornendo circa 60 MW elettrici (e non i circa 250 previsti nel progetto originale della prova che avrebbero permesso il funzionamento delle pompe per almeno 50 secondi).
Una volta iniziata la prova il turbogeneratore iniziò a decelerare. Anche il suo rendimento elettrico iniziò a scendere notevolmente. Quando il flusso di vapore cessò di arrivare alla turbina in un momento di tale instabilità (nel medesimo tempo in cui diminuiva il flusso dell’acqua in circolo), lo stesso vapore restò nel nucleo e formò rapidamente delle bolle dentro di esso. La potenza del reattore cominciò a crescere piano piano. Le bolle di vapore non sono refrigeranti di modo che gli elementi di combustibile iniziarono a surriscaldarsi. Crebbero le bolle e con esse la temperatura del nocciolo e la pressione del vapore. Diminuiva il flusso totale dell’acqua di refrigerazione perché 4 delle 8 pompe che la facevano circolare erano, come accennato, sottoalimentate a seguito della decelerazione del turbogeneratore. Ma la diminuzione dell’acqua di raffreddamento aumentò la condizione di instabilità del reattore aumentando la produzione di vapore nei canali di raffreddamento. Quando la potenza iniziò ad aumentare visibilmente, gli operatori si resero conto che era iniziata l’emergenza. All’una 23 minuti e 40 secondi iniziarono a suonare le sirene di allarme per emergenza grave al reattore. Solo 36 secondi dall’inizio della prova … già troppo tardi. Tutte le barre di controllo si trovavano alzate ed il segnale di allarme avrebbe dovuto farle abbassare automaticamente, anche se la lentezza, alla quale ho già accennato, nel moto di esse avrebbe potuto abbassare la potenza di un 5% al secondo. Non bastava! Ci si rese in seguito conto di un grave errore nel progetto delle barre di controllo, errore probabilmente alla base della prima esplosione. Le barre di controllo di boro terminavano con cilindri di alluminio di 4, 5 metri

a) nella figura: 1 è la barra di controllo di boro che assorbe neutroni ed è in posizione sollevata. Ad essa è connesso il cilindro 3 che è di alluminio pieno di grafite. Nella posizione di figura, attraverso 2 circola acqua di raffreddamento.
b) e c) rappresentano modifiche nel disegno nei reattori RBMK dopo l’incidente di Chernobyl.
di lunghezza, pieni di grafite incorporata. I cilindri di grafite giocavano un doppio ruolo: aiutavano i blocchi di grafite del reattore, attuando come ulteriori moderatori, e deviavano l’acqua dei canali di controllo quando si facevano discendere le barre. Il disegno era tale (cilindri troppo corti e situati nella sezione centrale del nucleo del reattore) che, appena dato il comando di discesa delle barre, si aveva un aumento iniziale della reattività nella parte inferiore del nucleo del reattore per i primi 4 secondi ed in quel frangente questi 4 secondi furono probabilmente fatali. Nella situazione instabile in cui ci si trovava e considerando le elevatissime temperature che si stavano producendo, i terminali di grafite, nel discendere, fusero gli elementi di combustibile che si trovavano nella parte inferiore del nucleo, provocando la distruzione locale di ogni geometria.
La potenza continuò ad aumentare spettacolarmente: in soli 3 secondi era arrivata a 530 MW. Gli operatori non furono in grado di prevenire questo eccezionale aumento, stimato in 100 volte la potenza nominale di uscita nei 4 secondi successivi (01:23:44). Le barre in discesa si bloccarono a metà strada, dopo che si udirono una serie di colpi. L’operatore si rese conto che si erano bloccate a metà cammino e tolse la corrente al servomeccanismo, in modo che le barre potessero cadere per gravità. Niente. Il disegno sbagliato, la forte pressione e l’elevatissima temperatura avevano distrutto i canali nei quali scivolavano le barre. La reazione a catena andava avanti senza essere moderata o refrigerata con la conseguenza che la temperatura del nucleo e la pressione del vapore continuavano ad aumentare insieme alla distruzione di ogni geometria fondamentale per i controlli.
Una ricostruzione al computer dell’incidente dice che a questo punto gli elementi di combustibile si andavano rompendo provocando un aumento rapido della pressione del vapore nei canali che contenevano il combustibile stesso con la conseguente distruzione dei medesimi. A questo punto l’acqua di refrigerazione non aveva più dove circolare liberamente ma solo attraverso pezzi di combustibile rotti e surriscaldati. Piccole parti di combustibile ad alta temperatura, reagendo con l’acqua, provocarono una potente esplosione del vapore che distrusse il nocciolo della centrale. Era l’una e 24 secondi, 20 secondi dopo l’inizio dell’emergenza. L’esplosione danneggiò il tetto e fece sollevare il coperchio monoblocco di acciaio della centrale, del peso di circa 2000 tonnellate (il numero 9 di figura 5). Per maggiore disgrazia, nel ricadere, questo coperchio si adagiò di fianco incastrandosi tra le opere murarie (Figura 7) e nei suoi violenti spostamenti strappò cavi e varie tubature provocando svariati danni, ormai a catena.

Figura 7
Passarono solo 2 o 3 secondi e seguì una seconda esplosione, molto più violenta. Questa volta era l’idrogeno il responsabile, idrogeno prodotto dalla reazione ad alta temperatura tra vapore e zirconio (il materiale che faceva da camicia ai tubi che contenevano le barre) e tra vapore e grafite incandescente (che produce idrogeno ed ossigeno). Tale idrogeno si era probabilmente accumulato localmente negli spazi del nocciolo liberi o liberati. Testimoni all’esterno della centrale hanno visto scagliati all’aria pezzi in fiamme che, nel ricadere, estendevano l’incendio al corpo della centrale stessa. Circa il 25% dei blocchi di grafite fu sparato all’aria in fiamme. Furono scagliati lontano anche pezzi di elementi di combustibile, parti del nocciolo e delle strutture portanti. Le spaccature nel tetto fecero da effetto camino con l’estensione ulteriore dell’incendio. Questo fu l’inizio della catastrofe. Il pennacchio di fumi, contenenti isotopi radioattivi, si alzò per oltre un chilometro sopra la centrale. I componenti pesanti di questi fumi ricaddero più o meno nelle vicinanze della centrale, ma i componenti leggeri, i gas, iniziarono la loro marcia per l’Europa iniziando dal Nord-Est della centrale, dove i venti prevalenti spingevano . Sparito il refrigerante, sparito ogni controllo, finita la geometria del reattore, in qualche parte proseguiva la reazione a catena perché vi era Uranio 235 ed un moderatore (grafite) ancora efficienti (la cosa non sarebbe accaduta in un VVER o PWR perché la perdita del refrigerante avrebbe coinciso con la perdita del moderatore). Saliva la temperatura ed il nocciolo stava fondendo in una massa unica nella quale proseguiva e sarebbe proseguita per molto tempo la reazione a catena. Il nocciolo intanto penetrava nel suolo per oltre 4 metri. Ormai c’era solo da tentare qualche operazione che alleviasse il completo disastro. Oltre cento incendi erano scoppiati nelle adiacenze della centrale. Occorreva fermarli, spegnere la grafite. Non si dimentichi che, a lato dell’Unità 4 vi erano altri 3 reattori funzionanti e che una estensione del disastro sarebbe stata un’apocalisse. Inoltre tutti sapevano che non si aveva a che fare con semplici esplosioni di natura chimica: ora ad esse si sarebbe accompagnata una radioattività incontrollabile e disastrosa. Negli elementi di combustibile dei 4 reattori vi erano oltre 3000 Kg di plutonio e 700 tonnellate di Uranio ed una infinita di isotopi radioattivi ottenuti come prodotti di fissione delle successive reazioni nucleari. Nessuno sapeva bene come impedire o arginare la catastrofe. Centinaia di pompieri intervenuti dalla vicina Pripyat si sacrificarono, essendo esposti per primi ad enormi dosi di radioattività, per tentare lo spegnimento degli incendi (tra l’altro questi uomini intervennero con attrezzature del tutto inadeguate: non avevano vestiti speciali che li coprissero completamente, non avevano maschere con filtri efficienti, non avevano dosimetri adeguati, …). Ci vollero una ventina di giorni per venire a capo di tutti gli incendi. Ma già a partire dal decimo giorno le emissioni radioattive erano diminuite di molto dopo che si era riusciti a spegnere la grafite (l’incendio della quale pone particolarissimi problemi), il cui fuoco era il maggior responsabile del lancio di radionuclidi in atmosfera. E’ stato calcolato che nelle primissime ore le esplosioni hanno lanciato nell’atmosfera 20 milioni di curie di materiali radioattivi e quasi la stessa quantità di gas radioattivi inerti come Xenon 133 e Kripton 85 (per orientarsi sulle unità di misura di grandezze radiologiche si può, nel sito, vedere qui).
IL DISASTRO
Appena spenti gli incendi, l’Unità 4 si presentava come nelle Figure da 9 a 12:

Figura 8

Figura 9

Figura 10

Figura 11

Figura 12
Il fatto grave non era questa distruzione in sé, ma che dentro quelle macerie vi era ancora un nocciolo, ora a contatto con l’atmosfera, che andava avanti con la reazione nucleare e buttava ai capricci atmosferici montagne di isotopi radioattivi. L’azione successiva allo spegnimento degli incendi fu quindi quella di seppellire quella sorgente di radioattività in un sarcofago, gettandovi sopra 300.000 tonnellate di cemento e 100.000 tonnellate di strutture metalliche, come mostrato nelle figure 13 e 14. Tutto questo avveniva con la continua minaccia di ulteriori esplosioni, poiché la

Figura 13

Figura 14
reazione a catena continuava e sarebbe continuata per moltissimi anni (dentro il nocciolo vi erano 135 mila tonnellate di Uranio oltre a Plutonio ed a molti altri elementi pesanti). Fu una spedizione, la COMPLEX, con a capo Alexander Borovoi che tentò di capire il che fare. Per sei mesi si cercò disperatamente al di sotto del nucleo con dei tunnel per localizzare il combustibile nucleare e finalmente capire quanto ne era rimasto. Alcuni robot, con grandissime difficoltà dovute a rotture e detriti lungo il cammino, riuscirono a filmare alcune cose. Iniziarono a lavorare anche migliaia di soldati dell’Armata Rossa (600.000) per la raccolta di sostanze radioattive sparpagliate da gettare nel buco che successivamente sarebbe stato chiuso. Il lavoro era di solo un minuto a fronte di un assorbimento di dose di 1 rem. Solo dopo l’eliminazione di tutto questo materiale radioattivo sparpagliato, fu iniziata la costruzione del sarcofago. Si lavorava in gran fretta: se la pioggia fosse penetrata nel nucleo avrebbe potuto produrre altre esplosioni. Il sarcofago fu definitivamente sigillato alla fine del 1986. La ricerca del combustibile nucleare non era però conclusa. Dove era finita quella montagna di materiale che continuava le reazioni ? Nel dicembre 1986, nei sotterranei del blocco 4 si scoprì una grande massa di materiale estremamente radioattivo. Una telecamera mobile su un robot fu avvicinata ad una massa gigantesca fusa con una forma a zampa di elefante che, all’inizio non si riusciva a capire cosa fosse. Il diametro della zampa era di 2 metri ed il peso stimato in molte tonnellate (da essa fuoriuscivano 10.000 rem/ora). Avvicinarsi ad essa avrebbe significato morte certa. Si cercò, inutilmente, di prelevare un campione di questa massa. Si pensò allora di sparare contro di essa alcuni colpi di mitragliatrice per scalfirla. Il tentativo ebbe successo. Si riuscirono a prelevare dei campioni e, dalla simultanea rottura della parte superiore della zampa, si scoprì che essa aveva una struttura a strati del tipo corteccia di un albero. Le analisi sui campioni mostravano che si trattava di sabbia fusa in cristallo dall’enorme calore emanato dal nocciolo, sabbia mescolata a combustibile nucleare. Si individuò in questo modo una prima fuga di combustibile mancante. Come era arrivato laggiù quell’ammasso? Si salì di livello, alla sala 207/5 per perforare, con un foro del diametro di 2o centimetri, i 3 metri di cemento armato che avrebbero immesso all’ambiente in cui era alloggiato il nocciolo. Furono usati degli ingegneri petroliferi che trapanarono per 18 mesi per raggiungere il locale cercato (estate 1988). Ciò che si vide, con una piccola telecamera, fu un qualcosa che nessuno aveva previsto: non c’era traccia di combustibile nucleare. Dove si trovava ? Anche il 5% di un nucleo intatto può mantenere una reazione a catena. Si cercò nei sotterranei più profondi, da dove emanava calore. Attraverso una fenditura, anche qui con la piccola telecamera, si intravide una grande massa. Per un anno si lottò per entrare in questa sala attigua al reattore. Molta distruzione ma nessuna traccia del combustibile nucleare. Gli scienziati che riuscirono ad entrare trovarono una lastra enorme di cemento armato che presentava crepe dalle quali fuoriusciva lava. Vi erano cristalli gialli incastonati su fondo nero. Questi cristalli vennero battezzati cernobylite. Di ritorno ci si rese conto che il reattore era sprofondato per 4 metri. Si iniziò quindi a capire cosa era accaduto:
– le prime esplosioni fecero saltare il coperchio
– fecero anche sprofondare il reattore di 4 metri
– il combustibile fuso scendeva verso il basso inondando le sale sottostanti mescolandosi fortunatamente con la sabbia che, in grossa quantità, era sistemata intorno al reattore. Nello scendere si era via via raffreddato
– con il combustibile imprigionato in questa sostanza vetrosa, scendeva la probabilità di nuova reazione.
Naturalmente, oltre a questi aspetti drammatici, vi furono conseguenze sanitarie impressionanti che ancora oggi hanno strascichi agghiaccianti e penosi. Non entrerò in questi dettagli ma rimando ad uno studio di due ricercatori dell’Enea- Casaccia, Mauro e Padovano, che gli interessati possono leggere qui ed allo studio (in inglese) della NEA, l’Agenzia Nucleare Francese, che si può leggere qui.
Un’analisi dell’incidente con argomenti aggiuntivi a quelli da me trattati si può trovare qui.
Uno studio dell’incidente della world-nuclear.org si può, infine, trovare qui.
BIBLIOGRAFIA
1) IAEA – Boards of Governors: Post Accident review Meeting, Gov/2268, 16 settembre 1986.
2) Z. A. Medvedev – The legacy of Chernobyl – Basil Blackwell, Oxford 1990.
3) I vari lavori dei link proposti.
A fine aprile 2006 ho aggiornato lo spazio dedicato a Chernobyl con:
– L’analisi di LegAmbiente a 20 anni dal disastro
– Importanti Dossier di ONU, IAEA, Green Peace, di uno scienziato che denuncia imbrogli ed altro
Nel cuore di questa struttura concentrica si trovano le barre che contengono il combustibile: tubi di acciaio dal diametro di un centimetro e lunghi quattro metri al cui interno si trova il combustibile in forma di pastiglie.
Il sistema è progettato in modo che il combustibile resti confinato all’interno delle barre, che per questo motivo possono essere considerate la prima struttura di confinamento.
Le barre di combustibile sono a loro volta racchiuse e protette da una struttura di acciaio (vessel): è il contenitore più interno dell’edificio che racchiude il reattore.
Il vessel d’acciaio è racchiuso in un guscio di cemento armato dalla forma che ricorda quella di un’ampolla. Tra questo contenitore e il vessel si trovano le tubazioni e tutti i sistemi che assicurano l’ingresso e la fuoriuscita dell’acqua di raffreddamento.
Il vessel di acciaio e il suo guscio di cemento armato sono a loro volta racchiusi in una gabbia di calcestruzzo e acciaio nella quale si trovano le vasche per lo stoccaggio del combustibile, i servizi ausiliari e la vasca di abbattimento dell’accumulo di pressione. E’ la parte superiore di questo edificio ad essere crollata nei reattori 1 e 3 della centrale di Fukushima 1.
”Questa filosofia di costruzione, comune a tutte lecentrali di seconda generazione si basa sulla concezione della difesa in profondità, secondo la quale il combustibile non deve essere assolutamente rilasciato nell’ambiente”, spiega Emilio Santoro, dell’Enea.
Una filosofia che non esisteva affatto all’epoca della progettazione della centrale a grafite di Chernobyl. In quella centrale il primo guscio, ossia il vessel che racchiude le barre di combustibile, era completamente scoperto ed era inserito in un edificio normale.
La filosofia del contenimento in profondità è invece alla base delle centrali di terza generazione, come quelle che si vogliono costruire in Italia, ma con alcune ulteriori misure di contenimento rispetto alle centrali di seconda generazione. Rispetto a queste ultime, le centrali Epr (European pressurized water reactor) hanno un ulteriore involucro metallico intorno al primo guscio che contiene le barre di combustibile. ”E’ un contenimento a tenuta – spiega Santoro – contro eventuali perdite dal circuito primario”.
Sempre rispetto alle centrali di seconda generazione, le Epr hanno in più una vasca che permette l’abbattimento della temperatura nel caso di eventuale fusione del materiale. In seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, si sta pensando (ma è ancora un’idea) a rafforzare ulteriormente l’edificio dei reattori Epr con una doppia parete in cemento armato, abbastanza robusta da contenere l’impatto di un grande aereo di linea.
FUKUSHIMA 1
La centrale Fukushima I, per la quale é stata dichiarata la prima emergenza nucleare ufficiale in Giappone, è uno dei 25 impianti nucleari più grandi del mondo. Gestita dalla Tokyo Electric Power Company (Tepco), la centrale si trova nella città di Okuma, a circa 200 chilometri da Tokyo, nella prefettura di Fukushima ed è costituita da sei unità separate fra loro, che complessivamente hanno una produzione di 4,7 GW. A circa 11 chilometri dalla centrale di Fukushima I si trova un altro impianto nucleare, quello di Fukushima 2.
Al momento del terremoto erano in funzione tre dei sei reattori, che si sono spenti automaticamente, mentre gli altri tre erano fermi per manutenzione. Si tratta di centrali del tipo BWR (Boiling water reactor), un modello progettato negli Stati Uniti negli anni ’50. La costruzione dell’impianto giapponese è cominciata a partire dal 1966 e la centrale è diventata operativa nel 1971. Le centrali del tipo Bwr utilizzano acqua demineralizzata per raffreddare il reattore. Il calore prodotto dal processo di fissione nucleare che avviene all’interno del reattore viene raffreddato dall’acqua che, riscaldandosi, vaporizza. Il vapore così ottenuto viene utilizzato per azionare una turbina e quindi viene fatto condensare e torna ad essere acqua allo stato liquido che rientra in circolo nel reattore.
I gusci che proteggono il nocciolo
15 marzo, 19:08
E’ racchiuso in un guscio formato da tre strati, come una sorta di matrioska, il reattore delle centrali nucleari ad acqua bollente Bwr (Boiling water reactor), come quella di Fukushima 1. Nel cuore di questa struttura concentrica si trovano le barre che contengono il combustibile: tubi di acciaio dal diametro di un centimetro e lunghi quattro metri al cui interno si trova il combustibile in forma di pastiglie. Il sistema e’ progettato in modo che il combustibile resti confinato all’interno delle barre, che per questo motivo possono essere considerate la prima struttura di confinamento. Le barre di combustibile sono a loro volta racchiuse e protette da una struttura di acciaio (vessel): e’ il contenitore piu’ interno dell’edificio che racchiude il reattore. Il vessel d’acciaio e’ racchiuso in un guscio di cemento armato dalla forma che ricorda quella di un’ampolla. Tra questo contenitore e il vessel si trovano le tubazioni e tutti i sistemi che assicurano l’ingresso e la fuoriuscita dell’acqua di raffreddamento. Il vessel di acciaio e il suo guscio di cemento armato sono a loro volta racchiusi in una gabbia di calcestruzzo e acciaio nella quale si trovano le vasche per lo stoccaggio del combustibile, i servizi ausiliari e la vasca di abbattimento dell’accumulo di pressione. E’ la parte superiore di questo edificio ad essere crollata nei reattori 1 e 3 della centrale di Fukushima 1. ”Questa filosofia di costruzione, comune a tutte le centrali di seconda generazione si basa sulla concezione della difesa in profondita’, secondo la quale il combustibile non deve essere assolutamente rilasciato nell’ambiente”, spiega Emilio Santoro, dell’Enea. Una filosofia che non esisteva affatto all’epoca della progettazione della centrale a grafite di Chernobyl. In quella centrale il primo guscio, ossia il vessel che racchiude le barre di combustibile, era completamente scoperto ed era inserito in un edificio normale. La filosofia del contenimento in profondita’ e’ invece alla base delle centrali di terza generazione, come quelle che si vogliono costruire in Italia, ma con alcune ulteriori misure di contenimento rispetto alle centrali di seconda generazione. Rispetto a queste ultime, le centrali Epr (European pressurized water reactor) hanno un ulteriore involucro metallico intorno al primo guscio che contiene le barre di combustibile. ”E’ un contenimento a tenuta – spiega Santoro – contro eventuali perdite dal circuito primario”. Sempre rispetto alle centrali di seconda generazione, le Epr hanno in piu’ una vasca che permette l’abbattimento della temperatura nel caso di eventuale fusione del materiale. In seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, si sta pensando (ma e’ ancora un’idea) a rafforzare ulteriormente l’edificio dei reattori Epr con una doppia parete in cemento armato, abbastanza robusta da contenere l’impatto di un grande aereo di linea.
I sei reattori di Fukushima 1
13 marzo, 16:04
ROMA – Fukushima I e’ un complesso che comprende sei impianti nucleari, piu’ altri due in fase di costruzione. Dei sei impianti, soltanto tre (quelli indicati con i numeri 1, 2 e 3) erano in funzione al momento del terremoto di venerdi’ scorso, mentre gli altri erano spenti per manutenzione. All’indomani del problema di raffreddamento nel reattore numero 1, nel reattore numero 3 si sono manifestati problemi simili e l’accumulo di calore ha portato alla rottura delle barre di combustibile. Tutti e tre i reattori in funzione si sono spenti automaticamente in seguito al terremoto e il problema nell’impianto 1 e’ nato quando e’ stato danneggiato il sistema di emergenza che garantisce il raffreddamento del reattore ed evita cosi’ il pericoloso surriscaldamento che in condizioni estreme potrebbe portare alla fusione del materiale combustibile. Si e’ deciso cosi’ evitare l’accumulo di calore con il rilascio controllato di vapore e in seguito, come previsto in questi casi, si e’ deciso di utilizzare l’acqua di mare per il raffreddamento. In questi casi con il vapore fuoriescono dalla centrale isotopi radioattivi e questo sta accadendo anche nel reattore 3 in seguito alla rottura delle basse di combustibile, con il rilascio di iodio 131.
Gestita dalla Tokyo Electric Power Company (Tepco), la centrale si trova nella citta’ di Okuma, a circa 200 chilometri da Tokyo, nella prefettura si Fukushima. La sua costruzione e’ cominciata nel 1966 e il primo impianto e’ entrato in attivita’ nel 1971. I sei impianti sono del tipo BWR (Boiling water reactor), sono stati progettati dall’americana General Electric e dalla Hitachi e complessivamente producono oltre 4.500 MW. Le centrali di questo tipo utilizzano acqua demineralizzata per raffreddare il reattore. Il calore prodotto dal processo di fissione nucleare che avviene all’interno del reattore viene raffreddato dall’acqua che, riscaldandosi, vaporizza. Il vapore cosi’ ottenuto viene utilizzato per azionare una turbina e quindi viene fatto condensare e torna ad essere acqua allo stato liquido che rientra in circolo nel reattore. Al momento del terremoto negli impianti 1, 2 e 3 sono scattate le valvole di isolamento del reattore ed e’ stato cosi’ interrotto il flusso di vapore alle turbine. Da da quel momento il reattore e’ stato isolato dal resto della centrale e in questo casi il raffreddamento e’ garantito da un sistema di emergenza, azionato da generatori diesel. L’acqua necessaria dal sistema di emergenza e’ prelevata da grandi serbatoi interni all’edificio del reattore e: il valore prodotto viene condensato all’interno dell’impianto e rimesso in circolo. Se questa situazione si protrae a lungo, come e’ avvenuto ieri nell’impianto 1, per evitare l’accumulo di pressione il vapore puo’ essere scaricato all’esterno (come e’ avvenuto ieri) su autorizzazione dell’autorita’ locale per la sicurezza nucleare.
Che accade con rottura barre uranio
13 marzo, 16:02
ROMA – La rottura delle barre di combustibile può provocare la fuoriuscita dall’impianto di isotopi radioattivi come iodio 131. Fin da ieri, a quanto si apprende, é stata rilevata la presenza di iodio 131 e cesio 137 a concentrazioni che gli esperti hanno definito “non preoccupanti”, con un “rateo di dose al confine dell’impianto di circa 500 microsievert/ora”. La rottura delle barre di combustibile è avvenuta molto probabilmente a causa di uno stress termico, dovuto all’accumulo di calore. Le barre di combustibile sono tubi di acciaio dal diametro di un centimetro e lunghi quattro metri; al loro interno si trova il combustibile in forma di pastiglie. Nel caso di rottura delle barre, gli isotopi radioattivi dei quali è pieno il combustibile possono fuoriuscire e passare nell’acqua di raffreddamento e da qui nel vapore che viene scaricato all’esterno dell’impianto.
Emergency Core Cooling Systems
The emergency core cooling systems (ECCS) provide core cooling under loss of coolant accident
conditions to limit fuel cladding damage. The emergency core cooling systems consist of two high
pressure and two low pressure systems. The high pressure systems are the high pressure coolant
injection (HPCI) system and the automatic depressurization system (ADS). The low pressure systems
are the low pressure coolant injection (LPCI) mode of the residual heat removal system and the core
spray (CS) system.
The manner in which the emergency core cooling systems operate to protect the core is a function of the
rate at which reactor coolant inventory is lost from the break in the nuclear system process barrier. The
high pressure coolant injection system is designed to operate while the nuclear system is at high pressure.
The core spray system and low pressure coolant injection mode of the residual heat removal system are
designed for operation at low pressures. If the break in the nuclear system process barrier is of such a
size that the loss of coolant exceeds the capability of the high pressure coolant injection system, reactor
pressure decreases at a rate fast enough for the low pressure emergency core cooling systems to
commence coolant injection into the reactor vessel in time to cool the core.
Automatic depressurization is provided to automatically reduce reactor pressure if a break has occurred
and the high pressure coolant injection system is inoperable. Rapid depressurization of the reactor is
desirable to permit flow from the low pressure emergency core cooling systems so that the temperature
rise in the core is limited to less than regulatory requirements.
If, for a given break size, the high pressure coolant injection system has the capacity to make up for all
of the coolant loss, flow from the low pressure emergency core cooling systems is not required for core
cooling protection until reactor pressure has decreased below approximately 100 psig.
The performance of the emergency core cooling systems as an integrated package can be evaluated by
determining what is left after the postulated break and a single failure of one of the emergency core
cooing systems. The remaining emergency core cooling systems and components must meet the 10 CFR
requirements over the entire spectrum of break locations and sizes. The integrated performance for
small, intermediate, and large sized breaks is shown on pages 3-11 and 3-12.
http://www.iaea.org/newscenter/news/tsunamiupdate01.html
(vi sono tutti i comunicati del Governo giapponese all’ente mondiale di controllo)
Japan Earthquake Update (16 March 2011, 03:55 UTC)
Japanese authorities have informed the IAEA that a fire in the reactor building of Unit 4 of the Fukushima Daiichi nuclear power plant was visually observed at 20:45 UTC of 15 March. As of 21:15 UTC of the same day, the fire could no longer be observed.
Fire of 14 March
As previously reported, at 23:54 UTC of 14 March a fire had occurred at Unit 4. The fire lasted around two hours and was confirmed to be extinguished at 02:00 UTC of 15 March.
Water Level in Uunit 5
Japanese authorities have also informed the IAEA that at 12:00 UTC of 15 March the water level in Unit 5 had decreased to 201 cm above the top of the fuel. This was a 40 cm decrease since 07:00 UTC of 15 March. Officials at the plant were planning to use an operational diesel generator in Unit 6 to supply water to Unit 5.
The IAEA continues to liaise with the Japanese authorities and is monitoring the situation as it evolves.
| Fukushima Daiichi 1 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 439 MWe Operable. Initial criticality: 10/1970. Commercial start: 03/1971. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: General Electric Co. Steam Generator Supplier: General Electric Co. Architecture: Ebasco Construction: Kajima Fukushima Daiichi 2 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 760 MWe Operable. Initial criticality: 05/1973. Commercial start: 07/1974. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: General Electric Co. Steam Generator Supplier: General Electric Co. Architecture: Ebasco Construction: Kajima Fukushima Daiichi 3 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 760 MWe Operable. Initial criticality: 09/1974. Commercial start: 03/1976. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: Toshiba Steam Generator Supplier: Toshiba Architecture: Toshiba Construction: Kajima Fukushima Daiichi 4 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 760 MWe Operable. Initial criticality: 01/1978. Commercial start: 10/1978. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: Hitachi Steam Generator Supplier: Hitachi Architecture: Hitachi Construction: Kajima Fukushima Daiichi 5 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 760 MWe Operable. Initial criticality: 08/1977. Commercial start: 04/1978. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: Toshiba Steam Generator Supplier: Toshiba Architecture: Toshiba Construction: Kajima Fukushima Daiichi 6 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 1067 MWe Operable. Initial criticality: 03/1979. Commercial start: 10/1979. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: General Electric Co. Steam Generator Supplier: General Electric Co. Architecture: Ebasco Construction: Kajima |
Come tutti sappiamo, a seguito del violentissimo “terremoto di Sendai” (e successivo tsunami) in data 11 marzo 2011 (magnitudo Richter 9.0 ; il più potente sisma mai misurato in Giappone ed il quarto più forte di sempre) la centrale elettronucleare giapponese “Fukushima Daiichi (Fukushima I)” ha subito danni.
La centrale è situata nella città di Okuma (Distretto di Futaba della Prefettura di Fukushima) e sono presenti 6 reattori di tipo BWR.
Inoltre a circa 10 km è situata anche una seconda centrale elettronucleare “Fukushima Daini Fukushima II)”, dotata di 4 reattori di tipo BWR.
Entrambe queste centrali sono gestite dalla società “Tokyo Electric Power” (TEPCO).
Si precisa che la redazione del corposo documento è terminata in data del 15 marzo: visto il continuo succedersi di eventi in Giappone, il documento non può ovviamente tener conto di eventuali evoluzioni successive a questa data. Tuttavia la presenza di aspetti squisitamente tecnici permette a questo documento di rimanere interessante per il dibattito tecnico, indipendentemente dall’ evoluzione dei fatti in Giappone.
L’ autore Vincenzo Romanello è ingegnere nucleare, con dottorato di ricerca in ingegneria dei materiali. Attualmente è ricercatore nucleare presso il “Karlsruhe Institute of Technology” (KIT – Germania). E-mail: vincenzo_romanello(chiocciola)tiscali.it.
Segue testo del documento inviatoci.
Cenni sulle caratteristiche tecniche dei reattori BWR e sull’incidente nucleare di Fukushima-Daiichi-1 – di V. Romanello (15 marzo 2011)
La centrale nucleare di Fukushima-Daiichi si trova nella città di Okuma, nel distretto Futaba, prefettura di Fukushima, in Giappone. Essa consiste di 6 unità ad acqua bollente (BWR), per una potenza complessiva pari a 4700 MegaWatt (sufficienti ad alimentare oltre 1 milione e mezzo di abitazioni). L’unità Fukushima-I-1 fu la prima ad essere costruita ed esercita dalla “Tokyo Electric Power Company” (TEPCO), con una potenza pari a 460 MW elettrici (ovvero piuttosto ridotta, se si pensa che l’EPR in costruzione in Finlandia ha una potenza prevista di 1600 MWe). L’unità 1, di tipo BWR-3, fu iniziata ad essere costruita nel luglio 1967, ed iniziò l’esercizio il 26 marzo del 1971 – ovvero prima delle esperienze dei due più grossi incidenti nucleari che hanno avuto luogo, ovvero Three Mile Island (1979, USA) e Chernobyl (1986, URSS).
L’11 marzo 2011, alle ore 14:46 ora di Tokio (le 6:46 del mattino in Italia) il Giappone è stato colpito da un sisma di magnitudo 9,0 sulla scala Richter, con epicentro nell’Oceano Pacifico a 130 km dalle coste giapponesi e 24 km di profondità. In altri termini si è stimata una liberazione di energia pari a 3,9·10^22 joules, pari a 9,3 teraton (1 teraton = 1000 miliardi di tonnellate di TNT), ossia oltre 450 milioni di volte la potenza della bomba atomica che devastò Hiroshima. Se tale energia venisse “distribuita” sulla faccia della terra uniformemente sui continenti emersi basterebbe per distruggere l’intero pianeta per oltre 30 volte. In conseguenza dell’evento si sono sollevate delle onde anomale (tsunami) che hanno investito in pieno le coste del Giappone, causando ingentissimi danni umani e materiali, ancora in corso di quantificazione; pare siano arrivate onde di 2 metri di altezza fino al Cile, distante 17.000 km dall’epicentro (si noti che la massima distanza possibile sulla superficie terrestre si aggira sui 20.000 km).
Da notare che inizialmente la vita prevista degli impianti nucleari veniva assunta pari a 40 anni, quindi tale unità avrebbe dovuto essere spenta quest’anno. Tuttavia la tendenza attuale nel mondo occidentale è quella di allungare la vita di questi impianti di 10-20 anni, date le pessimistiche stime iniziali sulla vita utile dei componenti.
La maggioranza degli impianti nucleari costruiti nel mondo sono ad acqua leggera (LWR: Light Water Reactors), ovvero l’acqua ordinaria, al contrario di altri (la minoranza) – di realizzazione canadese – moderati con acqua pesante (ovvero con l’isotopo pesante dell’idrogeno, contenuto nella misura di una parte su 6000 nell’acqua ordinaria).
Di questi alcuni sono ad acqua pressurizzata (PWR: Pressurized Water Reactor), come la totalità dei sistemi realizzati in Francia tanto per intenderci, altri (circa il 25%) ad acqua bollente (BWR: Boiling Water Reactor) – come appunto le sei unità realizzate nel sito di Fukushima. Non volendo queste brevi note assumere carattere esaustivo sull’argomento, ci concentreremo brevemente solo sui sistemi ad acqua bollente.
In Fig. 1 è riportato uno schema di funzionamento di un reattore BWR.
Un contenitore di acciaio legato rivestito di acciaio inox (eccetto il coperchio, che viene a contatto col vapore saturo secco) dello spessore di circa 16 cm contiene il nocciolo del combustibile nucleare (il cosiddetto ‘core’), dove avviene la reazione nucleare di fissione, attraverso la quale gli atomi di uranio vengono scissi in atomi più leggeri con conseguente liberazione di grandi quantità di energia termica. Questa viene ceduta ad un flusso di acqua che scorre dal basso ad opera di pompe, che conseguentemente si scalda, mantenendo il combustibile nucleare a temperatura costante. L’acqua funge in tale sistema quindi sia da refrigerante che da moderatore dei neutroni prodotti dalla reazione di fissione (ovvero questi ultimi, generati ad alta energia, perdono velocità per successivi scontri con gli atomi di idrogeno dell’acqua fino a raggiungere un livello cosiddetto ‘termico’, al quale aumenta la loro probabilità di innescare ulteriori fissioni e consentire quindi il mantenimento della reazione nucleare a catena – si parla in questo caso di ‘reattore critico’).
Secondo il design il 14,7% dell’acqua viene vaporizzata (di più non si potrebbe sia perché col vapore sarebbe molto più complesso raffreddare gli elementi di combustibile, sia perché esso non modererebbe efficacemente i neutroni); si passa poi ai separatori ed agli essiccatori, che rimuovono il contenuto di acqua dal vapore (attraverso dei percorsi prestabiliti ‘a trappola’), al fine di inviare in turbina vapore privo della fase liquida (che, diversamente, porterebbe ad una rapida usura delle palette della turbina). Nelle unità più datate, come il BWR-3, il vapore non viene inviato direttamente in turbina, bensì si passa da un generatore di vapore intermedio. La pressione viene mantenuta intorno alle 70 atmosfere (ovvero circa 70 kg/cm2).

Fig.1 – Schema di un reattore nucleare ad acqua bollente (BWR)
Sono visibili nello schema in Fig.1 inoltre una serie di ingressi per spray da attivare per la refrigerazione d’emergenza del reattore. In accordo col ciclo termodinamico il vapore inviato in turbina viene ricondensato e rispedito nel reattore; la turbina, è collegata a sua volta ad un alternatore il quale ha il compito di trasformare il suo movimento rotatorio in energia elettrica – con lo stesso principio di funzionamento della dinamo di una bicicletta, tanto per intenderci (Fig.2). Dato che nella parte alta del reattore sono situati separatori del vapore, le barre di controllo – ossia quelle barre costituite da un elemento che “mangia i neutroni” e che quindi spegne la reazione nucleare – sono inserite dal basso, azionate da sistemi idraulici.
Come già detto il reattore Fukushima-I-1 è del tipo BWR-3, mentre le unità 2 e 3 sono dei BWR-4. La versione attuale dei BWR è la 6 – ogni nuovo prototipo proposto dalla “General Electric” è stato caratterizzato da rilevanti innovazioni. Purtroppo le innovazioni più importanti riguardanti la sicurezza degli impianti furono introdotte a partire dai BWR-5, di cui il primo reattore entrò in funzione solo nel 1977 (Tokai-2).
Bisogna dire che gli impianti vengono progettati per resistere alla massima sollecitazione sismica credibile; gli accelerometri (ossia quei meccanismi che inviano un segnale proporzionale alle accelerazioni del suolo) segnalano l’evento sismico e causano lo spegnimento del reattore (lo “shutdown”, come si dice con termine tecnico) – evento che infatti si è regolarmente verificato negli impianti di Fukushima. Ciò avviene con l’uso delle barre di controllo, che vengono completamente inserite. Anche in caso di malfunzionamento di queste ultime si inietta nel circuito del boro (un elemento che cattura molto efficacemente i neutroni, impedendo la sostentazione delle reazioni nucleari di fissione) attraverso dei sistemi a bassa pressione – ovvero quando la pressione nei circuiti cala, a causa di una rottura ad esempio, un recipiente in pressione apre una opportuna valvola che immette la soluzione borata nel circuito. Nei BWR-4 è prevista poi una piscina di soppressione della pressione: ovvero un deposito di acqua che viene prelevata ed immessa nel cuore del reattore in caso di incidente per consentire il suo raffreddamento. Dei tubi di sfiato consentono altresì, in caso di eccessivo sviluppo di vapore per cause incidentali, di convogliare quest’ultimo nella “piscina di soppressione” (ossia di far condensare il vapore in una piscina di acqua, riducendone drasticamente il volume e quindi, di conseguenza, la pressione).
Ma perché si deve continuare a raffreddare il nocciolo anche dopo aver spento il reattore?

Fig.2 – Schema del ciclo termodinamico di un reattore nucleare ad acqua bollente (BWR)
Il punto nodale è che arrestata la reazione nucleare, rimangono nel nocciolo i prodotti radioattivi della fissione nucleare, che decadendo, continuano a generare calore. Immediatamente dopo lo spegnimento la generazione di calore è dell’ordine del 6,2%, dopo un’ora si continua a generare ancora l’1,3% del calore prodotto durante il normale esercizio, che si riduce a circa lo 0,49% dopo un giorno. Tale calore non può essere annullato, se non facendo passare del tempo e tenendo refrigerato il nocciolo nel frattempo. Nel caso dell’unità 1 di Fukushima-I ad esempio, della potenza elettrica di 460 MW, dato un rendimento dell’ordine del 33%, si avrà una potenza termica a regime pari a circa 1380 MW, l’1% dei quali equivale a 13,8 MW – equivalenti, tanto per capirci, alla potenza termica di oltre 450 caldaie da 30 kW per uso domestico; facili calcoli dimostrano (considerando ad esempio un “fuel inventory” di 60 tonnellate) come tale potenza, in caso il calore non venisse rimosso in alcun modo (cosa che fortunatamente non avviene) porterebbe il combustibile ad aumentare la sua temperatura di circa 1 grado al secondo, portando quindi gli elementi di combustibile oltre i 1000 °C entro una decina di minuti (nel normale esercizio si lavora intorno ai 300 °C). E’ chiaro dunque che questa potenza deve venire asportata: pena l’innalzamento della temperatura, con conseguente ebollizione dell’acqua, e successiva fusione degli elementi di combustibile. Si tenga presente inoltre che le norme prescrivono espressamente che la temperatura delle incamiciature (che contengono le pastiglie di ossido di uranio: il combustibile nucleare), anche in caso di incidente, non superi i 2200 gradi fahrenheit (ovvero i 1200 gradi centigradi), altrimenti la lega di cui sono costituite (lo zircaloy-2, a base di zirconio, con aggiunte di stagno, ferro, cromo, nichel ed afnio) inizia una reazione esotermica con l’acqua e sviluppa idrogeno, gas notoriamente pericoloso perché altamente infiammabile ed esplosivo. Appare evidente comunque che in nessun caso una esplosione nucleare sia possibile – giacché se viene a mancare l’acqua, ovvero il mezzo che modera i neutroni, la reazione nucleare non può che estinguersi, tanto più se viene modificata la geometria e si introducono nel sistema delle sostanze assorbitrici di neutroni; le esplosioni avvenute nelle centrali giapponesi (come del resto anche quella avvenuta a Chernobyl) sono state di natura chimica.
Questo non deve comunque portare a sottovalutare i rischi, giacché in questo modo si possono agevolmente liberare i prodotti di fissione volatili ed altamente radioattivi, come ad esempio i gas nobili (kripton e xenon), il cesio-137, lo iodio-131.
Un incidente come quello di Chernobyl, in ogni caso, si deve dire che risulta impossibile: in quel caso, dopo l’esplosione dell’idrogeno accumulato (che fu potentissima) ci fu l’incendio della grafite che fungeva da moderatore, che disperse i prodotti radioattivi nell’alta atmosfera per “effetto camino”; nelle centrali giapponesi non si trova grafite, bensì solo acqua, fungendo questa sia da mezzo refrigerante che da moderatore neutronico, come già discusso.
Essendo l’idrogeno più leggero dell’acqua, pare si sia accumulato nel contenimento secondario (si veda la Fig. 3), dove è esploso. Al momento, le notizie disponibili non riportano di danni al contenitore primario.
Le autorità nipponiche hanno dapprima cercato di ridurre la pressione all’interno del contenimento aprendo le valvole di sfogo, rilasciando in atmosfera vapore debolmente radioattivo; questa misura non si è rivelata sufficiente però, per cause che dovranno essere chiarite. Lo sviluppo di idrogeno e la sua conseguente deflagrazione ha complicato lo scenario, suggerendo un principio di “meltdown” – ossia la fusione delle barre di combustibile, considerato uno degli scenari peggiori possibili. Bisogna dire però che nel frattempo le autorità hanno iniziato a pompare acqua di mare (borata per motivi precauzionali) all’interno del reattore, col fine di ristabilire la refrigerazione. Da notare che gli impianti moderni prevedono l’adozione dei “core catchers” sotto il reattore: strutture dedicate apposta alla raccolta del nocciolo fuso in caso di incidente catastrofico. Le misure di emergenza in reattori del tipo di quelli di Fukushima inoltre è affidata a sistemi attivi, ovvero alimentati da energia elettrica. E’ ovvio che se il reattore si spegne, questo non produce più l’energia necessaria per l’alimentazione di tali sistemi: per questo ci sono dei motori diesel di emergenza (4 generalmente, di cui uno sempre acceso) che possono fornire l’alimentazione ai sistemi di emergenza, anche in caso di sisma. Nel caso di Fukushima pare che questi abbiano fatto il loro lavoro, ma la combinazione con il seguente tsunami li ha bloccati dopo circa un’ora (è ovvio che quest’ultimo evento risulta di fatto impossibile per molti impianti situati nel territorio dell’Unione Europea).
E’ importante ricordare altresì che per i reattori BWR, secondo la normativa statunitense (a suo tempo recepita da quella italiana) – il “CFR Title 10 Part 50 Sec.46″, si prevedeva per gli ECCS (”Emergency Core Cooling Systems”, ossia quei sistemi preposti al raffreddamento del nocciolo del reattore in casi di emergenza) che soddisfacessero i seguenti requisiti:
– Una temperatura massima di 2200 F (circa 1200 °C) per la massima temperatura delle incamiciature del combustibile, soglia oltre la quale si ha la reazione tra zirconio ed acqua con formazione di idrogeno, come discusso;
– La massima ossidazione delle camicie pari al 17% del loro spessore;
– Una produzione di idrogeno non superiore ad 1/100 di quello che si avrebbe se tutto il metallo costituente le incamiciature reagisse con l’acqua;
– Stabilità geometrica del nocciolo, al fine di consentirne la refrigerazione;
– Garanzia di refrigerazione a livelli accettabili a lungo termine.
E’ possibile tuttavia che negli eventi che sono seguiti al sisma alcuni di questi criteri non siano stati rispettati; una accurata indagine tecnica successiva dovrà chiarire questi aspetti.
Allo stato attuale peraltro preme ricordare che, nonostante la drammaticità degli eventi in corso, l’incidente è stato classificato di gravità 4 nella scala INES (International Nuclear Event Scale), introdotta dalla IAEA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) nel 1990 al fine di fornire una comunicazione rapida e compatta in caso di incidente nucleare (Fig.4).
Ricordiamo che la scala va da 0 a 7, ed ogni livello indica un aumento della severità dell’incidente di 10 volte: quindi l’incidente di Three Mile Island, occorso negli USA nel 1979, di livello 5, fu 10 volte più severo di quello di Fukushima, mentre quello di Chernobyl, di livello 7, lo fu 1000 volte di più. Ricordiamo poi che incidente di livello 4 significa che si è verificato un rilascio di materiale radioattivo nell’ambiente, e che si è verificato almeno un decesso. Si ricordano incidenti di questo tipo in UK, Francia, USA, Cecoslovacchia, Argentina e Giappone. Si tenga ben presente comunque che gli eventi sono ancora in corso, e la severità dell’incidente potrebbe venire elevata.


Fig.3 – Componenti interessati dall’esplosione nella centrale di Fukushima-Daiichi-I

Fig.4 – La scala INES
Allo stato attuale il livello massimo di dose raggiunto è stato dell’ordine di 1 mSv/ora (ossia un millesimo di “Sievert” per ora – il Sievert rappresenta l’unita di misura di dose da radiazione assorbita secondo il sistema internazionale, ed equivale all’assorbimento di 1 joule per chilogrammo), pari ad oltre 1000 volte il fondo naturale, come giustamente riportato dai mezzi di informazione; tuttavia la notizia data ‘da sola e tal quale’ può risultare fuorviante, se non si considera per confronto che normalmente dal fondo naturale si assorbono circa 2-3 mSv/anno (che però arrivano a ben 260 in certe zone della terra, come “Ramsar” – in Iran – per motivi del tutto naturali), e che alcune pratiche mediche forniscono “immediatamente” valori confrontabili di equivalente di dose, o anche molto superiori: ad esempio 1 mSv per una radiografia (cioè fare una radiografia equivale a stare un’ora nella zona di Fukushima di massima esposizione, tanto per intenderci), 3-4 mSv per una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), 10-20 mSv per una PET o una scintigrafia, fino a 40 mSv per dosi da radioterapia.
Si riporta in Fig. 5 la situazione degli impianti aggiornata alle 19:00 del 15 marzo 2011.
Si può rilevare che nelle unità 1 e 3 l’integrità del combustibile nucleare è stata danneggiata, che il livello di refrigerante (stando alle stime) si attesta attorno alla metà delle barre combustibili, che i sistemi di refrigerazione non sono funzionali, che l’edificio di contenimento del reattore non sembra compromesso, al contrario dell’edificio, che si sta continuando a iniettare acqua di mare sia nel nocciolo che nel recipiente in pressione e che continua la ventilazione. Bisognerà attendere ulteriori sviluppi nei prossimi giorni.
Concludendo occorre fare alcune riflessioni sulla vicenda e sulle sue possibili implicazioni future. Intanto invito a non farsi prendere da facile ed ingiustificato sconforto, come neanche da facile ottimismo. Si sta assistendo in queste ore ad una campagna mediatica intensissima, e spesso inopportuna, approssimativa e fuorviante, magari al fine di sostenere una tesi piuttosto che un’ altra.

Fig.5 – Situazione nell’impianto di Fukushima-I aggiornata alle 19:00 del 15 marzo 2011 (fonte: JAIF, Japan Atomic Industrial Forum)
Invito chi voglia ricevere informazioni tecniche più dettagliate a consultare i siti dei seguenti organi preposti (tutti in inglese):
– IAEA (International Atomic Energy Agency)
– TEPCO (Tokyo Electric Power COmpany)
– NISA (Nuclear and Industrial Safety Agency)
– JAIF (Japan Atomic Industrial Forum)
– NEI (Nuclear Energy Institute)
Non vi è dubbio che la neoformata Agenzia per la Sicurezza Nucleare dovrà tener conto di quanto avvenuto in Giappone nel vagliare i possibili design dei reattori da installare nel nostro Paese; particolare attenzione bisognerà prestare quindi alle misure di sicurezza passiva ed intrinseca (che, come visto, purtroppo non erano presenti negli impianti giapponesi a causa dell’età degli stessi). Si è avuta conferma infatti che nonostante il prolungamento della vita degli impianti sia tecnicamente fattibile e molto conveniente economicamente in linea di principio, particolare attenzione è da porre sulle misure di sicurezza che andrebbero evidentemente mantenute aggiornate alla luce della tecnologia più avanzata. In tal senso, ad esempio, si sta muovendo la Germania in queste ore.
In questa ottica, dal dibattito su questo tema si potrebbero trarre dei vantaggi, se fosse perseguito con spirito costruttivo e si evitasse invece di focalizzarsi su falsi problemi (come ad esempio la fine più o meno imminente delle scorte di uranio – ipotesi peraltro ampiamente smentita dagli organi competenti).
Un’ ultima riflessione va al referendum previsto per giugno sulla realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare: inutile dire che mi auguro che a prevalere non sia l’emotività (che assai spesso si è rivelata pessima consigliera!), ma scelta ponderata e razionale, come un argomento di per se fortemente tecnico richiede necessariamente. Chi deciderà di votare infatti dovrà porsi, a mio personale avviso, almeno (!) le seguenti domande prima: sono sicuro/a di conoscere i principi fisici con i quali si genera oggi, con le più aggiornate e moderne tecnologie, l’energia elettronucleare? Sono sicuro/a di conoscere quali siano i benefici di questa tecnologia, quali gli svantaggi, quali i rischi effettivi (da fonti scientifiche accreditate e superpartes)? E sono sicuro/a infine di conoscere effettivamente quali sono le alternative disponibili, assieme a tutte le loro eventuali implicazioni ambientali ed economiche (tanto per fare un esempio: so che l’unica alternativa al nucleare è rappresentata dal carbone? O sono fra quelli che credono alla favola del fotovoltaico – che, come dimostrato, può solo aumentare i costi dell’energia e deturpare i paesaggi?)? Il cittadino che risponda “si”, in scienza e coscienza, a questi quesiti potrebbe (e forse dovrebbe) esercitare il proprio diritto democratico; a tutti gli altri consiglio quantomeno prudenza, dacché rischiano di votare su una questione che non capiscono (non a fondo almeno, come assolutamente necessario in questi casi, lo ribadisco), il che implicherebbe di fatto sposare acriticamente una tifoseria anziché un’ altra: non credo si potrebbe parlare ancora di esercizio democratico (trattandosi di pura tifoseria invece), e non credo costoro farebbero un gran servizio, alla lunga, né a se stessi né alla società in cui vivono.
Si può scaricare il documento “Cenni sulle caratteristiche tecniche dei reattori BWR e sull’ incidente nucleare di Fukushima-Daiichi-1” di V. Romanello (15 marzo 2011)
(file pdf, 8 pagine e circa 1,45 Mb)
Questo articolo è stato pubblicato da Amministratore in data Mercoledì, 16 Marzo 2011 alle 10:16 nella categoria nucleare nel mondo, scienza, tecnologia, progetti di ricerca. Puoi seguire i commenti a questo articolo tramite il feed RSS 2.0. Puoi inviare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.
Fukushima Reactors Sites
Japan has 54 reactors in total in 18 power plants, with 47,000MW installed
capacity which generated 29 percent of electricity supply in 2010.
Four nuclear power plants located on the eastern coast close to the epicentre
were affected: Onagawa (3 reactors), Fukushima-Daiichi (6 reactors), Fukushima-
Daini (4 reactors) and Tokai (1 reactor). The next nearest nuclear power plant is
Kashiwazaki-Kariwa (7 reactors) that sits on the opposite site of the island, on its
western coast.
Reactors in Japan are based on boiling water (BWR). They are therefore different the ones
one find in France Germany or Belgium, which are of a pressure type (PWR). In a PWR the
primary coolant (water) is pumped under high pressure to the reactor core where it is
heated by the energy generated by the fission of atoms. The heated water then flows to a
steam generator where it transfers its thermal energy to a secondary system where steam
is generated and flows to turbines which, in turn, spins an electric generator. In contrast to
a boiling water reactor, pressure in the primary coolant loop prevents the water from
boiling within the reactor.
There are two different nuclear reactors sites in Fukushima (see map):
· Fukushima I (Daiichi) – 6 reactors
· Fukushima II (Daini) – 4 reactors (located 12 km North from Daiichi)
Units Daiichi 1 (commercial start: 1971, 40 years-old) & Daiichi 3 (commercial
start: 1976, 35 years-old) of Fukushima I are the two reactors that usually the
press are referring to although concerns do also exist for Units 1, 2 and 4 of the
Daini’s site. (mre technical details below)
Units 4, 5 and 6 of Daiichi were actually shut for periodic inspections at the moment of the
earthquake. The three other units in Fukushima were automatically shut down at that
moment.
| Daiichi Nuclear Power Station Accident – Some Facts on What a Meltdown Is | |
| By: Bill Egnor Saturday March 12, 2011 7:37 am | Tweet Share |
Boiling Water Reactor
In a time of accident like we are seeing at the Daiichi Nuclear Power Stations facts are a very good thing. So let me provide you with some facts, then we can talk about what is known at this point about the accident there.
Daiichi Nuclear Power Station station has 6 nuclear reactors on site that are all of the type known as Boiling Water Reactors. They are an older design that does not have a containment building but rather a containment vessel which holds the reactor core of rods and water that is used to generate steam. They were all built in the 1970′s. Reactor #1 is the one that is in danger at this station.
There is a second Daiichi NPS which has 4 reactors built in the 1980. These are of the same type and units 1,2 and 3 are in the same kind of danger that Unit 1 at Daiichi One is in, though as of now no explosions have been reported. This issue is that any of these plants could have a failure due to the inability to circulate cooled water around the core. If that happens it is called a meltdown.
A nuclear reactor works by fission, splitting the atom, which causes a lot of heat. The water in a reactor is used two ways. First to keep the nuclei which are generated in fission and cause other atoms to fission from escaping. This makes it a more efficient reaction.
The second purpose of the water is to carry away the heat of the ration. Water is great a conducting heat. It keeps the rods cool and the allows for generation of electricity from the steam.
The problem at Daiichi Unit 1 is that the pumps that circulate the water have shut down initially due to a lack of power. Since the reactor is a “single loop” there the water around the core has continued to heat up. Even with the control rods in, the reactor stays very hot for at least a couple of days.
A reactor works by having sets of fuel rods and control rods interspersed. When you remove the control rods (partially or fully) more and more of the nuclei escape from the uranium, they slam into other atoms of uranium and cause an escalating reaction. The water heats up and then turns to steam at the top of the containment vessel and moved to the generator.
Because the water in the core is turning to steam, there is a need to keep a constant watch on the level of water. If the core is exposed, the heat it generates will jump up very fast and become so hot that the rods, control and fuel, will melt. At this point you have the beginning of a meltdown.
The balance between control rods (which are often made of cadmium because it can catch and capture neutrons without fissioning) is a carefully planned thing. If the fuel rods melt and fall to the floor of the vessel they will no longer be inter-spaced correctly to prevent a run away nuclear reaction.
The fuel will all be in one place and there will be water all around it but nothing to prevent the neutrons from shattering other atoms of uranium. The puddle of super hot and reacting fuel will continue to heat up and in short order will burn through the containment vessel and fall to the floor of the reactor building.
Then things can get really bad. All the water in the containment vessel is going to pour out onto this very hot slag. It will flash into super-heated steam and could cause an explosion which could spread the melted fuel even further.
So far that does not seem to be what happened at Daiichi Unit 1. It appears that there was an explosion in the pumping mechanism from the super-heated and super-pressurized steam that the dormant reactor has been building up since the accident.
It is not good news, as you can see from the diagram the water in this type of reactor is highly radioactive from its contact with the core and the fact that there was a limited amount of water in the reactor to start with. Without being able to replenish this as it escapes or is released, you come closer and closer to uncovering the core.
Right now the Japanese officials are talking about flooding the core with seawater. This is a last ditch effort. The reason they have not done it up untill now is that seawater, especially hot seawater, is very corrosive. It will eat away at all the metal fittings in the system. But if they can pump enough in and keep pumping it in, it will prevent a core exposure and meltdown. It means completely scrapping any reactor they do this to, but it is far far better than a full meltdown.
More on this story as it develops
The floor is yours
La disinformazione internazionale della lobby nucleare

Dibattiti televisivi dove ancora stamattina “esperti” rassicurano che tutto è in ordine ed è tutto previsto e di “routine”. Ex legambientini in carriera più bugiardi dei nuclearisti di professione.
Nessuno ha ancora detto che nell’area di Fukushima sono presenti 11 reattori di cui 3 gravemente danneggiati, in uno dei quali, stamattina alle 7 (ora italiana) è esplosa la gabbia (in grigio nella foto ) che circonda il nocciolo e che nel contiguo distretto di Onagawa sono presenti altri 3 reattori di cui uno ha preso fuoco nelle prime ore dell’evento.
Nella capitale Tokyo a 230 km dalla zona interessata, migliaia di persone stanno abbandonando la città per allontanarsi dall’area degli incidenti e dalla possibile contaminazione che può coinvolgere la capitale nel giro di poche ore nel caso che la possibile fusione del nocciolo a causa dell’alta temperatura non venga evitata nelle prossime 24 ore.
La centrale Fukushima I, per la quale é stata dichiarata la prima emergenza nucleare ufficiale in Giappone, è uno dei 25 impianti nucleari più grandi del mondo. Gestita dalla Tokyo Electric Power Company (Tepco), la centrale si trova nella città di Okuma, a circa 200 chilometri da Tokyo, nella prefettura di Fukushima ed è costituita da sei unità separate fra loro, che complessivamente hanno una produzione di 4,7 GW. A circa 11 chilometri dalla centrale di Fukushima I si trova un altro impianto nucleare, quello di Fukushima 2.
Al momento del terremoto erano in funzione tre dei sei reattori, che si sono spenti automaticamente, mentre gli altri tre erano fermi per manutenzione. Si tratta di centrali del tipo BWR (Boiling water reactor), un modello progettato negli Stati Uniti negli anni ’50. La costruzione dell’impianto giapponese è cominciata a partire dal 1966 e la centrale è diventata operativa nel 1971. Le centrali del tipo Bwr utilizzano acqua demineralizzata per raffreddare il reattore. Il calore prodotto dal processo di fissione nucleare che avviene all’interno del reattore viene raffreddato dall’acqua che, riscaldandosi, vaporizza. Il vapore così ottenuto viene utilizzato per azionare una turbina e quindi viene fatto condensare e torna ad essere acqua allo stato liquido che rientra in circolo nel reattore.
Power reactors operating in Fukushima* e Onagawa District
| Reactor | Type | Net capacity | Utility | Commercial Operation |
| Fukushima I-1 | BWR | 439 MWe | TEPCO | March 1971 |
| Fukushima I-2 | BWR | 760 MWe | TEPCO | July 1974 |
| Fukushima I-3 | BWR | 760 MWe | TEPCO | March 1976 |
| Fukushima I-4 | BWR | 760 MWe | TEPCO | October 1978 |
| Fukushima I-5 | BWR | 760 MWe | TEPCO | April 1978 |
| Fukushima I-6 | BWR | 1067 MWe | TEPCO | October 1979 |
| Fukushima II-1 | BWR | 1067 MWe | TEPCO | April 1982 |
| Fukushima II-2 | BWR | 1067 MWe | TEPCO | February 1984 |
| Fukushima II-3 | BWR | 1067 MWe | TEPCO | June 1985 |
| Fukushima II-4 | BWR | 1067 MWe | TEPCO | August 1987 |
| Onagawa-1 | BWR | 498 MWe | Tohoku | June 1984 |
| Onagawa-2 | BWR | 796 MWe | Tohoku | July 1995 |
| Onagawa-3 | BWR | 796 MWe | Tohoku | January 2002 |
* Fukushima I = Fukushima Daiichi, Fukushima II = Fukushima Daini
Cosa è successo a Fukushima
Cercherò di riassumere i fatti principali. Il terremoto che ha colpito il Giappone è stato 5 volte più potente del peggior terremoto per cui l’impianto nucleare era stato costruito (la scala Richter lavora in modo logaritmico;la differenza tra gli 8.2 per cui l’impianto è stato costruito e gli 8.9 che si sono venuti a creare è di 5 volte,non di 0.7).Quindi il primo urrà per l’ingegneria Giapponese,tutto ha resistito.
Quando un terremoto colpisce con 8.9,il reattore nucleare si spegne automaticamente. Nel giro di secondi dall’inizio del terremoto,le barre di controllo sono state inserite nel nucleo e la reazione nucleare a catena dell’uranio si è fermata. Ora,il sistema di raffreddamento deve portare via il calore restante. Il calore restante è circa il 3% al disotto del normale carico di calore in normali condizioni di lavoro.
Il terremoto ha distrutto l’alimentazione esterna del reattore nucleare. Questo è uno degli incidenti più seri per una centrale nucleare e di conseguenza un “impianto di black out” riceve molte attenzioni quando si progettano i sistemi di riserva. L’energia è necessaria per mantenere attive le pompe di raffreddamento. Da quando il sistema di alimentazione è stato spento,non produce più alcun tipo di corrente elettrica.
Le cose sono andate bene per un’ora. Un gruppo di generatori Diesel di emergenza è entrato in azione e ha creato l’energia che era necessaria. A quel punto è arrivato lo Tsunami,molto più grande di quando le persone si aspettavano quando l’impianto fu costruito(vedi sopra,fattore 7).Lo tsunami ha messo fuori gioco tutti i diversi gruppi di generatori di riserva Diesel.
Quando si progetta un impianto nucleare,gli ingegneri seguono la filosofia chiamata “Difesa in profondità”.Che significa che prima si costruisce qualsiasi cosa per resistere alla peggiore catastrofe che si possa immaginare,e poi si progetta l’impianto in modo tale che questo possa ancora reggere a un altro disastro (che si pensa non possa mai accadere) dopo il primo. In questo caso,uno tsunami ha distrutto tutti i sistemi energetici di riserva in un colpo solo. L’ultima linea di difesa è inserire il tutto nel terzo strato di contenimento (vedi sopra),che terrà qualunque cosa,qualunque sia il problema,barre di contenimento inserite o meno,fusione o no,dentro il reattore.
Quando i generatori diesel sono stati messi fuori uso,gli operatori sul reattore sono passati all’alimentazione a batteri a. Le batterie sono state progettate per essere la riserva della riserva,per dare energia al sistema di raffreddamento del nocciolo per altre 8 ore. E lo hanno fatto.
All’interno delle 8 ore,un’altra fonte energetica doveva essere trovata e connessa all’impianto energetico della centrale. La rete energetica era danneggiata per via del terremoto. I generatori diesel erano distrutti dallo tsunami. Così sono arrivati generatori diesel mobili.
Qui è dove le cose hanno iniziato ad andare veramente male. Non è stato possible connettere generatori esterni all’impianto energetico (i connettori non combaciavano).Così dopo che le batterie si sono esaurite,non è più stato possibile portare via il calore in eccesso.
A questo punto gli operatori dell’impianto hanno iniziato a seguire le procedure di emergenza per i casi di “mancanza di raffreddamento”.E’ ancora un passo dietro alla linea di “Difesa in profondità”.L’energia ai sistemi di raffreddamento non avrebbe mai dovuto mancare completamente,ma così è stato,così si sono ritirati alla prossima linea di difesa.Tutto questo,per quanto possa sembrare shoccante per noi,è una parte dell’addestramento per cui, giorno per giorno un operatore è addestrato,proprio come gestire una fusione del nocciolo.
E’ stato a questo punto che le persone hanno iniziato a parlare di fusione del nocciolo. Perchè a fine giornata,se il raffreddamento non poteva essere ripristinato,il nocciolo avrebbe eventualmente potuto fondersi (dopo ore o giorni),come ultima linea di difesa,il “blocca nocciolo” e il terzo strato di contenimento sarebbero entrati in gioco.
Ma l’obbiettivo a questo punto è gestire il nocciolo mentre sta riscaldando ,e garantire che il primo strato di contenimento (i tubi di Zircaloy che contengono il combustibile nucleare),come il secondo strato (la nostra pentola a pressione) rimanga intatto e operativo il più a lungo possibile,per permettere agli ingegneria il tempo di riparare i sistemi di raffreddamento.
Dato che raffreddare il nocciolo è un grosso problema,il reattore ha molti sistemi di raffreddamento,ognuno in diverse versioni (il sistema di pulizia dell’acqua del reattore,il decadimento per la rimozione del calore,il raffreddamento dell’isolante del reattore,il liquido di raffreddamento in attesa,e il sistema di raffreddamento di emergenza del reattore).Ora come ora,quando uno di questi abbia o meno fallito non è chiaro.
Quindi immagina la nostra pentola a pressione come una stufa,con poco calore,ma accesa.Gli operatori hanno usato qualsiasi sistema di raffreddamento in loro possesso per smaltire il calore il più possibile,ma la pressione inizia a crescere. La priorità ora è mantenere intatto il primo strato di contenimento (mantenere la temperatura delle barre combustibile al di sotto dei 2200°C),come anche per il secondo strato di contenimento,la pentola a pressione.Per mantenere intatta la pentola a pressione (il secondo strato di contenimento),la pressione deve essere rilasciata di volta in volta.Dato che la possibilità di fare ciò in un’emergenza è importante,il reattore ha 11 valvole per abbassare la pressione.Gli operatori ora hanno iniziato ad rilasciare vapore col tempo per controllare la pressione.La temperatura a questo punto era di circa 550°C.
Questo è il momento è iniziata la trasmissione di notizie su una “perdita di radiazioni”.Credo di aver spiegato sopra perché liberare il vapore è teoricamente lo stesso che rilasciare radiazioni nell’ambiente,ma perché questo non è pericoloso. L’azoto radioattivo come i gas nobili non sono un pericolo per la salute umana.
Ad un certo punto,durante il rilascio,è avvenuta un’esplosione. L’esplosione ha preso luogo fuori del terzo strato di contenimento (la nostra “ultima linea di difesa”),e fuori anche dalla struttura del reattore. Ricordo che la struttura del reattore non ha la funzione di mantenere contenuta la radioattività. Non è ancora chiaro cosa è successo,ma questa è la cosa più probabile:Gli operatori hanno deciso di liberare il vapore dal contenitore a pressione non direttamente nell’ambiente ,ma nello spazio tra il terzo strato di contenimento e la struttura del reattore (per dare più tempo al vapore radioattivo di placarsi).Il problema è che alle alte temperature che il nocciolo ha raggiunto a questo punto,le molecole di acqua possono “dissociarsi” in ossigeno e idrogeno,un mix esplosivo. E questo è esploso,fuori dal terzo strato de contenimento,danneggiando danneggiando la struttura attorno al reattore. E’ stato questo tipo di esplosione,ma all’interno il contenitore a pressione (perché era stato mal progettato e non gestito adeguatamente dagli operatori) che ha portato alla esplosione di Chernobyl. Questo non è mai stato un rischio a Fukushima. Il problema della formazione di idrogeno-ossigeno è uno dei più grandi quando si progetta una centrale nucleare (se di fatto non sei Sovietico),quindi la struttura del reattore è costruita e gestita in modo tale che questo non possa accadere all’interno del contenimento. Questo avviene fuori,che non è intenzionale,ma è uno scenario OK,perché non porta rischi per il contenimento.
Quindi il contenitore a pressione è sotto controllo,e il vapore è disperso. Ora, se continui a far bollire la tua teiera,il problema è che il livello dell’acqua si abbasserà continuamente. Il nocciolo è coperto da molti metri di acqua per permettere di avere tempo (ore,giorni) prima che venga esposto. Una volta che le barre iniziano a essere esposte in superficie,le parti esposte raggiungeranno la temperatura critica di 2200°C dopo circa 45 minuti. Questo è quando il primo strato di contenimento, il tubo allo Zricaloy,fallisce.
Ed è quello che sta iniziando ad accadere. Il raffreddamento non poteva essere ripristinato prima in quanto c’era un (molto limitato,ma comunque presente) danno all’involucro di alcune barre combustibili. Il materiale nucleare in se era intatto,ma la struttura esterna di Zircaloy ha iniziato a fondersi. Cosa è accaduto ora è che alcuni dei sottoprodotti dell’uranio decadono – Cesio radioattivo e Iodo – iniziano a mescolarsi con il vapore. Il grande problema,l’uranio,era ancora sotto controllo,in quanto le barre di ossido di uranio non subiscono danni fino a 3000 °C.E’ confermato che una piccolissima quantità di Cesio e Iodio è stata rilevata nei vapori che sono stati rilasciati nell’atmosfera.
Sembra fosse il “segnale di partenza” per il principale piano B. Le piccole quantità di Cesio rilevate hanno detto agli operatori che il primo strato di contenimento di una delle barre da qualche parte era pronta.Il piano A era di ripristinare una dei regolari sistemi di raffreddamento del nocciolo. Perchè ha fallito non è chiaro. Una spiegazione plausibile è che lo tsunami abbia anche portato via / inquinato tutta l’acqua pulita necessaria per i regolari sistemi di raffreddamento.
L’acqua usata nei sistemi di raffreddamento è molto pulita, demineralizzata (come distillata).Il motivo per cui si usa acqua pulite è quello menzionato sopra riguardo all’attivazione dei neutroni dall’Uranio:acqua pure non si attiva molto,quindi resta praticamente non radioattiva. Sporco o sale nell’acqua assorbirebbe i neutroni più velocemente ,divenendo più radioattiva.
Questo non ha effetto sul nocciolo – non importa da cosa sia raffreddato. Ma questo rende la vita più difficile per gli operatori e i meccanici quando hanno a che fare con acqua attiva (poco radioattiva).
Ma il piano A ha fallito – i sistemi di raffreddamento o acqua pulita non erano reperibili – quindi il piano B ha avuto effetto. Questo è circa quello che è successo:
Per prevenire una fusion del nocciolo,gli operatori hanno iniziato ad utilizzare acqua di mare per raffreddare il nocciolo. Non sono molto sicuro se hanno inondato la nostra pentola a pressione (il secondo strato di contenimento), o se hanno inondato il terzo strato di contenimento,immergendo la pentola a pressione ma questo non è rilevante per noi.
Il punto è che il combustibile nucleare ha ora iniziato a raffreddarsi. Poichè la reazione a catena è stata fermata molto tempo fa,ci sono solo piccoli residui di calore che vengono prodotti attualmente. La grande quantità di acqua di raffreddamento che è stata usata è sufficiente per disperdere il calore.P oichè è molta acqua,il nocciolo non produce più sufficiente calore per generare significativi livelli di pressione. Inoltre,è stato aggiunto acido borico all’acqua marina. Acido Bordico “liquido delle barre di contenimento”.Se il decadimento sta ancora avvenendo,l’acido borico catturerà i neutrini e aumenterà inoltre la velocità di raffreddamento del nocciolo.
L’impianto è andato vicino a una fusion del nocciolo. Questo è lo scenario peggiore,ed è stato evitato:se l’acqua del mare non fosse stata usata nel trattamento,gli operatori avrebbero continuato a liberare vapore acqueo per evitare che la pressione aumentasse. Il terzo strato di contenimento sarebbe allora stato completamente sigillato per permettere alla fusion del nocciolo di avveniere senza rilasciare material radioattivo. Dopo la fusione,ci sarebbe stato un periodo di attesa per permettere ai materiali radioattivi di decadere all’interno del reattore,e a tutte le particelle di posarsi sulla superficie dentro lo strato di contenimento. Il contenimento sarebbe stato pulito all’interno. Quindi sarebbe iniziato molto lavoro per rimuovere il nucleo fuso dal contenimento impacchettando il combustibile (di nuovo solido) per essere trasportato in container e essere trasportato agli impianti per essere lavorato. A seconda del danno,
l’impianto sarebbe stato smantellato o riparato.

Considerazioni attuali
Ora,questo a cosa ci porta? La mia valutazione:
- L’impianto è ora sicuro e lo resterà.
- Il Giappone sta verificando un “Incidente INES di livello 4”: Incidente nucleare con conseguenze locali.
Che è un male per la compagnia che gestisce l’impianto,ma non per chiunque altro.
- Alcune radiazioni sono stati rilasciate quanto il contenimento a pressione è stato aereggiato.Tutti gli isotopi radioattivi del vapore attivo sono decaduti.Una piccolissima quantità di Cesio è stata rilasciata insieme a dello Iodio.
Se stavi seduto sopra alla ciminiera dell’impianto quanto sono stati areati,probabilmente avresti dovuto smettere di fumare per ritornare alla tua aspettativa di vita precedente. Gli isotopi di Cesio e di Iodio sono stati portati fuori verso il mare e non si faranno più vedere.
- C’è stato un danno limitato al primo strato di contenimento. Questo significa che una piccola quantità di Cesio radioattivo e di Iodio saranno rilasciate nell’acqua di raffreddamento , ma non Uranio o altre sostanze pericolose (l’ossido di Uranio non si “dissolve” nell’acqua).Ci sono strutture per il trattamento dell’acqua di raffreddamento all’interno del terzo strato di contenimento .Il Cesio e lo Iodio radioattivo saranno rimossi qui e eventualmente immagazzinati come rifiuti radioattivi nel terminale di stoccaggio.
- L’acqua del mare usata come acqua di raffreddamento sarà in qualche misura attiva. Poichè le aste di controllo sono completamente inserite, non sta avvenendo la reazione a catena con l’Uranio. Questo significa che la “principale” reazione nucleare non è in atto,perciò non contribuisce all’attivazione. I materiali con media radioattività (Cesio e Iodio) in questa fase sono perlopiù andati,perché il decadimento dell’Uranio è stato fermato molto tempo fa.
Ciò riduce ulteriormente la radioattività.Fondamentalmente,ci sarà qualche basso livello di radiazione nell’acqua del mare che sarà rimossa negli impianti di trattamento.
- L’acqua del mare sarà poi sostituita nel tempo con la “normale” acqua di raffreddamento.
- Il nucleo del reattore sarà smantellato e trasportato in una struttura di trattamento,come durante un regolare cambio di combustibile.
- Le barre di combustibile e l’intero impianto saranno controllati per potenziali danni.Questo richiedere all’incirca 4-5 anni.
- Il sistema di sicurezza in tutti gli impianti giapponesi sarà aggiornato per resistere a un terremoto di intensità 9.0 e a uno tsunami (o peggio).
- (Aggiornamento) Credo che il problema più significativo sarà la prolungata carenza di energia elettrica.
11 dei 55 reattori nucleari giapponesi in differenti impianti sono stati spenti e saranno ispezionati,portando direttamente a una riduzione dell’energia nucleare prodotta dal paese del 20%,che signica circa il 30% della produzione dell’energia nazionale totale.Non ho considerato nelle consequenze altri impianti nucleari non direttamente coinvoli.Questo ammanco probabilmente sarà coperto utilizzando gli impianti energetici a gas che solitamente sono utilizzati solamente nei casi di sovraccarichi per coprire il carico energetico di base.
Non ho familiarità con la catena giapponese di rifornimento energetico per petrolio,gas e carbone,e quali danni i porti,le raffinerie,i magazzini e la rete di trasporti abbiano subito,come per i danni alla rete di distribuzione nazionale.
Tutto questo porterà ad aumenti nelle bollette dell’elettricità,come anche a carenze energetiche durante i momenti di maggiore richiesta e durante gli sforzi per la ricostruzione in Giappone.
- Tutto questo è solo una parte di un’immagine più ampia. La risposta alla emergenza ha a che fare con la disposizione di rifugi, acqua potabile,cibo e cure mediche,trasporti e infrastrutture di comunicazione,come anche per l’approvvigionamento energetico.In un mondo costruito sulle catene di rifornimento,siamo di fronte a una delle più grandi sfide in tutte queste aree.
Se vuoi riamanere informato, perfavore, dimentica i tradizionali media e consulta i seguenti siti web:
- http://bravenewclimate.com/
- http://www.world-nuclear-news.org/default.aspx
- http://www.world-nuclear-news.org/RS_Battle_to_stabilise_earthquake_reactors_1203111.html
- http://www.world-nuclear-news.org/RS_Venting_at_Fukushima_Daiichi_3_1303111.html
- http://bravenewclimate.com/2011/03/12/japan-nuclear-earthquake/
- http://ansnuclearcafe.org/2011/03/11/media-updates-on-nuclear-power-stations-in-japan/
NOCCIOLO ED ANCORA FUKUSHIMA
Sostituita la pompa al quinto reattore della centrale
Giappone, riparato guasto al sistema di raffreddamento a Fukushima
Alti livelli di materiale radioattivo sono stati rilevati sul fondale del Pacifico, a 300 chilometri al largo
TOKYO – Un gruppo di tecnici specializzati ha rimesso in moto domenica il sistema di raffreddamento di uno dei reattori della centrale nucleare di Fukushima in Giappone, che si era guastato in occasione dello tsunami dell’11 marzo scorso. La pompa ad acqua utilizzata per raffreddare il reattore numero 5 e l’acqua della piscina dov’è immerso il combustibile nucleare irradiato era completamente ferma, ha indicato la Tokio Electric Power (Tepco). Il lavoro per rimpiazzare la pompa è terminato questa notte. «C’era un problema al motore. Abbiamo sostituito la pompa che adesso funziona», ha spiegato un tecnico della Tepco, che gestisce l’impianto.
RADIAZIONI IN MARE – Ma arrivano anche brutte notizie. Infatti Alti livelli di materiale radioattivo sono stati rilevati sul fondale del Pacifico, in un tratto di 300 chilometri al largo dell’impianto nucleare di Fukushima Daiichi, nel nord-est del Giappone. A riferirlo è l’agenzia Kyodo News. Il governo ha riferito che materiale radioattivo, fino a diverse centinaia di volte superiore alla norma, è stato rilevati nel tratto di oceano che va dalla prefettura di Miyagi a prefettura di Chiba ed ha avvertito che la contaminazione può pregiudicare la sicurezza dei frutti di mare. In particolare, il ministero della Scienza giapponese ha rilevato iodio e cesio sul fondale in una dozzina di siti a 15-50 chilometri dalla costa, tra il 9 ed il 14 maggio scorsi. Greenpeace Giappone ha riferito di aver trovato giovedì scorso materiali radioattivi, oltre i limiti ufficiali per il consumo, in 14 dei 21 campioni di prodotti alimentari esaminati, tra cui alghe, crostacei e pesci catturati a 22-60 chilometri. Hidehiko Nishiyama, portavoce dell’Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale, ha più volte detto che il materiale radioattivo rilevato è diluito in modo significativo dal momento che è stato consumato da specie marine. Ma Greenpeace ha ribattuto di aver osservato una riconcentrazione delle sostanze radioattive nel mare e ha chiesto una ricerca a lungo termine.
CENTRALINE RADIOATTIVITÀ IN TILT – Intanto si è scoperto che la maggior parte dei sistemi di misura della radioattività installati vicino alla centrale nucleare giapponese di Fukushima ha cessato di funzionare subito dopo il terremoto dell’11 marzo scorso: lo ha riferito l’agenzia di stampa Kyodo. Nella prefettura di Fukushima, 22 dei 23 apparecchi presenti attorno alle centrali di Fukushima Daiichi e di Fukushima Daini non hanno più trasmesso dati sulle radiazioni circa tre ore dopo il sisma, hanno precisato l’agenzia citando responsabili della prefettura. Alcune di queste attrezzature sono state distrutte al momento del cataclisma, ma secondo gli esperti i danni principali sarebbero stati provocati dal cattivo funzionamento delle linee di comunicazione e della rete di alimentazione elettrica. Anche i sistemi di sorveglianza del livello di radiazioni trasmessi dai satelliti hanno smesso di funzionare poche ore dopo il sisma a seguito dei pesanti danneggiamenti provocati alle antenne di trasmissione.
29 maggio 2011
Lo ha reso noto la Tepco
Fukushima: fusione parziale anche nei reattori 2 e 3
Finora era stata ammessa solo nel reattore 1 della centrale atomica giapponese colpita dallo tsunami
MILANO – Anche le barre di combustibile nucleare dei reattori 2 e 3 della centrale di Fukushima si sono parzialmente fuse. Lo ha annunciato la Tepco, gestore dell’impianto nucleare. Finora la società giapponese aveva reso noto che solo il reattore 1 era stato interessato da fusioni parziali «della maggior parte del combustibile al fondo del recipiente di contenimento» a causa dei sistemi di raffreddamento fuori uso dopo lo tsunami che l’11 marzo aveva investito il sito nucleare. Lo scenario aveva sollevato timori, ora confermati, che anche i numeri 2 e 3 avessero subito la stessa sorte. Secondo la compagnia, tuttavia, è improbabile che questo faccia peggiorare la situazione perché le barre sono già state coperte dall’acqua per aumentare il raffreddamento. Ora i reattori «sono interessati da operazioni di raffreddamento e la loro condizione è stabile», ha aggiunto un portavoce della Tepco.
I REATTORI SMANTELLATI – Il gruppo Tepco ha comunicato che i reattori numero 1, 2, 3 e 4 della centrale di Fukushima saranno smantellati. Secondo l’agenzia Kyodo News, i reattori 1 e 4 erano stati danneggiati in modo irreparabile: l’emergenza inoltre ha spinto Tepco a cancellare i progetti di realizzazione di altri due reattori a Fukushima.
Redazione online
24 maggio 2011
Fukushima: fusione è ufficiale. Ecco che cosa è successo semplicemente
Fukushima Daiichi ha un nuovo “vecchio” problema: il combustibile nucleare del reattore numero 1 si sarebbe fuso. La notizia la dà la stessa TEPCO senza suscitare scalpore. Ma che cosa è successo nel reattore, in parole povere? L’abbiamo chiesto a Paolo Scampa, presidente dell’AIPRI.
La notizia è ufficiale ed è stata ribattuta anche da Kyodo News, l’agenzia di stampa giapponese: il reattore nucleare di Fukushima Daiichi è fuso, l’acqua di “raffreddamento” esce da dei buchi, il combustibile nucleare si è raccolto, sotto forma di corio (http://is.gd/2mRPiL), sul fondo del reattore d’acciao (il vessel). E’ la stessa TEPCO a “confessare” per la prima volta dopo l’11 maggio la fusione del reattore, sempre negata e scongiurata. La società nipponica ha comunicato candidamente che il livello d’acqua nel reattore è estremamente basso visto che è ben 5 metri al di sotto la parte superiore delle barre di combustibile. Le barre quindi si sarebbero completamente esposte all’aria e quindi si sarebbero fuse. Il portavoce di TEPCO Junichi Matsumoto spiega la situazione sintetizzando che l’acqua di raffreddamento, sebbene sia pompata a ritmo di 150 tonnellate al giorno, non è stata trovata nei primi cinque metri dalla “cima” delle barre, il che, data essere questa la lunghezza stessa delle barre di combustibile (le fonti parlano di una lunghezza della barre di combustibile da un minimo di 4 metri a un massimo di 5) dovrebbero quindi essere completamente scoperte. Sempre se esistessero ancora. A questo proposito abbiamo chiesto un commento a Paolo Scampa, presidente dell’AIPRI (Association Internationale pour la Protection contre les Rayons Ionisants) per spiegaci in “parole povere” che cosa potrebbe essere successo al reattore numero 1 di Fukushima. “Il combustibile in stato normale nel reattore nucleare si trova ‘a bagno maria’ con le barre completamente affogate sotto metri d’acqua” spiega, cercando di essere molto “semplice” Paolo Scampa, e continua: “E’ necessario quindi apportare acqua ‘fredda’ (nel senso che è ‘meno calda’ del ‘forno nucleare’) per mantenere questo stato di ‘bagno maria’ che raffredda le barre (e in condizioni normali produce poi il vapore che va alle turbine, ndr)”. Il presidente dell’AIPRI ci fa visualizzare poi come è fatto dentro il reattore nucleare: “Il combustibile nucleare consiste in pasticche di 7/10 grammi impilate su un’altezza di 5 metri, all’interno di guaine di zirconio di 1,2 – 1,5 millimetri di spessore. Queste guaine hanno una tenuta fino ad 800 gradi al massimo, dopo 800 gradi sono soggette a varie fessurazioni, rotture, deformazioni, ecc.” afferma Scampa. Ma che cosa significano le parole di TEPCO a proposito dell’acqua che si perde in qualche “crepa” del vessel (ovvero della ‘pentola’ a pressione che contiene il combustibile nucleare)? Il presidente dell’AIPRI spiega semplicemente: “Quando non arriva più acqua fredda, non c’è più ‘bagno maria’, il calore radioattivo fa evaporare tutta l’acqua senza averne però il giusto ricambio, le guaine di combustibile nucleare cedono (bastano appena 2 o tre giorni) e tutto cola in un magma chiamato “corio” che mescola il combustibile nucleare con lo zirconio. Le temperature sono dell’ordine di 1500-2500 gradi”. Le conseguenze sono gravissime e come ci spiega il presidente dell’AIPRI consistono nello “zirconio che surriscaldato, con l’interazione dell’acqua, genera parecchio idrogeno, e proprio da lì è da ricercarsi l’origine delle esplosioni”. Ma poi che cosa potrebbe succedere? “Il magma radioattivo attacca il fondo della ‘pentola’ (20 cm di spessore) e piano piano tenderà a bucarlo. C’è da dire che il fondo della ‘pentola’ (cioé il vessel d’acciaio) ha uno spessore inferiore per cedere e per raccogliere il corio” conclude Paolo Scampa. Insomma, una vera tragedia che sta superando il disastro di Chernobyl del 26 aprile del 1986. E questo nella annoiata tranquillità del mondo, talmente mitridatizzato dall’ipocrisia e dai veleni da non preoccuparsi più di nessuna conseguenza. Neppure apocalittica.
Maurizio Maria Corona
Fukushima: il piano per le emergenze era di una sola pagina
Di Agostino Loffredi • 27 mag, 2011 •
Fukushima: il piano per le emergenze era di una sola pagina.
L’agenzia di stampa Associated Press è riuscita a ottenere la nota compilata dalla Tokyo Electric Power Corporation (TEPCO) grazie a una legge sull’accesso ai documenti di interesse pubblico e ha potuto constatare quanto fosse ottimistica la conclusione che gli impianti di Fukushima avrebbero potuto resistere a uno tsunami. Conclusione peraltro tragicamente smentita dai fatti.
I documento risale al 19 dicembre 2001, anno in cui l’Agenzia chiese ai gestori degli impianti nucleari di fornire dei dati utili per valutare la loro preparazione a un eventuale terremoto o tsunami. Evidentemente la brevità della risposta della TEPCO non ha impensierito la NISA che non ha, ne svolto controlli e nemmeno chiesto ulteriori documenti o dati che giustificassero l’ottimistica conclusione.
La nota della TEPCO conteneva un testo, box informativi e una serie di dati. In aggiunta vi era una piccola mappa del Giappone in cui venivano indicati i terremoti storici.
Secondo i parametri presi in considerazione dalla Tepco, basati sulla convinzione che il terremoto più vicino che si sarebbe potuto verificare avrebbe raggiunto la magnitudo massima di 8,6, le onde di un eventuale tsunami non avrebbero dovuto superare i cinque/sei metri.
L’11 marzo scorso il nord del Giappone è stato colpito da un terremoto di magnitudo 9.0 e le onde dello tsunami hanno raggiunto i 14 metri. L’acqua ha messo fuori uso i generatori elettrici di emergenza, collocati troppo in basso, mandando fuori uso il sistema di raffreddamento dei reattori.
Ne corso dei nove anni dopo la sua prima pubblicazione, i documento della Tepco non è mai stato aggiornato nonostante la scienza e la tecnica abbiano fatto notevoli passi avanti in materia di terremoti e tsunami. Soltanto lo scorso anno il gestore ha revisionato il piano di sicurezza ma sono stati effettuati controlli superficiali e la conclusione è stata la stessa.
Il portavoce della Tepco, Naoyuki Matsumoto, ha difeso la relazione del 2001 sostenendo che l’azienda si basò su i migliori dati disponibili e che lo tsunami di marzo è stato “al di fuori di ogni immaginazione”.
La NISA ha spiegato, a sua discolpa, che la richiesta di valutazione del rischio tsunami non può essere imposta per legge e che le risposte degli operatori “tecnicamente erano volontarie” anche se in base a quell’insieme di regole non scritte che vigono in Giappone, le autorità si aspettano che vengano soddisfatte.
A seguire tutta la concatenazione degli avvenimenti si ha la netta impressione che i controlli siano stati inefficaci se non inesistenti e che, da parte della TEPCO, abbia prevalso la logica del profitto su quella della sicurezza della popolazione.
Anche per il nucleare giapponese si apre ora un periodi di ri-analisi e di verifiche, di procedure e di controlli se non addirittura di messa in discussione di scelte che sembravano inamovibili.


Piscine di raffreddamento del combustibile esaurito.
Che cosa sono le piscine di raffreddamento del combustibile esaurito.
Traduzione italiana dell’articolo “What are Spent Fuel Pools” dal Blog del MIT NSE.
Traduzione di Stefano Passerini, MIT PhD Student’
Il combustibile nucleare si definisce esaurito (o esausto) dopo essere stato impiegato nel reattore. E’ del tutto simile al combustibile fresco nel senso che e’ composto da pastiglie di combustibile solide assemblate in barrette di combustibile a formare singoli elementi di combustibile. La differenza e’ che il combustibile esaurito contiene prodotti di fissione ed attinidi, come il Plutonio, che sono radiattivi e che richiedono una schermatura adeguata per le radiazioni. Esattamente come il combustibile nel reattore susseguente uno spegnimento rapido (SCRAM), il combustibile esaurito produce calore di decadimento poiché la maggior parte dell’energia del decadimento radiattivo dei prodotti di fissione e degli attinidi e’ depositata nel combustibile stesso sotto forma di calore. Dunque anche il combustibile esaurito (anche detto ‘irraggiato’) necessita di raffreddamento ma in misura molto minore rispetto a combustibile presente in un reattore spento da poco in quanto l’energia prodotta e’ ormai una piccola frazione rispetto a quella originaria. Riassumendo, il combustibile esaurito viene stoccato per un certo periodo di tempo per consentire adeguato raffreddamento conseguente al decadimento degli isotopi radioattivi che contiene ed inoltre per schermare le radiazioni che lo stesso emette.
Per adempiere a questi due scopi, il combustibile esaurito viene stoccato in piscine d’acqua e, successivamente, in grandi contenitori di cemento armato raffreddati naturalmente dall’aria. Le piscine di raffreddamento (una per ogni unita’) sono spesso situate in prossimità del reattore (nel caso di Fukushima, BWR aventi una tipologia di contenimento denominata Mark-1, si trova nella parte superiore della struttura stessa). Queste piscine sono molto grandi, spesso profonde fino a 13 metri a seconda del progetto. Sono composte da cemento armato rinforzato e circa 10 metri di acqua stagnate copre la sommità degli elementi di combustibile in esse contenuti. Gli elementi di combustibile sono spesso separati da lastre metalliche contenenti del boro che assicura che la reazione a catena di neutroni non possa ripartire. La probabilità di tale evento (ri-criticalità) e’ ulteriormente limitata dal fatto che il combustibile e’ stato in larga parte consumato durante la permanenza nel reattore. L’acqua della piscina e’ sufficiente a raffreddare il combustibile esaurito ed il calore generato viene rimosso tramite uno scambiatore di calore in modo che la temperatura della piscina stessa si mantenga costante. La profondità della piscina assicura anche che le radiazioni emesse dal combustibile stesso siano schermate di modo che gli operatori possano lavorare in sicurezza attorno alla sommità delle piscine stesse.
Durante il funzionamento ordinario dell’impianto, il combustibile può essere stoccato nella piscina per un periodo di tempo indefinito. La quantità di combustibile che può essere stoccato all’interno delle piscina dipende dal progetto, ma la maggior parte può ospitare un numero di elementi pari a diverse volte la quantità presente in un reattore nucleare in esercizio.
Durante le operazioni di ‘ricarica’ del combustibile nucleare il reattore viene spento, i compartimenti tra il reattore e la piscina di raffreddamento allagati con acqua (per schermare le radiazioni) e gli elementi di combustibile vengono spostati ad uno ad uno dal reattore alla piscina. Tale procedura avviene tipicamente ogni 12-18 mesi e coinvolge circa un terzo degli elementi di combustibile del reattore (che quindi complessivamente rimangono nel reattore 36-54 mesi prima di essere considerati esauriti). Le operazioni di ricarica vengono condotte in remoto utilizzando apparecchiature particolare e apposite gru per evitare di esporre i lavoratori alle radiazioni.
Il combustibile esaurito viene stoccato nella piscina per qualche anno, a seconda della capacita’ della piscina stessa e delle normative vigenti, prima di essere successivamente stoccato in appositi contenitori di cemento armato solitamente situati in prossimità dell’impianto al di fuori dell’edificio di contenimento e raffreddati in modo naturale dall’aria.
In caso di una perdita d’acqua nella piscina o di un guasto allo scambiatore di calore atto al raffreddamento, la temperatura della piscina stessa e’ destinata a salire. Se questa situazione si protrae per un tempo sufficientemente lungo, l’acqua può iniziare a bollire e, con il passare del tempo, il livello puo’ scendere al di sotto della sommità degli elementi di combustibile, esponendo cosi’ le barre di combustibile all’aria. Questo può essere un problema, in quanto l’aria e’ in grado di asportare il calore in modo molto meno efficace rispetto all’acqua e questo può portare ad un surriscaldamento delle barre di combustibile stesse. Se questo aumento di temperatura si protrae, le guaine (costituite di una lega di zirconio) possono ossidarsi e tramite reazioni chimiche a contatto con vapore acqueo ed aria, possono rilasciare idrogeno che può poi dare luogo ad esplosione. Un tale evento può presumibilmente danneggiare le guaine di combustibile e rilasciare quindi prodotti radioattivi come iodio, cesio e stronzio. E’ importante notare che ognuno di questi eventi (malfunzionamento del sistema di raffreddamento, ebollizione dell’acqua della piscina, esposizione e surriscaldamento del combustibile in aria e reazioni di ossidazioni delle guaine di zirconio) dovrebbe sussistere per un periodo di tempo prolungato per causare un incidente e ciò rende tale scenario estremamente improbabile.
Il rischio maggiore, in tale circostanza, si ha nel caso in cui non vi sia una robusta struttura di contenimento attorno alla piscina stessa. Mentre la piscina e’ una struttura di per se robusta, infatti, il tetto dell’edificio che la ospita non e’ altrettanto robusto e nel caso specifico e’ stato danneggiato e di conseguenza la superficie della piscina si trova esposta a contatto con l’ambiente. Finché vi e’ acqua a coprire il combustibile, questo non pone un rischio diretto per l’ambiente e tuttavia e’ possibile una contaminazione ed una dispersione di materiale radioattivo in caso di incendio in prossimità degli elementi di combustibile. Mantenere il combustibile coperto d’acqua mantiene basso il rischio di contaminazione ed e’ quindi una funzione di sicurezza molto importante.





Chernobyl

TMI
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FUKUSHIMA 2
Tokyo, 10:41
Quattro morti in incidente a centrale nucleare
La fuoriuscita di vapore da un reattore della centrale nucleare giapponese di Mihama, nella prefettura di Fukui sul mar del Giappone, ha provocato oggi quattro morti e 8 feriti per ustioni (uno di questi versa in condizioni gravissime) tra gli operai di una ditta di subappalto. Secondo l’agenzia di stampa giapponese Kyodo, non si sarebbero però diffuse radiazioni nella zona dell’impianto.
Tokyo, 11:02
Incidente centrale nucleare, bilancio sale a quattro morti
E’ salito a quattro il numero dei morti causati dall’incidente avvenuto oggi nella centrale nucleare giapponese di Mihama nella prefettura di Fukui lungo il Mar del Giappone.
Lo riferiscono fonti di polizia precisando che un quinto operaio versa in condizioni disperate. Sono stati tutti colpiti, insieme ad altri sei compagni di lavoro, da vapore ad altissima temperatura fuoruscito dal sistema di circolazione delle turbine di un reattore.
Secondo le autorità non c’è stata fuga di radiazioni
Dieci in tutto le persone ricoverate in ospedale
Incidente in centrale nucleare
a nord di Tokyo, cinque morti
TOKYO – Un incidente nella centrale nucleare di Mihama, a 320 chilometri a nord ovest di Tokyo, ha causato cinque morti. Secondo le autorità locali non c’è stata fuga di radiazioni. Il numero delle vittime è stato diffuso dalla polizia, che riferisce anche che in tutto dieci persone sono state ricoverate in ospedale, mentre dal ministero del commercio e dell’industria è venuto solo l’annuncio con l’indicazione di “alcune vittime”.
Tutte le persone ricoverate sono state colpite da vapore ad altissima temperatura, fuoruscito dal sistema di circolazione delle turbine del reattore numero tre della centrale.
( 9 agosto 2004 )
l’Unità 09.08.2004
Giappone, incidente alla centrale nucleare di Mihama. Morti cinque operai
di red.
Torna l’incubo nucleare. Dopo l’incidente di Tokaimura nel ’99 ora è la volta di Mihama. Nella centrale nucleare della città del distretto di Fukui, a circa 350 chilometri a nord della capitale Tokyo, cinque operai sono morti. È il più grave incidente registrato in Giappone nel settore dell’energia nucleare.
«Una fuoriuscita di gas, ma nessuna contaminazione radioattiva». I dirigenti della Kansai Electric Power, società che gestisce la centrale nucleare di Mihama, hanno cercato di rassicurare subito la popolazione. Ma nel frattempo, mentre la Kansai si prodigava per contenere il panico, gli operai, trasportati in fretta e furia all’ospedale, erano già morti. Lo ha reso noto la prefettura di Fukui, distretto in cui si trova la città di Mihama. Altri altri cinque lavoratori sono stati trasportati all’ospedale. Le loro condizioni sono abbastanza gravi, specifica il ministero del Commercio e dell’Industria. Il bilancio di vittime e feriti potrebbe aggravarsi ancora.
L’incidente si è verificato alle 15.30 locali. La tv pubblica Nhk ha confermato che non c’è stata alcuna emissione di radiazioni nemmeno all’interno dell’impianto.
Gli uomini, colpiti da vapore ad altissima temperatura – circa 200 gradi, – non sono sopravvissuti. I vapori fuorusciti dall’impianto di circolazione secondario hanno saturato l’edificio che ospita le turbine di un reattore, prontamente fermato. Non si conoscono ancora le cause che hanno determinato la fuoriuscita di vapore a 200 gradi, ma dai primi sarebbe emersa l’esistenza di crepe nei tubi del sistema di circolazione della turbina del reattore. La centrale di Mihama, attiva dal 1976, avrebbe dovuto sospendere momentaneamente le proprie attività il 14 agosto, per un essere sottosposta a una manutenzione periodica di tre mesi.
Riaffiora intanto il ricordo dell’incidente di Tokaimura, città a nord ovest del Giappone, dove nel 1999, in seguito a un danno all’impianto nucleare, morirono quattro persone all’istante mentre altri 400 abitanti del posto furono esposti alle radiazioni. In Giappone le centrali nucleari sono 52 e il Paese ricava dall’attività delle centrali circa il 30% del fabbisogno energetico. Il governo Koizumi ha annunciato rcentemente di voler costruire nuove centrali, per dare un impulso ancora più deciso alla politica energetica nucleare. A nulla, in precedenza, erano valse le proteste degli ambientalisti giapponesi. Nonostante l’incidente di Tokaimura il programma di costruzione di nuove centrali era stato approvato. Resta ora da vedere se la tragedia di Mihama consiglierà ai governanti giapponesi di ripensare la loro politica.
Secondo le autorità non c’è stata fuga di radiazioni
Diverse persone sono state ricoverate in ospedale
Incidente in centrale nucleare
quattro morti in Giappone
E’ il peggiore mai avvenuto nel paese, dove oggi si ricorda
l’esplosione della bomba atomica su Nagasaki
TOKYO – Un incidente nella centrale nucleare di Mihama, 320 chilometri a nord ovest di Tokyo, ha causato almeno quattro morti. Secondo le autorità locali non c’è stata fuga di radiazioni. Il numero delle vittime è stato reso noto dalla polizia, che ha riferito anche di diverse persone ricoverate in ospedale, mentre dal ministero del Commercio e dell’Industria è venuto solo l’annuncio con l’indicazione di “alcune vittime”.
Tutte le vittime ricoverate sono state colpite da vapore ad altissima temperatura, fuoriuscito dal sistema di circolazione delle turbine del reattore numero tre della centrale. “Nel vapore fuoriuscito dall’impianto non c’erano sostanze radioattive – assicura un funzionario dell’Agenzia per la sicurezza dell’industria e del nucleare – abbiamo ricevuto dati sul livello di radiazioni nel circondario”.
Il reattore di Mihama è gestito dalla Kansai Electric Power Co. Inc., che ha fatto sapere di aver chiuso l’impianto, che ospita un generatore nucleare da 826,000 kilowatt. La società non ha saputo dire quando la produzione di energia potrà riprendere. “Stiamo facendo indagini sulle cause dell’incidente” ha detto un portavoce della Kansai Electric.
L’incidente è avvenuto alle 3.30 del mattino (le 7.30 in Italia) poco dopo che alcuni lavoratori erano entrati nell’impianto per rilevare alcuni dati, in vista di una chiusura programmata del generatore per lavori di manutenzione. La temperatura del vapore che ha invaso la stanza era probabilmente di 200 gradi centrigradi.
Il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi ha dichiarato di non conoscere ancora i particolari dell’incidente, ma ha ribadito che sarà fatto il necessario “per conoscere le cause della disgrazia, per evitare che si ripeta e per aumentare le misure di sicurezza”.
Quello di oggi è il peggior incidente mai accaduto in impianti nucleari in Giappone. La sciagura ha avuto luogo proprio nel giorno dell’anniversario dell’esplosione della bomba atomica su Nagasaki nel 1945 ed è probabile che scatenerà nuove polemiche sull’opportunità dell’utilizzo di centrali nucleari nel paese. In Giappone sono in funzione attualmente 52 centrali nucleari, che coprono oltre il 30 per cento dell’intero fabbisogno energetico del paese. Il governo ha in programma la costruzione di altre centrali, nonostante gli allarmi suscitati da un grave incidente nel 1999.
In quell’occasione a Tokaimura, a nord di Tokyo in uno stabilimento dove si lavorava l’uranio, si era verificata una reazione nucleare incontrollata per colpa di tre operai poco addestrati, che avevano mescolato materiali nucleari in una vasca. L’incidente aveva causato la morte degli operai, la contaminazione di 150 persone e si dovettero allontanare migliaia di abitanti della zona circostante.
( 9 agosto 2004 )
Mihama, per le autorità non c’è stata fuga di radiazioni
Diverse persone sono state ricoverate in ospedale
Incidente in centrale nucleare
quattro morti in Giappone
Lunedì nero per l’energia: altri due guasti in due impianti
| La centrale nucleare di Mihama |
TOKYO – Tre incidenti in tre diversi impianti nucleari. Il Giappone si risveglia in un inizio settimana da incubo. Il più grave, è avvenuto presso la centrale di Mihama, 350 chilometri a ovest di Tokyo, dove una fuoriuscita di vapore a alta pressione, e con una temperatura superiore ai 200 gradi, è costato la vita a quattro operai. Altri sette operai sono in condizioni molto gravi. Si è trattato del più tragico incidente nella storia dello sfruttamento dell’energia nucleare a fini civili in Giappone.
L’azienda Kansai Electric Power, che gestisce la centrale, si è affrettata a comunicare che non c’è stata contaminazione radioattiva. “L’incidente non avrà effetti sull’ambiente circostante”, ha assicurato in un comunicato. L’unità per la produzione di energia dell’impianto resterà fermo a tempo indeterminato.
In un’altra centrale si è sviluppato un incendio. A quanto ha riferito l’agenzia Kyodo, le fiamme sono divampate nel settore dove vengono smaltite le scorie, adiacente al reattore numero 2, in un impianto situato nella prefettura di Shimane. Anche in questo caso non c’è stata alcuna fuga radioattiva.
Il terzo incidente è avvenuto in una centrale nucleare della Tokyo Electric Power Co. (Tepco), la più grande impresa produttrice di energia in Giappone. Oggi la società ha comunicato che il generatore dell’impianto di Ekushima-Daini è stato fermato per una perdita di acqua. Lo scorso aprile, la Tepco fu costretta a bloccare tutti i suoi 17 impianti nucleari dopo che ammise che i documenti riguardanti la sicurezza erano stati falsificati per più di 10 anni.
Ma le preoccupazioni maggiori riguardano il primo impianto. Il reattore di Mihama è gestito dalla Kansai Electric Power Co. Inc., che ha fatto sapere di aver chiuso l’impianto, che ospita un generatore nucleare da 826,000 kilowatt.
L’incidente è avvenuto alle 3,30 del mattino (le 7,30 in Italia) poco dopo che alcuni lavoratori erano entrati nell’impianto per rilevare alcuni dati, in vista di una chiusura programmata del generatore per lavori di manutenzione. La temperatura del vapore che ha invaso la stanza era probabilmente di 200 gradi centrigradi.
Il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi ha dichiarato di non conoscere ancora i particolari dell’incidente, ma ha ribadito che sarà fatto il necessario “per conoscere le cause della disgrazia, per evitare che si ripeta e per aumentare le misure di sicurezza”.
Quello di oggi è il peggior incidente mai accaduto in impianti nucleari in Giappone. La sciagura ha avuto luogo proprio nel giorno dell’anniversario dell’esplosione della bomba atomica su Nagasaki nel 1945 ed è probabile che scatenerà nuove polemiche sull’opportunità dell’utilizzo di centrali nucleari nel paese.
In Giappone sono in funzione attualmente 52 centrali nucleari, che coprono oltre il 30 per cento dell’intero fabbisogno energetico del paese. Il governo ha in programma la costruzione di altre centrali, nonostante gli allarmi suscitati da un grave incidente nel 1999.
In quell’occasione a Tokaimura, a nord di Tokyo in uno stabilimento dove si lavorava l’uranio, si era verificata una reazione nucleare incontrollata per colpa di tre operai poco addestrati, che avevano mescolato materiali nucleari in una vasca. L’incidente aveva causato la morte degli operai, la contaminazione di 150 persone e si dovettero allontanare migliaia di abitanti della zona circostante.
( 9 agosto 2004 )
COMMENTO
Un Paese che si illude
di domare il mostro
DI RENATA PISU
Proprio il 9 agosto, proprio nel giorno del cinquantanovesimo anniversario della tragedia nucleare di Nagasaki, un olocausto oscurato perché sempre si parla prima di Hiroshima e dei suoi duecentomila morti, poi si accenna a Nagasaki, come se i suoi morti fossero uno scontato corollario, il Giappone si ritrova a dover fare i conti con la paura del nucleare. Tre incidenti in una giornata, il più grave nella centrale di Mihama, quattro morti, sette feriti, cause ancora misteriose, rassicurazioni che non vi è pericolo di fughe radioattive, il direttore della Società per l’Energia che porge le sue più sentite e sincere scuse, come si usa fare in Giappone.
Tutto come da copione già collaudato perché in Giappone gli incidenti nelle cinquantadue centrali nucleari che forniscono il 30 per cento del fabbisogno di energia, si susseguono, si tenta di negarli se sono di lieve entità e si arriva addirittura a falsificare i rapporti dei controlli sulla sicurezza obbligatori per legge. Ma non si è potuto mettere la sordina all’incidente della centrale di Tokaimura del 1997, quando si scoprì che gli addetti alle pulizie trasportavano l’uranio in vecchi secchi, come è dilagato lo scandalo e la paura quando nell’agosto del 2002, si è venuto a sapere che era prassi comune nascondere le fessure visibili nel circuito di raffreddamento con dei teli di plastica, per ingannare gli ispettori. E con loro tutti i giapponesi i quali avevano pensato, e l’idea li esaltava quasi come una rivincita, di poter asservire il Mostro a scopi pacifici, loro che erano stati i primi e finora gli unici a conoscerne la furia distruttiva.
Ma addomesticare la belva non è facile, specie se si guarda soprattutto al profitto, alla riduzione dei costi, se si subappaltano i lavori a piccole imprese che assumono personale “a perdere”, gente sottopagata che non conosce i rischi ai quali può andare incontro, uomini e donne che in Giappone vengono chiamati gli Zingari del Nucleare perché si spostano da una centrale all’altra immagazzinando chissà quale quantità di radiazioni.
Oggi l’opinione pubblica giapponese si inquieta, e a ragione, per il pericolo costituito dall’uso pacifico dell’energia nucleare. Stranamente, assai meno per il suo uso bellico. Infatti, c’è chi sostiene che il Giappone potrebbe dotarsi di armi nucleari tattiche come deterrente nei confronti della Corea del Nord e per i nuovi impegni assunti a fianco dell’America in Afganistan e in Iraq.
A farsi la bomba i giapponesi ci metterebbero un attimo. Nella centrale nucleare di Tokaimura manca sulla carta l’equivalente in plutonio di venticinque bombe atomiche. Le autorità escludono che il plutonio, circa 206 chilogrammi, sia stato trafugato, tanto meno venduto. L’unica è augurarsi che si tratti di un altro ennesimo errore, ma stavolta di contabilità.
( 10 agosto 2004 )
Gli zingari del reattore
I «genpatsu gypsies» sono i precari su cui si basa l’industria nucleare giapponese. Parla il reporter che li ha scoperti
PIO D’EMILIA
Erano genpatsu gypsies, gli «zingari del nucleare». Le quattro vittime dell’incidente di ieri non erano lavoratori dipendenti, ma «addetti stagionali», lavoratori in affitto, operai non specializzati cui le società che gestiscono le centrali nucleari in Giappone affidano il delicato compito della manutenzione, avvalendosi di agenzie per il lavoro occasionale. «Finalmente l’opinione pubblica giapponese si renderà conto dell’enorme pericolo che corriamo – spiega a il manifesto il fotografo giornalista Kenji Higuchi, che alcuni anni fa, spacciandosi per operaio in cerca di lavoro stagionale, realizzò un servizio sul delicato e spesso misterioso sistema della manutenzione – i nostri media parlano già dell’incidente più grave, sinora, nonostante i numerosi incidenti registrati, c’era stata solo una vittima, ufficiale, a Ibaraki, nel 1967. Ma non è così. Assieme al Cnic, il coordinamento per la controinformazione antinucleare, abbiamo calcolato che negli ultimi vent’anni le vittime tra gli addetti all’industria nucleare sono oltre 200…e chissa quanti ce ne sono sfuggiti…». Ma chi sono questi “zingari nucleari”, che Higuchi è riuscito a fotografare spacciandosi per un operaio e di cui ha parlato nel suo saggio L’industria più pericolosa del mondo? «L’industria nucleare giapponese – risponde – è molto avanzata: la scelta del nostro governo, fin dagli anni `60, è stata netta e decisa, nonostante la fortissima, e direi più che giustificata opposizione popolare (oggi ricorre l’anniversario della bomba atomica su Nagasaki, n.d.r). L’obiettivo dichiarato è di raggiungere e superare, entro il 2020, il 50% del fabbisogno di energia elettrica. Ma il mercato del lavoro è cambiato, e nonostante si tratti di un settore particolarmente delicato, dove sono richieste particolari competenze e continui aggiornamenti, il numero dei dipendenti contrattualizzati cala continuamente. A Mihama, su poco più di 350 addetti, 222 sono lavoratori stagionali. Ma la tendenza è nazionale: su 70 mila addetti, poco più del 10% ha un contratto a tempo indeterminato. Gli altri sono, appunto, «zingari». Gente che viene assunta per pochi mesi, e che potrebbe lavorare come carpentiere in un cantiere edile o ad una qualsiasi catena di montaggio della Toyota… Si tratta di gente ignorante, cui non viene impartito il necessario addestramento e che spesso viene retribuita a cottimo. E’ facile immaginare l’impatto che questo sistema ha sulla sicurezza, e sulla salute. Ricordate Tokaimura, il grave incidente del 1999? Ufficialmente vi furono solo due vittime, ma dopo due anni altri cinque addetti morirono per le radiazioni riportate: per fare prima e rispettare la «norma» assegnata, si erano tolti guanti e occhiali….».
E poi c’è il problema della trasparenza, dei dati truccati. La Tepco, una delle due maggiori società del settore, è stata condannata l’anno scorso per aver manomesso i dosimetri. «Infatti, e questo – continua Higuchi – ha ulteriormente diminuito la fiducia dell’opinione pubblica. Un po’ dappertutto, nelle zonee dove sorgono le centrali cucleari, si sono svolti o si svolgeranno referendum popolari. Il risultato è sempre uno schiacciante no, ma in Giappone i referendum sono solo consultivi e le amministrazioni locali non hanno ancora la forza di opporsi alle decisioni di Tokyo».
Recentemente, tuttavia, qualcosa sta cambiando. La moglie di uno «zingaro» di 29 anni, morto di leucemia, ha trascinato in tribunale l’azienda per cui lavorava ottenendo un indennizzo dalla Commissione nazionale per gli incidenti sul lavoro. «E’ un passo importante – spiega l’avvocato Yuichi Kaido, legale della famiglia Shiamanashi – durante il processo siamo risuciti a dimostare due cose importanti. Primo, che le aziende mentono e addirittura tendono a manipolare i dati dei dosimetri, secondo che tutta una serie di malattie generiche, nel caso insorgano su individui sani che stanno o hanno lavorato in una centrale nucleare, diventano malattie professionali e come tali vanno trattate».
E in Europa l’atomo tira
L’esecutivo Ue per l’aumento della produzione di energia nucleare
L’Italia si accoda Il governo rilancia: «Il referendum fu un errore strategico». La Cisl è con lui. Ma anche in Francia la scienza frena
ANNA MARIA MERLO
PARIGI
L’Unione europea sta lavorando il terreno per rilanciare il nucleare? La scusa è già stata trovata: per rispettare il Protocollo di Kyoto sulla riduzione di gas ad effetto serra i Ventincinque non potranno fare a meno dell’aumento della parte del nucleare nella produzione complessiva di energia. Loyola de Palacio, vice-presidente della commissione europea con l’incarico dei trasporti e dell’energia, ha messo chiaramente in relazione questi due termini nelle giornate dedicate all’energia nucleare che si sono svolte prima dell’estate all’Assemblea nazionale a Parigi. «L’Europa è dipendente per il 50 per cento del proprio consumo energetico e lo sarà sempre di più, nel 2030 questa dipendenza sarà del 70 per cento». Per questo, secondo Loyola de Palacio, bisogna almeno mantenere nel futuro la percentuale rappresentata oggi dalla fonte nucleare nell’approvvigionamento di energia in Europa, cioè il 15 per cento. «Se non si fa nulla – sostiene un recente Libro verde dedicato al Futuro dell’energia nucleare nell’Unione europea – il panorama energetico complessivo nel 2030 continuerà ad essere dominato da carburanti fossili: 38 per cento petrolio, 29 per cento gas, 19 per cento carburanti solidi, 8 per cento rinnovabili e soltanto 6 per cento per il nucleare». In Italia, paese che ha rifiutato il nucleare per referendum, il governo sta dando ampia eco alle discussioni in corso in ambito comunitario. Come per lanciare un ballon d’essai, ieri mattina alla radio, il vice-ministro dell’economia Mario Baldassarri ha affermato che «da un punto di vista strategico di lungo periodo il no al nucleare è stato un gravissimo errore con disinformazione dell’opinione pubblica sugli eventuali rischi». Al che, il leader della Cisl Savino Pezzotta ha rilanciato, affermando che gli italiani avevano approvato un refendum «che ha detto che volevamo uscire dal referendum» che aveva bandito il nucleare. Il vice-ministro per le attività produttive Adolfo Urso, è sulla stessa linea quando afferma che l’Italia è «il paese al mondo più dipendente dall’estero per quanto riguarda la produzione e il consumo energetico» e che quindi, bisogna «ripensare, come stiamo facendo, all’ipotesi del nucleare».
Mettendo tra parentesi il nucleare nei nuovi membri dell’Unione dell’Europa centrale, dove esistono gravi problemi di sicurezza e dove sono stati stanziati fondi per chiudere centrali pericolose (come quella di Ignalina, in Lituania, paese-record con una dipendenza dal nucleare del 79,7 per cento), otto dei vecchi Quindici hanno impianti nucleari, ma cinque di essi (Svezia, Spagna, Olanda, Germania e Belgio) hanno adottato o promesso una moratoria. L’Italia è la sola ad aver rinunciato al nucleare con un referendum nell’87. Invece, Francia, Finlandia e Gran Bretagna non hanno mai manifestato dubbi. Il 77,6 per cento dell’energia francese è nucleare. Il dibattito è molto inteso sul rinnovamento delle centrali (la cui durata «sicura», per migliorare il bilancio della società, è stata allungata burocraticamente di 10 anni pochi mesi prima dell’apertura del difficile dibattito sulla privatizzazione di Edf, l’Enel francese, che gestisce le centrali). La destra spinge per accelerare il rinnovamento e la sinistra è divisa. Quattro militanti si sono esauriti quest’estate in uno sciopero della fame contro il reattore superpotente Epr (European Pressuring Water Reactor): un prototipo sarà costruito in Francia, ma la decisione finale sul dove sarà presa solo in autunno. Nella regione candidata Rodano-Alpi, passata a sinistra la scorsa primavera, i Verdi e una parte del Ps sono ai ferri corti con l’altra parte del Ps, il Pcf e i sindacati che chiedono che non venga rispettata la promessa elettorale di levare la candidatura per l’Epr, che promette 10mila posti di lavoro nei cinque anni di costruzione. La Finlandia ha già firmato con Edf un contratto per la costruzione di un reattore modernissimo.
«La lobby nucleare è ripartita», spiega il fisico nucleare di Parigi VII, Georges Waysand, «tutti sono d’accordo sul fatto che si debba ridurre il Co2, ma non è molto coerente rilanciare con questa scusa il nucleare». Difatti, il gas ad effetto serra è prodotto in massima parte dai trasporti, e paradossalmente il «piano clima» appena varato dal governo francese evita accuratamente di affrontare la questione dei trasporti (dopo aver fatto balenare un malus» sulle auto ad alto tasso di inquinamento, come le Suv).
Ma molte centrali sono vecchie e poco sicure
In Bulgaria, Cechia e in Slovenia, a 120 chilometri di Trieste, reattori identici a quello di Chernobyl
Una eredità pesante Dopo l’allargamento Bruxelles vuole smantellare gli impianti dei paesi dell’Est. Ma a rischio è anche l’inglese Sellafield. Il problema scorie
LUCIA SGUEGLIA*
Se recentemente l’incubo nucleare è venuto spesso da Est, la nuova Europa a 25 non ha di che rallegrarsi. Su 434 reattori nucleari presenti nel mondo, l’Unione ne ospita attualmente circa 160 (distribuiti su un totale di 60 siti), di cui 58 in Francia. Se Germania e Belgio tra il 2000 e il 2002 hanno deciso di chiudere gradualmente i loro impianti, con l’ulteriore allargamento nel 2007 la UE ne erediterà altri 7. Bruxelles punta a disattivare al più presto tutte le centrali dell’Est di tecnologia sovietica e quelle dichiarate «non modernizzabili» (con reattori di tipo RBMK a grafite raffreddata o VVER ad acqua pressurizzata), il cui principale difetto di progettazione è l’assenza di un sistema di protezione secondaria dell’involucro nucleare. In breve: non sono attrezzate per far fronte all’evacuazione di materiale radioattivo, né al rischio di impatti esterni.
I nomi che fanno tremare sono Kozlodui in Bulgaria, Temelin in Repubblica Ceca, Bohunice in Slovacchia, la slovena Krsko a 120 chilometri da Trieste e Ignalina in Lituania, che ha due reattori identici a quelli di Chernobyl. Tutte andate incontro a «piccoli incidenti» periodici. A preoccupare di più, però, è la Federazione Russa: Mosca ha violato gli accordi sulla valutazione della sicurezza atomica rifiutandosi di chiudere l’impianto di Kursk 1, e possiede numerosi reattori ancora in funzione nonostante la durata prevista fosse limitata a trent’anni.
Fino a oggi l’Unione europea ha sborsato più di 900 milioni di euro per monitorare le centrali a rischio, e concederà varie centinaia di milioni agli Stati candidati per chiudere le centrali obsolete, assicurare controlli efficienti, provvedere alle scorie. Nessun paese al mondo – ad eccezione degli Usa – ha ancora individuato un sito geologico per lo smaltimento finale dei residui nucleari. Finlandia e la Svezia prevedono di sotterrarle a grande profondità; la Francia ha rimandato la decisione al 2006. Quanto ai paesi dell’Est, sono abituati a rispedire il loro combustibile in Russia.
Altrettanto poco affidabili, comunque, si devono considerare alcune centrali dell’Europa occidentale. Come Sellafield, in Gran Bretagna, divenuta celebre in Italia dopo che il Governo ha proposto di inviare lì le scorie nostrane: costruita secondo tecnologia molto simile a quella di Ignalina e Chernobyl, possiede un «vecchio» reattore ad acqua pressurizzata (PWR) privo di sistemi di protezione. Nel corso degli anni qui si sono verificati numerosi incidenti, e nella zona circostante sono stati rilevati livelli di incidenza di cancro nei bambini superiori a qualsiasi media europea. Le stesse centrali francesi, considerate all’avanguardia in Europa, hanno visto negli anni Novanta e oltre parecchi incidenti (come a Bugey-3). E quelle svizzere, che vendono energia all’Italia, nel 2001 hanno registrato 16 incidenti «minori» (contenuti all’interno del reattore).
All’Europa, però, manca ancora una legislazione adeguata e delle norme univoche in materia di energia e di sicurezza nucleare. L’ultimo trattato in materia, Euratom – che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica -, risale al 1957, e non interviene in alcun modo sulla sicurezza nucleare (ma può finanziare, come fa, la costruzione di nuove centrali). Concretamente, per arrivare a un sistema di norme comuni di sicurezza, Bruxelles dovrà tener conto dei risultati dei lavori delle principali autorithies internazionali in materia: l’Aiea, il Nuclear Regulator’s Working Group e la Western European Nuclear Regulators Association (riunisce le agenzie di controllo nucleare d’Europa).
In mancanza di parametri precisi sul tipo di contenimento necessario, non si ha neppure un punto di partenza comune per valutare il rischio nucleare.
*Lettera 22
Esplosione in sala turbine
Quattro morti nella centrale di Mihama: il più grave incidente nucleare in Giappone. Nel giorno di Nagasaki
MARINA FORTI
E’il più grave incidente mai avvenuto in una centrale nucleare giapponese, in termini di vittime: quattro lavoratori sono morti, altri sette sono stati ustionati in modo grave ieri pomeriggio, per un’esplosione nel reattore numero 3 della centrale nucleare di Mihama, nella prefettura di Fukui, 320 chilometri a ovest di Tokyo. L’esplosione è avvenuta intorno alle 3,30 del pomeriggio, ora locale, nella sala adiacente alle turbine, azionate da vapore sotto pressione. Un gruppo di lavoratori era appena entrato per alcune manovre di manutenzione: sono stati investiti da un getto di vapore a 142 gradi Celsius. La società proprietaria della centrale e l’ente giapponese per la sicurezza nucleare si sono precipitati a dire che non c’è stata fuga di radioattività.
Un portavoce della Kansai Electric Power Co (Kepco), la società proprietaria dell’impianto, ha precisato che l’esplosione ha provocato lo spegnimento automatizzato del nocciolo del reattore, un impianto ad acqua pressurizzata da 826 megawatt costruito nel 1976. «Il vapore che è sfuggito non contiene materiale radioattivo», ha detto un responsabile della Nuclear and Industrial Safety Agency: «Le notizie che abbiamo sono che non c’è fuga di radioattività nell’ambiente». Non può esserci fuga di radioattività, sostengono all’ente per la sicurezza, perché quel vapore non entra in contatto con l’acqua pressurizzata del reattore. A sottolineare che non c’è alcun pericolo, le autorità non hanno evacuato e neppure messo in allarme la città di Mihama, circa 11mila abitanti, affacciata sul Mar del Giappone.
Le immagini della televisione però, con pompieri e addetti in tute d’emergenza sul luogo dell’incidente, non saranno rassicuranti per i giapponesi. Né basteranno a rassicurare le scuse pronunciate ieri sera da Hiroshi Matsumura, manager generale della Kansai Electric. E neppure le parole del primo ministro Junichiro Koizumi, che per ironia della sorte ha commentato l’ultimo incidente nucleare da Nagasaki, dove partecipava alla commemorazione delle vittime della seconda bomba atomica esplosa sul pianeta, nel 1945, a pochi giorni di distanza da quella di Hiroshima. «Il governo deve fare del suo meglio per garantire la sicurezza», ha detto.
Le circostanze dell’esplosione nella centrale di Mihama restano da chiarire, sia l’azienda che l’ente statale per la sicurezza hanno annunciato inchieste – Kansai dice di non poter prevedere quanto a lungo il reattore resterà fermo. Con 11 reattori in tre centrali (Mihama, Ohi e Takahama), Kansai è la seconda azienda nucleare giapponese. Quella di Mihama è una centrale vecchia, funziona dagli anni `70. Tutti gli 11 addetti coinvolti nell’incidente sono lavoratori a contratto, dipendenti della ditta Kiuchi Keisoku di Osaka – città dove ha sede anche la Kansai Electric. Quello di ieri è il primo in Giappone in cui un incidente attiva il meccanismo automatico di spegnimento del nocciolo del reattore. E’ anche il primo incidente letale in una centrale giapponese, anche se i 4 malcapitati morti ieri non sono le prime vittime dell’industria nucleare: nel settembre del 1999 nella centrale di Tokaimura, a nord-est di Tokyo, una reazione a catena incontrollata provocò una fuga di radioattività uccise due addetti (morirono alcuni giorni dopo), 600 persone furono esposte alle radiazioni, migliaia di abitanti della zona evacuati e 320mila persone costrette a restare chiuse in casa per oltre un giorno.
Il Giappone è la terza industria nucleare civile al mondo dopo gli Stati uniti e la Francia, ha 52 reattori e ricava dall’energia atomica circa un terzo della sua elettricità. L’energia atomica è stata presentata ai giapponesi come necessaria a non dipendere dal costoso petrolio mediorientale (per affrancarsi dal Medio oriente Tokyo sta lavorando da un paio d’anni a ambiziosi piani di estrazione di petrolio e gas nella Russia asiatica).
E però anche in Giappone è cresciuta, con il tempo (e gli incidenti) un’opposizione al nucleare: ne è un segno la serie di referendum cittadini che hanno votato contro la costruzione di nuove centrali: referendum solo consultivi, ma il messaggio è chiaro. Il consenso nucleare è stato scosso dagli incidenti e forse ancor più dalla propensione dell’industria e delle autorità a nascondere i fatti. L’estate scorsa la Tokyo Electric Power Company (Tepco), maggiore società proprietaria di impianti nucleari in Giappone, aveva dovuto chiudere temporaneamente tutti i suoi 17 reattori dopo aver ammesso che per oltre dieci anni aveva falsificato i rapporti di sicurezza. Proprio ieri anche Tepco ha dovuto annunciare un incidente, sia pure «minore»: una fuga d’acqua ha imposto la chiusura di un reattore nella centrale di Fukushima-Daini.
Giappone, 15 anni di incidenti
In Giappone sono in funzione attualmente 52 centrali nucleari. Il governo ha in programma la costruzione di altri impianti in molte zone del Paese, anche se la popolazione nipponica ha votato contro in diversi referendum. le centrali nucleari già in funzione sono in grado di fornire il 31,2% del fabbisogno nazionale di energia elettrica. Ma non basta. «L’ideale – sostiene il ministero dell’economia, industria e commercio – è arrivare a coprire con il nucleare il 50% del fabbisogno nazionale». Numerosi del resto gli incidenti negli ultimi anni: la Tokyo electric power (Tepco), la società numero uno del paese, sue le centrali nella prefettura di Fukushima e di Shimane, era stata costretta poco più di un anno fa a chiudere temporaneamente tutte le sue 17 centrali, per la falsificazione sistematica della documentazione relativa alla sicurezza degli impianti per oltre 10 anni consecutivi.
6 novembre 2001: Il reattore della centrale nucleare di Hamaoka perde acqua nucleare. Si è rotto un tubo nell’impianto di raffreddamento. È allarme degli esperti per il tipo di guasto, il primo di questo tipo accaduto alle 52 centrali nucleari attive in Giappone.
30 settembre 1999: Un’operazione errata nell’impianto di trattamento delle scorie nucleari scatena una fissione incontrollata nella centrale di Tokaimura, bloccata solo dopo 20 ore. 18 tecnici si dividono in 9 coppie, per entrare nell’impianto contaminato e non restarci troppo tempo. Ne muoiono due, che si sacrificano per interrompere la fissione. Vengono ricoverate 600 persone perché esposte a radiazioni, 320mila invece sono temporaneamente evacuate. Secondo l’agenzia per la Scienza e la Tecnologia, si tratta del peggior incidente nucleare della storia giapponese, classificato al quarto livello in una scala di sette. Il massimo livello è quello raggiunto da Chernobyl.
11 marzo 1997: Ancora nella centrale di Tokaimura, va in fiamme l’impianto per il trattamento del combustibile nucleare. l’incendio dura 10 minuti, ma è seguito da una terribile esplosione. Solo dopo diversi giorni i responsabili ammettono la fuoriuscita di materiale radioattivo. Plutonio 236 e Cesio 137 arrivano fino alla parte orientale di Tokyo, spinti dal vento. Sono 37 i lavoratori dell’impianto esposti a radiazioni.
9 febbraio 1991: Scoppiano i tubi dell’acqua di raffreddamento del reattore nella centrale nucleare di Mihama. Finiscono in mare 20 tonnellate d’acqua radioattiva.
ANALISI
Dal civile al militare il passo è breve
MANLIO DINUCCI
Gli incidenti alle centrali nucleari giapponesi – il più grave quello di Mihama – avvenuti per tragica coincidenza nell’anniversario del bombardamento atomico di Nagasaki, riportano in primo piano la questione del nucleare. Sono in funzione nel mondo 441 reattori elettronucleari, che forniscono il 7% della produzione totale di energia primaria commerciale e il 17% di quella di energia elettrica. Essi sono distribuiti per l’80% in 17 paesi industrializzati dell’Ocse e per il restante 20% in altri 14 paesi. In generale, la costruzione di centrali elettronucleari si è notevolmente rallentata, soprattutto a causa dei costi economici, collegati ai crescenti problemi relativi alla sicurezza degli impianti e alla conservazione delle scorie radioattive: oltre 250mila tonnellate di metallo pesante, cui se ne aggiungono ogni anno 10mila, che resteranno altamente pericolose per secoli e millenni.
Vi è inoltre il problema che, anche se le centrali nucleari offrono il vantaggio di non emettere gas-serra, esse emettono piccole dosi di radioattività le quali, nel lungo periodo, possono arrecare danni agli esseri viventi. Molto maggiori sono le emissioni radioattive degli impianti di arricchimento e ritrattamento del combustibile nucleare. Frequenti sono, inoltre, le fuoriuscite accidentali di radioattività provocate da guasti e incidenti.
L’ulteriore problema, il più grave, deriva dal fatto che, non esistendo una netta linea di demarcazione tra uso civile e uso militare del materiale fissile, i paesi che lo producono possono servirsene per costruire armi nucleari. Oltre agli otto paesi che già posseggono armi nucleari (Stati uniti, Russia, Francia, Cina, Israele, Gran Bretagna, India, Pakistan), ve ne sono almeno altri trentasette che si ritiene siano in grado di costruirle. Tra questi, la Corea del Nord potrebbe aver già raggiunto tale capacità.
Nello stesso Giappone vi è una corrente politica favorevole alla costruzione di un arsenale nucleare nazionale, consono al suo status di seconda potenza economica mondiale. Avendo una sviluppata industria elettronucleare comprendente 53 reattori, esso ha accumulato oltre 38mila chilogrammi di plutonio 239, sufficienti a fabbricare circa 7mila testate nucleari. Anche se non si può prevedere in quali circostanze un governo giapponese potrebbe lanciare la sfida nucleare, uscendo dal Trattato di non-proliferazione ratificato nel 1976 e scontrandosi col forte movimento anti-nucleare esistente nel paese, tale possibilità è reale.
Altrettanto reale è la possibilità che altri paesi cerchino di costruire armi nucleari e prima o poi ci riescano. Non può infatti restare immutata per sempre la situazione in cui un piccolo gruppo di stati mantiene l’oligopolio delle armi nucleari. In questo «club nucleare» dominano gli Stati uniti che, scavalcando le Nazioni unite, si arrogano il diritto di stabilire quali paesi possano e quali non possano possedere armi nucleari.
Nello stesso giorno in cui 59 anni fa gli Usa sganciarono su Nagasaki una bomba al plutonio, la consigliera per la sicurezza nazionale, Condoleeza Rice, ha accusato l’Iran di aver ripreso la fabbricazione di centrifughe non per uso civile ma per ricavare il plutonio necessario a produrre in futuro armi nucleari. «Non possiamo permettere che l’Iran sviluppi armi nucleari», ha concluso con tono minaccioso.
Analoghi minacciosi avvertimenti sono stati lanciati dal governo israeliano che, a differenza di quello iraniano, non aderisce al Trattato di non-proliferazione e, non sottoposto ad alcuna verifica da parte della Iaea, è l’unico in Medio Oriente a possedere e a tenere puntate sugli altri paesi della regione dalle 200 alle 400 testate nucleari.
Particolarmente preoccupante è il fatto che il comando militare israeliano ha iniziato domenica scorsa a distribuire pillole allo iodio alla popolazione della zone vicine al centro nucleare di Dimona (dove si producono segretamente armi nucleari), «per proteggere i residenti dal fallout radioattivo provocato da un attacco missilistico al centro nucleare o in caso di incidente a un reattore» (letta su Haaretz, 8 agosto). Tale decisione rientra evidentemente nella campagna per preparare i governi e l’opinione pubblica a un attacco «preventivo» israeliano contro gli impianti nucleari iraniani.
Un attacco che potrebbe provocare, anche per l’Europa, effetti più gravi della catastrofe di Cernobyl.
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FUKUSHIMA
ROMA – E’ racchiuso in un guscio formato da tre strati, come una sorta di matrioska, il reattore delle centrali nucleari ad acqua bollente Bwr (Boiling water reactor), come quella di Fukushima 1.
Nel cuore di questa struttura concentrica si trovano le barre che contengono il combustibile: tubi di acciaio dal diametro di un centimetro e lunghi quattro metri al cui interno si trova il combustibile in forma di pastiglie.
Il sistema è progettato in modo che il combustibile resti confinato all’interno delle barre, che per questo motivo possono essere considerate la prima struttura di confinamento.
Le barre di combustibile sono a loro volta racchiuse e protette da una struttura di acciaio (vessel): è il contenitore più interno dell’edificio che racchiude il reattore.
Il vessel d’acciaio è racchiuso in un guscio di cemento armato dalla forma che ricorda quella di un’ampolla. Tra questo contenitore e il vessel si trovano le tubazioni e tutti i sistemi che assicurano l’ingresso e la fuoriuscita dell’acqua di raffreddamento.
Il vessel di acciaio e il suo guscio di cemento armato sono a loro volta racchiusi in una gabbia di calcestruzzo e acciaio nella quale si trovano le vasche per lo stoccaggio del combustibile, i servizi ausiliari e la vasca di abbattimento dell’accumulo di pressione. E’ la parte superiore di questo edificio ad essere crollata nei reattori 1 e 3 della centrale di Fukushima 1.
”Questa filosofia di costruzione, comune a tutte lecentrali di seconda generazione si basa sulla concezione della difesa in profondità, secondo la quale il combustibile non deve essere assolutamente rilasciato nell’ambiente”, spiega Emilio Santoro, dell’Enea.
Una filosofia che non esisteva affatto all’epoca della progettazione della centrale a grafite di Chernobyl. In quella centrale il primo guscio, ossia il vessel che racchiude le barre di combustibile, era completamente scoperto ed era inserito in un edificio normale.
La filosofia del contenimento in profondità è invece alla base delle centrali di terza generazione, come quelle che si vogliono costruire in Italia, ma con alcune ulteriori misure di contenimento rispetto alle centrali di seconda generazione. Rispetto a queste ultime, le centrali Epr (European pressurized water reactor) hanno un ulteriore involucro metallico intorno al primo guscio che contiene le barre di combustibile. ”E’ un contenimento a tenuta – spiega Santoro – contro eventuali perdite dal circuito primario”.
Sempre rispetto alle centrali di seconda generazione, le Epr hanno in più una vasca che permette l’abbattimento della temperatura nel caso di eventuale fusione del materiale. In seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, si sta pensando (ma è ancora un’idea) a rafforzare ulteriormente l’edificio dei reattori Epr con una doppia parete in cemento armato, abbastanza robusta da contenere l’impatto di un grande aereo di linea.
La centrale Fukushima I, per la quale é stata dichiarata la prima emergenza nucleare ufficiale in Giappone, è uno dei 25 impianti nucleari più grandi del mondo. Gestita dalla Tokyo Electric Power Company (Tepco), la centrale si trova nella città di Okuma, a circa 200 chilometri da Tokyo, nella prefettura di Fukushima ed è costituita da sei unità separate fra loro, che complessivamente hanno una produzione di 4,7 GW. A circa 11 chilometri dalla centrale di Fukushima I si trova un altro impianto nucleare, quello di Fukushima 2.
Al momento del terremoto erano in funzione tre dei sei reattori, che si sono spenti automaticamente, mentre gli altri tre erano fermi per manutenzione. Si tratta di centrali del tipo BWR (Boiling water reactor), un modello progettato negli Stati Uniti negli anni ’50. La costruzione dell’impianto giapponese è cominciata a partire dal 1966 e la centrale è diventata operativa nel 1971. Le centrali del tipo Bwr utilizzano acqua demineralizzata per raffreddare il reattore. Il calore prodotto dal processo di fissione nucleare che avviene all’interno del reattore viene raffreddato dall’acqua che, riscaldandosi, vaporizza. Il vapore così ottenuto viene utilizzato per azionare una turbina e quindi viene fatto condensare e torna ad essere acqua allo stato liquido che rientra in circolo nel reattore.
I gusci che proteggono il nocciolo
15 marzo, 19:08
E’ racchiuso in un guscio formato da tre strati, come una sorta di matrioska, il reattore delle centrali nucleari ad acqua bollente Bwr (Boiling water reactor), come quella di Fukushima 1. Nel cuore di questa struttura concentrica si trovano le barre che contengono il combustibile: tubi di acciaio dal diametro di un centimetro e lunghi quattro metri al cui interno si trova il combustibile in forma di pastiglie. Il sistema e’ progettato in modo che il combustibile resti confinato all’interno delle barre, che per questo motivo possono essere considerate la prima struttura di confinamento. Le barre di combustibile sono a loro volta racchiuse e protette da una struttura di acciaio (vessel): e’ il contenitore piu’ interno dell’edificio che racchiude il reattore. Il vessel d’acciaio e’ racchiuso in un guscio di cemento armato dalla forma che ricorda quella di un’ampolla. Tra questo contenitore e il vessel si trovano le tubazioni e tutti i sistemi che assicurano l’ingresso e la fuoriuscita dell’acqua di raffreddamento. Il vessel di acciaio e il suo guscio di cemento armato sono a loro volta racchiusi in una gabbia di calcestruzzo e acciaio nella quale si trovano le vasche per lo stoccaggio del combustibile, i servizi ausiliari e la vasca di abbattimento dell’accumulo di pressione. E’ la parte superiore di questo edificio ad essere crollata nei reattori 1 e 3 della centrale di Fukushima 1. ”Questa filosofia di costruzione, comune a tutte le centrali di seconda generazione si basa sulla concezione della difesa in profondita’, secondo la quale il combustibile non deve essere assolutamente rilasciato nell’ambiente”, spiega Emilio Santoro, dell’Enea. Una filosofia che non esisteva affatto all’epoca della progettazione della centrale a grafite di Chernobyl. In quella centrale il primo guscio, ossia il vessel che racchiude le barre di combustibile, era completamente scoperto ed era inserito in un edificio normale. La filosofia del contenimento in profondita’ e’ invece alla base delle centrali di terza generazione, come quelle che si vogliono costruire in Italia, ma con alcune ulteriori misure di contenimento rispetto alle centrali di seconda generazione. Rispetto a queste ultime, le centrali Epr (European pressurized water reactor) hanno un ulteriore involucro metallico intorno al primo guscio che contiene le barre di combustibile. ”E’ un contenimento a tenuta – spiega Santoro – contro eventuali perdite dal circuito primario”. Sempre rispetto alle centrali di seconda generazione, le Epr hanno in piu’ una vasca che permette l’abbattimento della temperatura nel caso di eventuale fusione del materiale. In seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, si sta pensando (ma e’ ancora un’idea) a rafforzare ulteriormente l’edificio dei reattori Epr con una doppia parete in cemento armato, abbastanza robusta da contenere l’impatto di un grande aereo di linea.
I sei reattori di Fukushima 1
13 marzo, 16:04
ROMA – Fukushima I e’ un complesso che comprende sei impianti nucleari, piu’ altri due in fase di costruzione. Dei sei impianti, soltanto tre (quelli indicati con i numeri 1, 2 e 3) erano in funzione al momento del terremoto di venerdi’ scorso, mentre gli altri erano spenti per manutenzione. All’indomani del problema di raffreddamento nel reattore numero 1, nel reattore numero 3 si sono manifestati problemi simili e l’accumulo di calore ha portato alla rottura delle barre di combustibile. Tutti e tre i reattori in funzione si sono spenti automaticamente in seguito al terremoto e il problema nell’impianto 1 e’ nato quando e’ stato danneggiato il sistema di emergenza che garantisce il raffreddamento del reattore ed evita cosi’ il pericoloso surriscaldamento che in condizioni estreme potrebbe portare alla fusione del materiale combustibile. Si e’ deciso cosi’ evitare l’accumulo di calore con il rilascio controllato di vapore e in seguito, come previsto in questi casi, si e’ deciso di utilizzare l’acqua di mare per il raffreddamento. In questi casi con il vapore fuoriescono dalla centrale isotopi radioattivi e questo sta accadendo anche nel reattore 3 in seguito alla rottura delle basse di combustibile, con il rilascio di iodio 131.
Gestita dalla Tokyo Electric Power Company (Tepco), la centrale si trova nella citta’ di Okuma, a circa 200 chilometri da Tokyo, nella prefettura si Fukushima. La sua costruzione e’ cominciata nel 1966 e il primo impianto e’ entrato in attivita’ nel 1971. I sei impianti sono del tipo BWR (Boiling water reactor), sono stati progettati dall’americana General Electric e dalla Hitachi e complessivamente producono oltre 4.500 MW. Le centrali di questo tipo utilizzano acqua demineralizzata per raffreddare il reattore. Il calore prodotto dal processo di fissione nucleare che avviene all’interno del reattore viene raffreddato dall’acqua che, riscaldandosi, vaporizza. Il vapore cosi’ ottenuto viene utilizzato per azionare una turbina e quindi viene fatto condensare e torna ad essere acqua allo stato liquido che rientra in circolo nel reattore. Al momento del terremoto negli impianti 1, 2 e 3 sono scattate le valvole di isolamento del reattore ed e’ stato cosi’ interrotto il flusso di vapore alle turbine. Da da quel momento il reattore e’ stato isolato dal resto della centrale e in questo casi il raffreddamento e’ garantito da un sistema di emergenza, azionato da generatori diesel. L’acqua necessaria dal sistema di emergenza e’ prelevata da grandi serbatoi interni all’edificio del reattore e: il valore prodotto viene condensato all’interno dell’impianto e rimesso in circolo. Se questa situazione si protrae a lungo, come e’ avvenuto ieri nell’impianto 1, per evitare l’accumulo di pressione il vapore puo’ essere scaricato all’esterno (come e’ avvenuto ieri) su autorizzazione dell’autorita’ locale per la sicurezza nucleare.
Che accade con rottura barre uranio
13 marzo, 16:02
ROMA – La rottura delle barre di combustibile può provocare la fuoriuscita dall’impianto di isotopi radioattivi come iodio 131. Fin da ieri, a quanto si apprende, é stata rilevata la presenza di iodio 131 e cesio 137 a concentrazioni che gli esperti hanno definito “non preoccupanti”, con un “rateo di dose al confine dell’impianto di circa 500 microsievert/ora”. La rottura delle barre di combustibile è avvenuta molto probabilmente a causa di uno stress termico, dovuto all’accumulo di calore. Le barre di combustibile sono tubi di acciaio dal diametro di un centimetro e lunghi quattro metri; al loro interno si trova il combustibile in forma di pastiglie. Nel caso di rottura delle barre, gli isotopi radioattivi dei quali è pieno il combustibile possono fuoriuscire e passare nell’acqua di raffreddamento e da qui nel vapore che viene scaricato all’esterno dell’impianto.
Emergency Core Cooling Systems
The emergency core cooling systems (ECCS) provide core cooling under loss of coolant accident
conditions to limit fuel cladding damage. The emergency core cooling systems consist of two high
pressure and two low pressure systems. The high pressure systems are the high pressure coolant
injection (HPCI) system and the automatic depressurization system (ADS). The low pressure systems
are the low pressure coolant injection (LPCI) mode of the residual heat removal system and the core
spray (CS) system.
The manner in which the emergency core cooling systems operate to protect the core is a function of the
rate at which reactor coolant inventory is lost from the break in the nuclear system process barrier. The
high pressure coolant injection system is designed to operate while the nuclear system is at high pressure.
The core spray system and low pressure coolant injection mode of the residual heat removal system are
designed for operation at low pressures. If the break in the nuclear system process barrier is of such a
size that the loss of coolant exceeds the capability of the high pressure coolant injection system, reactor
pressure decreases at a rate fast enough for the low pressure emergency core cooling systems to
commence coolant injection into the reactor vessel in time to cool the core.
Automatic depressurization is provided to automatically reduce reactor pressure if a break has occurred
and the high pressure coolant injection system is inoperable. Rapid depressurization of the reactor is
desirable to permit flow from the low pressure emergency core cooling systems so that the temperature
rise in the core is limited to less than regulatory requirements.
If, for a given break size, the high pressure coolant injection system has the capacity to make up for all
of the coolant loss, flow from the low pressure emergency core cooling systems is not required for core
cooling protection until reactor pressure has decreased below approximately 100 psig.
The performance of the emergency core cooling systems as an integrated package can be evaluated by
determining what is left after the postulated break and a single failure of one of the emergency core
cooing systems. The remaining emergency core cooling systems and components must meet the 10 CFR
requirements over the entire spectrum of break locations and sizes. The integrated performance for
small, intermediate, and large sized breaks is shown on pages 3-11 and 3-12.
http://www.iaea.org/newscenter/news/tsunamiupdate01.html
(vi sono tutti i comunicati del Governo giapponese all’ente mondiale di controllo)
Japan Earthquake Update (16 March 2011, 03:55 UTC)
Japanese authorities have informed the IAEA that a fire in the reactor building of Unit 4 of the Fukushima Daiichi nuclear power plant was visually observed at 20:45 UTC of 15 March. As of 21:15 UTC of the same day, the fire could no longer be observed.
Fire of 14 March
As previously reported, at 23:54 UTC of 14 March a fire had occurred at Unit 4. The fire lasted around two hours and was confirmed to be extinguished at 02:00 UTC of 15 March.
Water Level in Uunit 5
Japanese authorities have also informed the IAEA that at 12:00 UTC of 15 March the water level in Unit 5 had decreased to 201 cm above the top of the fuel. This was a 40 cm decrease since 07:00 UTC of 15 March. Officials at the plant were planning to use an operational diesel generator in Unit 6 to supply water to Unit 5.
The IAEA continues to liaise with the Japanese authorities and is monitoring the situation as it evolves.
| Fukushima Daiichi 1 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 439 MWe Operable. Initial criticality: 10/1970. Commercial start: 03/1971. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: General Electric Co. Steam Generator Supplier: General Electric Co. Architecture: Ebasco Construction: Kajima Fukushima Daiichi 2 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 760 MWe Operable. Initial criticality: 05/1973. Commercial start: 07/1974. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: General Electric Co. Steam Generator Supplier: General Electric Co. Architecture: Ebasco Construction: Kajima Fukushima Daiichi 3 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 760 MWe Operable. Initial criticality: 09/1974. Commercial start: 03/1976. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: Toshiba Steam Generator Supplier: Toshiba Architecture: Toshiba Construction: Kajima Fukushima Daiichi 4 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 760 MWe Operable. Initial criticality: 01/1978. Commercial start: 10/1978. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: Hitachi Steam Generator Supplier: Hitachi Architecture: Hitachi Construction: Kajima Fukushima Daiichi 5 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 760 MWe Operable. Initial criticality: 08/1977. Commercial start: 04/1978. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: Toshiba Steam Generator Supplier: Toshiba Architecture: Toshiba Construction: Kajima Fukushima Daiichi 6 Ohkuma, Fukushima, Japan Boiling Water Reactor (BWR) Net Output: 1067 MWe Operable. Initial criticality: 03/1979. Commercial start: 10/1979. Utility: Tokyo Electric Power Co. Reactor Supplier: General Electric Co. Steam Generator Supplier: General Electric Co. Architecture: Ebasco Construction: Kajima |
Come tutti sappiamo, a seguito del violentissimo “terremoto di Sendai” (e successivo tsunami) in data 11 marzo 2011 (magnitudo Richter 9.0 ; il più potente sisma mai misurato in Giappone ed il quarto più forte di sempre) la centrale elettronucleare giapponese “Fukushima Daiichi (Fukushima I)” ha subito danni.
La centrale è situata nella città di Okuma (Distretto di Futaba della Prefettura di Fukushima) e sono presenti 6 reattori di tipo BWR.
Inoltre a circa 10 km è situata anche una seconda centrale elettronucleare “Fukushima Daini Fukushima II)”, dotata di 4 reattori di tipo BWR.
Entrambe queste centrali sono gestite dalla società “Tokyo Electric Power” (TEPCO).
Si precisa che la redazione del corposo documento è terminata in data del 15 marzo: visto il continuo succedersi di eventi in Giappone, il documento non può ovviamente tener conto di eventuali evoluzioni successive a questa data. Tuttavia la presenza di aspetti squisitamente tecnici permette a questo documento di rimanere interessante per il dibattito tecnico, indipendentemente dall’ evoluzione dei fatti in Giappone.
* Fukushima I = Fukushima Daiichi, Fukushima II = Fukushima Daini
Cosa è successo a Fukushima
Cercherò di riassumere i fatti principali. Il terremoto che ha colpito il Giappone è stato 5 volte più potente del peggior terremoto per cui l’impianto nucleare era stato costruito (la scala Richter lavora in modo logaritmico;la differenza tra gli 8.2 per cui l’impianto è stato costruito e gli 8.9 che si sono venuti a creare è di 5 volte,non di 0.7).Quindi il primo urrà per l’ingegneria Giapponese,tutto ha resistito.
Quando un terremoto colpisce con 8.9,il reattore nucleare si spegne automaticamente. Nel giro di secondi dall’inizio del terremoto,le barre di controllo sono state inserite nel nucleo e la reazione nucleare a catena dell’uranio si è fermata. Ora,il sistema di raffreddamento deve portare via il calore restante. Il calore restante è circa il 3% al disotto del normale carico di calore in normali condizioni di lavoro.
Il terremoto ha distrutto l’alimentazione esterna del reattore nucleare. Questo è uno degli incidenti più seri per una centrale nucleare e di conseguenza un “impianto di black out” riceve molte attenzioni quando si progettano i sistemi di riserva. L’energia è necessaria per mantenere attive le pompe di raffreddamento. Da quando il sistema di alimentazione è stato spento,non produce più alcun tipo di corrente elettrica.
Le cose sono andate bene per un’ora. Un gruppo di generatori Diesel di emergenza è entrato in azione e ha creato l’energia che era necessaria. A quel punto è arrivato lo Tsunami,molto più grande di quando le persone si aspettavano quando l’impianto fu costruito(vedi sopra,fattore 7).Lo tsunami ha messo fuori gioco tutti i diversi gruppi di generatori di riserva Diesel.
Quando si progetta un impianto nucleare,gli ingegneri seguono la filosofia chiamata “Difesa in profondità”.Che significa che prima si costruisce qualsiasi cosa per resistere alla peggiore catastrofe che si possa immaginare,e poi si progetta l’impianto in modo tale che questo possa ancora reggere a un altro disastro (che si pensa non possa mai accadere) dopo il primo. In questo caso,uno tsunami ha distrutto tutti i sistemi energetici di riserva in un colpo solo. L’ultima linea di difesa è inserire il tutto nel terzo strato di contenimento (vedi sopra),che terrà qualunque cosa,qualunque sia il problema,barre di contenimento inserite o meno,fusione o no,dentro il reattore.
Quando i generatori diesel sono stati messi fuori uso,gli operatori sul reattore sono passati all’alimentazione a batteri a. Le batterie sono state progettate per essere la riserva della riserva,per dare energia al sistema di raffreddamento del nocciolo per altre 8 ore. E lo hanno fatto.
All’interno delle 8 ore,un’altra fonte energetica doveva essere trovata e connessa all’impianto energetico della centrale. La rete energetica era danneggiata per via del terremoto. I generatori diesel erano distrutti dallo tsunami. Così sono arrivati generatori diesel mobili.
Qui è dove le cose hanno iniziato ad andare veramente male. Non è stato possible connettere generatori esterni all’impianto energetico (i connettori non combaciavano).Così dopo che le batterie si sono esaurite,non è più stato possibile portare via il calore in eccesso.
A questo punto gli operatori dell’impianto hanno iniziato a seguire le procedure di emergenza per i casi di “mancanza di raffreddamento”.E’ ancora un passo dietro alla linea di “Difesa in profondità”.L’energia ai sistemi di raffreddamento non avrebbe mai dovuto mancare completamente,ma così è stato,così si sono ritirati alla prossima linea di difesa.Tutto questo,per quanto possa sembrare shoccante per noi,è una parte dell’addestramento per cui, giorno per giorno un operatore è addestrato,proprio come gestire una fusione del nocciolo.
E’ stato a questo punto che le persone hanno iniziato a parlare di fusione del nocciolo. Perchè a fine giornata,se il raffreddamento non poteva essere ripristinato,il nocciolo avrebbe eventualmente potuto fondersi (dopo ore o giorni),come ultima linea di difesa,il “blocca nocciolo” e il terzo strato di contenimento sarebbero entrati in gioco.
Ma l’obbiettivo a questo punto è gestire il nocciolo mentre sta riscaldando ,e garantire che il primo strato di contenimento (i tubi di Zircaloy che contengono il combustibile nucleare),come il secondo strato (la nostra pentola a pressione) rimanga intatto e operativo il più a lungo possibile,per permettere agli ingegneria il tempo di riparare i sistemi di raffreddamento.
Dato che raffreddare il nocciolo è un grosso problema,il reattore ha molti sistemi di raffreddamento,ognuno in diverse versioni (il sistema di pulizia dell’acqua del reattore,il decadimento per la rimozione del calore,il raffreddamento dell’isolante del reattore,il liquido di raffreddamento in attesa,e il sistema di raffreddamento di emergenza del reattore).Ora come ora,quando uno di questi abbia o meno fallito non è chiaro.
Quindi immagina la nostra pentola a pressione come una stufa,con poco calore,ma accesa.Gli operatori hanno usato qualsiasi sistema di raffreddamento in loro possesso per smaltire il calore il più possibile,ma la pressione inizia a crescere. La priorità ora è mantenere intatto il primo strato di contenimento (mantenere la temperatura delle barre combustibile al di sotto dei 2200°C),come anche per il secondo strato di contenimento,la pentola a pressione.Per mantenere intatta la pentola a pressione (il secondo strato di contenimento),la pressione deve essere rilasciata di volta in volta.Dato che la possibilità di fare ciò in un’emergenza è importante,il reattore ha 11 valvole per abbassare la pressione.Gli operatori ora hanno iniziato ad rilasciare vapore col tempo per controllare la pressione.La temperatura a questo punto era di circa 550°C.
Questo è il momento è iniziata la trasmissione di notizie su una “perdita di radiazioni”.Credo di aver spiegato sopra perché liberare il vapore è teoricamente lo stesso che rilasciare radiazioni nell’ambiente,ma perché questo non è pericoloso. L’azoto radioattivo come i gas nobili non sono un pericolo per la salute umana.
Ad un certo punto,durante il rilascio,è avvenuta un’esplosione. L’esplosione ha preso luogo fuori del terzo strato di contenimento (la nostra “ultima linea di difesa”),e fuori anche dalla struttura del reattore. Ricordo che la struttura del reattore non ha la funzione di mantenere contenuta la radioattività. Non è ancora chiaro cosa è successo,ma questa è la cosa più probabile:Gli operatori hanno deciso di liberare il vapore dal contenitore a pressione non direttamente nell’ambiente ,ma nello spazio tra il terzo strato di contenimento e la struttura del reattore (per dare più tempo al vapore radioattivo di placarsi).Il problema è che alle alte temperature che il nocciolo ha raggiunto a questo punto,le molecole di acqua possono “dissociarsi” in ossigeno e idrogeno,un mix esplosivo. E questo è esploso,fuori dal terzo strato de contenimento,danneggiando danneggiando la struttura attorno al reattore. E’ stato questo tipo di esplosione,ma all’interno il contenitore a pressione (perché era stato mal progettato e non gestito adeguatamente dagli operatori) che ha portato alla esplosione di Chernobyl. Questo non è mai stato un rischio a Fukushima. Il problema della formazione di idrogeno-ossigeno è uno dei più grandi quando si progetta una centrale nucleare (se di fatto non sei Sovietico),quindi la struttura del reattore è costruita e gestita in modo tale che questo non possa accadere all’interno del contenimento. Questo avviene fuori,che non è intenzionale,ma è uno scenario OK,perché non porta rischi per il contenimento.
Quindi il contenitore a pressione è sotto controllo,e il vapore è disperso. Ora, se continui a far bollire la tua teiera,il problema è che il livello dell’acqua si abbasserà continuamente. Il nocciolo è coperto da molti metri di acqua per permettere di avere tempo (ore,giorni) prima che venga esposto. Una volta che le barre iniziano a essere esposte in superficie,le parti esposte raggiungeranno la temperatura critica di 2200°C dopo circa 45 minuti. Questo è quando il primo strato di contenimento, il tubo allo Zricaloy,fallisce.
Ed è quello che sta iniziando ad accadere. Il raffreddamento non poteva essere ripristinato prima in quanto c’era un (molto limitato,ma comunque presente) danno all’involucro di alcune barre combustibili. Il materiale nucleare in se era intatto,ma la struttura esterna di Zircaloy ha iniziato a fondersi. Cosa è accaduto ora è che alcuni dei sottoprodotti dell’uranio decadono – Cesio radioattivo e Iodo – iniziano a mescolarsi con il vapore. Il grande problema,l’uranio,era ancora sotto controllo,in quanto le barre di ossido di uranio non subiscono danni fino a 3000 °C.E’ confermato che una piccolissima quantità di Cesio e Iodio è stata rilevata nei vapori che sono stati rilasciati nell’atmosfera.
Sembra fosse il “segnale di partenza” per il principale piano B. Le piccole quantità di Cesio rilevate hanno detto agli operatori che il primo strato di contenimento di una delle barre da qualche parte era pronta.Il piano A era di ripristinare una dei regolari sistemi di raffreddamento del nocciolo. Perchè ha fallito non è chiaro. Una spiegazione plausibile è che lo tsunami abbia anche portato via / inquinato tutta l’acqua pulita necessaria per i regolari sistemi di raffreddamento.
L’acqua usata nei sistemi di raffreddamento è molto pulita, demineralizzata (come distillata).Il motivo per cui si usa acqua pulite è quello menzionato sopra riguardo all’attivazione dei neutroni dall’Uranio:acqua pure non si attiva molto,quindi resta praticamente non radioattiva. Sporco o sale nell’acqua assorbirebbe i neutroni più velocemente ,divenendo più radioattiva.
Questo non ha effetto sul nocciolo – non importa da cosa sia raffreddato. Ma questo rende la vita più difficile per gli operatori e i meccanici quando hanno a che fare con acqua attiva (poco radioattiva).
Ma il piano A ha fallito – i sistemi di raffreddamento o acqua pulita non erano reperibili – quindi il piano B ha avuto effetto. Questo è circa quello che è successo:
Per prevenire una fusion del nocciolo,gli operatori hanno iniziato ad utilizzare acqua di mare per raffreddare il nocciolo. Non sono molto sicuro se hanno inondato la nostra pentola a pressione (il secondo strato di contenimento), o se hanno inondato il terzo strato di contenimento,immergendo la pentola a pressione ma questo non è rilevante per noi.
Il punto è che il combustibile nucleare ha ora iniziato a raffreddarsi. Poichè la reazione a catena è stata fermata molto tempo fa,ci sono solo piccoli residui di calore che vengono prodotti attualmente. La grande quantità di acqua di raffreddamento che è stata usata è sufficiente per disperdere il calore.P oichè è molta acqua,il nocciolo non produce più sufficiente calore per generare significativi livelli di pressione. Inoltre,è stato aggiunto acido borico all’acqua marina. Acido Bordico “liquido delle barre di contenimento”.Se il decadimento sta ancora avvenendo,l’acido borico catturerà i neutrini e aumenterà inoltre la velocità di raffreddamento del nocciolo.
L’impianto è andato vicino a una fusion del nocciolo. Questo è lo scenario peggiore,ed è stato evitato:se l’acqua del mare non fosse stata usata nel trattamento,gli operatori avrebbero continuato a liberare vapore acqueo per evitare che la pressione aumentasse. Il terzo strato di contenimento sarebbe allora stato completamente sigillato per permettere alla fusion del nocciolo di avveniere senza rilasciare material radioattivo. Dopo la fusione,ci sarebbe stato un periodo di attesa per permettere ai materiali radioattivi di decadere all’interno del reattore,e a tutte le particelle di posarsi sulla superficie dentro lo strato di contenimento. Il contenimento sarebbe stato pulito all’interno. Quindi sarebbe iniziato molto lavoro per rimuovere il nucleo fuso dal contenimento impacchettando il combustibile (di nuovo solido) per essere trasportato in container e essere trasportato agli impianti per essere lavorato. A seconda del danno,
l’impianto sarebbe stato smantellato o riparato.
Considerazioni attuali
Ora,questo a cosa ci porta? La mia valutazione:
- L’impianto è ora sicuro e lo resterà.
- Il Giappone sta verificando un “Incidente INES di livello 4”: Incidente nucleare con conseguenze locali.
Che è un male per la compagnia che gestisce l’impianto,ma non per chiunque altro.
- Alcune radiazioni sono stati rilasciate quanto il contenimento a pressione è stato aereggiato.Tutti gli isotopi radioattivi del vapore attivo sono decaduti.Una piccolissima quantità di Cesio è stata rilasciata insieme a dello Iodio.
Se stavi seduto sopra alla ciminiera dell’impianto quanto sono stati areati,probabilmente avresti dovuto smettere di fumare per ritornare alla tua aspettativa di vita precedente. Gli isotopi di Cesio e di Iodio sono stati portati fuori verso il mare e non si faranno più vedere.
- C’è stato un danno limitato al primo strato di contenimento. Questo significa che una piccola quantità di Cesio radioattivo e di Iodio saranno rilasciate nell’acqua di raffreddamento , ma non Uranio o altre sostanze pericolose (l’ossido di Uranio non si “dissolve” nell’acqua).Ci sono strutture per il trattamento dell’acqua di raffreddamento all’interno del terzo strato di contenimento .Il Cesio e lo Iodio radioattivo saranno rimossi qui e eventualmente immagazzinati come rifiuti radioattivi nel terminale di stoccaggio.
- L’acqua del mare usata come acqua di raffreddamento sarà in qualche misura attiva. Poichè le aste di controllo sono completamente inserite, non sta avvenendo la reazione a catena con l’Uranio. Questo significa che la “principale” reazione nucleare non è in atto,perciò non contribuisce all’attivazione. I materiali con media radioattività (Cesio e Iodio) in questa fase sono perlopiù andati,perché il decadimento dell’Uranio è stato fermato molto tempo fa.
Ciò riduce ulteriormente la radioattività.Fondamentalmente,ci sarà qualche basso livello di radiazione nell’acqua del mare che sarà rimossa negli impianti di trattamento.
- L’acqua del mare sarà poi sostituita nel tempo con la “normale” acqua di raffreddamento.
- Il nucleo del reattore sarà smantellato e trasportato in una struttura di trattamento,come durante un regolare cambio di combustibile.
- Le barre di combustibile e l’intero impianto saranno controllati per potenziali danni.Questo richiedere all’incirca 4-5 anni.
- Il sistema di sicurezza in tutti gli impianti giapponesi sarà aggiornato per resistere a un terremoto di intensità 9.0 e a uno tsunami (o peggio).
- (Aggiornamento) Credo che il problema più significativo sarà la prolungata carenza di energia elettrica.
11 dei 55 reattori nucleari giapponesi in differenti impianti sono stati spenti e saranno ispezionati,portando direttamente a una riduzione dell’energia nucleare prodotta dal paese del 20%,che signica circa il 30% della produzione dell’energia nazionale totale.Non ho considerato nelle consequenze altri impianti nucleari non direttamente coinvoli.Questo ammanco probabilmente sarà coperto utilizzando gli impianti energetici a gas che solitamente sono utilizzati solamente nei casi di sovraccarichi per coprire il carico energetico di base.
Non ho familiarità con la catena giapponese di rifornimento energetico per petrolio,gas e carbone,e quali danni i porti,le raffinerie,i magazzini e la rete di trasporti abbiano subito,come per i danni alla rete di distribuzione nazionale.
Tutto questo porterà ad aumenti nelle bollette dell’elettricità,come anche a carenze energetiche durante i momenti di maggiore richiesta e durante gli sforzi per la ricostruzione in Giappone.
- Tutto questo è solo una parte di un’immagine più ampia. La risposta alla emergenza ha a che fare con la disposizione di rifugi, acqua potabile,cibo e cure mediche,trasporti e infrastrutture di comunicazione,come anche per l’approvvigionamento energetico.In un mondo costruito sulle catene di rifornimento,siamo di fronte a una delle più grandi sfide in tutte queste aree.
Se vuoi riamanere informato, perfavore, dimentica i tradizionali media e consulta i seguenti siti web:
- http://bravenewclimate.com/
- http://www.world-nuclear-news.org/default.aspx
- http://www.world-nuclear-news.org/RS_Battle_to_stabilise_earthquake_reactors_1203111.html
- http://www.world-nuclear-news.org/RS_Venting_at_Fukushima_Daiichi_3_1303111.html
- http://bravenewclimate.com/2011/03/12/japan-nuclear-earthquake/
- http://ansnuclearcafe.org/2011/03/11/media-updates-on-nuclear-power-stations-in-japan/
NOCCIOLO ED ANCORA FUKUSHIMA
Sostituita la pompa al quinto reattore della centrale
Giappone, riparato guasto al sistema di raffreddamento a Fukushima
Alti livelli di materiale radioattivo sono stati rilevati sul fondale del Pacifico, a 300 chilometri al largo
TOKYO – Un gruppo di tecnici specializzati ha rimesso in moto domenica il sistema di raffreddamento di uno dei reattori della centrale nucleare di Fukushima in Giappone, che si era guastato in occasione dello tsunami dell’11 marzo scorso. La pompa ad acqua utilizzata per raffreddare il reattore numero 5 e l’acqua della piscina dov’è immerso il combustibile nucleare irradiato era completamente ferma, ha indicato la Tokio Electric Power (Tepco). Il lavoro per rimpiazzare la pompa è terminato questa notte. «C’era un problema al motore. Abbiamo sostituito la pompa che adesso funziona», ha spiegato un tecnico della Tepco, che gestisce l’impianto.
RADIAZIONI IN MARE – Ma arrivano anche brutte notizie. Infatti Alti livelli di materiale radioattivo sono stati rilevati sul fondale del Pacifico, in un tratto di 300 chilometri al largo dell’impianto nucleare di Fukushima Daiichi, nel nord-est del Giappone. A riferirlo è l’agenzia Kyodo News. Il governo ha riferito che materiale radioattivo, fino a diverse centinaia di volte superiore alla norma, è stato rilevati nel tratto di oceano che va dalla prefettura di Miyagi a prefettura di Chiba ed ha avvertito che la contaminazione può pregiudicare la sicurezza dei frutti di mare. In particolare, il ministero della Scienza giapponese ha rilevato iodio e cesio sul fondale in una dozzina di siti a 15-50 chilometri dalla costa, tra il 9 ed il 14 maggio scorsi. Greenpeace Giappone ha riferito di aver trovato giovedì scorso materiali radioattivi, oltre i limiti ufficiali per il consumo, in 14 dei 21 campioni di prodotti alimentari esaminati, tra cui alghe, crostacei e pesci catturati a 22-60 chilometri. Hidehiko Nishiyama, portavoce dell’Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale, ha più volte detto che il materiale radioattivo rilevato è diluito in modo significativo dal momento che è stato consumato da specie marine. Ma Greenpeace ha ribattuto di aver osservato una riconcentrazione delle sostanze radioattive nel mare e ha chiesto una ricerca a lungo termine.
CENTRALINE RADIOATTIVITÀ IN TILT – Intanto si è scoperto che la maggior parte dei sistemi di misura della radioattività installati vicino alla centrale nucleare giapponese di Fukushima ha cessato di funzionare subito dopo il terremoto dell’11 marzo scorso: lo ha riferito l’agenzia di stampa Kyodo. Nella prefettura di Fukushima, 22 dei 23 apparecchi presenti attorno alle centrali di Fukushima Daiichi e di Fukushima Daini non hanno più trasmesso dati sulle radiazioni circa tre ore dopo il sisma, hanno precisato l’agenzia citando responsabili della prefettura. Alcune di queste attrezzature sono state distrutte al momento del cataclisma, ma secondo gli esperti i danni principali sarebbero stati provocati dal cattivo funzionamento delle linee di comunicazione e della rete di alimentazione elettrica. Anche i sistemi di sorveglianza del livello di radiazioni trasmessi dai satelliti hanno smesso di funzionare poche ore dopo il sisma a seguito dei pesanti danneggiamenti provocati alle antenne di trasmissione.
29 maggio 2011
Lo ha reso noto la Tepco
Fukushima: fusione parziale anche nei reattori 2 e 3
Finora era stata ammessa solo nel reattore 1 della centrale atomica giapponese colpita dallo tsunami
MILANO – Anche le barre di combustibile nucleare dei reattori 2 e 3 della centrale di Fukushima si sono parzialmente fuse. Lo ha annunciato la Tepco, gestore dell’impianto nucleare. Finora la società giapponese aveva reso noto che solo il reattore 1 era stato interessato da fusioni parziali «della maggior parte del combustibile al fondo del recipiente di contenimento» a causa dei sistemi di raffreddamento fuori uso dopo lo tsunami che l’11 marzo aveva investito il sito nucleare. Lo scenario aveva sollevato timori, ora confermati, che anche i numeri 2 e 3 avessero subito la stessa sorte. Secondo la compagnia, tuttavia, è improbabile che questo faccia peggiorare la situazione perché le barre sono già state coperte dall’acqua per aumentare il raffreddamento. Ora i reattori «sono interessati da operazioni di raffreddamento e la loro condizione è stabile», ha aggiunto un portavoce della Tepco.
I REATTORI SMANTELLATI – Il gruppo Tepco ha comunicato che i reattori numero 1, 2, 3 e 4 della centrale di Fukushima saranno smantellati. Secondo l’agenzia Kyodo News, i reattori 1 e 4 erano stati danneggiati in modo irreparabile: l’emergenza inoltre ha spinto Tepco a cancellare i progetti di realizzazione di altri due reattori a Fukushima.
Redazione online
24 maggio 2011
Fukushima: fusione è ufficiale. Ecco che cosa è successo semplicemente
Fukushima Daiichi ha un nuovo “vecchio” problema: il combustibile nucleare del reattore numero 1 si sarebbe fuso. La notizia la dà la stessa TEPCO senza suscitare scalpore. Ma che cosa è successo nel reattore, in parole povere? L’abbiamo chiesto a Paolo Scampa, presidente dell’AIPRI.
La notizia è ufficiale ed è stata ribattuta anche da Kyodo News, l’agenzia di stampa giapponese: il reattore nucleare di Fukushima Daiichi è fuso, l’acqua di “raffreddamento” esce da dei buchi, il combustibile nucleare si è raccolto, sotto forma di corio (http://is.gd/2mRPiL), sul fondo del reattore d’acciao (il vessel). E’ la stessa TEPCO a “confessare” per la prima volta dopo l’11 maggio la fusione del reattore, sempre negata e scongiurata. La società nipponica ha comunicato candidamente che il livello d’acqua nel reattore è estremamente basso visto che è ben 5 metri al di sotto la parte superiore delle barre di combustibile. Le barre quindi si sarebbero completamente esposte all’aria e quindi si sarebbero fuse. Il portavoce di TEPCO Junichi Matsumoto spiega la situazione sintetizzando che l’acqua di raffreddamento, sebbene sia pompata a ritmo di 150 tonnellate al giorno, non è stata trovata nei primi cinque metri dalla “cima” delle barre, il che, data essere questa la lunghezza stessa delle barre di combustibile (le fonti parlano di una lunghezza della barre di combustibile da un minimo di 4 metri a un massimo di 5) dovrebbero quindi essere completamente scoperte. Sempre se esistessero ancora. A questo proposito abbiamo chiesto un commento a Paolo Scampa, presidente dell’AIPRI (Association Internationale pour la Protection contre les Rayons Ionisants) per spiegaci in “parole povere” che cosa potrebbe essere successo al reattore numero 1 di Fukushima. “Il combustibile in stato normale nel reattore nucleare si trova ‘a bagno maria’ con le barre completamente affogate sotto metri d’acqua” spiega, cercando di essere molto “semplice” Paolo Scampa, e continua: “E’ necessario quindi apportare acqua ‘fredda’ (nel senso che è ‘meno calda’ del ‘forno nucleare’) per mantenere questo stato di ‘bagno maria’ che raffredda le barre (e in condizioni normali produce poi il vapore che va alle turbine, ndr)”. Il presidente dell’AIPRI ci fa visualizzare poi come è fatto dentro il reattore nucleare: “Il combustibile nucleare consiste in pasticche di 7/10 grammi impilate su un’altezza di 5 metri, all’interno di guaine di zirconio di 1,2 – 1,5 millimetri di spessore. Queste guaine hanno una tenuta fino ad 800 gradi al massimo, dopo 800 gradi sono soggette a varie fessurazioni, rotture, deformazioni, ecc.” afferma Scampa. Ma che cosa significano le parole di TEPCO a proposito dell’acqua che si perde in qualche “crepa” del vessel (ovvero della ‘pentola’ a pressione che contiene il combustibile nucleare)? Il presidente dell’AIPRI spiega semplicemente: “Quando non arriva più acqua fredda, non c’è più ‘bagno maria’, il calore radioattivo fa evaporare tutta l’acqua senza averne però il giusto ricambio, le guaine di combustibile nucleare cedono (bastano appena 2 o tre giorni) e tutto cola in un magma chiamato “corio” che mescola il combustibile nucleare con lo zirconio. Le temperature sono dell’ordine di 1500-2500 gradi”. Le conseguenze sono gravissime e come ci spiega il presidente dell’AIPRI consistono nello “zirconio che surriscaldato, con l’interazione dell’acqua, genera parecchio idrogeno, e proprio da lì è da ricercarsi l’origine delle esplosioni”. Ma poi che cosa potrebbe succedere? “Il magma radioattivo attacca il fondo della ‘pentola’ (20 cm di spessore) e piano piano tenderà a bucarlo. C’è da dire che il fondo della ‘pentola’ (cioé il vessel d’acciaio) ha uno spessore inferiore per cedere e per raccogliere il corio” conclude Paolo Scampa. Insomma, una vera tragedia che sta superando il disastro di Chernobyl del 26 aprile del 1986. E questo nella annoiata tranquillità del mondo, talmente mitridatizzato dall’ipocrisia e dai veleni da non preoccuparsi più di nessuna conseguenza. Neppure apocalittica.
Maurizio Maria Corona
Fukushima: il piano per le emergenze era di una sola pagina
Di Agostino Loffredi • 27 mag, 2011 •
Fukushima: il piano per le emergenze era di una sola pagina.
L’agenzia di stampa Associated Press è riuscita a ottenere la nota compilata dalla Tokyo Electric Power Corporation (TEPCO) grazie a una legge sull’accesso ai documenti di interesse pubblico e ha potuto constatare quanto fosse ottimistica la conclusione che gli impianti di Fukushima avrebbero potuto resistere a uno tsunami. Conclusione peraltro tragicamente smentita dai fatti.
I documento risale al 19 dicembre 2001, anno in cui l’Agenzia chiese ai gestori degli impianti nucleari di fornire dei dati utili per valutare la loro preparazione a un eventuale terremoto o tsunami. Evidentemente la brevità della risposta della TEPCO non ha impensierito la NISA che non ha, ne svolto controlli e nemmeno chiesto ulteriori documenti o dati che giustificassero l’ottimistica conclusione.
La nota della TEPCO conteneva un testo, box informativi e una serie di dati. In aggiunta vi era una piccola mappa del Giappone in cui venivano indicati i terremoti storici.
Secondo i parametri presi in considerazione dalla Tepco, basati sulla convinzione che il terremoto più vicino che si sarebbe potuto verificare avrebbe raggiunto la magnitudo massima di 8,6, le onde di un eventuale tsunami non avrebbero dovuto superare i cinque/sei metri.
L’11 marzo scorso il nord del Giappone è stato colpito da un terremoto di magnitudo 9.0 e le onde dello tsunami hanno raggiunto i 14 metri. L’acqua ha messo fuori uso i generatori elettrici di emergenza, collocati troppo in basso, mandando fuori uso il sistema di raffreddamento dei reattori.
Ne corso dei nove anni dopo la sua prima pubblicazione, i documento della Tepco non è mai stato aggiornato nonostante la scienza e la tecnica abbiano fatto notevoli passi avanti in materia di terremoti e tsunami. Soltanto lo scorso anno il gestore ha revisionato il piano di sicurezza ma sono stati effettuati controlli superficiali e la conclusione è stata la stessa.
Il portavoce della Tepco, Naoyuki Matsumoto, ha difeso la relazione del 2001 sostenendo che l’azienda si basò su i migliori dati disponibili e che lo tsunami di marzo è stato “al di fuori di ogni immaginazione”.
La NISA ha spiegato, a sua discolpa, che la richiesta di valutazione del rischio tsunami non può essere imposta per legge e che le risposte degli operatori “tecnicamente erano volontarie” anche se in base a quell’insieme di regole non scritte che vigono in Giappone, le autorità si aspettano che vengano soddisfatte.
A seguire tutta la concatenazione degli avvenimenti si ha la netta impressione che i controlli siano stati inefficaci se non inesistenti e che, da parte della TEPCO, abbia prevalso la logica del profitto su quella della sicurezza della popolazione.
Anche per il nucleare giapponese si apre ora un periodi di ri-analisi e di verifiche, di procedure e di controlli se non addirittura di messa in discussione di scelte che sembravano inamovibili.
Il combustibile nucleare si definisce esaurito (o esausto) dopo essere stato impiegato nel reattore. E’ del tutto simile al combustibile fresco nel senso che e’ composto da pastiglie di combustibile solide assemblate in barrette di combustibile a formare singoli elementi di combustibile. La differenza e’ che il combustibile esaurito contiene prodotti di fissione ed attinidi, come il Plutonio, che sono radiattivi e che richiedono una schermatura adeguata per le radiazioni. Esattamente come il combustibile nel reattore susseguente uno spegnimento rapido (SCRAM), il combustibile esaurito produce calore di decadimento poiché la maggior parte dell’energia del decadimento radiattivo dei prodotti di fissione e degli attinidi e’ depositata nel combustibile stesso sotto forma di calore. Dunque anche il combustibile esaurito (anche detto ‘irraggiato’) necessita di raffreddamento ma in misura molto minore rispetto a combustibile presente in un reattore spento da poco in quanto l’energia prodotta e’ ormai una piccola frazione rispetto a quella originaria. Riassumendo, il combustibile esaurito viene stoccato per un certo periodo di tempo per consentire adeguato raffreddamento conseguente al decadimento degli isotopi radioattivi che contiene ed inoltre per schermare le radiazioni che lo stesso emette.
Per adempiere a questi due scopi, il combustibile esaurito viene stoccato in piscine d’acqua e, successivamente, in grandi contenitori di cemento armato raffreddati naturalmente dall’aria. Le piscine di raffreddamento (una per ogni unita’) sono spesso situate in prossimità del reattore (nel caso di Fukushima, BWR aventi una tipologia di contenimento denominata Mark-1, si trova nella parte superiore della struttura stessa). Queste piscine sono molto grandi, spesso profonde fino a 13 metri a seconda del progetto. Sono composte da cemento armato rinforzato e circa 10 metri di acqua stagnate copre la sommità degli elementi di combustibile in esse contenuti. Gli elementi di combustibile sono spesso separati da lastre metalliche contenenti del boro che assicura che la reazione a catena di neutroni non possa ripartire. La probabilità di tale evento (ri-criticalità) e’ ulteriormente limitata dal fatto che il combustibile e’ stato in larga parte consumato durante la permanenza nel reattore. L’acqua della piscina e’ sufficiente a raffreddare il combustibile esaurito ed il calore generato viene rimosso tramite uno scambiatore di calore in modo che la temperatura della piscina stessa si mantenga costante. La profondità della piscina assicura anche che le radiazioni emesse dal combustibile stesso siano schermate di modo che gli operatori possano lavorare in sicurezza attorno alla sommità delle piscine stesse.
Durante il funzionamento ordinario dell’impianto, il combustibile può essere stoccato nella piscina per un periodo di tempo indefinito. La quantità di combustibile che può essere stoccato all’interno delle piscina dipende dal progetto, ma la maggior parte può ospitare un numero di elementi pari a diverse volte la quantità presente in un reattore nucleare in esercizio.
Durante le operazioni di ‘ricarica’ del combustibile nucleare il reattore viene spento, i compartimenti tra il reattore e la piscina di raffreddamento allagati con acqua (per schermare le radiazioni) e gli elementi di combustibile vengono spostati ad uno ad uno dal reattore alla piscina. Tale procedura avviene tipicamente ogni 12-18 mesi e coinvolge circa un terzo degli elementi di combustibile del reattore (che quindi complessivamente rimangono nel reattore 36-54 mesi prima di essere considerati esauriti). Le operazioni di ricarica vengono condotte in remoto utilizzando apparecchiature particolare e apposite gru per evitare di esporre i lavoratori alle radiazioni.
Il combustibile esaurito viene stoccato nella piscina per qualche anno, a seconda della capacita’ della piscina stessa e delle normative vigenti, prima di essere successivamente stoccato in appositi contenitori di cemento armato solitamente situati in prossimità dell’impianto al di fuori dell’edificio di contenimento e raffreddati in modo naturale dall’aria.
In caso di una perdita d’acqua nella piscina o di un guasto allo scambiatore di calore atto al raffreddamento, la temperatura della piscina stessa e’ destinata a salire. Se questa situazione si protrae per un tempo sufficientemente lungo, l’acqua può iniziare a bollire e, con il passare del tempo, il livello puo’ scendere al di sotto della sommità degli elementi di combustibile, esponendo cosi’ le barre di combustibile all’aria. Questo può essere un problema, in quanto l’aria e’ in grado di asportare il calore in modo molto meno efficace rispetto all’acqua e questo può portare ad un surriscaldamento delle barre di combustibile stesse. Se questo aumento di temperatura si protrae, le guaine (costituite di una lega di zirconio) possono ossidarsi e tramite reazioni chimiche a contatto con vapore acqueo ed aria, possono rilasciare idrogeno che può poi dare luogo ad esplosione. Un tale evento può presumibilmente danneggiare le guaine di combustibile e rilasciare quindi prodotti radioattivi come iodio, cesio e stronzio. E’ importante notare che ognuno di questi eventi (malfunzionamento del sistema di raffreddamento, ebollizione dell’acqua della piscina, esposizione e surriscaldamento del combustibile in aria e reazioni di ossidazioni delle guaine di zirconio) dovrebbe sussistere per un periodo di tempo prolungato per causare un incidente e ciò rende tale scenario estremamente improbabile.
Il rischio maggiore, in tale circostanza, si ha nel caso in cui non vi sia una robusta struttura di contenimento attorno alla piscina stessa. Mentre la piscina e’ una struttura di per se robusta, infatti, il tetto dell’edificio che la ospita non e’ altrettanto robusto e nel caso specifico e’ stato danneggiato e di conseguenza la superficie della piscina si trova esposta a contatto con l’ambiente. Finché vi e’ acqua a coprire il combustibile, questo non pone un rischio diretto per l’ambiente e tuttavia e’ possibile una contaminazione ed una dispersione di materiale radioattivo in caso di incendio in prossimità degli elementi di combustibile. Mantenere il combustibile coperto d’acqua mantiene basso il rischio di contaminazione ed e’ quindi una funzione di sicurezza molto importante.
Chernobyl
TMI
FUKUSHIMA 2
Tokyo, 10:41
Quattro morti in incidente a centrale nucleare
La fuoriuscita di vapore da un reattore della centrale nucleare giapponese di Mihama, nella prefettura di Fukui sul mar del Giappone, ha provocato oggi quattro morti e 8 feriti per ustioni (uno di questi versa in condizioni gravissime) tra gli operai di una ditta di subappalto. Secondo l’agenzia di stampa giapponese Kyodo, non si sarebbero però diffuse radiazioni nella zona dell’impianto.
Tokyo, 11:02
Incidente centrale nucleare, bilancio sale a quattro morti
E’ salito a quattro il numero dei morti causati dall’incidente avvenuto oggi nella centrale nucleare giapponese di Mihama nella prefettura di Fukui lungo il Mar del Giappone.
Lo riferiscono fonti di polizia precisando che un quinto operaio versa in condizioni disperate. Sono stati tutti colpiti, insieme ad altri sei compagni di lavoro, da vapore ad altissima temperatura fuoruscito dal sistema di circolazione delle turbine di un reattore.
Secondo le autorità non c’è stata fuga di radiazioni
Dieci in tutto le persone ricoverate in ospedale
Incidente in centrale nucleare
a nord di Tokyo, cinque morti
TOKYO – Un incidente nella centrale nucleare di Mihama, a 320 chilometri a nord ovest di Tokyo, ha causato cinque morti. Secondo le autorità locali non c’è stata fuga di radiazioni. Il numero delle vittime è stato diffuso dalla polizia, che riferisce anche che in tutto dieci persone sono state ricoverate in ospedale, mentre dal ministero del commercio e dell’industria è venuto solo l’annuncio con l’indicazione di “alcune vittime”.
Tutte le persone ricoverate sono state colpite da vapore ad altissima temperatura, fuoruscito dal sistema di circolazione delle turbine del reattore numero tre della centrale.
( 9 agosto 2004 )
l’Unità 09.08.2004
Giappone, incidente alla centrale nucleare di Mihama. Morti cinque operai
di red.
Torna l’incubo nucleare. Dopo l’incidente di Tokaimura nel ’99 ora è la volta di Mihama. Nella centrale nucleare della città del distretto di Fukui, a circa 350 chilometri a nord della capitale Tokyo, cinque operai sono morti. È il più grave incidente registrato in Giappone nel settore dell’energia nucleare.
«Una fuoriuscita di gas, ma nessuna contaminazione radioattiva». I dirigenti della Kansai Electric Power, società che gestisce la centrale nucleare di Mihama, hanno cercato di rassicurare subito la popolazione. Ma nel frattempo, mentre la Kansai si prodigava per contenere il panico, gli operai, trasportati in fretta e furia all’ospedale, erano già morti. Lo ha reso noto la prefettura di Fukui, distretto in cui si trova la città di Mihama. Altri altri cinque lavoratori sono stati trasportati all’ospedale. Le loro condizioni sono abbastanza gravi, specifica il ministero del Commercio e dell’Industria. Il bilancio di vittime e feriti potrebbe aggravarsi ancora.
L’incidente si è verificato alle 15.30 locali. La tv pubblica Nhk ha confermato che non c’è stata alcuna emissione di radiazioni nemmeno all’interno dell’impianto.
Gli uomini, colpiti da vapore ad altissima temperatura – circa 200 gradi, – non sono sopravvissuti. I vapori fuorusciti dall’impianto di circolazione secondario hanno saturato l’edificio che ospita le turbine di un reattore, prontamente fermato. Non si conoscono ancora le cause che hanno determinato la fuoriuscita di vapore a 200 gradi, ma dai primi sarebbe emersa l’esistenza di crepe nei tubi del sistema di circolazione della turbina del reattore. La centrale di Mihama, attiva dal 1976, avrebbe dovuto sospendere momentaneamente le proprie attività il 14 agosto, per un essere sottosposta a una manutenzione periodica di tre mesi.
Riaffiora intanto il ricordo dell’incidente di Tokaimura, città a nord ovest del Giappone, dove nel 1999, in seguito a un danno all’impianto nucleare, morirono quattro persone all’istante mentre altri 400 abitanti del posto furono esposti alle radiazioni. In Giappone le centrali nucleari sono 52 e il Paese ricava dall’attività delle centrali circa il 30% del fabbisogno energetico. Il governo Koizumi ha annunciato rcentemente di voler costruire nuove centrali, per dare un impulso ancora più deciso alla politica energetica nucleare. A nulla, in precedenza, erano valse le proteste degli ambientalisti giapponesi. Nonostante l’incidente di Tokaimura il programma di costruzione di nuove centrali era stato approvato. Resta ora da vedere se la tragedia di Mihama consiglierà ai governanti giapponesi di ripensare la loro politica.
Secondo le autorità non c’è stata fuga di radiazioni
Diverse persone sono state ricoverate in ospedale
Incidente in centrale nucleare
quattro morti in Giappone
E’ il peggiore mai avvenuto nel paese, dove oggi si ricorda
l’esplosione della bomba atomica su Nagasaki
TOKYO – Un incidente nella centrale nucleare di Mihama, 320 chilometri a nord ovest di Tokyo, ha causato almeno quattro morti. Secondo le autorità locali non c’è stata fuga di radiazioni. Il numero delle vittime è stato reso noto dalla polizia, che ha riferito anche di diverse persone ricoverate in ospedale, mentre dal ministero del Commercio e dell’Industria è venuto solo l’annuncio con l’indicazione di “alcune vittime”.
Tutte le vittime ricoverate sono state colpite da vapore ad altissima temperatura, fuoriuscito dal sistema di circolazione delle turbine del reattore numero tre della centrale. “Nel vapore fuoriuscito dall’impianto non c’erano sostanze radioattive – assicura un funzionario dell’Agenzia per la sicurezza dell’industria e del nucleare – abbiamo ricevuto dati sul livello di radiazioni nel circondario”.
Il reattore di Mihama è gestito dalla Kansai Electric Power Co. Inc., che ha fatto sapere di aver chiuso l’impianto, che ospita un generatore nucleare da 826,000 kilowatt. La società non ha saputo dire quando la produzione di energia potrà riprendere. “Stiamo facendo indagini sulle cause dell’incidente” ha detto un portavoce della Kansai Electric.
L’incidente è avvenuto alle 3.30 del mattino (le 7.30 in Italia) poco dopo che alcuni lavoratori erano entrati nell’impianto per rilevare alcuni dati, in vista di una chiusura programmata del generatore per lavori di manutenzione. La temperatura del vapore che ha invaso la stanza era probabilmente di 200 gradi centrigradi.
Il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi ha dichiarato di non conoscere ancora i particolari dell’incidente, ma ha ribadito che sarà fatto il necessario “per conoscere le cause della disgrazia, per evitare che si ripeta e per aumentare le misure di sicurezza”.
Quello di oggi è il peggior incidente mai accaduto in impianti nucleari in Giappone. La sciagura ha avuto luogo proprio nel giorno dell’anniversario dell’esplosione della bomba atomica su Nagasaki nel 1945 ed è probabile che scatenerà nuove polemiche sull’opportunità dell’utilizzo di centrali nucleari nel paese. In Giappone sono in funzione attualmente 52 centrali nucleari, che coprono oltre il 30 per cento dell’intero fabbisogno energetico del paese. Il governo ha in programma la costruzione di altre centrali, nonostante gli allarmi suscitati da un grave incidente nel 1999.
In quell’occasione a Tokaimura, a nord di Tokyo in uno stabilimento dove si lavorava l’uranio, si era verificata una reazione nucleare incontrollata per colpa di tre operai poco addestrati, che avevano mescolato materiali nucleari in una vasca. L’incidente aveva causato la morte degli operai, la contaminazione di 150 persone e si dovettero allontanare migliaia di abitanti della zona circostante.
( 9 agosto 2004 )
Mihama, per le autorità non c’è stata fuga di radiazioni
Diverse persone sono state ricoverate in ospedale
Incidente in centrale nucleare
quattro morti in Giappone
Lunedì nero per l’energia: altri due guasti in due impianti
| La centrale nucleare di Mihama |
TOKYO – Tre incidenti in tre diversi impianti nucleari. Il Giappone si risveglia in un inizio settimana da incubo. Il più grave, è avvenuto presso la centrale di Mihama, 350 chilometri a ovest di Tokyo, dove una fuoriuscita di vapore a alta pressione, e con una temperatura superiore ai 200 gradi, è costato la vita a quattro operai. Altri sette operai sono in condizioni molto gravi. Si è trattato del più tragico incidente nella storia dello sfruttamento dell’energia nucleare a fini civili in Giappone.
L’azienda Kansai Electric Power, che gestisce la centrale, si è affrettata a comunicare che non c’è stata contaminazione radioattiva. “L’incidente non avrà effetti sull’ambiente circostante”, ha assicurato in un comunicato. L’unità per la produzione di energia dell’impianto resterà fermo a tempo indeterminato.
In un’altra centrale si è sviluppato un incendio. A quanto ha riferito l’agenzia Kyodo, le fiamme sono divampate nel settore dove vengono smaltite le scorie, adiacente al reattore numero 2, in un impianto situato nella prefettura di Shimane. Anche in questo caso non c’è stata alcuna fuga radioattiva.
Il terzo incidente è avvenuto in una centrale nucleare della Tokyo Electric Power Co. (Tepco), la più grande impresa produttrice di energia in Giappone. Oggi la società ha comunicato che il generatore dell’impianto di Ekushima-Daini è stato fermato per una perdita di acqua. Lo scorso aprile, la Tepco fu costretta a bloccare tutti i suoi 17 impianti nucleari dopo che ammise che i documenti riguardanti la sicurezza erano stati falsificati per più di 10 anni.
Ma le preoccupazioni maggiori riguardano il primo impianto. Il reattore di Mihama è gestito dalla Kansai Electric Power Co. Inc., che ha fatto sapere di aver chiuso l’impianto, che ospita un generatore nucleare da 826,000 kilowatt.
L’incidente è avvenuto alle 3,30 del mattino (le 7,30 in Italia) poco dopo che alcuni lavoratori erano entrati nell’impianto per rilevare alcuni dati, in vista di una chiusura programmata del generatore per lavori di manutenzione. La temperatura del vapore che ha invaso la stanza era probabilmente di 200 gradi centrigradi.
Il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi ha dichiarato di non conoscere ancora i particolari dell’incidente, ma ha ribadito che sarà fatto il necessario “per conoscere le cause della disgrazia, per evitare che si ripeta e per aumentare le misure di sicurezza”.
Quello di oggi è il peggior incidente mai accaduto in impianti nucleari in Giappone. La sciagura ha avuto luogo proprio nel giorno dell’anniversario dell’esplosione della bomba atomica su Nagasaki nel 1945 ed è probabile che scatenerà nuove polemiche sull’opportunità dell’utilizzo di centrali nucleari nel paese.
In Giappone sono in funzione attualmente 52 centrali nucleari, che coprono oltre il 30 per cento dell’intero fabbisogno energetico del paese. Il governo ha in programma la costruzione di altre centrali, nonostante gli allarmi suscitati da un grave incidente nel 1999.
In quell’occasione a Tokaimura, a nord di Tokyo in uno stabilimento dove si lavorava l’uranio, si era verificata una reazione nucleare incontrollata per colpa di tre operai poco addestrati, che avevano mescolato materiali nucleari in una vasca. L’incidente aveva causato la morte degli operai, la contaminazione di 150 persone e si dovettero allontanare migliaia di abitanti della zona circostante.
( 9 agosto 2004 )
COMMENTO
Un Paese che si illude
di domare il mostro
DI RENATA PISU
Proprio il 9 agosto, proprio nel giorno del cinquantanovesimo anniversario della tragedia nucleare di Nagasaki, un olocausto oscurato perché sempre si parla prima di Hiroshima e dei suoi duecentomila morti, poi si accenna a Nagasaki, come se i suoi morti fossero uno scontato corollario, il Giappone si ritrova a dover fare i conti con la paura del nucleare. Tre incidenti in una giornata, il più grave nella centrale di Mihama, quattro morti, sette feriti, cause ancora misteriose, rassicurazioni che non vi è pericolo di fughe radioattive, il direttore della Società per l’Energia che porge le sue più sentite e sincere scuse, come si usa fare in Giappone.
Tutto come da copione già collaudato perché in Giappone gli incidenti nelle cinquantadue centrali nucleari che forniscono il 30 per cento del fabbisogno di energia, si susseguono, si tenta di negarli se sono di lieve entità e si arriva addirittura a falsificare i rapporti dei controlli sulla sicurezza obbligatori per legge. Ma non si è potuto mettere la sordina all’incidente della centrale di Tokaimura del 1997, quando si scoprì che gli addetti alle pulizie trasportavano l’uranio in vecchi secchi, come è dilagato lo scandalo e la paura quando nell’agosto del 2002, si è venuto a sapere che era prassi comune nascondere le fessure visibili nel circuito di raffreddamento con dei teli di plastica, per ingannare gli ispettori. E con loro tutti i giapponesi i quali avevano pensato, e l’idea li esaltava quasi come una rivincita, di poter asservire il Mostro a scopi pacifici, loro che erano stati i primi e finora gli unici a conoscerne la furia distruttiva.
Ma addomesticare la belva non è facile, specie se si guarda soprattutto al profitto, alla riduzione dei costi, se si subappaltano i lavori a piccole imprese che assumono personale “a perdere”, gente sottopagata che non conosce i rischi ai quali può andare incontro, uomini e donne che in Giappone vengono chiamati gli Zingari del Nucleare perché si spostano da una centrale all’altra immagazzinando chissà quale quantità di radiazioni.
Oggi l’opinione pubblica giapponese si inquieta, e a ragione, per il pericolo costituito dall’uso pacifico dell’energia nucleare. Stranamente, assai meno per il suo uso bellico. Infatti, c’è chi sostiene che il Giappone potrebbe dotarsi di armi nucleari tattiche come deterrente nei confronti della Corea del Nord e per i nuovi impegni assunti a fianco dell’America in Afganistan e in Iraq.
A farsi la bomba i giapponesi ci metterebbero un attimo. Nella centrale nucleare di Tokaimura manca sulla carta l’equivalente in plutonio di venticinque bombe atomiche. Le autorità escludono che il plutonio, circa 206 chilogrammi, sia stato trafugato, tanto meno venduto. L’unica è augurarsi che si tratti di un altro ennesimo errore, ma stavolta di contabilità.
( 10 agosto 2004 )
Gli zingari del reattore
I «genpatsu gypsies» sono i precari su cui si basa l’industria nucleare giapponese. Parla il reporter che li ha scoperti
PIO D’EMILIA
Erano genpatsu gypsies, gli «zingari del nucleare». Le quattro vittime dell’incidente di ieri non erano lavoratori dipendenti, ma «addetti stagionali», lavoratori in affitto, operai non specializzati cui le società che gestiscono le centrali nucleari in Giappone affidano il delicato compito della manutenzione, avvalendosi di agenzie per il lavoro occasionale. «Finalmente l’opinione pubblica giapponese si renderà conto dell’enorme pericolo che corriamo – spiega a il manifesto il fotografo giornalista Kenji Higuchi, che alcuni anni fa, spacciandosi per operaio in cerca di lavoro stagionale, realizzò un servizio sul delicato e spesso misterioso sistema della manutenzione – i nostri media parlano già dell’incidente più grave, sinora, nonostante i numerosi incidenti registrati, c’era stata solo una vittima, ufficiale, a Ibaraki, nel 1967. Ma non è così. Assieme al Cnic, il coordinamento per la controinformazione antinucleare, abbiamo calcolato che negli ultimi vent’anni le vittime tra gli addetti all’industria nucleare sono oltre 200…e chissa quanti ce ne sono sfuggiti…». Ma chi sono questi “zingari nucleari”, che Higuchi è riuscito a fotografare spacciandosi per un operaio e di cui ha parlato nel suo saggio L’industria più pericolosa del mondo? «L’industria nucleare giapponese – risponde – è molto avanzata: la scelta del nostro governo, fin dagli anni `60, è stata netta e decisa, nonostante la fortissima, e direi più che giustificata opposizione popolare (oggi ricorre l’anniversario della bomba atomica su Nagasaki, n.d.r). L’obiettivo dichiarato è di raggiungere e superare, entro il 2020, il 50% del fabbisogno di energia elettrica. Ma il mercato del lavoro è cambiato, e nonostante si tratti di un settore particolarmente delicato, dove sono richieste particolari competenze e continui aggiornamenti, il numero dei dipendenti contrattualizzati cala continuamente. A Mihama, su poco più di 350 addetti, 222 sono lavoratori stagionali. Ma la tendenza è nazionale: su 70 mila addetti, poco più del 10% ha un contratto a tempo indeterminato. Gli altri sono, appunto, «zingari». Gente che viene assunta per pochi mesi, e che potrebbe lavorare come carpentiere in un cantiere edile o ad una qualsiasi catena di montaggio della Toyota… Si tratta di gente ignorante, cui non viene impartito il necessario addestramento e che spesso viene retribuita a cottimo. E’ facile immaginare l’impatto che questo sistema ha sulla sicurezza, e sulla salute. Ricordate Tokaimura, il grave incidente del 1999? Ufficialmente vi furono solo due vittime, ma dopo due anni altri cinque addetti morirono per le radiazioni riportate: per fare prima e rispettare la «norma» assegnata, si erano tolti guanti e occhiali….».
E poi c’è il problema della trasparenza, dei dati truccati. La Tepco, una delle due maggiori società del settore, è stata condannata l’anno scorso per aver manomesso i dosimetri. «Infatti, e questo – continua Higuchi – ha ulteriormente diminuito la fiducia dell’opinione pubblica. Un po’ dappertutto, nelle zonee dove sorgono le centrali cucleari, si sono svolti o si svolgeranno referendum popolari. Il risultato è sempre uno schiacciante no, ma in Giappone i referendum sono solo consultivi e le amministrazioni locali non hanno ancora la forza di opporsi alle decisioni di Tokyo».
Recentemente, tuttavia, qualcosa sta cambiando. La moglie di uno «zingaro» di 29 anni, morto di leucemia, ha trascinato in tribunale l’azienda per cui lavorava ottenendo un indennizzo dalla Commissione nazionale per gli incidenti sul lavoro. «E’ un passo importante – spiega l’avvocato Yuichi Kaido, legale della famiglia Shiamanashi – durante il processo siamo risuciti a dimostare due cose importanti. Primo, che le aziende mentono e addirittura tendono a manipolare i dati dei dosimetri, secondo che tutta una serie di malattie generiche, nel caso insorgano su individui sani che stanno o hanno lavorato in una centrale nucleare, diventano malattie professionali e come tali vanno trattate».
E in Europa l’atomo tira
L’esecutivo Ue per l’aumento della produzione di energia nucleare
L’Italia si accoda Il governo rilancia: «Il referendum fu un errore strategico». La Cisl è con lui. Ma anche in Francia la scienza frena
ANNA MARIA MERLO
PARIGI
L’Unione europea sta lavorando il terreno per rilanciare il nucleare? La scusa è già stata trovata: per rispettare il Protocollo di Kyoto sulla riduzione di gas ad effetto serra i Ventincinque non potranno fare a meno dell’aumento della parte del nucleare nella produzione complessiva di energia. Loyola de Palacio, vice-presidente della commissione europea con l’incarico dei trasporti e dell’energia, ha messo chiaramente in relazione questi due termini nelle giornate dedicate all’energia nucleare che si sono svolte prima dell’estate all’Assemblea nazionale a Parigi. «L’Europa è dipendente per il 50 per cento del proprio consumo energetico e lo sarà sempre di più, nel 2030 questa dipendenza sarà del 70 per cento». Per questo, secondo Loyola de Palacio, bisogna almeno mantenere nel futuro la percentuale rappresentata oggi dalla fonte nucleare nell’approvvigionamento di energia in Europa, cioè il 15 per cento. «Se non si fa nulla – sostiene un recente Libro verde dedicato al Futuro dell’energia nucleare nell’Unione europea – il panorama energetico complessivo nel 2030 continuerà ad essere dominato da carburanti fossili: 38 per cento petrolio, 29 per cento gas, 19 per cento carburanti solidi, 8 per cento rinnovabili e soltanto 6 per cento per il nucleare». In Italia, paese che ha rifiutato il nucleare per referendum, il governo sta dando ampia eco alle discussioni in corso in ambito comunitario. Come per lanciare un ballon d’essai, ieri mattina alla radio, il vice-ministro dell’economia Mario Baldassarri ha affermato che «da un punto di vista strategico di lungo periodo il no al nucleare è stato un gravissimo errore con disinformazione dell’opinione pubblica sugli eventuali rischi». Al che, il leader della Cisl Savino Pezzotta ha rilanciato, affermando che gli italiani avevano approvato un refendum «che ha detto che volevamo uscire dal referendum» che aveva bandito il nucleare. Il vice-ministro per le attività produttive Adolfo Urso, è sulla stessa linea quando afferma che l’Italia è «il paese al mondo più dipendente dall’estero per quanto riguarda la produzione e il consumo energetico» e che quindi, bisogna «ripensare, come stiamo facendo, all’ipotesi del nucleare».
Mettendo tra parentesi il nucleare nei nuovi membri dell’Unione dell’Europa centrale, dove esistono gravi problemi di sicurezza e dove sono stati stanziati fondi per chiudere centrali pericolose (come quella di Ignalina, in Lituania, paese-record con una dipendenza dal nucleare del 79,7 per cento), otto dei vecchi Quindici hanno impianti nucleari, ma cinque di essi (Svezia, Spagna, Olanda, Germania e Belgio) hanno adottato o promesso una moratoria. L’Italia è la sola ad aver rinunciato al nucleare con un referendum nell’87. Invece, Francia, Finlandia e Gran Bretagna non hanno mai manifestato dubbi. Il 77,6 per cento dell’energia francese è nucleare. Il dibattito è molto inteso sul rinnovamento delle centrali (la cui durata «sicura», per migliorare il bilancio della società, è stata allungata burocraticamente di 10 anni pochi mesi prima dell’apertura del difficile dibattito sulla privatizzazione di Edf, l’Enel francese, che gestisce le centrali). La destra spinge per accelerare il rinnovamento e la sinistra è divisa. Quattro militanti si sono esauriti quest’estate in uno sciopero della fame contro il reattore superpotente Epr (European Pressuring Water Reactor): un prototipo sarà costruito in Francia, ma la decisione finale sul dove sarà presa solo in autunno. Nella regione candidata Rodano-Alpi, passata a sinistra la scorsa primavera, i Verdi e una parte del Ps sono ai ferri corti con l’altra parte del Ps, il Pcf e i sindacati che chiedono che non venga rispettata la promessa elettorale di levare la candidatura per l’Epr, che promette 10mila posti di lavoro nei cinque anni di costruzione. La Finlandia ha già firmato con Edf un contratto per la costruzione di un reattore modernissimo.
«La lobby nucleare è ripartita», spiega il fisico nucleare di Parigi VII, Georges Waysand, «tutti sono d’accordo sul fatto che si debba ridurre il Co2, ma non è molto coerente rilanciare con questa scusa il nucleare». Difatti, il gas ad effetto serra è prodotto in massima parte dai trasporti, e paradossalmente il «piano clima» appena varato dal governo francese evita accuratamente di affrontare la questione dei trasporti (dopo aver fatto balenare un malus» sulle auto ad alto tasso di inquinamento, come le Suv).
Ma molte centrali sono vecchie e poco sicure
In Bulgaria, Cechia e in Slovenia, a 120 chilometri di Trieste, reattori identici a quello di Chernobyl
Una eredità pesante Dopo l’allargamento Bruxelles vuole smantellare gli impianti dei paesi dell’Est. Ma a rischio è anche l’inglese Sellafield. Il problema scorie
LUCIA SGUEGLIA*
Se recentemente l’incubo nucleare è venuto spesso da Est, la nuova Europa a 25 non ha di che rallegrarsi. Su 434 reattori nucleari presenti nel mondo, l’Unione ne ospita attualmente circa 160 (distribuiti su un totale di 60 siti), di cui 58 in Francia. Se Germania e Belgio tra il 2000 e il 2002 hanno deciso di chiudere gradualmente i loro impianti, con l’ulteriore allargamento nel 2007 la UE ne erediterà altri 7. Bruxelles punta a disattivare al più presto tutte le centrali dell’Est di tecnologia sovietica e quelle dichiarate «non modernizzabili» (con reattori di tipo RBMK a grafite raffreddata o VVER ad acqua pressurizzata), il cui principale difetto di progettazione è l’assenza di un sistema di protezione secondaria dell’involucro nucleare. In breve: non sono attrezzate per far fronte all’evacuazione di materiale radioattivo, né al rischio di impatti esterni.
I nomi che fanno tremare sono Kozlodui in Bulgaria, Temelin in Repubblica Ceca, Bohunice in Slovacchia, la slovena Krsko a 120 chilometri da Trieste e Ignalina in Lituania, che ha due reattori identici a quelli di Chernobyl. Tutte andate incontro a «piccoli incidenti» periodici. A preoccupare di più, però, è la Federazione Russa: Mosca ha violato gli accordi sulla valutazione della sicurezza atomica rifiutandosi di chiudere l’impianto di Kursk 1, e possiede numerosi reattori ancora in funzione nonostante la durata prevista fosse limitata a trent’anni.
Fino a oggi l’Unione europea ha sborsato più di 900 milioni di euro per monitorare le centrali a rischio, e concederà varie centinaia di milioni agli Stati candidati per chiudere le centrali obsolete, assicurare controlli efficienti, provvedere alle scorie. Nessun paese al mondo – ad eccezione degli Usa – ha ancora individuato un sito geologico per lo smaltimento finale dei residui nucleari. Finlandia e la Svezia prevedono di sotterrarle a grande profondità; la Francia ha rimandato la decisione al 2006. Quanto ai paesi dell’Est, sono abituati a rispedire il loro combustibile in Russia.
Altrettanto poco affidabili, comunque, si devono considerare alcune centrali dell’Europa occidentale. Come Sellafield, in Gran Bretagna, divenuta celebre in Italia dopo che il Governo ha proposto di inviare lì le scorie nostrane: costruita secondo tecnologia molto simile a quella di Ignalina e Chernobyl, possiede un «vecchio» reattore ad acqua pressurizzata (PWR) privo di sistemi di protezione. Nel corso degli anni qui si sono verificati numerosi incidenti, e nella zona circostante sono stati rilevati livelli di incidenza di cancro nei bambini superiori a qualsiasi media europea. Le stesse centrali francesi, considerate all’avanguardia in Europa, hanno visto negli anni Novanta e oltre parecchi incidenti (come a Bugey-3). E quelle svizzere, che vendono energia all’Italia, nel 2001 hanno registrato 16 incidenti «minori» (contenuti all’interno del reattore).
All’Europa, però, manca ancora una legislazione adeguata e delle norme univoche in materia di energia e di sicurezza nucleare. L’ultimo trattato in materia, Euratom – che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica -, risale al 1957, e non interviene in alcun modo sulla sicurezza nucleare (ma può finanziare, come fa, la costruzione di nuove centrali). Concretamente, per arrivare a un sistema di norme comuni di sicurezza, Bruxelles dovrà tener conto dei risultati dei lavori delle principali autorithies internazionali in materia: l’Aiea, il Nuclear Regulator’s Working Group e la Western European Nuclear Regulators Association (riunisce le agenzie di controllo nucleare d’Europa).
In mancanza di parametri precisi sul tipo di contenimento necessario, non si ha neppure un punto di partenza comune per valutare il rischio nucleare.
*Lettera 22
Esplosione in sala turbine
Quattro morti nella centrale di Mihama: il più grave incidente nucleare in Giappone. Nel giorno di Nagasaki
MARINA FORTI
E’il più grave incidente mai avvenuto in una centrale nucleare giapponese, in termini di vittime: quattro lavoratori sono morti, altri sette sono stati ustionati in modo grave ieri pomeriggio, per un’esplosione nel reattore numero 3 della centrale nucleare di Mihama, nella prefettura di Fukui, 320 chilometri a ovest di Tokyo. L’esplosione è avvenuta intorno alle 3,30 del pomeriggio, ora locale, nella sala adiacente alle turbine, azionate da vapore sotto pressione. Un gruppo di lavoratori era appena entrato per alcune manovre di manutenzione: sono stati investiti da un getto di vapore a 142 gradi Celsius. La società proprietaria della centrale e l’ente giapponese per la sicurezza nucleare si sono precipitati a dire che non c’è stata fuga di radioattività.
Un portavoce della Kansai Electric Power Co (Kepco), la società proprietaria dell’impianto, ha precisato che l’esplosione ha provocato lo spegnimento automatizzato del nocciolo del reattore, un impianto ad acqua pressurizzata da 826 megawatt costruito nel 1976. «Il vapore che è sfuggito non contiene materiale radioattivo», ha detto un responsabile della Nuclear and Industrial Safety Agency: «Le notizie che abbiamo sono che non c’è fuga di radioattività nell’ambiente». Non può esserci fuga di radioattività, sostengono all’ente per la sicurezza, perché quel vapore non entra in contatto con l’acqua pressurizzata del reattore. A sottolineare che non c’è alcun pericolo, le autorità non hanno evacuato e neppure messo in allarme la città di Mihama, circa 11mila abitanti, affacciata sul Mar del Giappone.
Le immagini della televisione però, con pompieri e addetti in tute d’emergenza sul luogo dell’incidente, non saranno rassicuranti per i giapponesi. Né basteranno a rassicurare le scuse pronunciate ieri sera da Hiroshi Matsumura, manager generale della Kansai Electric. E neppure le parole del primo ministro Junichiro Koizumi, che per ironia della sorte ha commentato l’ultimo incidente nucleare da Nagasaki, dove partecipava alla commemorazione delle vittime della seconda bomba atomica esplosa sul pianeta, nel 1945, a pochi giorni di distanza da quella di Hiroshima. «Il governo deve fare del suo meglio per garantire la sicurezza», ha detto.
Le circostanze dell’esplosione nella centrale di Mihama restano da chiarire, sia l’azienda che l’ente statale per la sicurezza hanno annunciato inchieste – Kansai dice di non poter prevedere quanto a lungo il reattore resterà fermo. Con 11 reattori in tre centrali (Mihama, Ohi e Takahama), Kansai è la seconda azienda nucleare giapponese. Quella di Mihama è una centrale vecchia, funziona dagli anni `70. Tutti gli 11 addetti coinvolti nell’incidente sono lavoratori a contratto, dipendenti della ditta Kiuchi Keisoku di Osaka – città dove ha sede anche la Kansai Electric. Quello di ieri è il primo in Giappone in cui un incidente attiva il meccanismo automatico di spegnimento del nocciolo del reattore. E’ anche il primo incidente letale in una centrale giapponese, anche se i 4 malcapitati morti ieri non sono le prime vittime dell’industria nucleare: nel settembre del 1999 nella centrale di Tokaimura, a nord-est di Tokyo, una reazione a catena incontrollata provocò una fuga di radioattività uccise due addetti (morirono alcuni giorni dopo), 600 persone furono esposte alle radiazioni, migliaia di abitanti della zona evacuati e 320mila persone costrette a restare chiuse in casa per oltre un giorno.
Il Giappone è la terza industria nucleare civile al mondo dopo gli Stati uniti e la Francia, ha 52 reattori e ricava dall’energia atomica circa un terzo della sua elettricità. L’energia atomica è stata presentata ai giapponesi come necessaria a non dipendere dal costoso petrolio mediorientale (per affrancarsi dal Medio oriente Tokyo sta lavorando da un paio d’anni a ambiziosi piani di estrazione di petrolio e gas nella Russia asiatica).
E però anche in Giappone è cresciuta, con il tempo (e gli incidenti) un’opposizione al nucleare: ne è un segno la serie di referendum cittadini che hanno votato contro la costruzione di nuove centrali: referendum solo consultivi, ma il messaggio è chiaro. Il consenso nucleare è stato scosso dagli incidenti e forse ancor più dalla propensione dell’industria e delle autorità a nascondere i fatti. L’estate scorsa la Tokyo Electric Power Company (Tepco), maggiore società proprietaria di impianti nucleari in Giappone, aveva dovuto chiudere temporaneamente tutti i suoi 17 reattori dopo aver ammesso che per oltre dieci anni aveva falsificato i rapporti di sicurezza. Proprio ieri anche Tepco ha dovuto annunciare un incidente, sia pure «minore»: una fuga d’acqua ha imposto la chiusura di un reattore nella centrale di Fukushima-Daini.
Giappone, 15 anni di incidenti
In Giappone sono in funzione attualmente 52 centrali nucleari. Il governo ha in programma la costruzione di altri impianti in molte zone del Paese, anche se la popolazione nipponica ha votato contro in diversi referendum. le centrali nucleari già in funzione sono in grado di fornire il 31,2% del fabbisogno nazionale di energia elettrica. Ma non basta. «L’ideale – sostiene il ministero dell’economia, industria e commercio – è arrivare a coprire con il nucleare il 50% del fabbisogno nazionale». Numerosi del resto gli incidenti negli ultimi anni: la Tokyo electric power (Tepco), la società numero uno del paese, sue le centrali nella prefettura di Fukushima e di Shimane, era stata costretta poco più di un anno fa a chiudere temporaneamente tutte le sue 17 centrali, per la falsificazione sistematica della documentazione relativa alla sicurezza degli impianti per oltre 10 anni consecutivi.
6 novembre 2001: Il reattore della centrale nucleare di Hamaoka perde acqua nucleare. Si è rotto un tubo nell’impianto di raffreddamento. È allarme degli esperti per il tipo di guasto, il primo di questo tipo accaduto alle 52 centrali nucleari attive in Giappone.
30 settembre 1999: Un’operazione errata nell’impianto di trattamento delle scorie nucleari scatena una fissione incontrollata nella centrale di Tokaimura, bloccata solo dopo 20 ore. 18 tecnici si dividono in 9 coppie, per entrare nell’impianto contaminato e non restarci troppo tempo. Ne muoiono due, che si sacrificano per interrompere la fissione. Vengono ricoverate 600 persone perché esposte a radiazioni, 320mila invece sono temporaneamente evacuate. Secondo l’agenzia per la Scienza e la Tecnologia, si tratta del peggior incidente nucleare della storia giapponese, classificato al quarto livello in una scala di sette. Il massimo livello è quello raggiunto da Chernobyl.
11 marzo 1997: Ancora nella centrale di Tokaimura, va in fiamme l’impianto per il trattamento del combustibile nucleare. l’incendio dura 10 minuti, ma è seguito da una terribile esplosione. Solo dopo diversi giorni i responsabili ammettono la fuoriuscita di materiale radioattivo. Plutonio 236 e Cesio 137 arrivano fino alla parte orientale di Tokyo, spinti dal vento. Sono 37 i lavoratori dell’impianto esposti a radiazioni.
9 febbraio 1991: Scoppiano i tubi dell’acqua di raffreddamento del reattore nella centrale nucleare di Mihama. Finiscono in mare 20 tonnellate d’acqua radioattiva.
ANALISI
Dal civile al militare il passo è breve
MANLIO DINUCCI
Gli incidenti alle centrali nucleari giapponesi – il più grave quello di Mihama – avvenuti per tragica coincidenza nell’anniversario del bombardamento atomico di Nagasaki, riportano in primo piano la questione del nucleare. Sono in funzione nel mondo 441 reattori elettronucleari, che forniscono il 7% della produzione totale di energia primaria commerciale e il 17% di quella di energia elettrica. Essi sono distribuiti per l’80% in 17 paesi industrializzati dell’Ocse e per il restante 20% in altri 14 paesi. In generale, la costruzione di centrali elettronucleari si è notevolmente rallentata, soprattutto a causa dei costi economici, collegati ai crescenti problemi relativi alla sicurezza degli impianti e alla conservazione delle scorie radioattive: oltre 250mila tonnellate di metallo pesante, cui se ne aggiungono ogni anno 10mila, che resteranno altamente pericolose per secoli e millenni.
Vi è inoltre il problema che, anche se le centrali nucleari offrono il vantaggio di non emettere gas-serra, esse emettono piccole dosi di radioattività le quali, nel lungo periodo, possono arrecare danni agli esseri viventi. Molto maggiori sono le emissioni radioattive degli impianti di arricchimento e ritrattamento del combustibile nucleare. Frequenti sono, inoltre, le fuoriuscite accidentali di radioattività provocate da guasti e incidenti.
L’ulteriore problema, il più grave, deriva dal fatto che, non esistendo una netta linea di demarcazione tra uso civile e uso militare del materiale fissile, i paesi che lo producono possono servirsene per costruire armi nucleari. Oltre agli otto paesi che già posseggono armi nucleari (Stati uniti, Russia, Francia, Cina, Israele, Gran Bretagna, India, Pakistan), ve ne sono almeno altri trentasette che si ritiene siano in grado di costruirle. Tra questi, la Corea del Nord potrebbe aver già raggiunto tale capacità.
Nello stesso Giappone vi è una corrente politica favorevole alla costruzione di un arsenale nucleare nazionale, consono al suo status di seconda potenza economica mondiale. Avendo una sviluppata industria elettronucleare comprendente 53 reattori, esso ha accumulato oltre 38mila chilogrammi di plutonio 239, sufficienti a fabbricare circa 7mila testate nucleari. Anche se non si può prevedere in quali circostanze un governo giapponese potrebbe lanciare la sfida nucleare, uscendo dal Trattato di non-proliferazione ratificato nel 1976 e scontrandosi col forte movimento anti-nucleare esistente nel paese, tale possibilità è reale.
Altrettanto reale è la possibilità che altri paesi cerchino di costruire armi nucleari e prima o poi ci riescano. Non può infatti restare immutata per sempre la situazione in cui un piccolo gruppo di stati mantiene l’oligopolio delle armi nucleari. In questo «club nucleare» dominano gli Stati uniti che, scavalcando le Nazioni unite, si arrogano il diritto di stabilire quali paesi possano e quali non possano possedere armi nucleari.
Nello stesso giorno in cui 59 anni fa gli Usa sganciarono su Nagasaki una bomba al plutonio, la consigliera per la sicurezza nazionale, Condoleeza Rice, ha accusato l’Iran di aver ripreso la fabbricazione di centrifughe non per uso civile ma per ricavare il plutonio necessario a produrre in futuro armi nucleari. «Non possiamo permettere che l’Iran sviluppi armi nucleari», ha concluso con tono minaccioso.
Analoghi minacciosi avvertimenti sono stati lanciati dal governo israeliano che, a differenza di quello iraniano, non aderisce al Trattato di non-proliferazione e, non sottoposto ad alcuna verifica da parte della Iaea, è l’unico in Medio Oriente a possedere e a tenere puntate sugli altri paesi della regione dalle 200 alle 400 testate nucleari.
Particolarmente preoccupante è il fatto che il comando militare israeliano ha iniziato domenica scorsa a distribuire pillole allo iodio alla popolazione della zone vicine al centro nucleare di Dimona (dove si producono segretamente armi nucleari), «per proteggere i residenti dal fallout radioattivo provocato da un attacco missilistico al centro nucleare o in caso di incidente a un reattore» (letta su Haaretz, 8 agosto). Tale decisione rientra evidentemente nella campagna per preparare i governi e l’opinione pubblica a un attacco «preventivo» israeliano contro gli impianti nucleari iraniani.
Un attacco che potrebbe provocare, anche per l’Europa, effetti più gravi della catastrofe di Cernobyl.
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