FONDAMENTI DI FISICA GENERALE 95. ETTORE MAJORANA

Ingegneria Meccanica – Roma Tre

AA/2011-2012

APPUNTI PER IL CORSO

(Ripresi integralmente e da me assemblati dai testi di bibliografia)

Roberto Renzetti

Bibliografia: R. Renzetti –Vari appunti miei raccolti negli anni -www.fisicamente.blog

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RICORDO DI ETTORE MAJORANA  

di Edoardo Amaldi

estratto dal  “Giornale di Fisica”  vol. 9,  p. 300 (Bologna 1968)  

S.I.F. Società Italiana di Fisica

La giovinezza  

Ettore Majorana nacque a Catania il 5 agosto 1906 da una nota famiglia di professionisti di quella città. Il padre ingegner Fabio Massimo (nato a Catania nel 1875, morto a Roma nel 1934), era fratello minore di Quirino Majorana (1871-1957), noto professore di fisica sperimentale dell’Università di Bologna. L’ingegner Fabio Massimo era stato per molti anni direttore dell’azienda telefonica di Catania; trasferitosi a Roma, era stato nominato nel 1928 capodivisione e, qualche anno dopo, ispettore generale del ministero delle Comunicazioni. Dal suo matrimonio con la signora Dorina Corso (nata a Catania nel 1876, morta a Roma nel 1965), anch’essa di famiglia catanese, erano nati cinque figli: Rosina, sposata più tardi con Werner Schultze; Salvatore, dottore in legge e studioso di filosofia; Luciano, ingegnere civile specializzato in costruzioni aeronautiche, ma che poi si dedicò alla progettazione e costruzione di strumenti per l’astronomia ottica; Ettore; e, quinta e ultima, Maria, musicista ed insegnante di pianoforte.  

Dopo avere fatto le prime classi delle scuole elementari in casa, Ettore entrò come interno all’Istituto Massimo di Roma, ove completò le elementari e ove seguì il ginnasio che superò in quattro anni, avendo saltato il quinto. Quando nel 1921 la sua famiglia si trasferì a Roma, egli seguitò a frequentare come esterno la prima e la seconda liceo classico dell’Istituto Massimo, ma passò, per il terzo anno, al liceo statale Torquato Tasso ove, nella sessione estiva del 1923, conseguì la maturità con voti elevati. Nell’autunno dello stesso anno Ettore si iscrisse al biennio di studi di Ingegneria dell’Università di Roma e prese a frequentare le lezioni e le esercitazioni, regolarmente superando gli esami con voti molto elevati.

Fra i suoi compagni di corso c’era suo fratello Luciano, con cui passava anche buona parte delle ore dedicate allo svago e ai comuni amici; c’erano anche Emilio Segrè, oggi professore di fisica all’Università di Berkeley in California, ed Enrico Volterra, oggi professore di scienza delle costruzioni all’Università di Houston nel Texsas.

Finito il biennio di Ingegneria, questo gruppo di giovani, tutti molto brillanti, cominciò a frequentare la Scuola di applicazione per gli ingegneri di Roma. Ettore seguitò a riportare voti elevati in tutti gli esami, salvo una bocciatura in idraulica.

Come al biennio così anche alla Scuola di Ingegneria Majorana faceva da consulente a tutti i suoi compagni per la risoluzione dei problemi più difficili: in particolare se si trattava di problemi matematici.

Nel periodo in cui frequentava la Scuola di Ingegneria, Majorana, al pari di alcuni suoi compagni di corso, aveva cominciato a mostrarsi molto critico verso il modo in cui venivano impartiti alcuni degli insegnamenti; egli riteneva che ci si soffermasse troppo nella descrizione di particolari inessenziali, mentre non veniva dato abbastanza rilievo alla sintesi generale, caratteristica di un solido inquadramento scientifico. Questa sua radicata convinzione era alla base di frequenti, vivaci e talvolta aspre discussioni che aveva con alcuni professori.

All’inizio del secondo anno della Scuola di Ingegneria (quarto dall’inizio degli studi universitari) Emilio Segrè decise di seguire la sua vecchia inclinazione e passò agli studi di fisica. Tale decisione era maturata in lui durante l’estate 1927, periodo in cui aveva conosciuto Franco Rasetti, allora assistente all’Istituto di Fisica dell’Università di Firenze. Attraverso Rasetti, Segrè aveva conosciuto anche Enrico Fermi allora ventiseienne e da poco nominato (novembre 1926) professore straordinario alla cattedra di Fisica teorica dell’Università di Roma.

La creazione di questa nuova cattedra era dovuta all’opera di O.M. Corbino, professore di Fisica sperimentale e direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università di Roma, il quale, avendo giustamente valutato le eccezionali capacità di Enrico Fermi, aveva iniziato tutta una serie di azioni per creare in Roma una scuola di fisica moderna.

Io stesso, che nel giugno 1927 ero alla fine del secondo biennio per gli studi di ingegneria, avevo deciso di passare agli studi di fisica in seguito all’appello che Corbino aveva rivolto durante una lezione, dicendo esplicitamente che, nella situazione di fermento di idee che esisteva ormai in tutta Europa nel campo della fisica e con la nomina di Fermi a professore a Roma, si apriva, a suo giudizio, un periodo del tutto eccezionale per i giovani che avessero già cominciato a dare prova di essere sufficientemente dotati e che si sentissero disposti ad intraprendere uno sforzo non comune di studio e di lavoro teorico e sperimentale.

Nell’autunno 1927 e all’inizio dell’inverno 1927-28 Emilio Segrè, nel nuovo ambiente fisico che si era formato da pochi mesi attorno a Fermi, parlava frequentemente delle eccezionali qualità di Ettore Majorana, e, contemporaneamente, cercava di convincere Ettore Majorana a seguire il suo esempio, facendogli notare come gli studi di fisica fossero assai più consoni di quelli di ingegneria alle sue aspirazioni scientifiche ed alle sue capacità speculative. il passaggio a Fisica ebbe luogo al principio del 1928 dopo un colloquio con Fermi, i cui dettagli possono servire assai bene a tratteggiare alcuni aspetti del carattere di Ettore Majorana.

Egli venne all’Istituto di via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell’occasione che io lo vidi per la prima volta. Di lontano appariva smilzo, con un’andatura timida e quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell’insieme l’aspetto di un saraceno.

Fermi lavorava allora al modello statistico [dell’atomo] che prese in seguito il nome di Thomas-Fermi. Il discorso con Majorana cadde subito sulle ricerche in corso all’Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello, mostrò a Majorana gli estratti dei suoi recenti lavori sull’argomento e, in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi. Majorana ascoltò con interesse e, dopo aver chiesto qualche chiarimento, se ne andò senza manifestare i suoi pensieri e le sue intenzioni. Il giorno dopo, nella tarda mattinata, si presentò di nuovo all’Istituto, entrò diretto nello studio di Fermi e gli chiese, senza alcun preambolo, di vedere la tabella che gli era stata posto sotto gli occhi per pochi istanti il giorno prima. Avutala in mano, estrasse dalla tasca un fogliolino su cui era scritta un’analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime ventiquattro ore. Confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno accordo fra loro, disse che la tabella di Fermi andava bene e, uscito dallo studio, se ne andò dall’Istituto. Dopo qualche giorno passò a Fisica e cominciò a frequentare regolarmente l’Istituto.

I suoi studi universitari di fisica  

Passato a Fisica, Ettore Majorana aveva in breve tempo impressionato tutti per vivezza di ingegno, profondità di comprensione ed estensione di studi che lo rendevano molto superiore a tutti i suoi nuovi compagni. Il suo spirito critico era poi eccezionalmente penetrante ed inesorabile, tanto che lo avevamo soprannominato il “Grande Inquisitore”; nello stesso quadro scherzoso chiamavamo Fermi il “Papa”, Rasetti il “Cardinale Vicario”, e così via.

La sua capacità di calcolo era poi strabiliante. Non solo faceva completamente a memoria calcoli numerici complessi, ma eseguiva a memoria, in venti o trenta secondi, anche il calcolo letterale di integrali definiti sufficientemente complicati da richiedere per un abile matematico un notevole numero di passaggi: eseguiva anche la sostituzione dei limiti letterali e numerici e dava direttamente i risultati finali.

Nel 1928, durante i mesi di maggio e giugno, ossia nel periodo di preparazione e di svolgimento degli esami universitari, avevamo preso l’abitudine di trovarci prima di cena, tra le sette e le otto di sera, alla Casina delle Rose di Villa Borghese. Oltre ad Ettore Majorana, Giovanni Gentile jr., Emilio Segrè ed io dell’Istituto di Fisica, venivano Luciano Majorana, Giovanni Enriques, Giovanni Ferro-Luzzi, Gastone Piqué, tutti studenti di ingegneria dello stesso anno di Ettore. Sorseggiando una bibita o mangiando un gelato, si discuteva della preparazione degli esami o degli ultimi esami sostenuti, qualcuno di noi fisici raccontava qualche risultato di fisica atomica che aveva appreso recentemente, il più delle volte da Fermi, o qualcuno degli studenti di ingegneria discuteva delle proprietà del campo elettromagnetico o di qualche sua applicazione o diceva male del professore di idraulica che era la loro bestia nera. Si parlava anche di letteratura: Ettore conosceva e apprezzava in generale i classici e prediligeva Shakespeare e Pirandello. Si parlava anche di questioni di cultura varia, nelle quali Ettore era sempre ferratissimo, un poco di politica, ma soprattutto della spedizione Nobile al Polo Nord che aveva luogo proprio in quell’epoca (marzo-maggio 1928) e che aveva dato origine alle ben note complesse vicende umane.

L’abitudine di andare alla Casina delle Rose fu da noi ripresa, sia pure con assai minore regolarità, nei mesi di maggio e giugno dell’anno dopo, fino a quando giungemmo alla laurea.

Ettore Majorana, Gabriello Giannini (che nel seguito si affermò come costruttore e industriale elettronico negli Stati Uniti) ed io ci laureammo lo stesso giorno, il 6 luglio 1929; Ettore presentava una tesi sulla meccanica dei nuclei radioattivi, di cui fu relatore Fermi, ed ebbe 110/110 e lode. La lettura di questa tesi, anche a distanza di quasi quarant’anni, colpisce per la chiarezza dell’impostazione e l’approfondimento dei problemi relativi alla struttura dei nuclei e alla teoria del loro decadimento alfa.

Dopo la laurea Ettore continuò a frequentare l’Istituto dove passava più o meno regolarmente un paio di ore al mattino, e qualche ora nel pomeriggio. queste ore venivano trascorse in biblioteca ove studiava soprattutto i lavori di Dirac, Heisenberg, Pauli, Weyl e Wigner.

A quell’epoca i suoi giudizi su scienziati viventi, anche di primo piano, erano quasi sempre oltremodo severi, tanto da fare sorgere il sospetto di una presunzione e di un orgoglio eccezionali; ma tale severità si attenuava o, addirittura, scompariva nel caso dei suoi amici, mentre altrettanto severi erano i giudizi che egli faceva intendere implicitamente su se stesso e che manifestava esplicitamente nel suo lavoro. Le persone a lui vicine avevano così finito con il comprendere che tanta severità non era altro che la manifestazione di uno spirito insoddisfatto e tormentato. Sotto un apparente isolamento dal prossimo, non solo di fatto ma anche di sentimenti, si nascondeva una sensibilità vivissima che lo portava a stringere solo raramente rapporti di amicizia; ma allora questi erano dotati della profondità caratteristica della sua regione di origine.

Il 12 novembre 1932 egli conseguì la libera docenza in fisica teorica: presentava solo cinque lavori, ma la commissione composta da Enrico Fermi, Antonino Lo Surdo ed Enrico Persico fu unanime nel riconoscere nel candidato “una completa padronanza della fisica teorica”.

La sua attività nel campo della fisica atomica e molecolare e l’evoluzione dei suoi interessi verso la fisica dei nuclei  

Dal punto di vista della produzione scientifica, quegli anni rappresentano la prima delle due fasi della troppo breve attività di ricerca di Ettore Majorana, tutta raccolta in nove lavori e un articolo di alta divulgazione. La prima fase comprende sei lavori che si riferiscono tutti a problemi di fisica atomica e molecolare; la seconda fase ne comprende tre soli che riguardano problemi di fisica del nucleo o proprietà dei corpuscoli elementari.

I lavori appartenenti alla prima fase possono essere ulteriormente divisi in tre gruppi. Il primo è costituito da tre lavori che riguardano problemi di spettroscopia atomica; il secondo gruppo comprende due lavori che trattano alcune questioni relative al legame chimico. Il terzo gruppo, infine, consiste in un solo lavoro il quale verte sul problema del ribaltamento dello spin (spin-flip) non adiabatico in un fascio di atomi polarizzati. Tutti questi lavori colpiscono per la loro alta classe: essi rivelano una profonda conoscenza dei dati sperimentali anche nei più minuti dettagli, una disinvoltura non comune, soprattutto a quell’epoca, nello sfruttare le proprietà di simmetria degli stati per semplificare i problemi o per la scelta della più opportuna approssimazione per risolvere quantitativamente i singoli problemi, qualità quest’ultima che senza dubbio derivava, almeno in parte, dalle sue eccezionali doti di calcolatore.

In particolare i lavori n. 2 e n. 4 diedero l’occasione a Majorana di impadronirsi della teoria quantistica del legame chimico, circostanza questa che doveva risultare di grande importanza per la sua futura attività di ricerca. La sua conoscenza approfondita del meccanismo di scambio degli elettroni di valenza, che è alla base della teoria quantistica del legame chimico omeopolare, costituirà infatti più tardi il punto di partenza per l’ipotesi che le forze nucleari siano forze di scambio.

Il lavoro n. 6 sul ribaltamento dello spin in un campo magnetico variabile è un classico della trattazione di questi problemi e come tale viene correntemente citato: i suoi risultati hanno costituito successivamente il principio su cui è basata la realizzazione sperimentale del metodo usato per ribaltare lo spin dei neutroni con un campo a radiofrequenza, metodo impiegato sia nell’analisi di fasci di neutroni polarizzati, sia in tutti gli spettrometri a neutroni polarizzati usati nello studio delle strutture magnetiche.

L’interesse di Majorana per la fisica nucleare, che già si era manifestato nella sua tesi di laurea, si ravvivò fortemente con l’apparire dei classici lavori che dovevano portare alla scoperta del neutrone, all’inizio del 1932. In realtà questo suo rinnovato interesse rientrava nel nuovo orientamento generale di tutto l’Istituto di via Panisperna, ove già da qualche anno si parlava dell’opportunità di abbandonare, sia pure gradualmente, la fisica atomica, campo in cui tutti avevano lavorato per vari anni, e di far convergere il principale sforzo di ricerca su problemi di fisica nucleare.

Verso la fine di gennaio 1932 cominciarono ad arrivare i fascicoli dei “Comptes Rendus” contenenti le classiche note di F. Joliot e I. Curie sulla radiazione penetrante scoperta da Bothe e Becker. Nella prima di tali note veniva mostrato che la radiazione penetrante, emessa dal berillio sotto l’azione delle particelle alfa emesse dal polonio, poteva trasferire ai protoni, presenti in straterelli di vari materiali idrogenati (come l’acqua o il cellofan), energie cinetiche di circa cinque milioni di elettronvolt. Per interpretare tali osservazioni, i Joliot-Curie avevano in un primo tempo avanzato l’ipotesi che si trattasse di un fenomeno analogo all’effetto Compton […]. Subito dopo, però, avevano suggerito che l’effetto osservato fosse dovuto a un nuovo tipo di interazione tra raggi gamma e protoni, diversa da quella che interviene nell’effetto Compton.

Quando Ettore lesse queste note, disse, scuotendo la testa: “non hanno capito niente: probabilmente si tratta di protoni di rinculo prodotti da una particella neutra pesante”. Pochi giorni dopo giunse a Roma il fascicolo di “Nature” contenente la lettera all’editore presentata da J. Chadwick il 17 febbraio 1932 e in cui veniva dimostrata l’esistenza del neutrone sulla base di una classica serie di esperienze […].

Subito dopo la scoperta di Chadwick, vari autori compresero che i neutroni dovevano essere uno dei costituenti dei nuclei e cominciarono a proporre vari modelli in cui entravano a far parte particelle alfa, elettroni e neutroni. Il primo a pubblicare che il nucleo è costituito soltanto di protoni e neutroni è stato probabilmente D.D. Ivanenko […]. Ma è certo che, prima di Pasqua di quello stesso anno, Ettore Majorana aveva cercato di fare la teoria dei nuclei leggeri ammettendo che i protoni e i neutroni (o “protoni neutri” come egli diceva allora) ne fossero i soli costituenti e che i primi interagissero con i secondi con forze di scambio delle sole coordinate spaziali (e non degli spin), se si voleva far sì che il sistema saturato rispetto all’energia di legame fosse la particella alfa e non il deutone.

Aveva parlato di questo abbozzo di teoria agli amici dell’Istituto e Fermi, che ne aveva subito riconosciuto l’interesse, gli aveva consigliato di pubblicare al più presto i suoi risultati, anche se parziali. Ma Ettore non ne volle sapere perchè giudicava il suo lavoro incompleto. Allora Fermi, che era stato invitato a partecipare alla conferenza di fisica che doveva avere luogo nel luglio di quell’anno a Parigi, nel quadro più ampio della Quinta conferenza internazionale sull’elettricità, e che aveva scelto come argomento da trattare le proprietà del nucleo atomico, chiese a Majorana l’autorizzazione ad accennare alle sue idee sulle forze nucleari. Majorana rispose a Fermi che gli proibiva di parlarne o che, se ne voleva proprio parlare, facesse pure ma, in quel caso, dicesse che si trattava di idee di un noto professore di elettrotecnica, il quale fra l’altro doveva essere presente alla conferenza di Parigi, e che egli, Majorana, considerava come un esempio vivente di come non si dovesse fare la ricerca scientifica.

Fu così che il 7 luglio Fermi tenne a Parigi il suo rapporto su “Lo stato attuale della fisica del nucleo atomico” senza accennare a quel tipo di forze che in seguito furono denominate “forze di Majorana” e che in sostanza erano già state concepite, sia pure in forma rozza, vari mesi prima.

Nel fascicolo della “Zeitschrift fur Physik” datata 19 luglio 1932 apparve il primo lavoro di Heisenberg sulle forze “di scambio alla Heisenberg”, ossia forze che coinvolgono lo scambio delle coordinate sia spaziali che di spin. Questo lavoro suscitò molta impressione nel mondo scientifico: era il primo tentativo di una teoria del nucleo che, per quanto incompleta e imperfetta, permetteva di superare alcune delle difficoltà di principio che fino ad allora erano sembrate insormontabili. Nell’Istituto di fisica dell’Università di Roma tutti erano oltremodo interessati e pieni di ammirazione per i risultati di Heisenberg, ma al tempo stesso dispiaciuti che Majorana non avesse non dico pubblicato, ma neanche voluto che Fermi parlasse delle sue idee in un congresso internazionale…

Fermi si adoperò nuovamente perché Majorana pubblicasse qualche cosa, ma ogni suo sforzo e ogni sforzo di noi, suoi amici e colleghi, fu vano. Ettore rispondeva che Heisenberg aveva ormai detto tutto quello che si poteva dire e che, anzi, aveva detto probabilmente anche troppo. Alla fine però Fermi riuscì a convincerlo ad andare all’estero, prima a Lipsia e poi a Copenaghen, e gli fece assegnare dal Consiglio Nazionale delle ricerche una sovvenzione per tale viaggio che ebbe inizio alla fine di gennaio del 1933 e durò fra sei e sette mesi.

L’avversione a pubblicare o comunque a rendere noti i suoi risultati che appare da questo episodio faceva parte di un suo atteggiamento generale. Talvolta, nel corso di una conversazione con qualche collega, diceva quasi incidentalmente di avere fatto durante la sera precedente il calcolo o la teoria di un fenomeno non chiaro che in quei giorni aveva colpito l’attenzione sua o di qualcuno di noi. Nella discussione che seguiva, sempre molto laconica da parte sua, Ettore a un certo punto tirava fuori dalla tasca il pacchetto delle sigarette Macedonia (era un fumatore accanito) sul quale erano scritte, in una calligrafia minuta ma ordinata, le formule principali della sua teoria o una tabella di risultati numerici. Copiava sulla lavagna parte dei risultati, quel tanto che era necessario per chiarire il problema, e poi, finita la discussione e fumata l’ultima sigaretta, accartocciava il pacchetto e lo buttava nel cestino.

Il suo viaggio all’estero  

Nell’inverno 1932-33 era arrivato a Roma, dalla Harvard University, Eugene Feenberg che godeva di una Travelling scolarship per “graduate students” di quella Università, con il quale trascorse circa tre mesi a Roma e uno o due a Lipsia. Il suo soggiorno in Europa fu interrotto dall’improvviso invito a rientrare negli Stati Uniti dalle autorità della Harvard University, preoccupate dalla situazione politica che andava maturando in Germania: nel giro di pochi mesi Hitler era riuscito a sopprimere i diritti civili e le libertà democratiche e a prendere definitivamente il potere nelle sue mani. Nel periodo trascorso in Europa, Feenberg scriveva la sua tesi per il Ph.D sullo scattering degli elettroni da parte di atomi neutri; lavoro in cui, tra l’altro, stabiliva il “teorema ottico”, senza apprezzarne l’interesse e la portata.  

Feenberg e Majorana simpatizzarono immediatamente, ma non riuscirono a stabilire rapporti stretti di lavoro, dato che nessuno dei due era in grado di parlare la lingua dell’altro; Feenberg aveva comperato un piccolo glossario inglese-italiano con cui cercava di aiutarsi, ma il risultato dello sforzo, fatto con onestà e perseveranza, era assai modesto. Pertanto essi si mettevano nella stessa saletta della biblioteca dell’Istituto di via Panisperna, studiavano allo stesso tavolo e comunicavano tra di loro, mostrandosi qualche formula scritta su un pezzo di carta, soltanto a lunghi intervalli di tempo, fra una lettura e l’altra di qualche pagina di recenti pubblicazioni. 

Prima di partire per Lipsia, Majorana pubblicò un altro lavoro, quello sulla teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario. E’ il suo primo lavoro che riguarda le particelle elementari e non aggregati di particelle quali sono gli atomi e i nuclei e pertanto ne parlerò fra poco.

Nel mese di gennaio Majorana partì per Lipsia […]. Lipsia in quegli anni era uno dei maggiori centri di fisica moderna; attorno a W. Heisenberg, si era raccolto un gruppo di giovani di eccezione, fra i quali F. Bloch, F. Hund, R. Peierls e, fra gli ospiti, E. Feenberg, R.D. Inglis, e E.G. Uhlenbeck. Feenberg ricorda di avere assistito a un seminario di Heisenberg sulle forze nucleari, nel quale Heisenberg parlò anche del contributo dato da Majorana a questo argomento: disse che l’autore era presente e lo invitò a dire qualche cosa sulle sue idee, ma Ettore si rifiutò di prendere la parola. Uscendo dal seminario, Uhlenbeck espresse a Feenberg la sua ammirazione per l’acutezza delle considerazioni fatte da Majorana e riferite da Heisenberg.

Majorana in quel periodo si legò ad Heisenberg per il quale conservò sempre profonda ammirazione e senso di amicizia. Fu Heisenberg che lo convinse senza sforzo, con il solo peso della sua autorità, a pubblicare il suo lavoro sulla teoria del nucleo che apparve nel corso dello stesso anno sia sulla “Zeitschrift fur Physik” che sulla “Ricerca Scientifica”. Heisenberg si rese conto delle notevoli qualità di ricercatore di Majorana, ma anche della fatica che egli sempre incontrava nello stabilire rapporti con persone di recente conoscenza e, in generale, con il mondo esterno.

A Copenhagen, se non il maggiore certo uno dei maggiori centri di fisica dell’epoca, Ettore conobbe Niels Bohr, C.Moller, L. Rosenfeld e molti altri. in quel periodo si trovava a Copenhagen anche Placzek, e Majorana si attaccò a lui dato che già lo conosceva da qualche anno.

Nel mese di luglio la famiglia di Majorana fece un viaggio in macchina e andò a trovare Ettore a Lipsia.

Nel periodo trascorso all’estero Majorana fu colpito dal livello economico e organizzativo tedesco, tanto da concepire una grande ammirazione per la Germania, ammirazione che espresse in alcune occasioni, in particolare in una lettera a Emilio Segrè in cui egli cerca di dare una spiegazione – inaccettabile per la maggior parte dei suoi amici – della politica del governo tedesco dell’epoca.

Quando nell’autunno del 1933 tornò a Roma, Ettore non stava bene in salute a causa di una gastrite i cui primi sintomi si erano manifestati in Germania. quale fosse l’origine di questo male non è chiaro, ma i medici di famiglia lo collegarono con un principio di esaurimento nervoso. Cominciò a frequentare l’Istituto di via Panisperna solo saltuariamente e, con il passare dei mesi, non venne più affatto: trascorreva sempre più le sue giornate in casa immerso nello studio per un numero di ore del tutto eccezionale.

Più che di fisica in quel periodo si interessava di economia politica, delle flotte dei diversi paesi e dei loro rapporti di forza, delle caratteristiche costruttive delle navi. Al tempo stesso gli interessi filosofici, che sempre erano stati vivi in lui, si erano fortemente accentuati, tanto da spingerlo a meditare a fondo le opere di vari filosofi, in particolare quelle di Schopenhauer. Probabilmente risale a quell’epoca il manoscritto sul valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali che, trovato fra le sue carte dal fratello Luciano, fu pubblicato dopo la sua scomparsa da Giovanni Gentile jr.

A questi interessi vecchi e nuovi se ne era aggiunto un altro, la medicina, argomento che affrontava forse anche nel desiderio di comprendere i sintomi e la portata del suo male.

Non pochi tentativi fatti da Giovanni Gentile jr., da Emilio Segrè e da me per riportarlo a fare vita normale furono senza risultato. Ricordo che nel 1936 non usciva che raramente di casa, neanche per andare dal barbiere, così che i capelli gli erano cresciuti in modo anormale; in quel periodo qualcuno degli amici che era andato a trovarlo gli mandò a casa, nonostante le sue proteste, un barbiere. Nessuno di noi riuscì però mai a sapere se facesse ancora della ricerca in fisica teorica; penso di si, ma non ne ho alcuna prova.

La nomina a professore di fisica teorica e i suoi lavori di fisica delle particelle elementari

Nel frattempo diversi altri giovani erano andati maturando nel campo della fisica teorica: GianCarlo Wick, laureato all’Università di Torino con Somigliana, dopo un periodo trascorso a Gottinga e a Lipsia, era venuto a Roma; Giulio Racah, laureato a Firenze con Enrico Persico, divideva il suo tempo tra Firenze, Roma e Zurigo ove lavorava sotto la guida di Pauli; Giovanni Gentile jr., di cui abbiamo già parlato; Leo Pincherle che aveva studiato a Bologna e poi era venuto a Roma, e Gleb Wataghin che, emigrato in Italia dalla Russia, aveva studiato a Torino ove insegnava e lavorava da anni.

Era ormai giunta l’ora per un nuovo concorso in fisica teorica; il primo e solo concorso per cattedre di questa materia aveva avuto luogo nel 1926 e aveva portato alla cattedra Enrico Fermi, a Roma, ed Enrico Persico a Firenze. Il nuovo concorso fu bandito al principio del 1937 su richiesta dell’Università di Palermo, spinta a far ciò da Segrè che nel frattempo era diventato professore di Fisica sperimentale in quella Università. C’era naturalmente il problema di fare concorrere Ettore, il quale sembrava che non ne volesse sapere e che comunque ormai da qualche anno non aveva più pubblicato lavori di fisica. Fermi ed i vari amici si adoperarono in questo senso e Majorana infine si convinse a gran fatica a prendere parte al concorso e mandò alla stampa sul “Nuovo Cimento” il lavoro sulla teoria simmetrica dell’elettrone e del positone. La commissione per giudicare il concorso di fisica teorica dell’Università di Palermo fu nominata dal ministro dell’Educazione Nazionale, come prescrivevano le leggi fasciste di allora, e risultò così composta: Antonio Carrelli, Enrico Fermi, Orazio Lazzarino, Enrico Persico e Giovanni Polvani. I concorrenti erano i cinque sopra indicati oltre Ettore Majorana. La commissione tenne una prima seduta nel corso del mese di ottobre 1937; ma subito fu invitata dal ministro a sospendere i lavori allo scopo di poter procedere alla nomina (in base all’art.8 del R.D.L. 20 giugno 1935, n.1071) del concorrente Majorana a professore ordinario di fisica teorica nella R. Università di Napoli. Il suddetto articolo si riferiva a meriti speciali; esso era stato fatto qualche anno prima allo scopo di rendere possibile la nomina senza concorso di Guglielmo Marconi alla cattedra di Onde Elettromagnetiche dell’Università di Roma.

Il maggiore contributo scientifico è costituito dagli ultimi suoi tre lavori. Il primo di questi, sulla cui origine ho già dato qualche notizia, si inserisce dopo le tre classiche note di Heisenberg […]

Nell’ultimo lavoro, quello sulla teoria simmetrica dell’elettrone e del positone, Majorana parte dall’osservazione che la teoria relativistica di Dirac, che aveva portato alla previsione della esistenza del positone, poco dopo confermata dall’esperienza, si imperniava sull’equazione di Dirac che è completamente simmetrica rispetto al segno della carica: ma che tale simmetria andava in parte perduta nello sviluppo successivo della teoria, che descriveva il vuoto come una situazione in cui tutti gli stati di energia negativa erano occupati e tutti quelli di energia positiva liberi. L’eccitazione di un elettrone da uno degli stati di energia negativa ad uno di energia positiva lasciava una lacuna dotata di energia positiva, che poteva venire interpretata come l’antielettrone [o positone] […] Questa impostazione asimmetrica porta come conseguenza anche la necessità di cancellare, senza nessuna sana giustificazione di principio, alcune costanti infinite, come la densità di carica, dovute agli stati di energia negativa. Partendo da queste osservazioni, Majorana sviluppò una teoria in cui una particella neutra, diciamo il neutrino, si identifica con la sua antiparticella, l’antineutrino […]. 

Nominato professore di fisica teorica a Napoli nel novembre 1937, Ettore Majorana si trasferì in quella città ai primi di gennaio dell’anno successivo. A Napoli si legò d’amicizia con Antonio Carrelli, professore di fisica sperimentale e direttore dell’Istituto di Fisica di quella Università.

Anche a Napoli, come del resto aveva sempre fatto a Roma, conduceva una vita estremamente ritirata; al mattino, quando doveva fare lezione, andava all’Istituto e nel tardo pomeriggio faceva lunghe passeggiate nei quartieri più vivi della città. Adempiva, come del resto aveva fatto sempre per tutti i suoi doveri del passato, al compito della lezione con grande cura e impegno. il manoscritto delle sue lezioni di meccanica quantistica mostra come egli svolgesse questo insegnamento in maniera assai simile a quella attuale.

Anche a Napoli, come a Roma negli anni precedenti, Majorana era tormentato dalla sua malattia che finiva inevitabilmente con l’avere una influenza sul suo umore e anche sul suo carattere. Questo spiega forse l’eccessivo dispiacere che provò, a quanto racconta Carrelli, quando, dopo qualche mese di insegnamento, si rese conto che ben pochi degli studenti erano in grado di seguire ed apprezzare le sue lezioni sempre oltremodo elevate.

Il giorno 26 marzo 1938 Carrelli con grande meraviglia ricevette da Palermo un telegramma lampo da parte di Ettore Majorana in cui gli diceva di non preoccuparsi per quanto era scritto nella lettera che gli aveva mandato. Carrelli attese l’arrivo della lettera impostata a Palermo qualche ora prima della spedizione del telegramma; in essa Ettore Majorana scriveva con molta freddezza e altrettanta decisione di trovare la vita in generale, e la sua in particolare, assolutamente inutile e che pertanto aveva deciso di sopprimersi. La lettera purtroppo andò persa, ma una frase rimase impressa nella memoria di Carrelli e suonava all’incirca così: Non sono una ragazza ibseniana, comprendimi, il problema è molto più grosso… La lettera si chiudeva con un caldo saluto a Carrelli che ringraziava per l’amicizia che gli aveva dimostrato negli ultimi mesi.

Carrelli, sconvolto da tale lettura, chiamò subito al telefono Fermi il quale a Roma si mise in contatto con il fratello Luciano: questi si recò immediatamente a Napoli ove iniziava una affannosa ricerca di informazioni su Ettore. Tale ricerca, condotta sia a Palermo che a Napoli, permise di stabilire che Ettore era partito da Napoli per Palermo, con il piroscafo della società Tirrenia, nella notte dal 23 al 24 marzo [in realtà la sera del 25 marzo] e che era giunto a Palermo ove era stato un paio di giorni e donde, il 25 [in realtà il 26 mattina], aveva spedito sia la lettera che il telegramma a Carrelli. La sera del giorno stesso aveva ripreso il piroscafo per Napoli. Il professore Michele [in realtà Vittorio] Strazzeri dell’Università di Palermo lo vide quella notte a bordo e anzi alle prime luci dell’alba, mentre il piroscafo entrava nel golfo di Napoli, lo scorse dormire nella sua cabina. Un marinaio testimoniò di averlo visto a poppa della nave dopo Capri non molto prima che questa attraccasse al molo di Napoli. secondo l’ufficio di Napoli della società Tirrenia il biglietto Palermo-Napoli di Majorana sarebbe stato trovato tra quelli consegnati allo sbarco a Napoli, ma la notizia non ebbe mai una conferma sicura.

Le indagini furono condotte per oltre tre mesi sia dalla polizia che dai carabinieri e con l’interessamento personale di Mussolini a cui si era rivolta la madre. La famiglia promise un premio, allora cospicuo, di 30.000 lire a chi avesse dato notizie di Ettore e pubblicò per mesi sui maggiori quotidiani un appello ad Ettore perché tornasse a casa; il Vaticano cercò di stabilire se si fosse chiuso in un convento. Ma tutti i tentativi furono vani. Nessuna traccia fu mai trovata: solo si seppe che, qualche giorno prima della partenza di Ettore Majorana per Palermo, si era presentato alla chiesa del Gesù Nuovo, situata a Napoli vicino all’albergo Bologna ove egli abitava, un giovane uomo molto agitato le cui caratteristiche somatiche e psichiche parvero ai parenti corrispondere a quelle di Ettore. Inoltre, padre De Francesco, ex provinciale dei Gesuiti, che aveva ricevuto il giovane, parve riconoscerlo nella fotografia di Ettore mostratagli dai parenti. Il giovane chiese a padre De Francesco di “fare un esperimento di vita religiosa”, espressione che secondo i fratelli va intesa come “fare gli esercizi spirituali”. Essi infatti non credono che egli volesse con questa frase manifestare una vocazione religiosa ma semplicemente il desiderio di ritirarsi in meditazione. Alla risposta che egli poteva, sì, avere ospitalità, ma solo a breve termine – in quanto per una soluzione definitiva sarebbe stato necessario, per l’Ordine, entrare in noviziato – il giovane rispose: “Grazie, scusi”, e se ne andò.

L’ipotesi che trovò più credito tra gli amici fu che egli si fosse buttato in mare: ma tutti gli esperti delle acque del golfo di Napoli sostengono che il mare, prima o poi, ne avrebbe restituito le spoglie.

Solo quasi trent’anni dopo, qualcuno che non lo aveva mai conosciuto o che lo aveva conosciuto solo molto superficialmente, immaginò un rapimento o una fuga in relazione con ipotetici affari di spionaggio atomico. Ma per chi ha vissuto nell’ambiente dei fisici nucleari dell’epoca e ha conosciuto Ettore Majorana una simile ipotesi non solo è destituita di qualsiasi fondamento, ma è assurda sia sul piano storico che su quello umano. Pochi anni dopo la sua scomparsa, riparlando della cosa con amici comuni, Fermi osservò che, con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito.

Non si è saputo più nulla: tutti sono rimasti con un senso di profonda amarezza per la perdita, chi di un parente, chi di un amico, gentile, riservato e schivo di manifestazioni esteriori, così evidentemente affettuoso anche se profondamente amaro: un senso di frustrazione per tutto quello che il suo ingegno non ha lasciato ma che avrebbe ancora potuto produrre se non fosse intervenuta la sua assurda scomparsa; e soprattutto un senso di profondo e ammirato stupore per la sua figura di uomo e di pensatore che era passata tra noi così rapidamente, come un personaggio di Pirandello carico di problemi che portava con sé, tutto solo; un uomo che aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta al alcuni quesiti della natura, ma che aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, anche se questa era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto essa non sia per la stragrande maggioranza degli uomini.

Edoardo Amaldi

“…e non capivo che

quell’uomo era il mio volto, era il mio specchio

finché non verrà il tempo

in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo…

(F. Guccini)

Pubblicazioni di Ettore Majorana  

1. Sullo sdoppiamento dei termini Roentgen ottici a causa dell’elettrone rotante e sulla intensità delle righe del Cesio, in collaborazione con Giovanni Gentile jr.: “Rendiconti Accademia Lincei”, vol.8, 1928, pp 229-233.  

2. Sulla formazione dello ione molecolare di He: “Nuovo Cimento”, vol.8, 1931, pp.22-28.  

3. I presunti termini anomali dell’Elio: “Nuovo Cimento”, vol.8,1931, pp.78-83.  

4. Reazione pseudopolare fra atomi di idrogeno: “Rendiconti Accademia Lincei”, vol.13, 1931, pp.58-61.  

5. Teoria dei tripletti P’ incompleti: “Nuovo Cimento”, vol.8, 1931 pp.107-113.

6. Atomi orientati in campo magnetico variabile: “Nuovo Cimento”, vol.9, 1932, pp.43-50.

7. Teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario: “Nuovo Cimento”, vol.9, 1932, pp.335-344.  

8. Ueber die Kerntheorie: “Zeitschrift fur Physik”, vol.82, 1933, pp.137-145.  

9. Teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone: “Nuovo Cimento”, vol.14, 1937, pp.171-184.  

10. Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali ( pubblicazione postuma, a cura di G. Gentile jr.): “Scientia”, vol.36, 1942, pp.55-56.

ETTORE MAJORANA, A  CINQUANT’ANNI  DALLA  SUA SCOMPARSA

Edoardo Amaldi

Dipartimento di Fisica

Università «La Sapienza» di Roma

  (Il Nuovo Saggiatore – 4, 1988, 1)

 1.  –  Sono  passati  cinquant’anni  dalla  scomparsa di Ettore Majorana e uno sguardo retrospettivo alla sua opera scientifica è più che naturale e doveroso (1).

             Per chi non lo abbia presente, ricorderò che essa consiste in 9 lavori, il primo dei quali era stato inviato, per la stampa, da O. M. Corbino, allora Direttore dell’Istituto di Fisica di Via Panisperna, alla R. Accademia dei Lincei, a cui era pervenuto il 24 luglio 1928, e che l’ultimo è apparso nel fascicolo di aprile 1937 de Il Nuovo Cimento, cioè un anno prima della sua scomparsa.

             Vorrei anche ricordare che tale produzione può essere divisa in due fasi; la prima comprende i primi 6 lavori [1-6] che si riferiscono tutti a problemi di fisica atomica e molecolare, mentre la seconda ne comprende 3 soli, dei quali uno [8] concerne le forze che si esercitano fra i protoni e i neutroni in un nucleo, mentre gli altri due ([7] e [9]) riguardano la trattazione quantistica e relativistica delle particelle subnucleari.

             La fama di Ettore Majorana, come è ben noto, è dovuta prevalentemente a questi tre ultimi lavori; ma anche i sei lavori della sua prima fase produttiva sono molto interessanti,  sia  per  le tematiche  affrontate  che  per  i metodi da lui impiegati.

2.  – Cominciamo, dunque, dai lavori appartenenti alla prima fase produttiva. Essi possono venir ulteriormente divisi in 3 gruppi.

             Il  primo  gruppo  è  costituito  da  3  lavori ([1],  [3]  e  [5])  che riguardano problemi di spettroscopia  atomica;  mentre  il  secondo gruppo comprende 2 lavori ([2] e [4]) che trattano aspetti ignorati o quasi, a quell’epoca, del legame chimico. Il terzo gruppo infine comprende un sol lavoro [6], che verte sul problema del ribaltamento dello spin (spin-flip) non adiabatico in un fascio di atomi polarizzati.

             Senza entrare in un esame dettagliato dei 3 lavori di spettroscopia atomica, vorrei ricordare che il primo [1], fatto in collaborazione con Giovanni Gentile jr, presenta i risultati del calcolo dello sdoppiamento dovuto allo spin dell’elettrone di alcuni termini Rontgen [i termini  3M  del  gadolinio (Z=64) e dell’uranio (Z=92)] e ottici [i termini P del cesio (Z=55)] e l’intensità delle righe del cesio. Esso è svolto introducendo nelle espressioni dedotte a mezzo della teoria delle perturbazioni le funzioni d’onda dei singoli stati elettronici calcolate con il metodo statistico di  Thomas-Fermi (2).  Questo  lavoro  rientra nel quadro dell’attività dell’Istituto di quell’epoca;  infatti negli anni dal 1928 al 1932, oltre a Fermi, anche la maggior parte di noi applicava il metodo statistico di Thomas-Fermi a diversi problemi di fisica atomica (3).

            Gli altri due lavori di spettroscopia atomica sono assai più originali e interessanti sia dal punto di vista della scelta dell’argomento —  allora molto avanzato  —  che da quello metodologico. Essi riguardano entrambi stati atomici doppiamente eccitati (o accentati come si diceva allora), cioè stati con due elettroni eccitati in livelli tali da rendere energeticamente possibili processi di autoionizzazione spontanea, ossia transizioni a stati finali consistenti in uno ione positivo monovalente e un elettrone libero (effetto Auger).

            Ciò che oggi maggiormente colpisce di questi due lavori è la modernità dell’impostazione data da Majorana, che basa tutta la sua discussione sulle proprietà di simmetria dei diversi stati che si ottengono combinando fra loro due orbitali, rispetto allo scambio degli spin degli elettroni (stati di singoletto e di tripletto), alle rotazioni spaziali (numero quantico orbitale),  rispetto alle rotazioni assiali (quanto magnetico) e alle riflessioni nel centro di forza (parità).

             Il primo di questi due lavori [3] riguarda due righe nell’estremo ultravioletto (l = 320.4 e 357.5 Å) che erano state scoperte recentemente nello spettro dell’elio e che non erano interpretabili come combinazioni di termini conosciuti. Queste righe sono importanti anche perché si osservano nella corona solare e di conseguenza hanno un notevole interesse astrofisico.

            Lo scopritore (P. G. Kruger) aveva proposto d’interpretare queste righe come dovute a transizioni dai termini normali 1s2p3P0,1,2 e ls2s1S0  ai termini  doppiamente  eccitati 2p2p3P0,1,2 e 2s2s1S0. Questi due termini finali sono assai più alti del limite normale dell’elio ed è quindi energeticamente possibile la ionizzazione spontanea (o effetto Auger). Grazie a calcoli perturbativi spinti al 2° ordine e alle proprietà  di  simmetria  dei  singoli  stati sopra elencate, Majorana giunge a confermare l’interpretazione proposta da Kruger per la prima di queste due righe, ma ad escluderla per la seconda in base a considerazioni energetiche.

            Mi faceva notare Ugo Fano, in una discussione che ho avuto il piacere di fare recentemente con lui (19-9-87) su questi lavori spettroscopici, che nella letteratura internazionale questo lavoro di Majorana viene spesso ignorato, mentre si cita un lavoro di Wu di tre anni dopo nel quale anche si giunge ad interpretare la prima delle due righe qui discusse come dovuta alla transizione 1s2p3P0– 2p2p3P servendosi di una forma modificata del metodo variazionale in cui due «costanti di schermaggio, una per ciascuno dei due elettroni», vengono introdotte come parametri aggiustabili (4).

            Il terzo lavoro di spettroscopia atomica [5] riguarda invece i tripletti doppiamente eccitati incompleti, cioè tripletti doppiamente eccitati che si trovano al di sopra del limite delle serie normali ma sono stabili se si trascurano le correzioni relativistiche. Essi però acquistano una leggera instabilità determinata dal momento magnetico intrinseco degli elettroni,  la  quale,  in  circostanze  particolari,  può tuttavia assumere un’importanza considerevole tanto da far scomparire una componente (o più) di un tripletto doppiamente eccitato, il quale, di conseguenza, si  presenta come «incompleto». I calcoli di Majorana, che si riferiscono agli atomi di Zn, Cd e Hg, combinati nuovamente con l’uso delle proprietà di simmetria degli stati, sono in pieno accordo con i corrispondenti risultati sperimentali.

            Passando ora ai due lavori sul legame chimico va notato fin d’ora che fu proprio attraverso lo studio approfondito di questi problemi che Ettore Majorana s’impadronì della teoria del legame chimico, circostanza questa che doveva risultare di grande importanza per la sua futura attività di ricerca. La sua conoscenza approfondita del meccanismo di scambio degli elettroni di valenza, che è alla base della teoria quantistica del legame chimico omeopolare, enunciata per la prima volta da Heitler e London nel 1927 (5), costituirà più tardi il punto di partenza per l’ipotesi che le forze nucleari siano forze di scambio.

            Il primo  di questi due lavori [2]  risale  al 1931 e riguarda la formazione dello ione molecolare di elio. In esso Majorana parte da osservazioni spettroscopiche, allora recenti, che avevano messo in evidenza alcune bande attribuite allo ione molecolare, e affronta il problema della reazione chimica che porta alla sua  formazione, giungendo a dimostrare che essa può effettivamente aver luogo dal punto di vista energetico. Con un calcolo di prima approssimazione, Majorana trova quindi la distanza di equilibrio dei due nuclei nello ione He2+, che risulta in buon accordo con il valore misurato sperimentalmente, valuta l’energia del sistema (allora ancora non misurata) e la frequenza di oscillazione della molecola ionizzata, il cui valore si accorda molto bene con il valore sperimentale.

            Alla fine del lavoro Majorana ringrazia Fermi per essergli stato largo di consigli e aiuti e Gentile per l’interesse con cui aveva seguito il suo lavoro.

             L’altro lavoro sul legame chimico [4] studia in dettaglio le caratteristiche di un termine anomalo pari di singoletto (2ps)2 1Sg (detto termine X) piuttosto profondo che era stato recentemente osservato nello spettro della molecola d’idrogeno e che era stato interpretato come dovuto a uno stato in cui due elettroni sono eccitati. Questo termine, come fa vedere Majorana, in realtà non può essere designato come un termine con due elettroni eccitati  descrivibile  in  termini  dei  numeri quantici dei singoli elettroni.

            Questa descrizione, come egli scrive, «se giova alla loro numerazione e al riconoscimento di quei caratteri di simmetria che non sono turbati dall’interazione [fra elettroni], non permette da sola di trarre conclusioni attendibili sulla forma effettiva delle autofunzioni; le cose stanno qui ben diversamente che nel caso di campi centrali, dove è in generale possibile astrarre dall’interdipendenza dei movimenti degli elettroni (polarizzazione), senza perdere di vista l’essenziale».

            Il  termine  della  molecola  d’idrogeno  in questione può essere pensato, solo in una descrizione assai schematica, come la sovrapposizione di due stati: uno proveniente dalla reazione  fra  due  atomi  neutri  d’idrogeno (H + H) già trattata da Heitler e London, e l’altro proveniente da un nuovo processo di formazione della stessa molecola in cui due ioni idrogeno, uno positivo e l’altro negativo  (H+ H), si legano insieme.

            Il legame chimico che interviene in questo secondo caso viene chiamato da Majorana «pseudopolare» in quanto è vero che si tratta di un legame fra due ioni di segno opposto, ma, a causa dell’eguaglianza dei componenti,  il momento elettrico  cambia segno  con la frequenza di scambio che è assai elevata, e pertanto non è osservabile.

            Partendo da uno stato iniziale sovrapposizione di quelli relativi a questi due processi, e prendendo in considerazione solo stati pari (dato che quelli dispari non danno origine a stati stabili), Majorana trova due soli stati finali legati: lo stato fondamentale della molecola di H2 e lo stato anomalo  (2ps)2 1Sg il primo dei quali deriva prevalentemente dalla unione H + H, mentre il secondo deriva prevalentemente  dalla  reazione  pseudopolare H+ + H.

            L’ultimo lavoro del periodo di attività dedicato a problemi di fisica atomica e molecolare riguarda il calcolo della probabilità di ribaltamento dello spin (spin-flip) degli atomi di un raggio di vapore polarizzato quando questo si muove in un campo magnetico rapidamente variabile [6].

              Se il campo magnetico cambia lentamente di direzione, l’orientamento dell’atomo segue adiabaticamente la direzione del campo. Ma che cosa succede se la variazione di direzione del campo non è adiabatica? In particolare cosa succede se l’atomo passa in prossimità di un punto ove il campo magnetico è zero?

            Il problema era stato discusso fin dai primi tempi della meccanica quantistica da Darwin e da Landé (6); e Stern, che aveva fatto qualche anno prima con Gerlach le famose esperienze sulla  quantizzazione spaziale,  si era proposto di verificare le probabilità di transizione nel caso non adiabatico.

            Nel suo lavoro Majorana dimostra che l’effetto globale di un campo magnetico variabile H(t) su di un corpuscolo di momento angolare J = 1/2 e data componente m lungo l’asse delle z può venire descritto come una brusca rotazione di un angolo a del momento angolare totale.

            Questo angolo è ottenuto da una soluzione dell’equazione  del  moto  (sia  classica  che quantistica) e la sua proprietà più importante è che esso dipende solo dal rapporto giromagnetico e dal campo magnetico, ma è indipendente dal valore iniziale del quanto magnetico m.

            Il problema fu in realtà trattato e risolto da Majorana, con straordinaria eleganza e concisione, solo per il caso particolare J = l/2; ma, come egli stesso fa notare, il metodo si presta facilmente ad un’estensione al caso generale di J qualsiasi. Tale estensione fu fatta nel 1937 da Rabi e ridiscussa e posta in forma fisicamente più evidente nel 1945 da Bloch e Rabi (7), i quali contribuirono così a diffondere i risultati che Majorana aveva trovato tredici anni prima.

            Questo lavoro di Majorana è rimasto un classico della trattazione dei processi di ribaltamento non adiabatico e come tale viene correntemente citato; i suoi risultati, estesi come si è detto sopra, hanno costituito successivamente il principio su cui è basata la realizzazione sperimentale del metodo usato per ribaltare lo spin dei neutroni con un campo a radiofrequenza, metodo impiegato sia nell’analisi di fasci di neutroni polarizzati, sia in tutti gli spettrometri a neutroni polarizzati usati nello studio delle strutture magnetiche.

            Da quanto ho detto, ma ancor più da un esame approfondito di questi lavori, si resta colpiti dalla loro alta classe: essi rivelano una profonda conoscenza dei dati sperimentali anche nei più minuti dettagli, una disinvoltura, non comune a quell’epoca, nello sfruttare le proprietà di simmetria degli stati per semplificare i problemi o per la scelta della più opportuna approssimazione per risolvere quantitativamente i singoli problemi, qualità quest’ultima che senza alcun dubbio derivava, almeno in parte, dalle sue eccezionali doti di calcolatore.

5. – Come ho già ricordato fin dall’inizio, il maggior contributo scientifico di Ettore Majorana è tuttavia rappresentato dalla seconda fase della sua produzione, la quale, come anche ho già detto, comprende tre lavori: il lavoro sulle forze nucleari oggi dette alla Majorana, il lavoro sulle particelle di momento intrinseco arbitrario e il lavoro sulla teoria simmetrica dell’elettrone e del positone.

            Per inquadrare storicamente il primo di questi tre lavori, ricorderò che la scoperta del  neutrone  era  stata annunciata da James Chadwick con una Lettera a Nature ricevuta il 13  febbraio 1932 e che già prima di Pasqua dello stesso anno Majorana aveva cercato di sviluppare una teoria dei nuclei leggeri assumendo che essi fossero costituiti solo di protoni e neutroni (8) che interagiscono fra loro con forze di scambio alla Majorana. Aveva anche tentato di fare una teoria dei nuclei più leggeri, teoria descrivibile come un primitivo modello a strati (shell model); ma avendo incontrato difficoltà quando, procedendo in ordine di numero atomico crescente, era arrivato a Z = 6, aveva abbandonato questa linea di lavoro e si era rifiutato di pubblicare i suoi risultati anche sulle forze di scambio, nonostante le pressanti e ripetute insistenze di Fermi e di tutti gli altri mèmbri dell’Istituto (1).

            Nel fascicolo di luglio dello stesso anno 1932 apparve il primo dei tre lavori di Heisenberg (9), il quale era giunto per conto proprio a ideare forze di scambio che operavano però su tutte le coordinate del protone e del neutrone interagenti; cioè sulle coordinate di spin oltre che su quelle spaziali.        

            Solo verso la fine del 1932 Fermi riuscì a convincere Majorana a recarsi all’estero con una borsa di studio del CNR che Fermi stesso gli aveva fatto assegnare. Nel mese di gennaio 1933 Majorana partì per Lipsia ove rimase fino all’inizio dell’estate. Da Lipsia andò a Copenhagen ove trascorse circa tre mesi e di li di nuovo a Lipsia, ove si fermò per circa un altro mese, prima di ritornare a Roma all’inizio dell’agosto 1933.

            Nel periodo passato a Lipsia si legò di amicizia con Heisenberg e fu Heisenberg, con la sua autorità, a convincere Ettore a pubblicare il suo lavoro sulle forze nucleari, in quanto, grazie alla loro diversa natura, davano alcuni risultati nettamente superiori a quelli già pubblicati da Heisenberg stesso.

            Il lavoro di Majorana apparve, come spedito da Lipsia, in tedesco [8a] con la data del 3 marzo 1933, e in italiano [8b] con quella dell’11 maggio 1933. Le prime tre pagine del testo tedesco, quasi senza formule e molto discorsive, sono dedicate alle vane scelte fatte per giungere alla sua espressione per le forze nucleari. Esse sono più ampie e interessanti delle prime due pagine del testo italiano  il quale differisce di pochissimo da quello tedesco in tutte le altre parti. Dopo un riesame delle ipotesi del modello di Heisenberg, Majorana riprende in considerazione le difficoltà relative alla struttura del neutrone sollevate da Heisenberg: il neutrone è una particella composta da un protone + un elettrone strettamente legati, o una particella neutra a sé stante? E giunge alla conclusione che per il momento la sola cosa da fare è di cercare di stabilire la legge d’interazione fra protone e neutrone sulla base di criteri di semplicità scelti in modo tale da permettere di riprodurre il più correttamente possibile le proprietà più generali e caratteristiche dei nuclei. Dopo aver discusso alcune di queste e aver osservato che i nuclei si comportano come pezzi di materia nucleare estesa e impenetrabile, le cui diverse parti interagiscono essenzialmente solo a contatto, e dopo aver sottolineato il fatto che i dati sperimentali mostrano chiaramente  una  legge  di  proporzionalità  sia dell’energia di legame che del volume con il numero dei protoni e neutroni presenti, Majorana  introduce  un’energia  potenziale  di scambio che opera solo sulle 3 coordinate spaziali, il cui segno deve essere tale da risultare attrattivo negli stati di momento angolare pari.  Egli giustifica questa scelta osservando che, cosi facendo, si ottengono due importanti risultati: il primo è che entrambi i neutroni presenti nella particella alfa interagiscono con ciascuno dei due protoni. Il secondo è che, nell’approssimazione in cui si può trascurare la  repulsione coulombiana,  l’autofunzione della particella alfa è totalmente simmetrica rispetto  allo  scambio  delle  coordinate  dei centri di massa dei quattro corpuscoli componenti come è naturale attendersi, se questo, come tutto sembrava indicare, corrisponde ad un guscio o anello completo.   

              Passando dalla particella alfa a nuclei più pesanti, a causa del principio di Pauli, i protoni e i neutroni che vengono aggiunti sono costretti  ad  andare in stati più eccitati,    e    poiché l’energia di scambio è elevata solo nel caso di corpuscoli che stanno nello stesso (o quasi   nello   stesso)   stato   orbitale,   ne   segue che la saturazione sia dell’energia di legame che della densità è praticamente raggiunta nel caso della particella alfa.   Le differenze essenziali rispetto allo schema di Heisenberg sono che le forze di scambio di Majorana riguardano solo le coordinate spaziali e che la funzione J(r) usata da Majorana ha  il segno  opposto  a  quella  usata  da Heisenberg.   

            In queste condizioni le proprietà di simmetria delle autofunzioni sono tali che è possibile spiegare i fenomeni di saturazione senza introdurre un taglio (cut-off) dell’energia potenziale di scambio, come era stato costretto a fare Heisenberg per evitare il collasso  del nucleo.

            Dopo queste considerazioni Majorana scrive la hamiltoniana di un nucleo come somma  delle energie cinetiche di tutti i protoni e  neutroni componenti, dell’energia di repulsione coulombiana fra tutte le coppie di protoni e dell’energia potenziale di scambio fra tutte  le coppie di protoni-neutroni. Calcola quindi  l’autovalore del sistema composto da Z protoni ed N neutroni nel caso limite di Z ed N molto grandi (ossia nel caso della materia nucleare) nel suo stato fondamentale. Per far  questo egli usa come autofunzione globale il  prodotto di due autofunzioni antisimmetriche (nello  scambio  simultaneo  delle  coordinate spaziali e di quelle di spin), delle quali una si  riferisce ai protoni e l’altra ai neutroni. Egli giunge cosi alla conclusione che, se si trascura la repulsione coulombiana, l’energia del sistema è proporzionale al numero delle particelle componenti; egli dunque dimostra che con forze di scambio alla Majorana è possibile ottenere la saturazione sia dell’energia di legame che della densità di un nucleo senza introdurre  alle  brevi  distanze  un  taglio dell’energia di scambio.

              Questo elegante risultato di Majorana fu tuttavia di non lunga durata. Quando a partire dalla seconda metà degli anni 40, con lo sviluppo degli acceleratori, si cominciò ad estendere le misure di sezione d’urto elastico differenziale protone-neutrone ad energie fra 50 e 100 MeV, si trovò che la distribuzione  angolare, nel centro di massa, è simmetrica rispetto al piano equatoriale con massimi praticamente eguali a 0° e 180°.

              Una simile distribuzione suggerisce che il potenziale che descrive l’interazione debba   essere una mistura al 50% di forze alla Wigner (cioè forze ordinarie) e di forze di scambio alla Majorana (10). Ma un’interazione nucleare che contenga soltanto il 50% di forze alla Majorana non è più sufficiente per dar  luogo alla saturazione. Questa può essere ottenuta solo introducendo un nocciolo repulsivo alla brevi distanze, ossia facendo uso di un tipo di forze ben noto dal caso delle forze interatomiche nelle molecole e nei solidi, ma  che molti fisici teorici degli anni trenta non gradivano per ragioni estetiche. Per esempio, Majorana nella parte iniziale del suo testo tedesco accenna a questa ovvia possibilità per  ottenere la saturazione delle forze nucleari, ma aggiunge: «Eine solche Lösung des Problems ist aber von ästhetischen Standpunkt  aus unbefriedigend, … (una simile soluzione  del problema è, però,  insoddisfacente dal  punto di vista estetico, …)».

            Questi suoi gusti, o forse pregiudizi, estetici appaiono anche in un altro punto di questo lavoro, ma questa volta si tratta di un fatto  puramente  formale.  Quando  Majorana, dopo aver scritto la sua espressione dell’energia di scambio, passa al confronto con quella  di Heisenberg, premette di farlo «eliminando  l’incomoda coordinata di r-spin, ciò che è  possibile se si riguardano, anche formalmente, i protoni e i neutroni come particelle differenti». Come tutti sanno, il r-spin di Heisenberg era semplicemente quello che assai più tardi fu chiamato lo spin isotopico del nucleone, la cui importanza cominciò a manifestarsi con la dimostrazione nel 1936 dell’indipendenza dalla carica delle forze nucleari (11) e il riconoscimento della sua importanza nella discussione delle proprietà dei nuclei  fatta da Wigner nel 1937 (12). Heisenberg aveva introdotto questa variabile solo come un artificio formale e da un punto di vista rigorosamente metodologico Majorana, a quell’epoca, aveva ragione di voler evitare l’uso di  questo nuovo algoritmo, ma la storia successiva ha mostrato che, come talvolta accade, la  scelta di Heisenberg, forse per caso, o forse per intuizione geniale, era quella giusta.

            La storia dello sviluppo successivo delle  nostre idee sulle forze nucleari è troppo complessa e lunga per poter essere ricordata anche per sommi capi. È chiaro tuttavia che nel 1935 con l’idea di Yukawa (13) che le forze  nucleari che si esercitano fra due nucleoni abbiano origine dallo scambio di un corpuscolo di massa intermedia detto mesone, il  quale entra nella teoria come quanto del  campo mesonico, si realizza quella che si potrebbe chiamare l’unificazione delle forze ordinarie, o di Wigner, con quelle di scambio, sia di Heisenberg che di Majorana, in quanto il presentarsi  dell’uno  o  dell’altro  caso  è  determinato solo dall’esistenza di vari stati di carica del messaggero scambiato. In questo quadro concettuale anche le forze di Wigner sono, in un certo senso, forze di scambio mediate da un messaggero di carica elettrica nulla.

            Il risultato più caratteristico di questa teoria, e in un certo senso quello più generale e definitivo, è che il «range» o raggio d’azione delle forze è legato alla massa m del bosone scambiato dalla ben nota relazione di Yukawa

              L’applicazione di queste idee generali e universalmente accettate è semplice, e fu fatta fin dall’origine da Yukawa e da altri, solo nel   caso di due nucleoni in moto relativo con velocità piccola rispetto a c, e che si trovano a grande distanza l’uno dall’altro. In queste condizioni infatti affinché la teoria dia risultati  in  soddisfacente  accordo  con  i  dati  sperimentali è sufficiente prendere in considerazione lo scambio di un sol mesone p o pione in quanto questo, fra tutti i mesoni osservati in natura, è quello dotato di energia di quiete più piccola

             mpc2  = 139.57 MeV,

e pertanto, per la relazione di Yukawa (I), il corrispondente contributo delle forze nucleari è quello di range più lungo:

                                                dp = 1.41.l0-15 m.

Ma quando si va a distanze più brevi le cose si  complicano  e un’interpretazione  completa e definitiva dei risultati sperimentali non è ancora attuata.

            La figura che vi mostro (fìg. 1) è presa da un articolo di rassegna del 1985 di S. O. Bäckman, G. E. Brown e J. A. Niskanen intitolato «L’interazione fra due nucleoni e il  

problema dei molti corpi nel caso del nucleo» (14). Essa indica, in maniera schematica, quali sono i processi che determinano il potenziale dovuto al campo mesonico alle diverse distanze fra i due nucleoni interagenti. Alle grandi distanze il potenziale è determinato dallo scambio di un sol pione (bosone di massa più piccola, pseudoscalare), mentre alle distanze intermedie si è costretti ad interpretare l’interazione osservata come dovuta allo scambio di mesoni scalari dotati di varie masse abbastanza elevate, consistenti in realtà in sistemi virtuali di due pioni accoppiati in stati con S (spin) = 0 e T (spin isotopico) = 0 che coinvolgono una o più risonanze D.

            Nell’approccio teorico a cui si riferisce questo articolo di rassegna, alle piccole distanze i messaggeri scambiati sono bosoni vettoriali, ma ormai da anni vi sono solidi argomenti per ritenere che già a distanze dell’ordine (1 ÷ 1.5) x 10-15 m [= (1 ÷ 1.5) fm] la struttura a quark dei nucleoni cominci a manifestarsi e che fra le particelle scambiate si debba cominciare a considerare i gluoni. Questi, come è noto, sono i messaggeri delle forze che si esercitano fra i quark, forze che ai grandi momenti trasferiti (distanze brevi) mostrano una riduzione della costante di accoppiamento (la cosiddetta libertà asintotica) che, in qualche modo, simula un effetto di taglio o cut-off classico, molto graduale (15).

            Aggiungendo a questi modelli a quark il solo contributo dovuto allo scambio di un pione, si ottengono dei potenziali locali, funzioni dell’energia, del tutto equivalenti ai potenziali   fenomenologici   come   quelli  di Reid (16) ma soprattutto quello di Parigi (17) per i canali S di singoletto e per i canali S e D di tripletto accoppiati, mentre per i canali P danno ancora solo risultati qualitativi.

            Come è noto, tutti questi potenziali fenomenologici contengono termini sia centrali che tensoriali di scambio alla Heisenberg, alla Majorana e anche alla Bartlett (che operano solo sulle coordinate di spin) (18), anche se di solito vengono oggi presentati in forme tali che queste distinzioni non sono evidenti a vista.

            D’altra parte si deve anche osservare che  la  fisica  nucleare  degli  anni  trenta  non  si  estendeva oltre i 10 MeV di energia cinetica relativa e pertanto riguardava solo le grandi distanze, cioè solo la zona dove vale con ottima approssimazione il cosiddetto «one-pion exchange model».

             Per concludere questa discussione del lavoro di Majorana sulle forze nucleari, vorrei anche ricordare che la sua traduzione in inglese è pubblicata alla fine del libro sulle forze nucleari del fisico inglese Brink (19), insieme alla ben nota discussione, presieduta da Lord Rutherford alla Royal Society, subito dopo la scoperta del neutrone, ad un articolo di Niels Bohr, della stessa epoca, sui problemi della struttura nucleare, al I e III lavoro di Heisenberg sulle sue forze di scambio e loro applicazione, ad un lavoro di Wigner sul difetto di massa dell’elio e a pochi altri celebri lavori tutti relativi alla struttura del nucleo.

Passiamo ora al lavoro sulla teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario [7], il quale precede di circa due anni il  lavoro  sulle  forze  nucleari  che  ho  già  discusso. Ho preferito invertire l’ordine in cui esamino questi due lavori perché il lavoro sulle forze nucleari, concettualmente, si ricollega ai lavori del periodo precedente sul legame chimico, mentre il lavoro sulle particelle di spin arbitrario costituisce la prima espressione di un diverso aspetto molto importante della  struttura  culturale  e  degli  interessi scientifici di Majorana  che,  qualche tempo dopo, si manifesteranno pienamente nell’ultimo suo lavoro sulla teoria simmetrica degli elettroni e dei positoni.

            Il lavoro sulla teoria relativistica delle particelle di spin arbitrario quando apparve, nel 1932,  rimase praticamente  sconosciuto  per due ragioni. Esso fu pubblicato solo in italiano e inoltre trattava un problema prematuro sia rispetto agli interessi dominanti fra i fisici dei primi anni trenta sia rispetto alle conoscenze di risultati sperimentali relativi alle particelle elementari. Il lavoro, infatti, fu concepito,  scritto  e inviato  da Majorana  a Il Nuovo Cimento, e forse anche pubblicato da questo periodico (20), prima che a Roma giungesse notizia della scoperta del positone annunciata da C. D. Anderson in un articolo pubblicato su Science e datato 1 settembre 1932 (21). Pertanto il lavoro di Majorana era destinato a rimanere, ed è effettivamente rimasto, fuori dalla linea principale di sviluppo della teoria delle particelle elementari.  Ciò nonostante, come cercherò di mostrare, esso è molto interessante.

            L’origine e lo scopo del lavoro di Majorana vengono chiariti nell’introduzione che si estende su poco più di due facciate.

            L’autore comincia con l’osservare che la  teoria di Dirac, che descrive correttamente l’elettrone, fa uso di una funzione d’onda a quattro componenti delle quali, quando si passa a velocità sufficientemente piccole, due assumono valori trascurabili, mentre le altre due ubbidiscono, in prima approssimazione, all’equazione di Schrödinger. In modo analogo una particella di momento angolare intrinseco s arbitrario è descritta nell’approssimazione non relativistica della meccanica quantistica da un complesso di 2s + l funzioni d’onda che soddisfano separatamente l’equazione di Schrödinger.

            Dopo alcune considerazioni generali sul passaggio dal caso relativistico a quello di particelle che si muovono con velocità v « c, Majorana osserva che “L’equazione d’onda, in assenza di campo, di una particella materiale deve avere secondo Dirac la forma

e che equazioni di questo tipo «presentano una difficoltà di principio» consistente nel fatto  che per ogni valore del momento p “l’energia W può avere due valori che differiscono per il segno

e aggiunge subito l’osservazione conclusiva dell’introduzione:  «L’indeterminazione  del segno può essere in realtà superata, usando equazioni del tipo fondamentale (2), solo se la  funzione  d’onda  ha  infinite  componenti che non si lasciano spezzare in tensori o spinori finiti».  

            Le ragioni per cui questo lavoro di Majorana è ancora oggi molto interessante sono emerse in modo particolare dalle discussioni che io ho avuto il piacere d’intrattenere circa 20 anni fa con il professor M. Fierz ed il professor D. M. Fradkin (1) e dal lavoro che il professor Fradkin ha pubblicato su questo argomento (22).

            1)  II lavoro di Majorana costituisce il primo tentativo di costruire una teoria relativisticamente invariante di particelle con spin arbitrario, sia intero che semintero.

            2) Esso rappresenta una teoria matematicamente corretta e contiene il primo riconoscimento, sviluppo e impiego delle rappresentazioni  unitarie  a  infinite  dimensioni  del gruppo di Lorentz. Si tratta, anzi, della più semplice di tali rappresentazioni, come asserisce correttamente Majorana.

            3) La teoria è in qualche modo fuori dalla linea principale degli sviluppi successivi, essenzialmente per due ragioni; la prima è che Majorana si era posto fin da principio il problema di costruire una teoria lineare, relativisticamente invariante, nella quale tutti gli autovalori della massa fossero positivi. Questo punto di vista era giustificato nel momento in cui fu scritto il lavoro (estate 1932) in quanto la notizia della scoperta del positone da parte di C. D. Anderson non era ancora giunta a Roma. La seconda ragione è che Majorana, a differenza della maggior parte degli autori successivi, non richiede che la relazione di dispersione che lega l’energia all’impulso del corpuscolo:

sia soddisfatta, come equazione operatoriale, dalle  componenti  delle  autofunzioni  dell’equazione differenziale lineare della forma di Dirac che costituisce il punto di partenza della sua teoria.

            4) Nel  sistema  di  riferimento  in  cui  la quantità di moto non è nulla la soluzione dell’equazione trovata da Majorana ha infinite componenti, individuate da due indici yjm. L’indice m assume tutti i valori (interi o seminteri) compresi fra ± j, e j tutti i valori non negativi appartenenti o alla serie dei numeri interi ( j = 0, 1, 2, …) o a quella dei numeri seminteri ( j =1/2, 3/2, 5/2, …).

            5) Il risultato precedente ci appare oggi di difficile interpretazione fisica in quanto ciascun gruppo di 2j + 1 componenti ym  ( fìsso e jj – l, …, – j ) sembra corrispondere ad una particella di diverso spin. Pertanto l’interpretazione più naturale di y è quella di una funzione d’onda che rappresenta simultaneamente o tutti i possibili bosoni, o tutti i possibili fermioni. Se si cambia il sistema di riferimento le varie componenti si mischiano fra di loro. Tuttavia, nel sistema di riferimento del centro di massa, ove la maggior parte degli autori definiscono le proprietà  dello spin di un corpuscolo, la funzione d’onda di Majorana corrisponde a (e si trasforma matematicamente come) quella di una particella di spin  ben  definito,  il  cui  valore  dipende dall’autofunzione prescelta.

            6) La  teoria  di  Majorana  fornisce  uno spettro di massa, ossia una formula che esprime la massa dei vari corpuscoli in funzione del loro spin j, facendo intervenire una sola costante assegnata m:

             7) Majorana dimostra che al limite non relativistico (v/c—>0), le 2s + 1 componenti  yjm che corrispondono all’autovalore della massa di quiete caratterizzato da j = s (s fissato) sono le sole ad avere valori finiti, in quanto le componenti  ys + 1m  ys -1m sono di ordine v/c, le componenti  ys + 2m  ys -2m di ordine (v/c)2, e così via.

            Come ha osservato Fradkin, non sembra che Majorana fosse interessato all’idea di uno spettro di massa, e questo probabilmente si spiega con il fatto che nel 1932 si conosceva un numero troppo piccolo di particelle elementari. Egli inoltre non cercò di suggerire un’interpretazione della funzione d’onda y come quella a cui si è accennato al punto 5).

            Majorana sottolineò invece il punto 7) osservando che, al limite non relativistico, l’autofunzione a infinite componenti y possiede solo 2s + l componenti non nulle, ciascuna delle quali separatamente soddisfa l’equazione di Schrödinger, in accordo con la teoria di Pauli dello spin dell’elettrone.

            Questo lavoro di Majorana è rimasto praticamente sconosciuto. Lo stesso problema fu affrontato da Dirac, Klein, Petiau e Proca nel 1936 e Duffìn nel 1938, ma nessuno di questi autori (23) cita Majorana. I lavori successivi si ricollegano tutti a quello di Dirac e ignorano completamente, o quasi, il contributo di Majorana.

            Le linee principali della presente teoria relativistica delle particelle di spin arbitrario sono state tracciate, sviluppate e applicate ad alcuni casi importanti in tre lavori fondamentali apparsi nel 1939. Il primo di questi è il lavoro di Fierz (24) che ha trattato in modo completo la teoria relativistica di un corpuscolo di spin qualsivoglia in assenza di campi esterni, giungendo a stabilire, fra l’altro, la relazione che intercorre fra spin e statistica. Il secondo lavoro è quello di Fierz e Pauli (25) che estende i risultati del lavoro precedente al caso di corpuscoli che si muovono in presenza di un campo elettromagnetico, trattando in modo completo i casi di spin 3/2 e 2, con particolare riguardo a corpuscoli di massa  nulla.  L’unica  citazione  del  lavoro  di Majorana è fatta incidentalmente nell’ultimo di questi tre lavori, ossia nel fondamentale articolo di Kemmer (26)  sul campo mesonico.

            Un’ultima osservazione sugli aspetti matematici di questo lavoro. Gli stessi elementi di matrice dati da Majorana per le rappresentazioni a infinite dimensioni del gruppo di Lorentz sono presentate da Weyl, nel suo libro apparso per la prima volta nel 1928 (27), in connessione con le regole di selezione e il calcolo dell’intensità delle transizioni atomiche di dipolo trattate nell’ambito della meccanica quantistica di Schrödinger, Majorana conosceva certamente il libro di Weyl; ricordando il suo modo di lavorare (1) io ritengo che egli sia pervenuto indipendentemente a questi risultati e che poi abbia riconosciuto che le stesse matrici intervenivano nel problema delle transizioni di dipolo.

            Il problema delle rappresentazioni a infinite dimensioni del gruppo di Lorentz è stato discusso da Wigner nel 1938 (28), da Dirac nel 1945 (29) e di nuovo da Wigner nel 1948 (30). Dirac, a quanto pare, non era a conoscenza del lavoro di Majorana, mentre Wigner, nella sua classica analisi del gruppo di Poincaré, lo cita quasi incidentalmente. La discussione fatta da Corson nel suo libro (31) è basata sulla trattazione di Wigner.

            I numerosi e approfonditi studi delle rappresentazioni a infinite dimensioni del gruppo di Lorentz fatte successivamente da vari autori non fanno riferimento a Majorana. Esso non viene citato nemmeno da quegli autori (32)  che  in  anni  recenti  hanno ricostruito, discusso e generalizzato la teoria di Majorana, senza rendersene conto (33). Fa eccezione il lavoro di Barut e Kleinert (34)  che fa specifico riferimento ai risultati di Majorana.

            A parte il suo interesse matematico e storico, questo lavoro dimostra la sensibilità di Majorana a problemi fondamentali che egli cercava di affrontare in maniera autonoma con notevole anticipo sulla maggior parte dei fisici contemporanei.  Il fatto poi che oggi si sappia che i nucleoni e i mesoni sono sistemi di quark, in diversi stati quantici, descritti in maniera assai soddisfacente dalla quanto-cromo-dinamica (QCD) e che le forze nucleari abbiano in realtà origine dalle forze che si esercitano fra i quark grazie allo scambio di gluoni, non può ridurre la nostra ammirazione per l’immaginazione di Ettore Majorana e per la sua abilità nel maneggiare l’equazione di Dirac(35).

            Veniamo ora all’ultimo lavoro di Ettore Majorana, quello intitolato «Teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone» [9], lavoro che rimane come il suo più importante contributo scientifico. Esso apparve solo in italiano, nel fascicolo di aprile 1937 de Il Nuovo Cimento. In tempi relativamente recenti esso è stato tradotto in inglese da Luciano Maiani e pubblicato in questa lingua sul periodico   giapponese  Soryushiron   Kenkyu (1981) [9].

            Questo lavoro comincia con l’osservazione che la teoria relativistica di Dirac, che ha portato alla previsione dell’esistenza del positone, poco dopo confermata dall’esperienza, s’impernia sull’equazione di Dirac che è completamente simmetrica rispetto al segno della carica del fermione considerato; ma che tale simmetria va in parte perduta nello sviluppo successivo della teoria che descrive il vuoto come una situazione in cui tutti gli stati di energia negativa sono occupati e tutti quelli di energia positiva liberi. L’eccitazione di un fermione da uno degli stati di energia negativa a uno di energia positiva lascia una lacuna dotata di energia positiva, che può venir interpretata come l’antifermione. In tal modo il processo di eccitazione di un fermione da uno stato di energia negativa a uno di energia positiva equivale alla creazione di una coppia fermione-antifermione. Questa impostazione asimmetrica porta come conseguenza anche la necessità di cancellare, senza alcuna sana giustificazione  di  principio,  alcune  costanti in finite dovute agli stati di energia negativa, come, per esempio, la densità di carica elettrica.

            Come si vede, le preoccupazioni di Majorana, anche se manifestate in modo più esplicito e circostanziato, erano all’epoca in cui fu scritto il lavoro [9] ancora quelle che figurano nella parte introduttiva del suo lavoro sulla teoria delle particelle di spin arbitrario del 1932. Ed era a questi aspetti, e ad altri analoghi, delle equazioni della fisica quantistica e relativistica che si riferiva la frase che Ettore diceva ai colleghi, ma talvolta anche a parenti od amici che non appartenevano alla ristretta cerchia dei fisici: «La fìsica è su una cattiva strada» o qualcosa di equivalente.

            Tali inconvenienti sono evitati nella teoria proposta da Majorana in questo lavoro, in cui egli propone una nuova rappresentazione delle matrici di Dirac  gm  (m  =1, 2, 3, 4), la quale ha le seguenti proprietà:

            1)  A  differenza  di  ciò  che  accade  nella  rappresentazione originaria di Dirac,  nella rappresentazione di Majorana le quattro matrici  gm   hanno le stesse proprietà di realità del quadrivettore  cm   r, ict; o, se si adottano coordinate spazio-temporali tutte reali, associate ad una metrica pseudoeuclidea,  sono tutte quattro reali.

            2) In questa rappresentazione l’equazione di Dirac relativa a un fermione libero è a coefficienti reali e pertanto le sue soluzioni si spezzano in una parte reale e una immaginaria,  ciascuna  delle  quali  soddisfa  separatamente detta equazione. Ma ciascuna di queste soluzioni reali, proprio come conseguenza della sua realità, gode di due proprietà molto importanti: la prima è che essa dà origine a un  quadrivettore  corrente-carica elettrica sempre eguale a zero. Ne segue che le soluzioni reali dell’equazioni di Dirac debbono corrispondere a fermioni privi sia di carica elettrica che di momento magnetico. La seconda conseguenza della realità del campo fermionico y è che il corrispondente operatore di campo deve essere hermitiano, cosicché i suoi gradi di libertà sono ridotti alla metà e scompare la distinzione fra fermione e antifermione.

            Majorana nel suo lavoro suggeriva che il neutrone o il neutrino, o entrambe queste particelle, fossero proprio corpuscoli di questo tipo ossia corpuscoli neutri che s’identificano con i corrispondenti anticorpuscoli.

              3) Dall’esame dell’equazione di Dirac relativa ad un fermione posto in un campo elettromagnetico, scritta nella rappresentazione di Majorana, segue che per rappresentare un corpuscolo carico basta prendere una combinazione y di due soluzioni reali. Il campo fermionico così definito dà ovviamente luogo ad un quadrivettore corrente-carica elettrica non identicamente nullo grazie ai termini d’interferenza fra i due campi reali: esso inoltre gode della proprietà nota per un campo scalare, che l’operatore di campo coniugato rispetto alla carica (ossia l’operatore che descrive  un  corpuscolo  di  carica  opposta  a quella del corpuscolo considerato) si ottiene applicando all’operatore y l’operatore di coniugazione hermitiana.

            In realtà non si conosce nessun corpuscolo del tipo descritto al punto 2): in particolare si sa, da esperienze eseguite nel 1939 (36), che il  neutrone ha  un  momento  magnetico  diverso da zero e, da altre eseguite nel 1956 (37), che l’antineutrone è un corpuscolo ben distinto dal neutrone.

            Il problema di sapere se neutrini di Majorana, cioè corpuscoli caratterizzati dall’eguaglianza

esistano in natura, oppure non esistano affatto, non ha ancora ricevuto una risposta definitiva.

            La questione è di grande importanza in quanto vi sono fenomeni che si possono osservare con i neutrini di Majorana (nM) diversi  da  quelli  che  si  possono  osservare  con  i neutrini di Dirac (nD). La ragione di tale differenza è chiara: mentre ai neutrini di Dirac si  può  attribuire  un  numero  leptonico,  per esempio, pari a + 1 per il neutrino e a -1 per l’antineutrino, ciò non è possibile per i neutrini di Majorana a causa dell’eguaglianza (4). Ne segue che se esistono dei neutrini di Majorana cade la legge di conservazione del numero leptonico e, in assenza di questa legge restrittiva, il numero di tutti i possibili processi in cui intervengono leptoni aumenta notevolmente.

            Majorana era cosciente che, per neutrini che soddisfano l’eguaglianza (4), la teoria di Fermi del decadimento beta (38) doveva essere modificata. Nel suo lavoro egli fa un’osservazione a questo riguardo in connessione con il  lavoro di Gian Carlo Wick (39) che aveva esteso la teoria di Fermi al caso del decadimento con emissione di positoni osservato dai Joliot-Curie  al principio  del  1934.  Majorana scrive infatti che, se i neutrini sono del tipo  da lui stesso suggerito, «la teoria [del decadimento beta] può essere, ovviamente modificata in modo che l’emissione (3, sia negativa che positiva, venga sempre accompagnata dall’emissione del neutrino» [9].

            Tre mesi dopo la pubblicazione di questo bellissimo lavoro di Majorana, Giulio Racah pubblicò un lavoro (40) in cui mostra che il  postulare la simmetria fra particelle e antiparticelle dà luogo a modifiche della teoria del decadimento beta di Fermi e che l’aggiunta del postulato dell’identità fra neutrino e antineutrino porta direttamente e necessariamente alla teoria di Majorana. Egli fa anche osservare per primo il diverso comportamento del neutrino nM dal neutrino nD, non solo nel decadimento beta, ma anche nelle reazioni provocate da neutrini.

            Gli argomenti sviluppati da Racah in questa seconda parte del suo lavoro, assai importanti nel 1937, richiesero tuttavia una revisione quando, circa venti anni dopo, si scoprì che i neutrini posseggono un’elicità ben definita.

            La determinazione sperimentale della natura del neutrino (cioè se si comporta come un neutrino di Dirac o come un neutrino di Majorana) è ancora possibile ma richiede un approccio più sottile.

            Il metodo principale per rispondere a questo quesito nel caso del ne consiste nello studiare sperimentalmente il decadimento beta doppio, ossia la transizione di un nucleo radioattivo di numero atomico Z, con emissione di 2 elettroni, ad un nucleo di numero atomico Z’ che differisce da Z per 2 unità.

            Prima di accennare in maniera sintetica ai risultati di questi esperimenti vorrei ricordare che l’interesse per la teoria di Majorana si ravvivò notevolmente dopo la scoperta della non conservazione della parità (41) ed il successo della teoria a due componenti per l’interpretazione di vaste classi di fenomeni (42). Vari autori, in particolare McLennan e Case, mostrarono l’equivalenza di queste due teorie per neutrini di massa rigorosamente nulla (43).

            A priori esistono vari modi per descrivere in maniera relativistica un neutrino (cioè una particella di spin 1/2, carica e massa zero) dotato di due soli stati. Un modo è quello fornito dalla teoria a due componenti, basato sulla scoperta che il neutrino e l’antineutrino hanno sempre elicità ben definite ed opposte e pertanto possono essere descritti da uno spinore a 2 componenti (spinore di Weyl). Un’altra teoria è quella di Majorana che, come abbiamo già detto, viola la conservazione del numero leptonico.

            Questo secondo approccio era in sostanza una teoria da rigettare prima della scoperta della non conservazione della parità. Ma una  volta dimostrato che il neutrino  nM  osservato nel decadimento beta ha sempre elicità – 1 e  l’antineutrino  sempre l’elicità +1, diventa possibile identificare questi due oggetti con un  nM  rispettivamente con elicità -1 e +1. Questa proprietà, combinata con l’interazione (V – A) che — contenendo solo correnti leptoniche sinistrorse — conserva il numero leptonico, è equivalente alla conservazione del numero leptonico.

            Tuttavia la possibilità di ridurre il numero leptonico del neutrino alla sua elicità sussiste nella teoria di Majorana solo nel caso di massa del neutrino rigorosamente zero. Una piccola massa del neutrino  (m« me)  è però compatibile con la teoria di Majorana, ma non con la teoria a due componenti. Un neutrino con m≠  0 può essere solo o un neutrino di Majorana, o un neutrino di Dirac a quattro componenti. In entrambi i casi il valore della massa si presenterebbe come il parametro che rompe l’elicità del neutrino, la quale  non  può  più  essere  rigorosamente eguale a -1 per il neutrino e +1 per l’antineutrino, salvo che al limite v —> c.

            Nel primo caso (nM) ne seguirebbe automaticamente una (piccola) deviazione dalla conservazione del numero leptonico, mentre nel secondo ( nD), dato che l’elicità è indipendente dal numero leptonico, questa legge si salva anche in queste condizioni. Una deviazione dall’elicità perfetta dovuta a una piccola massa può essere messa in evidenza solo con esperienze piuttosto raffinate fatte oggi soprattutto sui  ne da molti gruppi nel mondo, in particolare dal gruppo dell’Università di Milano guidato da Ettore Fiorini.

            Oltre a questo tipo di rottura dell’elicità perfetta del neutrino, indicata talvolta come rottura implicita, potrebbe esistere anche una rottura esplicita, avente origine dal fatto che, in aggiunta all’interazione dovuta a correnti leptoniche sinistrorse (interazione (V – A) pura), vi sia una frazione, magari molto piccola, d’interazione dovuta a correnti destrorse.

            Questi problemi  possono venir affrontati dal punto di vista sperimentale in maniera approfondita solo nel caso del  ne facendo uno studio accurato del decadimento b doppio. In particolare misurando lo spettro somma E+ E2 delle energie dei due elettroni emessi. Dalla relazione generale presentata da Ettore Fiorini al 8th International Workshop on Grand Unification tenuta a Siracuse (N.Y.)  nell’aprile  1987 (44)  emerge  che  gli esperimenti eseguiti da vari gruppi, compreso quello dell’Università di Milano, sulla transizione (0+ –> 0) fra gli stati fondamentali del germanio e selenio 76

sono quelli che fino ad oggi hanno permesso di stabilire i limiti più bassi per i parametri relativi alla violazione del numero leptonico.

            L’osservazione dello spettro E+ E permette di distinguere tre casi che differiscono in quanto nel decadimento (5) i due elettroni sono emessi simultaneamente a

i) 2 antineutrini dell’elettrone di Dirac o Weil, cosicché lo spettro è continuo (decadimento a 4 corpi + il nucleo residuo) con  un  massimo  a  circa  1/3  di em  = (E+E)max , il valore di em  è dato dalla differenza di energia fra gli stati nucleari della transizione (5); 

ii) nessun altro corpuscolo, cosicché lo spettro si riduce ad una riga di energia em , (decadimento a 2 corpi + il nucleo di rinculo: teoria di Majorana); 

iii) un bosone di massa e carica nulle (detto majorone (45); decadimento a 3 corpi + il nucleo residuo) cosicché lo spettro è continuo con un massimo a circa 4/5 di em .

            Fino ad ora nessun gruppo sperimentale ha osservato processi del tipo previsto dalla teoria di Majorana. Essi invece concordano sui seguenti limiti superiori per valori dei parametri che rompono la conservazione del numero leptonico:

            a) per la massa

in cui, si noti, figura il valor medio (la parentesi introdotta indica ciò) della massa del neutrino per tener conto del fatto che, fra i molti approcci teorici, ve ne è uno almeno in cui si postula che il  ne  possa esistere in due stati corrispondenti ai due diversi autovalori di CP;

            b) per il valor medio  della frazione  h dell’interazione dovuta a correnti leptoniche destrorse (V + A), rispetto a quelle sinistrorse, certamente dominanti,

per i processi 0—> 0 previsti in base alla teoria di Majorana; l’ampio intervallo di valori  che  figura  a  destra  della  (VIb)  ha  origine esclusivamente dall’impiego di diversi modelli teorici per il calcolo dell’elemento di matrice della transizione nucleare 0+ —> 0 nel processo 76Ge–> 76Se.

            Si noti che i limiti superiori (6) per i valori medi di (mne ) ed (hne) sono inferiori l’uno per circa un ordine di grandezza e l’altro per circa quattro ordini di grandezza rispetto ai corrispondenti valori di quattro anni fa. Esperienze ancora più accurate sono previste in un avvenire non lontano.

            Si può quindi concludere che, nel caso del  ne  , non vi è alcuna evidenza che esso possa essere un neutrino di Majorana. Per il nm  non esistono metodi sperimentali che permettano di stabilire limiti così bassi per le eventuali deviazioni dalla  conservazione  del numero leptonice. La situazione è ancora assai più lontana da un  chiarimento  definitivo  per quanto riguarda il   ne . Sia l’uno che l’altro di questi neutrini potrebbero avere una massa molto maggiore del limite superiore (VIa) stabilito oggi per il   ne .

            Come è noto, il problema della massa del neutrino è di grandissimo interesse anche per l’interpretazione di un certo numero di fatti astrofisici e per le oscillazioni fra i diversi tipi di neutrini oggi noti (  ne ,  n,  nt) suggerite già nel 1958 da B. Pontecorvo (46), ma che fino ad ora nessuno è riuscito ad osservare.

            A conclusione di questo rapido ricordo dell’opera scientifica di Ettore Majorana vorrei accennare ad una proprietà molto interessante degli spinori di Majorana gm, messa in  luce recentemente da Budinich ed esplorata  piuttosto in dettaglio da Budinich stesso e vari  collaboratori.  Si tratta  di vari lavori,  non  ancora pubblicati a stampa, ma circolati come note interne della SISSA.

            Il matematico francese Élie Cartan (1869-1951), a cui si deve la scoperta degli spinori  (1913), li concepì e definì come vettori equivalenti a piani isotropi in spazi complessi ordinari, cioè piani i cui vettori sono di lunghezza nulla e a due a due ortogonali fra loro.

            In realtà, vettori di modulo nullo erano già stati considerati da lungo tempo (da Weierstrass, Bianchi ed Eisenhart), all’origine di superfici minime nello spazio ordinario e nello spazio-tempo.

            Budinich ha mostrato (47, 48) che seguendo la concezione di Cartan degli spinori è facile generare superfici minime in spazi ordinari e nello spazio-tempo partendo da spinori complessi.  Sostituendo,  nella  stessa  costruzione nello spazio-tempo, agli spinori complessi di Dirac gli spinori reali di Majorana, al posto di superfici minime Budinich ottiene le corde relativistiche classiche (47) che ubbidiscono alla equazione del moto

dove le c  sono le coordinate dello spazio- tempo, ds è l’arco infinitesimo di corda e dt l’intervallo di tempo proprio.

            A proposito di questo risultato Budinich fa le seguenti considerazioni:

            All’ovvio carattere geometrico elementare degli spinori di Majorana, corrispondono in natura gli oggetti fisici più elementari che si conoscano, e cioè

            1)  i neutrini privi di massa e di carica elettrica,  rappresentabili  a  mezzo  di  spinori  a due componenti di Weyl(49),

            2) le corde relativistiche da essi generate.

            Secondo Budinich, questo risultato può, in qualche modo, essere considerato come un ulteriore argomento, a favore del carattere fondamentale che viene oggi attribuito alle corde relativistiche. Sempre secondo Budinich si può anche, mostrare che l’azione delle equazioni di Eulero-Lagrange (7) per le corde è spinorialmente equivalente alla lagrangiana (quadrilineare nei fermioni chirali) di Fermi delle interazioni deboli (50).

            Questo interessante problema, tutt’ora in corso di studio da parte del gruppo di Trieste, sta a mostrare come nell’opera scientifica di Ettore Majorana ci possano essere germi di connessioni profonde che ancora oggi non sembrano essere state, scoperte o completamente comprese.

Bibliografìa

 (1) Per un’esposizione più ampia, anche se in parte sorpassata per quanto riguarda il commento all’opera scientifica di E. Majorana, vedi E. AMALDI: La vita e l’opera di Ettore Majorana, Accademia Nazionale dei Lincei (1966) e la traduzione in inglese: Ettore Majorana, man and scientist in Strong and Weak Interactions, Present Problems, International School of Physics Ettore Majorana, Erice, June 19-July 4, 1966, edited by A. ZICHICHI (Academic Press, New York and London, 1966), p. 10. Presentazioni parziali e abbreviate fatte dallo stesso autore sono: Ricordo di Ettore Majorana, G. Fis., 9, 300 (1968); L’opera scientifica di Ettore Majorana, Physis, 10, 173 (1968).

(2)  L.  H.  THOMAS:  Calculation of atomic fields, Proc. Cambridge Philos. Soc., 33, 542 (1927); E. FERMI: Un metodo statistico per la determinazione  di alcune proprietà dell’atomo, Rend.  Lincei 6, 602 (1927).

(3)  E.  FERMI:  Uber die Anwendung der Statistichen Methode auf die  Probleme  des  Atombau,  in Quantentheorie  und Chemie, Leipdger Vortrage,  edited by H. FALKENHAGEN  (Leipzig, 1928), p. 95.

(4)  TA-YOU  Wu:  Energy  states  of  doubly  excited  helium,  Phys. Rev., 46, 239 (1934). Il Dr. Wu era un ben noto allievo e collaboratore di S. Goudsmidt.

(5) W. HEITLER and F. LONDON: Wechseiwirkung neutraler Atom und homòpolare Bindung nach der Quantenmechanik, Z. Phys 44, 455 (1927).

(6)  C.  G. DARWIN:  Free motion in thè wave mechanics, Proc.  R. Soc. London, Ser. A, 117, 258 (1928); A. LANDE: Polaritation von Materiewellen, Naturwissenschaften, 17, 634 (1929).

(7) I. I. RABI: Space quantization in a gyrating magnetic field, Phys. Rev., 51, 652 (1937); F. BLOCH and I. I. RABI: Atoms in variable magnetic fieids, Rev. Mod. Phys., 17, 237 (1945).

 (8) Che i neutroni, al pari dei protoni, fossero tra i costituenti dei nuclei era stato detto dallo stesso Chadwick e da molti altri. Il primo a dire che queste due particelle fossero i soli costituenti del nucleo fu probabilmente D. IWANENKO: The neutron hypothesis, Nature (London),  129, 798 (1932), datato 21 aprile 1932. Non sono sicuro che Majorana sia giunto indipendentemente a questa stessa conclusione, ma lo ritengo probabile.

(9) W. HEISENBERG: Uber den Bau der Atomkern I, Z. Phys., 77, 1 (1932), datato 7 giugno 1932; Uber den Bau der Atomkern II, Z. Phys., 78, 156 (1932), datato 30 luglio 1932; Uber den Bau der Atomkern III, Z. Phys., 80, 587 (1933), datato 22 dicembre 1933.

(10) Questa osservazione sta alla base, fra l’altro, del cosiddetto potenziale di Serber (Nuclear reactions at high energy, Phys. Rev., 72, 1114 (1947)), che è uno dei più semplici ed è stato spesso usato per calcoli orientativi.

(11) G. BREIT, E. U. CONDON and R. D. PRESENT: Theory of scattering of protons  by protons, Phys.  Rev., 50, 825  (1936); B. CASSEN and E. U. CONDON: On nuclear forces, Phys. Rev., 50, 846 (1936); G. BREIT and E. FEENBERG: The possibilità of the same form of specific interaction for ali nuclear particles, Phys. Rev., 50, 850 (1936).

(12) E. WIGNER: On the consequences of the symmetry of the nuclear Hamiltonian on the spectroscopy of nuclei, Phys.  Rev.  51, 106 (1937).

(13) H. YUKAWA: On the interaction of elementary particles I, Phys. Math. Soc. Jpn., 17, 48 (1935).

(14) S; O. BÄCKMAN, G. E. BROWN and J. A. NISKANEN: The nucleon-nucleon interaction and the nuclear many-body problem, Phys. Rep., 124, 1 (1985). La stessa figura si trova anche a pag. 7 del libro G. E. BROWN and A. D. JACKSON: The Nucleon-Nucleon Interaction (North-Holland Publishing Company, Amsterdam, 1976).                         

(15) Vedi, per esempio, R. MIGNANI and D. PROSPERI: Constituent Quark Models for Hadrons and Nuclei, lectures given at the First International Course on Condensed Matter, International Center of Physics, Bogotà (Columbia) July 7-18, 1986 (in corso di stampa).

(16) R. V. REID: Logical phenomenological nucleon-nucleon potential, Ann. Phys. (N.Y.), 50, 411 (1968).

(17) Fra le più recenti pubblicazioni relative al cosiddetto potenziale di Parigi, ove è data anche la bibliografia di articoli precedenti sullo stesso argomento, vedi M. LA COMBE, B. LOISEAU, J. M. RICHARD and R. VINH MAU: Parametrization of the Paris N-N potential, Phys. Rev. C, 21, 861 (1980).

(18) J. H. BARTLETT, jr: Exchange forces and the structure of the nucleus, Phys. Rev., 49, 102 (1936).

(19) D. M. BRINK: Nuclear Forces (Pergamon Press, Oxford, 1965).

(20) Purtroppo nel volume 9 de Il Nuovo Cimento non ci sono informazioni circa la data in cui la Redazione ricevette il manoscritto del lavoro [7] né sul mese a cui si riferisce il fascicolo in cui il lavoro apparve.

(21) C. D. ANDERSON: The apparent existence of easily deflectable positives, Science, 76, 238 (1932), datato 1 settembre 1932; oltre a questo breve articolo, Anderson spedì successivamente un articolo più esteso alla Physical Review che lo ricevette il 28 febbraio 1933 ma apparve nel fascicolo di marzo dello stesso anno (Positive electron, Phys. Rev., 43, 491 (1933).

(22) D. M. FRADKIN: Comments on a paper by Majorana concerning elementary particles, Am. J. Phys., 34, 314 (1966).

(23) P. A. M. DIRAC: Relativistic wave equation, Proc. R. Soc. London, Ser. A, 155, 447 (1936); O. KLEIN: Bine Veralgemeinerung der Diracschen relativistischen Wellengleichung, Ark. Mal. Astr Fis. A, 25, n. 15, 1 (1936); G. PETIEAU: Contribution a la théorie  des  équations  d’ondes  corpuscolaires,  Mern.  Acad.  Soc.  R. Belg.,  16, n. 2,  1 (1936); A. PROCA: Sur les équations fondamentales des particules élémentaires, C.R. Acad. Sci. Paris,. 202, 1490 (1936); Sur la théorie ondulatoire des électrons positifs et negatifs, J. Phys. Radium, 7, 347 (1936); Théorie non relativiste des particules a spin entier, J. Phys. Radium, 9, 61 (1936); R. I. DUFFIN: On the characteristic matrixes of covariants systems, Phys. Rev., 54, 1114 (1938).

(24) M. FIERZ: Uber die relativistiche Théorie kraftfreier Teilchen mit bebiebigen Spin, Helv. Phys. Acta, 12, 3 (1939).

(25) M. FIERZ and W. PAULI: On relativistic wave équations for particles of arbitrary spin in an electromagnetic field, Proc.  R.  Soc. London, Ser. A, 173, 211 (1939).

(26) N. KEMMER: The particle aspect of meson theory, Proc. R. Soc. London, Ser. A, 173, 91 (1939).

(27) H. WEYL: Gruppentheorie und Quantummechanik (Verlag von S. Hirzei, Leipzig,  1928). p.  160 della 1ª edizione.

(28) E. P. WIGNER: On unitary representations of the inhomogeneous Lorentz group, Ann. Math., Princeton 2nd series 40,  149 (1939).

(29) P. A. M. DIRAC: Unitary representations of the Lorentz group, Proc.  R.  Soc. London,  Ser.  A,  183, 284 (1945).

(30) E. P. WIGNER: Relativistische Wellengleichungen, Z. Phys.  124, 665 (1947).                                        y”‘

(31) E. M. CORSON: Introduction to Tensors, Spinors and Relativistic Wave-Equations (Blackie and Sons Ltd., Glassow, 1953) cap. V, p. 140.                                            

(32) I.  M.  GEL’FAND and M. A. NAIMARK: Unitary representations of the Lorentz group, J. Phys. (URSS), 10, 93 (1946); HARISH-CHANDRA, Infinite irreducible representations of the Lorentz group, Proc. R. Soc. London, Ser. A, 189, 372 (1947); V. BARGMANN: Irreducible unitary representations of the Lorentz group, Ann. Math., Princeton 2nd series, 48, 568 (1947).

(33) I. M. GEL’FAND and A. M. YAGLOM; General relativistic invariant equations and infinite dimensional representations of the Lorentz group, 1. Eksp: Teor. Fa., 18, 703 (1948); traduzione inglese: TT-345 National Research Council ot Canada (1953); V. L. GINZBURG: On relativistic wave equations with a mass spectrum, Acta Phys. Pol., 15, 163 (1956); I. M. GEL’FAND, R. A. MINLOS and Z. YA. SHAPIRO: Representations of the Rotations and Lorentz Group (Pergamon Press, New York, N.Y 1963); G  FELDMAN and P. T. MATTHEUS: Multimass field, spin and statistics, Phys. Rev., 154, 1241 (1967).

(34) A. O. BARUT and H. KLEINERT: Current operators and Majorana equations for the hydrogen atom from dynamic groups, Phys. Rev., 157, 1180 (1967).

(35) Nota aggiunta subito dopo il LXXIII Congresso della SIF. In una conversazione che abbiamo avuto alla fine della mia presentazione di questa relazione al Congresso della SIF a Castel dell’Ovo in Napoli, Federico Capasso ha richiamato alla mia memoria l’esistenza di lavori riguardanti le connessioni fra questo lavoro di Majorana e la fenomenologia nota come poli e traiettorie di Regge. E. Recami, a cui mi rivolsi subito per avere informazioni più precise in proposito, mi ha fatto conoscere il dr. Enrico Giannetto, dell’Università di Catania, come la persona a sua conoscenza, più informata su questo tema. Qualche giorno dopo il dr. Giannetto, di passaggio a Roma, mi ha brevemente illustrato una serie di articoli su questo argomento. Si vedano, per esempio, gli articoli di Y. NAMBU, C. FRONSDAL e altri   nel  volume  Elementary Particle Theory:   Relativistic Groups and Analiticity, edited by N. SVARTHOLM, Proc. Engl. Nobel Symposium, May 19-25, 1968 (Aspernägarden, Almquist and Wixell, Stoccolma, 1968) e gli articoli di A. O. BARUT, I. T. TODOROV e altri nei Proceedings of the 1967 International Conference on Particles and Fields, edited by C. R. HAGEN G. GURALNIK and V. A. MATHUR (Interscience, New York, N.Y., 1968).

(36) L. W. ALVAREZ and F. BLOCH: A quantitative determination of the neutron moment in absolute nuclear magnetons, Phys. Rev., 57, 111 (1960).                                    

(37) B. CORK, G. R. LAMBERTSON, O. P. PICCIONI and W. A. WENZEL, Antineutrons produced from antiprotons in charge exchange collision, Phys. Rev., 104, 1193 (1956).

(38) E FERMI: Tentativo di una teoria della emissione dei raggi betaRic. Sc.  4(2) 491 (1933); Versuch einer Theone der b-StrahienI.  Z.  Phys.,  SS,  161  (1934).

(39) G.  C.  WICK: Gli elementi radioattivi di F. Joliot e I. Curie, Rend. Lincei, 19, 319 (1934). 

(40) G. RACAH: Sulla simmetria tra particelle e antiparticelle, Nuovo Cimento, 14, 322 (1937).

(41) T. D.  LEE and C. N. YANG: Elementary Particles and Weak Interactions, BNL 443 U.S., Department of Commerce Office of Technical Sciences, Washington, D.C., 1957.

(42) L.  LANDAU:  On the conservation laws  of weak interactions, Nucl. Phys  3, 127 (1957); A. SALAM: On parity conservation and neutrino mass, Nuovo Cimento, 5, 299 (1957); T. D. LEE and C. N. YANG: Parity non-conservation and a two component theory of the neutrino, Phys. Rev., 105, 1671 (1957).

(43) J. SERPE: Sur la théorie abrégée des particules de spin 1/2  Physica  18, 295 (1952); L. A. RADICATI and B. TOUSCHEK: On the equivalence theorem for the massless neutrino, Nuovo Cimento, 5, 1623 (1957); J. MCLENNAN: Parity non conservation and the theory of the neutrino, Phys. Rev., 106, 821 (1957); K. CASE: Reformulation of the Majorana theory, Phys. Rev., 107, 307 (1957).

(44) E.  FIORINI: The Present and Future of Double Beta Decay,  discorso generale presentato alla Eight Workshop on Grand Umfication, Syracuse,  16-18 April,  1987.

(45) G.  GELMINI and M. RONCADELLI: Left-handed neutrino mass scale and spontaneously broken  lepton number, Phys.  Lett.  B, 99, 411 (1981); H. M. GEORGI, S. L. GLASHOW and S. NUSINOV: Unconventional model of neutrino masses, Nucl. Phys. B, 195, 297 (1981).                            ,               .     ,

(46) B. PONTECORVO: Inverse beta processes and non-conservation of lepton charge, Sov. Phys. JEPT, 34, 172 (1958).

(47) P.  BUDINICH: On the Possible Role of Cartan Spinors in Physics, SISSA 60/86/E.P.

(48) P.  BUDINICH, L. DOBROVOSKI and P. FURLAN: Minimal Surfaces and Strings from Spinors: a Realization of the Cartan Programme, SISSA 59/86/E.P.

(49) R. E. MARSHAK, RIAZUDIN and C. P. RESAN: Theory of Weak Interactions (Interscience, New York, N.Y., 1969), p. 71.

(50) P. BUDINICH and M. PIGOLI: in stampa.

Note scientifiche di Ettore Majorana                            

[1] Sullo sdoppiamento dei termini Rontgen e ottici a causa dell’elettrone rotante e sulla intensità delle righe del cesio, in collaborazione con G. GENTILE JUNIOR, Rend. Acc. Lincei, 8, 229 (1928).

[2] Sulla formazione dello ione molecolare di He, Nuovo Cimento, 8.

[3] I  presunti  termini anomali  dell’elio,  Nuovo  Cimento,  8,  78.

[4] Reazione pseudopolare fra atomi di idrogeno, Rend. Acc. Lincei.

[5] Teoria dei tripletti P’ incompleti, Nuovo Cimento, S, 107 (1931).     |

[6] Atomi orientati in campo magnetico variabile, Nuovo Cimento, 9, 43 (1932).    

[7] Teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario, Nuovo Cimento, 9, 335  (1932).         

[8a] Über die Kerntheorie, Z. Phys., 82, 137.(1933).

[8b] Sulla teoria dei nuclei, Ric. Sci., 4(1), 559 (1933).

[9] Teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone, Nuovo Cimento, 5, 171 (1937). Per la traduzione in inglese, fatta da L. MAIANI, vedi Soryushiron Kenkiu (giugno 1981), p. 149.



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