L’INSEGNAMENTO DELLE SCIENZE NEL BIENNIO DELLA SCUOLA SECONDARIA. PROBLEMI METODOLOGICI E DIDATTICI.

(Scritto con Titti la Rosa e Michela Mayer) 1975

Nota interna n° 642 del 23 ottobre 1975, Istituto di Fisica  dell’Università di Roma ed Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.

PREMESSA                           

       Le indicazioni generali relative alla riforma della Scuola Secondaria superiore, così come sono venute delineandosi negli ultimi 7 anni, prevedono una ristrutturazione dei 5 anni del ciclo superiore in un biennio orientativo unico o unitario (c’è differenza profonda di contenuti e di vedute, dietro questa apparentemente piccola, differenza di terminologia) ed un triennio diviso per indirizzi.                                                      –

       Su questa prospettiva si muovono, anche se con profonde differenze di obiettivi e di impostazione metodologica, le proposte della commissione Biasini, i progetti di Riforma del P.C.I. e del P.S.I. e gli esperimenti che alcune scuole, o sezioni sperimentali, stanno portando avanti in Italia.                                                    .

        In particolare, poiché tutti i progetti presentati introducono obbligatoriamente al biennio lo studio delle scienze e della fisica , tendendo così a colmare una grave  lacuna di gran parte della scuola secondaria superiore, sorgono una serie di problemi che coinvolgono la fisica, l’insegnamento delle scienze in generale, e soprattutto il significato che esse assumono all’interno dei processi formativi, ed il ruolo che un biennio dell’obbligo gioca nella nostra struttura sociale.                      .

        Nella maggior parte delle scuole estere l’obbligo scolastico fino a 15 anni è già una realtà, pur se con una diversa organizzazione del tempo, e l’insegnamento delle scienze e delle loro applicazioni assume una parte di rilievo (1) (2).  In particolare, i vari “progetti di insegna mento” elaborati in questi ultimi 10 anni prevedono, per la fascia scolare corrispondente al biennio, un approccio integrato, che da un lato sviluppi un metodo di lavoro , e dall’altro riconosca e approfondisca le singole discipline senza perderne di vista gli elementi unificanti (3) (4) .

        A questo proposito oltre che sulla corretta definizione del termine “scienze integrate”, si sono avuti dibattiti e conferenze internazionali a Varna nel 1968 (C.I.E.S.- Commission  Interunion de 1’Einseignement des Sciences), nel Maryland nel 1973, ad Exeter nel 1974 (gruppo di lavoro nell’ambito del simposio organizzato dal Consiglio d’Europa), ad Edimburgo nel 1975 (gruppo di lavoro nell’ambito della Conferenza Internazionale sull’Insegnamento della Fisica), i cui risultati sono stati o saranno pubblicati nei volumi dell’UNESCO, dedicati alla fisica o alle scienze integrate, ed in riviste specializzate. (5) (6) (7)

        Contemporaneamente si sono diffusi, specialmente nei paesi occidentali, tutta una serie di progetti che, in quanto cercano “di superare la divisione in discipline e ricostruire l’unità del soggetto”, possono in senso lato essere considerati integrati.

        Tra questi l’I.P.S., e vari progetti inglesi come “Science 5-13”, Nuffield Combined Science, Nuffield Secon dary Science, School Council Integrated Science project (SCISP), (8) (9),  stanno entrando almeno come suggerimenti generali nelle scuole creando un forte interesse e un moltiplicarsi di iniziative (10).

        In Italia durante e dopo i primi corsi di aggiorna mento riguardanti l’I.P.S., si è concretizzata l’esigenza di una ricerca autonoma, dimensionata alle esigenze ed ai problemi italiani, sui metodi e sulle modalità di realizzazione di un insegnamento integrato.

       Tra le prime iniziative vi sono stati convegni  e  documenti (11) (12) (13)  e la formazione di gruppi di lavoro per la definizione di progetti coordinati o integrati per l’insegnamento delle scienze del biennio (14) (15) (16). Tali gruppi, nell’anno 1975/76, dovrebbero coordinare il loro lavoro nell’ambito di un progetto di ricerca finalizza to del C.N.R.  Per dare il nostro contributo a questo progetto, intendiamo quindi analizzare meglio, alla luce dell’esperienza che dal 1971 abbiamo maturato in due scuolesperimentali (liceo G. Cesare sez. sperimentali di Via Manin e Liceo Unitario Sperimentale – L.U.S.- di via Panzini – Roma)  (17) , il significato di un impegno di insegnamento, nel biennio e nella scuola dell’obbligo, nonché i metodi ed i modi di realizzarlo.  

I  N  T  R  O  D  U  Z  I  O  N  E

       L’insegnamento della fisica al biennio non e un problema che si può affrontare indipendentemente da un ripensamento su quanto si è fatto, si fa, o si dovrebbe fare nella scuola dell’obbligo, ed indipendentemente dalle altre materie che trovano posto nel biennio stesso.

       Per prima cosa bisogna tenere presente che, secondo la visione politica e sociale generalmente più accreditata, il biennio va considerato, almeno in prospettiva, come scuola dell’obbligo, senza volere con questo costituire un doppione della scuola media né operare un livellamento culturale al valore minimo, ma anzi riqualificare questo ciclo di studi, completando la formazione di abilità e capacità degli studenti, anche in vista di un inserimento nel mondo del lavoro (18).

       Questo modo di vedere implica una distribuzione degli anni scolastici che fino ad  ora è di 5 (elementari) + 3 (media) + 5 (superiori), in 5(elementari) + 5 (media dell’obbligo) + 3 (superiori).

       Così poste le cose, è chiaro che per una programmazione del lavoro al biennio occorre, in prima approssimazione, sapere che cosa si fa nel triennio della scuola media; in seconda approssimazione, organizzare il lavoro in modo da non prescindere da una programmazione complessiva media + biennio; in ultima approssimazione, ricollegarsi anche alla scuola elementare che deve rientrare nell’organizzazione generale del ciclo dell’obbligo. Tutto questo senza perdere d’occhio, per il biennio, anche la funzioneorientativa per il triennio superiore.  

        Le condizioni in cui ci si trova ad operare ora so no:

il biennio non è ancora scuola dell’obbligo;  il ciclo elementare, analogamente al ciclo medio, è chiuso in sé; i responsabili ministeriali si muovono con singolare  inerzia ed impreparazione modificando principi e prospettive a seconda del Ministro in carica; non esiste comunicazione, per un serio lavoro di programmazione, fra le varie discipline (settorializzazione della cultura che impedisce di fatto la tanto auspicata interdisciplinarietà), e neanche tra le varie sperimentazioni, per mancanza di organi addetti; prevalgono gli interessi economici, soprattutto delle case editrici (e delle case produttrici di strumentazione) che predeterminano qualsiasi lavoro con programmi  e contenuti definiti; la situazione edilizia è tale che le palestre ed i laboratori sono un lusso riservato in gran parte alle scuole private; non c’è collegamento tra Università e scuola (si pensi alla inesistenza di lauree che preparino ad insegnamenti che pure esistono nella scuola secondaria inferiore e superiore) , si genera frustrazione nell’insegnante che, preparato specialisticamente per altre mansioni e  andando ad operare nella scuola secondaria, soprattutto inferiore, si sente sottoccupato ed in area di parcheggio.

       In questo quadro, chiunque voglia operare, a livello di base, per una prefigurazione del biennio, non può che fare un lavoro in primissima approssimazione, parziale e suscettibile di molti cambiamenti non appena ci saranno le condizioni per lavorare in un modo migliore.

    PERCHE’ INSEGNARE ? UN’ANALISI POLITICA.

       Per affrontare correttamente questi problemi occorre innanzi tutto chiedersi “perché, a chi, e cosa insegnamo” .

        I primi dubbi che sorgono sono infatti i seguenti: si può cambiare la scuola in questa società? Non è la nostra un’operazione che tenta di far apparire bello e quindi accettabile un insieme di contenuti vecchi che, in questa società, sotto il nome di “cultura” perpetuano il dogmatismo e l’idealismo? Non tentiamo forse di ridare parvenza di credibilità ad una scuola che ha fatto il suo tempo  in una società che ha fatto il suo tempo? Questi dubbi sono legittimi e propri di chi non è mai entrato in una scuola secondaria (o primaria che sia) e non sa quanto, attraverso i contenuti, e soprattutto i metodi tradizionali, passi un’educazione all’acquiescenza nella convinzione dell’ineluttabilità di questa “cultura”; non sa quindi quanto il problema sia ancora a monte, ancora alla rivoluzione galileiana, alla ricerca di oggettivazione, di scientificità, dopo anni (che pesano come secoli) di idealismo e irrazionalismo.

       Senza illudersi che una organizzazione scolastica funzioni bene a prescindere dalla struttura sociale in cui si inserisce, bisogna riconoscere (e chi ha esperienza di insegnamento nella scuola secondaria lo sa) che solo il prefigurare una scuola diversa nei metodi e nei contenuti, limitatamente al proprio ambito, il lavorare per portarla materialmente avanti con i ragazzi, il far intendere agli utenti tutte le potenzialità della struttura che non si realizzano non tanto per inefficienza quanto per preciso (inconscio o non confessato) disegno politico, è sufficiente a fare esplodere nella scuola quelle contraddizioni che hanno la loro manifestazione più clamorosa nella sempre più massiccia politicizzazione degli studenti.

        Una prima contraddizione evidente della nostra scuola è la mancanza di sbocchi professionali, fatto questo che è ancora certamente connesso, da una parte, alla mancanza di autonomia nelle scelte economiche (e quindi politiche) del nostro paese, e dall’altra al conseguente sviluppo di tipo provinciale, non programmato, della nostra economia. Una sola volta nel nostro paese ci fu un tentativo di costruzione scolastica in relazione alla richiesta produttiva. E’ il ben noto caso degli Istituti Tecnici Industriali che, sorti in un periodo di espansione economica in cui i margini di profitto erano tali da inglobare i ceti medi nelle scelte governative, si ritrovano ora a essere i formatori di disoccupazione “qualificata”. E l’apertura dell’università  ai  tecnici  degli  ITIS  è  stata  una delle operazioni politiche più ‘oculate’ degli ultimi anni: da una parte si è aumentata la richiesta piccolo-borghese  di promozione sociale e dall’altra si è creata una sacca di disoccupazione che impedisce per altri 5 anni l’esplodere delle contraddizioni o che, comunque, le dilaziona nel tempo. Ancora: il particolare equilibrio politico del nostro paese ha fatto sì che, intorno agli anni 60, cominciasse l’inserimento dei lavoratori, con il P.S.I., al governo, e da quel momento si cominciasse a parlare di programmazione produttiva e di riforma della scuola. Ma  mentre la riforma della scuola è, almeno sulla carta, cominciata (si pensi alla media unica), non c’è stato modo (o non si è avuta la forza) di costringere il capitale a razionalizzare, programmandoli, i processi produttivi.

       Si è così accentuata quella divaricazione tra scuola e società [faccio notare che questa analisi è valida a maggior ragione oggi con la completa anarchia produttiva ed il trasferimento di capitali dal mondo produttivo a quello finanziario, n.d.r.]che ha portato da una parte una scuola “sempre più democratica”, ma dall’altra parte “sempre più a sé stante”, e “sempre più dequalificata”.

       Contraddizione quest’ultima che nasce da compromessi non chiari a livello politico. Infatti una scuola razionale, e per questo qualificata, richiede il numero chiuso. Ma numero chiuso vuoi dire garanzia di occupazione che nessuno si sente di dare. Infatti il senso del numero chiuso in questa società significherebbe solo una rigenerazione dei ruoli, un perpetuare sulla carta la divisione in classi sociali, un far ricadere la selezione solo su chi non ha alle spalle una struttura economica e culturale adeguata. E’ facile allora giungere a quell’identità tra scuola di massa e scuola dequalificata che non si potrà cambiare se non cambieranno gli equilibri politici.

       Il discorso sarebbe lungo e necessiterebbe di maggiore articolazione; ma,a questo punto, interessano delle risposte parziali alle domande che precedentemente ci siamo posti. Pur essendo chiaro che non si può,cambiare la scuola in questa società ci sembra altrettanto chiaro che si possa intervenire per far perno sulle contraddizioni, per prefigurare, e cominciare a sperimentare, una scuola diversa almeno nei contenuti, nei metodi e nella gestione, da sostituire all’attuale, per togliere ogni credibilità alladivisione idealistica tra le due culture (portato della divisione tra lavoro intellettuale e manuale) e sostituir la  con una visione materialistica, carica di scientificità, e per questo interdisciplinare, di unità della cultura (portato dell’unità e dignità dell’uomo).

        Quindi nessun lavoro di razionalizzazione di questa scuola che, per sua natura, non è razionalizzabile: lavoro,  invece, per aprire (e non è cosa da poco) tutti gli spazi di democrazia per i ragazzi, fatto questo che diventa immediatamente comprensione non dogmatica da parte degli studenti dell’intelligibilità e modificabilità della realtà.

 LA SCUOLA MEDIA UNIFICATA – RIFORMA E REALTA’.

        Dopo questa premessa, per esigenze di concretezza occorre, anche se può sembrare riduttivo, passare al ‘a chi insegnamo‘ e al ‘che cosa insegnamo‘.

         I ragazzi fruitori del biennio hanno un’età scolare di 14-15 anni, non tutti hanno completamente raggiunto la fase del pensiero astratto e provengono da un triennio di scuola media (molto contraddittorio nella strutturazione specifica degli insegnamenti e nella preparazione specifica degli insegnanti) (19), con una preparazione estremamente non omogenea da Istituto ad Istituto (ed addirittura da classe a classe).

       Qualunque cosa si voglia fare nel biennio, occorre tener conto di questa realtà ed operare realisticamente non dando, a livello di metodi e contenuti, nulla per scontato.                                               .

       Entriamo, per fare delle esemplificazioni, nello specifico delle materie scientifiche che, nel triennio della media, trovano posto nelle ‘osservazioni scientifiche’.

       Cominciamo a considerare l’insegnante, per laurea specifica; esso può essere,

a)  un matematico:  nel qual caso oltre alla sua materia, tutt’al più conosce, solo a livello teorico e in chiave dogmatica, un po’ di fisica, e non è in grado di affrontare una situazione sperimentale di laboratorio;

b)  un chimico: oltre alla sua materia, conosce parti della fisica, la matematica, ma non a fondo, e per niente la biologia;

e)  un biologo o un geologo;  conoscono poco e male tutte le materie che non siano la propria, che pure consente di presentare ai ragazzi un discorso molto interessante;

d)  un farmacista, (ora sono quasi spariti tutti, ma una volta imperversavano, n.d.r.) : non conosce niente che nello specifico possa servire.

e)  un fisico: pur rimanendo completamente scoperto nel settore biologico.conosce abbastanza a fondo la matematica e la chimica e possiede strumenti metodologici che gli permettono un approccio didatticamente più corretto alla realtà.

       E tutto questo ancora a livello di contenuti dei corsi di laurea.

        Che dire poi dei metodi di insegnamento? Non sono nemmeno considerati in un curriculum universitario, in particolare scientifico. Uno studente si laurea, ha raggiunto uno dei primi traguardi importanti ed ecco che, cosa a cui non aveva mai pensato, dopo qualche tempo, per lavorare si trova sbattuto in una classe con 30 ragazzini turbolenti (quando non sono di più). Da che parte deve cominciare? Che cosa deve fare? Ricorre a quella istituzione mai troppo deprecata dei “libri di testo” e comincia a leggerli,  trasmettendo quelle nozioni che vanno da pag. l a pag. 5 e così via. Fintantoché tratta la sua materia, quella specifica del corso di laurea, sono ammesse divagazioni, ma quando la materia non è più quella il terreno diventa minato. Come si difende l’insegnante? Utilizza in modo scorretto  il suo ruolo di adulto dando risposte del tipo: “lo capirete più avanti” – “non chiedete cose che non siete in gra do di capire” – “zitti non interrompete” – “ma non capisci proprio niente! ” .

         E’ vero allora che sui programmi della.scuola media unica ci sono tante belle cose contemplate, ma è anche vero che, mediamente, non vengono applicate. Anzi contrariamente ai propri obiettivi, la scuola media ha la funzione di allontanare i ragazzi appartenenti alle classi sociali meno abbienti attraverso metodi e contenuti che li selezionano a priori.                                        

       Gli studenti provenienti dalla media dell’obbligo molto spesso non hanno acquistato nemmeno quegli “strumenti”    di base che servirebbero  loro per affrontare problemi elementari di vita quotidiana.. Pensiamo per un attimo alla matematica. Questa materia, sostitutiva del latino per il ruolo selettivo che le viene affidato, ha assunto nella media la caratteristica di un blocco per  la gran par te degli studenti. Di fronte ad una matematica fatta di formule e slegata dalla realtà, lo studente in genere giunge  ad un rifiuto totale per tutto ciò che e matematica, anche se in seguito, su problemi specifici come grafici, problemi statistici ecc.,  essa viene presentata più correttamente. In definitiva questi ragazzi arrivano, al biennio con una preparazione limitata ad una serie  di nozioni spesso slegate e senza alcuna apertura a problematiche: diverse.

        Cosa dobbiamo insegnare allora? In ogni caso è impossibile pensare di insegnare “tutte le scienze” ed (in particolare “tutta” la fisica. Tenendo d’altra parte conto  che il biennio è da noi considerato in prospettiva come, prolungamento dell’obbligo e che quindi al suo completamento  corrisponderà la chiusura di un ciclo, con l’abbandono della  scuola da parte di molti ragazzi, ci è sembrato molto importante riflettere su metodi e contenuti in modo approfondito. 

ASPETTI METODOLOGICI

        La prima idea che viene in mente per cambiare le cose è di costruire un bel programma (con una sua logica interna) con contenuti completamente rinnovati e che questo fatto di per sé possa significare “una scuola diversa”.

       Va subito detto che non è così, un insegnamento può essere ancora tradizionale indipendentemente, in grandissima parte ,dai contenuti che si debbono affrontare (quel in grandissima parte, perché ovviamente tra i vari contenuti ve ne sono alcuni che si prestano meglio alla sperimentazione ed allo sviluppo della creatività). Il problema quindi non è tanto quello dei contenuti quanto quello del metodo con cui si lavora (sia il metodo di lavoro dell’insegnante sia quello dei ragazzi). Poiché di metodi di lavoro ce ne sono diversi è interessante trovare un accordo, in prima approssimazione, su che cosa in tendiamo per corretto metodo di lavoro.

        Requisiti indispensabili ad un metodo, quale che esso sia, sono la sua scientificità, la sua oggettivazione, la sua operatività.

        La traccia del metodo di lavoro che noi proponiamo è:

a)  necessità di indagare fenomeni o problemi “grezzi”, cioè tali come essi ci vengono presentati dalla realtà circostante (fatto concreto) e non già semplificati o sterilizzati nei loro parametri essenziali (formulazione di ipotesi);

 b)  come conseguenza del punto a)  segue la necessità  di semplificare (separazione delle variabili); il fatto concreto di cui al punto a) viene separato in tanti fatti particolari, e per questo astratti, che possono singolarmente essere studiati (processo di analisi) mediante raccolta e analisi di dati;

 e)  il passo successivo deve essere la ricomposizione del fatto concreto in tutti i suoi aspetti dopo l’indagine sull’astratto (processo di sintesi).

Un’operazione come quella fin qui detta sarebbe poi sterile se non ci fornisse la chiave interpretativa per altri fenomeni analoghi, per cui abbiamo ancora:

d)  Necessità di costruire un modello inteso come soluzione originale dei ragazzi; 

e)  Verifica della fecondità di esso,  fatta sempre dai ragazzi su loro ipotesi di lavoro; 

f)  Superamento del modello quando si presentano fatti che lo contraddicono;

g)  Formulazione di ipotesi  (e modelli)  successive;  ecc.

       Questo processo che sembra fatto su misura per la scienza fisica ci permette qualche considerazione sulle altre scienze e su quanto dicevamo a proposito del fatto che i contenuti qualche volta hanno la loro importanza. Faccia mo solo un esempio, quello della biologia. Se il programma che si pensa di svolgere è quello di dare classificazioni puramente descrittive, alla Linneo, non si riuscirà ad applicare il metodo che abbiamo indicato qualche riga più su; si darebbe oltretutto un’immagine della scienza contemplativa e descrittiva (che non corrisponde più alla fase storica attuale), venendo a mancare quel passo fondamentale che bisogna fare dalla  “lettura” della realtà alla sua “trasformazione”.

         Se invece il discorso biologico parte, analogamente che per la fisica, da una problematica del tipo: “E’ un essere vivente?” – “E’ un animale o un vegetale?” – “Che significato ha classificare e secondo quali parametri o strutture vogliamo farlo?” – allora, al di là delle definizioni codificate, sarà possibile costruire un procedimento metodologico uguale a quello accennato.

        E tutto questo vale per ogni scienza. Non solo. Va le anche per le “cosiddette” “materie umanistiche” (diciamo “cosiddette” perché in senso lato anch’esse sono scienze che studiano particolari “fenomeni”). In questo caso, come per la fisica, anziché partire dalla lezione cattedratica in cui si assiomatizza tutto (fisica) e si idealizza tutto (letteratura italiana, storia ecc…), ci si può muovere nel senso di una ricerca a partire dal fenomeno concreto (che sono i testi originali, i documenti, i testi critici), smontandolo, collegandolo a quanto c’era prima, nel suo tempo, e dopo, per riavere un’immagine fina le complessiva, ricomporlo.

       In definitiva  essenziale per tutti gli insegnanti, e per tutte le discipline non è tanto cosa insegnare quanto adottare lo stesso metodo di lavoro allo scopo di non disorientare i ragazzi, di renderli sempre più autonomi dall’insegnante,  di sottolineare ancora una volta che più delle nozioni slegate è importante imparare ad imparare.

L’INTERDISCIPLINARITA’ 

       Tutto quanto detto fino ad ora significa che l’insegnante, nella scuola, non deve in alcun modo essere solo “l’esperto” della sua materia. Egli deve rifiutare cioè di essere il venditore di competente (fatto questo che in ultima analisi significa presunzione di necessità, di irrinunciabilità e di importanza delle proprie conoscenze specifiche); e in parte rinunciare al proprio ruolo, per inserirsi in modo aperto e problematico nel processo educativo che lo deve coinvolgere anche come oggetto e non solo come soggetto.              

       Questo già comincia ad avere il senso del rifiuto delle singole materie come corpi separati.

       Le discipline che nascono diverse per la nostra limitatezza (che ha l’esigenza di semplificare, sistemare, classificare) e che continuano a rimanere separate per consuetudine, per esigenze efficientistiche, debbono ritrovare una loro unità non tanto nei contenuti, che sono quasi sempre diversi, quanto nel processo che l’uomo ha seguito per conoscere.

       E’ la divisione del lavoro, in ultima analisi, che divide il sapere in discipline sempre più particolari. 

       Questa divisione che la scuola fa, se da una parte assolve al compito di affrontare vari settori della conoscenza, dall’altra esautora lo studente dal processo conoscitivo dell’uomo che è unitario. E la scuola non assolve al suo compito se non ricostruisce quello che la consuetudine e l’efficienza hanno diviso.              . .

       In sostanza quello che si verifica è una frantumazione dei fatti e dei problemi della storia e della realtà concreta in fatti e problemi più piccoli e perciò comprensibili, ma astratti, senza ricomporre mai, alla fine del processo, queste astrazioni in concretezza.

       E così ci si limita ad una elencazione, più o meno fatta bene, di nozioni che concorrono alla formazione di un sapere enciclopedico non immediatamente utilizzabile perché costruito sull’astratto di una concezione del mondo che si evolve in compartimenti stagni  si pensi, ad esempio, all’insegnamento della storia che non solo ha una vita auto noma dalla fisica o dalla biologia  ma perfino dall’economia o dall’emancipazione delle classi sociali.

       Un sapere enciclopedico quindi che, per sua definizione, è un sapere che si limita ad acquisire le cose così come esse stanno (una specie di prerequisito all’azione). Chi crede che questo sia l’obiettivo della scuola è, nella migliore delle ipotesi, imbevuto di idealismo o quanto meno di una sorta di concezione neopositivista secondo la quale il sapere di per sé è buono e cioè sufficiente alla comprensione e all’azione. Quello che noi diciamo è che questo particolare sapere è condizione forse necessaria ma sicuramente non sufficiente alla formazione di giovani che debbono inserirsi in una realtà dialetticamente articolata, con esigenze di profonde trasformazioni.

        Questo sapere così parcellizzato e distaccato dalla realtà opera sui ragazzi in modo alienante, fa sì che essi non possano sviluppare in pieno tutte le loro potenzialità e che siano completamente demotivati ad approfondire delle cose che non paiono avere un minimo di legame con i fatti che li circondano, con la contraddizione, per esempio, tra scuola e sbocchi professionali (esplosa clamorosamente a partire dal 1968).

        Appare così chiaro che per il superamento di questa situazione la scuola non possa che dare un piccolo contributo; tutto il resto, compreso un reale cambiamento di gestione, dovrà venire da un mutamento della direzione del paese. E l’interdisciplinarità può far parte di quel piccolo contributo che la scuola può e deve dare, a patto però che non la si intenda come una sorta di panacea che utopisticamente tenti un’opera di recupero della scuola tutta interna alla didattica.

        E’ interessante a questo punto demistificare due modi di intendere l’interdisciplinarità che vanno per la maggiore, soprattutto tra gli insegnanti.

       Il primo di questi è il semplice coordinamento tra le varie discipline (io faccio il ‘700 in storia, tu lo fai in arte…). E’ quanto la scuola tradizionale ha tentato di fare per molti anni. Ma ora si cerca di razionalizzare la cosa spostando questa materia ad un altro anno, anticipando questa o quella parte, ecc. Tutto questo è illusorio oltre che non realistico. Innanzitutto  le varie discipline, almeno al livello scolare di cui ci stiamo occupando, hanno dei contenuti specifici diversi, qualche volta assolutamente non coordinabili a meno di non tirare la cosa per i capelli (in  un  recente   incontro   sull’interdisciplinarità   si esemplificava questa “interdisciplinarità” tirata per i capelli con la seguente battuta: “per fare interdisciplinarità tra fisica e biologia, anziché far cadere un sasso, si fa cadere un gatto”). In questa ottica, si rimane sempre nell’ambito delle specifiche competenze  non risolvendo.per esempio, quell’annoso problema della equazione di matematica che viene percepita come diversa da quella che poi si ritrova nel problema di fisica.

        Il secondo modo di intendere interdisciplinarità  è quello che va sotto il nome di multidisciplinarità: la classe sceglie un problema da affrontare (casa, quartiere,…) e tutti gli insegnanti vi lavorano intorno.

        Anche qui si rimane nell’ambito delle discipline specifiche senza mutar nulla nell’atteggiamento dell’insegnante rispetto alle competenze.

       Poiché noi riteniamo astratto un insegnamento scientifico che non parta dall’osservazione della realtà, allo stesso modo riteniamo astratto un lavoro interdisciplinare che non parta dalla realtà in cui gli allievi si trovano ad operare. Ed in questo senso, nella prospettiva cioè di fornire chiavi interpretative indipendenti dai contenuti specifici delle varie discipline, l’ipotesi interdisciplinare da noi sostenuta consiste nel lavorare, tutti gli insegnanti, su una base metodologica comune, ed il metodo che in prima approssimazione indichiamo è  quello dato qualche pagina indietro.

        E’ chiaro che quanto proposto non esclude né il coordinamento (là dove sia possibile) né la multidisciplinarità; anzi è sicuramente auspicabile che si operi con lo stesso metodo (interdisciplinarmente)  in un lavoro coordinato o multidisciplinare. In quest’ultima ipotesi, si può partire da un qualunque problema posto dalla classe; si procede con il suo “smontaggio” da parte di tutti gli insegnanti, insieme ai ragazzi; ciascun insegnante va a fondo con lo stesso metodo usato dagli altri su gli argoménti di sua competenza, quindi tutti insieme ricompongono il reale.                     .

        Va sottolineato che questo modo di procedere deve prevedere dei momenti in cui più di un insegnante si trovi ad interagire con la stessa classe.

        Per concludere non va taciuto il fatto che questa proposta è estremamente dirompente per le conseguenze che può generare nell’azione quotidiana dell’alunno diventato cittadino, quando uscito dalla scuola, non si troverà davanti a una realtà ineluttabile o imprevedibile o casuale, ma a una realtà interpretabile (con quel metodo, che è scientifico) in ogni sua articolazione.

       Compito dell’insegnante, in definitiva, non è quello di trasmettere la cultura, né di proporre schemi precisi entro cui vengono cristallizzati temi e problemi, ma di suscitare lo spirito critico dei ragazzi, per una autonoma interpretazione dei fatti e dei problemi .

       Egli si dovrà muovere in modo da rendere i ragazzi sempre più autonomi privilegiando l’insegnare a studiare ( la realtà è intellegibile) piuttosto che l’insegnare nozioni. A questi obiettivi si potrà arrivare in un modo essenzialmente sperimentale:

a)  i ragazzi devono essere il soggetto del lavoro precedentemente programmato;

b)  l’insegnante non deve fornire soluzioni ma ipotesi di lavoro ed assumere una veste di coordinatore del la ricerca (che, si badi bene, è ricerca anche per lui) ;

e)  i testi e gli esperimenti devono avere una importanza notevole.  

  OBIETTIVI E MODALITA’ DI INSEGNAMENTO

       L’obiettivo principale dell’insegnamento della fisica, coordinato o integrato con altri insegnamenti, è allora l’acquisizione da parte dell’ alunno di un atteggiamento scientifico nei confronti della realtà che  lo circonda, e quindi di un metodo che non può essere inteso come ristretto all’ambito delle discipline più propriamente “scientifiche”, ma deve coinvolgere anche gli aspetti storici ed economici, e i rapporti politici  e sociali (20) .

       Come abbiamo già detto, vogliamo educare i ragazzi ad interpretare il reale per poter intervenire su di esso.

       Questo obiettivo generale può essere articolato in obiettivi di formazione (di capacità e comportamenti) e obiettivi di informazione (per uno schema più dettagliato degli obiettivi si veda bibliografia 17 e 21) . Il processo di apprendimento guidato dall’esterno, che ne consegue, deve coinvolgere l’impegno dei ragazzi, stimolare capacità logiche, di analisi e di sintesi, l’interesse, l’intuizione, la creatività “, le capacità di problematizzare o di estrapolare la situazione, le capacità critiche, e fornire così gli strumenti di linguaggio e di metodo indispensabili.

       E’ necessario per raggiungere questi obiettivi saperli adeguare alle necessità concrete, e al livello raggiunto dalla classe e dai singoli alunni nello sviluppo delle capacità mentali.

       E’ importante notare che di fatto ciascun insegnante stabilisce una propedeuticità di interventi, e  dà una serie di giudizi, sulla base di un proprio modello di sviluppo (… mancano le basi…, per quest’anno l’argomento è troppo difficile…,  ma fa parte del programma… ecc…), che, spesso, diventa il termine di confronto con cui i ragazzi, senza capire perché, devono cimentarsi. Occorre quindi che il modello di sviluppo ci sia e sia esplicito, discusso con gli altri insegnanti,  e con i ragazzi Stessi, che possono comprendere così il perché di certe scelte e suggerirne di nuove.

         A tutti i livelli di sviluppo è necessario coinvolgere i ragazzi, attraverso l’intervento attivo nel l’attività di studio e di ricerca, nel lavoro individuale o di gruppo, di costruzione della propria cultura.

         Il lavoro di gruppo è d’altra parte non solo un mezzo ma  un obiettivo stesso di insegnamento. Difatti saper lavorare in gruppo non vuol dire una suddivisione netta dei compiti per poi riappiccicare i lavori  individuali in qualcosa di solo apparentemente unitario (metodo purtroppo usato spesso nelle “ricerche”), ma collaborare in una discussione e in un vero lavoro di ricerca alla costruzione di.risultati che rispettano e superano l’apporto di ciascuno. Il lavoro sperimentale su problemi aperti   (e non su lunghe e noiose verifiche di leggi già note) è una delle occasioni migliori  per insegnare ai ragazzi lo spirito, e il metodo del lavoro di gruppo. Infatti:

–  l’esperienza e il gruppo sono ben dimensionati, tutti devono lavorare e ognuno è, indispensabile;

– vengono coinvolte capacità critiche e creative, abilità manuali, padronanza di linguaggio e di comunicazione, conoscenze matematiche, capacità di osservazione, ecc. così che tutti possono dare  il proprio apporto e avere la soddisfazione di aver, contribuito;      

– è molto difficile in questa situazione assumere ruoli di “leader” , o di dichiarata non collaborazione”. 

         Ha quindi una grande importanza la scelta degli  esperimenti e della strumentazione: molte indicazioni utili vengono dai progetti stranieri (8) (9), o da pubblicazioni apposite anche italiane (22) (23).

RUOLO DELL’ESPERIENZA – STRUMENTI SEMPLICI   

             A questo proposito occorre essere chiari su alcuni aspetti non secondari del problema.

              Innanzitutto va detto che non si vuole fare dello  “sperimentalismo”, un approccio alla realtà fisica solo empirico, senza nessuno spazio alle costruzioni teoriche, alla fantasia, alla creatività, alla manipolazione dei dati.

              Quando si richiede che i programmi che vengono stilati devono avere un carattere sperimentale, si dice che non è possibile pensare, a questo livello scolare, ad un programma che non lasci spazio alla manualità all’impadronirai delle cose anche toccandole, al vedere un fenomeno ed al fare delle misure.

             Da molte parti si sostiene che ancora, a questa età non tutti  i ragazzi hanno conquistato la fase astrattiva. Ed allora  essi hanno bisogno ancora di fatti da cui estrapolare, generalizzando, i concetti, e non di concetti da legare ad altri concetti.

              In definitiva quello che si richiede è che l’esperimento, gli oggetti da usare abbiano un ampio spazio.

             Anche qui, però, c’è un aspetto importante da tenere presente ed è quello relativo a che tipo di “strumenti” od “oggetti” devono essere usati dai ragazzi e dall’insegnante. 

       Gli studenti dovranno utilizzare degli oggetti che padroneggiano e con caratteristiche di assoluta semplicità in modo che l’attenzione non venga distratta dal fatto fisico in esame.

       Non crediamo che siano utili scatole chiuse  o “nere” in quanto, non essendo ancora assolutamente chiaro il concetto di “trasduttore”, i ragazzi potrebbero avere l’impressione che tutto il fenomeno abbia luogo o sia generato all’interno di questa scatola.

       La semplicità degli oggetti è invece quella caratteristica secondo cui la strumentazione non deve essere sofisticata o delicata o costosa tanto da mettere in soggezione i ragazzi e, quando è troppo artificiosa, da distrarli, come si diceva, da quanto di importante sta succedendo e deve essere studiato (24).

       Altre volte invece è il docente che dovendo condurre delle esperienze dimostrative deve tener presente alcuni accorgimenti semplici:

a)  il materiale dell’esperimento deve avere dei colori  appropriati; per esempio un disco nero che rotola su di un piano inclinato nero posto su di un tavolo nero, non mostra niente di niente! è preferibile il colore giallo chiaro poiché in questo modo risulta più visibile il gioco delle ombre; quando si tratti poi di oggetti che debbono ruotare o rotolare,  è preferibile che essi siano colorati a bande chiare e scure in modo da evidenziare  il movimento;

b)  il materiale, oltre caratteristiche tipiche di quello dei ragazzi, deve essere di grandi dimensioni;

e)  il tavolo su cui si conduce l’esperienza non deve essere ingombro di oggetti; 

d)  il docente deve, il più chiaramente possibile, descrivere il materiale utilizzato e cercare, mano a mano che si procede, la spiegazione di ciò che si sta facendo.  

IPOTESI DI PIANO DI LAVORO

       Quanto si è detto fin’ora può essere concretizzato per il biennio in diversi “piani” o “programmi di lavoro” che tengano conto di volta in volta, delle varie esigenze discusse.

CONCLUSIONI

           II lavoro svolto ormai nell’arco di quattro anni in due licei  sperimentali di Roma (sezione sperimentale del G. Cesare e Liceo Unitario Sperimentale di Via Panzini) ha confermato le nostre ipotesi iniziali, e quindi l’utilità di continuare su questa linea.

    In particolare:  

 1)  le  indicazioni  ottenute dalle verifiche  interne,  dai confronti con le altre scuole, dagli stessi esami  di maturità, mostrano che il tipo di lavoro proposto, la metodologia didattica e l’organizzazione degli obiettivi rispondono agli interessi ed alle reali capacità dei ragazzi attualmente impegnati al biennio, anche se molti aspetti dei programmi sono da migliorare e modificare, ed anche se possono essere proposti, con ugual successo, contenuti alternativi;

2)  un lavoro di ricerca didattica voluto,  programmato, realizzato, ed ora in via di verifica, da parte degli stessi insegnanti che sono impegnati nella scuola non solo è possibile ma è forse l’unica via per un reale aggiornamento ed una sperimentazione scolastica, che rispondano alle necessità di  continua riqualificazione degli insegnanti e di modifica dei programmi;

3)  un impegno di rinnovamento della scuola secondaria,  anche se parte come semplice rinnovamento di contenuti e metodologia didattica, diventa ben presto impegno politico, che non può prescindere dalla realtà strutturale e culturale della scuola italiana, ma che anzi trova in questa realtà e nel suo rapporto (o non-rapporto) con la società, il primo banco di prova e di scontro per la sperimentazione;

4)  le scelte che abbiamo operato,  e verificato,  per  l’insegnamento scientifico nel biennio (integrazione delle scienze sostenuta soprattutto sul piano metodologico, esigenza di contenuti culturali adeguati, forte incidenza del lavoro sperimentale di gruppo degli alunni realizzato mediante l’uso di strumenti semplici, chiarezza sugli obiettivi da raggiungere sia nella formazione sia nell’informazione culturale dello studente) non permettono di considerare sullo stesso piano le va rie proposte presentate per la riforma della scuola secondaria, ma impongono una presa di posizione per un biennio unico e non unitario.

          Infatti un biennio unitario (termine presente nelle proposte del Ministero) ripropone, a nostro avviso, la vecchia separazione tra scuole, con una veste solo superficialmente comune (le “opzioni” sono presenti fin dai primi due anni, ed impongono, dopo soli tre mesi di scuola, una scelta dell’indirizzo da cui non si può recedere). Per unico, invece, intendiamo un biennio realmente comune, orientativo, preprofessionalizzante, senza opzioni predeterminanti e senza preclusioni precoci alle scelte del triennio, nell’ambito di un discorso culturale che favorisca il superamento della frattura tra lavoro manuale e lavoro intellettuale.

       In questa visuale, il biennio (e quindi al suo interno le materie scientifiche) dovrebbe porre le basi sia per una successiva rapida qualificazione professionale, curata dalle Regioni, sia per un triennio con indirizzi ormai rigidi e qualificanti, in cui sistematizzare e completare l’informazione, sia per quella formazione culturale di base, necessaria ad ogni cittadino, da estendere ed ampliare successivamente in un programma di educazione permanente.

*** 

Desideriamo ringraziare vivamente la prof.ssa A.M.Confort o per lo stimolo dato alla nascita di questo lavoro, e per il suo contributo alle discussioni comuni.  

***

BIBLIOGRAFIA  RAGIONATA  

1) AA.VV.  Learning to be.  Unesco 1972 . Studio da parte della Commissione Internazionale per lo sviluppo dell’educazione, presieduta da Edgar Fanre. Si sostiene che l’educazione non deve avere come obiettivo la trasmissione ai giovani dei  valori di una società per poterli meglio incorporare, ma essere aperta a un costante scambio di idee, senza subire le influenze delle tradizioni o del potere economico.

2) AA.VV. Why Teach Physics? – 1964 – Ed.Brown-Clark . II testo presenta un resoconto della discussione avvenuta tra i fisici di 26 pae si nella seconda conferenza sull’insegnamento della fisic-a , tenuta a Rio de Janeiro nel 1963. Ci si proponeva di esaminare il contributo delle fisica all’educazione generale. Si prende quindi in considerazione l’importanza dell’immissione della fisica nei curricula scolastici dei paesi sottosviluppati.  Il testo è interessante perché mostra molti dei problemi relativi al raccordo tra educazione scientifica ed educazione generale.

3) AA.VV. New Trends in Physics Teaching – Vol. I – 1965-66 – UNESCO. Contiene gli estratti di alcuni convegni internazionali, (IUPAP  e OEEC) e resoconti delle attività delle varie nazioni.

4) AA.VV. New Trends in Physics Teaching – Vol.II -1970 – UNESCO. Prodotto assieme alla Commissione Internazionale per l’insegnamento della fisica (I.C.P.E.), contiene numerosi articoli che trattano dal problema del laboratorio a quello dei test, dalla scelta dei con tenuti alla metodologia didattica.

5) AA.VV. New Trends in Integrated Science Teaching – Vol. I – 1969-1970 – UNESCO.  Contributi di vari paesi nei problemi relativi ad un insegnamento scientifico integrato ( E.S. S ., 5-13, Nuffield, AAAS) e considerazioni sociali e psicologiche.

6) AA.VV. New Trends in Integrated Science Teaching – Vol. II – 1973 – UNESCO. Obiettivi, contenuti e metodi dell’insegna mento integrato delle scienze. Esempi di progetti di vari paesi (tra cui S.C.I.S.; S.C.I.S.P; Open University) a vari livelli scolari. Elenco dei progetti di scienza integrata.

7) AA.VV. New Trends in Education of Teachers for Integrated Science – 1974 – UNESCO. Il Problema dell’aggiornamento e la preparazione degli insegnanti, così come è stato trattato nel convegno del ’73 nel l’Università del Maryland.

8) AA:VV. I.P.S. (Introductory Physical Science Project). Introduzione alla scienza fisica – 1968- Trad. italiana 1971. Zanichelli – 2 Voll. Studenti; 2 Voll. insegnanti.  Tale progetto è rivolto a studenti del biennio successivo alla scuola media. Viene inteso come corso finale per coloro che non si occuperanno più di fisica. La sperimentazione è uno dei punti fondamentali, ed è pensata per gli studenti divisi in gruppi di lavoro. A differenza del PSSC  dove il laboratorio è affiancato da un testo autosufficiente, nell’I.P.S. la guida al la boratorio  rappresenta una parte cospicua del testo, lo studente non conosce le risposte e deve scoprirle attraverso il lavoro sperimentale. I contenuti sono quelli relativi alle proprietà di base della materia, lo sviluppo del modello atomico, e questioni energetiche.

9) AA.VV. The Nuffield Pilot Project. – 18 voll. ed. Penguin. Materiale di laboratorio, films uniconcettuali e  lungometraggi per insegnanti . Si rivolge all’O level cioè a studenti che non accedono agli studi superiori e lascia no la scuola a 16.anni. Offre soprattutto una guida agli insegnanti, non ha libro di testo, che è sostituito dal “Question Book”. Scopo del progetto è scienza per tutti, cioè scienza come parte dell’educazione generale del cittadino. Importante è il discorso sul metodo. Il programma è organizzato  in modo tale che ciò che si impara prima risulta utile più avanti. Mostra le relazioni tra esperienza e teoria, la funzione dei modelli, il grado, di incertezza che c’è nella scienza.

        Sempre prodotti dalla fondazione Nuffield sono corsi di scienze integrate, paralleli alla nostra scuola media (Combined Science), o biennio superiore (Secondary Science).  

10) AA.VV L ‘ insegnamento delle scienze – numero monografico di Scuola e Città – nn.11-12, 1969. Questo fascicolo offre una panoramica sul problema dell’insegnamento scientifico  in Italia alla fine del ’69, attraverso i contributi di vari esperti italiani.Sono presenti anche informazioni sulle iniziative estere. Non tutti i contributi sono in linea con quanto è maturato nella ricerca didattica in questi ultimi anni, ma, a parte questo, il fascicolo è di un certo  interesse per chi si occupa dell’insegnamento scientifico.

11) Comitato Tecnico SIF-AIF – Insegnamento coordinato della fisica e delle scienze nel biennio liceale – La Fisica nella Scuola, VII, 4, 1974. L’articolo presenta una panoramica del l’attività connessa con le sperimentazioni a livello di biennio attraverso il con tributo delle sedi universitarie, scuole e docenti interessati. Tale ipotesi di lavoro è legata, all’attività dell’A.I.F. Si affrontano alcuni dei problemi connessi con l’insegnamento delle discipline scientifiche.

12) AA.VV. Documenti del convegno di Foligno – Marzo, Aprile 1975 , Ufficio A.I.M. – M.P.I. In tali documenti si affronta il problema della riforma della scuola secondaria superiore, e in particolare del biennio. Vengono presentati i risultati del convegno in relazione al ruolo ed ai contenuti relativi alle singole discipline presenti nel la scuola secondaria superiore.           

13) AA.VV. – Mozione approvata al Convegno di Salice Terme sulla “Didattica delle Scienze ed il ruolo dell’Università” – La Fisica nella Scuola, VII, 2, 1974. La mozione riguarda il ruolo dell’insegna mento scientifico e il problema della formazione professionale degli insegnanti nel  quadro politico generale.  

14) N. Tommasini – L’insegnamento coordinato della fisica e delle scienze nel biennio liceale – La Fisica nella Scuola, VII, 1, 1974. L’articolo presenta i risultati di un corso di aggiornamento tenuto a Bologna sul problema dell’insegnamento delle scienze integrate a livello di biennio liceale. Dal le sessioni di lavoro emergono due piani di lavoro che vengono sperimentati in un certo numero di scuole. La sperimentazione è ancora in corso.                   

15}  M.Ferretti – Il seguito del corso I.P.S. 2 – La Fisica nella Scuola, VII, 3, 1974. L’articolo presenta, un’analisi puntuale e approfondita dell’IPS II attraverso una panoramica delle.varie esperienze e degli argomenti presentati.

16) AA.VV. – Sperimentazione di un corso di scienze integrate nel biennio unico sperimentale – La Fisica nella Scuola, VII, 3, 1974. L’articolo è il frutto del lavoro del seminario didattico di Palermo. Presenta i risultati della sperimentazione che siarticola su due anni; il corso si svolge su due linee, una più fisico-chimica, l’altra biologica.. Può essere tenuto da un in segnante o da due che lavorino parallelamente.

17)  La Rosa – Mayer   – La sperimentazione nella scuola secondaria ed il ruolo della fisica – La Fisica nella Scuola, VIII, 2, 1975. L’articolo presenta alcune considerazioni relative alla sperimentazione condotta in due licei sperimentali romani, per quelche riguarda l’insegnamento delle discipline scientifiche e il ruolo della fisica, tenendo presenti soprattutto i problemi relativi al prolungamento dell’obbligo a 16 anni.

18) AA.VV. – Fisica e formazione professionale – Numero monografico di Formazione e lavoro – nn.50/53 , 1971. In questo numero sono presentati vari articoli che affrontano i problemi connessi con l’insegnamento delle fisica e delle discipline scientifiche, viste anche in relazione con la formazione professionale.

19) Esso Standard Italiana – Le materie scientifiche nelle scuole secondarie – Il Mulino, 1970. Il testo presenta i risultati di una ricerca sull’insegnamento nella scuola media. L’indagine è condotta raccogliendo opinioni di studenti e insegnanti tradizionali e confrontandole con quelle di studenti e insegnanti di classi pilota.

20)  Gelpi – La formazione per l’insegnamento delle scienze – Quaderni Formez, 8, 1971. Il testo è composto da  una parte generale che contiene alcuni saggi e da una raccolta di scritti di pedagogia della scienza. Parte generale: i seminari. didattici sull’insegnamento delle scienze in alcune facoltà universitarie, formazione scientifica e società, la ricerca pedagogica e l’educazione scientifica, problemi di metodo nel l’insegnamento delle scienze, obiettivi formativi nell’ insegnamento scientifico, strutture e contenuti e  metodi nella formazione degli insegnanti di scienze, programmi di formazione per gli insegnanti di scienze. Segue l’antologia di pedagogia della scienza.

21) AA.VV.- Obiettivi per la fisica – Riforma della Scuola – nn.6-7, 1975. Questo articolo è il frutto di un anno di discussioni tenute presso l’università di  Roma da alcuni insegnanti e docenti universitari, sulle tematiche relative all’insegnamento della fisica. Si affronta il problema tenendo presente tutto l’arco dell’obbligo scolastico, dalla scuola elementare al biennio liceale, futuro termine dell’obbligo secondo la riforma della scuola secondaria superiore.

22)   AA.VV. – Le sorgenti della scienza: esperienze per tutti  1961. Trad. ital. ampliata – Armando – 1966. Questo libro è un notevole tentativo di raccogliere insieme semplici esperimenti che offrono lo spunto per  la comprensione  di svariate questioni scientifiche. E’ frutto di un lungo lavoro dell’UNESCO e tiene pre sente l’esigenza delle difficoltà economiche che hanno molto spesso le scuole nell’acquistare materiale da laboratorio.

23)  Fiorentini – Pani – Osservazioni ed esperienze di scienze naturali – Le Monnier – 1969. Il testo è una raccolta di esperienze; 196 di botanica, zoologia e chimica, e 226 di fisica, in schede; tali schede, pensate per la scuola media ed eseguibili dagli studenti, possono essere utilizzate ai vari livelli, a seconda del grado di approfondimento con cui ognuna può essere svolta. Molte esperienze sono di tipo quantitativo per cui anche l’uso della matematica può essere spinto a vari gradi di approfondimento.

24)  Zadou Naisky – L’insegnamento delle scienze fisiche-matematiche – 1954 – Trad. ital. – La Nuova Italia – 1965. Testo interessante per la molteplicità dei problemi affrontati nel campo delle scienze fisico-matematiche. Esamina i vari metodi di insegnamento delle discipline scientifiche muovendo critiche che portano il lettore a meditare. Per alcuni problemi offre coerenti soluzioni. E’ consigliabile una lettura critica del libro per ché alcune delle posizioni sostenute sono oggi superate.



Categorie:Didattica della Fisica

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