Caro Direttore,qualche anno fa, sfogliando uno dei più diffusi libri di testo di Scienze per la Scuola media (1), trovai una interessante proposta di esperimento nel paragrafo intitolato “L’acqua va… in salita”. Si suggeriva di sollevare dell’acqua da un recipiente in basso a uno in alto utilizzando una cordicella con un capo immerso nel primo recipiente e l’altro disposto al di sopra del secondo. L’Autore spiegava che l’acqua “per capillarità, sale lungo la corda e, raggiunta l’altra estremità, cade goccia dopo goccia nel recipiente posto in alto”. Come del resto inequivocabilmente dimostrava una apposita, e chiarissima, illustrazione.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
La proposta mi parve affascinante(2), sia perché didatticamente assai efficace dato che l’esperimento, facilmente realizzabile dall’allievo, aderiva pienamente al moderno paradigma del leaming by doing e l’idea era densa di prospettive concettuali come dimostrazione pratica non soltanto del fenomeno della capillarità, ma soprattutto della fattibilità di un moto perpetuo. Sia anche come forte contributo al dibattito che avanza soluzioni semplici ed efficaci come alternative agli eccessi della big science (perché affrontare i problemi energetici attraverso costose e impegnative ricerche sulla fusione nucleare o sulle tecnologie fotovoltaiche quando soluzioni economiche ed ecologiche al tempo stesso sono a portata di mano?).
In seguito, un esame appena più approfondito di altri corsi di Scienze per le Medie, mi portò a individuare, accanto alla presenza di numerosi errori, una tendenza generale a condizionare i ragazzi, inculcando una visione fortemente pessimistica dell’impatto della scienza e della tecnologia sulla società umana(3).
Per quanto riguarda la categoria “svarioni”, si può leggere, per esempio, che “ormai quasi tutti i tipi di aereo, militari o di linea, superano, ampiamente e in piena sicurezza, il muro del suono“, che “un watt equivale a circa 1000 calorie” (dopo aver puntualizzato che il watt, come la caloria, è una unità di misura dell’energia), oppure che “il gas inerte usato nelle lampadine ha la proprietà di rallentare la carbonizzazione del tungsteno“.
Più insidiose, tuttavia, sono le parti ispirate all’esagerazione ambientalistica, oggi dominante sui media. Dove si calca la mano sui pericoli dell’elettrosmog, e dove, per esempio, drasticamente e senza appello si stabilisce che “i prodotti chimici comunemente usati in agricoltura aggiungono al suolo … veleni in genere, che … eliminano anche tutti i microorganismi e gli insetti utili“. Fra i pericoli derivanti dalla tecnologia, quelli relativi al nucleare sono maggiormente evidenziati, ricordando sempre ad abundantiam il disastro di Chernobyl, ma dimenticando di spiegare di che centrale si trattasse e cosa avvenne effettivamente nella tragica notte del 26 aprile 1986. E trascurando anche di ricordare che il nostro Paese, ormai da decenni, deve ricorrere all’importazione di grandi quantità di elettricità nucleare (che alimenta anche i nostri “comuni denuclearizzati” e che quando viene a mancare, il sistema elettrico nazionale entra in crisi).
Questo tipo di materiale, insomma, sembra più ispirato alla lettura di articoli di giornali, sempre aperti al catastrofismo, che alle elaborazioni e alle conclusioni della comunità scientifica e degli organismi nazionali, come l’Istituto Superiore di Sanità, e internazionali, come l’OMS o l’ICNIRP, a cui è affidato il compito di stabilire i criteri di sicurezza per la salute. E siccome i ragazzi sono abituati ad accettare fiduciosamente quanto trovano scritto nei libri, naturalmente ammesso che li leggano, si capisce che così facendo si alimentano quelle forme di repulsione verso la scienza e la tecnologia in generale, e la Fisica in particolare, che sono oggi tanto diffuse nell’opinione corrente. Proprio nel momento, invece, in cui alla società si pongono scelte, sempre più diffìcili, su questioni che richiedono assieme cultura scientifica ed equilibrio. Ci si chiede allora come mai non funzionino i meccanismi istituzionali che dovrebbero condurre a produrre, e poi a selezionare, trattazioni ragionevoli, senza troppi errori e senza eccessive distorsioni.
La stessa domanda si pone anche altrove, dato che questo problema non sembra riguardi soltanto il nostro Paese. Il fisico americano John Hubisz ha riferito infatti di recente(4) su una massiccia indagine svolta sui libri di testo di Scienze fisiche in uso negli Stati Uniti per le classi dalla 6″ alla 9″ (corrispondenti alla nostra Media): le conclusioni dello studio, che è disponibile in rete(5), sono pesantissime dato che nessuno dei 12 testi più diffusi viene considerato accettabile. Il rigore scientifico è assai carente: si confondono spesso massa e peso, i principi della dinamica vengono enunciati in modo non corretto (spesso accompagnati da esempi fuorvianti), e via dicendo. Osservazioni analoghe riguardano le illustrazioni (circuiti elettrici, specchi, lenti,…), che assai spesso sono sbagliate o disegnate in modo da confondere le idee al lettore. Altre critiche riguardano i contenuti, dove prevale una massa di informazioni irrilevanti, e che sono spesso poco appropriate al livello di comprensione dei ragazzi a cui si rivolgono.
La scarsa qualità dei libri di testo, e in generale dell’insegnamento delle scienze fisiche a livello pre-high school, secondo Hubisz, si riflette nei risultati della competizione internazionale TIMSS, svoltasi nel 1995 (6) con la partecipazione di allievi delle scuole di 41 diverse nazioni. Questi risultati mostrano infatti che mentre gli allievi della 4″ classe Usa si collocano al di sopra della media internazionale, quelli della 8″ si trovano appena al di sotto e quelli della 12” risultano addirittura fra i meno preparati del mondo.
Le cause della scarsa qualità dei libri di testo americani? Secondo Hubisz derivano dalle modalità con cui i testi sono realizzati. Cioè sulla base di indicazioni sui contenuti stabilite da comitati locali (a livello statale), nei quali i fisici sono pochissimo rappresentati, che tendono a privilegiare informazioni a livello giornalistico e notizie dell’ultima ora rispetto ai contenuti di base delle scienze fisiche. Gli editori prendono atto di queste indicazioni e affidano poi la scrittura dei testi a redattori interni, generalmente diversi per ciascun “capitolo”, ponendo assai più attenzione a evitare problemi giudiziari da parte dei vari gruppi organizzati, che in Usa sono assai potenti, piuttosto che al rigore scientifico e all’efficacia didattica del materiale.
Per quanto detto, è chiaro che le modalità di produzione dei testi sono assai diverse in Italia e in Usa, anche se siamo pericolosamente indirizzati sulla stessa strada. Ma i risultati, a quanto pare, sono assai simili. Il punto è la mancanza, in Usa come da noi (fra adozioni convulse e proposte continue di testi “usa e getta”), della chiusura dell’anello di controreazione che dovrebbe garantire il raggiungimento di una situazione di equilibrio a livelli di buona qualità, attraverso un processo virtuoso di selezione naturale.
Può darsi, tuttavia, che l’indagine svolta in Usa conduca a qualche risultato, data la buona attenzione che essa ha ricevuto dai media e l’alto numero (135 mila) dei contatti al sito dove è disponibile il rapporto completo. Per quanto riguarda l’Italia, sarebbe certamente opportuno svolgere un’indagine analoga a quella di Hubisz e dei suoi collaboratori. Ma come? Pubblicando recensioni sulle riviste didattiche? Aprendo un Forum su WEB? Mi rivolgo ai lettori della Fisica nella Scuola, invitandoli a suggerire esperienze e proposte.
Giovanni Vittorio Pallottino
Università di Roma “La Sapienza”
(1) G. FLACCAVENTO, N. ROMANO, La materia e la natura – La Terra nell’Universo, Fabbri Editori, 1998, pag. 20.
(2) L. ORLANDO, II ritomo del moto perpetuo, Sapere, agosto 2002, pp. 32-33.
(3) G.V. PALLOTTINO, Quegli svarioni nei testi di scienze, Sapere, giugno 2003, pp. 84-85.
(4) J. HUBISZ, Middle-School Texts Don’t Moke thè Grade, Physics Today, maggio 2003, pp. 50-54.
(5) www.psrc-online.org/curriculum/book.html
(6) http://timss.bc.edu/timssl995.html
Gentile Direttore,
il prof. Pallottino, nel n. 3/2003, ha scritto una lunga e stimolante lettera alla nostra rivista e ci invita a discutere e a proporre sull’annosa vicenda dei libri di testo di fisica.
Mi permetto di intervenire perché quanto sostenuto dal prof. Pallottino è storia infinita (non ne verremo mai a capo) finché la situazione dell’Università, con i suoi professori che trattano la didattica con sufficienza (in età giovanile), non cambia. Mi spiego.
Al congresso SIF-AIF di Venezia nel 1970 feci una relazione in cui analizzai decine di libri di testo allora in uso denunciandone gli errori, anche marchiani. La cosa riscosse un certo successo e spinse me e due care colleghe (Titti La Rosa, la bravissima e compianta, e Michela Mayer) ad affrontare il toro per le corna. Come fare? Iniziammo con una campagna presso l’Istituto di Fisica di Roma per attivare gli eccellenti fisici che lì lavoravano e lavorano. Dicevamo che occorreva fare come negli Usa o in Gran Bretagna (ma non negli esempi che oggi ci fornisce il prof. Pallottino) con i progetti tipo PSSC, Harvard, Nuffield. Occorreva cioè mettere insieme un nutrito gruppo di fisici, bravi in campi differenti della fìsica, e costruire un progetto coordinato da persona qualificata, con a lato qualche insegnante che presentasse le situazioni reali di lavoro nella scuola, le opportunità didattiche e lo scontro con burocrazie ed ottusità che continuano oggi. Si fecero vari seminari e la cosa piaceva. Anche in una sessione di laurea ne discutemmo, in modo informale, con i proff. Cini, Arnaldi, Salvini, Maraviglia … Nei fatti però la cosa non decollava. Noi continuavamo ad insistere in tutti i modi possibili ma non accadeva nulla. Capimmo ciò che sapevamo. La didattica non era considerata con una sua dignità. Qualcuno diceva che un bravo insegnante è quello che ha fascino, indipendentemente da ciò che si insegna. Altri pensarono bene di azzittire la nostra insistenza chiamando a Roma un professore che si sarebbe occupato di didattica (tale professore è venuto e si è divertito con i giochini che a lui piacevano, per il resto è morto tutto). Capirete che con queste premesse non poteva accadere nulla. Noi parlavamo di moduli, di schede di lavoro, di un libro con le pagine mobili, di un libro dinamico, in cui ogni anno si sarebbero aggiunte pagine (non sarebbe stato necessario acquistare l’intero libro, ma solo le nuove pagine) . Quindi i professori che contavano non ci facevano molto caso, ma noi continuavamo ad accorgerci che, individualmente, quando tale professore usciva dalla sua routine di ricerca (quella che è davvero al centro dei suoi interessi), allora iniziava ad occuparsi LUI di didattica ma ciò avveniva ed avviene sempre in modo non coordinato (tra l’altro ricordo che a partire dal terzo anno del corso di laurea neppure ci si preoccupa di produrre testi universitari per gli studenti). Molti dei fisici di Roma (e non solo) costruirono allora loro testi scolastici (ricordo Cini, Maraviglia, Bernardini). Ognuno per conto suo. I risultati furono certamente superiori a ciò che c’era in giro ma non si rompeva la catena del libro del singolo autore in generale (non certo per i testi citati!) privo di ogni autorevole controllo scientifico e, chiedo scusa, didattico. Da anni ormai la didattica è entrata di diritto nella ricerca e varie cose sono cambiate. Riviste importanti, come Sapere, dedicano ampio spazio alla didattica ed hanno anche rubriche fisse (altre invece, e sono la maggioranza, hanno chiuso. Altre ancora hanno tali chiusure nei Comitati di Redazione da non permettere quasi mai accessi ad insegnanti normali, cosicché, alla fine, diventano feudo di professori universitari che hanno qualche loro laureando da far pubblicare). Ma sul progetto, su una impresa impegnativa e condivisa da più persone, non si riesce a sfondare. Io ho perso da tempo i contatti con l’Istituto di Fisica. Frequento qualche fisico, indipendentemente dal lavoro e dalla ricerca. Ho trovato qualche fisico di gran prestigio che oggi sarebbe disposto a lavorare su questo (non mi permetto di darne i nomi senza il loro consenso).
Ma, chiedo ora al prof. Pallottino, che pure so essere persona seriamente impegnata sul fronte della didattica (ricordo volentieri la sua chiara e condivisibile presa di posizione sull’Autonomia Scolastica, inizio della fine della scuola italiana, anche in relazione al bell’articolo di Chiara Nappi su Sapere): non le pare, professore, che la strada della denuncia di errori gravi che circolano nei testi scolastici, pur essendo lodevolissima, non porta da nessuna parte? Non crede che occorra fare uno sforzo per tornare ad una impresa condivisa che richieda del tempo ma che realizzi un qualcosa che sia dinamico e continuamente sistemabile: un vero progetto di ricerca! Nessuno vuole un “testo unico”, ma si dia almeno agli insegnanti una indicazione precisa, garantita da professionisti indiscutibili (messi sulla “buona strada” da insegnanti sperimentati). Io so che lei è un eccellente elettronico, altri conoscono benissimo la termodinamica, vi è un eccellente conoscitore di ottica in Istituto, un professore già mi ha detto che gradirebbe occuparsi di onde elettromagnetiche, vi sono tantissime conoscenze ed abilità che solo aspettano di mettersi insieme. Io non credo, ed i fatti lo dimostrano, che un solo fisico, per quanto bravo, possa costruire un buon libro di testo (e qui non parlo, ripeto, di errori) a livello di scuola secondaria. In 35 anni di lavoro sul campo, le assicuro professore, avevo sempre una montagna di appunti, alcuni costruiti da me e molti presi dai libri più svariati, ognuno dei quali trattava molto bene uno o due capitoli. Il mio dramma è sempre stato l’OBBLIGO di una adozione. Alcune volte avvertivo gli studenti di non comprare il libro indicato dalla scuola. All’inizio dell’anno facevo comprare i testi più disparati (diversi da alunno ad alunno) o utilizzare quelli che già avevano in casa. Poi il Preside mi disse che era fuorilegge…
La prego, Direttore, tenti lei di stimolare il prof. Pallottino ad organizzare un gruppo che lavori nel senso delle cose dette.
La saluto e la ringrazio per aver sollevato, con la lettera pubblicata, un problema di tale portata.
Roberto Renzetti
Fisico, Roma
Categorie:Didattica
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