La storia della scienza nella didattica della fisica.

LA STORIA NELLA DIDATTICA DELLA FISICA

La storia della scienza nella didattica della fisica


di Carla Romagnino*

  Il nostro coinvolgimento negli sviluppi recenti della conoscenza del mondo fisico ci allontana dal comprendere le difficoltà incontrate anche solo nel recente passato dai ricercatori o dal trarre beneficio dalla loro esperienza. Allo stesso tempo, la conoscenza della storia rappresenta un passaggio fondamentale sulla via della ricostruzione logica delle teorie fisiche, ricostruzione che appare costantemente necessaria.
Da S. Weinberg, La teoria quantistica dei campi, Bologna, Zanichelli, 1999, p. 1.



Le ragioni culturali
In estrema sintesi si può affermare che obiettivo della fisica è ricercare le leggi della natura per poter descrivere i fenomeni naturali e quindi “conoscere le cause e i segreti delle cose”. Questa descrizione avviene attraverso teorie elaborate dall’uomo. Si capisce allora che la conoscenza di una teoria non inquadrata storicamente costituisce una conoscenza incompleta; infatti, essa mostra di quella teoria solo il significato presente e ne riduce, di fatto, la sua potenzialità.
Se questa riflessione ha senso in generale, acquista maggiore evidenza nella didattica della fisica, in quanto una visione storica della disciplina consente una migliore conoscenza e acquisizione dei metodi con cui si è sviluppata la scienza.
La fisica attraverso la storia appare, per dirla con Popper, come una “affascinante conquista dello spirito umano”, come una elegante, coerente struttura capace di avere a che fare con “ogni cosa stia in cielo e in terra”. Col riconoscimento della sua natura storica, la fisica mostra il suo stretto legame con la società e i grandi movimenti di pensiero e questo fatto presenta per se stesso un interesse scientifico e culturale notevole. È assurdo che ancora oggi ci siano persone che si considerano ‘colte’, pur ignorando i principali avvenimenti scientifici che hanno mutato la storia dell’occidente.

Le ragioni didattiche e formative
A scuola, la differenza principale tra le discipline umanistiche e quelle scientifiche, è che mentre insegniamo la letteratura o l’arte attraverso una prolungata immersione nella storia degli scrittori o degli artisti e dei generi letterari o artistici, la filosofia attraverso il dialogo con i pensatori del passato anche più remoto, si ritiene che le discipline scientifiche possano fare a meno della storia, dando così l’impressione che le teorie siano nate dal nulla come parto improvviso della ragione. Attraverso la storia si rendono i giovani consapevoli del fatto che le scienze fanno parte della cultura di ogni paese e che le leggi e le teorie sono formulate da uomini e donne che osservano, interpretano, analizzano, e la cui mentalità è formata dalla società alla quale appartengono.
Si evitano così i pericoli di un insegnamento apodittico e dogmatico.
Dal punto di vista formativo, si può anche affermare che la conoscenza storica permette una migliore comprensione dei modi di fare scienza: la fisica appare come una struttura dinamica, pronta a discutere e a farsi discutere, non ha un metodo certo e stabilizzato per descrivere i fenomeni, non possiede l’etichetta di fabbrica di ‘teorie vincenti’ e di ‘ricette’ confezionate e pronte per l’uso.
Dal punto di vista più strettamente didattico, la storia della fisica sembra facilitare la comprensione dei concetti. Per esempio può rendere più accettabili e comprensibili i contenuti della fisica moderna. Il percorso storico, infatti, consente di capire come e perché si è arrivati a elaborare teorie che riguardano fenomeni con i quali è difficile scontrarsi nella vita di tutti i giorni. E ancora, la storia aiuta a esplorare il ‘genio scientifico’, facendo scoprire lo scienziato nella sua completezza, nelle sue incertezze e nelle sue emozioni.
La mente dello studente è spesso considerata come un recipiente da riempire di informazioni e concetti: forza, pressione, lavoro, ecc. Questo modo arido di travasare le conoscenze può forse andar bene per gli studenti migliori, per i quali è indifferente ‘lo stile’ dell’insegnante, ma è inutile, se non dannoso, per gli studenti meno abili. Nella maggior parte dei casi, infatti, ci si rende conto che gli studenti, nello spiegare il mondo che li circonda, sembrano convivere con due paradigmi paralleli (in conflitto fra loro): uno per la scuola e uno per la vita di tutti i giorni. Numerose ricerche mostrano come alcuni concetti di senso comune possedute dagli studenti prima di iniziare corsi scientifici, persistano nella primitiva forma incompleta o errata anche dopo lo studio della fisica (si rinvia in proposito all’uscita Fisica e senso comune).
Un modo utile per ovviare a questo sembra essere quello di far emergere le idee ‘preconcette’ possedute dagli studenti e farne riconoscere l’inadeguatezza con esempi storici, per correggerle o sostituirle. In tal modo lo studente si sente confortato dal punto di vista psicologico perché si accorge che già la comunità scientifica ha avuto, nel passato, convinzioni uguali alle sue e che quindi le sue non sono difficoltà di una persona non dotata, ma solo di uno studente che non conosce, non sa o non ha riflettuto adeguatamente su certi aspetti del problema.
E ancora, sviluppare alcune parti della fisica dal punto di vista storico, serve a non creare fratture fra le varie discipline. Basti pensare alla lettura di brani tratti dai Discorsi di Galilei nei quali confluiscono, oltre ai contenuti scientifici, un modello linguistico, un quadro politico e un pensiero filosofico; oppure allo studio dell’invenzione della macchina termica con lo sconvolgimento della vita sociale cui si accompagnò o, ancora, alle implicazioni filosofiche dell’esperimento di Oersted.

Alcune proposte
Naturalmente è impensabile pensare di convertire l’insegnamento della fisica in un insegnamento della sua storia. Allo studente devono essere forniti contenuti fisici corretti che si riferiscano alle teorie correnti e che gli permettano, eventualmente, di far parte, nel futuro, di una comunità scientifica.
Ma l’azione educativa deve essere rivolta a far acquisire ai giovani una mentalità critica e una corretta metodologia scientifica. È importante perciò che, almeno ogni tanto, gli studenti si confrontino con lo sviluppo storico di una particolare branca della fisica svolto in modo ragionevolmente dettagliato, studiando casi storici particolarmente significativi nei quali integrare le conoscenze di oggi con la riflessione su come sono nate, quali erano le motivazioni degli scienziati, quali i loro strumenti concettuali.
Occorre tuttavia evitare quella che è chiamata dagli specialisti la ‘pseudo-storia’ cioè il concatenamento degli eventi fatto in modo logicamente coerente, ma storicamente semplificato o, al limite, adattato alle esigenze didattiche.
L’intento dell’insegnamento attraverso la storia, infatti, non è quello di assicurare il successo ai fatti scientifici e sarebbe sbagliato dare l’impressione che le idee siano emerse storicamente in modo logico e ordinato, come una marcia trionfale. È bene che in alcuni casi, opportunamente selezionati, si faccia un’autentica ricostruzione storica che comprenda l’esame degli antefatti e delle conoscenze dell’epoca cui si fa riferimento, la ricerca delle motivazioni che hanno spinto questo o quello scienziato a interessarsi di quel particolare problema e della soluzione proposta; l’esame delle conseguenze e degli sviluppi successivi.
Nel fare una ricostruzione di questo tipo è bene rivolgersi alle fonti secondarie, cioè alla storia della fisica scritta da buoni storici della scienza che, però, vanno vagliate e confrontate per avere una corretta informazione. È anche importante e proficuo, soprattutto per l’insegnante, leggere memorie originali o brani tratti da classici della scienza soprattutto per comprendere le motivazioni degli scienziati e per meglio conoscere i modi di fare scienza.
Tutto ciò, naturalmente, comporta grossi problemi di formazione dei docenti. La tradizione universitaria in Italia, ha, infatti, trascurato la storia della scienza e molti insegnanti ritengono che basti qualche lettura o il racconto di qualche aneddoto per fare storia. Da parte del docente invece si richiede un grosso lavoro personale di ricerca storica sull’argomento da trattare.

Alcuni esempi
Si è scritto sopra che la storia della fisica può favorire la comprensione dei concetti.
A livello di scuola di base, per favorire il raggiungimento di questo obbiettivo, può essere utile ricostruire il contesto sociale e scientifico in cui nascono alcune parole della scienza.
Un esempio per tutti.
Benjamin Franklin (1706–1799) aveva acquisito una mentalità da contabile: essa emerge in molti dei suoi scritti che spaziano da saggi di politica sociale a saggi scientifici. Nello studio dei fenomeni elettrici (era stato particolarmente colpito dai fenomeni legati alla bottiglia di Leyda), egli si convinse che quando un corpo manifesta uno stato elettrico c’è in esso qualcosa in più o qualcosa in meno.
La parola ‘carica’, charge in inglese, indica, anche in italiano, l’operazione del caricare, del porre qualcosa sopra o dentro un qualcos’altro. Ecco che nasce questa nuova espressione ‘carica elettrica’ in riferimento a qualcosa che andava ad aggiungersi alla bottiglia. Scrive Franklin: “Quando uso i termini ‘caricare o scaricare’ la bottiglia, lo faccio in conformità al significato delle parole, in mancanza di altre più adatte”. Ecco, proporre ai ragazzi una ricerca sulla terminologia della scienza può essere un buon punto di partenza per capire meglio il concetto e allo stesso tempo scoprire lo stretto legame tra scienza e società.
A livello di scuola superiore si potrebbe fortificare la comprensione di concetti complessi come quelli legati al fenomeno dell’induzione elettromagnetica discutendo sul come il fenomeno è emerso, come è stato concettualizzato, come la sua comprensione è cambiata durante lo sviluppo; lo stesso concetto di linea di forza, così poco amato dagli studenti, acquisterebbe un diverso valore se si mettesse in evidenza l’importanza e la fecondità che nel pensiero di Faraday ebbe l’idea geometrica di linea di forza.
Ma, affrontando dal punto di vista storico ed epistemologico i concetti legati all’induzione elettromagnetica, si possono fare anche altre riflessioni: come, per esempio, la formazione filosofica dello scienziato sia importante nel determinare l’atteggiamento nei confronti della scienza e l’impostazione del lavoro di ricerca; per cui avvenne che Oersted nel 1820, studioso di Schelling e dei principi della Naturphilosophie, che aveva ereditato la lezione di Kant, ebbe una fede quasi mistica nell’unità della natura e rivolse la sua attenzione alla ricerca di una relazione tra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici; Ampère invece, eseguì esperimenti e interpretò fenomeni con l’intento di cercare conferme dell’esistenza di forze centrali di tipo newtoniano e, da buon seguace di Newton, ‘matematizzò’ i risultati ottenuti.
Atteggiamenti mentali diversi portano quindi a dare diverse interpretazioni dei fenomeni e a procedure distinte: Ampère nei suoi lavori cercava conferme a qualcosa che credeva di sapere già, per contro Faraday indagava servendosi dell’esperimento come di una guida per indagini successive.
Un altro passaggio difficile è spiegare il vero significato del principio d’inerzia.
La concezione aristotelica di ‘moto violento’ è assai diffusa nell’opinione comune, così come permane l’idea che se un corpo pian piano si ferma “è perché la sua forza (l’impetus medievale) si è esaurita”. La lettura e il commento della descrizione dell’esperimento ideale con i piani inclinati fatta da Galileo nel Dialogo sopra i due massimi sistemi può servire a chiarire sia il concetto d’inerzia sia quello di attrito, in modo assai più efficace di un eventuale (e difficilissimo a realizzarsi) esperimento di laboratorio.
Anche la discussione sui problemi etici legati alla scienza potrebbe essere collocata in un contesto corretto se si ricorre a una ‘ricerca storica’.
Si consideri come esempio una ricerca sulla nascita del nucleare. Nel 1964, in piena guerra fredda, gli storici della scienza Rupert Hall e Marie Boas Hall scrivevano: “La più drammatica e affascinante delle avventure scientifiche, alla quale sono stati dedicati i migliori sforzi dell’uomo, è finita nella minaccia che il genere umano possa venire estinto. Quale che possa essere il futuro – se un’epoca futura vedrà o meno la tecnologia nucleare come la più utile e pacifica delle attività – sarà sempre vero che la nostra epoca è (e noi speriamo che la posterità possa dire era) sull’orlo del disastro. Tuttavia, fino al 1945, quale avventura splendida, lineare vi è stata!”
Ebbene, far rivivere agli studenti questa ‘splendida’ avventura, farli riflettere sull’uso ‘buono o cattivo’ delle scoperte scientifiche, far conoscere l’esistenza di gruppi o associazioni come il movimento Pugwash, premio Nobel per la pace nel 1995 per l’attività svolta in favore del disarmo, permette agli studenti di imparare assai di più che non un’arida sequela di formule.
Ma lo studio in chiave storica del nucleare, oltre a una riflessione di tipo etico, può condurre a una riflessione di tipo sociale, perché necessariamente ci s’imbatte in una splendida donna scienziato, Lise Meitner che, appunto per il fatto d’essere donna, e per di più ebrea, non riuscì a farsi riconoscere la priorità della scoperta della fissione nucleare, priorità che andò al suo più caro amico e ‘protettore scientifico’, Otto Hahn, che conseguì il premio Nobel appunto per gli studi sulla fissione.
Un altro argomento tipico, in grado di introdurre problematiche sociali, è la termodinamica, per gli aspetti legati alla rivoluzione industriale del XVIII secolo e per gli attuali problemi energetici. Sull’argomento convergono non solo fisica, storia e filosofia, ma anche biologia, chimica, arte, sociologia, ecc. Lo studio dell’energia fatto attraverso una presentazione storica dello sviluppo dei mulini ad acqua e delle macchine a vapore (e questo anche a livello di scuola di base) potrebbe attrarre i giovani e far loro capire l’importanza dell’energia nello sviluppo di una società.
Così pure può essere interessante andare a guardare il periodo storico in cui è stato inventato il microscopio, il Seicento. Vediamo come le scoperte di Van Leeuwenhoek e Swammerdam influenzarono le idee sulla riproduzione e come le discussioni fossero influenzate da opinioni sociali e religiose o, più tardi, quando Pasteur prova a dimostrare che fermentazione e decomposizione sono forme viventi e non opera del diavolo.
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*Coordinatrice del Gruppo di Storia della Fisica della Associazione per l’Insegnamento della Fisica (AIF), insegna Didattica della Fisica presso la Scuola di Specializzazione per la formazione degli insegnanti dell’Università di Cagliari. È stata membro di varie Commissioni ministeriali per lo studio di nuovi programmi di fisica.

Pubblicato il 2/10/2007



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