Una breve storia divulgativa della fisica delle particelle delle elementari dal 1930 al 1984

UNA BREVE STORIA DIVULGATIVA DELLA FISICA DELLE PARTICELLE ELEMENTARI DAL 1930 al 1984

Roberto Renzetti

(dispense ad uso degli studenti dell’ultimo anno del Liceo Scientifico)

            Queste note sono nate su sollecitazione dei miei studenti nel 1984. L’occasione fu il Premio Nobel per la Fisica all’italiano Carlo Rubbia per l’anno 1984. Non capivano cosa aveva fatto ed ancora avevano la curiosità di chiederlo. Preparai delle dispense e feci un corso in proposito. Fu difficile perché io non sono un “particellaro” ma uno “strutturista”. Comunque i ragazzi così interessati meritarono un lavoro impegnativo e, per molti aspetti, affascinante.

Introduzione

            Intorno al 1930 un atomo era descritto come un insieme neutro costituito da cariche negative, gli elettroni, che ruotano intorno ad un nucleo formato da cariche positive, i protoni.

            Almeno da 20 anni ci si poneva un problema drammatico: come possono stare insieme in un nucleo delle cariche positive? La repulsione elettrica (legge di Coulomb)  non dovrebbe allontanarle? Ed inoltre la legge in oggetto parla di repulsioni che dovrebbero essere violentissime a piccolissime distanze.

            Proviamo a farci un conticino per vedere quanto dovrebbero valere le forze elettriche repulsive all’interno di un nucleo atomico.

            Supponiamo che un nucleo atomico sia costituito da due protoni alla distanza di 10-15 m [il raggio R di un nucleo oscilla tra i seguenti valori: 2.10-15 m  < oppure =  R  < oppure =  9.10-15 m]. Ricordando che la carica del protone (opposta a quella dell’elettrone) vale p = 1,6.10-19 coulomb ed applicando la legge di Coulomb, si trova che la forza repulsiva tra i due protoni vale:

            Per capire l’ordine di grandezza di questa forza, confrontiamola con quella attrattiva che tiene legato, ad esempio, un elettrone ad un protone in un atomo di idrogeno (ad  una  distanza r » 5.10-11 m):

Facendo il rapporto tra F ed F, otteniamo:

Risulta quindi che la forza Frepulsiva tra i due protoni dovrebbe essere più intensa di circa 2 miliardi di volte quella Fche tiene un elettrone legato in un atomo di idrogeno: i due protoni dovrebbero schizzare via come due proiettili supersonici!!!

            Se estendiamo il confronto con la forza gravitazionale Fg , troviamo qualcosa di sorprendente: la forza elettrica che si esercita tra elettrone e protone in un atomo di idrogeno è infinitamente più grande della forza gravitazionale che si esercita tra le due stesse particelle:

F» 1039  Fg  !!!

Proviamo ora a calcolarci il valore della forza gravitazionale che si esercita tra due protoni in un nucleo (massa del protone, m=  1,7 . 10-27 Kg):

Confrontando questa forza attrattiva con quella elettrica repulsiva, si trova:

una enormità !!!

Insomma, non c’è nulla da fare. Vi deve essere qualche altro meccanismo ben più forte delle forze elettriche (alle distanze in oggetto) che tiene legati insieme dei protoni in un nucleo (se poi i due protoni fossero a contatto nel nucleo, la forza repulsiva dovrebbe essere addirittura infinita).

            D’altra parte questa forza non si fa sentire al di fuori del nucleo e, conseguentemente, deve avere un raggio d’azione dell’ordine di  10-15  metri e non più.

Nuove scoperte, nuove teorie

   Nel 1932 due nuovi fatti sperimentali arricchirono il panorama delle conoscenze:

– James  Chadwick, da alcune reazioni di fissione nucleare, scoprì l’esistenza di una nuova particella elementare costituente il nucleo: il neutrone, particella elettricamente neutra con una massa circa uguale a quella del protone.

– Anderson scoprì invece l’esistenza del positrone, elettrone con carica positiva, già previsto nella Teoria di Dirac del 1930.

            Il neutrone è la prima particella instabile che viene scoperta. Essa, al di fuori del nucleo, decade in un tempo di circa 11 minuti (che è la sua vita media) secondo la reazione:

n  =>  p + e–  +  ne

un neutrone origina cioè: un protone, un elettrone ed un neutrino. Questa reazione fu data nel 1933/34 da Pauli e Fermi, con essa veniva spiegata la radiazione b che veniva emessa da materiali radioattivi (decadimento beta). Per far tornare la reazione in termini di conservazione di energia fu necessario aggiungere l’ipotetica particella  ne, priva di massa e di carica, avente solo energia (analoga al fotone, indicato con g, che fu introdotto da Einstein come “quanto di luce” nel 1905). Alla particella nfu dato il nome di neutrino dell’elettrone (essa fu trovata sperimentalmente solo nel 1956 da Reines e Cowan e, per la precisione, si scoprì che nel decadimento del neutrone compare anziché un neutrino ne , un antineutrino, che si indica come il neutrino, ma con una barra sopra ).  

            Al 1934 la posizione delle particelle note era, quindi, la seguente (quando si parla di massa è riferita all’elettone):

 PARTICELLA SIMBOLO MASSA CARICA SPIN VITA MEDIA 
 fotone        g       0      0    1  stabile 
 elettrone        e      1    – 1 1/2  stabile 
 positrone        e+      1   + 1 1/2     stabile 
 protone        p   1836   + 1 1/2  stabile 
 neutrone        n   1839      0 1/2  instabile (~11min) 
 neutrino (ipotesi)        ne            0      0 1/2  stabile 

            Inoltre, poiché era stato scoperto il positrone, la prima particella di antimateria, al 1934 si poteva anche ipotizzare l’esistenza di: antineutrino, antiprotone, antineutrone.

            Rimaneva, scoperto il problema delle forze che tendono legato un nucleo e queste forze cominciarono a dare dei piccolissimi effetti esterni intorno al 1935. Bombardando dei nuclei con dei protoni, questi ultimi, quando passavano nelle vicinanze del nucleo, anziché essere respinti, venivano attratti.

            Nel 1935 H. Yukawa ipotizzò l’esistenza di una nuova particella che rendesse conto della forza nucleare, il mesone. Allo stesso modo che in un campo elettromagnetico gli intermediari della forza sono i fotoni, in un campo nucleare gli intermediari della forza dovevano essere queste nuove particelle. Dai calcoli Yukawa dedusse che questo nuovo quanto di energia (o particella), agente a livello di nucleo, doveva, avere una massa circa 200 volte più grande di quella dell’elettrone. Yukawa notò anche che il raggio d’azione di una forza doveva essere inversamente proporzionale alla massa alla massa della particella che la trasmette (ad esempio, il raggio d’azione della forza elettromagnetica è infinito in accordo con il fatto che il fotone è privo di massa). Questo quanto, il mesone, verrebbe scambiato tra un protone ed un neutrone, tra un neutrone ed un neutrone, tra un protone ed un protone, appartenenti al nucleo, senza appartenere né ad un protone né ad un neutrone (forze di scambio). Vi sono immagini tratte dal mondo macroscopico che possono far avvicinare alla comprensione di quanto detto: innanzitutto si può pensare al fatto che due giocatori di tennis sono uniti da una palla che si scambiano e che non appartiene a nessuno dei due (si può anche pensare a due cani che restano fortemente legati tra loro mentre si disputano un osso molto saporito). Per capire poi come sia possibile risalire teoricamente alla massa del mesone, si pensi a due giocatori di rugby: una palla, leggera se la lanciano a distanza, ma se la palla fosse di cannone se la dovrebbero passare stando spalla a spalla.        

           Per svariati anni si cercò con tutti i mezzi questa particella  ma, a, parte qualche debole indizio, sembrava non ci fosse nulla da fare. Occorre giungere al 1947 quando i lavori di Conversi, Pancini e Piccioni, quelli di Fermi, Teller e Weisskopf, quelli di Sakata, Bothe ed altri, convinsero i fisici che questa particella, se c’era, doveva avere una vita brevissima, tale da rendere difficile la sua rivelazione.

           Furono Lattes, Occhialini e Powell che riuscirono ad individuare questa particella ed a scoprirne i meccanismi di decadimento. Si scoprì poi che questi particolari mesoni, detti anche pioni (p), esistono in tre stati di carica: il pcon massa 273, il p – con la stessa massa ed  il p ° con massa 264   (tutte e tre queste particelle hanno spin 0). I modi di decadimento di questi pioni, che hanno una vita media di 10-8  s, sono elencati di seguito:

Come si vede, dal decadimento dei pioni, si originano altre particelle che non abbiamo mai incontrato: m+, m, n, e la medesima della precedente con una barra sopra , oltre ai fotoni  g che già conosciamo. La prima particella citata è il muone, la seconda è l’antimuone ; il muone, analogamente all’antimuone, ha massa 207, spin 1/2 ed e’ instabile, con una. vita media di circa 10-6 s. La terza particella è il neutrino del muone mentre l’ultima è l’antineutrino del muone (la differenza, principale tra il neutrino dell’elettrone e quello del muone è che mentre con i primi si possono produrre mesoni m , con i secondi ciò non è possibile).

          Cerchiamo di capire perché servono tre tipi di mesoni p, per rendere conto della stabilità del nucleo.

          All’interno del nucleo vi sono generalmente neutroni e protoni (chiamati nel loro insieme nucleoni). Iniziamo con il considerare ciò che accade tra un protone ed un neutrone.

          Un protone espelle violentemente da sé un  p+ e nel far questo perde la sua carica e diventa un neutrone. Il neutrone che sta vicino all’originario protone assorbe invece il  p+  convertendosi in protone.
            

            In accordo con questo modo di vedere, i neutroni ed i protoni di un nucleo si scambiano tra loro dei mesoni p+ e, nel far questo, gli uni si trasformano negli altri. Un nucleone è quindi alternativamente un protone ed un neutrone.
Un analogo processo riguarda p . In questo caso il soggetto dal quale iniziamo è il neutrone: esso espelle un p diventando conseguentemente un protone; il p espulso viene catturato da un protone che diventa così un neutrone.

            I p° invece, vengono scambiati tra medesime particelle: essi agiscono tra protone e protone e tra neutrone e neutrone.

            E’ importante osservare che il mesone, nel suo rapidissimo tempo di volo, non può esistere libero all’interno del nucleo. Si suole dire che esso ha una esistenza virtuale o che è una particella virtuale.

            Ritornando un attimo al muone, dato che, come abbiamo detto, è una particella instabile, resta da vedere il suo modo di decadimento:

Lo zoo delle particelle aumenta.

            A questo punto disponiamo già di una certa varietà di particelle alle quali, ben presto, lavorando con energie sempre più elevate (vedi più oltre), se ne sono aggiunte delle altre.

            Seguiamo le tappe principali di queste scoperte e, nel farlo, si tenga conto che fino al 1947 il numero di particelle conosciute era di 14 (contando anche il neutrino). Le energie di cui disponevano gli acceleratori (si veda più oltre) esistenti non erano sufficienti a creare nuove particelle, soprattutto quelle con masse più grandi. Per svariato
tempo i raggi cosmici restarono la fonte principale di particelle di alta energia e questo fino a che non furono costruiti acceleratori via via più potenti.

            Nel 1952, con l’entrata, in esercizio dell’acceleratore di Brookhaven (USA) da 3 GeV (1 GeV = energia acquistata. da un elettrone nel passare attraverso una differenza di potenziale di 109 Volt), si scoprirono svariate nuove particelle che, in gran parte, erano già state osservate nella radiazione cosmica. Alcune di queste particelle avevano delle caratteristiche che le distinguevano dalle altre. Esse erano prodotte in tempi brevissimi (10-22 s), eppure, contrariamente a tutte le altre, vivevano tempi lunghissimi (10-10 sec) rispetto al tempo necessario alla loro produzione. Quanto dello vuol dire che, di due reazioni apparentemente simili e simmetriche, quella in un senso è molto rapida
mentre quella in senso opposto è molto lenta.

            Questo fatto risultava strano e perciò, le particelle con questi comportamenti, furono battezzate particelle strane o particelle dotate di stranezza (su questo concetto torneremo più oltre).

            Altre caratteristiche che presentavano queste nuove particelle erano le seguenti:

1) Avevano una vita. media compresa tra 10-8 e 10-10 s.
2) Apparivano nel corso di interazioni di tipo nucleare.
3) Alcune si disintegravano in pione e protone e quindi dovevano risultare più pesanti del protone (sono quelle che indicheremo con le lettere greche maiuscole: lambda L, sigma S, csi X, omega W).
4) Altre, più leggere delle precedenti, si disintegravano in pioni o in elettroni o in muoni con i relativi neutrini; esse furono chiamate mesoni K.

            E’ utile, a questo punto, organizzare in una tabella, tutte le particelle più importanti con le quali avremo a che fare (vedi tabella seguente). Come si può vedere, le principali particelle sono raggruppate in 4 famiglie a seconda delle loro proprietà.

– La prima famiglia comprende il fotone ed il gravitone (ed ora, come sempre, anche le rispettive antiparticelle), anche se quest’ultima particella, che dovrebbe essere l’intermediaria delle forze gravitazionali, non è stata ancora osservata.

– La seconda famiglia è quella dei leptoni, cioè di particelle piccole.

– La  terza,  famiglia è  quella  dei  mesoni.

– La quarta famiglia è quella dei barioni,  cioè di  particelle pesanti; essa comprende i nucleoni (protoni e neutroni) e gli iperoni (particelle molto pesanti).

           Un’altra possibile classificazione delle particelle è in fermioni e bosoni. Fermioni sono tutte quelle particelle che hanno spin semintero; bosoni sono tutte quelle particelle che hanno spin intero o nullo. La. distinzione ora fatta è importante e ci si può rendere conto di ciò osservando che mentre i fermioni ubbidiscono al principio di Pauli, la stessa, cosa non accade per i bosoni. Le due classi di particelle sono descritte da differenti statistiche (i fermioni, la statistica di Fermi-Dirac; i bosoni, la statistica di Bose-Einstein).

          Riguardo alle classificazioni c’è solo da aggiungere che i mesoni ed i barioni, nel loro insieme, sono chiamati adroni.

Le leggi di conservazione.

          Ancora riferendoci alla tabella, si può vedere che, nell’ultima colonna a destra sono riportati i decadimenti delle particelle instabili. Questi decadimenti sono regolati da alcune leggi dette leggi di conservazione. Elenco le principali:

1) Legge di conservazione della carica elettrica: la carica totale che si ha prima della reazione è la stessa che si ha dopo la reazione.

2) Legge di conservazione della massa-energia: la massa-energia che si ha prima della reazione è la stessa che si ha dopo la reazione.

3) Legge di conservazione della quantità di moto.

4) Legge di conservazione del momento angolare-spin: lo spin totale (somma di tutti gli spin presenti) prima della reazione è uguale allo spin totale che si ha dopo la reazione.

5) Legge di conservazione del numero barionico: alla fine di una reazione si ha lo stesso numero di barioni che si aveva all’inizio della reazione (anche se diversi). Per la validità di questa legge si ammette che ogni barione abbia un numero barionico +1, mentre ogni antibarione abbia numero barionico -1. Cosicché la legge di conservazione del numero barionico si può enunciare: la somma dei numeri barionici prima della reazione è uguale a quella che si ha dopo la reazione.

6) Legge di conservazione del numero leptonico: assegnando ad un leptone il numero +1 e ad un antileptone il numero -1, vale la stessa legge vista per i barioni.

7) Legge di conservazione della stranezza (vale solo per l’interazione forte, vedi oltre): tutte le particelle sono dotate di un numero di stranezza (s). La legge di conservazione della stranezza dice che in ogni reazione la stranezza totale si conserva. Riporto di seguito la stranezza che è stata assegnata ad alcune particelle:

Le quattro interazioni fondamentali della natura

           Ogni tipo di interazione esistente in natura può essere ricondotta alle seguenti 4 fondamentali:

1) Interazione gravitazionale.

2) Interazione elettromagnetica.

3) Interazione debole.

4) Interazione forte.

           Se si chiedesse, ad esempio, che tipo di forza è quella di attrito, si dovrebbe rispondere elettromagnetica. Allo stesso modo l’interazione della luce con la materia è di tipo elettromagnetico, anzi, la stessa luce non è altro che un fenomeno elettromagnetico.

           La prima sintesi che fu fatta nella storia della fisica riguardava la gravitazione: fu Newton che unificò le leggi che presiedono la caduta, di un sasso con quelle che regolano il moto dei pianeti (gravitazione universale).

           La seconda sintesi fu quella che realizzò Maxwell: l’elettricità, il magnetismo non sono altro che manifestazioni differenti di uno stesso fenomeno, quello elettromagnetico. E la luce non è altro che un fenomeno elettromagnetico (in tal senso sparisce l’ottica come capitolo separato)..

           Einstein tentò la suprema unificazione (per i suoi tempi): quella tra forze gravitazionali ed elettromagnetiche. Non vi riuscì.

           Nel frattempo venivano scoperte le altre due interazioni: quella debole (Fermi) e quella forte (responsabile dei legami nucleari).

           Cerchiamo di descrivere le caratteristiche delle varie interazioni.

           Iniziamo con il discutere l’interazione gravitazionale. Questo tipo di interazione ha luogo quando si ha a che fare con grandi masse a grandi distanze. La cosiddetta gravità è la più antica tra le forze conosciute in natura ma è anche la meno compresa. II problema è qual è l’agente che trasmette la forza, ad esempio, tra pianeta e pianeta ? Si può rispondere che è il campo gravitazionale che è un campo di energia. Ma qual è l’intermediario, quello che informa un pianeta della presenza dell’altro e mette in moto l’attrazione ?  

          In accordo con la quantizzazione dell’energia, anche il campo gravitazionale dovrà essere quantizzato. Ciò vuol dire che l’energia non si trasmette in modo continuo ma per quantità discrete. Alla più piccola di queste quantità, all’unità energetica del campo gravitazionale, è stato dato il nome di gravitone. Secondo quanto prevede la teoria, questa particella dovrebbe avere le caratteristiche riportate nella tabella 1. Ho detto dovrebbe perché, nonostante sforzi imponenti, a tutt’oggi, questa particella non è stata mai rivelata.

          La idiosincrasia di questa particella alla rivelazione può essere spiegata nel modo seguente: la gravità è una forza estremamente debole (relativamente alle altre che conosciamo) e ce ne possiamo rendere conto sollevando un chiodo con una magnete (forza elettromagnetica). Questa forza fa la sua apparizione solo dove termina il raggio (piccolo) d’azione delle altre forze. Questa forza, poi, deve essere trasmessa da un numero gigantesco di gravitoni: rilevarne uno solo che, in accordo con quanto sostenuto da Yukawa, deve avere massa nulla ed un effetto molto più debole di quello di un neutrino, è impresa eccezionale (in questa impresa lavora da anni, oltre al gruppo di Weber negli USA, il gruppo di Amaldi – oggi scomparso –  e Pizzella a Frascati).

          L’interazione elettromagnetica riguarda i fenomeni elettrici macroscopici (le correnti nei fili, i fulmini, le onde radio e TV, la luce) fino ad arrivare ai fenomeni microscopici a livello atomico.

          E’ vero che l’aspetto quantistico dell’elettricità non emerge quando si ha a che fare con fenomeni elettromagnetici macroscopici ma, a livello atomico, esso emerge in modo chiaro. A livello atomico, infatti, le energie in gioco sono molto maggiori di quelle che si manifestano a livello macroscopico. E ciò vuol dire che un fotone prodotto a livello atomico ha una energia molto più grande, ad esempio, di un fotone di un’onda radio. Gli intermediari dei fenomeni elettromagnetici sono quindi i fotoni.

          Per capire meglio riferiamoci all’atomo di Bhor: fino ad ora abbiamo detto, senza troppi problemi, che quando un elettrone in un atomo acquista energia salta su un’orbita, più alta (ad energia superiore) e, viceversa, quando l’elettrone perde energia (si vedano le figure).

Il fenomeno è accompagnato dall’assorbimento di un fotone hn e, viceversa, all’emissione di un fotone hn. L’usuale descrizione precedente può essere mutata nella seguente: quando un elettrone in un atomo acquista energia, esso si trasforma in un elettrone + un fotone:

e    ->  e1   +  g

 viceversa, quando un elettrone perde energia si ha:

e1  +   g    ->  e

e questo è valido in generale, non solo nel caso discusso dell’atomo di Bohr.

            Supponiamo di avere due elettroni che abbiano “traiettorie di collisione”. Noi sappiamo che, da un certo punto, intervengono le forze elettromagnetiche a respingerli. Ebbene, il fenomeno può essere desscritto mediante lo scambio di un fotone al momento dell’interazione:

Quanto qui scritto e disegnato è la chiave elementare di quella branca della fisica che va sotto il nome di Elettrodinamica Quantistica (QED) ed il disegno ora fatto, del cui metodo ci serviremo ancora, va sotto il nome di diagramma di Feynman, dal nome del fisico statunitense che lo ha ideato.

            Lo stesso diagramma è applicabile a qualunque particella carica e, ad esempio, nel caso di due protoni si ha:

p  ->   p1  +  g

   p1  +  g   ->  p

L’intensità di queste interazioni è tale da farle classificare come relativamente deboli.

            Osservo per completezza che il diagramma di Feynmann per l’interazione gravitazionale è il seguente:

                L’interazione debole (o accoppiamento di Fermi o interazione universale di Fermi) si presenta quando interviene il neutrino o qualche altro leptone o nelle disintegrazioni lente delle particelle strane, nelle quali non intervengono leptoni.

            L’esempio più tipico di interazione debole è quello che presiede il decadimento del neutrone (ricordiamo che in questo decadimento compare un antineutrino):

Il diagramma di Feynmann del decadimento è mostrato di seguito (da ora non disegnerò più gli assi coordinati x, t. Ma, si osservi che essi non sono necessariamente orientati allo stesso modo in cui io l’ ho fatto nei diagrammi precedenti).

[(*) ho messo un punto interrogativo perché si tratta di capire qual è la particella intermediaria di questo tipo di interazione]

Un neutrone si disintegra nel punto A originando, tramite interazione debole, un protone, un elettrone ed un antineutrino. Questa interazione è alla base di tutti i fenomeni di radioattività naturale, senza di essa non vi sarebbe la radioattività delle rocce, senza la quale il nostro pianeta sarebbe un deserto di ghiaccio.

           Si deve da ultimo osservare che le interazioni deboli possono essere completamente trascurate ogni volta che si è in presenza di interazioni forti.

L’interazione forte.

           Questo tipo di interazione e’ tipica della forza di legame trovata nei nuclei tra particelle fondamentali quali il neutrone ed il protone, mediante il mesone p. Essa è anche presente nelle reazioni con mesoni p , con nucleoni e quando compaiono particelle strane. In definitiva, soltanto i barioni ed i mesoni presentano interazioni forti e perciò, all’insieme di barioni + mesoni è stato dato il nome di adroni (come abbiamo già visto).

           Questa forza ha un raggio d’azione molto piccolo ed in questo raggio d’azione essa è molto intensa (non avendo nulla a che vedere con le forze che vanno con l’inverso del quadrato della distanza).

           Un esempio è ciò che avviene all’interno del nucleo  quando un protone espelle un mesone p+ diventando un neutrone (abbiamo già avuto modo di accennare a questo fenomeno);

  p   ->   n   +   p+.

Il diagramma di Feynman dell’interazione tra. due nucleoni (N) è il seguente  (l’altro diagramma rappresenta una particolare interazione tra nucleoni, tra un n ed un p):

Si osservi, comunque, che le reazioni che abbiamo ora illustrato sono capite solo in modo imperfetto (l’interazione debole, da un poco di tempo, è capita, molto meglio). Vi sono però alcuni fatti che occorre sottolineare.

– In primo luogo vi è la profonda differenza esistente tra. le varie interazioni per la parte relativa alle loro intensità.

Le interazioni forti sono 1040 volte più intense di quelle gravitazionali.

Le interazioni forti sono circa 100 volte più intense di quelle elettromagnetiche.

Le interazioni elettromagnetiche  sono 1013 volte più intense di quelle deboli.

Le interazioni deboli sono 1035 volte più intense di quelle gravitazionali.

– In secondo luogo si è osservato che, quanto è più intensa una in terazione, tanto minore è il numero di particelle che la subisce. Tra le particelle che abbiamo elencato solo 8, mesoni e barioni, subiscono le interazioni forti; 11 sono invece le particelle che subiscono le interazioni deboli (tutte quelle della tabella.1 meno i neutrini ed il gravitone); 10 sono quelle che subiscono l’interazione elettromagnetica. (quelle dotate di carica); tutte e 14 subiscono interazioni gravitazionali. Inoltre, una particella che subisce una interazione forte, è soggetta anche a tutte le altre più deboli.

– Terza connessione rilevata, è relativa al tipo di interazione osservata relazionato alle leggi di conservazione. Le leggi di conservazione che abbiamo visto (escluso l’ultima, quella della stranezza) sono alla base di tutte le interazioni tra particelle. Ma, oltre  a quelle viste, vi  sono  svariate altre  leggi  di conservazione che però si applicano solo a certe interazioni e non ad altre. Ciò che si è osservato è che più l’interazione diventa forte, più aumenta il numero di leggi di conservazione che la riguardano. Riferendoci, ad esempio, alla più debole tra le interazioni, quella gravitazionale, non sappiamo con certezza se valgono per essa tutte le leggi di conservazione citate precedentemente (esclusa, la stranezza che vale solo per le interazioni forti). II fatto che qualcuna di queste leggi non valga potrebbe essere relazionato a questioni cosmologiche. Se, ad esempio, nell’interazione gravitazionale non si conservasse il numero barionico, potrebbero accadere due cose: 1) si continuano a creare protoni e neutroni; 2) continuano a sparire protoni e neutroni. Come si può capire non e’ indifferente che il numero barionico si conservi o no»

L’intermediario delle interazioni deboli: il bosone vettore intermedio

           Abbiamo finito di vedere alcune delle caratteristiche delle varie interazioni. Cerchiamo ora di porre un problema di grande rilievo.

– Le interazioni gravitazionali hanno come intermediario il bosone gravitone (lo si sta cercando).

– Le interazioni elettromagnetiche hanno come intermediario il bosone fotone g.

– Le interazioni forti hanno come intermediario il bosone mesone p.

– Qual è l’intermediario delle interazioni deboli ?

           Salam, Weinberg e Glashow, tra il 1962 ed il 1967, hanno sviluppato una. teoria (teoria elettrodebole) che prevede l’unificazione della forza elettromagnetica con quella debole. Secondo la teoria l’intermediario in oggetto deve essere un bosone intermedio con spin uguale ad 1 (o, che è lo stesso, un bosone vettore intermedio). La teoria, analogamente a quanto visto per i mesoni p , prevede anche che questi bosoni vettori intermedi siano in numero di tre: uno carico positivamente W+ , uno carico negativamente W , ed uno neutro Z°. Ora, l’interazione debole ha un raggio d’azione ancora minore di quello dell’interazione forte e, in accordo con quanto previsto già da Yukawa, ciò vuol dire che gli intermediari dell’interazione debole devono essere proporzionalmente più grandi: la teoria prevede che le particelle W abbiano una massa dell’ordine di grandezza di circa 80 volte quella del protone, mentre la. Z° addirittura circa 90 volte.

           Ma se queste particelle sono così grandi, come mai ci sono voluti più di vent’anni per scoprirle sperimentalmente (Rubbia nel 1983) ? Non erano ancora disponibili energie cosi elevate come quelle che sono state utilizzate per scoprirle (circa 500 GeV). A queste energie questi bosoni sono prodotti in quantità tali  (almeno 6 su ogni miliardo di collisioni provocate tra protoni ed antiprotoni alle energie suddette) da essere rivelati. Altra difficoltà era la loro vita media prevista, estremamente breve: inferiore a 10-17  s.

           A margine è utile osservare che queste particelle sarebbero scambiate nei processi di interazione debole analogamente a quanto abbiamo visto per i p nelle interazioni forti. Anche qui si tratta di forze di scambio: al momento dell’interazione, un bosone vettore intermedio viene emesso da una delle particelle interessate; questo bosone può interagire con un’altra delle particelle interessate alla reazione, oppure può decadere in tempi brevissimi in altre particelle. Nei diagrammi seguenti sono riportate alcune interazioni deboli con i relativi bosoni vettori intermedi (si noti che, analogamente a quanto detto per i mesoni  p , anche i bosoni vettori intermedi sono particelle virtuali):

           Resta solo da osservare che i bosoni vettori intermedi W trovati sperimentalmente da Rubbia hanno una massa che è 85 volte quella del protone (150.000 volte quella dell’elettrone), mentre i bosoni Z° hanno una massa, che è 96 volte quella del protone (175.000 volte quella, dell’elettrone).

I quarks

           Se si procede ad un rapido confronto tra leptoni ed adroni si scopre una cosa tanto semplice quanto interessante: a fronte dell’esistenza di centinaia di adroni, vi sono 6 soli leptoni! Oltre ai quattro leptoni riportati in tabella (e , ne, m, nm) se ne sono  scoperti successivamente altri due: il tau (t) ed il neutrino tauonico (nm).  La scoperta è dell’anno 1975.  Il tau ha una massa che è circa 4000 volte quella dell’elettrone; la massa del neutrino tauonico non è stata ancora ben determinata; la vita, media di t è dell’ordine di 10-12 s, quella del nm non si conosce.

AGGIORNAMENTO
18.07.2004
La massa del neutrino
Super-Kamiokande conferma i risultati precedenti Un team di quasi 100 fisici di tutto il mondo ha confermato l’ipotesi secondo la quale la particella elementare nota come neutrino esibisce uno comportamento oscillatorio caratteristico. La scoperta dimostra che il Modello Standard, la teoria proposta negli anni settanta per descrivere le forze fondamentali e le particelle che costituiscono la materia, è incompleto. I risultati sono in accordo con le precedenti osservazioni dell’oscillazione del neutrino e forniscono la misura più precisa fino a oggi della sua massa.
“Queste scoperte – spiega James Stone dell’Università di Boston – indicano che il Modello Standard dovrà essere modificato e liberano il campo da tutte le altre possibili spiegazioni dei risultati precedenti”. Stone e colleghi fanno parte della collaborazione Super-Kamiokande, un progetto con base in Giappone che coinvolge ricercatori provenienti da più di 30 istituzioni in tutto il mondo. I risultati della collaborazione saranno pubblicati il mese prossimo sulla rivista “Physical Review Letters“.
L’esperimento Super-K, al quale ha partecipato Stone, era incentrato sull’analisi dei neutrini atmosferici, quelli prodotti dalle collisioni ad alta energia dei raggi cosmici con gli strati superiori dell’atmosfera terrestre. I neutrini oscillano fra tre tipi, o “sapori”: neutrini elettronici, neutrini muonici e neutrini tau. Questa oscillazione è possibile teoricamente soltanto se i neutrini hanno una massa, mentre il Modello Standard presumeva che i neutrini fossero privi di massa, come i fotoni.
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Evidentemente dovranno essere considerate anche le relative antiparticelle.

           Nell’anno 1964 Zweig e Gell-Mann pensarono che questa, disparità di numero fosse indizio di un qualcosa di più profondo: i leptoni devono essere oggetti con caratteristiche più fondamentali degli adroni. Ciò vuol dire che gli adroni devono essere composti da costituenti più elementari che Gell-Mann chiamò quarks (poltiglia originale). All’inizio ne furono proposti due (con i loro relativi antiquarks), ma pian piano si capì che occorrevano 6 quarks (e 6 antiquarks): legati insiemi in differenti combinazioni fornivano una descrizione completa di tutti gli adroni conosciuti.

           Vediamo quali sono questi quarks e che caratteristiche hanno. Innanzitutto osserviamo che anch’essi, come i leptoni, vanno considerati in coppie (doppietti) e che, per ogni quark che considereremo, vi è il rispettivo antiquark .

 TIPO DI QUARK  SIMBOLOTRADUZIONE ITALIANA
Quark up      uQuark su
Quark down       dQuark giù
Quark strangeness      sQuark stranezza (detto anche trasversale)
Quark charm      cQuark incanto
Quark bottom      bQuark basso (detto anche bellezza)
Quark top      tQuark alto (detto anche verità)

Notiamo subito che, anziché dire ‘tipo di quark‘, si usa dire ‘sapore‘. Ciò vuol dire che l’espressione corrente è ‘che sapore ha quel quark ?‘, anziché ‘di che tipo è quel quark ?‘.  

            Assegnando opportune proprietà ai quarks, fino ad ora si è visto che tutti gli adroni possono essere ottenuti in due modi diversi:

1) Accoppiando tre quarks si ottengono i barioni [accoppiando tre antiquarks si ottengono gli antibarioni].

2) Accoppiando un quark ed un antiquarks si ottengono tutti i mesoni.

            Vediamo allora quali sono le proprietà che vengono assegnate ai quarks, riservandoci di spiegare l’ultima colonna della tabella che segue (colore) più oltre.

SAPORESPINCARICA ELETTRICANUMERO BARIONICOSTRANEZZAINCANTOCOLORE
     u 1/2            + 2/3                1/3          0        0rosso
verde
viola
     d 1/2            – 1/3                1/3          0        0rosso
verde
viola
     s 1/2            – 1/3                1/3       –  1        0rosso
verde
viola
     c 1/2            + 2/3                1/3          0     + 1rosso
verde
viola
     b 1/2            – 1/3               1/3          0       0rosso
verde
viola
     t 1/2            + 2/3               1/3          0       0rosso
verde
viola

 A proposito del colore anticipiamo una cosa: a parità di tutte le altre proprietà, un dato sapore di quark, ad esempio u, può esistere dotato di colore o rosso o verde o viola (con il colore il senso della vista non c’entra nulla, così come con il sapore il senso del gusto). Ciò vuol dire che abbiamo tre diversi tipi di quark u. E così per tutti gli altri quarks. In definitiva, quindi, il numero dei quarks è di 18.

        Vediamo ora quali sono le proprietà degli antiquarks in una tabella analoga alla precedente.

antiSAPORESPINCARICA ELETTRICANUMERO BARIONICOSTRANEZZAINCANTOCOLORE
       _               u 1/2            – 2/3              –  1/3          0        0antirosso
antiverde
antiviola
       _         d 1/2           + 1/3              –  1/3          0        0antirosso
antiverde
antiviola
       _             s 1/2           + 1/3              –  1/3      +  1        0antirosso
antiverde
antiviola
       _            c 1/2            – 2/3               –  1/3          0     – 1antirosso
antiverde
antiviola
       _            b 1/2           + 1/3               –  1/3          0       0antirosso
antiverde
antiviola
       _            t 1/2            – 2/3               –  1/3          0       0antirosso
antiverde
antiviola

Anche qui, in totale, si hanno 18 antiquarks. Ma vediamo di dare qualche spiegazione, iniziando a costruirci qualche adrone con i quarks di cui disponiamo: prima un protone, poi un pione, quindi un antineutrone.

PROPRIETA’         QUARKS COSTITUENTIADRONE
uud protone p
Spin                                                             ->    1/2
Carica elettrica2/3              +    2/3        +      1/3     ->    + 1
Numero barionico1/3              +   1/3         +     1/3      ->    + 1
Stranezza  0                +      0          +       0        ->      0
Incanto  0                +      0          +       0        ->      0
Colore  I tre quark devono avere colori diversi->  Incolore
PROPRIETA’        QUARKS COSTITUENTIADRONE
ud pione p+
Spin                                                                ->      0
Carica elettrica    2/3                        +      1/3               ->    + 1
Numero barionico    1/3                         –     1/3                 ->      0
Stranezza     0                           +       0                  ->      0
Incanto     0                           +       0                  ->      0
Colorequalunque colore + rispettivo anticolore->  Incolore
PROPRIETA’                 QUARKS COSTITUENTIADRONE
_ u_ u_ d                     _ antineutrone n
Spin                                                                         ->    1/2
Carica elettrica– 2/3                  +    1/3              +      1/3     ->      0
Numero barionico– 1/3                   –     1/3             –     1/3        ->    – 1
Stranezza    0                    +      0                +       0        ->      0
Incanto    0                    +      0                +       0        ->      0
Colore I tre antiquark devono avere anticolori diversi->  Incolore

            E veniamo ora alle spiegazioni annunciate.

            Da quanto si può intuire i quarks sono gli elementi fondamentali della fisica degli adroni. Essi giocano un ruolo analogo a quello che l’elettrone giocava nell’ elettrodinamica. Questa nuova fisica, poiché si serve di quarks dotati di colore, è stata battezzata Cromodinamica Quantistica (QCD). Diciamo subito che i quarks, pur essendo dotati delle proprietà. citate (e che ora proveremo a spiegare), non riescono a mostrarle poiché risultano confinati all’interno degli adroni. Non c’è alcuna possibilità di osservare un quark come particella libera, analogamente a ciò che accade per gli  elettroni. E’ solo possibile uno studio sperimentale indiretto di essi.

           Ritorniamo ora per un momento alle tabelle che riportavano tutti i quarks e gli antiquarks con le loro proprietà.  La prima cosa che colpisce e’ la frazionarietà della carica elettrica che corrisponde a dire una frazione della carica dell’elettrone che, a tutt’oggi, sappiamo essere l’unità fondamentale ed indivisibile (il quanto) di carica elettrica. In ogni caso per quel che riguarda la carica elettrica (ed il numero barionico) non dovrebbero esservi problemi nel senso che le cose sono state così definite proprio perché dalla combinazione di vari quarks ed antiquarks vengano fuori gli adroni conosciuti.

           Per quel che riguarda la stranezza, il fatto che negli esempi considerati risulti sempre zero è solo perché non abbiamo considerato particelle strane. Se considerassimo una di queste particelle, ad esempio la L° riportata in tabella 1,  troveremmo:

PROPRIETA’         QUARKS COSTITUENTIADRONE
usdlamda L°
Spin                                                             ->    1/2
Carica elettrica2/3              –    1/3          –    1/3        ->     0
Numero barionico1/3              +   1/3         +     1/3      ->    + 1
Stranezza  0                –      1           +       0         ->     – 1
Incanto  0                +     0           +       0        ->      0
Colore I tre quark devono avere colori diversi->  Incolore

           Per quel che riguarda l’incanto c’è solo qualcosa da dire. Questa proprietà, per molti versi analoga alla. stranezza, fu introdotta nel 1974 per spiegare alcune particolarità di una nuova particella allora scoperta, il mesone J (o  y), da Ting e Richter (indipendentemente). Questa particella. aveva una vita media superiore più di 1000 volte a quella di un comune adrone (ed in questo senso poteva essere pensata simile ad una particella strana ma il fatto che il suo spin fosse intero, valesse cioè 1, la collocava tra i mesoni) inoltre (e questa era la cosa che colpiva di più) aveva una massa insolita.mente grande, più di tre volte quella del protone. Cercando di costruirla con i quarks allora disponibili, u  d  s, ci si accorse che era impossibile. Fu allora che si introdusse il quark c dal sapore incanto. Prendendo in considerazione una particella incantata, ad esempio il mesone D°  (che non abbiamo mai incontrato), troviamo la seguente composizione a quarks:

PROPRIETA’        QUARKS COSTITUENTIADRONE
  c_ u mesone D°
Spin                                                                ->      0
Carica elettrica    2/3                        –      2/3                 ->      0
Numero barionico    1/3                         –     1/3                 ->      0
Stranezza     0                           +       0                  ->      0
Incanto     1                           +       0                  ->    + 1
Colorequalunque colore + rispettivo anticolore->  Incolore

           Per quel che riguarda lo spin, osservando che esso è un vettore, i risultati delle somme tra gli spin dei quarks dipendono dall’orientazione dei vari spin. Questa orientazione sarà tale da fornire i risultati richiesti. Sembrerebbe di dover concludere qui le considerazioni sullo spin ma, in realtà, vi e ‘ qualcosa di più profondo da dover osservare, qualcosa che ci porterà all’introduzione del colore.

           Le considerazioni che seguono prendono spunto dal principio di esclusione di Pauli (su uno stesso stato energetico non possono esservi due spin orientati nello stesso modo), tenendo conto che una particella deve essere considerata come un unico stato energetico. Ebbene, poiché un mesone è sempre formato da un quark ed un antiquark, esso è sempre formato da due unità fondarnentali. Su uno stesso stato energetico vi sono due spin, basta che essi siano diretti in verso opposto (antiparalleli) perché tutto sia in accordo con il principio di Pauli. La stessa cosa non accade per i barioni che risultano sempre formati da. tre quarks. Ora, poiché, come già detto, un barione è un unico stato energetico, ed esso è sempre formato da tre quarks, ci troveremmo in contrasto con il principio di Pauli, poiché certamente in un barione almeno due quarks dovranno avere spin paralleli. Per circa 10 anni, a partire dal 1964, questo fatto preoccupoò molti fisici ed il problema fu risolto da Han, Tavkhelidze e Miyamoto.

           Una lettura più attenta del principio di Pauli ci fa scoprire infatti che due particelle non possono stare sullo stesso stato energetico se hanno uguali tutti i loro numeri quantici. Ebbene, l’introduzione del colore corrisponde ed introdurre un nuovo numero quantico. Le cose allora stanno nel modo seguente: su un determinato stato energetico barionico vi possono essere tre quarks identici, solo se questi ultimi hanno colori differenti. Si noti che due quarks con  lo stesso sapore ma con colori differenti sono assolutamente indistinguibili, nel senso che la natura non si accorge delle colorazioni differenti.

           A questo punto sorge una difficoltà. L’introduzione del colore moltiplica per tr il numero dei quarks e degli antiquarks mentre non moltiplica il numero degli adroni. Com’è possibile che, triplicando il numero dei costituenti fondamentali, gli adroni rimangano gli stessi ? Abbiamo poco fa visto come si costruisce la particella L° a partire dai quarks u, d, s. Poiché ogni quark esiste in tre stati diversi di colore, dovrebbero esistere 9 diverse particelle L°. Ma le cose non stanno così. Si è capito quindi che occorreva aggiungere una ipotesi in più, un nuovo principio regolatore della costruzione degli adroni mediante quarks. Si tratta di questo: nella formazione di un adrone possono esistere solo quelle combinazioni di colore che lasciano 1’adrone incolore (o bianco, secondo un altro modo di dire). Questo è il motivo per il quale i quarks sono stati pensati colorati con i tre colori fondamentali: la somma di essi, secondo l’ottica ordinaria, dà come risultato il bianco. Quanto qui detto è valido per i barioni che sono formati da tre quarks. Nel caso in cui si abbia a che fare con un mesone, formato da un quark ed un antiquark, allora il colore del quark può essere qualunque, purché il colore dell’antiquark sia il corrispondente anticolore, ( anche qui, volendo rappresentare la cosa secondo l’ottica ordinaria, basterebbe pensare che gli anticolori non siano altro che i colori complementari dei colori dati, quelli cioè che sovrapposti ad un dato colore lo rendono bianco. Se, ad esempio, un dato mesone è costituito da un quark rosso, l’antiquark dovrà essere del colore complementare del rosso, cioè del colore ceruleo; se il quark è verde, l’antiquark dovrà essere rosso magenta; se il quark è viola, l’ antiquark dovrà essere giallo).

           Per concludere sul colore, resta solo da osservare che questa proprietà non esiste per i leptoni. Questa affermazione può anche essere estesa ad implicazioni differenti: poiché, come vedremo, l’interazione forte è un’interazione tra colori, essa è presente solo negli adroni e non nei leptoni.

           Per quel che riguarda i quarks bellezza e verità, c’è da dire che, se anche non li abbiamo incontrati esplicitamente, essi sono stati  introdotti, analogamente a quello che abbiamo visto per il quark incanto, per rendere conto di nuovi adroni scoperti (ad esempio il mesone instabile pesante Y”‘ che risulta formato da un quark b e da un      antiquark * ). Questo nuovo quark ha cominciato a farsi sentire nel 1977 (Lederman).  Il quark verità è stato invece individuato negli esperimenti di Rubbia al CERN nel 1984. Senza di esso la teoria risultava zoppicante. Ma vi era. un altro motivo che, se possibile, era ancora più impellente; ai fisici piacciono molto alcune piccole cose alle quali sono strenuamente attaccati. Ebbene, qui era in gioco una di queste piccole cose: la simmetria. Questo quark forma il doppietto con il quark bellezza (che altrimenti sarebbe rimasto solo) ed inoltre porta a sei il numero complessivo dei quarks allo stesso modo che sei è il numero dei leptoni. Non c’è dubbio, questo quark doveva essere da qualche parte !

           Si noti che rilevare i quarks presenta enormi difficoltà poiché essi interagiscono assai fortemente tra loro e, essendo confinati  negli adroni, non si manifestano isolati. L’evidenza dei quarks è solo indiretta. Essi si osservano solo in combinazione con gli antiquarks nei mesoni, oppure quando da un dato urto ad elevatissima energia vengono espulsi sotto forma di rottami, come mostrato nel diagramma seguente:

I gluoni.

           A questo punto sorge spontanea una domanda: chi o che cosa tiene insieme i quarks in un adrone ? Per rispondere a questa domanda è stato necessario introdurre delle particelle-colla (prive di massa, e con spin 1), dette gluoni. Con l’introduzione dei gluoni la cromodinamica quantistica arriva a compimento ma, a questo punto, la matematica si complica, passando da una corrispondenza uno a uno, detta simmetria unitaria  U(l), ad  una corrispondenza  tre  a  tre,  detta  simmetria unitaria SU(3), fino ad arrivare ad una corrispondenza cinque a cinque detta simmetria unitaria SU(5). Non è qui il caso di soffermarsi su aspetti particolari della Cromodinamica Quantistica, però è interessante andare a vedere come ora vengono rappresentate alcune particelle viste precedentemente.  Iniziamo con il rappresentarci un pione p che prima rappresentavamo semplicemente con una linea continua orientata. Ora la situazione è quella mostrata nella figura seguente:

Come si vede il pione non è altro che l’insieme dei due quarks costituenti che continuano a scambiarsi dei gluoni. Ma ciò è ancora approssimativo perché non abbiamo tenuto conto del colore. Mentre nell’Elettrodinamica Quantistica lo scambio di un fotone tra due, ad esempio, elettroni non modifica le particelle in oggetto, ora lo scambio di gluoni modifica il colore dei  quarks interessati  allo scambio.  Si dovranno allora considerare dei gluoni dotati anch’essi di colore; l’emissione di un gluone di un dato colore da parte di un quark toglie a quest’ultimo quel particolare tono di colore, tono che viene ad essere aggiunto al quark che assorbe questo gluone. Vi sono poi dei gluoni la cui emissione ed assorbimento non modifica i colori dei quarks. I due disegni che seguono riportano un barione ed un mesone, i quarks dei quali si scambiano gluoni colorati con la conseguenza che i quarks costituenti cambiano di colore (fermo restando che la somma complessiva dei tre colori dei quarks barionici  o dei due mesonici resta incolore).

           Resta da precisare i colori dei gluoni. Si ha a che fare con otto tipi diversi di gluoni i cui colori sono dati dalle possibili combinazioni (due a due) di colori ed anticolori con l’esclusione di alcune combinazioni in corrispondenza delle quali il risultato è incolore (solo due di queste combinazioni devono essere prese in considerazione, le ultime due che daremo). Riferendosi al simbolismo per i colori dato nella legenda di figura precedente, si dovranno considerare gli otto gluoni dati dalle seguenti combinazioni: 

e, a parte alcuni fattori correttivi (e tenendo conto che questi ultimi due gluoni sono quelli che quando vengono scambiati non alterano i colori dei quarks):

           In definitiva si ha ora a che fare con dei colori che interagiscono tra loro. Facendo un parallelo con l’elettrodinamica, si può dire che, mentre allora si aveva a che fare con le interazioni tra cariche elettriche, ora si ha a che fare con l’interazione di cariche di colore. Nell’elettrodinamica le due particelle si scambiavano un fotone; ora i due quarks si scambiano un gluone ma, e qui nasce la maggiore complessità della cromodinamica, dotati di carica di colore (il fotone non ha invece nessuna carica elettrica). E’ proprio la presenza di queste particelle dotate di carica di colore che modifica in modo radicale il tipo di forza e, in linea del tutto generale, si può dire che sono soggette a forza forte solo le particelle dotate di colore. In questo senso la forza forte riguarda solo gli adroni (costituiti da quarks colorati) e non i leptoni che non hanno la proprietà del colore.

Gli acceleratori di particelle (cenni).

           Queste macchine sono alla base dello studio della fisica delle particelle. Certamente una fonte importante di particelle, per il loro studio, sono i raggi cosmici ma, altrettanto certamente, gli acceleratori permettono di raggiungere energie più elevate e di studiare i fenomeni in laboratorio, in condizioni controlliate. Gli acceleratori, a seconda del modo con cui sono costruiti  e dei  fini che con essi  si vogliono raggiungere, possono accelerare: elettroni, protoni, positroni, antiprotoni, nuclei e frammenti di svariati atomi. Si tratta poi di far interagire queste particelle ad alta energia con pezzi di materia interposti nella loro traiettoria o tra di loro. Da questi urti violentissimi, vengono emesse le particelle oggetto di studio che vengono poi registrate mediante i rivelatori (si veda più oltre).

           Per entrare nel nucleo e crearvi particolari reazioni occorrono energie elevatissime e, poiché l’energia è proporzionale alla frequenza della radiazione impiegata, servono frequenze sempre più elevate. Ciò vuol dire che servono lunghezze d’onda sempre più piccole e quindi che occorre accelerare le particelle. Tutto ciò in accordo con la relazione di De Broglie che associa ad ogni particella una lunghezza d’onda:

 l   =    h/mv.

Occorre avvertire che gli acceleratori funzionano solo con particelle cariche. Essi non possono accelerare neutroni, mesoni o particelle strane; per disporre di queste sorgenti ci si può sistemare al di fuori di un reattore nucleare, praticare un piccolo foro nello schermo che protegge dalle radiazioni e raccogliere la quantità dei proiettili che vengono generati nelle reazioni nucleari e scagliati fuori dal reattore (difetto di questo modo di procedere è la casualità e l’incoerenza di una tale sorgente).

           Altra, condizione necessaria affinché le particelle possano essere accelerate è relativa alla loro vita media: essa deve essere abbastanza lunga perché la loro accelerazione ed utilizzazione avvenga prima del loro spontaneo decadimento.

           L’acceleratore è quindi un sistema che deve disporre di una sorgente di particelle, quindi di un sistema che le inietti nel vero e proprio acceleratore ed infine di un bersaglio su cui farle urtare per quindi studiare le reazioni che si sono prodotte.

           Altri accorgimenti devono però essere tenuti presenti: innanzitutto le particelle devono seguire un cammino nel quale sia stato preventivamente fatto il vuoto ( più spinto possibile, ad evitare che esse vengano assorbite dalle molecole d’aria eventualmente rimaste); occorre quindi mantenere il fascio di particelle unite in un pacchetto; ed infine che questo pacchetto si muova lungo l’asse della traiettoria.

           A partire dal Tubo di Crookes del 1895, vari tipi di acceleratori sono stati successivamente realizzati. Il primo di essi, utilizzato per la scissione del nucleo atomico, fu quello di Cockcroft e Walton del 1932. E la storia a questo punto sarebbe lunga (ciclotrone, sincrociclotrone, ciclotrone a settori focalizzati, betatrone, …) ed esula dai nostri scopi; un acceleratore del passato che occorre ricordare è solo il Van de Graaf (la “macchina elettrostatica” spesso usata nei laboratori delle scuole secondarie), realizzato nel 1930, perché è ancora utilizzato come preacceleratore. Nello schema seguente vi è un riassunto dei vari tipi di acceleratori:

           Noi ci concentreremo però solo sui tre tipi di acceleratore più diffusi (a volte in combinazione); l’acceleratore lineare (LINAC), quello circolare (sincrotrone) e l’anello di accumulazione (ADA).

           Iniziamo con illustrare il funzionamento di principio di un LINAC servendoci delle due figure seguenti:

Ad  un dato  istante  (prima figura) i cilindri  risultano carichi  come mostrato. Ciò è dovuto al fatto che la tensione alternata (nel nostro caso: radiofrequenza RF) è formata da due semiperiodi, uno positivo ed uno negativo; ciò vuol dire che, mentre il semiperiodo positivo va a caricare i cilindri dispari, il semiperiodo negativo va a caricare i cilindri pari.

           Gli elettroni, emessi per effetto termoionico da un filamento caldo S e che si trovano in A, vengono attratti dal primo cilindro che risulta carico positivamente. All’interno di questo cilindro viaggeranno a velocità costante fintantoché, nell’istante successivo (seconda figura), la carica dei cilindri non cambia segno (ricordo che la tensione è alternata). A questo punto gli elettroni, che si trovano in B, subiranno un’accelerazione, risultando respinti dal primo cilindro ed attratti dal secondo. Una volta dentro il secondo cilindro viaggeranno a velocità costante fintantoché, a seguito del cambiamento di segno nella carica dei cilindri, non verranno di nuovo accelerati nel passaggio dal secondo al terzo cilindro. Questo processo segue in questo modo per quanti cilindri si hanno nel LINAC (questi acceleratori sono lunghi anche oltre i 3 Km) e l’accelerazione degli elettroni sarà la somma di tutte le singole accelerazioni: essa. sarà maggiore quanto maggiore è il numero dei cilindri e quanto più alta è la tensione ad essi applicata e quanto più alta è la frequenza della tensione in oggetto.

           Naturalmente il cambiamento di segno della carica dei cilindri avverrà tanto più rapidamente quanto più è elevata la frequenza della tensione di alimentazione (allo scopo si usano particolari strumenti chiamati magnetron e klystron). Deve anche essere chiaro che la distanza tra i cilindri deve essere regolata in modo che gli elettroni escano da un cilindro dopo un semiperiodo di tensione alternata. E, poiché gli elettroni vengono accelerati, la lunghezza dei cilindri e la distanza tra i medesimi dovrà via via aumentare in modo che gli elettroni impieghino sempre lo stesso tempo tra un cilindro ed il successivo, restando in fase con la tensione alternata.

           Più gli elettroni accelerano, più acquistano velocità (all’uscita dell’acceleratore ci si avvicina alla velocità della luce); più acquistano velocità e più acquistano energia.

           Se, anziché di elettroni, si dispone di una sorgente di protoni, il meccanismo accelerante rimane esattamente lo stesso (salvo invertire le polarità d’innesco). Una sorgente di protoni potrebbe essere la seguente: un gas di idrogeno fortemente ionizzato; i protoni possono poi venir estratti dal gas mediante una forte differenza di potenziale e quindi avviati all’acceleratore.

           Vi sono altre cose che vanno aggiunte:

– gli acceleratori lineari sono più adatti per elettroni;

– è conveniente utilizzare un pre-acceleratore (Van de Graaf) in modo da iniettare le particelle nel LINAC con una certa velocità iniziale;

– le particelle accelerate vanno ad urtare contro il bersaglio scelto che e’ situato alla fine del percorso che le particelle cariche seguono;

– il LINAC non pone problemi di estrazione del fascio il quale, da solo, fuoriesce dall’acceleratore ;

– con i magnetron ed i klystron si riescono a raggiungere frequenze superiori ai 3.000 MHz;

– il LINAC SLAC di Stanford è lungo 3 Km ed è in grado di far raggiungere al fascio di particelle un’energia di 20 Gev;

– i LINAC, a loro volta, sono utilizzati come preacceleratori per iniettare particelle in macchine acceleratrici circolari.

      Occupiamoci ora del funzionamento di principio di un sincrotrone, servendoci anche qui di un disegno schematico.

S = sorgente; P = preacceleratore; L = LINAC; I = iniezione; A = anello costituito da una camera toroidale (dentro cui circola il fascio di particelle) circondata da svariati magneti; R = cavità acceleratrici; C = bersagli; E = estrazione del fascio; H = locali protetti da spesse mura di cemento M; F = fascio da studiare.

           Il fascio di particelle viene mantenuto su orbite circolari mediante l’azione di elettromagneti distribuiti lungo tutto l’anello. Allo scopo occorre ricordare che una particella carica che attraversi un campo magnetico viene deviata nel verso determinato dalla regola della mano sinistra:

            Naturalmente il fascio deve essere iniettato dall’esterno (mediante un sistema sorgente + preacceleratore + LINAC). All’interno dell’anello il fascio viene ulteriormente accelerato con sistemi analoghi a quelli che abbiamo incontrato nel parlare del LINAC. Per mantenere poi le particelle in moto entro un raggio quasi costante, nonostante l’aumento di energia e di momento angolare, si aumenta in proporzione il campo magnetico.   

           Macchine come i sincrotroni sono vincolate alle dimensioni dei magneti; più i magneti sono grandi, più energia si può raggiungere; più energia si vuole raggiungere maggiore deve essere il diametro dell’anello.

           Abbiamo visto dalla figura che le cavità R sono responsabili dell’accelerazione del fascio. Queste cavità sono dei campi elettrici acceleranti. Se, ad esempio, disponiamo di 16 cavità intorno ad un anello del diametro di 200 m e se tali cavità forniscono ciascuna 3.000 Volt, le particelle riceveranno 48.000 volt ogni giro e, dopo 500.000 giri, avranno raggiunto i 24 Gev.

           Una volta che si dispone del fascio all’energia richiesta, si fa urtare contro un bersaglio per provocare le reazioni da studiare (punto C di figura). E’ anche possibile estrarre l’intero fascio (punto E di figura); in questo caso le schermature devono essere di grande mole.

           Concludiamo questa breve rassegna con gli anelli di accumulazione (ADA).

           Queste macchine, che negli ultimi tempi hanno dato i maggiori contributi alla fisica delle particelle, furono concepite a Frascati nel febbraio del 1960, a partire da una idea di Bruno Touscheck (fisico austriaco che dal 1953 fino alla sua prematura morte ha vissuto e lavorato a Roma). Il problema da cui si partiva era il seguente: quando una particella è accelerata per andare ad urtare contro un bersaglio immobile, la sua energia, non è interamente utilizzabile per la produzione di nuove particelle, secondo la reazione di Einstein E  =  mc2 .   Una  gran  parte  dell’energia  della  particella  (poco meno del 95%) viene spesa per mettere in moto il sistema particella-bersaglio e quindi risultano persi per i fini che si vogliono raggiungere. Questa perdita, inoltre, aumenta all’aumentare dell’energia della particella.

           Come sfruttare l’intera energia a cui sono state portate le particelle ? Facendole urtare frontalmente con un altro fascio proveniente da verso opposto. In questo caso si può teoricamente utilizzare tutta l’energia in possesso delle particelle (somma, dell’energia dei due fasci provenienti da direzioni opposte).

          Esattamente un anno dopo l’idea di Touscheck entrò in funzione a Frasca.ti l’anello ADA, la prima di queste macchine con un diametro di soli 1,5 m. Dati gli importanti risultati che furono conseguiti con ADA, si progettò subito un altro anello di accumulazione, ADONE, con un diametro di 30 m ed una energia complessiva di 3 Gev, che entrò in funzione nel 1970. Da questo punto la corsa diventa frenetica. Ma anche i costi. Solo un accordo tra gli stati può permettere di costruire macchine di questo tipo ad energie e quindi a diametri sempre più grandi (cosa che fa egregiamente il CERN).

          Ma vediamo di cosa si tratta.

          II principio è analogo a quello dei sincrotroni, con qualche modifica sostanziale per permettere che sullo stesso anello possano ruotare in verso opposto particelle di materia ed antimateria (con masse dello stesso ordine di grandezza). Quando i due fasci vengono fatti collidere (prima della collisione marciano su traiettorie parallele), le singole particelle costituenti i fasci si annichilano; esse scompaiono in una nuvola di fuoco chiamata fotone tipo tempo; da questa nuvola, emergono in modo molto pulito ed in tempi molto brevi (< 10-16s) una miriade di particelle [ si osservi che è anche possibile, con opportuni accorgimenti, far ruotare in verso opposto fasci identici di particelle; protoni-protoni, elettroni-elettroni].

          Vediamo in uno schema il meccanismo di iniezione di un anello di accumulazione come ADONE, costruito per far collidere particelle di materia con particelle di antimateria.

S = sorgente; V = Van de Graaf; L = LINAC; M1 = magnete di deflessione; M2 = magnete di separazione;  M3 = magnete di iniezione; H  = laboratorio; C = bersaglio; A = ADONE                               

           Vediamo ora il meccanismo di iniezione dell’anello di accumulazione del CERN, l’SPS (Super Proto Sincrotrone). Si noti che esso, all’inizio, era stao progettato come un sincrotrone, come la sigla dice; fu nel 1976, da un’idea di Carlo Rubbia, che la macchina fu modificata in anello di accumulazione, sfruttando una precedente realizaazione di S. van der Mer, una macchina per la produzione di antiprotoni in quantità (accumiilstore di antiprotoni: AA).

           Nella prima figura, un fascio di protoni preaccelerati viene fornito dal LINAC; questi protoni vengono ulteriormente accelerati nel PS; il fascio di protoni prelevato dal PS viene separato in due; una parte del fascio è diretto all’SPS (con la possibilità lungo questa traiettoria di  prelevare un’altra parte del fascio ed inviarlo nell’ISR), l’altra parte viene fatta urtare contro un bersaglio B per la creazione di antiprotoni. Gli antiprotoni che via via si vanno creando in. B, vengono accumulati ed accelerati in AA da dove, ad un certo punto, vengono prelevati per essere inviati ad un’ulteriore accelerazione nel PS. Dal PS viene prelevato il fascio di antiprotoni ed inviato  all’SPS (naturalmente in verso opposto a quello dei protoni). Lungo quest’ultima traiettoria, c’è la possibilità di prelevare una parte del fascio per convogliarlo nell’ISR dove viene accelerato con una traiettoria avente verso opposto a quella del fascio di protoni. Quello che a noi interessa è però la sorte dei due fasci protone-antiprotone che sono stati inviati all’SPS. Ogni fascio può essere accelerato fino ad acqui stare una energia di 300 Gev; di modo che l’energia complessiva che si ottiene dall’urto dei due fasci e’ di 600 GeV (in occasione della scoperta dei bosoni vettori  intermedi la macchina  era  stata. spinta fino ad una energia complessiva di 270 GeV per fascio , per un totale di 540 Gev).

           Attualmente al CERN, collegato con il sistema descritto, è in funzione  un anello elettrone-positrone (LEP) con un diametro di 8,5 Km. L’energia complessiva di  cui si dispone è minore di quella dell’SPS ma la macchina  è più adatta per uno studio più fine delle reazioni. Questa energia è di circa 100 GeV per fascio.

            La seconda figura mostra le proporzioni tra le macchine descritte nella prima, con l’anello SPS (che ha il diametro di 200 m). Si pensi ad un anello di 27 Km di lunghezza, come il LEP che schematicamente riporto qui sotto:

I circoletti che si vedono in alto sono le macchine che hanno permesso l’esperienza di Rubbia e che erano illustrati nella figura immediatamente precedente. L’intero apparato di Rubbia serve ora come preacceleratore per il LEP.

I rivelatori di particelle (cenni).

          Citerò solo gli apparati più semplici e noti.

Il contatore a scintillazione: conta ogni piccolo lampo emesso da una particella quando quest’ultima attraversa materiali particolari.

II contatore Cerenkov: conta solo le particelle che hanno una determinata velocità

La camera a scintille:  ponendo due placche metalliche in un mezzo gassoso, placche che siano assai vicine tra loro, ed applicando tra esse una forte tensione, al passaggio di una particella ionizzante, cioè elettrizzate,  scocca una piccola scintilla. Collegando insieme più camere è possibile seguire la traiettoria della particella con mezzi ottici o elettronici.

La camera a nebbia:  si pone un gas  in un contenitore;  si fa quindi  espandere rapidamente il volume del contenitore per produrre un rapido raffreddamento del gas, aumentando così l’umidità oltre il 100%. Quando una particella carica passa attraverso la camera, si producono goccioline attorno agli ioni che produce e la traccia lasciata dalla particella può essere fotografata.

La camera a bolle: simile ad una camera a nebbia, solo che usa un liquido mantenuto vicino al suo punto di ebollizione. Si riduce di colpo la pressione in modo che la temperatura del liquido sia superiore a quella di ebollizione a quella data pressione.  Ma l’istante dell’abbassamento di pressione è tale che l’ebollizione inizia solo a causa degli ioni originati da particelle che passano in quel momento. In quello stesso istante si illumina al camera per fotografare la scia di bollicine. La camera a bolle, a causa della maggiore densità di un liquido rispetto ad un gas, è in grado di registrare un numero maggiore di eventi.

Oltre ai rivelatori accennati ve ne sono moltissimi altri dei più svariati tipi (emulsioni fotografiche, camera di Wilson, …) ma noi ci accontenteremo ora di dare solo una lontana idea dell’incredibile livello di sofisticazione che si è raggiunto in questi strumenti, accennando ad alcuni dati relativi ai rivelatori che sono stati realizzati appositamente per le esperienze di Carlo Rubbia. Essi sono chiamati UA 1 ed UA 2 (si veda la figura penultima per localizzarli nell’SPS).

Il rivelatore UA 1, pensato al CERN, è stato realizzato dal lavoro di équipe di più di 100 fisici di 11 istituzioni scientifiche (tra questi, 11 appartenevano all’università di Roma ed erano diretti da Giorgio Salvini). Questo strumento è lungo 10 m, è largo 5 ed è alto 10. Pesa 2.000 tonnellate. Il volume utile all’osservazione di particelle cariche e’ 6 x 3 x 3 metri cubi. Dentro il volume totale vi sono circa 20.000 cavi collegati a 40.000 amplificatori (per captare i segnali lasciati dalle particelle cariche). II rivelatore è dotato di uno dei più grandi magneti esistenti al mondo. La  foto seguente può dare un poco il senso delle dimensioni.

Il rivelatore UA 2 è un poco più piccolo di UA 1 ed è destinato alla rivelazione proprio dei bosoni vettori intermedi. Questo rivelatore è privo di campi magnetici. Ad esso, tra i molti altri, hanno lavorato fisici dell’Università di Pavia. Anche qui, la foto può fornire una idea delle dimensioni.

Il rivelatore UA 1 ha permesso, nel luglio del 1984,  la scoperta del quark verità, il sesto quark che mancava all’appello nonostante fosse cercato da vari anni. Questo quark ha una massa compresa tra le 30  e le 50 volte quella del protone; ciò spiega perché, fino ad ora, era sfuggito ad ogni ricerca: non si disponeva dell’energia sufficiente. Con l’SPS, fatto funzionare come ADA, con AA, con UA 1 e con una équipe  imponente di fisici di tutta Europa, Carlo Rubbia è riuscito nell’impresa. Una cosa deve essere osservata: tra le centinaia di milioni di eventi registrati da UA 1 ed UA 2, sono venuti fuori fenomeni strani, strane reazioni che non paiono essere spiegabili con nessuna delle teorie di cui disponiamo. Aspettiamo di saperne di più, per intanto questi strani eventi sono stati chiamati exotics.

Accenno solo che, per ulteriori esperienze con il LEP sono in fase avanzata di realizzazione altri rivelatori, ancora più potenti, come Opal, Aleph, L3 e Delphi.

L’interazione elettro-debole e l’esperienza di Rubbia.

          La. scoperta fatta dal gruppo di ricercatori (121) diretti da Carlo Rubbia (gennaio 1983) dei bosoni vettori intermedi W , W  e Z° conferma  la  validità  della teoria elettrodebole elaborata principalmente da Weinberg e da Salam. Diciamo subito che parlare di teoria elettrodebole, equivale a dire che si è giunti, sia per via teorica che sperimentale, all’unificazione dell’interazione elettromagnetica con l’interazione debole. E ciò vuol dire che da questo momento in poi non si dovrà più parlare delle quattro interazioni fondamentali, ma delle tre interazioni fondamentali: quella gravitazionale, quella elettrodebole, quella forte.

           All’unificazione fatta da Newton dei fenomeni gravitazionali (un sasso che cade è la stessa cosa della Terra che orbita intorno al Sole), a cui si aggiunsero i lavori di Relatività Generale di Einstein; all’unificazione fatta da Maxwell tra fenomeni elettrici, magnetici e luminosi (la luce è un’onda elettromagnetica), a cui si aggiunsero le elaborazioni dell’Elettrodinamica Quantistica (l’introduzione della quantizzazione dei campi); a queste unificazioni si aggiunge ora l’unificazione tra forza elettromagnetica e forza, debole (forza elettrodebole) realizzata da Weinberg e Salam (per la parte teorica) e da Rubbia (per la parte sperimentale).

           La teoria di  Weinberg e Salam è molto complessa ed al nostro  livello non possiamo far nulla per avvicinarci ad essa. Qualcosa possiamo però dirla con la speranza che aiuti sulla strada della comprensione. Innanzitutto ricordiamo le caratteristiche essenziali dell’interazione debole, aggiungendo qualche considerazione più precisa.

           Tutti i processi nei quali si osserva interazione debole sono sostanzialmente  divisibili in due gruppi fondamentali:

1) quelli nei quali c’è un cambiamento di una unità nella carica elettrica, tipici del decadimento beta

Questi processi sono anche conosciuti come correnti cariche.

2) quelli nei quali non c’è alcun cambio nella carica elettrica, tipici della dispersione di neutroni.

Questi processi sono anche conosciuti come correnti neutre.

Qualunque sia, comunque, il processo di interazione debole in oggetto, è interessante osservare che in esso intervengono sempre 4 fermioni: nel primo caso un fermione si trasforma in tre fermioni, nel secondo due fermioni originano altri due fermioni. Altro fatto notevole è che l’intensità dell’interazione debole è condizionata dal valore di una costante chiamata costante di interazione debole o costante di Fermi. Fin qui nulla di strano: anche l’intensità dell’interazione elettromagnetica è determinata da una costante, detta di struttura fine; allo stesso modo anche l’intensità dell’interazione tra quarks (interazione forte) è determinato da un’altra costante [quanto sto dicendo non stupisca nessuno: nella gravitazione universale c’è da considerare la costante gravitazionale G; nella legge di Coulomb c’è da considerare la costante K]. Osserviamo subito che i valori di queste costanti determinano la forza o la debolezza di una interazione. Ebbene, allora qual è la difficoltà ? E’ che, mentre la costante che compare nella interazione elettromagnetica, allo stesso modo di quella che compare nell’interazione forte, è priva di dimensioni, quella di Fermi ha dimensioni ! Più precisamente ha le dimensioni dell’inverso di una energia elevata al quadrato! (294 GeV)-2  . Questo valore di energia ha allora un significato particolare: al di sopra di essa non dovrebbe più aver senso parlare di interazione debole ma di un qualcosa di diverso. Veniamo ora a considerare una tipica interazione elettromagnetica: l’interazione di due elettroni. L’abbiamo già vista: due elettroni si avvicinano tra loro; ad un certo punto avviene l’interazione mediante lo scambio di un fotone; quindi gli elettroni si allontanano dal luogo dell’interazione. Anche qui le cose vanno come nell’interazione debole; si hanno complessivamente 4 fermioni. Ma c’è una cosa in più: questa volta compare un fotone che, ricordiamolo, è una particella priva di massa, definibile come bosone vettore (ha spin 1) intermedio. Riprendiamo di nuovo in mano il decadimento beta. Forse che è possibi le darne una descrizione analoga a quella dell’interazione elettromagnetica ? Ciò che manca è il bosone vettore intermedio. Proviamo a metterlo e vediamo 

cosa succede. Il neutrone si disintegra in un protone ed in un bosone vettore intermedio W  (virtuale, analogamente al fotone dell’interazione elettromagnetica); quest’ultimo si disintegra a sua volta ed in tempi brevissimi in un elettrone ed in un antineutrino dell’elettrone. Tutto va come nell’interazione elettromagnetica: si deve solo sostituire il fotone con la W   e tener conto che il fotone non ha carica elettrica, contrariamente al W  . Ma c’è di più: la massa. Vedremo tra un poco che essa gioca un ruolo importante. 

            Cosa si può dire invece delle correnti deboli neutre (il secondo tipo di interazione debole) ? In questo caso nell’interazione tra il neutrino dell’elettrone e l’elettrone, poiché non compaiono nuove particelle, si dovrà considerare un bosone vettore intermedio privo di carica, Z°.          

           Descrivendo così le cose tutto si semplifica molto: ora l’interazione debole può essere pensata come l’interazione, non più tra 4 fermioni, ma tra i fermioni ed un bosone (allo stesso modo che l’interazione elettromagnetica). Ebbene, in questo nuovo modo di vedere le cose, la costante di interazione debole (di Fermi) diventa un’altra cosa: perde ora le sue dimensioni. E dove è andata a finire questa energia, quella che si trovava nella costante di interazione debole di Fermi ? Nella massa del bosone vettore intermedio. Nell’interazione elettrodebole, infatti, i bosoni W e Z hanno massa ed anche molto grande (come abbiamo visto). Questa massa deve essere in relazione con la costante di Fermi: la massa-energia di 240 Gev che abbiamo menzionato prima, deve essere uguale alla massa del bosone divisa per la nuova costante di interazione tra i fermioni ed i bosoni. Dipende dal valore di questa ultima costante il valore della massa dei  bosoni  W e Z.  E poiché non si  sapeva  nulla fino al  gennaio ’83 dell’esistenza sperimentale dei bosoni, non si sapeva neanche quale valore potesse avere la costante di interazione tra bosoni e fermioni nell’interazione debole. Nasceva così una incertezza sul valore di massa di W e Z°. Una incertezza  sui valori di massa comportava una incertezza sui valori di energia che occorreva utilizzare per localizzare questi bosoni. Era certo che con le più piccole energie precedentemente usate i W e Z° non davano traccia di sé. Si sapeva quindi che, se la teoria era corretta,  occorreva salire in energia e, conseguentemente, che la massa dei ricercati era sempre più grande. Finalmente ai 540 GeV del CERN questi bosoni sono saltati fuori e con masse enormi, fuori di ogni precedente aspettativa (ci si aspettavano masse intorno alle 40 volte quella del protone, si sono trovate masse doppie di quelle aspettate).

            A questo punto si può affermare che: ambedue le interazioni (elettromagnetica e debole) sono trasmesse da bosoni vettori intermedi, ambedue sono caratterizzate da una costante universale. Le differenze che invece esistono tra le due interazioni riguardano la massa dei bosoni in gioco (da una parte il fotone non ha massa, dall’altra i W e Z° hanno una massa molto grande) e l’intensità dell’interazione (quella debole, molto più debole di quella elettromagnetica).

            Come mettere insieme i due tipi di interazione ?  

            Si tratta, innanzitutto, di disporre complessivamente di 4 bosoni che trasmettano le interazioni:  il fotone,  il  Z°,  il W+ ed il W . Il gruppo quindi degli oggetti a nostra disposizione per la trasmissione delle interazioni si amplia [con la conseguenza che anche la matematica che deve descrivere la situazione diventa più complessa; ora, al gruppo unitario U(l) che descriveva il fotone, dovremo aggiungere  il gruppo SU(2) che descrive i due bosoni W e Z, di modo che otteniamo il gruppo complessivo dato dal prodotto dei due gruppi di partenza: U(l) x SU(2)]. Tra i quattro bosoni di partenza, due sono dotati di carica (W+ e W ) e due no (Z° e fotone). Con considerazioni legate alla simmetria di questo gruppo di 4 bosoni si scopre che essi possono venir descritti contemporaneamente in una unica teoria. La relazione più importante, all’interno di questa teoria, la hanno il fotone con il bosone Z°: nessuno dei due può esistere senza l’altro. Inoltre l’interazione dei bosoni W e Z° con altre particelle viene essenzialmente descritta da una interazione elettromagnetica..             .

           Per i nostri fini è sufficiente fermarsi qui. Ma nessuno si illuda, le cose sono enormemente complesse, soprattutto alla luce della gran mole di matematica che è in gioco.

           Resta solo da accennare ad una delle previsioni della teoria elettrodebole: il decadimento del protone. Questa particella fino ad ora ritenuta stabile, secondo questa nuova teoria, dovrebbe essere instabile, anche se con un tempo di decadimento mostruosamente grande: 1037 anni!

           Già su questa strada ci si muove in varie parti del mondo; si cercano protoni che decadano. Uno dei laboratori più avanzati in questo campo è quello situato sotto la vetta del Monte Bianco, a 5.000 m sotto la vetta. Il gruppo di ricerca che vi lavora, è il Nusex, al quale collaborano fisici dell’Infn di Frascati e di Milano, dell’Università di Milano e del CNR di Torino, diretti da  Ettore Fiorini. Fino ad ora sembra si sia registrato un solo evento di decadimento di un protone, ma non basta; ce ne vogliono almeno due. Ciò che appare sconcertante è che, se da una parte questo supposto evento discende dalla teoria elettrodebole, dall’altra la nega per il modo di decadimento. Quest’ultimo sembra più in accordo con altre teorie del tipo Supersimmetria. o Supergravità. Non resta che aspettare per cercare di capire come vanno le cose. La fisica è un campo sempre aperto: non vi sono mai verità definitive.

           In conclusione si può dire che, anche se a tutt’oggi (1985) non possediamo nessuna teoria che unifichi tutte le interazioni, certamente siamo sulla buona strada; disponiamo di una teoria elettrodebole e di svariati indizi che sembrano preludere ad una unificazione ulteriore con la forza forte (tramite i quarks che scambierebbero anch’essi bosoni vettori intermedi). Incredibilmente l’interazione più antica, la gravitazionale, è la più difficile da essere messa in riga. Intanto manca ancora l’evidenza sperimentale del gravitone, che viene assiduamente cercato (anche qui, oltre al gruppo di Weber negli Usa, è in primo piano il gruppo di Arnaldi – ora scomparso – a Frascati).

           Un’osservazione è d’obbligo: queste ricerche sono molto costose (incredibilmente!). Al di là dei facili e giustificati entusiasmi, un dubbio potrebbe insinuarsi nella mente del cittadino: a che serve ? La risposta è a ciascuno di noi; basti solo osservare che le ricadute, anche se molto mediate, sono enormi. Chi avrebbe potuto pensare solo pochi anni fa che gli acceleratori lineari sono un efficace strumento contro i tumori? Chi avrebbe potuto pensare che dai più strani effetti studiati in fisica sarebbero poi discese le radiografie, le ecografie, le sonde a fibra ottica, le risonanze magnetico-nucleari, le TAC, … Insomma, lavorare in questi campi, apre alla conoscenza non solo dell’infinitamente piccolo ma anche della costituzione dell’universo, con una montagna di tecnologia che si realizza lungo la strada e che fornisce fall-out.

           Un’ultima considerazione è relativa al perché le tre forze fondamentali della natura ci si manifestano in modi così differenti (escludendo in queste discorso la gravitazione):

Le differenze sono sensibili principalmente perché oggi l’universo è molto freddo e quindi le particelle in generale hanno bassa energia. Se si potessero eseguire esperimenti ad energia estremamente alta, l’unificazione diventerebbe chiara in tutta la sua semplicità. I leptoni ed i quarks si trasformerebbero liberamente gli uni negli altri e le tre forze avrebbero tutte la stessa intensità. Si è calcolato che l’energia necessaria per poter vedere l’unificazione delle particelle e delle forze in questa forma drammatica è di circa 1015 GeV.” (H. Georgi, su Le Scienze n° 154, pag. 56).

                                              BIBLIOGRAFIA

Yang – La scoperta delle particelle elementari – Boringhieri 1969.

Tolansky – Introduzione alla fisica atomica. – Boringhieri 1966.

Segré – Nuclei e particelle – Zanichelli 1966.

Gouiran – Particelle ed acceleratori – II saggiatore 1967.

Ford – Fisica delle particelle – EST Mondadori 1965.

H. Fritzsch –  Quarks – Urstoff unserer Welt – Piper & Co. Verlag, Munchen 1981.

Baracca, Bergia – La spirale delle alte energie – Bompiani 1975.

Quercia – Gli acceleratori di particelle – Cappelli 1961.

Weinberg – La scoperta delle particelle subatomiche – Zanichelli 1986.

AA.VV. – Le particelle fondamentali – Letture da Le Scienze (l98l).

Cline, Rubbia, Van der Meer – Alla ricerca dei bosoni vettori intermedi – Le Scienze n° 165.

Ishikawa – Glusfere – Le Scienze n° 173.

Rebbi – Reticoli e confinamento dei quarks – Le Scienze n° 176.

Harari – La struttura dei quarks e dei leptoni – Le scienze n° 178.

Mistry, Poling, Thorndilce – Particelle dotate di bellezza nuda – Le Scienze n° 181.

Vi sono poi moltissimi altri articoli su Le Scienze che sono di grande interesse e per la cui lettura, oltre ai prerequisiti che sono almeno ciò che qui ho provato a scrivere, serve la preparazione di un bravo ed interessato studente di liceo scientifico.



Categorie:Fisica e Storia della Fisica

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