Scuola: dieci anni dopo

Roberto Renzetti

           Fino al fatidico 1968 la scuola viveva una sua vita separata scossa da ben pochi eventi. Dalla Liberazione vi era stato un unico momento molto qualificante, l’introduzione della Scuola Media Unica nel 1962/1963 con l’eliminazione dell’avviamento professionale che moltissimi ragazzi dovevano scegliere (per ragioni di censo) dopo la quinta elementare.

        Il resto restava immutato con una struttura essenzialmente piramidale della scuola che vedeva al vertice il Liceo Classico. Gli studi erano molto faticosi e per pochi (anche qui il censo era causa di precoce ‘mortalità’). In compenso chi arrivava alla fine di essi era quasi sempre gratificato con un sicuro sbocco professionale.

        Gli anni ’60 sono ricordati come gli anni del ‘boom’ economico: un benessere sempre maggiore riguardava il tessuto sociale del Paese (anche se profondi squilibri continuavano ad esistere). La chiusa e rigida struttura della scuola non si adattava più ad una richiesta maggiore di scolarizzazione. Il malcontento, il disagio, le difficoltà di accesso per nuovi soggetti, ciò che si chiama comunemente come richiesta di ‘diritto allo studio’,…tutto questo dette il via alle vicende del 1968 (che poi proseguirono su strade che non è questa la sede per indagare).

        La risposta politica e quindi normativa alle possenti manifestazioni di piazza fu populistica, piccola negli intenti, priva di prospettive, cialtrona nella sostanza. Si confusero cause con effetti e si credette di risolvere e tacitare il malcontento generalizzato con quella ‘riforma’ sulle uscite (quindi sugli esami) piuttosto che prevedere una rimessa in discussione dell’intero impianto scolastico (impianto che autorevolmente discendeva dalla ‘più fascista delle riforme’, quella Gentile del 1923).

        Questa pseudoriforma, che doveva essere solo un inizio di un qualcosa che non si è mai visto, prevedeva tre fatti estremamente importanti:

– Semplificazione degli esami finali (1969). Gli esami che fino ad allora si erano fatti su tutte le materie di studio con scritti ed orali (ed importanti incursioni sull’ultimo triennio di studio), si facevano ora su due soli scritti e due materie su quattro possibili (una indicata dal candidato e la seconda, date le circolari ministeriali che invitavano le commissioni a favorire e non penalizzare i ragazzi, praticamente pure). Si tenga conto che questo esame era stato introdotto sperimentalmente e sarebbe stato cambiato nell’arco di due anni che, con disinvoltura, sono diventati 30.

– Liberalizzazione degli sbocchi universitari (1969). Mentre prima era solo il Liceo Classico ad aprire a qualunque facoltà universitaria, ora questo accesso era ammesso per studenti provenienti da qualsiasi tipo di scuola.

– Gestione collegiale della scuola (1974). Creazione di organismi (Organi Collegiali), mediante dei Decreti Legge di Delega al governo, che avrebbero permesso la direzione delle scelte di fondo della scuola a studenti, famiglie e docenti. Questa legge rimase incompiuta proprio nella parte che avrebbe reso importanti e funzionali tali organi: quella economica. In pratica si poteva programmare ciò che si voleva, poi però non era quasi mai possibile realizzarlo (si tenga conto che questa fallimentare esperienza è alla base della sfiducia che tutti hanno nella possibilità di modificare le cose attraverso strutture istituzionalmente costruite).

– Questi tre cambiamenti comportavano, a margine, un carico di lavoro molto maggiore per gli insegnanti. Tale cosa era prevista ed un decreto delegato avrebbe pensato all’equa retribuzione dei carichi di lavoro aggiuntivi. Tale decreto non fu mai neppure discusso.

        Si può capire che cambiare l’esame senza cambiare il tipo di corso di studi è, a parte ogni altro giudizio, profondamente errato didatticamente: l’esame deve essere funzionale ad un qualche obiettivo che ci si prefigge. Dato che qui non venivano esplicitati obiettivi, c’è da dedurne che l’unico obiettivo era politico e cioè quello di calmare la protesta con un contentino che, alla lunga, è stato esiziale per la scuola.

        A lato di ciò vi erano altre spinte che confluivano nella stessa direzione: una sorta di ‘filosofia’ cattolica (alla quale spesso si è associato il pensiero di qualche marxista immaginario) che, partendo non da Don Milani ma da Maria Montessori , vedeva lo studente come una sorta di vaso di cristallo che non poteva essere toccato senza il rischio di romperlo.

        Con il passare del tempo si è avuta la verifica che con interesse si voleva accreditare: scuola di massa è sinonimo di scuola dequalificata. Gli studenti hanno imparato subito che si potevano ottenere promozioni con il minimo sforzo. E neanche a dire che i tempi in esubero fossero riempiti da un qualche impegno. A partire dalla fine degli anni ’70 (rapimento Moro) vi è stato un completo riflusso che li ha portati ai ‘felici’ anni dell’’edonismo reaganiano’. Gli insegnanti hanno cambiato connotazione sociologica: piano piano colui che aveva scelto la scuola come professione è stato soppiantato da chi la sceglieva perché, attraverso l’elasticità dei suoi orari, era possibile un secondo lavoro che, nella maggior parte dei casi, era quello di moglie/madre (lo Stato è sempre risultato previdente: sopperiva alle carenze dei servizi sociali – sempre più indispensabili in una società che era uscita dal patriarcato e si avviava a dover avere due persone in casa bisognose di salario – con permettere l’esistenza di posti di lavoro che sopperiscono all’assenza, ad esempio, di asili nido). I genitori infine hanno, anche loro, cambiato pelle. Con il passare del tempo e con il misurare la mancanza sempre maggiore di promozione sociale offerta dalla scuola, da interessati all’educazione dei loro figli, sono passati ad essere complici delle loro trascuratezze, svogliatezze e disinteresse.

        In tutto questo la scuola privata, che in Italia è prevalentemente confessionale, non giocava e non gioca alcun ruolo. Non è mai esistita, in Italia, una tradizione di scuola privata. Si è sempre trattato di diplomifici, di oasi di apparente tranquillità in un mondo che sembra esplodere e che espone i ragazzi a vari pericoli.

TENTATIVI DI RIFORMA

        A metà degli anni ’70, sull’onda dei lavori della Commissione Biasini, i vari partiti politici presentarono in Parlamento vari progetti di riforma della scuola. La differenza sostanziale ed anche trasversale tra le varie formazioni era la seguente: dopo la terza media uno o due anni di orientamento per il successivo completamento della scuola secondaria? Il dibattito morì subito. Gli eventi politici resero molto instabili i governi ed i vari progetti di legge non riuscivano mai a completare l’iter parlamentare. Non se ne fece nulla.

        Altre cose spacciate per riforme vi furono negli anni seguenti. Un tentativo fu fatto da Bodrato all’inizio degli anni 80, quindi il ministro Falcucci introdusse l’uso dei computer nella scuola con il suo Piano Nazionale Informatica. Si comprarono moltissimi computer obsoleti alla IBM, ma i risultati non vi furono perché (come al solito) coloro che dovevano essere i portatori di tale nuovo insegnamento (gli insegnanti) furono ‘aggiornati’ in corsi a loro spese ed in pochissime ore (sull’introduzione dell’informatica nella scuola vai all’indice all’articolo che si occupa del problema). Il diventare poi portatori di questo valore aggiunto non è stato mai considerato un qualcosa da remunerare.

        Occorre aspettare la metà degli anni ’80 (epoca CAF) per risentire parlare di riforma della scuola. Si misero su diverse commissioni che studiarono a fondo la riforma dei programmi di insegnamento delle varie discipline contemporaneamente alla loro distribuzione oraria. Tutto il lavoro era coordinato dall’on. Brocca. Uscirono due volumi con i programmi della ‘riforma Brocca’ e fu possibile, da quel momento, iniziare a chiedere (ed ottenere con una certa facilità) al MPI la possibilità di sperimentare la ‘riforma Brocca’. Mancava qualche dettaglio e la riforma sarebbe passata ma Tangentopoli fece cadere quei governi e di nuovo ci siamo trovati a piedi (con molte scuole che, ancora oggi, portano avanti la sperimentazione Brocca, con a lato altre che sperimentano informatica, ed altre che…). Caratteristica NON condivisibile, dal mio e molti altri punti di vista, della riforma Brocca era il fatto che si erano costruiti dei programmi disciplinari ESAUSTIVI. Vi era dentro tutto lo scibile ed erano profondamente non realistici rispetto alla situazione che si viveva e vive nelle scuole. Inoltre un altro pezzo che aveva lasciato l’amaro in bocca era la comparsa delle lobby e delle associazioni professionali: ognuna di queste arrivava per fare il mercato delle vacche sul numero delle ore da assegnare ad una data disciplina. Forti si dimostrarono, in ambito scientifico, le lobby dei chimici, dei geografi,….molto meno quella dei fisici.

            Una ottima iniziativa legislativa si era invece avuta tra il 1990 ed il 1991 con l’introduzione nella Scuola Elementare del modulo in luogo del maestro unico. Ma su questo tornerò ampiamente.

        Un solo cenno ad una vera ’riforma’, la più devastante, fatta dal ministro D’Onofrio del primo governo Berlusconi (1994). Con un decretino si aboliscono gli esami di riparazione. Se uno studente risulta insufficiente in modo non grave (?) in un numero ragionevole (?) di materie, potrà essere promosso con dei 6 rossi (o con circoletto) sui tabelloni finali. Egli dovrà recuperare le sue insufficienze nell’anno seguente (non viene specificato come). Così nasce la garanzia alla promozione per uno studente che, ad esempio, decida in un liceo scientifico di non studiare MAI matematica e fisica. La strada già abbondantemente aperta alla dequalificazione, diventa ora una autostrada.

            Intanto l’URSS è implosa e si apre il mondo alla globalizzazione con industriali ed economisti che iniziano a fare piani di spartizione della gigantesca torta(1). Si tratta, in modo neppure nascosto, di privatizzare la scuola prendendo da essa il massimo profitto e lasciando allo Stato alcune incombenze ancora obbligate. Da apripista alla politica liberista fa il primo centrosinistra con i ministri Bassanini e Berlinguer.

ARRIVIAMO ALL’ERA BASSANINI BERLINGUER (DE MAURO)

        Inizia una vera e seria frenesia riformatrice, con l’unico difetto che i referenti sono i sindacati e non i lavoratori della scuola. Brevemente occorre dire che solo il 30% del personale scolastico è sindacalizzato e su 55 sigle. Voler riformare la scuola sentendo solo quel 20% di insegnanti che si riconoscono in CGIL, CISL, UIL e SNALS corrisponde a non tener conto degli insegnanti come categoria (ricordo che esiste lo strumento del referendum consultivo che certamente può essere un ottimo strumento in mano ad un governo con una parvenza di sinistra). Inoltre vi è un gran peccato originale: la CGIL considera il governo come “amico” e questo fatto è uno snaturare la funzione del sindacato fino a portarlo a negare se stesso per ergersi a difesa del governo contro i lavoratori della scuola (il riferimento è alla sola CGIL perché le posizioni degli altri sindacati confederali è minoritaria con in più una CISL legata storicamente ad incoffessabili interessi di scuole confessionali; vi è inoltre uno SNALS che è sindacato non confederale ma corporativo e spesso “giallo”).

La quantità di riforme, che cambiano profondamente la natura della scuola è molto lunga. La prima legge che interviene sulla scuola del governo di centrosinistra è quella che introduce l’Autonomia scolastica(Legge Bassanini o Legge 59/97 – della quale è rilevante l’articolo 21 – integrata successivamente con il D.P.R. 233/8 ed il D.I. 44/01). 

            Ma prima di entrare in un qualche dettaglio su tale legge, è utile ricordare che quanto in essa sostenuto, relativamente alla scuola, era stato avanzato per la prima volta dal Ministro della pubblica istruzione, Lombardi, di un governo tecnico (quello Dini) che seguì il primo governo Berlusconi e precedette il governo di centrosinistra.

            Tenterò di riassumere in breve quanto tali interventi hanno realizzato:

– si inizia con provvedimenti sulla “autonomia scolastica”. Ogni scuola ha margini per organizzare piani di offerta formativa e gestirsi al proprio interno. Probabilmente questo era l’inizio di un percorso di cui non conosciamo il seguito. Ma sta di fatto che non esiste autonomia se non vi è indipendenza economica e, come nel caso dei decreti delegati del 1974, anche qui nasce una autonomia monca. Inoltre il principio apre a rivendicazioni regionali del tipo: io mi faccio i miei programmi ed io mi assumo chi mi pare. Quest’ultimo aspetto è esaltato dagli altri provvedimenti che delegano alle regioni moltissime questioni di gestione della scuola. Inoltre la legge sull’autonomia, unita a quella sulla dirigenza (si veda più avanti), rende la scuola un feudo di dirigenti in gran parte non all’altezza del loro compito e la rende assolutamente indifesa rispetto alla ricchezza della regione geografica dove la scuola opera.

– Una autonomia come questa prevede un manager che diriga la scuola. Ed ecco che si inventa la figura del Dirigente. Spariscono i vecchi Direttori Didattici e Presidi e vengono sostituiti dal Dirigente unico che ha molti più poteri, poteri che vengono sottratti alla gestione collegiale della scuola (ad esempio, il vicepreside che prima era eletto dal collegio dei docenti, da ora viene scelto dal Dirigente a suo insindacabile giudizio). Questi manager non sono altro che i vecchi presidi che sono diventati manager con discutibilissimi corsetti in cui tutti sono risultati promossi e naturalmente con corsi riservati solo a loro. Cosa è cambiato per loro? Poco rispetto al lavoro. Moltissimo rispetto al salario che, in tempi brevi, sarà portato a quello di prima fascia dei dirigenti dello Stato (fino ad oltre i 100 milioni netti anno, a fronte della media dei 25 milioni netti anno degli insegnanti). Si è creata una casta che improvvisamente non è più integrata con gli insegnanti. Vi è nella scuola una persona che si muove in ambiti e con referenti diversi. Anche dal punto di vista normativo, quando vi fosse una causa di fronte alla pretura del lavoro di un lavoratore della scuola, il Dirigente è difeso dall’Avvocatura dello Stato ed ha una assicurazione pagatagli dallo Stato per rischi derivanti da errori nell’esercizio della professione.

– Naturalmente vi sono strumenti per rendere ubbidienti gli insegnanti al Dirigente. Si inventano funzioni (Funzioni Obiettivo) che sono retribuite (circa due milioni netti l’anno) e che vengono praticamente assegnate dal Dirigente. Tale dirigente si costruisce una corte di postulanti tra insegnanti pagati sempre miseramente. Questa corte è quella che gli dà sempre maggioranze nel Collegio Docenti. La democrazia nella scuola si allontana sempre più. Non è solo questo l’effetto di queste famigerate funzioni. E’ anche quello di iniziare la guerra tra i “poveri”. Ogni insegnante guarda il suo collega con il sospetto che stia manovrando per accaparrarsi egli stesso quella funzione! Qui occorre spiegare. Sembrerebbe logico che, in una scuola, si individuino prima le cose che ci sono da fare (esempio: biblioteca, laboratori, audiovisivi, vicepreside, programmatori didattici, aula informatica, rapporti con …,….), quindi si individuano gli insegnanti che sono più adatti a portare avanti tali funzioni, ed infine si procede alla loro nomina. Se una scuola ha individuato ad esempio 6 funzioni obiettivo, tante dovrebbero essere le persone pagate per quel compito che, detto en passant, vi è sempre stato. INVECE NO! E’ il Ministero che decide che quella data scuola ha diritto ad esempio a due funzioni obiettivo. Così il Collegio Docenti si scannerà per stabilire quale funzione tra tutte quelle che comunemente si svolgono, dovrà essere pagata. Gli altri, quelli che fanno del lavoro su funzioni non pagate, decidono subito di lasciar perdere. Perché quello è pagato ed io no? Bisogna dire che tali bestialità legislative potevano solo venire in mente a pedagoghi della levatura di Benedetto Vertecchi, ex capo del CEDE, che ha trasformato la scuola con RIFORME di questo tipo ed una miriade di altre di tipo CARTACEO. Cioè con il trasformare l’insegnante in un emanuense che deve passare ore al giorno a riempire moduli, cartuccelle in cui si dica: obiettivi, modalità di valutazione, relazione di…, griglie, test, verifiche, tipologie,… A parità di stipendio il lavoro (in massima parte inutile) è cresciuto a dismisura.

– Non si ha il coraggio di intervenire per modificare quel provvedimento nefasto di D’Onofrio (abolizione degli esami di riparazione) e si interviene di nuovo sugli esami finali con analogo metodo scorretto: si cambia l’uscita senza aver definito gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Quali sono le novità dell’esame? Ulteriore semplificazione. Mentre quella orrenda cosa sperimentale che era nata nel 1969 prevedeva una commissione composta da 6 persone: 4 insegnanti esterni alla scuola, uno interno oltre ad un presidente di commissione anch’esso esterno alla scuola. Ora le commissioni saranno formate da 7 persone: tre insegnanti esterni alla scuola, tre interni oltre ad un presidente esterno. Anche le norme con cui si accede agli esami cambiano. Durante gli ultimi anni di scuola secondaria si accumulano crediti a seconda delle medie conseguite, fino ad un 20% della votazione finale; attività fatte dai ragazzi esternamente alla scuola, opportunamente certificate ed in qualche modo attinenti al corso di studi (esempio: un diploma di conservatorio per un liceo classico), apportano crediti; aspetto più importante i ragazzi vengono all’esame con un ‘percorso’ che si sono preparati durante l’ultimo anno e praticamente sono loro che dirigono l’esame; novità di interesse risulta invece una terza prova scritta da realizzarsi dalla stessa commissione con modalità essenzialmente a test. In complesso, se possibile, le percentuali dei promossi con questa nuova modalità di esame, sono cresciute (siamo intorno al 98% e quel 2% mancante è generalmente costituito da privatisti).

– La situazione viene aggravata dall’abolizione dell'”ammissione” agli esami finali. Neppure questo minimo filtro ha più un senso. Quando oggi si dice che le percentuali dei promossi sono le stesse che si avevano con il vecchio esame non si dice il vero. Nel caso del vecchio esame, non si teneva conto di quanti non erano stati ammessi all’esame!

– Altra riforma grave per i precedenti offerti alle forze reazionarie in agguato è quella della parità scolastica (legge 62/00). Si riconosce il principio del sostegno economico alle famiglie che decidono di mandare i loro figli in scuole private (il buono scuola). Usando delle competenze attribuite alle regioni in materia scolastica, sarà l’Emilia Romagna la prima regione a muoversi su questa strada. Questo al fine di accreditare sempre più la sinistra come forza di governo. Questa è la legge sulla quale il nuovo governo si appoggerà per poter ampliare a dismisura il sostegno alla scuola privata. 

– Questo nefasto atteggiamento è stato anche all’origine della generale opposizione di base alla più grande delle riforme, la “Riforma dei Cicli”, mai andata in porto perché bloccata sul nascere dal nuovo governo. Questa riforma, alla quale accennerò più oltre, nasceva con due premesse importanti: si riduceva di un anno l’accesso all’Università degli studenti senza toccare il complesso degli anni che gli studenti passavano a scuola. Ciò si realizzava anticipando ai 5 anni la prima elementare; l’obbligo scolastico era spostato dai 15 anni precedenti ai 18 anni. Con la ricerca dell’accordo a tutti i costi con l’opposizione si sono raggiunti tre risultati negativi (che alla fine hanno affossato la riforma): i tempi si sono allungati in modo che la riforma non aveva ancora il decreto attuativo cosicché il nuovo ministro ha avuto buon gioco a bloccarla; non è stato portato a termine l’anticipo della prima elementare ai 5 anni, cosicché l’intero curriculum scolastico risultava ridotto di un anno proprio nel primo ciclo; l’obbligo è stato portato in modo incomprensibile (perché non corrispondente alla fine di nessun ciclo di studi) a 16 anni. In campagna elettorale la destra ha avuto buon gioco ad attaccare il governo proprio su quei punti che essa stessa aveva preteso e che, scioccamente, erano stati concessi. Gli stessi insegnanti hanno visto, soprattutto nella vicenda della riduzione di un anno all’inizio della vita scolastica dei ragazzi, un motivo di forte opposizione alla riforma legato a due motivi principali: la perdita di molti posti di lavoro; lo snaturamento della struttura elementare più media con una sorta di appiattimento verso il basso.

– Si tenta di blandire il mondo cattolico con la messa in ruolo di professori di religione. Tento di spiegare: tali professori sono assunti nella pratica dalla Curia Vescovile che può dare o togliere il proprio gradimento. Come si possono assumere, nei ruoli dello Stato persone che non sono passate attraverso un analogo meccanismo di selezione che ha riguardato tutti gli altri insegnanti? La Moratti ha seguito questa strada e le proteste da parte CGIL e sinistra varia sono ridicole.

– Penultima vicenda, prima della riforma dei cicli, a mio giudizio, positiva riguarda il cambiamento dell’approccio ai programmi scolastici. Non più ‘alla Brocca’ (i ragazzi sono una scatola vuota da riempire con tutte le nozioni possibili) ma mediante l’individuazione di quelli che sono stati chiamati “saperi di base” o “contenuti minimi”. Qui vi è stata una vera rivoluzione copernicana (tra l’altro in accordo con l’autonomia scolastica): centralmente (il Ministero) individua dei contenuti irrinunciabili alla formazione di base di tutti gli studenti; saranno poi le scuole a livello locale a riempire i programmi a seconda delle esigenze che emergeranno. E’ di interesse notare che per discutere di queste cose si sono sentiti i maggiori esperti italiani nelle varie discipline e ai vari livelli di scuola (senza distinzioni politiche).

– Ultima osservazione riguarda l’individuazione CERTA per il reclutamento degli insegnanti. Basta con le sanatorie e con i corsi di qualche giorno che abilitano con facilità. Si istituiscono le Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (SSIS). Dopo una qualunque laurea, chi vuole affrontare il mestiere dell’insegnante, deve fare un biennio universitario di SSIS. Alla fine di esso, dopo aver superato gli esami previsti, quella persona è un insegnante abilitato che, durante i suoi studi, avrà anche fatto tirocinio in qualche scuola. Ciò avrebbe dovuto originare una graduatoria permanente dalla quale attingere indefinitamente (con l’eliminazione anche dei concorsi mostro). Ma anche qui vi sono state contraddizioni esplose nei primi mesi del 2002. Con le abilitazioni a raffica ed i passaggi di cattedra realizzati a fine della passata legislatura, si è aperta una nuova guerra tra poveri infatti non si capiva bene come accordare coloro che uscivano dalle SSIS con i neoabilitati in un’unica graduatoria.

– Resta la “riforma dei cicli” (legge 30/00). Le attuali elementari e medie (8 anni) divengono un unico ciclo di 7 anni. Vi è poi un biennio di orientamento per scegliere con coscienza il successivo triennio che avrà un carattere sempre più specialistico. Nell’ambito della riforma, gli sbocchi dopo il primo ciclo, che ora sono circa 300, venivano ridotti a 15 eliminando una pletora di scuole professionali ed indirizzi di istituti tecnici industriali ormai obsoleti. La filosofia che si fa strada è: per essere in grado di seguire i lavori che cambiano occorre non tanto una preparazione specialistica quanto una notevole agilità mentale che permetta a ciascuno di costruirsi il proprio sapere in tempi brevi (così come del resto è richiesto dal mondo del lavoro che però, ottusamente con Confindustria, insiste su corsi specialistici che non durano il tempo di chiudere un ciclo di studi). L’AUTONOMIA SCOLASTICA

       Proviamo a capire per punti.

1)      In ambito fisico si tenta di costruire dei modelli che rappresentino il limite massimo di prestazioni di una macchina, di un sistema. Si pensano macchine perfette, rendimenti impossibili, velocità limite. Tutto questo per tentare di capire quali sono i limiti verso cui si tende, sapendo che essi non possono essere superati. Si cerca un asintoto una tendenza, appunto. Nel mondo in cui viviamo e con le vicende politiche che ci circondano, l’asintoto politico-culturale (e militare) sono gli USA. Gli Usa estraggono la loro tradizione dalla Gran Bretagna, naturalmente accentuando gli aspetti elitari di un sistema neoliberista che, anche con il G8, individua nell’istruzione un asse su cui deve muoversi il neoliberismo. Ed il neoliberismo reclama l’autonomia scolastica. Vi possono essere maggiori o minori correttivi che nascono dalla FORZA di un impianto scolastico sperimentato e sedimentato, ma è innegabile che tutti, in prima linea la Confindustria per ammissione esplicita, tendano a quel sistema.

2)      Si possono andare a cercare altri sistemi scolastici. L’autonomia produce scuole dequalificate OVUNQUE: Canada, Olanda, Belgio, ….Altri sistemi scolastici come la Spagna, sono ancora in via di assestamento e non hanno una storia da contrapporre ad altri sistemi, la Francia e la Germania vivono crisi profonde che hanno fatto scegliere alla prima riforme che portino quel sistema vicino a quello italiano preberlinguer ed alla seconda un ripensamento complessivo che ancora non sfocia in un progetto organico. Eppure la Francia è la madre delle scuole che sono state le più prestigiose del mondo, quelle politecniche nate dalla Rivoluzione Francese, dalle quali hanno preso ispirazione proprio quelle tedesche al momento della nascita della Germania stessa (e queste scuole sono andate in crisi negli anni 80 proprio quando si tentò di avvicinarle al mondo del lavoro: una preparazione troppo specifica non era utilizzabile dall’industria che si riciclava; occorrevano menti aperte che fossero in grado di cambiare).

Per quanto possa sembrare strano la nostra esperienza scolastica preberlinguer ha prodotto gli studenti che riescono, a qualunque livello, ad inserirsi come i migliori in qualunque scuola del mondo occidentale. Il viceversa non accade. 

3)      Noi abbiamo una autonomia, in Italia, praticamente da sempre: le scuole professionali (a gestione clericale e sindacale, anche CGIL) che sono le più arretrate nel panorama educativo  italiano. E tanto è vero quanto sostengo che gli strali (comunque stupidi) della Confindustria puntano soprattutto lì. Cosa hanno fatto i gestori cattolici o sindacali delle scuole professionali? Un ghetto e basta!

4)      Ma l’autonomia non può essere solo argomento di seminari ed incontri in cui ci si racconta TRA TEORICI  di cosa si tratta. Occorrerebbe conoscere la realtà sul campo ed avere una informazione non drogata da chi esercita la professione docente. Vediamo allora come  la valutazione del sistema educativo abbia riscontro  nell’autonomia progettata dalle leggi Bassanini-Berlinguer. L’autonomia nasce con “l’invenzione” della dirigenza. E nasce pure male perché nasce in un ambito di spartizione di posti e potere tra sigle sindacali e potentati politici. Il 5 agosto del 1998 vengono istituiti i corsi delle 300 (ma anche 240) ore per Dirigenti. I “vecchi” presidi e direttori didattici partecipano ad una selezione che avrebbe dovuto trasformare ranocchie in principesse. Il fatto straordinario che il miracolo è riuscito! Tutte le oltre 10 mila ranocchie sono diventate principesse!  Nessun bocciato! Vuol dire che tutti i burocrati italiani con circa 250 ore di corsetti (con qualche aiuto sindacale e qualche costoso corsetto dei vari Maragliano)  possono diventare dirigenti. Ed i dirigenti sono i gestori dell’autonomia. Ora, dal punto di vista di chi crede all’autonomia, la qualificazione dei dirigenti dovrebbe essere irrinunciabile. Ma neanche a pensare che l’autonomia potesse nascere con un concorso aperto a TUTTI (!) e che i migliori diventassero i manager di essa! Il concorso è riservato. Ma ora il sindacato cambia? NO! Continua nella sua  politica che nega tutto ciò per cui varrebbe la pena  battersi. Nel futuro concorso a Dirigente, su asfissiante pressione CGIL, CISL ed UIL,  ancora vi è quello riservato ai presidi incaricati triennali (50% dei posti) ed un punteggio “pesante” ai semplici incaricati. Di nuovo i controllori dell’autonomia sono truccati e  si continua sulla strada della FAMIGLIA. L’Italia ama la famiglia (nella sua accezione allargata). Se la gestione di una data cosa è fatta da un amico mio va certamente bene. E questa è la premessa del Paese culla del NON DIRITTO. Il Ministero dovrebbe controllare una cosa che conosce da vaghe relazioni di persone, magari preparate, ma certamente non docenti in servizio attivo. E nessuno di noi ha strumenti di controllo per quel Ministero. Non lo conosciamo e non conosciamo le competenze di chi entra con Berlinguer e deve poi operare con Moratti. Ci si rende conto che la gran parte delle riforme sono  RIFORME CARTACEE? I POF che dovrebbero stabilire quale scuola è migliore, in modo che gli utenti possano scegliere. Come dove e quando per gli ottomila comuni in gran parte sparpagliati sul territorio nazionale? Come controllare l’intreccio con il potere locale o la deriva di un suo disinteresse che potrebbe avvicinare ad un intervento privato che pieghi l’istituzione ai suoi fini, quantomeno di lucro? Come è possibile burocraticamente stabilire griglie di conoscenze, competenze e capacità? Non è che pedagoghi e docimologi hanno preso il potere a scapito di tutti coloro che sanno come lavorare da anni e non hanno bisogno di tassonomie che si aggiungono a tassonomie ?  Questo insistere su valutazioni oggettive su prove strutturate, su terze prove, tutto questo ha caricato di lavoro i docenti distraendoli dalla loro professione e dall’aggiornamento disciplinare; e, per tutta ricompensa, alla nascita dell’autonomia faceva da contraltare il dimezzamento delle risorse del Ministero. Ma la cosa era ben chiara a chi scriveva quelle cose. I soldi sarebbero arrivati da “piani di ridimensionamento della rete scolastica” [letterale, n.d.r.] che vogliono dire ciò che stava facendo la Moratti in modo esplosivo: eliminazione di personale, accorpamenti, verticalizzazione, … In proposito, osserva “Mani Tese”: “è un quadro poco confortante reso ancora meno incoraggiante dalla decisione politica di accordare , contrariamente a quanto è scritto nella Costituzione, gli stanzianti alle scuole private, le quali ottengono la parità nonostante il loro arbitrario sistema di reclutamento e di valutazione [ancora!] degli insegnanti differisca notevolmente da quello delle scuole statali”. E tanto si risparmiava che spariscono le “figure di sistema” che erano all’interno dei piani dell’autonomia (ed ogni cosa di queste ricade sempre sugli insegnanti a costo zero, ma d’altra parte era il sacro impegno di Berlinguer, una grande riforma sempre a costo zero). 

Ma poi, come si controlla una autonomia se non si hanno sistemi di riferimento inerziali? Oppure è previsto che ognuno vada davvero per conto suo? In questa mancanza di riferimenti (valutare cosa con quali obiettivi che, nella stessa legge sono generici e non definiti?). Certo che le varie leggi in proposito di questo non parlano ed a partire dal 1999-2000, quando è partita la sperimentazione dell’autonomia, i dati sperimentali sono assolutamente non incoraggianti.

Proprio quei dirigenti raccattati in quel modo indegno (la madre di ogni fallimento), insieme alle prebende di fondi incentivanti e funzioni obiettivo ha snaturato addirittura la gestione democratica della scuola. Tutti quelli che lavorano DENTRO la scuola sanno che da quella data si è creato un circolo vizioso: la gestione dei fondi è a discrezione del dirigente; i livelli miserabili dei salari degli insegnanti hanno creato una corte dei miracoli; il dirigente elargisce denari a coloro che sono fedeli esecutori, non tanto di un POF, quanto dei suoi voleri; si crea una corte del dirigente che è la sua maggioranza nel Collegio Docenti; fine della storia; in tragedia.  Ma vi è un altro aspetto non marginale da discutere sul quale la stessa CGIL ancora insiste, per me, incomprensibilmente: l’assegnare i denari per un presunto merito con la nefasta conseguenza di creare una categoria a salario variabile da scuola a scuola e all’interno della stessa scuola. E tutto ciò, io credo, sarà fuori di una qualunque valutazione oggettiva di merito (chi valuta chi? stando le premesse nel modo che tento di dire).

E questa storia dei POF è uno dei peccati originali dell’intero impianto perché non si assegnano dei fondi per alcune funzioni obiettivo affinché poi la scuola li suddivida ai meritevoli. Il processo dovrebbe essere esattamente inverso, nell’ipotesi si voglia proseguire su questa strada: quante sono le funzioni obiettivo individuate da una data scuola? Quelle si finanziano! E questo evita quella guerra tra poveri di cui si diceva. Tutto funziona così? Certamente no ma, altrettanto certamente, è così in moltissime scuole e per inerzia o anche per il principio del minimo sforzo tutto si siederà su questo (è il nostro asintoto). 

Ma è possibile che, a parte la situazione docente che pure è elemento fondamentale, nessuno al MIUR  si accorga (o al MPI si sia accorto) di una valanga che sta travolgendo la scuola, valanga che nasce da elementi psicopedagocici di origine cattolica ed in parte di certi strati marxisti poco acculturati. Maria Montessori e Rogers sono stati le levatrici della scuola del disimpegno. La classe politica, invece di recepire i ceffoni di Don Milani, ha recepito la non direttività, il bambino e l’adolescente che non si toccano neppure con un dito. Così arriviamo alle docimologie che devono essere nostro patrimonio, passiamo attraverso griglie di ogni tipo, terze prove, prove oggettive, a scelta multipla, vero o falso, a risposta aperta, max 20 righe o ciò che vi pare e poi…. Per poter bocciare un alunno occorre che ti spari in faccia. Con la riforma Berlinguer dei soli esami infatti (e tenuto conto di tutte le circolari che invitavano a promuovere e di tutti gli orpelli formali che ti fanno promuovere, altrimenti il professore boccia ma il Tar no) la percentuale dei promossi è apparentemente restata la stessa ma in realtà è aumentata abbastanza.  A lato della frustrazione che nasce dal fare un lavoro che vede tutti promossi a priori con la conseguenza che solo qualche studente lavora (e qualche altro se lo corrompi!), vi è anche la perdita di quel pezzo che la nostra scuola poteva vantare come un suo successo: le interrogazioni. Purtroppo non sono prove oggettive, ma sono le uniche prove che insegnano a discutere ad interloquire e ad argomentare. Tali interrogazioni non esistono in gran parte del mondo. Crocette e quasi basta. Infatti si è perso il senso della “discussione”. Si litiga e si tenta piuttosto di distruggere l’avversario piuttosto che sentirne le ragioni. 

5)      Dice Michel Bosquet nella sua “Critica al capitalismo di ogni giorno” che: “Non può esserci sistema educativo di ogni giorno quando l’autonomia degli individui non si compie né nel  lavoro né nel tempo libero. Quando tutto insomma diseduca. Perché l’educazione diventi possibile, occorrerebbe che la società tutta intera diventasse educativa e che scomparisse la separazione tra imparare e produrre, studio e lavoro, lavoro e tempo libero, favorendo allo stesso modo in tutte le attività sociali la compiutezza degli uomini”. Ora so bene che tutto questo è come un elastico che ognuno può tirare come e dove vuole ma il riferimento dalla mia posizione culturale antiliberista  mi porta a intravedere pericoli immensi nella scuola dell’autonomia. La rincorsa appunto ad una scuola che prepari a quei fini che sono di quell’ideologia e di quella visione politica orrenda e macinatrice di milioni di morti l’anno. Tutti sappiamo inoltre, come ho già detto, quanto il G8 tenga ad una scuola finalizzata al liberismo.

L’ARRIVO DELL’AZIENDA IGNORANTE AL POTERE

        Già in epoca di campagna elettorale (primavera 2001), chi conosceva qualcosa della scuola aveva capito che, nel malaugurato caso (poi realizzatosi) della vittoria della destra alle elezioni del 13 maggio, una ventata distruttiva avrebbe investito la scuola. L’azienda, l’approssimazione, il profitto, l’ignoranza, il disinteresse completo per uno dei beni di base di un Paese moderno sono e restano la base delle prospettive di “riforme” scolastiche fatte balenare dalla destra berlusconiana.

Le gesta di questi ignoranti al potere è annunciata da un documento firmato da persone di cultura (?) e da industriali su come la scuola dovrebbe essere riformata. Di tale documento riporto gli obiettivi che si intendono raggiungere per muoversi sulla strada della “libertà”, dei valori che, esplicitati nel seguito, diventano efficienza:

  1) lo Stato finanzi ma non gestisca l’istruzione di tutti i cittadini;

2) si affermi una pluralità di offerte e istituti formativi, statali e non, e una pluralità di opzioni possibili per il cittadino;

3) viga la pari dignità tra le diverse scuole e quindi l’assoluta irrilevanza del fattore economico nella scelta da parte dei cittadini ;

4) si giunga all’abolizione del valore legale del titolo di studio,necessaria conseguenza di tale nuovo assetto;

5) A tal fine lo Stato deve fissare quanto intende spendere annualmente per la formazione di ciascun cittadino;

6) deve disporsi poi a riconoscere quella somma, diversificata a seconda del grado di istruzione, alla famiglia di ciascun alunno, utilizzando appositi bonus o altri analoghi strumenti;

7) si può infine prevedere che gli alunni iscritti a scuole non statali gravino sulle casse dello Stato per un 10% in meno di quelli che scelgono la scuola statale. C’è infatti da calcolare una serie di spese fisse che lo Stato è comunque chiamato a sostenere, ad esempio nei piccoli centri a scarsa popolazione scolastica e dove però l’istruzione va comunque garantita. C’è per converso da pensare che altri sussidi, familiari, di enti privati e imprese possano giungere alla scuola non statale.

Il documento è stato sottoscritto da

Ferdinando Adornato, Dario Antiseri, Antonio Augenti, Paolo Blasi, Carlo Bo, Dino Boffo, Pellegrino Capaldo, Innocenzo Cipolletta, Emma Marcegaglia, Antonio Martino, Letizia Moratti, Angelo Panebianco, Sergio Romano, Cesare Romiti, Giorgio Rumi, Paolo Savona, Lorenzo Strik Lievers, Marco Tronchetti Provera, Stefano Versari, Giorgio Vittadini, Sergio Zaninelli

Tutta bella gente come si può notare.

LA SCUOLA MORATTI

Nel 2001 vi è il cambio di maggioranza ed alla pubblica istruzione arriva Letizia Moratti. Primo atto del ministro è il blocco della riforma di cicli Berlinguer-De Mauro. Molti istituti che si erano già attrezzati per i nuovi saperi di base da iniziarsi in prima elementare (musica ed inglese) hanno dovuto desistere.

        Secondo atto è stato la messa in piedi di una commissione formata da sei saggi (?) e presieduta dal Professor G. Bertagna, un pedagogista cattolico di Bergamo. Il documento conclusivo di tale commissione farà da base alla riforma Moratti della scuola.

        Vediamo in breve gli aspetti salienti di tale riforma.

– Innanzitutto si applica l’ultima riforma Bassanini, l’eliminazione del Pubblico al ministero dell’istruzione.

– La scuola privata sarà finanziata in violazione della Costituzione, come iniziato da Berlinguer

– Consulente per la scuola di Letizia Moratti è Muccioli, quello che ha metodi convincenti per “guarire” i tossicodipendenti

– Gli esami finali saranno fatti da sole commissioni interne con un presidente esterno per un intero istituto e non per ogni classe (si immagini la gioia degli esamifici confessionali e non): art. 13 della finanziaria. A margine va osservato che gli insegnanti degli ultimi anni dovranno scrutinare gli studenti 10 giorni prima degli esami. A che servono gli esami? Conseguenza di ciò è una cosa di estrema gravità già prevista dal Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli: abolizione nei fatti del valore legale al titolo di studio.

– Si lasciano inalterati i cicli elementari e medie; si riduce di un anno la scuola secondaria.

– Si reintroduce tra i 12 ed i 13 anni l’odioso avviamento professionale (che, lo ricordo, era stato eliminato nel 1963).

– I salari degli insegnanti vengono ridotti (aumento mensile lordo di 9 mila lire, che è più basso dell’erosione salariale dovuta all’inflazione): art. 9 della finanziaria.

– Gli insegnanti che dovessero assentarsi per meno di 16 giorni non hanno diritto ad un supplente: dovranno essere sostituiti dai colleghi in servizio che saranno per questo pagati 27 000 lire nette l’ora (data la situazione disperata di molti insegnanti vi sarà la corsa a queste ore che potranno essere assegnate fino a che l’insegnante non arrivi alle 24 ore di insegnamento). Se nessuno fosse disponibile a sostituire il collega per una assenza breve la classe rimarrebbe scoperta (immaginate 4 o 5 classi scoperte in una scuola media). Ecco il modo per arrivare agli aumenti di stipendio! (art. 13 della finanziaria). Per ora la cosa è posta su un piano facoltativo. Ma, al momento in cui si andrà a regime, quando cioè non sarà più possibile avere supplenti e saranno abolite le cattedre orario, quelle ore in più diventeranno obbligatorie per gli insegnanti che lavorano nella scuola. La qualità della scuola pubblica scenderà e sempre più persone penseranno ad utilizzare la scuola privata.

– Il numero delle ore che dovranno essere fatte da qualsiasi ordine di scuola non potrà superare le 25 settimanali. Ciò comporta l’eliminazione di alcune materie ritenute non necessarie: musica ed educazione fisica dovrebbero sparire, la matematica dovrebbe sparire nel classico mentre il latino nello scientifico. Finisce il tempo pieno e quello prolungato. Finiscono i moduli nelle elementari. Chiunque volesse sviluppare le discipline eliminate può farlo a pagamento in ore extra.

– Le pulizie scolastiche dovranno essere fatte da imprese esterne alla scuola. Sparirebbero così i bidelli che svolgono una importante funzione ai piani. (articoli 15, 16, 17, 18, 23 della finanziaria)

– Analoga sorte per l’amministrazione della scuola che dovrebbe andare ad agenzie esterne (come sopra).

– Gli organi collegiali vengono eliminati e sostituiti da un “consiglio di amministrazione” della scuola in cui compare per la prima volta un politico, il rappresentante dell’Ente proprietario dell’edificio (Stato, Regione, Provincia o Comune): art. 13 della finanziaria.

– Vi è il divieto di assunzione di nuovo personale a qualsiasi titolo. Si prevede una riduzione di personale di 40 000 unità (ampiamente in grado di coprire l’obbligo per ciascuna amministrazione di ridurre il personale almeno dell’1%): articoli 12 e 13 della finanziaria.

– A margine, non si sa bene che fine faranno tutti coloro che, dopo la laurea, hanno già imboccato la strada delle SSIS. Tempo perso? Presi in giro?

– Viene istituita una agenzia, esterna alla scuola, che valuterà il lavoro della scuola stessa. Non è retorico chiedersi il senso di tale misura e forse vale la pena ricordare che, anche qui, Moratti si muove su una strada aperta da Berlinguer. 

        La proposta Bertagna diventa una legge (53/2003) che mantiene, peggiorandole, le riforme Bassanini-Berlinguer. Dato che la scuola pubblica è destinata alla decadenza, molti genitori tenteranno un rifugio nella scuola privata. I livelli di quest’ultima non miglioreranno certamente dato che i criteri di assunzione del personale sono e resteranno non oggettivi e legati a scelte ideologiche precise. L’effetto unico possibile riguarderà l’aumento dei profitti. E basta. Nell’attesa dell’introduzione dei metal-detector nella scuola pubblica.

Cosa è cambiato con questa riforma rispetto al progetto Bertagna, all’esistente e rispetto a Berlinguer? Si tratta di sciocchezze verbali nelle enunciazioni e delle mazzate violente nei fatti.

Per leggere questa riforma occorre rifarsi alla finanziaria di Tremonti che taglia i fondi dell’Istruzione di un 19% e che ha introdotto il fatto che tutti i servizi scolastici saranno effettuati da aziende esterne alla scuola.

Le due cose insieme vogliono dire:

1) riduzione da qui al 1° settembre 2004 (due anni scolastici) di 56.000 posti di insegnanti “di ruolo” nella scuola,

2) ciò va aggiunto al fatto che non sarà più possibile avere precari e supplenti (circa 60 000 persone)

3) occorre ancora pensare a 20 000 posti di bidelli e personale di segreteria che spariranno.

Come si realizzerà tutto ciò?

1) Il numero massimo di ore che i ragazzi faranno a scuola sarà di 25 a settimana

2) Le materie saranno ridotte, da quelle che sono, ad 8 (o massimo 10)

3) Spariranno (ciò che ora si sa) educazione tecnica, educazione musicale, educazione artistica, educazione fisica (chi vorrà fare di queste cose se le pagherà con corsi a pagamento)

4) Se una scuola parte, ad esempio, con 10 prime classi con 25 alunni ciascuna e l’anno successivo vi sono un totale di 200 alunni (50 sono stati bocciati o si sono ritirati), si rifanno le classi che non potranno essere più di 8 (minimo 25 alunni per classe con conseguente sparizione della continuità didattica). Questa operazione di accorpamento delle classi può avvenire ogni anno.

5) Non si potranno nominare supplenti per assenze fino ai 16 giorni. Saranno i professori della scuola che dovranno fare fronte all’assente (pagati 27.000 lire nette l’ora). Chi conosce la scuola sa cosa ciò vuol dire: è praticamente impossibile fare qualcosa di utile in una sarabanda di supplenze non continue con lo stesso insegnante.

6) Le lingue così come sono previste sono l’esatto identico della riforma Berlinguer, con una aggravante Moratti: saranno licenziati tutti quelli che davvero facevano imparare le lingue, gli 11 000 insegnanti di madrelingua che attuavano nei laboratori linguistici

7) La prima elementare che inizia a 5 anni è l’esatto identico di quanto previsto dalla prima versione della riforma Berlinguer, bocciato per il buonismo del centrosinistra, a seguito delle violente proteste del Polo (e della sua ala cattolica in combutta con i cattolici dell’Ulivo). Si tenga conto che questo cedimento del centrosinistra è quello che ha poi creato il maggior malcontento tra insegnanti ed utenti (i cicli che vedevano una riduzione di un anno tra elementari e medie)

8) Chi conosce la scuola sa quanto siano importanti i bidelli agli ingressi ed ai piani. Questa riforma li vede solo come addetti alle pulizie. Saranno aziende esterne alla scuola ad occuparsi di pulizie, con la sparizione di bidelli e la scuola lasciata in balia di se stessa con ogni nefandezza che può accadere nei corridoi

9) Anche le segreterie spariscono con il solito sistema delle agenzie esterne

10) Gli insegnanti non avranno nessun miglioramento economico ma, a seguito degli accorpamenti, dovranno certamente avere cattedre di 18 ore che possono arrivare fino alle 24. Con 24 ore si moltiplicano compiti in classe , lezioni da preparare, consigli di classe, ricevimenti genitori. La qualità scende. I rapporti con i singoli studenti pure. Andremo al trionfo dei quiz ed alla sparizione delle interrogazioni. La contropartita, quello che è considerato aumento di stipendio? Sono le 27.000 nette l’ora per i servizi accessori.

11) Fine di ogni programmazione didattica. La scuola è determinata dal consiglio di amministrazione che potrà farla virare su gli interessi di una fabbrichetta vicina che sponsorizza. Naturalmente anche la gestione democratica non esiste più

12) Sperimentazioni e simili decadono dall’inizio dell’anno prossimo per legge

13) La cosa più grave di tutte è la scelta a 12 anni (inizio della seconda media) tra licealizzazione e professionalizzazione. E’ detto che saranno possibili dei passaggi orizzontali. E’ una menzogna. Nessuno, dopo due anni di programmi così divaricati, potrà passare da una parte all’altra (è vero invece che si fornisce giovane manodopera alle fabbrichette del nord, poiché tale manodopera gratuita sarà poi un titolo di merito agli esami finali). Altro che abolizioni dei crediti e prosopopee varie sui giovani avviati al lavoro!

14) Tutti coloro che hanno affrontato tali questioni sanno che una preparazione professionale specialistica NON è vendibile su nessun mercato. Iniziando oggi una data specializzazione essa sarà terminata tra 5 anni. Che valenza avrà allora? Ciò che tutti chiedono non è questa sciocca operazione ma una preparazione più generale che permetta di acquisire le abilità mentali che permettono la tanto lodata flessibilità. Qui si gioca su persone che saranno magari usate qualche anno , ma poi saranno gettate perché non in grado di reinserirsi in un nuovo modo di produzione!

15) Gli esami finali affidati a commissioni interne sono un gravissimo attacco al valore legale del titolo di studio e la molla più potente per scardinare la qualificazione della scuola pubblica: i professori dell’ultimo anno che non volessero lavorare dovrebbero solo garantire la promozione a tutti. Si ottengono due perfidi risultati: tutti promossi con livelli indecenti di preparazione; degli insegnanti completamente nullafacenti.

16) Checché ne dica qualche buontempone gli insegnanti NON HANNO CARRIERA e non l’avranno! La valutazione del merito era esattamente quanto aveva messo in piedi Berlinguer con l’Istituto della valutazione del lavoro degli insegnanti gestito dal CEDE di Frascati e dalla Biblioteca Pedagogica e Didattica di Firenze. Qui valgono le stesse obiezioni a Berlinguer: chi valuta chi?

17) Il tutto è una regalia alle scuole private (che tra l’altro godranno di lauti finanziamenti). Tutto il caos che verrà indotto nelle scuole di Stato convincerà molti a dirottare i propri figli verso le scuole private che non hanno i vincoli delle scuole pubbliche (è un poco come Mediaset che non ha i vincoli della Rai). I diplomifici potranno funzionare a pieno ritmo, infatti, essendo stata abolita l’ammissione agli esami finali, ed essendo possibile che una scuola di salesiani faccia gli esami ai suoi alunni, saranno possibili salti olimpici. In pochissimi anni tutta la borghesia ignorante del nostro Paese si addottorerà passando attraverso questi diplomifici e certe università di campioni del calcio. La moneta di scambio è oggi l’euro.

18) L’impianto è gentiliano e chiunque ha visto i servizi TV se ne sarà accorto. Si dice: “resta l’impianto umanistico letterario dei licei a cui si affianca la formazione professionale”. Quindi si continua a spacciare il liceo scientifico per un liceo umanistico (e se il tutto resta così lo è senza ombra di dubbio). Ma poi si parla del liceo tecnologico. Ma anch’esso non è scientifico. Insomma, ancora oggi, le scienze non hanno dignità. Sono, alla Gentile, mere tecniche che nulla danno all’uomo ed alla sua formazione.

      I miserabili (gli insegnanti) che lavorano dentro questa istituzione, non hanno né la forza, né la volontà di reggere questo impatto distruttore. O se ne fanno carico tutte le categorie o l’intera società perderà ogni residua speranza di crescita morale e civile.

FIORONI BASTICO, I CENTROSINISTRI

         Nel 2006 ritorna il centrosinistra al potere e qualcuno ha una qualche speranza, l’ultima. All’istruzione viene mandato un quasi teodem, tal Fioroni a cui viene affiancata la diessina Bastico. Prime gesta di questi campioni del nulla è mettere su delle commissioni in base a ciò che tutti ormai sanno: quando non si vuole risolvere una questione, si nomina una commissione. Qui se ne sono fatte diverse con una che doveva guidare le danze. E questa viene affidata ad un altro quasi teodem, Ceruti, del paese di Bertagna, Bergamo.

        Nella Commissione presieduta da Ceruti (e, si badi bene, selezionata dal viceministro DS Bastico, oggi democratica), ad esempio, vi è Italo Fiorin della LUMSA di Roma che ritrovo anche in altra commissione, quella per l’insegnamento della matematica (24 docenti di cui tre insegnanti). Caspita! deve essere un professorone. Sai la LUMSA …. Dispiace deludere chi ci aveva creduto perché la LUMSA, pensate un poco, è la Libera Università Maria Ss Assunta (un pensatoio sommamente squalificato che ha laureato la Prestigiacomo !). E Fiorin insegna pedagogia et similia (capito Pirani ?) ed ha stretti rapporti con la rivista La Scuola di Brescia che è gestita da Bertagna. Chiaro no ? Ma non è finita perché abbiamo anche il prof. Lucio Guasti, altro pedagogista, dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Altri illustri partecipanti sono, a parte i rappresentanti degli affari ecclesiastici, pseudoscienziati (pedagogisti, psicologi, sociologi, docimologi). Con questi apprendisti stregoni, la scuola passa gran parte del suo tempo a discutere se stessa e la sua modificazione e, a forza di percepire l’oggetto dal punto di vista della sua riforma (in sé), ci dimentichiamo dell’oggetto per sé. In particolare i contenuti non esistono più, ingombrano e basta, anche perché i nostri pedagogisti hanno poca dimestichezza con essi. Sono portatori di pretese pedagogie progressiste che risultano invece distruttive, antiegualitarie, responsabili della legislazione del non dispiacere. Chi osserva da fuori questa scuola, costruita da loro, ed ogni attività resta davvero sorpreso dal fatto che la pedagogia si pone ormai come l’unica scienza umana che sfugge ad ogni critica ed assume toni direttivi nella trasmissione e comunicazione del sapere e della cultura. Ma, nella nostra organizzazione sociale, tali pseudoscienziati, sono gruppo sociale che ti permette di giustificare risparmi e lavora per il consenso, merita quindi di essere premiato con proliferazione di inutili cattedre e dipartimenti. Cosa fa la pedagogia? la teorizzazione cavillosa degli enunciati più banali; l’elevazione a scienza  ed alla formalizzazione di: istanze ideologiche, motivi di moda, comportamenti non definiti. L’idealismo, in questo assolutamente preveggente, l’aveva messa tra le ancelle della cultura. E questi personaggi abbondano in ogni commissione mai responsabili di loro teorizzazioni e del continuo fallimento di esse.        

        Non stupitevi, di questo si tratta se, anche il buon pedagogista Vertecchi, coartefice della distruzione berlingueriana riesce a dire che la scuola è stata consegnata ai democristiani: «Mi sembra chiaro che la scuola sia stata svenduta alla corrente democristiana del Pd. E che dietro le chiacchiere degli ultimi mesi ci sia un disegno preciso volto a stravolgere la fisionomia dell’istruzione pubblica. Mi chiedo  perché la sinistra e i laici di questo paese restino a guardare» (il manifesto del 13/10/07), pur non avendo capito bene. Infatti non si tratta propriamente di democristiani ma di clericali d’assalto. Se si gira un poco in internet si scopre una cosa raccapricciante questi nomi si ripetono in decine di convegni in giro per l’Italia. Si dice propriamente che si parlano addosso. E sono persone che portano una enorme responsabilità del disastro della scuola o per avervi direttamente collaborato o per aver fatto le tre scimmiette nelle commissioni in cui sono stati in gran parte onnipresenti. Tutti si appellano ad una cosa che non conoscono, alla mitica Lisbona 2000, per spingere la scuola pubblica verso la privatizzazione. Dequalificare per svendere e quindi privatizzare. Si dice infatti nel documento conclusivo di Lisbona 2000:

 “La sorte dell’insegnamento non è oggetto di un intendimento unanime. Deve anch’esso essere oggetto di una privatizzazione? In quale misura? Secondo quali modalità? Non si tratta pertanto di stabilire se la concorrenza tra gli stabilimenti scolari sia auspicabile o pericolosa, ma di analizzare se essa è concretamente realizzabile, sapendo che in certi paesi essa è stata chiaramente inscritta nelle politiche educative. (…) I sistemi di insegnamento primario e secondario inferiore sono organizzati secondo la logica dell’economia di mercato? Concretamente, si tratta di esaminare se le condizioni di messa in opera di una concorrenza perfetta tra stabilimenti scolari sono presenti nei paesi toccati dallo studio“.    

        E tutti questi personaggi non hanno mai fiatato sulla riduzione di risorse alla scuola pubblica e sulle imponenti regalie date per via amichevole alle scuole clericali.

            Anche qui, l’inizio del disastro è datato primo centrosinistra. La legge di Parità scuola pubblica e privata è dovuta a Berlinguer. I finanziamenti a tali scuole che lavorano per ricchi a fini di lucro sono piovuti con un imbroglio costituzionale (SI! è una truffa ai danni dei cittadini): poiché la Costituzione (articolo 33) vietava ogni finanziamento da parte dello Stato, i truffatori (d’accordo destra e sinistra) si sono inventati una riforma del Titolo V che divide lo Stato in Regioni, Province, Comuni, … Ed allora, se lo Stato non dà, possono sempre dare gli altri! Poi venne Moratti che ha ampliato i fondi a dismisura con l’invenzione del bonus alle famiglie con l’avvertenza che “… Le somme destinate agli alunni delle scuole paritarie sono accreditate presso le scuole stesse, che attestano la frequenza degli alunni …” , poi è arrivato il teodem boy scout che sta manipolando il tutto furbescamente per far passare le scuole clericali come servizio pubblico da finanziare senza più doversi inventare strade contorte.

        Ripeto, nel silenzio dei farisei di cui sopra. Dice Fioroni (ministro perché aveva più tessere di Bindi), in una lettera alle scuole amiche, quelle confessionali, del 12 settembre , con la democratica Bastico che tace:


«Colgo l’occasione del nuovo anno scolastico per aggiungere agli auguri, un primo consuntivo degli interventi realizzati nel 2007 per le scuole private. Come sapete  assumendo le funzioni di questo ministero ho dovuto prendere atto di alcune misure restrittive assunte nella finanziaria 2006 nelle scuole non statali e cercare di porvi rimedio». Si riferisce a Berlusconi che ha tagliato alcune regalie. «La legge finanziaria 2007 ha recuperato una prima tranche di 100 milioni di euro», mentre con il consiglio dei ministri del 28 giugno 2007 sono stati aggiunti altri «51.306 milioni di euro in sede di assestamento di bilancio». Riassumendo, 151.306.000 euro reperiti dal centro-sinistra, per far meglio del centro-destra.

        Fioroni prosegue con toni amichevoli: «Il 5 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato il provvedimento legislativo che introduce in ordinamento innovazioni di vostro sicuro interesse» e pi faremo di più, molto di più, in nome del «dialogo continuativo e costruttivo intrattenuto con molti di voi». Ed ecco la promessa: «Sarà mia cura sostenere in parlamento l’interpretazione già data sull’applicazione all’intero sistema dell’istruzione», tra cui «la direttiva che fissa criteri per l’attribuzione di risorse aggiuntive alle scuole del sistema nazionale d’istruzione». Quindi ancora soldi, facendo strage della Costituzione della Repubblica come la DC non aveva mai fatto (capito Vertecchi ?).

        Ma Fioroni non si ferma: «Condividerete con me che forse è improprio se non errato parlare per i temi della scuola non di un sistema misto, come io ritengo e come è disegnato dalla scuola della parità, ma di un meccanismo di liberalizzazione e di mercato, perché la liberalizzazione e il mercato sostituiscono alla centralità dello studente la centralità del profitto». E qui c’è scritto che serve proprio un antagonista dello Stato  che è solo la Chiesa e, non a caso, riafferma cose dette al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini che, ancora non a caso, sta investendo in scuole private massicciamente, con l’ultimo non a caso, di esponenti di CL nella Commissione.

        Ricapitolando (aiutandomi con i benemeriti di Scuola e Costituzione) il teodem ha introdotto nella finanziaria 2007 uno stanziamento di 100 milioni all’anno in più nei capitoli di spesa relativi alle scuole private ed ha introdotto il principio dei finanziamenti diretti a tutte le scuole paritarie, senza fini di lucro o con fini di lucro (sic!). Il 21 maggio 2007 emana poi il decreto che estende i finanziamenti statali a tutte e scuole paritarie private, dalla scuola materna alle superiori. Tale decreto prevede una cifra per scuola, che arriva a  19.367 per le primarie, e una per classe che arriva a 15.000 euro per le materne. Occorre anche osservare che la cifra per classe prevede che le stesse debbano avere almeno 8 studenti, a differenza della scuola statale nella quale una classe si può costituire con almeno 16 studenti. Non contento dei primi stanziamenti riesce in fase di assestamento di bilancio a reperire altri 51 milioni di euro. Non contento ha fatto approvare il 12 ottobre scorso dal Consiglio dei Ministri (a proposito gli altri che ci facevano alla riunione ?) lo schema di regolamento in materia di convenzioni con le scuole primarie paritarie, che prevede finanziamenti aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal decreto del 21 maggio in base a parametri quali numero di classi e di ore di sostegno. In pratica tutta l’azione di Fioroni ha come scopo il raggiungimento della parità economica fra le scuole private paritarie e quelle statali, dopo quella giuridica di Berlinguer. Se questo progetto non verrà fermato una parte degli studenti sarà costretta  ad iscriversi a scuole private confessionali a pagamento a causa della carenza di offerta statale, come già accade nella scuola dell’infanzia. Verrà messo in discussione l’impegno statale per l’istruzione. Poiché i privati non sono certo tenuti a farsi carico dei problemi di ordine economico e sociale dei cittadini verrà messo in discussione il diritto all’uguaglianza di istruzione che la nostra Costituzione garantisce a tutti. Solo chi avrà i mezzi per potersi permettere l’iscrizione a scuole private potrà accedere ad un’istruzione di qualità, agli altri verranno destinati servizi pubblici minimi.  Non è un caso che nella finanziaria 2007 all’aumento degli stanziamenti per 151 milioni a favore dei privati, corrispondano tagli dei finanziamenti alle scuole statali per 1.400 milioni (fino ad arrivare ai 2,2 miliardi a regime). Tagli dappertutto ed ammuchiate fino a 40 alunni per classe (nella scuola pubblica, dico): si taglia sui fondi da destinare per le supplenze, a partire dalle sostituzioni per maternità. E quando sarà finita qualche minima resistenza delle generazioni 1968, 1977, allora nella scuola si farà proprio di tutto su alunni ed insegnanti Se è vero che i liberisti gridano sul risparmio, affermano anche che senza fondi non si può fare scuola di qualità (vedi lavoce.info del 21 settembre 2007 che dedica alla scuola vari articoli di interesse). Pensate che anche De Mauro ha da ridire: Per restituire autorevolezza alla scuola, suggerisce quindi De Mauro, non bastano riforme, ma ci vogliono nuovi fondi e più capitoli di spesa: «Borse di studio, aiuti alle famiglie che subiranno economicamente l’innalzamento dell’età dell’obbligo, biblioteche e corsi di istruzione per adulti». L’assenza di queste misure, afferma De Mauro, «dimostra le responsabilità e i limiti storici della sinistra italiana» […] Le cose sono state portate ad un punto di rottura molto grave, la mancanza di rispetto per i professori è legata anche alle basse retribuzioni. Se la figura sociale di un insegnante è quella di un poveraccio, di un fallito, quale rispetto possono avere di lui gli studenti? Ma non solo, è la stessa cultura, così, a essere vista come una cosa da poveracci. E se un poveraccio si permette di dire che mio figlio va male in algebra, io, genitore, vado e gli meno. È un poveraccio! Vero De Mauro! Anche se quando lei era al Ministero non ha mosso una sola pagliuzza. Riguardo poi ai colleghi insegnanti vorrei loro dire sommessamente che dovrebbero finirla di fare le dame di San Vincenzo. Noi stiamo a scuola per dire se quell’argomento è stato appreso o no, assumersi dell’altro aiutandosi con cattive letture fa solo danni. Vi è poi l’altro aspetto di discredito che i colleghi hanno completamente sottovalutato: fino a poco tempo fa eravamo noi a fare la selezione (attraverso una seria preparazione) per gli ingressi all’Università; ora non contiamo più con i risultati a tutti noti, o no ?

        Quindi abbiamo a che fare con provvedimenti a raffica che ci fanno discutere di niente, ci emozionano su frasi ad effetto senza sostanza come il ritorno all’italiano ed alle tabelline, per poi fare tranquillamente ciò che all’ex scout riesce bene: rubare i soldi al pubblico per dare alle scuole confessionali gravitanti nel mondo della Chiesa che già prende vari miliardi di euro dalle certo non floride finanze italiane.

        Oltre questa commissione, per disgrazia di Pirani, se ne fanno altre, ma sempre con il criterio che un professore universitario ne dovrebbe sapere di più. La cosa è falsa manifestamente se non altro per le pessime prove che lor signori hanno dato fino ad ora. Ecco un altro esempio di Comitato messo su da Fioroni, quello per l’insegnamento della matematica (12/09/07). Il comitato è formato da 13 docenti universitari, 5 dirigenti tecnici (di cui uno in quiescenza), 2 esperti di matematica, 1 operatore di un ufficio scolastico regionale, e… 3 docenti di scuola secondaria (di cui uno di scuola non statale). Vi è poi quello per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica che conta di 9 docenti universitari, un giurista, un economista, un tecnologo, un rappresentante di Confindustria, uno storico, un giornalista, un sociologo, due insegnanti.

MA CHI E’ CHE SOSTIENE IL MINISTRO ?

        Ormai il ministro Fioroni è espressione autorevole del Partito Democratico (PD) insieme alla sua vice Bastico. Inoltre egli è portatore di una mozione che organizza i teodem (ci sono anche Binetti e Bobba) a favore di Veltroni, il quale, con la chiarezza che lo contraddistingue, non ha detto una sola parola sulla scuole e quindi sulla laicità in senso lato della Repubblica. A chi rivolgersi per fermare tal Fioroni, quindi ? Il sindacato è fatto anche dalla Cisl di Pezzotta che è grata al ministro per la sua appassionata partecipazione al Family Day. La UIL è meglio lasciarla perdere. La CGIL è invece schizofrenica. Strilla in qualche occasione e poi firma dei contratti indegni per i lavoratori (ma non per i dirigenti scolastici che sono al vertice degli interessi di tale sindacato che ha dirigenti che sono dirigenti scolastici senza colpo ferire sul piano della preparazione). Vi sono poi tutte le organizzazioni parallele gestite da persone che hanno insegnato solo qualche giorno e godono ora di distacchi che li hanno liberati dalla fatica di insegnare (CIDI, Proteo, Legambiente scuola feudo dell’ex margherito e sostenitore del family day Realacci ed oggi democratico, …): qualche critica su aspetti secondari ma mai un affondo ed una richiesta di dimissioni di un personaggio che non lavora per la scuola pubblica ma per quella confessionale. D’altra parte cosa potrebbero fare se sono invischiati fino al collo (come paggi fernandi e cavalier serventi, ben remunerati però) in ogni attività del ministero, in convegni, conferenze, aggiornamenti in giro per l’intera penisola in hotel di prestigio (tutto regolarmente pagato da noi con ritorno ZERO: si taglino questi sprechi e si lascino in pace i lavoratori della scuola!) ? A sostegno del ministro, con una esemplare partita di giro, oggi è anche passato Marco Rossi Doria che da la Repubblica si sbraccia per sostenere la sua nuova collocazione politica. Siamo democratici, lasciateci lavorare.

        Vediamo i potenziali oppositori a questi scempi: Rifondazione comunista, Verdi, Comunisti italiani, il manifesto.

        Rifondazione Comunista è assente irresponsabilmente; i verdi credono di essere rappresentati da Legambiente che invece è una ferrea sostenitrice del ministro; i Comunisti italiani vivono in una confusione incomprensibile: da una parte vorrebbero una scuola laica e pubblica, dall’altro quando fanno i convegni invitano come principale relatore Berlinguer, l’affossatore della scuola e personaggio che imperversa ancora dappertutto, anche sulla squallida rivista ItalianiEuropei insieme ai bertagnani Luisa Ribolzi e Tagliagambe di morattiana memoria (non a caso fanno parte del club buonsenso per la scuola, perché tengono famiglia); il manifesto ha i lettori molto più avanzati del direttore il quale per parlare dei disastri della scuola si è rivolto a Berlinguer (sic !) con l’indignazione di una quantità fortunatamente grande di lettori che hanno subissato di lettere di protesta il quotidiano.

        E’ che in generale in Italia si vive in un luogo dove non è nella coscienza politica la fondamentale importanza della scuola. Sembra un orpello e le cose importanti sono sempre altrove. Vi sono solo i furbetti della parrocchietta che hanno appreso a rubare anche sui fondi per la pratica democratica dell’istruzione.

E COSA DICONO I DOCUMENTI DELLA COMMISSIONE ?

        Ci vorrebbero far credere che finalmente si ritorna ad una scuola seria ma si tratta di parole vuote. Vi era stato uno di questi provvedimenti che mi aveva visto speranzoso. Si era strombazzato il ripristino degli esami di riparazione … avevano scherzato, non è così (ed il povero Ranieri ci è cascato, poverino: si veda in proposito il Secolo XIX del 5 ottobre 2007). Ma è addirittura peggio perché il boy scout fa entrare nella scuola agenzie esterne per preparare gli studenti non agli esami perché non vi sono ma a preparare e basta (dimostrazione del livello di cialtroneria del ministro, del vice e dello staff). Aveva detto il pio uomo che a partire dall’anno in corso (il 2007/2008) “nei confronti degli studenti per i quali, al termine delle lezioni, è stato verificato il mancato conseguimento della sufficienza in una o più discipline, il Consiglio di classe procede al rinvio della formulazione del giudizio finale […] sarà la scuola a farsi carico dei cosiddetti “interventi didattici finalizzati al recupero dei debiti formativi registrati, che la scuola è tenuta a realizzare entro il 31 agosto dell’anno di riferimento. A settembre (entro il 7 settembre o comunque prima dell’inizio delle lezioni) gli stessi insegnanti “in sede di integrazione dello scrutinio finale, procedono alla verifica dei risultati conseguiti e alla formulazione del giudizio definitivo che, in caso di esito positivo della valutazione, consente l’ammissione dell’alunno alla frequenza della classe successiva“. Era lecito pensare agli esami di riparazione ? Neanche per idea! Ed allora perché tanta enfasi in un annuncio di provvedimenti che non provvedono ? Per l’effetto polverone di cui dicevo. Non c’è assolutamente nulla da fare: se non si prevedono sanzioni, le cose continueranno così con ulteriori effetti di aumento di entropia. E le sanzioni, che pure nei Paesi che si sono imitati vi sono, non ci sono perché questa parola non si usa tra i cattocomunisti. Anche perché, diciamocelo fuori dai denti, ai Fioroni non interessa assolutamente nulla la scuola della quale fa il ministro a libro paga della collettività che paga le tasse; al boy scout interessa la scuola che usano i ricchi evasori ed i gestori miracolati dall’ICI. (Si pensi solo che, quando si parla dell’insegnamento della storia nella scuola dell’infanzia vi era una prima versione che diceva: «Promossa da ordini religiosi e comunità parrocchiali». Nella nuova versione si legge: «Ha le sue origini nelle comunità locali (come i Comuni e le Parrocchie) e in esse è cresciuta»).

        Vediamo le cose in maggiore dettaglio. Dare sei rossi a degli studenti era diventato un atto di mero masochismo. Chi doveva lavorare e studiare era l’insegnante che lo aveva indicato come insufficiente. Il fanciullino nullafacente poteva anche non presentarsi alle lezioni alle quali il masochista lo aveva inviato. Si ma poi, a settembre, alla verifica del recupero il masochista lo bocciava. Chi pensa questo ha in mente la fantascuola. I consigli di classe sono strapieni di mamme o di mancate mamme che sanno di psicologia da bodoir. Poi vi sono gli insegnanti di educazione fisica, di religione, di arte, …. che promuovono a prescindere. In fondo chi aveva assegnato qualche debito era l’insegnante di qualche materia strutturata, insegnante inviso ai giocherelloni di altre discipline ed ai fautori della gita sempre e comunque. Non si boccia perché non sta bene. E dopo qualche anno di questa pratica becera i ragazzi che sono molto più svegli di come vengono dipinti capiscono bene il principio del minimo sforzo e, senza colpo ferire, vanno avanti restando superignoranti con complicità colpevoli di genitori, dirigenti, professori. Allora non li diamo neanche più questi sei rossi eviteremo problemi di ogni tipo, con il dirigente e con le famiglie. Certo resterà il lamento ipocrita delle prove PISA et similia, ma chissenefrega di un qualcosa che risulta sempre a responsabilità mai ben definita ed individuabile.

        Ma cosa accade alle menti che una volta erano pensanti ? Non si rendono conto di quante intelligenze giovanili stanno ammazzando ? Il 2 aprile 2007, una delle aggregazioni spontanee più serie operanti nella scuola, il manifesto dei 500, in una lettera al ministro, dopo aver criticato la legge 53 con parole inequivoche:  Le “indicazioni nazionali” introdotte dalla Moratti, infatti, hanno segnato un abbassamento culturale molto grave; hanno cominciato a differenziare in modo evidente i programmi tra le zone del Paese, le singole scuole e persino le classi; hanno infine cercato di imporre agli insegnanti un modello preciso di lavoro e programmazione. In pratica queste indicazioni vanno esattamente nella direzione opposta a quella di una scuola che garantisca nello stesso tempo diritti uguali per tutti e libertà didattiche, pedagogiche e di insegnamento che sono alla base non solo di uno Stato democratico, ma più in generale della libera ricerca, del confronto e del progresso della pedagogia stessa. e dopo aver espresso somma preoccupazione su indicazioni nazionali che affidino alle scuole il compito di scegliere contenuti culturali diversi, obiettivi diversi in nome dell’autonomia che vorrebbe solo dire continuare a smembrare il sistema e, ancora una volta, venir meno al dettato costituzionale, aveva chiesto a Ceruti:

Gent.mo prof. Ceruti,
gent.mi membri della commissione, la logica ci porta a concludere che i Programmi Nazionali, lungi dall’essere “superati”, sono i soli a rispondere pienamente all’esigenza di garantire un buon livello culturale, l’unitarietà del sistema e la libertà di insegnamento.
Esiste quindi un modo semplice e chiaro per garantire tutto ciò e nello stesso tempo “ascoltare” davvero gli insegnanti e i genitori: ripristinare i Programmi Nazionali come è stato richiesto a gran voce da tutte le componenti del movimento, indipendentemente dalle diverse posizioni politiche, pedagogiche, filosofiche di ognuna.
Se poi, come è normale, i programmi dovranno essere rivisti e aggiornati, si potrà aprire un reale dibattito nel Paese sui contenuti culturali da inserire o cambiare.
Ma per rimediare ai danni dell’ultimo periodo è necessario prima di tutto un provvedimento urgente di ripristino della situazione precedente.
E’ questa indicazione che ci attendiamo dal vostro lavoro, è questo che attendono tutti coloro che si sono mobilitati e un anno fa avevano votato il nuovo governo per rimediare ai danni di questi anni.
 

        A queste fondatissime preoccupazioni di abbassamento culturale e di smembramento del sistema scuola a cui si accompagna una pressante richiesta di ripristino dei programmi nazionali, la Commissione Ceruti risponde con la pubblicazione dei primi due documenti: Cultura, Scuola, Persona e Il curricolo nella scuola dell’autonomia. Due documenti democristiani con tanto pedagogese sulla linea Berlinguer-Moratti.

        Vediamo, ancora con l’aiuto de il manifesto dei 500.

        Il secondo documento, alle sue prime battute dice qualcosa che nega il concetto medesimo di indicazioni nazionali. Si dice che con il riconoscimento dell’autonomia alle istituzioni scolastiche il posto che era dei programmi nazionali viene preso dal Piano dell’Offerta Formativa che, come è affermato nella vigente normativa, è “il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche”. Ricominciamo cioè con ciò che è alla base di ogni fallimento: ogni scuola si fa il suo POF, lo infiora come vuole, si dibatte molto a lungo (come si fa in TV, senza competenze) ed i ragazzi risultano fregati. Ma il POF discende da elaborazioni professionali degli insegnanti (che bravi!) in quanto il cuore didattico del Piano dell’Offerta Formativa è il curricolo, che viene predisposto dalla comunità professionale nel rispetto degli orientamenti e dei vincoli posti dalle ‘Indicazioni’ e la sua elaborazione è il terreno su cui si misura concretamente la capacità progettuale di ogni scuola. Si sente la mano del buon pedagogista. Circuiti di parole che non dicono nulla e che, in mancanza di serie e stringenti indicazioni differenti, lasciano tutto come è. Il documento continua con un elenco di banalità che fanno cadere le braccia: evidentemente i pedagogisti dell’università scoprono l’acqua calda (Si impara in un contesto sociale che è tale non soltanto perché avviene in una specifica situazione storica e culturale, ma anche perché si impara con gli altri, che sono gli adulti insegnanti responsabili dei processi educativi che innescano e i pari che con le loro diverse caratteristiche contribuiscono alla presa d’atto progressiva delle proprie e delle altrui specificità. Si impara inoltre mediante l’ausilio di strumenti, materiali (libri, quaderni, computer…) e simbolici (i diversi alfabeti della conoscenza) che consentono la progressiva appropriazione del patrimonio culturale della società in cui si vive …).

        Ma la cosa preoccupante l’hanno già detta in quella frase citata in precedenza. Una scuola dovrebbe avere un’identità culturale ? Che vuol dire ? Che si deve lavorare per omogeneizzare i giovani ? Detto in positivo: la scuola deve fornire a tutti i ragazzi gli strumenti per apprendere ed ognuno si formerà da sé la propria identità culturale. Se dare questa identità fosse fine della scuola saremmo in un regime in cui si accetta un unico modo di essere che deve essere trasferito sui ragazzi. L’articolo 9 della nostra Costituzione dice che la Repubblica promuove la cultura. e ciò vuol dire che Repubblica non è indifferente o neutrale nei confronti della cultura, ma non s’identifica in nessuna cultura. Non è quindi compito della scuola preoccuparsi delle identità culturali dei ragazzi o peggio della singola scuola. La scuola deve fornire i mezzi a tutti per inserirsi senza discriminazioni nel mondo del lavoro e nella società. Non è cosa di poco conto e lo si capisce bene osservando chi invece funziona in modo da dare una identità culturale. Prendete le scuole confessionali care a Fioroni. Qui tutto funziona con un indirizzo culturale preciso, dalla scelta degli insegnanti, dall’indagine nella loro vita privata, da ciò che si insegna e soprattutto da ciò che non s’insegna. Senza andare oltre si capisce bene di cosa si tratta.

    Andando oltre si afferma che:

 Indicare i processi di alfabetizzazione culturale comuni all’intero sistema scolastico italiano – in termini di conoscenze e di competenze – è compito del centro, cui compete stabilire i principali assi culturali del curricolo, le discipline che ad essi si riferiscono, le competenze da sviluppare. Spetta poi ad ogni istituzione scolastica meglio specificare gli obiettivi da raggiungere […]

e la cosa o è detta molto male o risulta una contraddizione in termini perché se gli obiettivi da raggiungere sono definiti a livello di singola scuola, non si capisce bene come organizzarli in un progetto nazionale. Scrivono, in una seconda lettera al ministro, i portavoce del manifesto dei 500:

        Per attaccare i principi della scuola pubblica la Moratti, si sa, aveva dichiarato guerra ai Programmi Nazionali e per farlo aveva cercato di accattivarsi quegli insegnanti che trovano comprensibilmente ingiuste le indicazioni pedagogiche o ideologiche in essi presenti. Anche voi ammiccate nello stesso modo: “Il programma descrive una lista di obiettivi definiti centralmente ed a prescindere da ogni riferimento alle realtà locali. Ad essi il docente deve riferirsi ed applicarli nel suo insegnamento. (…) Agli insegnanti si chiedeva di essere buoni esecutori di un testo elaborato altrove”. Nella nostra prima lettera citavamo un passaggio dei programmi nazionali dell’85 per la scuola elementare: “E’ opportuno che il fanciullo nel quinquennio della scuola elementare pervenga ad una visione sufficientemente articolata dei momenti significativi della storia connettendoli in un quadro cronologico a maglie larghe. In particolare saranno oggetto di approfondimento i fatti, gli avvenimenti, i personaggi che hanno contribuito a determinare le caratteristiche civili, culturali, economiche sociali, politiche e religiose della storia d’Italia, con specifico riferimento al processo che ha condotto alla realizzazione dell’unità nazionale, nonché delle conquiste della libertà e della democrazia”. Potremmo scegliere molte altre citazioni simili. Con centinaia di migliaia di persone che hanno preso posizione per il ripristino dei Programmi dell’85 vi chiediamo una risposta: in che cosa questi passaggi sarebbero “costrittivi”? In che cosa si chiederebbe agli insegnanti di “essere buoni esecutori di un testo?”. In che cosa non rappresentano proprio quel territorio culturale comune all’interno del quale si esercita la libertà di insegnamento?  Viceversa voi scrivete che nella logica delle Indicazioni Nazionali trovano ascolto le “culture” locali, e le “specifiche esigenze delle famiglie e del territorio”. Inoltre scrivete che le scuole definiranno queste “culture”. Le scuole, vi chiediamo? Questo significa che programmi e “curricoli” verranno votati nei collegi docenti e nei consigli di istituto… Si tratta quindi di mettere ai voti le “identità culturali”? Si tratta di sottoporle alle pressioni dei dirigenti e di coloro che sanno imporsi? E quale fine riservate alle “identità” che perdono? Si “rifaranno” alla prossima occasione? E’ questa l’idea di democrazia che coltivate, un misto di campionato calcistico e di imposizione dogmatica di qualcuno su altri? Voi scrivete persino che “… la professionalità è dunque fortemente valorizzata e responsabilizzata poiché la comunità professionale è chiamata ad assumersi… una peculiare idea di scuola”. Solleviamo il velo di fumo: vi rendete conto di quello che scrivete? Molti insegnanti potrebbero quindi essere costretti a chiedere il trasferimento perché la loro scuola adotta un POF con una “peculiare idea di scuola” differente dai loro pensieri? Volete scuole con indirizzi pedagogici diversi, o anche scuole di cattolici, altre di islamici…? Scrivete poi che i curricoli definiti scuola per scuola dovranno basarsi “sulle risorse disponibili”. Pensiamo che voi conosciate bene la situazione delle scuole: sempre meno insegnanti, tagli di fondi sempre più preoccupanti, mancanza di fondi per le supplenze, classi intasate di alunni, mancanza di insegnanti per i portatori di handicap, chiusura dei laboratori di recupero, abolizione delle compresenze… In questa situazione la vostra proposta non può che portare a due strade: o le famiglie verseranno contributi sempre più importanti, quelle che potranno permetterselo, oppure molte scuole abbasseranno il livello dei programmi per adeguarsi alle “risorse disponibili”! […] Certo non vi sarà sfuggito che mentre voi scrivete queste cose il Parlamento vara le legge Bersani che decreta proprio la possibilità per le scuole (con famiglie di un certo tipo) di cercarsi finanziamenti privati… E’ un fatto: i vostri documenti e i vostri principi vanno esattamente in questo verso.

        Più oltre la Commissione si occupa di disquisire su contenuti e competenze, sostituendo i secondi con i primi. Se non si dice di più ci si spaventa perché la persona è teoria e pratica e la seconda senza la prima fa dei servi docili. Cosa volevate dire ? Affermate poi di mettervi in continuità con Berlinguer – De Mauro, ed addirittura con Moratti. Con ciò tutti coloro che per anni si sono battuti contro questa scuola sono messi ad un angolo per le liberiste aspirazioni dei democratici e clericali. Richiamare Berlinguer – De Mauro poi ? Quelli della riforma disgraziata dei cicli mai entrata in vigore ? Leggiamo dai 500 alcune cose che tale riforma prevedeva.

        Per esempio ricordiamo che l’obiettivo di leggere e scrivere passava dalla classe prima alla “prima e seconda”; ricordiamo che alla fine della settima classe (le legge accorpava elementari e medie tagliando un anno) si prevedeva solo una “parziale autonomia nella gestione del processo di scrittura”, mentre veniva eliminato lo studio delle principali strutture sintattiche; ricordiamo che veniva abrogato ogni riferimento a “testi di alto valore letterario” e alle “opere di fondamentale importanza per la nostra lingua” (come era invece nei programmi); ricordiamo che in matematica spariva dai primi cinque anni l’avvio ai numeri decimali (ognuno era libero di farlo o meno), spariva l’insegnamento delle proprietà delle operazioni, veniva banalizzato lo studio delle frazioni (ridotto a “comprendere il significato delle frazioni”), sparivano le espressioni alle medie, sparivano le semplici equazioni…; ricordiamo che in storia lo studio vero e proprio cominciava persino in quinta, al termine della quale non si arrivava nemmeno ai Greci (peggio della Moratti)! Per la settima (dopo la quale si andava alle superiori!) non si prevedeva nemmeno lo studio degli ultimi due secoli, ma si parlava invece di “formazione degli Stati regionali italiani”, mentre si cancellava l’Unità d’Italia! In geografia, poi, spariva del tutto ogni riferimento allo studio sistematico dell’Italia, dell’Europa e del mondo e ognuno avrebbe potuto fare quello che voleva: è questa la strada che si vuole riproporre con i curricoli scuola per scuola?
        E’ a queste “competenze” generiche che vi riferite?
        In una scuola in cui arrivano bambini da ogni parte del mondo e in cui i bambini, tutti, sono confrontati con una realtà sempre più planetaria, vi rifiuterete di ripristinare la storia del colonialismo e delle lotte per l’indipendenza, oppure l’influenza della storia araba o di altri popoli sulla nostra cultura, o, ancora, della geografia dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia?
Lo ribadiamo: come si può parlare di multiculturalismo e non affrontare la Rivoluzione francese con i suoi principi di “égalité, fraternité, liberté”, oppure le lotte per la liberazione dal fascismo e dal nazismo?

        E si può proseguire con aumento di depressione o di arrabbiatura(2). Vi è un indirizzo di fondo che emerge: la scuola pubblica deve essere dequalificata, anche se si utilizzano espressioni che sembrerebbero affermare il contrario. Deve emergere in essa un indirizzo culturale dato dalle autorità. A margine, ma loro non lo dicono, si tagliano i fondi in modo intollerabile, si immette in ruolo qualcuno solo perché vi è un esodo dall’insegnamento (e comunque gli immessi in ruolo sono molti meno di coloro che vanno in pensione se si sono fino ad ora perse circa 40 mila cattedre a fronte dell’aumento del numero di alunni). Si chiudono e si accorpano scuole. Si tagliano (e da qui si capisca come funzionano i cattolici con i quali abbiamo a che fare) tutti i sostegni all’handicap (se si tiene conto che le scuole confessionali non vogliono handicappati, si capisce il senso profondo di questo mondo di interessi). A fronte di tutto questo vi sono ancora gli intollerabili privilegi dei professori di religione, che sono solo 25.679, dei quali 14.670 passati di ruolo (a scapito degli altri, magari mamme di quella famiglia che al family day non è rappresentata), grazie a una rapida e ridicola serie di concorsi di massa inaugurati dal governo Berlusconi nel 2004 e proseguita dall’attuale.  Costoro, scelti dal Vescovo al di fuori di ogni graduatoria, hanno stipendi più alti degli insegnanti ordinari anche se possono avere un solo alunno per classe. Non solo: lor signori non perderanno mai il posto perché, per grazia divina che solo a loro è dovuta (ed a chi altri sennò), potranno passare ad altro insegnamento. La cosa è anticostituzionale ed i nostri politici l’accettano come voto di scambio. Ma nessuno prende i forconi.

CULTURA SCUOLA PERSONA

        Vi è poi l’altro documento, Cultura Scuola Persona, un bignami di psicologia dell’età evolutiva, antropologia, sociologia e pedagogia per maggior gloria di Morin(si, perché questi fanno le commissioni e chiudono con documenti ormai obsoleti anche in pseudoscienza tratti da insegnamenti universitari mai aggiornati per le troppe commissioni in cui sono impegnati). I dotti commissari dicono:

La scuola deve offrire agli studenti occasioni di apprendimento dei saperi e dei linguaggi culturali di base; deve far sì che gli studenti acquisiscano gli strumenti di pensiero necessari per apprendere a selezionare le informazioni; deve promuovere negli studenti la capacità di elaborare metodi e categorie che siano in grado di fare da bussola negli itinerari personali; deve favorire l’autonomia di pensiero degli studenti, orientando la propria didattica alla costruzione di saperi a partire da concreti bisogni formativi. La scuola realizza appieno la propria funzione pubblica impegnandosi, in questa prospettiva, per il successo scolastico di tutti gli studenti, con una particolare attenzione al sostegno delle varie forme di diversità o di svantaggio. Questo comporta saper accettare la sfida che la diversità pone: innanzi tutto nella classe, dove le diverse situazioni individuali vanno riconosciute e valorizzate, evitando che la differenza si trasformi in disuguaglianza; inoltre nel Paese, affinché le penalizzazioni sociali, economiche, culturali non impediscano il raggiungimento degli essenziali obiettivi di qualità che è doveroso garantire.

Arrivano poi le affermazioni cattocomuniste tranquillizzanti i genitori ansiosi:

Lo studente è posto al centro dell’azione educativa […] In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora […] La scuola si deve costruire come luogo accogliente, coinvolgendo in questo compito gli studenti stessi. […] La formazione di importanti legami di gruppo non contraddice la scelta di porre la persona al centro dell’azione educativa (sic !) …

Viene infine la famiglia con la:

necessità di un’attenta collaborazione fra la scuola e gli attori extrascolastici con funzioni a vario titolo educative: la famiglia in primo luogo […] La scuola perseguirà costantemente l’obiettivo di costruire un’alleanza educativa con i genitori. Non si tratta di rapporti da stringere solo in momenti critici, ma di relazioni costanti che riconoscano i reciproci ruoli e che si supportino vicendevolmente nelle comuni finalità educative. La scuola si apre alle famiglie e al territorio circostante, facendo perno sugli strumenti forniti dall’autonomia scolastica …        

Più o meno questi sono i contenuti dei due documenti che sono del tutto insoddisfacenti, equivoci, silenti, ammiccanti a chi di dovere. Ma Ceruti ha sentito l’esigenza di andare a spiegare all’assemblea diocesana il mancato inserimento tra le aree nelle Indicazioni ministeriali della religione cattolica.  Sabato 8 settembre,  circa 800 insegnanti di religione cattolica del Lazio, si sono ritrovati al Santuario del Divino Amore per il convegno dal titolo «Educare (nel)la scuola?» per sentire Ceruti. Il problema, ha detto Ceruti, è che «la scuola non può più controllare i percorsi di apprendimento, e deve limitarsi a individuare dei saperi essenziali». E soprattutto deve assumere la funzione educativa, proponendo «una cultura che sappia fornire dei filtri per consentire di unificare le esperienze del bambino». Da qui l’importanza dell’insegnamento della religione, che «deve svolgere un compito privilegiato all’interno di tutte le discipline». Perché «l’educazione della persona attraverso l’esperienza religiosa è fondamentale per procedere al compito di unificazione delle esperienze personali». Ciò premesso, proprio per rispondere alle preoccupazioni sollevate a proposito del documento, Ceruti ha lanciato una contro-provocazione: «Come cattolici e come insegnanti – ha detto – dobbiamo porci noi per primi il problema della qualità, prima che della quantità dell’insegnamento della religione cattolica». E ha incalzato: il vero problema è l’«impoverimento della nostra cultura cattolica nel declinare i principi cristiani nella società d’oggi». L’esortazione di Ceruti è risuonata tra gli insegnanti come un vero e proprio incoraggiamento a essere più incisivi in prima persona. «L’insegnamento della religione cattolica resterà nella cultura italiana finché la cultura religiosa sarà presente e forte», ha commentato alla fine dei lavori monsignor Manlio Asta, direttore dell’Ufficio diocesano, che ha aggiunto: «La tensione per portare ad una dovuta attenzione al cattolicesimo va fatta scuola per scuola».

L’ISPIRATORE EDGAR MORIN

        Edgar Morin è un sociologo apprezzato da intellettuali radical chic ed anche dalla CGIL Scuola che dà, nelle bibliografie per la preparazione dei concorsi, anche qualche sua opera. Il personaggio ha tra l’altro scritto Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione (1977, Feltrinelli 1983). E’ utile fare una minima rassegna delle idee qualificanti di tale sociologo andando a leggere quanto dice in ambito fisico. Egli riesce, ad esempio, a dare un’interpretazione della termodinamica in chiave sociologica, poiché ogni conoscenza, anche quella di tipo fisico, subisce una determinazione sociologica (il nostro critica la scienza da una base sociologica che gli è fornita da Comte, tutto un programma coerente, ndr).

L’autore si domanda subito:

Come accade che la scienza sia incapace di comprendersi quale prassi sociale ? Come è possibile che sia incapace non soltanto di controllare, ma anche di comprendere il proprio potere di manipolazione e la manipolazione che su di essa esercitano i poteri ?  Come accade che gli scienziati siano incapaci di comprendere il legame fra la ricerca “disinteressata” e la ricerca dell’interesse ? Perché essi sono anche totalmente incapaci di esaminare in termini scientifici il rapporto tra sapere e potere ? (ed infatti aspettavamo Morin per capire qualcosa, ndr). (…) In seno all’istituzione scientifica regna la più antiscientifica delle illusioni: quella di considerare come assoluti ed eterni quei caratteri della scienza che sono i più dipendenti dall’organizzazione tecnico-burocratica delle società. (che uomo! ndr).        

        Fatte queste scoperte, Morin ci intima di cambiare al più presto: occorre smetterla con le spiegazioni razionalizzanti convincendoci che non c’è ordine nella natura, ma caos. Per Morin tutto iniziò con una catastrofe iniziale e questo solo fatto scalza dalle fondamenta l’antica visione deterministica del mondo, che era di ghiaccio e non di fuoco (non vi è dubbio che questi personaggi rimpiangono la magia, ndr). Questa illuminante spiegazione del mondo viene illustrata così: All’origine generatrice della cosmogenesi si trova il disordine nella sua forma di evento, di rottura – la catastrofe – e nella sua forma energetica – il calore. In seguito i disordini si sono moltiplicati, nel e per mezzo del disordine delle trasformazioni, e le trasformazioni del disordine, nella e per mezzo dell’ineguaglianza dello sviluppo: il disordine  dei disordini è diventato cosmogenico.        

        Vere e proprie parole in libertà che, se le dicesse un fisico, sarebbe subito internato in qualche casa di cura per malattie mentali. Ma Morin è un sociologo ed ha ammirevole audience tra i nostri intellettuali e non, tra cui Fioroni. E, poiché le cose stanno così e l’ordine della fisica è un falso: Occorre cambiare il mondo. L’universo ereditato da Keplero, Galileo, Copernico, Newton, Laplace era un universo freddo, gelato, di sfere celesti, di movimenti perpetui, d’ordine impeccabile, di misura, d’equilibrio. Dobbiamo barattarlo con un universo caldo, composto da una nube ardente, da sfere di fuoco, da movimenti irreversibili, da ordine mischiato al disordine, da spesa, spreco, squilibrio (…). Il nuovo universo non è razionale, ma il vecchio lo era di meno. (…) Come non aver capito che l’ordine puro è la peggiore follia che esista, quella dell’astrazione, e la peggiore morte che esista, quella che non ha mai conosciuto la vita ?        

        Questo personaggio, non so bene se sappia cosa dice. Ha comunque un degno posto tra maghi ed alchimisti rinascimentali, tutti rigorosamente pregalileiani perché, come dice il sociologo: Galileo, nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, non fornisce una parola di spiegazione su ciò che intende per sistema (e qui si capisce l’amore che i teodem – ma non solo – hanno per Morin).

         E dopo questa sottile e profonda osservazione del Morin, passo rapidamente ad un’altra sua opera, scritta con la critica letteraria Anne Brigitte Kern: Terra-Patria (Cortina 1994). Secondo questi sciocchini, addirittura incapaci di far di conto, l’astrazione matematica è una pratica che genera una scissione con il concreto. Il meccanismo del tagliare ed isolare della matematica è tipico delle menti parcellizzate e tecno-burocratizzate che sono cieche e percepiscono le realtà viventi e sociali secondo la concezione meccanicistica/deterministica, valida soltanto per le macchine artificiali.

        La razionalizzazione astratta e unidimensionale genera catastrofi umane e naturali. Essa è una forma degenere dell’intelligenza. E’ un’intelligenza nello stesso tempo miope, presbite, daltonica, monocola; finisce il più delle volte per essere cieca. Distrugge in embrione tutte le possibilità di comprensione e di riflessione, eliminando così tutte le opportunità di un giudizio correttivo e di una vista a lungo termine (…). Incapace di considerare il contesto ed il complesso planetario. l’intelligenza cieca rende incoscienti ed irresponsabili. E’ diventata mortifera. (…) la tecno-scienza è il nucleo ed il motore dell’agonia planetaria.        

        E qui c’entra anche il Ceruti. Sulla strada del disprezzo della matematica si è cimentato in Rai rispondendo ad una studentessa:

STUDENTESSA: Galileo ci insegna che Il libro della natura è scritto in caratteri matematici da codificare. Oggi possiamo sostenere che sia ancora così?

CERUTI: La metafora del libro, secondo le intenzioni di Galileo, rimanda a tanti lettori, tanti possibili scienziati, tanti possibili uomini e donne che vogliono conoscere in modo oggettivo la natura, una natura che è scritta però uniformemente, oggettivamente, nello stesso modo per tutti. Forse oggi potremmo sostituire opportunamente l’immagine galileiana del libro con un’immagine evoluta che ci viene proposta dalle nostre tecnologie dell’informazione, magari con un libro interattivo che non è soltanto decifrato, ma che, nel momento in cui è decifrato dalla mente, dall’occhio del lettore, è anche in qualche modo scritto dal lettore. Non è una verità depositata oggettivamente nella natura quella che si rispecchia nella mente del lettore. >

         Visto che abilità ? E tutto per non dire che le scienze formalizzate, da epistemologo qual è, non lo interessano (ed io maligno dico che non le conosce). Le cose, comunque, si commentano da sole. Viene solo in mente un qualche trauma matematico che questi personaggi hanno avuto in gioventù. Uno psicanalista spiegherebbe la cosa in termini di invidia per la privazione di un qualcosa. Ma il peggio è che per fornire le indicazioni nazionali della nostra scuola PUBBLICA ci si è ispirati a Morin, dando la direzione della Commissione ad un suo seguace!

        Nella conferenza che ha tenuto per aprire i lavori della Commissione il Morin ha detto cose sconvolgenti:

E’ necessaria un’alleanza educativa tra cultura umanistica e cultura scientifica. Una mancanza di congiunzione tra le due infatti non può servire ad una adeguata maturazione morale e spirituale. Ma ci sono delle difficoltà in questo percorso, che sono date in primo luogo dalla iper specializzazione che impedisce il necessario “dialogo” tra i saperi. Dove andremo senza unità di saperi? In una stella possiamo analizzare le particelle, possiamo conoscere delle cose estremamente interessanti sul suo essere fisico ma, senza la soggettività umana che si esprime nella letteratura e nell’arte, rimarrebbe sterile. È necessario umanizzare i saperi per limitare la dispersione della conoscenza: questo è un problema da affrontare già nei primi anni di scuola e deve proseguire lungo tutto il percorso degli studi. Una conoscenza priva di contestualizzazione è una conoscenza povera. Come fare a riunire i saperi delle varie discipline? Serve un pensiero complesso che permetta di unire ciò che è separato.

        Morin, che pure mostra di sapere che ci si occupava dei primi anni di scuola, deve parlarci dell’iperspecializzazione che si vince con la soggettività umana che si forma con l’educazione umanistica. E’ questo un chiodo fisso di chi non conosce le scienze e neppure immagina quale formazione umana venga dalle equazioni con nucleo risolvente di Volterra. Questi nuovi stregoni si chiudono nel loro povero orticello e dal buco della serratura tentano di descrivere la basilica di San Pietro. Come fa Fioroni del resto che resta addirittura un apprendista stregone al quale farebbe da utile ninna nanna Una notte sul Monte Calvo. Per capire il mondo serve il pensiero complesso che, miracoli della fede, ci apre agli spazi vettoriali ed alle equazioni di Maxwell. E sono miracoli della fede perché, se qualcuno si è avventurato nei vaniloqui di Morin, avrà scoperto che il pensiero complesso non ha nulla a che vedere con la comprensione dell’iperspecializzazione ma è solo una fuga nell’irrazionale, condita da bassa cialtroneria (voglio ma non posso perché non conosco uno dei due argomenti del contendere). Ma queste sono le persone apprezzate dai nostri ministri, leader e dirigenti vari, che mostrano addirittura servilismo verso queste forme primitive di pensiero. Perché se gli amici miei marxisti immaginari non hanno ancora capito (Morin non lo ha mai capito. E Ceruti ?) che la separazione tra le due culture è un portato del capitalismo, dell’efficienza produttiva, hanno grossi problemi. Qualcuno dovrebbe spiegar loro che queste ricomposizioni non possono essere frutto di declamazioni o di buona volontà ma di improbabili rivoluzioni sociali. In ogni caso non sono i nuovi umanesimi (bella parola ma richiamata nel suo significato letterario o storico ? ambedue comunque del tutto fuori luogo) a risolvere i gravi problemi della globalizzazione. Se qualcuno ha il coraggio di avventurarsi nel libro che Ceruti ha scritto con Bocchi (Educazione e Globalizzazione)(3), scopre che ciò che dice Morin si ritrova pari pari e con esemplificazioni scientifiche vecchie, veramente troppo antiche, tipiche di chi queste cose non le conosce ma cita, soprattutto dalle introduzioni e da chi non ha mai usato la matematica. Con questi presupposti si ritorna a prima della Rivoluzione Industriale di metà Ottocento ed allora risulta addirittura inutile porsi il problema di educare nella società globalizzata. Serve impegno politico e non certo genuflessione ad una qualche religione [e, se al Ministero qualcuno osasse chiedere come mai si susseguono i disastri PISA, per risolvere qualcosa deve iniziare a rincorrere i Fioroni e tutti coloro che si sono affidati alle cure di sociologi, pedagogisti, docimologi, psicologi, … di tale levatura].

        E dopo tutte le analisi sulle complessità, sorge spontanea una domanda: ma le tabelline le studiamo ?, e facciamo ancora i riassunti ?, e le frazioni ? impariamo dei brani a memoria ? ci avviamo alle analisi logica e grammaticale ?  che ne facciamo della geometria ? A leggere le indicazioni viene da piangere. La scuola è solo un gioco dove vale ancora la lapidaria frase di Maragliano: occorre fare una scuola che non sappia di scuola. Neanche a pensare che esiste quello che M. A. Manacorda ha definito il principio educativo di Gramsci (chi era mai costui ?) secondo il quale (Volume III dei Quaderni dal Carcere): Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola “disinteressata” (non immediatamente interessata) e “formativa” o di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di signori e di donne che non devono pensare a prepararsi un avvenire professionale e di diffondere sempre più le scuole professionali specializzate in cui il destino dell’allievo e la sua futura attività sono predeterminati.

          Studiare non è un gioco, è fatica. Solo chi non ha studiato può affermare il contrario. Continua Gramsci: Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. … Occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato.”  

ARRIVIAMO A TREMONTI-GELMINI ALL’ISTRUZIONE

         Sembra una boutade il parlare di Gelmini-Tremonti ma è la verità. D’altra parte anche il governo di centrodestra precedente aveva visto la finanziaria di Tremonti dare le linee guida alla Moratti. Ora la cosa è più accentuata per ragioni di necessità urgenti di cassa per dover rientrare dall’improvvida promessa elettorale del taglio dell’ICI sulla prima casa.

            Questa verità chiude anche in modo molto semplice la vicenda della scuola in questo sfortunato Paese. Ormai sappiamo già tutto. Ogni volta che servono soldi per qualsiasi cosa si rapinano i settori più deboli o creduti tali: sanità, pensioni, scuola, … Con la differenza che questa volta qualche conto non torna e neanche a dire che non torni perché la sinistra avrebbe fatto opposizione: essa è invece stata assente e chi protesta in piazza non ha alcun riferimento alla sinistra ufficiale (e men che meno alla destra). Si è solo capito il processo degenerativo della scuola e la comprensione è discesa dalla politica di chi credeva di poter operare scempi di tal fatta senza neppure pensare ad una qualche opposizione.

            Pur essendo dentro una prassi comune a tutti i governi ed all’interno di una politica liberista più cara alla sinistra che alla destra (quella politica liberista che ci ha portato a questa crisi violenta che, al solito, sarà pagata dai più deboli), passo a descrivere i provvedimenti di questo governo a partire dalla finanziaria da 9 minuti e mezzo, DL 112/08(20). La parte di nostro interesse di tale finanziaria è l’articolo 64, Disposizioni in materia di organizzazione scolastica in cui, con il fine di razionalizzare, si parla di: ridefinire i curricoli scolastici per accorpare le classi di concorso per una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti al fine di mettere mano a corsi ed orari (l’attenzione dovrebbe essere rivolta soprattutto ai tecnici e professionali) ma anche di rivedere il modo con sui si formano le classi e ad essa sono assegnati gli insegnati (riferimento particolare alle elementari); riduzione degli organici di insegnanti ed ATA;  risistemazione dei corsi serali per adulti.

Più oltre si dice che il 30% di quanto risparmiato servirà ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola a decorrere dall’anno 2010.

Immediatamente dopo arriva prima lo Schema di Piano Programmatico del MIUR (Gelmini) e quindi il DL 137 dell’1 settembre 2008, quello che sarà approvato come Legge 169 del 30 ottobre 2008 e che recepisce le volontà di Tremonti.

         Nella premessa si dice che la scuola italiana non funziona, per quanto mostrano i risultati nazionali (?) e le prove internazionali (PISA). Resta comunque valido il sistema vigente basato su: autonomia, efficienza, percorsi formativi, dalle conoscenze alle competenze, valutazione. Con l’aggiunta di forme integrative della retribuzione di base [dei docenti], legate al riconoscimento del merito. Occorre quindi spendere meglio i soldi ridimensionando il tutto e procedendo alla revisione degli ordinamenti scolastici, dei piani di studio e dei quadri orari, all’attivazione di politiche del territorio efficaci, alla definizione e al riordino del sistema di istruzione professionale. Occorre inoltre incrementare di un punto il rapporto alunni/docenti, a ridurre del 17% la consistenza del personale ATA e rivedere i curricoli del I e II ciclo. Si dovranno ridurre le ore di insegnamento nei licei e nelle scuole tecniche mentre alcune scuole professionali confluiranno in quelle tecniche di simile indirizzo. Si dice poi letteralmente che: Nella scuola dell’infanzia l’orario obbligatorio delle attività educative, nell’ottica di una progressiva generalizzazione e tenendo conto delle diversificate esigenze rappresentate dalle famiglie, si svolge anche solamente nella fascia antimeridiana. […] Nella scuola primaria va privilegiata ai sensi del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, l’attivazioni di classi affidate ad un unico docente e funzionanti per un orario di 24 ore settimanali. Tale modello didattico e organizzativo, infatti, appare più funzionale “all’innalzamento” degli obiettivi di apprendimento, con particolare riguardo all’acquisizione dei saperi di base, favorisce l’unitarietà dell’insegnamento soprattutto nelle classi iniziali, rappresenta un elemento di rinforzo del rapporto educativo tra docente e alunno, semplifica e valorizza la relazione fra scuola e famiglia. Nell’arco di vita intercorrente dai sei ai dieci anni si avverte il bisogno di una figura unica di riferimento con cui l’alunno possa avere un rapporto continuo e diretto (viene da chiedersi da quale manuale di pedagogia ha tirato fuori tali motivazioni ridicole la Gelmini). La lingua inglese sarà affidata ai maestri in servizio che potranno farlo dopo aver frequentato un corso di 150/200 ore (ma ci si rende conto ?). Si richiama a questo punto la Legge Bassanini che stabiliva il numero di alunni necessari per mantenere un plesso scolastico chiedendo che sia finalmente applicata con la chiusura di 850 di essi e la verifica di legittimità su altri 1050 (con una chiusura stimata del 20 % circa dei plessi esistenti). Tutto ciò ha anche un’altra fantastica giustificazione pedagogica: la polverizzazione sul territorio di piccole scuole non risulta funzionale al conseguimento degli obiettivi didattico-pedagogici, in quanto non consente l’inserimento dei giovani in comunità educative culturalmente adeguate a stimolarne le capacità di apprendimento e di socializzazione. Ci si chiede chi è che ha mandato la povera Gelmini a fare queste figure.Oltre a ciò il rapporto alunni-classe si eleverà di uno 0,20 con riferimento all’a.s. 2009/2010 e di uno 0,10 in ciascuno dei due anni scolastici successivi. L’innalzamento sarà riferito ai livelli massimi di alunni per classe attualmente vigenti per i vari gradi di istruzione, tenendo altresì conto della presenza di alunni disabili. E così fatte le classi ne conseguirà l’organico che evidentemente scenderà. Dovrà sparire anche la compresenza, anche con gli insegnanti di laboratorio (chi farà lezione ? ndr).  Bisogna sviluppare l’istruzione a distanza.  Il personale ATA viene ridotto in prima istanza del 17%.

            Il complesso degli interventi entro il 2012 prevede 87341 posti di insegnanti in meno e 44500 ATA in  meno.            Fin qui gli interventi annunciati a livello scolastico. Ci si chiede cosa c’entri con questi tagli una scuola che sia migliore e recuperi quanto le indagini PISA mostrerebbero. Ci si chiede soprattutto perché si reclamano miglioramenti per l’insieme della scuola italiana e si inizia a demolire quella che eccelle in tutte le indagini internazionali, la scuola elementare. Ma ognuno valuterà per conto suo.

            Nella Legge 169/08 approvata il 30 ottobre 2008 vi sono altre cose alle quali dedicare un cenno perché qui c’è la competenza didattica della Gelmini: nei primi due cicli si studierà la Costituzione (con la speranza che ci si soffermi sull’articolo 33) oltre agli statuti regionali; si valuterà il comportamento degli alunni con un voto numerico in decimi e se tale voto è inferiore a 6 l’alunno non potrà iscriversi all’anno seguente. Poiché ciò sembra troppo,  sopravviene nel DL 137 una norma italica: Nella scuola primaria, i docenti, con decisione assunta all’unanimità, possono non ammettere l’alunno alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione che sembra ancora poco se nella Legge 169 viene introdotto l’emendamento che in luogo dell’unanime introduce: con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe e ciò nella scuola media vuol dire che si è promossi avendo gravi insufficienze in italiano, storia, geografia, matematica, scienze, discipline insegnate da due insegnanti che vanno facilmente in minoranza con il resto del consiglio costituito da insegnanti con una materia a testa (educazione fisica, religione, lingua, …) ed il dirigente sempre dalla parte di chi assolve. Si tenga conto di questo quando si continua a reclamare serietà). Osservo che questi cedimenti iniziano quel cammino poco virtuoso che rende la scuola ridicola.

            Gli insegnanti di scuola primaria, come detto, faranno il loro servizio di insegnamento su 24 ore settimanali. Si verrà incontro alle esigenze delle famiglie per prolungare il tempo scuola con ore aggiuntive fatte al maestro unico e pagate dal fondo d’istituto (quello che già ora si rivolge ai genitori per avere carta igienica, carta per fare disegni, penne e matite colorate, …).

            Il 10 novembre 2008 è stato invece approvato un Decreto Legislativo (180/08) riguardante l’Università, decreto nato anche su suggerimenti degli economisti Perotti e Giavazzi dell’Università privata Bocconi. Perotti ha scritto un libro, L’università truccata, in perfetta sintonia con il governo, del quale è l’unico fondamento teorico. Egli, con una operazione spregiudicata in cui utilizza numeri che stimano la produzione del sistema di ricerca italiano ma non la sua produttività, tende a screditare il nostro sistema di ricerca manipolando i numeri tanto da sembrare lo sprovveduto che non è. Il solo modo di operare sui dati della ricerca è stato quello di  Ugo Amaldi che con aritmetica elementare ha mostrato che l’operazione di Perotti è funzionale come solo sostegno ideologico al governo (il suo libro è uscito per la casa editrice Einaudi del Presidente del Consiglio il 30 settembre). Vale la pena dire due parole in pvoro di Ugo Amaldi, La ricerca italiana di punta produce risultati più citati internazionalmente di quella americana, francese, tedesca e giapponese, è un documento in cui si  cita e commenta un lungo articolo di Sir David King, consigliere scientifico di BlairThe scientific impact of Nations  (Vol. 430, 311-316; 2004), pubblicato su una delle riviste scientifiche più autorevoli al mondo, Nature. Riporto la sostanza del lavoro:

Ginevra, 30 ottobre 2008

Ugo Amaldi”

        Perotti evita di parlare di rapporto tra risultati e soldi investiti nella ricerca. Egli fornisce più volte dei valori che stimano la produzione del sistema di ricerca italiano, ma mai la produttività. Si occupa cioè del valori assoluti prescindendo dai finanziamenti e del numero di ricercatori. Eppure bastava una divisione. Ma questo non è l’unico errore di Perotti nel suo pamphlet. Quello più importante è comunque più generale e legato alla filosofia di fondo degli economisti liberisti che confondono la quantità della spesa con la sua qualità arrivando a crisi di sistema come quelle che viviamo e per le quali non sono neppure pentiti.

            E veniamo a Giavazzi, l’editorialista del Corriere della Sera, che ha invece suggerito con estrema chiarezza a Gelmini e Tremonti il DL 180 dalle pagine di quel giornale il 3 e 5 novembre(22)  affermando che tutti i concorsi sono truccati (meno quello che lo ha riguardato). Garavaglia, ministro ombra del PD per la scuola, e Modica, responsabile università del PD, in un articolo sullo stesso Corriere del 5 novembre, <“> Concorsi, sì a nuove regole, mostrando apprezzamento per le indicazioni dei quali non è stato però fatto uso. Si può in breve riassumere il cortese scambio tra Giavazzi ed i principali responsabili scuola del PD.

         Già vi sono dei concorsi banditi con le regole attualmente in vigore. Giavazzi chiedeva (e non ha ottenuto dal DL 180) che vengano annullati e rifatti con nuove regole. Modica e Garavaglia osservavano amichevolmente che un fatto così si sarebbe prestato ad un infinito contenzioso. Giavazzi ha insistito con il seguente articolo ed è stato ubbidito. Il fatto è che i concorsi a ricercatore vanno così dal 1980 e quelli ad ordinario ed associato dal 1997 e sono stati sponsorizzati anche da colleghi di Giavazzi. E’ possibile accorgersi di tale supposto scempio dopo tanti anni ? E dopo che lo scempio del 1997 era stato esaltato sullo stesso Corriere da: Di Rienzo, Eco, Panebianco, Schiavone, Pera ? 

         Nel Decreto 180 ci si rifà ancora ad una delle leggi Bassanini (449/97) per non permettere più assunzioni e non assegnare più fondi a quelle Università che eccedano per spese fisse il 90% di quanto gli assegna lo Stato (nessun riferimento alla qualità). Si fissano alcune norme per i concorsi universitari e per la valutazione per il reclutamento dei ricercatori che mantengono le cose come stanno in termini di possibilità di pilotare i concorsi da parte delle deprecate baronie. Giuliano Cazzola del Pdl ha detto che: Si complicano le procedure senza mutarne la sostanza. A partire dall’anno 2009 il 7% dei fondi assegnati all’Università andrà per sostenere l’efficacia e l’efficienza della ricerca e dell’offerta formativa con criteri che la Gelmini fisserà entro il 2008. Si stanziano dei fondi per il diritto allo studio. Ma si individua un nemico nell’università, il povero studente fuoricorso. Vi è nelle Linee Guida il progetto di aumentare loro le tasse universitarie e la cosa sarà realizzata in un disegno di legge organico di riforma. In una Italia dove nel 2006 il 66% dei 271.115 laureati era fuori corso, dove da almeno dieci anni non si hanno agevolazioni per gli studenti lavoratori, dove il lavoro giovanile è precario e al nero, dove lo studente fuori sede ha spese ingenti e dove il diritto allo studio non è mai esistito, Gelmini individua i nemici nei fuoricorso, in quegli studenti che hanno scambiato l’università per un parcheggio. Stesso giudizio dovrà avere per i precari che, pur avendo titoli maturati da anni, chissà perché, vengono considerati come dei postulanti e comunque tali da non essere neppure presi in considerazione.

            Questo è l’ultimo decreto ma l’Università resta colpita dall’articolo citato della finanziaria che la riguarda il quale prevede chedall’attuazione […] del presente articolo, devono derivare per il bilancio dello Stato economie lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per l’anno 2009, a 1.650 milioni di euro per l’anno 2010, a 2.538 milioni di euro per l’anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012. Un totale cioè di 7 miliardi ed 832 milioni di euro dei quali, in modo ancora non definito, 1 miliardo e 800 milioni saranno a carico dell’Università (lo sanno i legislatori che in Italia la ricerca è quasi tutta fatta nell’Università e che se si tagliano i fondi a quest’ultima si uccide la ricerca ? Forse si, ma la cosa non li interessa). I provvedimenti del governo, rintracciabili negli articoli 16 e 66 della finanziaria (Legge 133/08), con l’assenso del ministro ombra del PD, la teodem Garavaglia che, incontratasi con Gelmini, ha dato l’OK del PD, prevedono il blocco del turn over, il taglio dei finanziamenti, la trasformazione degli atenei in fondazioni private (con la conseguente sottrazione degli atenei alle regole del diritto pubblico) come dall’articolo 16 della 133 scritto dall’ex diessino ed oggi democratico Nicola Rossi. Ma il PD, tramite Garavaglia, ha difeso sia l’attacco di Gelmini all’autonomia dell’università che allo stato giuridico dei docenti, affermando sul Sole24 ORE (24 luglio) che le proposte Gelmini sono insufficienti perché non bastano le fondazioni per sbarazzarsi degli organi accademici. E, con l’accordo del PD, sparisce circa il 25% del FFO entro il 2012  ma, in compenso, anche in finanziaria spuntano conflitti d’interesse, infatti al fine di sbaragliare tutti i favoritismi e le clientele, vengono trasferite  risorse alla fondazione IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova il cui presidente è dal dicembre 2005 Vittorio Grilli che dalla stessa data è anche direttore generale del Tesoro, al ministero  dell’Economia e della Finanze. Ricordo che questo ITT nacque su spinta Moratti per accogliere i cervelli fuggiti e che nonostante la montagna di soldi che gli è arrivata non risulta abbia messo in piedi qualche ricerca di rilievo. Di fondi per la ricerca neanche a parlarne. Solo tagli sul già da molti anni tagliato. La formazione di un ricercatore costa allo Stato 250 milioni. Noi li formiamo e li facciamo emigrare (solo il CNRS, l’analogo francese del CNR, ha in ruolo il 50% di ricercatori italiani). Geniale !

Chiunque sappia di ricerca sa che questi tagli suonano come la fine dell’università e della ricerca pubbliche. Se la cosa si realizzasse occorrerebbe passare a finanziamenti privati (fondazioni). E chi sta operando per realizzare questo fine mostra totale ignoranza delle dinamiche che fanno crescere la sana economia, lo sviluppo e la conoscenza. Al solito, in questo Paese, usiamo bistrattare i Galileo, i Fermi, i Dulbecco, le Montalcini, gli Ippolito, i Marotta, i Maiani. Mentre abbiamo persone senza pubblicazioni a capo di enti di ricerca e predicatori laici (Medi), nominati vicepresidenti dell’Euratom, che arricchirebbero l’uranio  “Just a bit”.

 Roberto Renzetti


NOTE

(1) Ho trattato questo argomento, insieme a tutte le implicazioni internazionali, in un precedente articolo: La scuola sotto attacco, Giornale di Storia Contemporanea, VII, n°2, dicembre 2004 (l’articolo si può trovare in http://www.fisicamente.net/index-668.htm). Stralci di questo lavoro sono stati pubblicati su Indipendenza di Luglio Agosto 2008 (Alle origini della scuola neoliberista). Nel seguito dovrò farvi spesso riferimento perché vi è tutta la storia che documenta gli interessi economici privati che hanno iniziato a costruirsi sul possibile grande affare scuola come recita l’indagine OCSE del 1998: 2000 miliardi di dollari l’investimento per la scuola nel mondo; 1000 miliardi negli Stati membri con circa: 4 milioni di insegnanti, 80 milioni di studenti, 315 mila istituti e 5 mila università. Su questi affari si affrettano ad intervenire gli imprenditori europei che capiscono subito che  l’operazione sarebbe asfittica se dovesse marciare Stato per Stato. Ma negli anni di fine millennio va potenziandosi l’Unione Europea (1985-1995: presidenza J. Delors; 1992: Trattati di Maastricht con la UE che inizia ad avere competenze nell’istruzione; 1993: diventa operativo il mercato unico; 1995: UE a 15; 2000: Conferenza di Lisbona). A lato vengono create delle organizzazioni finanziarie e del commercio che faranno la politica del mondo dei ricchi. Negli USA ed in Europa nascevano organizzazioni transnazionali tese a fare da lobby per condizionare e controllare i mercati mondiali. L’European  Round Table of Industrialist (ERT), organizzazione molto potente di industriali europei, si coordinava con corrispettive organizzazioni USA facendo nascere la Transatlantic Businnes Dialogue (TABD), un consesso che riunisce 150 direttori generali delle maggiori multinazionali USA ed europee. Il fine, per quel che ci riguarda, di tali organizzazioni è quello di influenzare direttamente il governo dell’Europa negli affari economici mondiali. La stessa Commissione europea (il governo europeo) si è dotata di un organismo consultivo, l’European Service Forum (ESF), altro consesso che riunisce 80 multinazionali dei servizi, al fine di avere interlocutori immediati per avere le direttive di politica economica.  Al vertice del governo europeo per il commercio, si sono avvicendati personaggi al diretto servizio di tali multinazionali, come Leon Brittain, un tatcheriano di ferro e Pascal Lamy, un equivoco personaggio di provenienza socialista riciclatosi al peggiore liberismo (attualmente quest’ultimo è alla testa del WTO, organizzazione della quale dirò tra poco). La mano è poi passata al famigerato Bolkestein durante la Presidenza Prodi della Commissione UE. Questi fermenti cercavano un qualche sistema organizzativo mondiale per portare avanti ufficialmente una politica di mercato senza limiti di sorta. Da una parte erano dormienti due istituzioni nate con fini progressisti da politiche keynesiane, come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale. Nel 1947/48 si tentò di costruire, all’Avana, una Carta dei principi di comportamento in un auspicabile commercio mondiale. Tale carta fu avversata e mai firmata dagli USA perché conteneva garanzie per i lavoratori. Di fatto, di tale carta restò in piedi solo l’articolo 4, quello che è oggi noto come General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), che aveva il fine di abbattere progressivamente tariffe doganali per i prodotti manifatturieri.

Nel 1986 si avviavano in Uruguay dei colloqui (Uruguay Round) che avrebbero portato al Trattato di Marrakech del 1994 che sancisce la nascita del World Trade Organization (WTO). Il WTO (che conta oltre 140 Paesi del mondo) ha via via inglobato le finalità del GATT ed i Paesi facenti parte dell’Organisation for Economic Cooperation and Development (nata a Parigi nel 1960 al fine di realizzare la massima espansione possibile dell’economia e del commercio prima transatlantico e poi mondiale). Il WTO è retto da una segreteria (che si articola in commissioni) che dovrebbe essere tecnica (ambasciatori) e come tale non è eletta ma designata dai vari Paesi. In realtà, vista la cadenza circa biennale degli incontri dei Paesi membri, è la segreteria che assume un ruolo politico. I Paesi membri della UE designano, tramite il Commissario al Commercio, i loro rappresentanti presso la segreteria e, da questo momento, tutto si svolge in assenza totale di trasparenza. I resoconti delle riunioni vengono pubblicati con ritardi almeno di 12 mesi e la cosa è auspicata dai Paesi medesimi al fine di arrivare a scelte che poi, a livello nazionale, saranno imputate ai burocrati europei o transnazionali, con un chiaro intento scaricabarile. Della vicenda scuola e di ogni altro servizio si occupa un settore del WTO, nato nel febbraio 2000 a Ginevra, da uno dei numerosi accordi tra Stati, il General Agreement on Trade in Services (il famigerato Gats). Vale la pena ricordare alcuni servizi dei 160 che ha classificato il Gats: gli acquedotti, i gasdotti, le reti elettriche, la posta, ogni trasporto pubblico, strade, banche, agenzie di viaggio, raccolta di rifiuti, sanità, telecomunicazioni, scuole di ogni grado e per ogni fine, … L’accordo  Gats è il più grande pericolo per la democrazia e per ogni conquista sociale. E’ contro questo accordo principalmente (ma anche contro altri, come quello agricolo, sui diritti di proprietà intellettuale, …) che si sono creati imponenti mobilitazioni (contro le quali la durezza del potere si è scatenata in tutta la sua potenza) a partire da quella di Seattle del 1999, passando (la paura di contestazioni ha costretto le riunioni in Paesi esotici e fari di democrazia) per quella di Doha 2001, di Cancun 2003 ed arrivando a quella di Hong Kong 2005, nella quale il Vaticano ha espresso pieno sostegno al libero commercio. Cerchiamo ora di introdurre l’agenzia OCSE, che lavora per il GATS, per il WTO e per la Banca Mondiale. Negli scopi dell’OCSE vi è la promozione del commercio e per i propri scopi ha bisogno di creare nei vari Paesi industrializzati del mondo il migliore ed uniforme clima perché vi possano operare le varie multinazionali, operare, anch’esse, in clima di flessibilità che dovrebbe loro permettere l’abbandono di un Paese quando esso non sia più vantaggioso economicamente ed il trasferimento in un altro equivalente per strutture e servizi (tra cui primeggia la scuola). Ed è l’OCSE che fa le indagini P.I.S.A. delle quali parlerò nel testo.

(20) Dlgs 112/08 http://www.camera.it/parlam/leggi/decreti/08112d.htm. Tale Decreto è stato convertito nella Legge 133/08.



Categorie:SCUOLA

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