Edoardo Amaldi: il padre della rinascita della fisica in Italia

Roberto Renzetti

EDOARDO AMALDI: 

LA FISICA ITALIANA DALLA RICOSTRUZIONE ALLA FINE DEGLI ANNI 80  

            Era il 16 ottobre del 1970. Una persona, definibile anzitutto come Signore, si alzò dal fondo della sala dove era seduto a capo di quel grande tavolo circondato da lavagne. Eravamo in tre davanti a lui, in piedi all’altro capo del tavolo. In mezzo, ai lati del tavolo, quasi tutti i miei professori del corso di laurea in fisica che stavo concludendo. Il Signore, con la sua voce accattivante scandì poche parole rivolte a noi tre. Poi parlò a ciascuno di noi. Come in un sogno sentii il mio nome: “Roberto Renzetti la proclamo Dottore in fisica”. Poi il voto. Ci fu un inizio di applauso subito autorepresso dalla solennità. Quella persona che era stata da me vista con un rispetto ed ammirazione infinite nei miei sei anni di frequentazione dell’Istituto di Fisica mi comunicava che il mio scopo era stato raggiunto! Ero felice al punto che ancora oggi non so se tutto quello fosse un sogno. La mia cara Titti la Rosa, da poco laureata, mi venne vicino e mi strinse un braccio. Uscii fuori ancora frastornato. Pochi passi fuori, nel corridoio antistante la Sala Lauree, Titti che mi faceva i complimenti e mi stava vicino quasi dovesse consolarmi. Con passo svelto ed elegante quel signore ci superò e, nel farlo, si girò e mi disse: “Complimenti Renzetti, ora siamo colleghi!” e proseguì con il suo passo che io non vedevo già più, confuso come ero. Mi aveva parlato un idolo vivente. Mi aveva detto che ero diventato suo collega! Impossibile: non può uno come me essere collega di Edoardo Amaldi e pochi sono stati suoi colleghi. Egli è stato soprattutto maestro, poi consigliere, poi amico di tutti. Ma collega, difficile …

            Quella esperienza era la conclusione ideale di quanto avevo vissuto nei miei primi giorni di università. Nella mia prima lezione (dicembre 1963 ) ero perso in un posto in piccionaia dell’Aula di Fisica Sperimentale dell’Istituto di Fisica  dell’Università di Roma (IFUR). La mia prima lezione di fisica, la prima lezione di una cosa piuttosto sconosciuta a chi, come me, proveniva da un liceo classico. Anche allora ebbi l’incontro con un Signore che entrò tra gli applausi di almeno 500 alunni. Il solito passo svelto ed elegante. Il portamento e l’eleganza innati. I suoi capelli bianco argentei, .. Egli non spiegava la fisica, la raccontava. Egli era persona che avrebbe innamorato chiunque avesse un minimo di voglia di conoscere. Io ne restai completamente affascinato.

            Dico questo e tornerò con altri appunti biografici solo per comunicare al lettore la difficoltà di parlare di questo Signore, di Edoardo Amaldi. Fu Carlo Bernardini un anno dopo la morte di Amaldi che ebbe modo di dire: “È difficile parlare in poche pagine  di un uomo che aveva ottant’anni e ne dimostrava quaranta”. Se si aggiunge a ciò il fatto che Amaldi era uno scienziato che ha lavorato con ricerche di punta in praticamente tutti i campi della fisica; che è stato il più grande manager della nostra fisica; che è stato un grande formatore di generazioni di fisici; che è stato un uomo di elevatissimo impegno morale e civile, ebbene, ci si rende ancora di più conto della difficoltà dell’impresa. Tenterò quindi una scarna biografia, che mi eviterà il rischio di cadere nell’agiografia, rischio insito, credo, in tutti coloro che hanno avuto la fortuna, come me, di essere stati suoi allievi ed, in seguito, di conoscerlo personalmente.

            Molte cose che qui dovrebbero essere dette le tralascerò rimandando all’articolo su Fermi e la sua Scuola: la vita di Amaldi è inseparabile da essa, dai suoi bervi studi di ingegneria fino al 1938. Si tratta ora di dare un suo minimo riferimento biografico  fino a che non si inserì nel gruppo Fermi e quindi riprendere con la sua opera a partire dal 1938, quando restò solo a Roma.

I PRIMI ANNI; LA SCUOLA DI ROMA; LA SUA DISSOLUZIONE

            Edoardo Amaldi nacque a Carpaneto Piacentino, in provincia di Piacenza, il 5 ottobre 1908 da Luisa Basini ed Ugo Amaldi. Essendo suo padre professore di analisi matematica e meccanica razionale presso l’università, la famiglia seguì i suoi spostamenti attraverso varie città italiane. Così Edoardo iniziò gli studi elementari a Modena, proseguì con la media a Padova, per finire a Roma, presso il Liceo Tasso, gli studi secondari.

            Si iscrisse quindi ad Ingegneria. Era il 1926, la fisica italiana non aveva un passato recente e tantomeno un futuro. Alla fine del primo anno di corso, Amaldi accolse l’appello di Corbino di passare a Fisica, dove nel frattempo (1926) Fermi aveva ottenuto la cattedra di Fisica Teorica e Rasetti iniziava a lavorare (1927).                    

            Si laureò nel 1929 con una tesi sull'”Effetto Raman” nel benzolo assegnatagli da Rasetti. Concluso il servizio militare nel 1930, Amaldi, che già aveva sviluppato importanti ricerche in spettroscopia, ottenne una borsa di studio dell’Opera Alberoni di Piacenza (1931) per recarsi a Lipsia a studiare sotto la guida del famoso P. Debye.

            Alla fine del 1931, tornato a Roma, divenne assistente di Corbino continuando le sue prime ricerche di spettroscopia atomica e molecolare insieme a quelle della diffrazione dei raggi X. Naturalmente tutti questi lavori erano fatti sotto la direzione di Fermi e così proseguirono fino al 1938. A questo punto si può passare a leggere il lavoro fatto dalla Scuola di Roma per tutto il periodo che poté restare insieme.

            Arriviamo al 1938. Il Nobel a Fermi. La sua partenza per la Svezia e quindi per gli USA. La scuola di Roma completamente dispersa. Amaldi si recò per un breve periodo a lavorare negli USA con Segrè ma poi, nel 1939 tornò a Roma come unico superstite di quella prestigiosa Scuola. E mentre Fermi e Segrè (insieme a molti altri) raccoglieranno successi negli USA, ad Amaldi spetterà il compito per cui tutti noi dovremo per sempre essergli grati: quello di mantenere viva la Scuola di fisica che prendeva le mosse da Fermi e di portarla a nuovi fondamentali successi; quello di conservare al nostro Paese un posto di prestigio nella ricerca fisica mondiale.

AMALDI RESTA SOLO A ROMA

            Nel giugno del 1940 l’Italia entrò in guerra. Amaldi fu richiamato alle armi ed inviato in zona di operazioni nell’Africa Settentrionale per sei mesi (pensate a quanto incredibile è una cosa del genere! Pensate al fatto che se si fosse voluto usare “proficuamente” una tale mente si sarebbe potuto fare in infiniti modi, meno che in quello di mettergli un fucile in mano!). Fu la Facoltà di Scienze di Roma che lo fece tornare ai suoi uffici di docente e ricercatore.

            Con alcuni giovani collaboratori, tra cui Daria Bocciarelli ed il già noto Trabacchi continuando le ricerche sul nucleo utilizzando il generatore di neutroni da 1 milione di volt che era una elaborazione più avanzata di un analogo generatore (di tipo Cockcroft e Walton) da 200.000 volt costruito nel 1937 dallo stesso Amaldi, da Fermi e Rasetti (tale generatore era stato realizzato nell’ambito dei finanziamenti dell’Istituto Superiore di Sanità). Al gruppo si unì presto Mario Ageno (uno dei più grandi fisici italiani che successivamente prese la via della “biofisica”). Viste le vicende della guerra e quanto trapelava su presunti successi tedeschi sulla strada  della fissione nucleare, il gruppo di Roma, negli anni che vanno dal 1941 alla fine della guerra decise di sospendere gli studi nucleari (in ogni caso la cialtroneria del regime non pensò mai , neppure lontanamente, ad utilizzare i suoi scienziati a fini bellici).

            Gli studi passarono da problemi di fissione a questioni che di applicativo in senso bellico non avevano nulla: si studiarono fenomeni d’urto di neutroni veloci contro protoni e deutoni (nuclei di deuterio, cioè un protone legato insieme ad un neutrone).

            Negli anni che vanno dal 1943 al 1945, l’Istituto di Fisica di Roma vide nuovi importantissimi successi ad opera di Conversi, Pancini e Piccioni: comprensione dei fenomeni che riguardano i mesoni, importanti rappresentanti della famiglia dei leptoni che, con i quark, costituiscono la materia di base del nostro universo. Qui azzardo che il lavoro in oggetto, anche per l’enorme risonanza che ebbe, era ben degno di un Nobel. Ma, anche qui, come visto per Lattes ed Occhialini, non si danno dei Nobel a scienziati di un Paese che, con il Fascismo, ha combinato tanti disastri nel mondo. In ogni caso in quegli anni Roma era stata bombardata e l’Istituto di Fisica, che dal 1935 aveva abbandonato la sede di Via Panisperna per sistemarsi nella nuova sede universitaria (l’attuale), si trova proprio vicino al quartiere bombardato, quello di San Lorenzo. Furono epici quei momenti in cui tutta la strumentazione veniva caricata  su dei carretti e, attraversando tutta Roma, trasferita nei sotterranei del Liceo Virgilio che, per il suo essere adiacente alla Città del Vaticano, sembrava immune da bombardamenti.

GLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE

            Nel 1945 la guerra ebbe fine e l’Italia ne uscì distrutta. Nell’Istituto di Fisica, Amaldi riorganizzò il lavoro. Immediatamente ripresero le ricerche che erano state abbandonate nel 1941, le interazioni dei neutroni con il nucleo. Si riuscirono a dimostrare varie cose previste dalla teoria ed in particolare a dare una verifica del “teorema ottico”, relativo alla diffrazione dei neutroni veloci. Siamo al 1947 e l’Italia soffriva del solito male, aggravato dalla profonda crisi economica del Paese: non vi erano fondi per la ricerca. Era inoltre internazionalmente isolata; in particolare soffriva l’enorme differenza di mezzi tra i suoi ed i laboratori, ad esempio, degli Stati Uniti.

            Amaldi non si perse d’animo: Iniziò un’intensa attività su due fronti: uno più propriamente “politico” e l’altro della ricerca.

            Un primo incontro con l’ambiente internazionale dei fisici lo si era avuto nell’estate del 1946 a Cambridge. E lì furono presentate relazioni da parte di Amaldi, di Gilberto Bernardini, di Bruno Ferretti. Amaldi fu invitato da scienziati USA a tenere dei seminari in varie università americane. La cosa si svolse tra il settembre ed il dicembre dello stesso 1946. Negli USA incontrò Fermi che gli propose, a nome dell’Università di Chicago, una cattedra. Amaldi fu combattuto molto ma poi, sostenuto particolarmente da sua moglie Ginestra (che già non aveva condiviso l’abbandono di Fermi dell’Italia), decise di rientrare in Italia per portare a fondo quel suo impegno di responsabilità con i ricercatori più giovani.

            Ma vi era ora la necessità di essere riconosciuti come Paese nei Consessi Culturali e Scientifici mondiali. L’Italia era stata mantenuta fuori, ad esempio, dall’UNESCO. Nel 1947, in occasione di una conferenza di tale Organizzazione che si tenne a Città del Messico, la delegazione che l’Italia inviò, composta da Amaldi, dal filosofo Guido De Ruggero e dall’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli, ottenne l’ammissione e, in quella occasione, tra l’altro, Amaldi ebbe modo di conoscere personalmente un fisico francese, P. Auger, che tra un poco ritornerà nella nostra storia. Amaldi aveva anche fatto parte di una missione italiana che doveva riprendere i rapporti culturali con la Polonia.

            Nel 1948 Amaldi ebbe un primo importante riconoscimento internazionale: venne eletto vicepresidente dell’Unione Internazionale di Fisica Pura ed Applicata (IUPAP) e questo incarico lo mantenne fino al 1954. In quest’ambito i contatti vennero ripresi con praticamente tutti gli scienziati del mondo. Nello stesso anno Amaldi venne anche chiamato come consulente al Centro Informazioni Studi ed Esperienze (CISE) che, come emanazione dell’Industria privata italiana, avrebbe dovuto occuparsi di energia nucleare a fini applicativi (il CISE era nato verso la fine del 1946 ed alla sua gestione erano stati chiamati Bolla, Salvetti, Salvini e Silvestri; fino al 1952 fu il solo ente a rappresentare l’Italia nel campo dell’energia nucleare).

            Nel 1949 assunse la direzione dell’Istituto di Fisica dell’Università di Roma (IFUR) e mantenne questa carica fino al 1960. Insomma, Amaldi era ormai il punto di riferimento politico obbligato per la ricerca, non solo fisica nel nostro Paese e per i rapporti con la comunità internazionale. Ma rimaneva l’altro punto: qual era lo stato della ricerca, della strumentazione, dei finanziamenti in Italia?

            Amaldi, di ritorno a Roma dagli USA, restò compiaciuto del fatto che gli anni della guerra non avevano creato solchi incolmabili nell’elaborazione teorica della ricerca fisica. Insomma l’Italia era al passo. Ciò che mancava erano laboratori e strumenti all’avanguardia. La fisica, quella che oggi chiamiamo delle particelle elementari, era ad uno stato di ricerca sperimentale avanzato. Come mettersi al passo senza soldi? L’unica strada accessibile, e che fu seguita, era quella dei raggi cosmici: delle particelle elementari che non avevano bisogno di acceleratori ma che venivano prodotte ed “accelerate” dalla natura. D’altra parte la fisica nucleare era già ad uno stato di maturità per cui occorreva passare ad uno studio più raffinato, quello appunto delle particelle elementari, quello delle alte energie, delle interazioni forti. Le ricerche che si svilupparono a Roma dal 1950 al 1953 non erano però ancora orientate su questa strada. Si tentava l’affinamento di tecniche attraverso lo studio dell’interazione dei muoni (alcune particelle presenti nei raggi cosmici) veloci con i nuclei. Su questa strada si riuscì a confermare entro ragionevoli limiti di validità il modello a strati del nucleo (in questo periodo lavorarono con Amaldi, tra gli altri, Castagnoli, Mezzetti. Sciuti e Stoppini): Si passò subito alla tecnica delle emulsioni nucleari (resa altamente efficace da Giuseppe Occhialini) per lo studio dei raggi cosmici e con questa tecnica vennero studiati  in modo approfondito un altro tipo di mesoni presenti nei raggi cosmici, i K. Fu in quegli anni che Amaldi divenne il massimo esperto mondiale di ciò che venne chiamato il puzzle teta tau. Negli anni successivi, che vanno da 1953 al 1955, coadiuvato da Baroni, Cortini, Franzinetti e Manfredini, osservò nei raggi cosmici un evento che fece molto discutere e che molto fece meditare lo stesso Amaldi, con la cautela che lo contraddistingueva nell’interpretazione di ogni risultato sperimentale: l’annichilazione di un antiprotone.

IL CERN ED ALTRO

            Intanto la parte “politica” andava avanti. Nel giugno del 1950 si tenne una delle Conferenze Generali dell’UNESCO a Firenze. In questa sede il fisico indiano e premio Nobel I. Rabi, facente parte della delegazione USA, fece la proposta di incoraggiare la formazione e costituzione di centri europei di ricerca, soprattutto fisica. Amaldi ed Auger furono i destinatari europei del messaggio Rabi. Essi iniziarono una importante opera di propaganda e proselitismo al progetto ancora vago. Di ritorno da un viaggio negli USA in quel periodo e dopo aver visitato i laboratori di Brookhaven, Amaldi era entusiasta di quanto pensava si potesse realizzare con un potenziale congiunto di vari stati europei. In Europa, con la completa collaborazione di Auger, si riuscirono a mettere in moto le influenze dell’UNESCO e dello IUPAP. Dopo un primo incontro a Ginevra il 12 dicembre del 1950, altri ne seguirono a Parigi. Si puntava a costruire un laboratorio unico europeo che disponesse di un acceleratore di particelle tra i più potenti in funzione. Fu duro per Amaldi ed Auger vincere molte resistenze e proposte alternative (soprattutto da parte della Gran Bretagna) ma vi riuscirono e, nel giugno del 1952, vide la luce l’European Council for Nuclear Research, il CERN. Amaldi fu nominato Segretario Generale del Centro (carica che mantenne fino al 1954). Ma, a questo punto, gli incarichi e le iniziative si moltiplicarono vertiginosamente. Egli, che dal 1945 era direttore del Centro di Fisica Nucleare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), promosse, insieme a G. Bernardini ed a Perucca, la nascita dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN – 1951). Restò direttore del Centro di Fisica Nucleare che da allora diventò una sezione dell’INFN. A  partire dal 1960 passò alla Presidenza dell’Istituto (carica che mantenne fino al 1965, anno in cui fu nominato vicepresidente per il triennio successivo). Dal 1956 al 1960 fu Vicepresidente del Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (CNRN) e dal 1960 al 1965 membro della Commissione Direttiva del Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare (CNEN, ex CNRN, futuro ed attuale ENEA).

            La nascita del CERN era solo il primo passo della politica europea di Amaldi. Nel 1957, dopo il lancio dello Sputnik sovietico, gli USA risposero con la creazione della NASA (1958). In questa occasione “per dare la possibilità agli scienziati europei di collaborare allo studio e all’esplorazione dello spazio extraterrestre” Amaldi invitò vari governi europei a mettere insieme le forze per avviare ricerche applicative sullo spazio. Nel 1958 si tenne un convegno al CERN e nel 1961 fu costituita una Commissione che nel 1964 (le resistenze da vincere erano molte) dette vita all’European Space Research Organization (ESRO) successivamente divenuto European Space Agency (ESA) che, come tutti sanno, è la promotrice del programma spaziale europeo.

            Intanto, nel 1957, Amaldi venne nominato Presidente dello IUPAP (carica che mantenne fino al 1960). E proprio in questo periodo dette impulso ad un piano che mostra la sua genialità ed ampiezza di vedute proiettate verso traguardi sempre più lontani. Mentre in ambito CERN spingeva per la costruzione di nuovi acceleratori di particelle, l’ISR e l’SPS (entrato in funzione nel 1970), in Italia promosse, insieme a G. Bernardini, la costruzione di un elettrosincrotrone da 1.000 MeV la cui realizzazione venne affidata ad un gruppo guidato da Giorgio Salvini (colui che fu Ministro della Ricerca Scientifica nel Governo Ciampi del 1993 e, fatto certamente trascurabile per la storia ma importantissimo per me, mio secondo relatore della  tesi di laurea). I lavori andarono avanti per 5 anni e nel 1958, nei tempi e con i finanziamenti previsti, vennero conclusi. Nascevano così i Laboratori Nazionali di Frascati del CNEN. Ciò che è di interesse è che l’elettrosincrotrone, accelerando elettroni, si poneva come macchina complementare di quelle già in funzione o che stavano entrando in funzione al CERN; queste ultime infatti acceleravano protoni. I fisici italiani avevano dunque la possibilità di studiare non solo la fisica degli elettroni e dei fotoni a Frascati, ma anche quella dei leptoni e degli adroni a Ginevra.

            Questa forte personalità di Amaldi, unita alla sua, mai venuta meno, determinazione, insieme al carisma di altri fisici italiani, tra cui Ferretti, attrassero fisici stranieri a lavorare nel nostro Paese. Tra questi il personaggio più fecondo di idee, iniziative e carica umana fu certamente l’austriaco Bruno Touschek che gran parte ebbe negli sviluppi della fisica italiana e quindi mondiale. Fu proprio da un’idea di questo brillantissimo fisico che nacquero gli Anelli di Accumulazione, gli AdA, quelle macchine  a fasci incrociati che una grossa rivoluzione dovevano portare alla fisica delle alte energie. Si trattava di far ruotare lungo un anello, in versi opposti, due fasci di particelle di carica opposta (elettroni e positoni) per poi farli urtare e, dal loro urto studiare tutte le possibili reazioni. L’idea sembrava eccellente (con un piccolo gioco si raddoppiava l’energia disponibile, oltre ad avere la possibilità di studiare l’interazione elettrone – positone), solo che un fascio di positoni (gli antielettroni) sembrava impossibile da ottenere. In un seminario del 7 marzo del 1960, tenutosi presso i laboratori di Frascati, Touscheck la illustrò e Salvini, Direttore dei Laboratori, la prese sul serio, come racconta Carlo Bernardini. Il lavoro fu immediatamente affidato, oltreché a Touscheck, sa Carlo Bernardini, a Gian Franco Corazza e Giorgio Ghigo. In meno di un anno la piccola macchina, AdA, era pronta e nel 1961 entrò in funzione. Era la prima al mondo. La fisica italiana iniziava di nuovo a fare scuola. Conclude Carlo Bernardini la storia di AdA: “Ma l’Italia non è un Paese abbastanza ricco e i tempi in cui Salvini, Amaldi ed Ippolito [il Presidente del CNEN dell’epoca, che ritroveremo tra poco, n.d.r.] riuscivano a superare facilmente le difficoltà burocratiche e amministrative e ad avviare un’impresa in pochi giorni sono passati da un pezzo: Adone fece appena a tempo a partire che già la musica era cambiata”. Ecco, Adone, figlio molto più grande di AdA, entrò immediatamente in progetto ma una serie di vicende, appunto politiche e burocratiche, ne ritardò al 1969 l’entrata in funzione.

            Vi è un aneddoto, raccontato da Carlo Bernardini. che merita di essere conosciuto. AdA era famosa. Tale macchina fu, in una data epoca, caricata su di un TIR per essere portata in Francia ed essere messa in funzione vicino Parigi. Dentro Ada era stato fatto un vuoto ultraspinto. Arrivati alla frontiera francese ci furono grossi problemi con i finanzieri che volevano sapere cosa c’era dentro e non volevano credere che non c’era proprio NIENTE. La cosa dovette essere risolta a livello diplomatico perché sarebbe stata impensabile l’apertura di AdA.

            Intanto, a lato dei Trattati di Roma, il 23 marzo del 1957 nasceva la collaborazione nucleare europea, l’Euratom. Alla Presidenza del Comitato Scientifico – Tecnico dell’Organizzazione fu chiamato uno dei promotori dell’Euratom, Edoardo Amaldi, il quale mantenne tale incarico fino al 1959. A questo punto però iniziarono varie pressioni ed interferenze politiche del potere politico democristiano (Presidente del Consiglio Antonio Segni) che crearono vari danni al prestigio, anche scientifico, del nostro Paese. Ad esempio, l’importante incarico di vicepresidente venne affidato ad uno dei cinque commissari europei, all’italiano Enrico Medi. Ebbene quest’ultimo, non aveva nessuna preparazione tecnico scientifica ed aveva al suo attivo come fisico il solo essere stato uno dei predicatori pro DC (insieme a Gedda) nelle elezioni del 1948. E, secondo ciò che scrive Mario Silvestri: “La sua nomina provocò all’Italia il massimo danno compatibile con le sue capacità”. Insomma le logiche di “lottizzazione” iniziarono (o seguirono) a fare danni enormi (per saperne di più su questa triste vicenda si può leggere il libro di Silvestri riportato in Bibliografia).

            Ma torniamo ad Amaldi che continuava ad avere incarichi di grande prestigio: tra il 1958 ed il 1960 fu Presidente dello Scientific Policy Committee del CERN. Dal 1963 fu Direttore di EFCA, l’ente che doveva studiare e proporre i nuovi acceleratori europei. Dal 1968 fu Presidente del Comitato Scientifico per la Fisica della Fondazione Solvay. Negli anni 1968 e 1969 fu Direttore del progetto di acceleratore da 300 GeV del CERN.

IL CASO IPPOLITO

            Gli anni che vedevano l’Italia reinserirsi nel consesso mondiale con integrazioni e collaborazioni di prestigio vennero bruscamente interrotti da un gravissimo attacco che la politica portò contro il Segretario Generale del CNEN, Felice Ippolito. Era il 1963  e lo scontro fu duro, da una parte la DC ed il  PSDI e dall’altra Amaldi alla guida morale dell’intera Comunità Scientifica.

            Sotto la guida e la spinta di Ippolito, il CNEN stava portando avanti un piano articolato per lo sviluppo pacifico dell’energia nucleare in Italia (in pratica: si stavano studiando diversi brevetti italiani di centrali nucleari). Ben cinque progetti differenti erano in cantiere (PRO, PCUT, EUREX, IBI, RAPTUS) che si sommavano al progetto CIRENE del CISE, ad una centrale nucleare che Mattei, Presidente dell’ENI, aveva comprato in Gran Bretagna, ad un’altra centrale che l’industria elettrica privata (EDISON) aveva acquistato negli USA (prima della nazionalizzazione dell’energia elettrica del 1963, avvenuta come una delle contropartite che il PSI di Nenni chiedeva per entrare nel primo organico centro sinistra con la DC di Moro), ed un’ultima centrale che l’IRI-Finmeccanica  aveva comprato sempre negli USA. Insomma le uniche ricerche che si proponevano la realizzazione di centrali nucleari a brevetto italiano erano quelle del CNEN (Mattei era maggiormente interessato al nucleare per la realizzazione di impianti che procurassero il combustibile, ed il progetto CIRENE aveva perso impulso dopo la nazionalizzazione dell’energia elettrica poiché tra i finanziatori del CISE vi era appunto l’industria elettrica privata).

            L’anno 1963 fu un “annus orribilis” per l’Italia. Gli USA non vedevano favorevolmente l’ingresso del PSI nel governo (Nenni era stato un alleato del PCI fino al 1956 ed aveva avuto importanti legami con l’URSS). Il PSI chiese un importante pedaggio alla DC per entrare nel governo: scuola media unica (abolizione dell’avviamento professionale) obbligatoria fino ai 15 anni; nazionalizzazione dell’energia elettrica, tra le più qualificanti. Gli USA si costruirono la loro contropartita. Eliminarono Mattei (che aveva tolto grosse fette di mercato alle multinazionali del petrolio) con un finto incidente aereo (l’apertura degli archivi della CIA ha reso palese una verità che tutti conoscevano); “obbligarono” l’Olivetti” a vendere il suo settore più avanzato (quello dei calcolatori elettronici) alla statunitense Fairchild; si sbarazzarono di Ippolito con il fattivo sostegno iniziale del segretario del PSDI, Giuseppe Saragat (che successivamente fu premiato con la Presidenza della Repubblica italiana). L’Italia poteva seriamente porsi sul mercato mondiale delle centrali nucleari come concorrente qualificatissima degli USA. L’eliminazione della politica nucleare applicativa italiana, scongiurava un tale pericolo. Colpire Ippolito era colpire tutta questa ricerca nucleare. Saragat fu l’utile politico. Di ritorno da un viaggio negli USA, dalla nave che lo riportava in Italia, dettò (11 agosto 1963) un articolo al Corriere della Sera dal titolo: “Elettricità ed energia nucleare: dilapidazioni denunciate da Saragat”. Da lì iniziò un’inchiesta che vide il socialdemocratico Preti come parte attiva e poi l’intera DC. Le cose si spostarono da una questione tecnica ad una vicenda personale sulla persona di Ippolito. Questi fu oggetto di molteplici attacchi che ebbero vasta risonanza sulla stampa (“Al CNEN si dilapida il pubblico denaro”; “Costruire centrali nucleari per produrre energia equivale a costruire una segheria per produrre segatura”; …). Le accuse pian piano divennero di ‘peculato’, ‘abuso in atti d’ufficio’, ‘distrazione’ ed ‘interesse privato’. Tutto questo perché Ippolito aveva pensato di finanziare una storia della scienza e della tecnica in Italia che avrebbe dovuto realizzare lo storico De Capraris (costo dell’impresa 5 milioni di lire) e perché, durante le sue vacanze estive a Cortina d’Ampezzo, aveva usato una Jeep dell’Ente. SUL NULLA Ippolito fu condannato ad 11 anni di reclusione e quindi tolto di mezzo.

            Ma, aldilà della triste vicenda di Ippolito, restava il fatto che tutta la ricerca scientifica italiana (e particolarmente quella nucleare) ne usciva colpita  a fondo. I progetti del CNEN furono abbandonati, i prototipi delle 5 centrali dimenticati; più in generale: non vi erano più finanziamenti per la ricerca e gli stessi sbocchi professionali di chi, sull’onda dei successi degli anni precedenti, aveva deciso di fare il fisico, venivano drasticamente ridimensionati. Amaldi, alla testa del mondo politico e culturale italiano impegnato nella difesa della democrazia del nostro Paese, insorse energicamente con tutta l’autorità che discendeva dalla sua persona.

            Comunque le vicende scientifiche erano così bene avviate che il “caso Ippolito” solo rappresentò un rallentamento nella ricerca in svariati campi e, purtroppo, l’abbandono di un indirizzo applicativo di cui l’Italia aveva ed ha grandemente bisogno (per saperne di più si possono vedere il già citato testo di Silvestri e quello dello scrivente, l’Energia, riportato in Bibliografia).

ULTERIORI RICERCHE

            Abbiamo fatto un lungo excursus su iniziative politico gestionali di Amaldi, con corredo di vari prestigiosi incarichi da lui ricoperti. Ed è a questo punto che vi è un aspetto dell’attività di Amaldi che va fortemente sottolineato. Egli, pur nel vortice di impegni non smise mai di studiare, di fare il ricercatore di frontiera, di fare il docente ed il maestro per molte generazioni di giovani e di fisici.

            Negli anni che vanno dal 1955 al 1960, mise su con il suo vecchio compagno Emilio Segrè un programma di ricerca, ancora con le emulsioni nucleari, tra le Università di Roma e di Berkeley sull’annichilazione degli antiprotoni. In quegli anni l’antiprotone era, con le parole di Salvini, la particella attesa e gloriosa. La scoperta di essa e degli antineutroni è legata ai nomi di Segrè, O. Piccioni ed Edoardo Amaldi. Nell’ambito di queste ricerche Amaldi, in collaborazione con vari altri fisici, scoprì una nuova particella, l’antisigma +. A partire dal 1961 e fino al 1968 si occupò della ricerca sperimentale dei monopóli magnetici previsti dalla teoria di Dirac (1931). I monópoli non furono trovati ma fu possibile stabilire l’impossibilità della loro esistenza entro certi limiti di massa e di vita media.. Ancora oggi si ricerca sui monopóli magnetici ma in condizioni sperimentali totalmente differenti, disponendo, ad esempio, di un laboratorio come quello del Gran Sasso.

            Altro grande risultato del Gruppo Amaldi negli anni 1969 – 72 è relativo al fattore di forma assiale del nucleone. Negli anni che vanno da 1975 al 1977, lo stesso gruppo Amaldi dell’Università di Roma, in collaborazione con un gruppo dei Laboratori di Brookhaven (USA) studiò la produzione multipla di raggi gamma generati nell’urto protone – protone ad elevate energie (per queste esperienze fu utilizzato l’anello ISR del CERN che era stato costruito, come già detto, proprio per sua iniziativa).

            Una breve parentesi di ricordi personali. Negli anni dalla fine del 1963 al 1970 ho studiato nell’IFUR. A parte il primo biennio in cui sei meno che nulla, a partire dal terzo anno nell’Istituto si iniziava ad entrare come membro di una famiglia. Il papà era Amaldi, poi vi erano tanti grandi zii. Vedere questa persona sempre cortese a tutti i livelli con ogni studente, sempre disponibile, anche lungo un corridoio o sulle scale a soffermarsi a dare spiegazioni, vedere e vivere tutto ciò ti faceva sentire partecipe di una impresa. Vi erano i giorni in cui Amaldi era cupo e tutti noi ci rendevamo conto di qualcosa che non andava. Altri giorni era allegro come un ragazzino. Mettendo insieme i pezzi, a parte vicende familiari che non potevamo conoscere, si capiva subito che i suoi umori erano legati all’esito delle ricerche dei suoi gruppi. Capivamo i suoi entusiasmi e la sua voglia di conoscere da ogni suo gesto. Ancora Carlo Bernardini racconta che Amaldi era capace dei più grandi gesti di entusiasmo ed umiltà. Un giorno vi era una riunione tra i professori dell’Istituto (il secondo piano!). Amaldi ad un certo momento si scusò perché doveva andare via: aveva un appuntamento con un borsista che gli doveva spiegare alcune questioni teoriche! Questo era Amaldi! In quegli anni, per me eccezionali, girava per l’Istituto proteggendolo come un suo oggetto personale. Dico questo perché quegli anni furono segnati dal 1968 ed anche l’Istituto di Fisica fu tra quelli occupati per molto tempo. Tutti i professori potevano entrare. Ognuno poteva portare avanti la sua ricerca. Non c’è mai stato un problema alunni da una parte e professori dall’altra nell’Istituto (a parte qualche rara eccezione, quantomeno vi era neutralità e non belligeranza). I ricordi occuperebbero molto spazio. Solo qualche flash.

         Una volta egli stava per iniziare la sua lezione nell’Aula di Fisica Sperimentale. Fui io che, bussando, lo avvertii che era prevista un’Assemblea: egli non disse nulla a me, si rivolse agli studenti, chiese scusa e se ne andò. Un’altra volta si discuteva su un corridoio su alcune frasi lette su dei manifesti scritti a mano (“Basta con la scienza dei padroni”). Alcuni sostenevano che questo argomentare era d’accordo con le tesi che un altro professore (Marcello Cini) aveva sostenuto in un suo articolo su “Il Manifesto” mensile. Passava Amaldi e lo vidi adirarsi in modo eccessivo: “non vi è scienza dei padroni, ma scienza e basta! Se poi sostenete queste cose per l’autorità che ha Cini, io di autorità ne ho di più!”. Ultimo ricordo che a me creò imbarazzo ed emozione è proprio personalissimo. Ero da poco laureato. Uscivo dall’Università e, a piedi, mi recavo a prendere l’autobus camminando sul marciapiede che costeggia il Ministero della Difesa (Aereonautica). Una Fiat 600 mi si ferma vicino e mi suona. Mi giro ed era Amaldi! Mi dice: “Andiamo Renzetti, sali che ti accompagno”. Salii sulla sua macchina e mi ricordo che ero talmente emozionato che andai forse sotto casa sua, molto più lontano di dove dovevo andare. Scesi quando mi disse se andava bene lì. Poi mi disse tante cose ma non ricordo nulla. Mi disse anche che, da “collega”, dovevo dargli del tu. Ho passato anni con tutte le circonlocuzioni e perifrasi possibili per evitare di affrontarmi al tu con Amaldi. Carlo Bernardini mi ha raccontato che, anche lui, ebbe un grande problema ad iniziare a dar del tu ad Amaldi (io non ci sono mai riuscito). Quest’ultimo episodio è legato a quanto dicevo sull’occupazione dell’Istituto. Amaldi, che pure era gelosissimo del “suo” Istituto riconobbe in alcuni di noi persone che operavano perché il nostro Paese funzionasse meglio. Soprattutto ci riconosceva il rispetto che avevamo mantenuto per l’Istituto, la sua strumentazione, il personale tutto. Ritrovai Amaldi in vari congressi e, particolarmente in uno dell’AIF, dove venne a raccontarci alcune sue ricerche di punta. Lo ritrovai ancora a Barcellona quando intervenne ad un seminario sulle Simmetrie in Fisica. Lo rividi in Istituto l’estate del 1989. Lo invitai a Barcellona per una conferenza su “ciò che voleva”. Mi rispose che non  aveva il tempo.

            Tornando alla cronologia, a partire dal 1975 Amaldi indirizzò i suoi interessi verso un nuovo e promettente campo di ricerca di frontiera, quello sulle onde gravitazionali. All’argomento aveva iniziato ad interessarsi nel 1962, quando nella Scuola estiva di Varenna sul Lago di Como, ascoltò una conferenza del pioniere americano delle onde gravitazionali, J. Weber. Nel 1970 aveva già stimolato a Roma la nascita di un gruppo che si occupasse della questione (G. Pizzella). A partire dal 1975 iniziò a lavorare direttamente nel gruppo portando avanti tale lavoro fino alla fine dei suoi giorni (1989). Non entro nel merito di questi ultimi lavori, voglio solo dire che il gruppo italiano ha fornito e fornisce risultati all’avanguardia mondiale. Se solo si sapesse compiutamente cosa c’è tecnologicamente dietro la costruzione di un’antenna gravitazionale, si comprenderebbe a fondo a che punto di elaborazione, complessità e rispetto internazionale è riuscito Amaldi a portare il nostro Paese. Non si dimentichi poi il fatto che, dopo il Nobel di Fermi del 1938, un nuovo Nobel è tornato all’Italia nel 1984 attraverso la persona di Carlo Rubbia per le sue ricerche al CERN (scoperta del “bosone vettore intermedio”, conseguente conferma sperimentale di una parte della teoria della “grande unificazione” di Weinberg, Glashow e Abdus Salam del 1968: unificazione tra la forza elettromagnetica e l’interazione debole o interazione universale di Fermi). Mi permetto a questo punto di dire, con tutto il rispetto per Rubbia, che questo è un Nobel alla fisica italiana, agli sforzi giganteschi che tutti hanno fatto e, in prima fila, a Edoardo Amaldi.

            Altre ricerche, non meno importanti dal punto di vista della comprensione di ciò che accadeva nel mondo della fisica, ci ha lasciato Amaldi. Si tratta dei lavori di Storia della Fisica, dei resoconti storico – critici di eventi di cui spesso fu testimone ed attore. Questo impegno iniziò nel 1966 con una biografia di Ettore Majorana, lo scienziato scomparso nel 1938. Amaldi era probabilmente l’unico che era riuscito a restare amico di Majorana fino alla fine. Per questo più volte ritornò sulla sua vita e sui suoi lavori. Per questo partecipò con passione al dibattito che Sciascia aprì con ipotesi fantasiose sulla scomparsa dello scienziato.                       

            Attraverso i lavori approfonditi ed attenti di Amaldi abbiamo conosciuto la vita e l’opera di altri fisici: di Enrico Persico, di Ettore Pancini, di Bruno Touschek, di Emilio Segrè; ma anche altre storie di non minore interesse, come quella del CERN che Amaldi scrisse tra il 1966 ed il 1980; come la ricostruzione meticolosa dei lavori sui neutroni che il gruppo di Via Panisperna realizzò negli anni ’30, che scrisse tra il 1972 ed il 1984; come il resoconto dettagliato dell’opera di ricostruzione della fisica italiana nel dopoguerra (del 1979). Insomma documenti estremamente importanti che ci hanno permesso di conoscere alcuni aspetti della Storia della Fisica che altrimenti sarebbero andati perduti: In questo quadro va certamente inserito un lavoro molto importante che egli sviluppò nell’ambito di un seminario sulle simmetrie in fisica che si è tenuto vicino Barcellona nel 1982. Egli ha ricostruito con dovizia di particolari, in gran parte inediti, come Fermi ha elaborato la sua statistica e come i dati sperimentali di Rasetti aiutarono a costruire una statistica per i nuclei (si veda la Bibliografia). ma i suoi lavori di Storia furono svariati altri e, va sottolineato, alcuni di essi furono dei veri e propri saggi di epistemologia (“Realtà naturale e Teorie Scientifiche”; “L’Unità della Fisica”; …).

L’IMPEGNO SOCIALE E CIVILE

            Si tratta della parte meno nota della sua vita. Amaldi era molto schivo e restìo a parlare di queste cose ed infatti nelle sue “storie”, pur così piene di riferimenti e dettagli, non vi è traccia di questa sua attività.

            Eppure egli dedicò moltissime delle sue energie, a partire dal dopoguerra, alla lotta per il disarmo, per i diritti civili ed umani, ad affermare la responsabilità sociale dello scienziato.

            Nel 1955 venne reso pubblico il Manifesto Russel – Einstein (dai nomi del principale estensore e del più illustre firmatario). In questo manifesto si denunciava il rischio connesso con lo sviluppo delle armi nucleari e la loro proliferazione; inoltre ci si appellava a tutta la comunità scientifica internazionale affinché si facesse partecipe presso i propri governi per scongiurarne ogni prospettiva d’uso (erano gli anni più bui della guerra fredda). Nel 1957 l’iniziativa del Manifesto sfociò in una riunione di scienziati che si tenne nel paesino canadese di Pugwash (da cui il nome Movimento Pugwash).

            Amaldi, per il prestigio internazionale di cui godeva, fu coinvolto fin dall’inizio nell’iniziativa e solo per una serie di altri impegni che già aveva, non poté recarsi alla riunione di Pugwash. Ma nel 1958, alla successiva riunione che si tenne in Europa, non solo partecipò ma fu anche chiamato a far parte del Comitato direttivo del Movimento alla sua costituzione. Egli ne fu membro attivo fino al 1973 quando cominciò a rinunciare a gran parte degli impegni che lo allontanavano dalla sua casa, poiché, ogni volta che poteva preferiva stare in compagnia di sua moglie, l’adorata Ginestra, costretta su una sedia a rotelle da una invalidità che la aveva colpita. Ma anche a distanza seguì sempre con grande interesse ed impegno l’attività del Pugwash.

            Il 1967 fu un anno importante per l’Italia: si trattava di aderire o no al trattato di non proliferazione nucleare. Sembra facile ora sostenere che l’esito sarebbe stato chiaramente contrario alla proliferazione. Ma le cose allora erano difficili: Vi era un compatto schieramento che sosteneva di fronte al Paese la necessità di dotarsi di armamento nucleare perché, in caso contrario, avremmo rischiato che il complesso economico – industriale dell’Italia ne avrebbe ricevuto un duro colpo e saremmo subito retrocessi ad un Paese di serie inferiore. La battaglia fu dura e parte importante del merito che si sia firmato il Trattato fu dell’intera comunità dei fisici e di Amaldi che, con il suo prestigio, seppe convincere diversi esponenti politici oltre a sensibilizzare l’opinione pubblica dell’intero Paese.

            Ancora nel 1979 fu uno degli ispiratori e, come ricorda F. Calogero, certamente il più autorevole dei sottoscrittori di un documento di svariati fisici italiani in cui si analizzavano i rischi dell’installazione sul territorio italiano dei missili ‘Cruise’. Amaldi, quale decano morale dei fisici italiani, ricorda ancora Calogero, guidò la delegazione di fisici che, il 27 novembre 1982, presentò il documento al Presidente della Repubblica Sandro Pertini (il quale, durante l’udienza, non lesinò parole di lode allo stesso Amaldi). Vale solo la pena ricordare che tali missili furono installati a Comiso durante la Presidenza del Consiglio di Craxi.. In ogni caso tale documento e le vaste adesioni che originò germogliarono per dar vita, in Italia, all'”Unione degli Scienziati per il Disarmo (USPID) che ha tenuto sempre vivo il dibattito sui pericoli connessi con le armi e la loro proliferazione mediante discussioni e convegni documentati ed approfonditi (e non su acritiche posizioni ideologiche). I vari convegni dell’USPID che si sono tenuti hanno sempre avuto un notevole successo anche perché ad essi aderiva e partecipava Edoardo Amaldi. Nel quadro delle iniziative dell’USPID (congiuntamente con svariati enti e/o istituzioni) vanno ricordate alcune lezioni sulle armi nucleari che Amaldi (tra gli altri) tenne presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma (esistenti in video) oltre ad alcuni scritti che comparvero su prestigiose riviste italiane e straniere.

             Ancora ad Amaldi si deve la creazione, nell’ambito delle attività dell’Accademia Nazionale dei Lincei, del Gruppo di Lavoro per la Sicurezza Internazionale ed il Controllo degli Armamenti (SICA). Uno dei risultati di questo gruppo è il progetto per la riutilizzazione a fini pacifici di tutto il materiale fissile presente nelle testate nucleari delle migliaia di missili esistenti nel mondo.

            Sempre nell’ambito dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Amaldi ha creato nel 1986 la Commissione per la Difesa dei Diritti Civili: In un resoconto di attività fatto dallo stesso Amaldi nel 1988, è risultato che la Commissione è intervenuta in 200 casi relativi a violazione dei diritti civili in 34 Paesi dal Cile all’URSS, indipendentemente dalle tendenze politiche di ciascun Paese.

            Un aspetto della vita di Amaldi non può essere taciuto: quello di insegnante, anzi di maestro. Egli per anni ha allevato generazioni di fisici introducendoli alla comprensione di questa complessa disciplina. Le sue lezioni erano affascinanti, di una leggendaria chiarezza; rendevano semplici le cose più ostiche e soprattutto permettevano agli studenti di stare vicino ad una leggenda vivente che spesso si soffermava con loro, quando la lezione era finita, a spiegare, chiarire, sempre con una disponibilità ed affabilità che stupivano.

            Sembra ridicolo a questo punto ma, per completezza, elenco alcuni degli svariati riconoscimenti e titoli che Amaldi ebbe nel corso della sua vita. Fu socio e, negli ultimi anni della sua vita, Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei; fu socio dell’Accademia Nazionale dei Quaranta, e di molte altre Accademie italiane e straniere tra cui occorre ricordare l’Accademia delle Scienze dell’URSS, l’American Philosophical Society of Philadelphia, la US Academy of Sciences, l’American Academy of Arts and Sciences of Boston, la Royal Society of London, l’Accademia Leopoldina e la Royal Academy of Sweden. Ebbe diverse lauree “honoris causa”, tra cui quelle dell’Università di Algeri e Glasgow, oltre al Sigillo della Sorbona.

            La mattina del 5 dicembre 1989 Amaldi era lì ai Lincei, al lavoro. Come ogni mattina sbrigava le sue cose, dava il saluto ad un qualche convegno che si apriva, si recava poi all’Istituto di Fisica, impostava ed avviava lavori, scriveva, poi con il gruppo di ricerca sulle onde gravitazionali. Quindi a casa, con Ginestra.

            Anche quella mattina alle 10 Amaldi portò il suo saluto al Convegno COMETT II, programma della Comunità Europea per la cooperazione tra Università ed Imprese. Andò poi a sbrigare alcuni affari correnti e quindi, verso mezzogiorno, si avviò verso l’ascensore per tornare a casa. Fu lì che un ictus cerebrale ha posto fine alla sua vita lasciando un vuoto davvero incolmabile.

BIBLIOGRAFIA

La gran parte delle notizie su Edoardo Amaldi provengono da uno scritto di Giorgio Salvini, suo collaboratore ed amico per oltre 40 anni:

G. Salvini – Note sull’opera scientifica e la figura intellettuale di Edoardo Amaldi – IFUR, 1990. [Queste note sono state pubblicate su: AA. VV – Tradizione ed Innovazione – Liceo Scientifico “E. Amaldi”, Barcellona 1991; in questo testo compare anche lo scritto di F. Calogero – Problemi del disarmo – in cui si racconta l’impegno di Amaldi sulle questioni in oggetto].

Altre cose sono state scritte su Amaldi, ma posteriori a questo mio scritto. Si tratta di una biografia di Carlo Rubbia e di un lavoro di Gianni Battimelli e Michelangelo de Maria per gli Editori Riuniti (Battimelli e De Maria, tra l’altro, hanno avuto accesso all’archivio Amaldi con il compito di riordinarlo al fine di mantenerlo per ogni studio futuro).

Fonti su Amaldi sono anche le medesime citate nella Bibliografia da me riportata nell’articolo su Enrico Fermi. Aggiungo qui altri testi non altrove citati.

E. Amaldi – Gli anni della ricostruzione I  – Scientia 114, 1979.

E. Amaldi – Gli anni della ricostruzione II – Scientia 114, 1979.

AA. VV. – Per il settantesimo compleanno di Edoardo Amaldi – Numero monografico del Giornale di Fisica, 20, 3, 1979.

E. Amaldi – The Fermi – Dirac statistics of nuclei – In “Symmetries in Physics (1600 – 1980), Edited by Doncel, Hermans, Michel, Pais; Barcelona 1987.

AA. VV. – Ricordo di Edoardo Amaldi – Numero monografico di Sapere, 56, 13, 1990.

Sulle vicende della fisica nucleare italiana dal punto di vista applicativo e sul caso Ippolito si veda:

M. Silvestri – Il costo della menzogna – Einaudi, Torino 1968.

R. Renzetti – L’energia – Savelli, Roma 1979.



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