FEDE CONTRO SCIENZA (Parte I)

Roberto Renzetti

(Ottobre 2009)

PARTE I

        Entro di nuovo in questo argomento per le provocazioni che continuano in questo Paese dove, dati i governi ossequienti, la Chiesa delle gerarchie sembra possa dire ciò che vuole, anche e soprattutto delle sciocchezze.

        Alcune premesse sono indispensabili perché si ha a a che fare con disonesti che cambiano continuamente le carte in tavola: il cittadino credente, di qualunque fede, ha tutto il diritto di esserlo e, per questo solo fatto, non sarà mai al centro di polemiche. La fede aiuta chi ce l’ha. Ma sulla fede, troppo spesso, incombe la dottrina, la gerarchia, le frasi apodittiche inventate per opprimere il prossimo.  

        Cosa fa lo scienziato, credente o no ? Ha di fronte a sé ciò che in linea di massima si chiama natura e tenta di capire come funziona. Attenzione il lavoro è sul come e non sul perché. Lo scienziato non ha il libro della verità rispetto al quale confrontare le cose che scopre. Ha delle idee, dei preconcetti, che gli discendono dalla sua formazione culturale e preparazione tecnico scientifica ma sa che, se vi sono dei fatti che mettono in discussione i preconcetti, questi ultimi debbono essere abbandonati. 

        Cosa fa la persona guidata dai libri sacri, qualunque essi siano ? Ogni dato del mondo esterno, ogni fenomeno, ogni problema viene rapportato a ciò che dicono quei testi dai quali viene sempre estratta la frase che giustifica tutto. Se ciò è possibile non vi sono problemi r tutto marcia tranquillo ma se la frasetta non si trova o, peggio, se vi è la frase che afferma il contrario o cose diverse da ciò che ci troviamo di fronte allora inizia il dubbio su ciò che è in contrasto con la verità rivelata. Ogni fenomeno non rientrante in ciò che dicono i libri è negato o gli è imposta una spiegazione che riporti il tutto a questa verità.

        Vi è una questione su cui spesso si sorvola e che è invece da risolvere prima di qualunque discussione. Quei testi sono stati scritti da uomini molti secoli fa. Si trattava di persone certamente in buona fede, certamente al massimo della conoscenza possibile all’epoca ma, altrettanto certamente, primitivi e incapaci di cogliere un mondo che si estendesse al di là delle Colonne d’Ercole. Non hanno fatto nulla di male. Anzi. Hanno tentato di organizzare un codice di comportamento attraverso favole esemplari o racconti tramandati o leggende edificanti o … codice per i popoli che, contrariamente ai redattori, erano profondamente ignoranti, popoli di pastori nomadi o, al massimo, agricoltori organizzati in tribù. Nei racconti fantastici vi è una legge che non era scritta in altro luogo in quanto nei deserti non vi è uno Stato, una qualche regola. Funziona l’occhio per occhio perché non vi sono prigioni e chi ruba qualche pecora rischia di far morire di fame la famiglia che di pecore ne ha poche. E chi scrive questo ? Un pastore qualunque un poco più acculturato ? Se così avesse affermato sarebbe stato preso a sassate. Solo Dio, un’entità che tutto può e tutto vede, è l’artefice di quei libri. Quindi Dio, il soprannaturale, che ha mille motivi di apparire, specialmente nei deserti, nei digiuni, sotto i raggi del sole, senza acqua, … E’ questo Dio che è artefice, per interposta persona, di tutto ciò che è scritto in quei libri. Un Dio speciale che si fa umano e che soffre delle peggiori malattie dell’uomo, in primis la vendetta. E’ iracondo, geloso, possessivo, invidioso, crudele, guerrafondaio, furbastro, smemorato, … per ovvi motivi d’immaterialità gli mancano le prestazioni e deviazioni sessuali che però non mancano al suo popolo, soprattutto ai profeti da lui scelti, che hanno furibondi rapporti con le figlie da cui viene fatto discendere un intero popolo. Popolo feroce come il suo Dio. Popolo che ha sterminato altri popoli per impadronirsi di terra non sua. E tutto questo per volere di Dio. Quale Dio ? Ma il suo, cribbio ! E gli altri popoli ? Che muoiano perché quello scelto da Dio possa sopravvivere. Un Dio antesignano del Dio degli eserciti che sta dalla parte dei buoni che sono quelli del popolo a cui chi scrive appartiene. Il Dio è certamente credibile e solo se il profeta è da lui ispirato e se sa fare qualche gioco di prestigio o conosce qualche segreto di natura come il miraggio (ah, lo scienziato in erba !), risulta degno di rispetto. Tremila anni fa dei volenterosi hanno fatto un ottimo lavoro, hanno descritto con il mito un popolo e le sue migrazioni, attraverso storie che indicavano il modo di agire di comportarsi. Quel Dio era e non poteva essere altro il Dio di quel popolo, nel bene e nel male. Quel Dio non ha mai preteso di essere Dio di tutti i popoli e solo chi si riempie la bocca di cose sacre senza aver mai letto i testi sacri può dire il contrario.

        In questa operazione non vi è nulla di criticabile storicamente. E’ un viatico di salvezza prima materiale e poi di consolazione. Una guida completamente umana per degli uomini aggrediti da natura ostile e da molti respingimenti per intolleranza di ogni popolo per altri popoli. Siamo, dicevo, a tremila anni fa.

        Poi, in quella stessa terra venne fuori un dissidente. Da chi dissentiva ? Poteva dissentire da Dio che aveva scritto i libri ? No, anche lui doveva richiamarsi a Dio ma con un altro messaggio rispetto al precedente. Ora il richiamo era ad altro codice di vita, di morale, di rispetto. Dio vuole altro. Dio non vuole più ladri, intolleranti, corrotti, simoniaci, … non vuole l’occhio per occhio, vuole la modestia, la semplicità, il rispetto per gli altri, la non sopraffazione del ricco sul povero, la pari dignità di tutti, dell’occuparsi delle cose di fede come fatto separato dalle cose di Stato. Discorso storicamente eccellente. Una grandissima novità. Ancora Dio che, senza avere ammazzato l’altro, si presenta con altro volto (seicento anni dopo vi sarà un altro Dio che liquiderà questi due senza riuscire ad ammazzarli).

        Fin qui storia, mito, racconti edificanti, … poi la struttura dei preti-apostoli che ha voluto imbalsamare tutto questo è farlo diventare VERO per sempre. Così che ogni azione del nostro mondo ha una didascalia in versetti biblici. E poiché in quei libri vi sono milioni di parole è molto facile mediante le combinazioni con ripetizione raggiungere messaggi infiniti che vanno bene dappertutto. E c’è chi crede alla struttura messa su da questi preti che, da poveretti ed ignorantelli quali erano, sono diventati un potere politico ed economico gigantesco.  Hanno mescolato nel torbido nei lati peggiori della natura umana, nelle paure della morte, degli affetti, delle paure in genere, delle malattie, … per affermare se stessi. Vi sono milioni di persone che credono a questa struttura ? Non ho nulla da dire ma mi sia permesso il dispiacermi di quella che ritengo una negazione della propria intelligenza. Oltre questo niente contro i credenti ma moltissimo contro i padroni di questi credenti. Contro una gerarchia coltissima ma ottusissima ed in totale malafede e, ad evitare che anche le cose che io dico siano intese come provenienti da qualche libro sacro, tenterò di mostrarne la fondatezza nelle prossime pagine.

PRIMA LA FEDE

        L’unico primato che ha la fede sulla scienza è la primogenitura. Non poteva che essere così. L’uomo impaurito da una natura avversa che si accanisce in ogni modo contro la sua esistenza, anche solo con un male di denti con il quale morivano anche dei giovani faraoni, non può che affidarsi alla magia propinata da qualche ciarlatano o al volere di un essere superiore. Qualche formula magica, qualche preghiera e .. speriamo bene. Poteva nascere la scienza in queste condizioni ? La sua nascita richiedeva la conquista di varie cose. Prima di tutto dalla scrittura (VII secolo a.C.), quindi di una scuola, della conquista del pensiero logico, della fiducia nella capacità dell’uomo di poter fare delle cose mediante il pensiero e la ragione. Tutto questo nacque con il pensiero greco, con l’ellenismo, con ciò che faticosamente e stupendamente si costruiva mentre Paolo di Tarso scorrazzava per il Medio Oriente senza mai fare un cenno alle cose meravigliose che da quelle parti venivano realizzate

DALL’ELLENISMO AL CRISTIANESIMO

        L’espandersi dell’Impero di Roma mise fine alle grandi conquiste civili e scientifiche dell’ellenismo. Qualcosa restò ed anche qualche personaggio di rilievo, come Claudio Tolomeo, ma inesorabilmente, a partire dalla seconda metà del secondo secolo a.C. iniziò un inarrestabile declino. Le diverse interpretazioni che sono state fornite a proposito di questo declino, concordano su alcuni punti. Innanzitutto fu graduale; iniziò all’incirca intorno al II secolo a.C. e si accentuò molto dopo il II secolo d.C.; in pratica il processo di estinzione può dirsi concluso a cavallo del V e VI secolo d.C. Vediamone le cause e facciamo qualche considerazione. Allo scopo alcuni riferimenti possono essere utili.

        Nel 212 a.C. era stata saccheggiata Siracusa. Per molti anni Roma continuò a distruggere e saccheggiare molte città di cultura alessandrina. Gli abitanti venivano resi in massa schiavi di Roma ed erano la merce colta per i ricchi patrizi che li assegnavano come istitutori per i figli i quali, crescendo, erano un poco meno barbari. I libri, depredati da ogni biblioteca meno che da quella di Alessandria, facevano parte del bottino ma spesso, a parte gli schiavi greci, non vi era chi fosse in grado di leggerli, anche se erano un bell’ornamento in casa dei ricchi barbari di Roma. Servivano divulgazioni senza troppi conti e complicazioni. E ciò gradualmente si fece. Apprezzate erano la letteratura e la poesia. La stessa filosofia suonava strana e forse pericolosa per il potere quando era compresa; e proprio perché era complicato seguire le differenti argomentazioni ci si ferma su Aristotele, Platone e Pitagora (quest’ultimo, grazie alla numerologia dei neopitagorici, permette ancora una flebile esistenza della matematica). Il ciclo distruttivo si concluse nel 146 a.C. quando Roma si impadronì di tutto con la distruzione di Cartagine e Corinto (con il seguito poi del saccheggio di Rodi, uno degli ultimi baluardi ellenistici, del 46 a.C.,  e della conquista di Alessandria (anche se una qualche autonomia fu concessa alla città, tanto da sopravvivere addirittura all’Impero romano) del 30 a.C., con i sovrani ellenistici (Tolomeo VIII) ossequienti al padrone romano che aiutarono con la cacciata della comunità greca. Vi fu una diaspora, una fuga, soprattutto verso le uniche strade aperte, quelle che portavano ad Oriente. Ed una comunità scientifica, sradicata dal suo contesto è finita per sempre. Si mantengono le singole persone ma poi tutto finisce quando si secca la scuola come fonte.

        Una delle drammatiche conseguenze è la caduta dell’economia dell’intera area mediterranea, precedentemente facente capo proprio ad Alessandria ed il benessere economico è una delle basi su cui può svilupparsi la cultura. Ora è sempre Alessandria che produce merci e le esporta a Roma (più di quante ne partano da Roma verso Alessandria, come attestano varie testimonianze dai porti di Roma) ma i benefici di tali commerci tornavano a Roma mediante il sistema di tassazione.

        Con Roma, alcuni fenomeni di irrazionalismo, mantenuti al margine dalla cultura positiva, avanzarono inesorabilmente. Gli apparati di potere dei regni ellenistici nati dalla diaspora avevano optato per divinizzare l’autorità cui si dedicavano culti appositi; lo Stato aiutava il diffondersi di superstizioni; le prime conoscenze chimiche mescolate con la sempiterna magia originavano l’alchimia; la complessa e possente astronomia diventava uno straccio di astrologia; la Fortuna cieca diventava una divinità che si sbarazzava degli dèi antropomorfi; a fronte degli scienziati emigrati in Oriente, dall’Oriente arrivavano culti misterici misti a Vangeli esotici che annunciavano la Redenzione, a magie e riti particolari. Le pseudoscienze avanzarono inesorabilmente e restano in ottima salute anche oggi. Vi era stato un passaggio della scienza dalle mani di uomini liberi e rispettati a funzionari pagati dallo Stato ed ossequienti al sovrano. La scienza divenne il commentario di un tale autore a manuali estremamente semplici che via via sostituivano gli originali che si perdevano inesorabilmente. La letteratura invece, nella sua veste di retorica ad imitazione dei classici antichi, prosperava e diventava anche palestra per maestri di virtù e formatori del carattere.

        Quindi, a partire dal II secolo a.C, si erano iniziate a diffondere nell’Impero forze irrazionali di ogni tipo, sette e culti tra cui Zoroastro, Atti, Mitra (è storicamente provato che il Dio Mitra nacque da una vergine in una grotta un 25 dicembre, che fu adorato da pastori e Magi, che fu perseguitato, che fece miracoli, che fu ucciso e resuscitò dopo il terzo giorno, …, e che il rito centrale del suo culto era l’eucarestia), Cibele, Iside, Osiride, magie ed astrologie (i taumaturghi ottengono un vasto credito; il movimento gnostico penetra a fondo in tutti gli ambienti, quelli pagani, ebraici, cristiani, greci e barbari; si accettano le rivelazioni sulla creazione; l’alchimia fa al sua comparsa e si offre agli iniziati; l’ermetismo inizia a penetrare dovunque; le qualità richieste per conseguire il sapere non sono più intelligenza, spirito d’osservazione e obiettività ma cuore puro e fede cieca, oltre ad una immaginazione delirante).      

       Tra i vari movimenti irrazionalisti che avanzavano si preparava il campo per la nascita del Cristianesimo che fu il colpo di grazia a ciò che restava del mondo ellenista. Da questo movimento mistico furono sferrati attacchi durissimi, anche cruenti contro ogni forma di cultura classica, particolarmente se scientifica. A partire dal III secolo d.C. riuscirono a fare il deserto nel mondo completando l’opera di distruzione dell’ultimo tempio di quella cultura, la biblioteca di Alessandria, con i noti fatti tragici che videro il linciaggio della matematica Ipazia quando, nel 415, ai Ctesibio ed agli Euclide di Alessandria si passò a San Cirillo della medesima città. Come dice Bourgey:

Fu questo stato d’animo a favorire lo sviluppo delle scienze occulte, astrologia e alchimia, e anche quello della magia; questa era sempre stata praticata clandestinamente, soprattutto fra gli ignoranti, ma nei primi secoli dell’èra cristiana conquista l’ambiente colto e si rivela alla luce del sole. La scienza stessa è direttamente colpita: l’astrologia fa concorrenza all’astronomia, l’alchimia soffoca le prime manifestazioni della chimica, la botanica degrada in una farmacologia ingombra di ridicole ricette, la zoologia in collezioni di “meraviglie” le une più fantastiche delle altre. I filosofi non si sanno difendere da quest’ondata antirazionalista: i Platonici sono in preda a un totale misticismo, gli Stoici ammettono i presagi e le influenze astrali; secondo loro, come secondo Plinio il Vecchio, vediamo sostituirsi allo sforzo di determinare le leggi, cioè i rapporti costanti tra i fenomeni, la ricerca di una “causa” misteriosa e universale che agisce a distanza e produce i fenomeni.

        Intanto in quel II secolo a.C. a Roma si fece strada l’epicureismo che avrà grande influenza almeno fino all’avvento del Cristianesimo. La filosofia di Epicuro è centrata sulla vita interiore e la felicità. Quest’ultima si raggiunge liberando l’uomo dalle superstizioni dell’astrologia e della religione, soprattutto se di Stato, ed educandolo alla libertà di pensiero. Uno dei pochi frammenti di Epicuro che abbiamo è stato trovato ad Ercolano e dice: “Sempre ti sia d’aiuto il quadrifarmaco e cioè: che la divinità non deve recare timore, che la morte non è paurosa, che facile a procurarsi è il bene, facile a sopportare il male“. Questi insegnamenti erano inconciliabili con le istituzioni religiose di Roma che proprio dal timore degli dèi e della morte traevano il loro potere che, a sua volta, era da sostegno a quello dei nobili presenti soprattutto nel Senato. Gli epicurei furono cacciati da Roma con accuse infamanti e l’attacco proseguì anche contro circoli culturali che andavano formandosi ad ispirazione epicurea o comunque con interessi filosofici importati dalla Grecia: il circolo degli Scipioni o degli ellenizzanti che faceva capo a Scipione l’Africano (anch’egli esiliato) ed il circolo dei populares che faceva capo ai democratici Gracchi. Uno degli schiavi tratto a Roma da Atene fu lo storico Polibio (204-122 a.C.) che divenne membro del circolo degli Scipioni. Diceva Polibio, che pure ammirava Roma:

«Oso avanzare l’ipotesi che proprio ciò che il resto dell’umanità [la Grecia colta, ndr] deride è il vero fondamento della potenza romana: la superstizione. Essa è stata introdotta in tutti gli aspetti della loro vita pubblica e privata, e con ogni artificio atto ad impressionare l’immaginazione al massimo grado. Molti si meraviglieranno nell’udire questo, ma la mia opinione è che tutto ciò è rivolto alle masse. Se fosse mai possibile fondare uno stato nel quale ogni cittadino fosse un filosofo, si potrebbe forse fare a meno di cose del genere, ma in ogni paese le masse sono instabili, piene di desideri illeciti e di violente passioni. Tutto ciò che possiamo fare è dunque di tenerle a freno con il timore dell’invisibile e con altri inganni del genere. Non a caso, ma a ragion veduta, gli antichi insinuavano nel popolo il culto delle divinità, e i timori della vita ultraterrena. La follia e la inettitudine sono nostre, giacché facciamo di tutto per disperdere tali illusioni».

E Polibio era buon profeta se nei secoli seguenti la dottrina della religione come strumento politico acquistò credito crescente, fino alla catastrofe finale. Come gli epicurei, anche i cristiani furono accusati di ateismo perché rifiutavano la debita adorazione all’imperatore, ma infine – nello stabilire un vincolo con la Chiesa cristiana – Costantino agì per gli stessi motivi terreni che, circa mezzo secolo prima, avevano spinto Aureliano (270 d.C.) ad allearsi con gli adoratori del sole, quelli stessi che spingevano Marco Aurelio a consacrare il tempio di Mitra. E’ la religione che tiene buona la gente mentre il potere fa ciò che vuole e per poter far questo alimenta la religione.

        A lato dell’epicureismo in Roma ebbe seguito anche un’altra filosofia rivolta alla vita interiore,  lo stoicismo, molto più accetto dai ceti dirigenti e politici di Roma, che passò da essere critica del potere aristocratico ed oligarchico di Platone a roccaforte del conservatorismo alla quale aderirono anche Marco Aurelio e Seneca (quest’ultimo predicava il disprezzo per i beni terreni mentre ammassava fortune da prestiti usurai). Per gli stoici astrologia e divinazione erano pratiche degnissime e gli astri erano delle divinità. Un’altro mondo rispetto all’epicureismo.

        E Seneca, persona colta, è ancora da citare come esemplificazione di cosa era diventata la scienza della natura a Roma. Nelle sue Naturales  Quaestiones brilla nelle più stupide banalità, il finalismo stoico: perché esistono gli specchi ? Perché ci si possa rispecchiare. Perché vi sono tuono e folgore ? Per incutere timore agli uomini. E così via nella strage di intelligenza.

        Da ultimo anche il neoplatonismo ebbe dei seguaci a Roma e merita di essere ricordato perché restò l’unica corrente filosofica antagonista al Cristianesimo quand’esso diventò religione di Stato. Tra i neoplatonici l’egiziano Plotino (III secolo d.C.) insegnò filosofia a Roma. Insegnò cioè la sua metafisica oscura, prolissa, oracolare e addirittura ridicola tanto da essere apprezzato da Agostino (ed anche da Tommaso d’Aquino) che lo avrebbe visto bene tra i cristiani i quali debbono appunto a Plotino gran parte del loro pensiero. Per Plotino tutto è utile all’Universo, sono utili i mali come la povertà e le malattie che giovano a chi li subisce. Inoltre le città ben governate non sono quelle composte di uguali. Sarebbe come se si biasimasse un dramma perché tutti i suoi personaggi non sono eroi, e qualcuno di essi è un servitore, o un uomo rozzo, o uno che ha cattiva pronunzia: se si sopprimono queste parti inferiori, il dramma perde la sua bellezza, giacché senza di esse non può apparire completo. Per altri versi la natura è contemplazione, è la bellezza con essenza divina, è un’anima mossa da un’anima antecedente, ha in sé un pensiero contemplante silenzioso. E con questo anche la matematica che in Platone aveva avuto un ruolo rilevante, nei neoplatonici sparisce (accade sempre così per le parti più faticose ed impegnative di qualunque pensiero). Tanto erano convincenti le parole di chi anticipava la Trinità (l’Uno, l’Intelletto e l’Anima) che l’imperatore Gallieno pensò di fondare una città vicino Napoli dal nome Platonopoli, città che nel IV secolo Giuliano l’Apostata, anch’egli neoplatonico, cercò di restaurare. Ed anche lo stesso Agostino d’Ippona trasse ampia e copiosa ispirazione dal neoplatonismo e assorbì molta sua parte nel Cristianesimo (il disprezzo cristiano dell’esperienza il guardare dentro di sé e non fuori, l’individualismo sono figli del neoplatonismo e di Agostino). C’è da aggiungere, con Singer, che il modo di pensare neoplatonico fu portatore nell’ambito della scienza di due modi di pensare, uno dei quali nefasto: il ragionamento per analogia (attenzione non l’analogia spesso utilmente utilizzata in ambito scientifico, ma il metodo dell’analogia che dovrebbe avere forza dimostrativa). L’altro modo di pensare, una sorta di dottrina, condiviso con lo stoicismo, e conseguente per i neoplatonici al metodo dell’analogia, era appunto il considerare l’analogia tra l’universo (macrocosmo) e l’uomo (microcosmo) in quanto l’uno può essere pensato come riflesso dell’altro (per i neoplatonici, vicini in questo ai cristiani, era l’universo ad essere fatto per l’uomo in quanto suo essere privilegiato, mentre per gli stoici era l’uomo ad essere fatto per l’universo). Questa dottrina passerà agli arabi che tramite l’Islam le diffusero nell’Occidente cristiano.

        In definitiva questo era il panorama filosofico di Roma e, a parte l’epicureismo, sempre soccombente rispetto al potere, si può ben intendere che non vi era alcuna disposizione filosofica nei riguardi della scienza. Vi era la convinzione che tutto fosse stato fatto e questa convinzione circolava quando tutto era stato dimenticato. Il Cristianesimo, come accennato, convogliò l’intero pensiero irrazionale emergente da più parti. In una situazione di decadenza generale a cui si accompagnano incertezze e miseria avanzante, esso aiutò a far prevalere le esigenze religiose su quelle critiche, la fede sulla ragione. Il problema della fame si trasferì a quello della morte ed alla necessità di salvare l’anima e così i Padri della Chiesa bandirono tutto ciò che, come la scienza, non davano nulla alla salvezza dell’anima. La scienza poteva essere al massimo una causa seconda che poco aveva da sparire con la causa prima che era Dio. Questo atteggiamento vale a spiegare perché così vivaci pensatori, abilissimi nell’affrontare dispute teologiche, non abbiano prodotto nulla in ambito scientifico ed abbiano così malamente proteso i propri nervi. Solo la matematica, grazie a quanto sostenevano i neoplatonici a proposito della sua vicinanza con il mondo della divinità, era in qualche modo accettata (ma non coltivata). Va ricordata in tal senso la posizione di Agostino di Ippona (354-430). Egli era in cerca di qualcosa, all’interno dell’animo umano, che potesse resistere ad ogni dubbio scettico. Egli trova ciò e nelle verità della logica-matematica e nei valori morali. Questi valori e conoscenze sono così saldi che debbono provenire dall’esterno dell’uomo, debbono rappresentare una emanazione di Dio dentro di noi. In quel clima di caccia agli eretici ed ai pagani, osserva Gliozzi, sembra quasi che Agostino voglia salvare a priori i cultori delle matematiche. Anche se, per la verità, nelle sue opere rintracciamo un vero interesse alle questioni matematiche quando sembra dare un primato all’aritmetica rispetto alla geometria e quando discute, in contrasto con Aristotele, dell’attualità dell’infinito dei numeri interi ancorandolo, ahimé, a ragioni teologiche. Quindi, come è naturale,    in questo dilagare di impoverimento culturale a cascata, la prima vittima designata era proprio la matematica che faticosamente si era fatta strada uscendo dal fecondo terreno geometrico, intersecandolo con l’aritmetica, con i metodi analitici e con notazioni più avanzate. Tutto finito.

          In ciò che ho detto abbiamo visto dei romani colti che si avvicinavano a quella cultura ma ne capivano molto poco. Anche chi secoli dopo, come Seneca e Plinio, era affascinato dalle opere scientifiche, riusciva a leggere solo le conclusioni tralasciando procedimenti logici e metodo. Descrivevano i risultati eclatanti, come oggi fanno i giornalisti che parlano di scienza, ma dimenticavano i principi, la teoria, la fatica e la scuola che li produceva. Anche un tecnico come Vitruvio (che pure ammette la difficoltà di capire le fonti), pur vicinissimo alle fonti medesime, riesce a dire cose penose sulla scienza che avrebbe dovuto almeno lontanamente conoscere.

        Questa catastrofe culturale, questo declino generalizzato, si aggravò proprio  con l’avvento del Cristianesimo. Le esaltazioni religiose e magiche richiedono per la conoscenza: che si sia disponibili alla fede, che basta essere semplici e pieni di immaginazione, che gli sforzi della ragione non conducono a nulla, che l’intelligenza, lo studio, la osservazione non servono a nulla, che c’è Qualcuno, che tutto ha fatto, che pensa a noi.

        Astrologie, alchimie, magie e varie superstizioni sono sempre esistite ma è soprattutto con l’avvento del Cristianesimo che possono uscire dalle pratiche clandestine e diventare patrimonio dell’ambiente colto.

        Come sia potuto accadere che dalla razionalità del periodo d’oro alessandrino si sia passati a questa brutale decadenza lo possiamo intuire dalle parole di Boll, Bezold e Gundel nella loro Storia dell’astrologia:

Privo di simpatie mistiche, Aristotele, malgrado la sconfinata vastità dei suoi interessi, non si occupa della teoria astrologica. La sua dottrina dell’etere come quinto elemento sovraterreno divide nettamente il mondo al disotto della Luna dalla regione delle stelle. Eppure, la sua ipotesi che tutti i movimenti debbano in definitiva originarsi dal primo mobile, la sfera delle stelle fisse, e che quindi ogni mutamento avvenuto sull’imperfetta Terra trovi la sua causa in mutamenti numericamente stabiliti nel perfetto mondo superiore, costituisce per l’astrologia una base non meno feconda di sviluppi che la sua visione di una struttura cosmica murata e saldamente conclusa; visione che, malgrado ogni obiezione della scuola democritea, si prolunga e sopravvive fino all’epoca di Giordano Bruno.
Così, a poco a poco, maturano i tempi per l’accettazione della religione astrale e delle credenze astrologiche orientali. E’ nel periodo dell’ellenismo che queste dottrine celebrano il loro trionfo in Grecia. Solo poco tempo prima, il grande astronomo e amico di Platone, Eudosso, che pur conosceva l’astronomia e la meteorologia babilonese, aveva negato ogni credito ai «Caldei », cioè agli astrologi ed astromanti dell’Eufrate. Ma già in Teofrasto, allievo di Aristotele, troviamo ammirazione, o almeno stupore attonito, per la loro arte. Il poeta delle costellazioni e dei pronostici del tempo, Arato (intorno al 275), ignora completamente l’astrologia; eppure, la stessa popolarità, per noi  incomprensibile, del suo poema è un indizio della crescente attenzione rivolta  dai Greci al cielo stellato. E, alla fine del periodo ellenistico, le legioni vittoriose di Cesare portano il Toro come figura zodiacale di Venere, in quanto capostipite della gens Julia, in tutto il mondo conosciuto; Augusto fa pubblicare il proprio oroscopo e battere monete con il simbolo del Capricorno, il segno sotto il quale ha visto la luce; Orazio deve fugare gli scrupoli astrologici di Mecenate. La vittoria dell’astrologia orientale può dirsi ormai decisa: essa è stata riportata nei tre secoli da Alessandro ad Augusto.
Come ciò sia potuto avvenire, permette di spiegarlo l’intero corso di sviluppo, che qui possiamo soltanto sfiorare in brevi accenni, dell’ellenismo. Nella prima metà di questo periodo, l’elemento greco è quello che irrompe vittorioso nell’Oriente e, con enorme forza di espansione, nel corso e per riflesso delle spedizioni di Alessandro riempie il mondo della propria lingua e cultura. Ma, nella seconda fase, le titaniche forze primordiali dell’Asia si ribellano con vigore incorrotto agli invasori: l’aristocrazia greca, che naturalmente domina
più nelle città che nelle campagne sconfinate, subisce in misura crescente  l’influsso delle antiche religioni e abitudini di vita orientali. Ha così inizio la fatale evoluzione che finirà per distruggere il carattere peculiare della «Grecità»: gradatamente questa si allontana dal Logos, la conoscenza scientifica, onore e vanto del suo spirito, per abbracciare la Gnosis, la conoscenza mediante la visione, l’estasi, la rivelazione. Ancora agli inizi del II secolo a.C., il pensiero greco ha la forza di invadere il suolo di Babilonia con le sue più ardite dottrine; l’unico sostenitore a noi noto del sistema cosmico «copernicano» propugnato da Aristarco, Seleuco di Seleucia sul Tigri, riceve il soprannome di «caldeo», sia che fosse veramente un babilonese ellenizzato o un greco oriundo della Mesopotamia. Ma in Posidonio, il grande stoico, all’alba
del I secolo a.C., l’astrologia è al vertice della contemporanea scienza greca: chiaro segno di come i tempi siano cambiati.
Lo stesso accade per le concezioni religiose, per le quali le antiche divinità greche significano ormai ben poco; ciò spiega il trionfo, da un lato, del culto della ciecamente imperante Tyche, la dèa della Fortuna, il cui umore capriccioso fa temere ma anche sperare di tutto ai comuni mortali nelle tempeste dell’èra dei Diadochi e, più tardi, della rivoluzione romana, dall’altro del culto di Ananke o Heimarmene, il Destino inesorabilmente e spietatamente fissato dall’eternità, che, concepito in termini astrologici, fa ricadere su ogni testa mortale il peso di tutto l’universo. Alla magia e alle religioni soteriologiche si chiede, come il più importante servigio che possano rendere all’uomo, di liberarlo da un simile fardello. Da Tyche ad Heimarmene, da questa alla magia e ai culti misterici e catartici – ecco, ridotto ai suoi tratti più
elementari, il ciclo storico della religione ellenistica. (…)
Come la religione, così la scienza. Non solo la speculazione filosofica, con particolare riguardo all’influente neoplatonismo, apre le porte all’astrologia malgrado la fiera opposizione di Plotino; medicina e botanica, chimica, mineralogia, etnografia, insomma tutte le scienze della natura, ne sono più o meno imbevute, e tali rimangono fino al tardo Rinascimento. L’alchimia, anticamera della chimica, è in realtà la sorella minore della scienza astrologica, con la quale ha in comune tanti misteri.

    In linea generale si può dire che, dentro all’Impero di Roma, le richieste sono ben differenti da quelle del rigore scientifico. Leggiamo a proposito del pragmatismo dei romani cosa scrive Stahl:

Quando i Greci colti incominciarono ad incantare i nobili e i nuovi ricchi di Roma, dovettero accorgersi senza dubbio che i loro manuali erano perfettamente adatti ai loro scopi. Si può quasi supporre che i loro testi venissero concepiti non soltanto per venire letti dai Greci, ma anche per venire tradotti e parafrasati in latino. Il nobile romano era ben lieto di acquisire un’infarinatura delle discipline greche astratte, se così imponeva la moda: ma voleva soltanto gli elementi essenziali, poiché non amava perdere tempo in cose troppo complicate. […]

Il successo dei manuali fu dovuto alla loro praticità(1): i titoli più numerosi sono quelli di opere che si occupavano di agricoltura, arte militare, diritto e retorica. Si conoscono inoltre i titoli di opere riguardanti quasi tutti gli argomenti possibili e immaginabili che avevano un interesse per i Romani: farmacologia, tossicologia, metrologia, rilevamento topografico, tradizioni popolari relative ai sogni, alle pietre preziose e alle arti divinatorie di ogni genere; libri per eruditi e specialisti sulla filologia, l’ortografia e parecchi altri argomenti d’interesse antiquario; e infine, manuali per tutti i mestieri e per tutte le professioni.

Un altro tipo di libro popolare molto vicino al genere manualistico romano, sebbene a stretto rigor di termini non vi appartenesse, era la riduzione o epitome. Di solito, i Romani appartenenti alle classi più elevate erano troppo indaffarati o troppo presi da altri interessi per intraprendere la lettura di opere voluminose; furono loro a creare la richiesta di breviaria di ogni genere, riduzioni drastiche che ben di rado soddisfano 1a curiosità del lettore per quanto riguarda il contenuto e le qualità letterarie dell’opera sunteggiata. Le riduzioni offrivano comunque un altro vantaggio: riducevano di parecchio la spesa che sarebbe stata necessaria per fare ricopiare un manoscritto di numerosi rotoli. Come in Grecia i commenti alle opere famose soppiantavano spesso i testi che analizzavano, a Roma le riduzioni e le epitomi delle riduzioni, come quelle della Storia di Roma di Tito Livio, fecero cadere nell’oblio i voluminosi testi originali. Nel terzo e nel quarto secolo dell’era cristiana … queste riduzioni incominciarono ad esercitare un’influenza notevole sulla tradizione manualistica latina. […]

Non furono necessari grandi sforzi per convincere i Romani dell’utilità pratica della tradizionale preparazione retorica dei Greci. Il perfezionamento dell’abilità oratoria era sempre stato considerato un fattore importante nella preparazione degli uomini politici romani. […]

Le cose andarono in modo completamente diverso, invece, per quanto riguardava il quadrivio matematico greco. I genitori romani, rozzi e ostinati, non riuscivano a immaginare quale contributo potessero dare la matematica astratta, l’astronomia teorica e la teoria armonica alla preparazione di un giovane destinato a svolgere incarichi amministrativi o a prendere parte attiva alla creazione dell’impero. I pedagoghi greci sostenevano … che la matematica aguzzava l’intelligenza; e Polibio faceva osservare ai suoi aristocratici ospiti che la conoscenza dell’astronomia poteva tornare utile a un generale che dovesse spostare le sue legioni da un territorio all’altro. Le argomentazioni dei Greci ebbero la meglio, almeno durante il periodo in cui lo stimolo culturale fu più acuto: nelle scuole romane venne introdotto lo studio della matematica astratta, come attestano gli scrittori che ricordano di essersi annoiati, moltissimo durante le lezioni di aritmetica e di geometria. Possiamo tuttavia sospettare che questi studi teorici venissero tollerati a Roma non tanto per il loro valore intrinseco, quanto perché era di gran moda assumere pedagoghi che educassero i giovani secondo i metodi, greci. Altre reminiscenze che affiorarono negli scritti di diversi autori latini riguardano casi divertenti, non dissimili del resto da quelli che si incontrano anche nella letteratura greca: un genitore dalla mentalità molto realistica interroga il figlio sui suoi studi matematici e poi si chiede quale applicazione potranno mai trovare negli affari commerciali e nell’amministrazione del patrimonio familiare. Vi è però una differenza significativa: i lettori greci solidarizzavano con il figlio, i lettori romani con il padre. Poteva accadere che qualche nobile romano deprecasse l’importanza eccessiva attribuita alle discipline pratiche, come fa anche Orazio nella sua Ars poetica; ma la matematica pura, a Roma, si trovò sempre in una posizione precaria: dapprima vi fu una battaglia accanita per inserirla nei programmi di studio, poi venne di moda e allora fu tollerata; e infine, durante l’impero, la sua importanza nelle scuole declinò inesorabilmente.

I patrizi romani non erano contrari alle discipline che potevano contribuire a rendere più acuta l’intelligenza dei giovani. Anche se negavano tale valore alla matematica, lo riconoscevano agli studi filosofici. Non si poteva pretendere che la filosofia metafisica elaborata dai Greci solleticasse gli istinti dilettantistici dei Romani […]

I manuali costituirono il ponte attraverso il quale vennero importate a Roma le varie discipline greche. Il sistema più agevole per adattare una disciplina ai gusti e alle esigenze dei lettori latini consisteva nel preparare la traduzione di un manuale. Nei casi in cui possediamo un originale greco e possiamo confrontarlo con una traduzione o con un adattamento in latino, abbiamo modo di osservare che, quando la materia era difficile, le traduzioni erano molto libere: omettevano o parafrasavano le discussioni complicate e introducevano numerosi esempi per facilitare la comprensione da parte del lettore. […]

Per i Greci, i manuali divulgativi rappresentavano una scienza di basso livello, ma a Roma esisteva un unico livello di conoscenza scientifica: il livello dei manuali. Anche i Romani dotati della più viva curiosità intellettuale come Lucrezio, Cicerone, Seneca e Plinio, si accontentarono di attingere dai manuali la loro conoscenza della scienza greca, e non vi apportarono contributi originali. La scienza manualistica latina era antiquata fin dalla sua nascita, poiché era una sintesi di ricerche e di teorie greche che avevano già cento, duecento o trecento anni quando vennero importate a Roma. Dato che in maggioranza i compilatori latini non avevano la minima attitudine per gli studi teorici, le tradizioni manualistiche della scienza greca subivano un nuovo deterioramento ogni volta che passavano per le mani di un nuovo compilatore. La mentalità di Cicerone illustra in modo perfetto quale fosse la posizione dell’intellettuale romano nei confronti della scienza teorica. All’inizio delle Tusculanae, egli si dichiara lieto che, mentre i Greci esaltano la geometria pura, i Romani applichino giudiziosamente questo studio alle misurazioni ed ai conteggi pratici.

I compilatori latini speravano di mascherare, con un grande sfoggio di erudizione, la loro mancanza di competenza: specialistica. … Essi conoscevano benissimo la fama dei più eminenti scienziati greci, e fingevano di servirsi delle loro opere quali fonti di informazione; ma nella stragrande maggioranza dei casi la fonte immediata di una nuova compilazione latina, durante l’età repubblicana, era un manuale greco. I compilatori romani, per consuetudine, citavano come loro fonti i nomi degli autori che in realtà erano le fonti dichiarate dai compilatori greci. In questo modo, essi ottenevano un duplice risultato: assicuravano alle loro compilazioni un’autorità maggiore e mascheravano gli abbondanti saccheggi di materiale già assimilato. Molti studiosi, in passato, si sono lasciati trarre in inganno dalle citazioni tratte da opere di Eudosso, Eratostene, Archimede, Ipparco e Tolomeo. Questi riferimenti vanno respinti recisamente, non meno delle numerosissime citazioni che vengono presentate come tratte dalle opere di Pitagora, il quale non mise mai nulla per iscritto. Una parte degli Elementi di Euclide venne tradotta in latino da Boezio all’inizio del sesto secolo, questo è vero; e gli scolari romani, durante il periodo classico, studiavano compendi o estratti dell’opera di Euclide: ma sarebbe stato un avvenimento davvero straordinario se un Romano avesse compiuto un tentativo serio di comprendere le opere teoriche di Archimede, di Ipparco e di Tolomeo; e non esistono indicazioni decisive che un tentativo del genere abbia mai avuto successo.

    Quindi da un lato la mentalità pragmatica dei romani, dall’altra l’emergere di potenti spinte irrazionali, mescolate a valutazioni squalificanti per la matematica e ad una generale non conoscenza del greco che apriva voragini tra le conoscenze esistenti ed il pubblico possibile. Quest’ultima cosa si aggraverà con gli anni fino a che nessuno più conoscerà a Roma il greco e nessuno più sarà in grado, per la graduale sparizione degli schiavi, di leggere alcunché in quella lingua.

        Per capire meglio occorre integrare quanto detto descrivendo lo scenario socio economico del periodo successivo,  fornendo dei riferimenti e facendo alcune considerazioni.

          A partire dal II secolo d.C., se si escludono le importanti eccezioni di Diofanto di Alessandria (III sec.), Proclo di Bisanzio educato ad Alessandria (V sec.) e Filopono di Bisanzio direttore della Scuola di Alessandria (VI sec., cristiano dichiarato eretico dalla Chiesa nel 681), non si produce più scienza originale. Si tenta (e sarà sempre più difficile) la conservazione di quanto fatto in precedenza. I commentari dei classici vanno per la maggiore. Ma, da commentario in commentario, il classico va sparendo. Si fanno poi dei compendi ma anche questi sono sempre più succinti e, anche qui, l’autore originale va sparendo. In questo modo, comunque, si riuscirono almeno a conservare quelli che si possono definire i risultati della scienza greca. Il metodo, la ricerca, si perse. Si sente negli scrittori di questo lungo periodo come un senso di rassegnazione, di incapacità di porsi al livello dei maestri, una sfiducia nella reale possibilità di conoscere. L’Impero romano, pur non ostacolando direttamente la scienza non è in grado di recepirla e di promuoverla. Dice Cicerone: I matematici greci sono alla testa nel campo della geometria pura, mentre noi ci limitiamo a far di conto ed a prendere misure. I greci di cultura elevata vengono portati a Roma a volte come schiavi. Qui si riconosce il loro sapere che li fa utilizzare come precettori dei figli dei ricchi. Ma questo dura fino a che è vivo il saggio. Non c’è scuola che si costruisca, non vi sono centri in cui poter confrontarsi parlare, sviluppare idee. Ed in ogni caso, lo sradicamento di persone a grande preparazione, di scienziati non ha mai prodotto nulla in contesti diversi. Vi furono un paio di tentativi di costruire un qualcosa che andasse nel senso della scuola ma furono avversati dai nobili senatori romani che avevano paura che certe idee facessero perdere loro privilegi. D’altra parte, con Mason, Roma non era un centro di commerci come le città-stato greche; non erano dei viaggiatori ma dei guerrieri e dei contadini, un poco come gli spartani, i meno colti della Grecia.

         Molte altre cause si coordinano in questo periodo e si sommano andando ad accentuare la decadenza del sapere fino alla totale rovina che si accompagna con la fine dell’Impero di Roma. Non servì a Roma l’espansione in aree nuove e vergini come quelle del Mediterraneo Occidentale come non era servita la penetrazione nel sofisticato e ricco mondo alessandrino. Quando la disposizione al sapere è quella del potere sostenuto dalla superstizione vi è poco da fare. Quando ogni tentativo di spiegazione razionale appare, come era a Roma, un tentativo di togliere il potere agli dèi  si trattava di scegliere tra il lasciar perdere o l’essere accusato di empietà. C’era sempre la terza possibilità, quella cioè di dedicarsi al sapere pratico di tutti i giorni che permise opere come quelle di Vitruvio (circa 80-23 a.C.) sull’architettura, di Frontino (circa 30-103 d.C.) sugli acquedotti, di M. T. Varrone (circa 116-27 a.C.) e Columella (circa 4-70 d.C.) sull’agricoltura,  di A. C. Celso (25 a.C. – 50 d.C.) e Galeno (131-201 d.C.) sulla medicina ed il permanere di alcuni scritti di Diofanto (forse III secolo d.C.) e Pappo (IV secolo d.C.) sulla matematica. Tutte cose di interesse pratico a livelli mediocri di elaborazione.

         In definitiva l’Impero di Roma non sviluppò una sua scienza(2). Solo alcuni dedicarono un grande lavoro in monumentali opere di compilazione (Plinio) che, elaborando in gran parte il pensiero greco, sopravvissero fino all’Alto Medioevo. Per contro Roma dette un imponente impulso all’organizzazione dello Stato ed alla tecnica, anch’essa essenzialmente attività dello Stato. Si formò un servizio medico con ospedali pubblici, si introdusse il Calendario Giuliano, si codificò il diritto romano. Si costruirono importantissime vie di comunicazione, ponti, acquedotti, fognature ed opere civili. Una delle attività più importanti in questo settore fu quella mineraria in cui venivano impiegati migliaia di schiavi.       

        Per capire l’intorno politico-sociale, fornisco qualche riferimento storico: l’editto di Milano del 313 segna il trionfo del Cristianesimo; nel 330 la capitale dell’Impero, diviso amministrativamente, diventa Costantinopoli; nel 391, con Teodosio, il Cristianesimo diventa religione di stato; nello stesso anno il vescovo Teofilo guida fanatici cristiani alla distruzione di parte della Biblioteca di Alessandria; nel 395, alla morte di Teodosio, si scinde l’Impero in Romano d’Oriente e Romano d’Occidente; il 410 vede il sacco di Roma; nel 415 su istigazione di Cirillo, fanatici cristiani ammazzano Ipazia, l’ultima matematica di Alessandria; nel 476 cade definitivamente e simbolicamente  l’Impero romano d’Occidente (in realtà già da molti anni non esisteva più); nel 529 Giustiniano chiude d’autorità l’Accademia di Atene e vieta l’insegnamento ai pagani (non cristiani); nel 642 Alessandria viene conquistata dagli arabi e la Biblioteca sarà definitivamente distrutta. Anche la Chiesa subisce le sue dure sconfitte: prima vi è lo scisma dei copti (IV-V secolo); poi nel Concilio di Calcedonia (451, quando Attila entrava in Italia) lo scisma dei nestoriani; quindi con il Sinodo di Costantinopoli (553) se ne va definitivamente la chiesa monofisitica; finalmente il grande scisma, quello della chiesa d’Oriente (1054). Nel frattempo un evento notevole fu l’incoronazione di Carlo Magno imperatore a Roma (800) dopo che era stato fermato il suo tentativo espansionista verso la Spagna a Roncisvalle (778) ma non verso la Sassonia (780) dove vi furono evangelizzazioni forzate crudeli e disumane che, insieme ad altre cose, gli fruttarono l’eterna riconoscenza della Chiesa. Nello scenario di grandi rivolgimenti, guerre, invasioni, saccheggi, malattie, si inserisce una profonda crisi dell’agricoltura, la scarsità di manodopera, la grande difficoltà di comunicazione ed una burocrazia ingigantita.

         Inoltre, a parte casi isolati di persone illuminate, i cristiani mostrarono una diffidenza che si tramutò subito in ostilità verso la scienza che era rappresentata solo da personaggi situati all’interno del paganesimo. Nomi noti del Cristianesimo, come Tertulliano (circa 155-222) e Lattanzio (circa 260-340), si scagliarono contro la scienza ed i più tolleranti, come San Basilio (329-379) e San Gregorio Nazianzeno (circa 329-390), avevano una posizione del tipo accetto questa conclusione a patto che non sia in contrasto con le Sacre Scritture. E la scienza diventa così un insieme di conclusioni acquisite che devono solo confermare l’opera divina del Creatore. E dove le cose non erano acquisite non si doveva indagare (fu così che non si portarono avanti gli studi iniziati da Galeno e, ad esempio, la malattia mentale passò immediatamente nel capitolo orrido della demonologia e dell’esorcismo). Dal V – VI secolo le Scritture iniziarono ad essere considerate  con un dogmatismo devastante tanto che anche le persone colte dubitarono e rifiutarono le cose che erano state acquisite. Ad esempio, Agostino rifiutò la teoria degli antipodi e Cosma Indicopleuste (VI secolo) negò la sfericità della Terra e costruì un modello di universo a forma di Tabernacolo.

A questo proposito, scrivono Hall e Boas Hall                           

con l’espandersi del cristianesimo, a nord, est ed ovest, la cultura medioevale, portando con sé la Bibbia ed i volumi dei Padri della chiesa, cominciò ad assumere la sua forma caratteristica: monca, alimentata dalle reminiscenze di un più glorioso (e tuttavia sospetto) passato clericale e sempre soggetta ai dogmi cristiani.

       A ciò si deve aggiungere la grande delusione che rappresentò il Cristianesimo per il popolo degli oppressi, soprattutto schiavi. Una delle più belle illusioni che il Cristianesimo portava con sé nei tempi eroici era destinata a morire non appena la Chiesa assurse al potere. Non era vero che tutti gli uomini erano uguali ma, a causa del peccato originale, era inevitabile la schiavitù (quale cosa non sarebbe capace di giustificare una religione ben strutturata ?). In questo senso si espressero molti padri della Chiesa tra cui Agostino d’Ippona (354-430). Già nel 324 il Concilio di Granges aveva intimato: “Se qualcuno, sotto il pretesto di pietà, incita lo schiavo a disprezzare il suo padrone, a sottrarsi alla schiavitù, a non servire con buona volontà e rispetto, anatema sia su di lui“. E quasi tutti gli ecclesiastici a titolo individuale, e la Chiesa in quanto istituzione, disponevano di ingenti quantità di schiavi. Ancora nel 916, lo schiavo che fuggiva dal suo padrone era assimilato al chierico che abbandonava la Chiesa (Concilio di Altheim). E se qualche ecclesiastico avesse avuto la malaugurata idea di affrancare i suoi schiavi, egli avrebbe dovuto risarcire la Chiesa della quantità corrispondente in denaro. Infine, nella grandissima maggioranza dei casi, lo schiavo non era ammesso al sacerdozio.

        E vi era una economia legata agli schiavi. A partire dal I secolo già Plinio si lamentava della scarsezza di manodopera servile e, a partire dal III secolo il costo degli schiavi sui mercati era diventato sempre più proibitivo a causa del fatto che i mercati stessi erano sempre meno riforniti da merce raccolta in differenti campagne belliche. Furono i barbari che iniziarono a vendere schiavi a Roma e, molto spesso, tra di essi vi erano moltissimi romani. Furono i poveri ad immettere i propri figli nei mercati degli schiavi. Ma la gran quantità di denaro che possedeva l’Impero in epoche precedenti si era esaurita. Il mercato degli schiavi non poteva accrescersi. Inoltre era venuta a gravare sull’Impero una enorme spesa che non rendeva nulla: il finanziamento della Chiesa ed il pagamento degli ecclesiastici. Un esercito, quest’ultimo, di bocche inutili che spessissimo aveva intrapreso la carriera ecclesiastica per ragioni di prestigio e per avere un sicuro stipendio (un vescovo guadagnava sei volte di più di un medico o di un  ingegnere e  cinque volte di più di  un professore di  grammatica o di retorica !). Queste risorse venivano meno per altre imprese, tra cui il finanziamento delle scuole (solo quella di Alessandria fu sostenuta fino al V sec.). Ed era soprattutto dalle Scuole che proveniva il mantenimento materiale di chi faceva scienza (e non solo): ora, non solo occorreva scontrarsi con difficoltà economiche ma anche contro moltissimi autori cristiani che anteponevano la rivelazione alla ragione, la fede alla  conoscenza.

      In questo desolante paesaggio qualche cosa però si mosse nel senso vero della liberazione dell’uomo. Gli ordini monastici, generalmente rifuggenti dalla Chiesa ufficiale, quella costantemente alleata con il Potere, rappresentarono un’oasi di civiltà e progresso civile e morale. A partire da San Benedetto (480-547) che, ricordiamolo, fu perseguitato proprio da svariati chierici ormai assestati nel loro potere, e che fondò (529) la regola dell’ Ora et labora nella quale per la prima volta dalle squalificazioni di Platone  il lavoro manuale riacquistava una dignità pari alla preghiera (superando in questo gli oppressivi e discriminatori significati che, a partire dall’antichità classica, proprio al lavoro erano assegnati), continuando con i cistercensi e quindi con i francescani, si iniziò una tradizione di mantenimento, e sviluppo di tecniche artigianali tra cui, a partire da un certo momento, anche la conservazione e la trascrizione di svariati testi dell’antichità. Ma qui occorre fare un attimo di attenzione perché il ruolo dei monaci nella conservazione non deve essere enfatizzato più di tanto. Se è vero che da un certo punto vi fu una certa cura per il sapere da parte di alcuni ordini monastici, tale cura arriverà troppo tardi quando già il patrimonio culturale era stato irrimediabilmente distrutto (da Carlo Magno in poi sarà la stessa Chiesa nel suo complesso a conservare ogni testo di cultura classica a quel punto rimasto), inoltre riguardi li avranno quelle opere più affini ai loro interessi, quelle teologiche e magico teologiche, e non certo quelle scientifiche che saranno completamente dimenticate quando non distrutte o ridotte a palinsesto. Infine il grande impegno dei primi ordini monastici sulla dignità del lavoro fu ridimensionato dalle gerarchie ecclesiastiche. In particolare, nel secolo XIII, Tommaso d’Aquino sosteneva che “se le regole dell’ordine non contengono particolari norme sul lavoro manuale, i religiosi non sono altrimenti obbligati ad esso“.  Con il passare degli anni anche questi ordini monastici passarono al puro conservatorismo. Non sarebbero potute durare predicando lavoro e povertà, agli antipodi degli sfarzi delle gerarchie. Si pensi solo che ai francescani fu concesso il privilegio dell’Inquisizione (insieme ai domenicani) mentre Dolcino veniva fatto a pezzi vivo e poi bruciato.

E quei barbari ai quali ho accennato più su fecero alla fine crollare l’Impero d’Occidente, ed insieme ad esso quei barlumi di scienza che qua e là si mantenevano e quella tecnica (acquedotti, strade, urbanistica, edilizia, …) che invece aveva progredito di molto. Questi invasori avevano distrutto le strutture economiche, sociali e politiche distruggendo ogni possibilità materiale e morale di ricerca ma, come vedremo, a loro si deve l’introduzione di tecniche che fornirono via via la base di un modo di vita materialmente superiore a quello che si aveva nell’età classica (pantaloni al posto della toga, burro al posto dell’olio di oliva, sci, barili, botti, coltivazione della segale, dell’avena e del luppolo, staffa per cavalcare, … ). Le  grandi invasioni del V secolo posero fine anche alla sola conservazione della cultura ellenistica. Nel periodo di tali invasioni, proprio per i caratteri dei popoli che entravano dal nord nel vecchio bacino del Mediterraneo, non si assiste a riproduzioni della scienza antica o a scimmiottamenti delle forme di conoscenza ellenistica ma si iniziano ad intravedere i segni di un nuovo modo di curiosità scientifica. Nel resto dell’Impero, quello di Bisanzio, pur privato della sua anima vivificatrice di Alessandria, si ebbe una vita scientifica che ancora si muoveva, anche se a rilento.

       Come accennato, si tentava (e sarà sempre più difficile) la conservazione di quanto fatto in precedenza. I commentari dei classici andavano per la maggiore e da commentario a commentario, il classico spariva. Si facevano dei compendi ma anche questi sono sempre pili succinti e, anche qui, l’autore originale spariva. In questo modo, comunque, si riuscirono almeno a conservare quelli che si possono definire alcuni risultati della scienza greca, quelli della pratica delle professioni. Il metodo, la ricerca, si perse. Infatti: che senso può avere, in matematica, conservare una montagna di enunciati di teoremi privati delle dimostrazioni ? E l’enunciazione dei problemi cosa poteva rappresentare se non si capivano più nemmeno i termini tecnici dei medesimi ? Qualche testo religioso-filosofico resistette più di quelli tecnici, ma la cosa durò poco anche qui perché la cultura è impresa complessiva che non permette abbandoni di alcuni capitoli. Si sente negli scrittori di questo lungo periodo come un senso di rassegnazione, di incapacità di porsi al livello dei maestri, una sfiducia nella reale possibilità di conoscere. Con il trascorrere del tempo, anche la voglia di tramandare i classici venne meno. Questo processo, alla fine, soprattutto in Occidente, comportò la completa sparizione delle opere originali delle quali si perse traccia. Il pensiero che ancora nel V secolo si muoveva nelle difficili problematiche della metafisica,  nel VI e VII balbetta le prime nozioni di grammatica e logica e, mentre un poco indietro nel tempo, gli scrittori si moltiplicavano, ora vi sono immensi deserti silenziosi. Ricordo solo i nomi dei più noti compilatori, scrittori di commentari e scrittori a vari livelli di erudizione: Severino Boezio (480-525), Aurelio Cassiodoro (475-570), Isidoro di Siviglia (570-636), Beda il Venerabile (673-735), ed altri ancora più mediocri fino all’epoca di Carlo Magno (VIII secolo). Non si tratta tanto di ultime elaborazioni di una generazione arrivata alla fine della propria creatività mentale ma dei primi balbettii di una nuova infanzia che si risveglia alla curiosità scientifica. Le cose andarono in modo diverso in Oriente dove la scienza greca si mantenne di più nelle opere originali e, dopo la caduta di Alessandria sotto il dominio arabo, l’intero patrimonio dei classici greci passò agli arabi che seppero farne molto migliore uso di quanto non se ne abbia fatto l’Occidente Cristiano.

       Dalla fine del mondo alessandrino passarono un migliaio d’anni prima che si ricominciasse effimeramente a costruire qualcosa di scientifico: Simplicio, Filopono, Eutocio, … Altri mille anni per arrivare a quello che chiamiamo Rinascimento. Ecco, deve essere ora chiaro che la parola è riferita alla rinascita di quel mondo, della rivoluzione scientifica che, con Russo, è tuttora dimenticata. Ogni autore di quel Cinquecento e Seicento richiama le opere del passato, quelle poche rimaste ed arrivate mediante ulteriori spoliazioni dei crociati che le rapinavano a Costantinopoli, arrivate da commerci, da scambi diretti con il mondo arabo (Spagna e Sicilia) e quindi con enormi difficoltà tradotte e riportate alla luce.

         Mentre in Occidente la scienza era ridotta a trovare esempi della verità della morale e della religione, a ricavare simbologie che rappresentassero questioni morali (la Luna era paragonata alla Chiesa perché rifletteva la luce di Dio; il vento era l’immagine dello spirito; il numero 11, andando oltre il numero dei comandamenti, era il simbolo del peccato), nell’Oriente, diventato arabo, si coltivava, si traduceva e si sviluppava la scienza dei classici greci. Cosicché, col passare dei secoli furono proprio gli arabi che divennero (come dice Koyré) maestri ed educatori (non meramente intermediari) dell’Occidente cristiano. In questo senso è sintomatico il fatto che le prime traduzioni dei classici greci in latino, non furono fatte direttamente dal greco ma dalle traduzioni che gli arabi già avevano fatto in arabo. E questo per due motivi di fondo: da una parte nessuno o quasi, in Occidente, conosceva il greco e dall’altra nessuno sarebbe stato in grado di capire e quindi tradurre le complesse opere di Aristotele o di Tolomeo, per fare solo due esempi.

        E così per circa 1000 anni la scienza dell’epoca d’oro ci fu trasferita dagli arabi che dettero anche importantissimi contributi.

        Il Rinascimento, a lato delle mutate condizioni socio-economiche, si fondò solo sulla riscoperta dei classici greci tramandati dagli arabi. Valgano per tutti le parole di Giordano Bruno:

Sono amputate radici che germogliano, sono cose antique che rinvengono, sono veritadi occulte che si scuoprono: è un nuovo lume che, dopo lunga notte, spunta all’orizzonte ed emisfero de la nostra cognizione, e a poco a poco s’avvicina al meridiano de la nostra intelligenza.

e serva una breve considerazione sulle radici a cui si riferisce Bruno. Sono quelle le nostre radici e non altre, sono quelle della cultura greca ed ellenistica che con fatica, lacrime e roghi, i nostri filosofi e scienziati del Seicento hanno riscoperto ed elaborato. Non certamente quelle di chi ha continuato a distruggere con colpi di maglio quel lume che mi auguro arrivi al meridiano dell’intelligenza di ogni essere umano per conservarci il Rinascimento contro l’oscurantismo e la superstizione di caste millenarie e di loro cantori.

IL CRISTIANESIMO DI COSTANTINO   

        Ho accennato al trionfo del Cristianesimo con Costantino il Grande, il figlio di Elena (la santa!), una baldracca dell’Illiria che il padre di Costantino conobbe di passaggio. Vi è una bolsa retorica in proposito e non è peregrino ricordare come stanno le cose. Come ho detto quella Chiesa cristiana, costituita da missionari fondamentalisti ed esaltati circolanti per il mondo infondendo la speranza della liberazione dei poveri e dei diseredati, della salvezza in una vita migliore nell’al di là, quella Chiesa serviva al potere imperiale per tranquillizzare masse di disperati che premevano dovunque nell’impero. Vi fu uno scambio vantaggioso per le due parti: da una parte i cristiani accettavano l’autorità dell’impero al quale davano completa ubbidienza, dall’altro Costantino riconosceva il cristianesimo come religione ufficiale  dell’Impero. Con qualche modifica della dottrina. E fu Costantino che si fece padrone di quella Chiesa, divenne il Vescovo dei Vescovi all’autorità del quale tutti i vescovi si inchinavano, convocò Concili, Concili Ecumenici, indicò gli eretici, nominò vescovi e dettò i dogmi di una Chiesa che poteva operare ma senza misconoscere i miti e le leggende delle altre religioni, come quello della Trinità.

        La Chiesa ricambiò con entusiasmo questo gran regalo con l’imbrogliare ed il ricattare Costantino quando stava morendo colpito dalla lebbra, la malattia di Dio. Secondo la vulgata solo il battesimo avrebbe tolto la malattia e, prima di morire, il battesimo sarebbe stato dato all’imperatore. E la vulgata è una specie di agiografial’Actus Sylvestri, dell’allora capo della setta maggioritaria dei cristiani, Silvestro appunto. E di bugie ne vennero allora costruite a volontà. Andavano ad essere raccontate a sempliciotti che le amplificavano nelle favole che tramandavano ai figli. E così veri e propri falsi storici passarono come verità. Tra tutti il massimo fu la donazione di Costantino che sarebbe avvenuta il 30 marzo 315, vera vergogna che da sola basterebbe a gettare nella spazzatura i pretesi continuatori del messaggio di Cristo. Il falso documento raccontava la storia commovente di come Costantino contraesse la lebbra e, mentre i preti pagani gli avevano suggerito di riempire una fontana appositamente costruita con il sangue di infanti, al fine di immergersi e guarire, cosa rifiutata dall’imperatore commosso dalle lacrime delle madri, gli fosse capitato di sognare Pietro e Paolo che gli imponevano di consultare papa Silvestro, allora rifugiato sul monte Soratte. La tecnica  criminale di agire sul letto di morte era già allora pratica dei cristiani e si inventarono un atto ufficiale in cui Costantino dava in eredità l’Impero di Roma alla Chiesa (con la baldracca che non obiettò ed anzi esaltò i falsari)(1). La Chiesa cioè buttava a mare la parte spirituale per la quale sembrava essere nata e puntava diritta al potere materiale, addirittura all’intero impero. Non a caso le gerarchie della Chiesa assunsero (e continuano) i nomi propri delle autorità imperiali, a partire da Pontefice. E non paghi dell’iconografia imperiale romana si rivolsero a quella dei faraoni egiziani con quel copricapo che ancora oggi ammiriamo e che solo al Museo del Cairo ritroviamo.

        Queste sono le radici cristiane che sono radici per la sola Chiesa che si è sempre posta contro tutto l’altro, qualunque fosse, per poter esistere da sola senza contendenti, ostacoli o impedimenti. Quindi sono radici per metafisica, occultismo, mistero, magia ma sono diserbanti per ogni attività che preveda l’uso della ragione. E qui torniamo da dove ero partito. La funzione della fede (intesa come il credo e la dottrina imposta dalle gerarchie) radicalmente diversa (la parola viene a proposito: radici diverse) da quella della ragione, dalla voglia di conoscere il mondo circostante senza alcuna costrizione fideistica o ideologica.

        E’ questa una forzatura ? La Chiesa è interessata a conoscere il mondo senza costrizioni ? Vi è qualche testo della dottrina, oltre la Bibbia, che è all’interno della struttura della fede e che non può essere messo in dubbio ? Vediamo ciò non inventando una teoria ma riportando il pensiero di un Papa, uno dei papi di successo degli ultimi anni, Giovanni Paolo II che in proposito scrisse un’Enciclica: Fides et Ratio.

AUT FIDES AUT SCIENTIA

        Giovanni Paolo II sarà pure stato un bravo teologo ma di questioni di scienza era totalmente ignorante. Una delle sue affermazioni nell’enciclica in discussione così recita: “ai nostri giorni, la ricerca della verità ultima appare spesso offuscata“. Il riferimento del Pontefice è alla filosofia ed alla scienza. Ebbene, riferendomi alla scienza anche se sono convinto che lo stesso si possa dire per la filosofia, la ricerca della verità è un’assoluta invenzione di chi o è ignorante o in completa malafede. Questa affermazione è fatta per dire che, poiché quella teoria non spiega tutto, non è vera e quindi la scienza non è vera con la conseguenza che l’unica verità resta la religione. Logica per i poveri, leggendo la quale lo stesso Aristotele sarebbe sobbalzato.

        Leggiamo oltre: L’antropologia, la logica, le scienze della natura, la storia, il linguaggio…, in qualche modo l’intero universo del sapere è stato abbracciato. I positivi risultati raggiunti non devono, tuttavia, indurre a trascurare il fatto che quella stessa ragione, intenta ad indagare in maniera unilaterale sull’uomo come soggetto, sembra aver dimenticato che questi è pur sempre chiamato ad indirizzarsi verso una verità che lo trascende. E’ il ritornello, insieme al precedente, che si ripete ed è, lo ripeterò anch’io più volte, un argomento misero infarcito di colte citazioni dai testi sacri. In definitiva si dice, e questa è dottrina, che è inutile sforzarsi a conoscere perché l’uomo deve essere indirizzato verso una verità che sta sopra di lui. Questo, detto in molti altri modi, rende conto dell’impossibilità totale di conciliare scienza con fede. Mai sarà possibile una scienza da confrontare con una qualche verità che, questo è il punto, viene sempre prima di qualunque cosa venga realizzata dall’uomo medesimo. E nelle parole che seguono è ancora meglio esplicitato questo concetto che è il sunto dell’intolleranza secolare della Chiesa: Senza il riferimento ad essa, ciascuno resta in balia dell’arbitrio e la sua condizione di persona finisce per essere valutata con criteri pragmatici basati essenzialmente sul dato sperimentale, nell’errata convinzione che tutto deve essere dominato dalla tecnica. E così accaduto che, invece di esprimere al meglio la tensione verso la verità, la ragione sotto il peso di tanto sapere si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno, incapace di sollevare lo sguardo verso l’alto per osare di raggiungere la verità dell’essere.

        Subito dopo inizia l’attacco che fa ancora presa sugli spiriti semplici o semplicemente sui fascisti che queste cose ce le hanno scolpite nell’anima. Il relativismo è il nemico principale, non ha senso che vi siano diverse verità, tutte equivalenti tra loro. Di verità ce n’è una sola e, guarda caso, è la mia. Ed è compito della Chiesa non già ricercare una verità, ma quello di testimoniarla, di far conoscere qual è la verità, quella della Chiesa di Roma. Testimoniare la verità è, dunque, un compito che è stato affidato a noi Vescovi; ad esso non possiamo rinunciare senza venir meno al ministero che abbiamo ricevuto. Riaffermando la verità della fede, possiamo ridare all’uomo del nostro tempo genuina fiducia nelle sue capacità conoscitive e offrire alla filosofia una provocazione perché possa recuperare e sviluppare la sua piena dignità. La ricerca della verità è un passatempo della filosofia e della scienza che gireranno sempre a vuoto perché tanto non la raggiungeranno mai visto dov’è la ricercata. Si capisce quindi l’attacco al relativismo è come l’attacco al copernicanesimo, significa negare chiunque voglia togliere centralità alla Chiesa. Ma tra i laici devoti chi sostiene questo è un reazionario che non si rende neppure conto di cosa c’è dietro, un progetto assolutista che si estende ad ogni ambito anche politico (e non a caso la Chiesa è stata sempre abbracciata ad ogni regime sanguinario e reazionario).

        La colta indagine papale prosegue ricapitolando sulla rivelazione divina ed addirittura riproponendo il Concilio Vaticano I (1868-1870) del Papa porco Pio IX come fonte di sapienza odierna: Esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto: per il loro principio, perché nell’uno conosciamo con la ragione naturale, nell’altro con la fede divina; per l’oggetto, perché oltre le verità che la ragione naturale può capire, ci è proposto di vedere i misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono rivelati dall’alto.Ho già detto che mi ripeterò e quindi chiedo: con queste premesse come è possibile dialogare ? Vi è poi un sottile imbroglio semantico. Da un lato vi è la ragione naturale che si capisce abbastanza cosa è, dall’altra neppure con la ragione ma con la fede divina. Meglio dire con la fede in Dio perché i 4 teologi vaticani non potranno mai mettersi nei panni di chi è ispirato direttamente da Dio. Quindi, riassumendo: da un lato la ragione (senza aggettivi) e dall’altro la metafisica. Ed il concetto è rafforzato ulteriormente subito dopo: La filosofia e le scienze spaziano nell’ordine della ragione naturale, mentre la fede, illuminata e guidata dallo Spirito, riconosce nel messaggio della salvezza la «pienezza di grazia e di verità» (cfr Gv 1, 14) che Dio ha voluto rivelare nella storia e in maniera definitiva per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo (cfr 1 Gv 5, 9; Gv 5, 31-32). Ed io l’ho riportato anche per esemplificare le inutili, sciocche e beghine citazioni dai testi sacri (che infestano tutta l’Enciclica) quasi che non si possano affermare certe cose senza certi sostegni d’autorità (quale poi ….). Nell’excursus dottissimo su come si è realizzata la Rivelazione (di cosa ancora non so) vi è anche il comico uso di discorsi circolari. Dice Giovanni Paolo: Solo la fede permette di entrare all’interno del mistero, favorendone la coerente intelligenza. Salvo il fatto che poi il mistero resta tale (il mistero della fede, il mistero della Trinità, il mistero della reincarnazione, … la fede è solo misteri!) per cui la fede non serve a nulla nell’intelligere, ma solo nel credere ai misteri e prenderli come buoni oltre al dovere obbedienza alle gerarchie (la fede è risposta di obbedienza a Dio). L’indagine teologica, che è una continua ricerca di tutte le combinazioni con ripetizione possibili delle frasette per poveri scritte nei testi sacri, prosegue con questa affermazione apodittica: la ragione deve rispettare alcune regole di fondo per poter esprimere al meglio la propria natura. Una prima regola consiste nel tener conto del fatto che la conoscenza dell’uomo è un cammino che non ha sosta; la seconda nasce dalla consapevolezza che su tale strada non ci si può porre con l’orgoglio di chi pensa che tutto sia frutto di personale conquista; una terza si fonda nel « timore di Dio », del quale la ragione deve riconoscere la sovrana trascendenza ed insieme il provvido amore nel governo del mondo. Quando s’allontana da queste regole, l’uomo s’espone al rischio del fallimento e finisce per trovarsi nella condizione dello « stolto ». Per la Bibbia, in questa stoltezza è insita una minaccia per la vita. Lo stolto infatti si illude di conoscere molte cose, ma in realtà non è capace di fissare lo sguardo su quelle essenziali. Ciò gli impedisce di porre ordine nella sua mente (cfr Pro 1, 7) e di assumere un atteggiamento adeguato nei confronti di se stesso e dell’ambiente circostante. Quando poi giunge ad affermare « Dio non esiste » (cfr Sal 14 [13], 1), rivela con definitiva chiarezza quanto la sua conoscenza sia carente e quanto lontano egli sia dalla verità piena sulle cose, sulla loro origine e sul loro destino. Ed ecco l’uomo con la sua ragione naturale, ragione in libertà vigilata non già da un Dio ma da alcuni personaggi che si sono sistemati per l’eternità raccontando Dio ai poveri di spirito e sedicenti rappresentanti di Dio in Terra. Addirittura stolto chi ricerca con spirito libero, certamente stolto perché non ha capito che si può vivere da satrapi senza lottare quotidianamente per la sopravvivenza e senza colpo ferire abbracciando la fede, quella vera. E non è colpa della Chiesa se un uomo guardando la bellezza del creato (sic!) non sa riconoscere il primo passo della Rivelazione, il fatto cioè che tutto questo è stato fatto da Dio. In questo senso la ragione funziona, solo se cerca Dio nelle cose del mondo. Verrebbe un’esclamazione blasfema ma sono rispettoso del lettore credente. Ma come giustifica questi passaggi che nascono dopo una cena in cui s’è bevuto troppo ? l’uomo con la ragione raggiunge la verità, perché illuminato dalla fede scopre il senso profondo di ogni cosa […]. Giustamente, dunque, l’autore sacro pone l’inizio della vera conoscenza proprio nel timore di Dio: «Il timore del Signore è il principio della scienza» (Pro 1, 7; cfr Sir 1, 14).

        Ed arriviamo a ciò che più interessa sostenere al Pontefice, all’insostituibile opera di San Tommaso. Dopo lungo argomentare sui rapporti con la filosofia, generalmente platonica  (si vergogna un poco di Plotino, il nostro). degli antichi cristiani acculturati (Giustino, Clemente Alessandrino, Origene, i Padri Cappadoci, Dionigi l’Areopagita, sant’Agostino, Tertulliano, Anselmo), arriviamo al filosofo di Aquino il qualeargomentava che La luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, perciò non possono contraddirsi tra loro. Frase perentoria e definitiva che se non ci si sofferma un momento sopra si è tratti in inganno. In essa vi è un atto di fede, la provenienza da Dio di un qualcosa,  che si dovrebbe accettare a priori per poter sviluppare liberamente la ragione. Sempre incastrati in una fede sfuggente che, in ultima analisi e come lo stesso pontefice afferma più volte è fede nei misteri che, per ragione di fede sono insondabili e quindi rendono vana la ragione che la fede dovrebbe esaltare (ma ci si rende conto delle sciocchezze divine sostenute con spirito evangelico ?). A Tommaso viene dato l’immenso merito di aver coniugato fede e ragione per la verità in un’epoca in cui vi era molta fede e poca ragione. Ma da allora sono accaduti molti guai per colpa di quei fanatici razionalisti: ciò che il pensiero patristico e medievale aveva concepito e attuato come unità profonda, generatrice di una conoscenza capace di arrivare alle forme più alte della speculazione, venne di fatto distrutto dai sistemi che sposarono la causa di una conoscenza razionale separata dalla fede e alternativa ad essa. E Gian Paolo azzarda delle esemplificazioni che era meglio tenere sotto il tappeto: da una parte l’idealismo che ha prodotto il fascismo tanto amato dalla Chiesa per via della negazione del relativismo e dall’altra l’umanesimo ateo che ha prodotto il socialismo che, avendo poco a che fare con la religione, è stato avversato con ogni mezzo dalla Chiesa. Secondo il nostro ambedue queste forme di pensiero sono sfociate in sistemi totalitari traumatici per l’umanità mentre, dico io, i 2000 anni della Chiesa sono stati solo fiori ed opere di bene. Ma il personaggio è erudito e deve mettere le zampe anche in un piatto velenoso che non conosce. Scrive: Nell’ambito della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale. La conseguenza di ciò è che certi scienziati, privi di ogni riferimento etico, rischiano di non avere più al centro del loro interesse la persona e la globalità della sua vita. Di più: alcuni di essi, consapevoli delle potenzialità insite nel progresso tecnologico, sembrano cedere, oltre che alla logica del mercato, alla tentazione di un potere demiurgico sulla natura e sullo stesso essere umano. Anche qui non si è colto un aspetto che è poi fondamentale per capire il positivismo da un lato e la posizione degli scienziati dall’altro. Il Positivismo è figlio della filosofia e non c’entra nulla con la scienza, a parte i danni gravissimi che ha fatto (in perfetta sintonia in questo con la religione). Esso ipotizza  una fantasiosa marcia trionfale del progresso: sempre in avanti,  senza ripensamenti, con una crescita lineare continua, ritmata dall’’avanzare della scienza’. Una sciocchezza che nasce nel mondo della filosofia, senza riscontri, come si direbbe oggi. Buona volontà che ha anche creato danni clamorosi permettendo che le scienze si indicassero come “esatte” (ma quando mai? Ma quale scienziato vi parlerà di certezze? Solo dalla parte della Chiesa si dicono le stesse cose) e facendo cataloghi di scienze, cataloghi comprendenti cose stravaganti come la sociologia (quindi psicologia, poi pedagogia,…) ma in fondo comprensibili se si pensa che poi, in definitiva, è la metafisica della religione che raccoglie tutto in sé. Solo in questo senso, quindi, la scienza è risolutrice dei mali del mondo, solo in quanto è figlia della suprema sintesi, la religione.  Nell’epoca della nascita del Positivismo gli scienziati si disinteressavano sempre più di filosofia, ritenendo le discussioni sull’argomento troppo generali, quindi generiche e perciò sterili. Questo atteggiamento, spesso definito come ‘positivistico’, fu osteggiato dagli stessi positivisti ed al suo diffondersi contribuirono molto di più le correnti di pensiero che più decisamente si professavano antipositivistiche. Il disinteresse sempre maggiore da parte dello scienziato per i problemi dell’uomo, con l’autogiustificazione di far scienza e di stare comunque lavorando per il bene dell’umanità al di sopra di ogni bega contingente, al di sopra delle parti, fu uno degli aspetti più rilevanti ed una delle ‘tentazioni’ più forti dell’800. Ma questo dibattito non c’entra nulla con la divulgazione papalina.

        Ma la Chiesa ha grande interesse per la filosofia (così dice il nostro) ed è grata a Leone XIII per averlo riaffermato e per aver messo in luce la cosa fondamentale che alla Chiesa interessa solo San Tommaso (XIII secolo). La riproposizione del pensiero del Dottore Angelico appariva a Papa Leone XIII come la strada migliore per ricuperare un uso della filosofia conforme alle esigenze della fede. San Tommaso, egli scriveva, «nel momento stesso in cui, come conviene, distingue perfettamente la fede dalla ragione, le unisce ambedue con legami di amicizia reciproca: conserva ad ognuna i propri diritti e ne salvaguarda la dignità». Non è solo Tommaso ma, dando un’occhiata in giro, … ìsi scopre che è solo Tommaso (un autentico modello per quanti ricercano la verità. Nella sua riflessione, infatti, l’esigenza della ragione e la forza della fede hanno trovato la sintesi più alta che il pensiero abbia mai raggiunto, in quanto egli ha saputo difendere la radicale novità portata dalla Rivelazione senza mai umiliare il cammino proprio della ragione). Un nuovo Sillabo viene formulato dal Papa Polacco, il radicale disconoscimento di tutta la modernità e della sua cultura, è un’anatema nei confronti di tutte le correnti della filosofia a partire dalla fine del medioevo: eclettismo, modernismo, storicismo, scientismo, pragmatismo, nichilismo, idealismo, umanesimo ateo, positivismo, razionalismo e nichilismo. E tutto ruota intorno a due bestie che stanno azzannando da più parti le vecchie e flaccide membra della Chiesa, una delle quali è l’ateismo. Anche il Concilio Vaticano II se ne è occupato individuando, come no ?,  gli errori di quella visione filosofica, soprattutto nei confronti dell’inalienabile dignità della persona e della sua libertà. Chiaro no ? E mentre alcuni elaboravano filosofie false e fallaci, mentre gli atei inventavano tutti i mali del mondo, dei cristiani hanno dedicato tempo alla filosofia e ne sono venuti fuori per il mondo occidentale dei pensatori della taglia di John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain, Étienne Gilson, Edith Stein e, per quello orientale, studiosi della statura di Vladimir S. Solov’ev, Pavel A. Florenskij, Petr J. Caadaev, Vladimir N. Lossky, che come tutti sono in grado di capire, sono delle personalità a tutti note che hanno profondamente segnato il pensiero.

        In senso più stretto l’altra bestia è la scienza, mai vista e definita di per sé ma trattata solo come un’ancella della filosofia o comunque denigrata come segue: Un altro pericolo da considerare è lo scientismo. Questa concezione filosofica si rifiuta di ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, relegando nei confini della mera immaginazione sia la conoscenza religiosa e teologica, sia il sapere etico ed estetico. Nel passato, la stessa idea si esprimeva nel positivismo e nel neopositivismo, che ritenevano prive di senso le affermazioni di carattere metafisico. La critica epistemologica ha screditato questa posizione, ed ecco che essa rinasce sotto le nuove vesti dello scientismo. In questa prospettiva, i valori sono relegati a semplici prodotti dell’emotività e la nozione di essere è accantonata per fare spazio alla pura e semplice fattualità. La scienza, quindi, si prepara a dominare tutti gli aspetti dell’esistenza umana attraverso il progresso tecnologico. Gli innegabili successi della ricerca scientifica e della tecnologia contemporanea hanno contribuito a diffondere la mentalità scientista, che sembra non avere più confini, visto come è penetrata nelle diverse culture e quali cambiamenti radicali vi ha apportato.
Si deve costatare, purtroppo, che quanto attiene alla domanda circa il senso della vita viene dallo scientismo considerato come appartenente al dominio dell’irrazionale o dell’immaginario. Non meno deludente è l’approccio di questa corrente di pensiero agli altri grandi problemi della filosofia, che, quando non vengono ignorati, sono affrontati con analisi poggianti su analogie superficiali, prive di fondamento razionale. Ciò porta all’impoverimento della riflessione umana, alla quale vengono sottratti quei problemi di fondo che l’animal rationale, fin dagli inizi della sua esistenza sulla terra, costantemente si è posto. Accantonata, in questa prospettiva, la critica proveniente dalla valutazione etica, la mentalità scientista è riuscita a fare accettare da molti l’idea secondo cui ciò che è tecnicamente fattibile diventa per ciò stesso anche moralmente ammissibile. 
Sarebbe utile a questo punto sapere chi è il consulente scientifico di questo personaggio perché dice troppe sciocchezze. Insomma lo scienziato che lavora tranquillo ma non è cristiano (ma diciamo pure ateo) non è uno scienziato ma uno scientista. E lo è nonostante che la critica epistemologica lo abbia ridicolizzato. Caspita se le cantano e se le suonano ma non ci capiscono un tubo. In chi vive da satrapo alle spalle di gente che lavora e fatica a mettere insieme pranzo e cena, queste offese sono di una gravità unica. Questi personaggi non sanno nulla della vita reale ed i politici hanno appreso da loro. Un popolo che non ha alcun rapporto con la scienza, dovunque bistrattata come fatto culturale, a partire dalla scuola, sarebbe dominata dallo scientismo ? E chi usa i prodotti della scienza per fare la guerra o per parlare da Radio Maria istigando all’odio razziale  è uno scienziato o è un personaggio riprovevole come il cattolico Don Livio per non dire di quello della stessa Radio polacca ? Ma il peggio è che questo scienziato, degradato a scientista da chi ha conoscenze molto in alto, non sa nulla di etica e di morale perché queste doti sono solo della Chiesa. Qui dovrebbe esserci la seconda espressione furibondamente blasfema ma, anche qui, non scrivo nulla per non scandalizzare il paziente lettore. Lasciatemi però dire che è del tutto falso accreditare l’equazione che Chiesa è uguale a maestra di etica e morale. Non è così e non lo è mai stato e non perdo neppure tempo e bit per convincere qualcuno. Chi non ci crede prenda i libri di storia a partire dalle vite esemplari dei Papi, dalle Crociate, dall’Inquisizione, dallo sterminio di interi popoli, …

        Siamo alla fine di questa utilissima Enciclica che è la pietra tomabale della possibilità per la Chiesa di emendarsi ed iniziare a vivfere con il prossimo. Paolo Flores D’Arcais ha indagato questa stessa enciclica per quel che riguarda la filosofia e ne trae conclusioni simili o forse molto più dure delle mie:

Fides et ratio, ultima enciclica di Karol Wojtyta, dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che la cultura cattolica ufficiale non ha più nulla da dire alla cultura tout court. E ciò, paradossalmente, proprio quando la pratica dei cattolici cristiani, esistenzialmente impegnati ad approssimare il Vangelo – dalla parte e nella cura degli ultimi – si afferma spesso come modello per l’impegno tout court. Questo paradosso andrà pensato in tutte le sue implicazioni e conseguenze. Da parte cattolica, poiché è uno scarto che allude ad un conflitto tendenzialmente insanabile tra cattolicesimo del conformismo e cristianesimo della testimonianza, da parte «laica», poiché costringe a interrogare la possibilità di un impegno senza trascendenza, di una passione per il relativo. Ma di questo più avanti.

Resta il carattere essenziale che marchia questa enciclica: una tradizionalissima e inargomentabile (in termini razionali) riaffermazione della pretesa della Chiesa cattolica apostolica romana al monopolio della verità. Con l’accattivante finzione dell’umiltà, infatti, la «diaconia della verità», che il papa polacco aggiorna nella sua enciclica, altro non è che il dogmaticissimo imperio di sempre che la Chiesa si arroga sulla verità. Agghindato con una «difesa della grandezza della ragione» che vale esclusivamente se quest’ultima, rinunciando alla propria autonomia, rinnega se stessa, e anziché darsi da sé i propri limiti si subordina alla fede, cioè al magistero di Roma, unico autorizzato interprete delle scritture e della tradizione. Poiché una Chiesa che si confessa unica e incontestabile serva della verità, in realtà si erge a padrona di quanti devono obbedirla (la verità, cioè la Chiesa, o la Chiesa, cioè la verità).

Il che è certamente nella natura della Chiesa, se intende parlare ai soli fedeli per riaffermare un dogma da essi sempre più tiepidamente vissuto, ma è del tutto incompatibile con ogni velleità di confronto «senza preclusioni di sorta e senza limite alcuno» con chi, non avendo «accolto» quel dogma, può accettare esclusivamente un argomentato dialogo.

Il tanto sbandierato elogio della filosofia, con l’invito – addirittura – «a non prefiggersi mete troppo modeste nel filosofare» (§ 56), si risolve in conclusione nella deludente ovvietà del «messaggio ultimo dell’enciclica» (Breve sintesi): «verità e libertà, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono» (§ 90). Dove per verità si intende l’opinione fulminata ex cathedra, e la libertà è dunque niente altro che la servitù volontaria delle coscienze agli ukase del sacro soglio.

[…]

Solo questo cristianesimo delle opere, allora, e non il pensiero filosofico – meno che mai nella parodia che pretende di giudicare secoli di travaglio critico con la «attualità» del tomismo – «è spesso l’unico terreno di intesa e di dialogo con chi non condivide la nostra fede» (§ 104). Ma quale fede? Poiché l’enciclica mette in luce proprio lo scarto crescente fra due modi di essere cristiani, quello dell’ortodossia e del potere, e quello del Vangelo(2) e dell’impegno. Che ex professo fanno tutt’uno, ovviamente, ma che nel privilegiamento pratico di uno dei due lati sempre più configurano due religioni sotto gli stessi riti. Karol Wojtyla vuole impedire la lacerazione, ma solo riportando alla cattività dell’obbedienza il cristianesimo della testimonianza.

        Allora, con chi vuole intavolare una discussione questa Chiesa ? Fa tabula rasa di tutto ciò che non sia se stessa, attacca tutti, non ha alcun referente culturale importante storicamente, se non vogliamo tornare ad 800 anni fa. Poi si affanna a sostenere che vi è ogni dialogo che vi sono rapporti inscindibili tra fede e ragione. Con il solito inconveniente della menzogna che è possibile anche per omissione di un pezzetto del quanto detto. E’ vero che fede e ragione vanno d’amore e d’accordo ma SOLO SE la ragione è al servizio della fede. Non c’è una sola possibile alternativa e, per fortuna, le unghie della crudele Chiesa, che ha ammazzato gran parte del pensiero occidentale, particolarmente in Italia, sono state tagliate.

RITORNIAMO ALLA STORIA

        Eravamo rimasti alla riscoperta della cultura greca ed ellenista nel Rinascimento. Nel frattempo la Chiesa si era data da fare per organizzare varie crociate contro i musulmani di Terra Santa (ma non solo) che a partire dal 1095 durarono complessivamente circa 200 anni fino al 1291 quando i crociati vennero definitivamente sconfitti e cacciati da quelle terre. Si stimano tra i 2 ed i 4 milioni di morti in un mondo che era molto meno popolato di oggi. E, per non perdere l’abitudine alla ferocia, Papa Gregorio IX nel 1232 pubblicò la Bolla che formalizzava l’Inquisizione(3) (di questo crimine secolare vergognoso parlerò altrove) che in teoria doveva combattere l’eresia (Gli eretici non hanno diritti, possono essere torturati senza scrupoli o limiti. Essi devono essere messi a morte. […]Meglio che muoiano un centinaio di innocenti piuttosto che sfugga un solo eretico)(4) che, dopo il massacro dei Catari e dei Valdesi, doveva operare sui superstiti della Crociata contro gli Albigesi nel Sud della Francia. Poiché sembrava poco nel 1252 Innocenzo IV, nella sua Bolla Ad Extirpanda, autorizzò ufficialmente una pratica già diffusa, la tortura. E l’amato San Tommaso (da tutta la Chiesa), fa bene intendere il perché di tanto amore. Nella sua Summa Theologiae (1265-1274) scriveva: Sebbene uccidere un uomo che rispetta la propria dignità sia cosa essenzialmente peccaminosa, uccidere un uomo che pecca può essere un bene, come uccidere una bestia: infatti un uomo cattivo, come insiste a dire il Filosofo, è peggiore e più nocivo dì una bestia” (II-II, q. 64, a. 2).

   L’Inquisizione ebbe i suoi fasti in Spagna contro eretici, ebrei e musulmani nella Crociata chiamata Reconquista. Le cose qui furono molto ben organizzate e repressero con durezza ogni velleità non diciamo scientifica ma di qualunque pallido pensiero che non si accodasse con il volere della Chiesa (e la Spagna fu condannata da allora a non produrre Scienza, mai). Questa Inquisizione passò a Roma nel 1542 con Papa Paolo III (nella bolla In apostolici culminis scriverà di agire nei confronti di chiunque, inclusi i vescovi, con la massima severità al minimo sospetto. Con l’altra bolla Cupientes Iudaeos, sempre del 1542, gli ebrei furono costretti alla conversione pena la requisizione di tutti i beni. A quest’ultima ne seguirà un’altra nel 1581, Antiqua iudaeorum improbitas, con le stesse imposizioni). Il nemico questa volta era la Riforma Protestante di Lutero e Calvino che praticamente spezzò la Chiesa almeno in due tronconi. Quella Riforma che ebbe un valido aiuto nell’invenzione della Stampa che rese un poco più disponibile la Bicbbia alla lettura di più persone che prima la sentivano solo raccontata da gerarchi o fratacchioni. La Bibbia era sconvolgente se letta direttamente e la Chiesa infatti la proibiva con pochissimi permessi concessi solo a chi conosceva il latino e mai alle donne. La Sacra Inquisizione creò subito l’Index librorum prohibitorum, contenente anche la Bibbia, perfezionando una pratica di intolleranza completa iniziata nel Primo Concilio di Nicea del 325 e proseguita con tenacia ammirevole di Concilio in Concilio fino alla data della creazione ufficiale nel 1542 del Sant’Uffizio da parte di Paolo III che nel 1564, subito dopo il Concilio di Trento, con Paolo IV, emanò il Primo Indice Tridentino (preceduto da molti altri, tra cui il Paolino, e seguito da molti altri ed accompagnato in altri luoghi da ancora altri). Dentro l’Indice vi erano tutti i più importanti pensatori dell’epoca e delle epoche precedenti e, poiché allora la scienza che conosciamo oggi non esisteva, si stroncava ogni possibilità di discussione filosofica con carattere prescientifico. Papa Giulio III, con la bolla Cum meditatio cordis, del 1550, revocò a tutti i cristiani (esclusi gli inquisitori) la lettura di testi eretici, anzi nello stesso anno fa organizzare il primo rogo di libri eretici a Roma, dove anche quelli ebraici vengono bruciati. Gli eretici più “pericolosi” erano ovviamente i luterani, i calvinisti e gli ugonotti. E torniamo alla riscoperta dei classici greci ed ellenisti che in un primo tempo aveva eccitato l’entusiasmo anche di uomini delle gerarchie. Nelle corti papali tra canti e balli si aveva il vezzo della citazione in un ambito di totale ignoranza, anche tra i gerarchi. Lo stesso Papa Niccolò V fece Valla suo segretario. Si dilettava il Pontefice con questi colti umanisti che scavavano tra le cose antiche trovando pezzi interessanti e dilettevoli. In fondo le dispute del Valla o di altri umanisti come Ficino non avrebbero in alcun modo impedito l’accumulo di ricchezze, territori e potere. Ma questo ‘scavare’ portò pian piano alla costruzione di tante gallerie che presto fecero sprofondare il tranquillo terreno su cui ci si muoveva. L’afflusso sempre più massiccio delle opere dei classici greci rispetto ai ristrettissimi orizzonti del pensiero cristiano (Sant’Ambrogio, Sant’Agostino, San Gregorio Magno, …), di quel poco che le opere di compilazione (Plinio, Boezio, Cassiodoro, Marziano, Capella, Calcidio, Macrobio, Beda, Isidoro di Siviglia, …) avevano lasciato, apriva davvero un mondo nuovo che però si innestava in un albero senza radici. Le conoscenze messe insieme da un cristianesimo che aveva accordato monoteismo con politeismo ed idolatria (venerazione di “reliquie”, pellegrinaggi, santi, certe credenze taumaturgiche, esorcismi, proibizioni di certi giorni, tradizioni pagane trasformate in rituali liturgici, … Ed anche se mai ufficialmente ammesse, erano ampiamente tollerate le pratiche degli amuleti, degli oroscopi, delle premonizioni che sarebbero state dietro ad alcuni fatti naturali straordinari come eclissi, comete, cavallette, bruchi, nascite deformi), che aveva tentato una operazione di dignità con San Tommaso e la Scolastica vennero ad incontrarsi o meglio scontrarsi con altre conoscenze maturate in molti secoli di splendore intellettuale. Gli effetti furono dapprima piuttosto contraddittori e ci vollero due o tre secoli per riuscire a cogliere le cose importanti, ad isolarle dalle incrostazioni che avevano subìto passando attraverso il commento di pensatori cristiani e comunque di persone che non sapevano cosa fosse l’essere laici avendo sempre riferimenti di tipo metafisico o mistico. Ma qualcosa si iniziò a modificare: se prima ogni fatto naturale era semplicemente prodotto quotidiano della divinità, da un certo punto ci si iniziò a chiedere anche di cause naturali che producono fatti naturali.

        Per altri versi quel Cinquecento che si apriva ad un nuovo mondo di conoscenze permise il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa di magie ed alchimie. Il fatto dirompente, che ridette forte impulso all’alchimia e ad altre pratiche magiche, fu l’ascesa al soglio pontificio dello spagnolo Alessandro VI Borgia (Papa dal 1492 al 1503) che fu uno tra i più strenui difensori della magia ermetico-cabalistica e di ogni pratica astrologica ed alchemica che fosse colta. In una sua lettera a Pico della Mirandola (ed anche in una Bolla che Pico pubblicò nei frontespizi delle sue opere “magiche”) la magia veniva in qualche modo riconosciuta come un sostegno del cristianesimo. Come si può ben comprendere questo fece crescere enormemente gli influssi in ogni campo di magie, alchimie, astrologie e cabale. Ed ecco che nel Rinascimento la magia che per secoli era vissuta all’ombra di un sottobosco incolto con pozioni e sortilegi, acquista un aspetto colto che interessa non solo regnanti ma alte gerarchie della Chiesa fino ad arrivare allo stesso Papa. E l’alchimista inglese, Thomas Norton (c.1433-c.1513) tentò addirittura di cristianizzare l’alchimia, dando consigli sul come e dove operare per evitare l’influenza dei diavoli malvagi.

L’INQUISIZIONE ROMANA

        L’Inquisizione, rifondata nel 1542 da Paolo III con il nome di Congregazione della sacra, romana ed universale Inquisizione del santo Offizio, fu uno strumento per attaccare in ogni modo i riformisti protestanti ed anche per stroncare ogni minima affermazione che azzardasse il mettere in discussione qualunque pretesa verità riconosciuta dalla Chiesa. Conosciamo tutti i clamorosi, violenti, intolleranti e crudeli processi a Giordano Bruno ed a Galileo Galilei, ma non ci siamo mai occupati delle migliaia di processi e d ovvie condanne al rogo o ad altre torture(5) che si accompagnarono a quelli noti.

        In questo periodo storico, se ve n’era ancora bisogno, si sancì la totale intolleranza della Chiesa con la scienza, con ogni dibattito su cose attinenti la natura che non fosse riconducibile all’Aristotele reso accetto alla Chiesa da San Tommaso. Il processo ed il rogo di Giordano Bruno segnano l’apertura dell’Anno Santo del 1600 e dell’anno in cui bracieri, roghi e fumo distrussero la splendida ricerca scientifica italiana che ci faceva primi nel mondo e aveva reso l’Italia meta dei pellegrinaggi dei massimi ingegni d’Europa.

        Eppure Galileo aveva iniziato un dialogo su Fede e Scienza. Tra il 1613 ed il 1615 si preoccupò di tranquillizzare i cattolici suoi correligionari. Tentò un discorso importantissimo sui rapporti tra scienza e fede. Iniziò nel 1613 con una lettera al suo amico benedettino  e scienziato Benedetto Castelli. Seguirà nel 1615 la lettera a Cristina di Lorena (che sembra aver avuto la supervisione teologica dello stesso Benedetto Castelli soprattutto per quel che riguarda le “citazioni scritturali e patristiche” e considerato un capolavoro nel suo sforzo di riconciliare i testi biblici con le scoperte scientifiche). In tali lettere, e particolarmente nella seconda si prese spunto proprio da un Dottore della Chiesa Sant’Agostino nella sua opera “De genesi ad litteram“. Ciò che Galileo (con Castelli) sosteneva è quanto meno ragionevole. Dio, nel dettare le Scritture ai Profeti si rivolgeva loro con il linguaggio che loro potevano intendere. Pertanto se vi sono discordanze tra lo studio della natura e le Scritture, sono queste ultime che debbono essere adattate alle scoperte scientifiche. Scriveva Galileo: Alcune proposizioni delle Scritture “sì come dettante lo Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità del volgo assai rozzo ed indisciplinato. … Stante, dunque, ciò, mi pare che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie …”.(6) Niente.  Agostino dove c’è Tommaso non ha, o almeno non aveva, possibilità di successo.  Non c’era dialogo possibile, solo inchinarsi al volere ed ai dogmi. Come è oggi che dovunque si faccia scienza la Chiesa schiera suoi pretoriani e servi docili non per dialogare ma per condannare, bloccare e ricattare. Quando qualcuno parla di dialogo da parte della Chiesa lo fa perché sa che si tratta di un imbroglio, per smorzare la polemica perché sa che comunque vadano le cose si fa come dicono loro. Da parte laica chi parla di dialogo è solo uno sciocco illuso della buona fede che da 2000 anni la Chiesa non ha MAI avuto.

        Come è noto Galileo ebbe problemi che da apparentemente semplici divennero gravi e poi drammatici. In breve ricapitolo la situazione. Il 3 marzo 1616 era stato emesso dal Sant’Uffizio il Decreto che metteva al bando le opere di Copernico o copernicane pur non dichiarandole eretiche. Nessuna opera di Galileo fu toccata ma, quello stesso anno Galileo fu convocato dal Cardinale Bellarmino nella sua residenza di Santa Maria in Via e, alla presenza del Commissario generale Segizi (notaio) e di due testimoni, lo AMMONI’ di essere in errore e di abbandonare le sue credenze. Galileo acconsentì. Ma la sua convocazione aveva creato panico da una parte e maldicenze dall’altra. C’era chi diceva che la sua opera era stata condannata dalla Chiesa con grave nocumento per la sua persona oltre che per la sua opera. Allora Galileo scrisse una breve e dignitosissima lettera al Cardinale Bellarmino chiedendogli un certificato che oggi chiameremmo di buona condotta. Bellarmino scrisse tale certificato che così recita:

Noi Roberto Cardinale Bellarmino, havendo inteso che il Sig.or Galileo Galilei sia calunniato o imputato di havere abiurato in mano nostra, et anco di essere stato per ciò penitenziato di penitentie salutari, et essendo ricercati della verità, diciamo che il suddetto Sig. Galileo non ha abiurato in mano nostra né di altri qua in Roma, né meno in altro luogo che noi sappiamo, alcuna sua opinione o dottrina, né manco ha riceuto penitentie salutari né d’altra sorte, ma solo gl’è stata denuntiata la dichiarazione fatta da N.ro Sig.re et publicata dalla Sacra Congregazione dell’Indice, nella quale si contiene che la dottrina attribuita al Copernico sia contraria alle Sacre Scritture, et però non si possa difendere né tenere. Et in fede di ciò habbìamo scritta et  sottoscritta la presente di nostra propria mano, questo dì 26 di Maggio 1616.” 

Ma vi è di più ed il documento che dà buon peso a quanto detto fu scoperto nel 1849 nella brevissima e stupenda stagione della Repubblica Romana. Negli Archivi Vaticani il fisico Silvestro Gherardi trovò un documento(7) a circolazione interna che così dice:

Il Cardinale Bellarmino riferisce che Galileo Galilei matematico è stato, giusta gli ordini di questa S. Congregazione, ammonito di aver a abbandonare [deserendam, che sostituisce il cancellato disserendam] l’opinione che ha finora sostenuto, essere il Sole, ecc. e che ha acconsentito [acquievit] ; ed essendo stato fermato il decreto della Congregazione dell’Indice, il quale interdice e sospende rispettivamente gli scritti di Nicolo Copernico, Didaco a Stunica e Paolo Foscarini, il Santissimo ha ordinato che tale decreto d’interdizione e sospensione venga pubblicato dal Maestro del Sacro Palazzo.

Tutto sembra limpido ma con la Chiesa non c’è mai nulla di limpido fino in fondo. Ciò che era accaduto in termini giuridici era che Galileo non aveva avuto alcuna condanna tanto da essere di seguito essere considerato recidivo. Per quest’ultima eventualità sarebbe stato necessario non l’AMMONIZIONE ma un PRECETTO da parte di Bellarmino che, come abbiamo visto, non vi fu mai. Quando però Galileo tornò a processo nel 1633 si trovò di fronte una gravissima manipolazione, un altro falso creato contro di lui. Egli venne immediatamente messo sotto accusa per il suo essere recidivo nel difendere le teorie copernicane. Questo essere recidivo era relativo al preteso PRECETTO che gli sarebbe stato fatto da Bellarmino nel 1616. Galileo nega. Gli inquisitori insistono ma Galileo non ricorda alcun precetto. Come se nulla fosse gli inquisitori gli chiedono se ha fatto vedere il precetto a coloro che seguivano le vicende del Dialogo sui Massimi Sistemi del Mondo e che dovevano rilasciare le varie autorizzazioni (imprimatur). Galileo chiede allora di vedere il Precetto che, in quanto tale, deve risultare agli atti controfirmato da colui a cui era stato fatto (siamo nell’aprile 1633). Qui fu costruito uno dei falsi più ignobili della Chiesa (tra quelli noti, dico …). Il libro dei Precetti e di ogni atto giudiziario in genere, a seguito della carta che era molto assorbente e quindi faceva trasparire tracce di inchiostro sul retro della pagina medesima, questo libro era scritto solo nelle pagine dispari, mentre le pari erano lasciate bianche. Solo il Precetto a Galileo è scritto alla data giusta sulla pagina pari! Ma vi è di più, all’atto del Precetto, l’accusato doveva apporre la sua firma sotto l’atto: la firma di Galileo in questo atto non compare. Tutti gli storici concordano in quanto ho detto: il Tribunale del Sant’Uffizio costruì un falso per poter condannare Galileo nel processo che ora gli faceva, sulla base della recidività.

        Galileo fu condannato (e come poteva non esserlo ?) ed abiurò In Roma, nel Convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633. Giorno nero per la Chiesa, vera tomba di ogni dialogo checché ne dicano alcuni sciocchi. Data funesta che faceva coppia con il 17 febbraio 1600 quando fu ammazzato Giordano Bruno. 

        Per quanto discuterò sugli indegni attacchi che ancora oggi provengono dalla Chiesa (a tutti i livelli, a partire dai Papi fino ad arrivare ai più ossequienti servi docili ed ai giornalisti saputelli che snza leggere nulla dicono che Giovanni Paolo II ha riabilitato Galileo, cosa falsa) contro Galileo, è utile osservare che la collocazione del fascicolo «Processo a Galileo» negli Archivi del Vaticano è sotto la voce «criminale» (tra le possibili: dottrinale, giurisdizionale, civile ed economica). Ed è anche utile sfatare un comodo mito. Si sostiene che Galileo era sinceramente pentito e che ubbidì di buon grado alla Chiesa essendo un cattolico osservante (sciocchezze di questo tipo le dice anche Zichichi, ma questo stupisce solo qualche allocco). I fatti mostrano che Galileo aveva ben altre mire al momento della condanna e dell’abiura. Galileo dal domicilio coatto scrisse per la pubblicazione, all’estero purtroppo, la più copernicana tra le sue opere, i Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (Leiden 1638). E questo fatto la dice lunga sul pentimento e sulla vergognosa abiura impostagli. La Chiesa, per parte sua, mantenne con pervicacia la condanna fino alla fine. Inoltre impiegò circa 200 anni per togliere il divieto alle opere di Galileo e a sostenere ed insegnare le teorie copernicane.

        Un solo cenno al Processo a Giordano Bruno tanto per far capire in cosa consiste in dialogo tra fede e ragione per i gerarchi vaticani.

        Bruno è stato uno dei massimi pensatori europei del Cinquecento. Scisse moltissime opere e molte altre, quelle dell’ultimo periodo non ci sono pervenute perché sequestrate e fatte sparire dall’Inquisizione. Dopo aver percorso l’intera Europa come consigliere ed amico di principi e sovrani vari, Bruno aveva nostalgia dell’Italia e si lasciò convincere da un bottegaio arricchito di Venezia, tal Mocenigo, a tornare in Italia, a Venezia. Il bottegaio pagava bene, offriva anche casa ma voleva conoscere i misteri della Magia in cui Bruno era maestro (su questo argomento, per non capire in modo distorto, si legga il mio Religione, Magia e Scienza nel Rinascimento italiano). La Magia di Bruno era l’arte delle mnemotecnica e comunque magia naturale, il modo di conoscere la natura che egli sempre distinse dalla magia nera. Invece Mocenigo, da ignorante qual era, intendeva conoscere i segreti che gli permettessero di arricchirsi ancora di più (un poco come certi nostri uomini politici di primissimo piano si fecero massoni). Bruno spiegava ed egli non capiva (e come poteva ?). Così si sentì truffato e lo denunciò al Tribunale dell’Inquisizione sapendo che era ricercato da Roma. Fu arrestato a Venezia che mai aveva dato estradizione ma che questa volta su fortissime pressioni della Chiesa cedette. Finché il processo rimase a Venezia, 1592, si ha la documentazione pressocché integrale di tutti gli atti. Arrivato a Roma non si ha più nulla di certo fino alla Repubblica Romana quando qualcosa riuscì ad essere recuperata dagli Archivi Vaticani ad opera di Giacomo Manzoni. Altri documenti furono resi noti da Spampanato nel 1924 finché nel 1942 la Curia di Roma fece uscire un “Sommario del processo di Giordano Bruno” a cura del Cardinale Mercati che, secondo loro era tutto ciò che c’era ancora negli Archivi (naturalmente è falso come è dimostrato dallo smentirsi tra preti). Nel Sommario di Mercati si legge: che già nel 1849 non vi erano negli Archivi Segreti altri documenti sul processo altrimenti “gli astiosissimi ed ignoranti anticlericali li avrebbero trovati“; che i documenti si persero tra il 1815 ed il 1817 quando da Parigi, dove li aveva trasferiti Napoleone nel 1810, si stavano riportando a Roma; che Marino Marini, all’epoca prefetto degli Archivi, ritenne inutili tutti i documenti dei processi del Santo Uffizio e ne autorizzò la distruzione (questa neanche il mio cagnolino Alf se l’è creduta), previa autorizzazione del Cardinale Consalvi che, in quel momento era “distratto”. I resti di quella carta furono venduti a Parigi ad una fabbrica di cartoni per 4300 franchi; che “fortunatamente è stato testè (1940) rinvenuto una specie di sommario di tutto il processo”. Più oltre, in altro contesto, si legge che Marini ebbe a dire, quando si concluse la Repubblica Romana, “gli Archivi conservano attualmente il loro stato d’integrità che vantavano prima di queste luttuose vicende“. È interessante notare che nessun cenno fa il Marini ai traslochi napoleonici. Ciò è davvero incredibile inoltre Napoleone fa un trasloco per appropriarsi di sciocchezze o comunque non cerca documenti a lui ed alla sua causa utili. Napoleone era noto per occuparsi di cose di Scienza e di cultura in genere. Tutto ciò per dire che non abbiamo documentazione credibile. I capi di imputazione(10) ed i testi (prima solo Mocenigo poi due galeotti ai quali fu garantita la libertà se accusavano Bruno e poi vari eretici che avevano condiviso la prigione ma non tutti i suoi compagni di cella) sono tutti quelli contro Bruno. Sono sparite dai documenti le sole pagine (miracolo di Dio !) dove ci dovevano essere i testi a difesa e le argomentazioni di Bruno contro i fratacchioni inquisitori.

 Bruno, isolato in carcere, il 20 dicembre 1694 presenta un memoriale a propria discolpa. Intanto viene sottoposto a continue torture. Nel 1596 vengono proibite tutte le sue opere. Nel 1599 stette sul punto di cedere ma poi dichiarò di non avere di che pentirsi e sfidò ad una discussione qualsiasi filosofo scolastico. Il 20 gennaio 1600 (anno di Giubileo eccezionale), il Papa Clemente VIII decise di consegnare Bruno al braccio secolare (perfida ipocrisia perché si diceva che andava ammazzato senza spargimento di sangue). L’8 febbraio, nel palazzo del Cardinale Madruzzi lo si degrada da sacerdote (!) e gli si comunica la condanna. 

DI ROMA, LI 12 FEBBRAIO 1600 SABBATO

Avviso di Roma

  Hoggi credevamo vedere una solennissima giustitia, et non si sa perché si sia restata, et era di un domenichino di Nola, heretico ostinatissimo, che mercoledì, in casa del cardinale Madrucci sententiarono come auttor di diverse enormi opinioni, nelle quali restò ostinatissimo, et ci sta tuttora, non ostante che ogni giorno vadano teologhi da lui. Questi frati dicono sia stato due anni in Genevra; poi passò a legere nello Studio di Tolosa, et poi in Lione, et di là in Inghilterra, dove dicono non piacessono punto le sue opinioni; et però se ne passò in Norimbergh, et di là venendosene in Italia, fu acchiappato; et dicono in Germania habbia più volte disputato col cardinal Belarmino. Et in somma il meschio, s’iddio non l’aiuta, vuol morir ostinato et essere abbruggiato vivo.

        Mentre questa condanna veniva pronunciata Bruno disse “avete più paura voi ad emanare questa sentenza che non io nel riceverla” . Il giovedì 17 febbraio  nel Carcere di Tor di Nona gli viene conficcato un chiodo ricurvo nella lingua perché non possa più parlare (“la mordacchia”); poi fu condotto in Campo de’ Fiori e quivi spogliato e legato  fu bruciato vivo. Un fanatico del tempo, lo Schoppl racconta: “condotto al rogo, quando gli fu mostrata l’immagine del crocifisso, torvamente la respinse”.  

            Dal Giornale dell’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato in Roma (Roma 16-17 febbraio 1600):

  “Giovedi a dì 16 detto. A hore 2 di notte fu intimato alla Compagnia che la mattina si dove far giustizia di un impenitente; et però alle 6 hore di notte radunati i confortatori e capellano in Sant’Orsola, et andati alla carcere di Torre di Nona, entrati nella nostra cappella e fatte le solite orazioni, ci fu consegnato l’infrascritto a morte condennato, cioè: Giordano del quodam Giovanni Bruni frate apostata da Nola di Regno, eretico impenitente. Il quale esortato da’ nostri fratelli con ogni carità, e fatti chiamare due Padri di San Domenico, due del Giesù, due della Chiesa Nuova e uno di San Girolamo, i quali con molto affetto et con molta dottrina mostrandoli l’error suo, finalmente stette sempre nella sua maladetta ostinatione, aggirandosi il cervello e l’intelletto con mille errori e vanità. E tanto perseverò nella sua ostinatione, che da’ ministri di giustitia fu condotto in Campo di Fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu brusciato vivo, acompagniato sempre dalla nostrra Compagnia cantando le letanie, e li confortatori sino a l’ultimo punto confortandolo a lasciar la sua ostinatione, con la quale finalmente finì la sua misera et infelice vita”.

Tutte le sue opere edite e sequestrate furono distrutte e bruciate in un gran falò in piazza San Pietro.

        Chi è che vorrebbe dialogare con questi personaggi ? Qualcuno che crede che siano cambiati ?(9) I cattolici per bene, e ve ne sono molti, la piantino con l’obbedienza. Vengano fuori e si liberino della catene gerarchiche. Per il vivere civile di tutti. 

DALL’ERUDITO PAPA AD UNO A CASO

        Se si vuole avere un’immagine ben rappresentative del lerciume ideologico esistente a lato di papi (è involontario) eruditi bisogna fare una visita alla catena di siti cattolici che fanno capo a Totus Tuus(8), a parte la non condivisione possibile di neppure una virgola per l’astio l’arretratezza, il fondamentalismo, l’ignoranza, c’è anche una sensazione di paura se solo uno associa quanto lì detto a quanto la Chiesa farebbe ancora inesorabilmente con un poco di potere temporale. Totus Tuus nacque sull’onda della popolarità di Gian Paolo. Al sito principale sono collegati una miriade si siti, blog, forum e fonti di disinformazione in puro stile sovietico. 

        Da questi siti ho tratto quanto di meglio propone la bassa cultura cattolica su questioni che richiederebbero non studi di sacrestia. Le cose che vengono dette sono infinite con lo scopo di seppellire con la quantità la mancanza assoluta di qualità. Riporto alcuni brani, molto significativi, relativi a come viene trattato l’emblematico Processo a Galileo. Mi riferisco ad un solo autore anche qualificato dalle parti sue, perché raccoglie tutte le sciocchezze che si dicono su Galileo,

        Juan José Sanguineti, uno che insegna all’Università Urbaniana ed in quella di Navarra, dopo che il Ppa aveva parlato di riabilitazione, ci dice [da «Studi Cattolici» n. 391, anno XXXVII, settembre 1993]:

Le critiche [di Galileo, ndr] ad Aristotele indisposero i professori di Pisa, dov’egli aveva cominciato la carriera scientifica come professore di matematica. Il contratto non gli fu rinnovato nel 1592 ed egli si trasferì all’Università di Padova.

Ecco il primo ritratto di Galileo: un indisponente. Ma davvero il problema era Aristotele ? Eh no ! Galileo aveva espresso un giudizio negativo su una macchina realizzata da un eminente soggetto sopra una macchina che sarebbe dovuta servire a svuotare la darsena del porto di Livorno [così racconta Viviani]. Gherardini in un sua lettera dell’epoca ci fa sapere che tale personaggio era Giovanni de’ Medici. Aristotele non c’entra, anche perché all’epoca, e Sanguineti non lo sa o perché ignorante o perché in malafede, Galileo era ancora aristotelico. Gherardini dice che questa controversia fu l’unico motivo che consigliò a Galileo di andarsene [ancora Gherardini]. Mantenendo quindi solo i documenti esistenti in Sanguineti e solo in queste tre righe vi sono due falsi clamorosi: nessuna polemica su Aristotele e decisione di Galileo di andarsene. Ma vi è di più che viene da altre conoscenze dei fatti. La Toscana risultava troppo vicina e legata agli Stati della Chiesa tanto che vi erano limiti alla libertà di espressione. Inoltre la paga era scarsa (e questo per chi conosce tutta la vita di Galileo sarà sempre un assillo per lui) mentre a Padova era migliore. Fu Galileo che, prima di decidersi a lasciare Pisa, si recò a Venezia e contrattò il posto a Padova. Si potrebbe continuare solo su questa frase del saccente e (almeno) disinformato studioso cattolico. Ma davvero non merita. Mi sono soffermato un poco solo per far capire quale lavoro di smontaggio sarebbe necessario: per ogni cosa che lor signori affermano servirebbe un libro intero per metterli a tacere. Ma a che fine tutto ciò ? Il gregge di questi pastori è silente oltreché totalmente ignorante e quindi sarebbero perle … alle pecore.

        Il savio di casa loro continua così:

Le controversie sono dure. Nel 1604 viene scoperta in Europa una stella nova, non ritenuta tale da Ludovico delle Colombe (1606). contro il quale Galileo polemizza duramente protetto da pseudonimo [vi è qui una nota che rimanda a S. Drake, Galileo at work, University of Chicago Press, Chicago e Londra 1978, pp. 117-120].

Facciamo anche qui un poco di chiarezza. L’uso degli pseudonimi era molto diffuso all’epoca e la cosa non nasceva per proteggersi anche perché proprio in questo caso non vi era assolutamente nulla da cui proteggersi. Ricordo solo che anche gli amichetti di Sanguineti all’epoca usavano pseudonimi (o non lo sa ?). Ricorda quel tal gesuita Orazio Grassi che scrisse un opuscolo per attaccare Galileo, Libra astronomica ac philosophica, firmato con lo pseudonimo anagrammatico di Lorario Sarsi ? Lasciamo quindi queste cose lasciate cadere per caso ma denotanti una perfidia curatesca e passiamo a Ludovico delle Colombe. Chi era costui ? Un filosofo (non naturale) dilettante profondamente screditato che Galileo neppure chiamava per nome ma lo indicava con pippione (sciocco). Costui aveva scritto un libello sulla nuova stella del 1604. Un tal Alimberto Mauri aveva risposto con altro libello ridicolizzando ogni parola del primo. Il pippione ritenne che questo libello fosse di Galileo. Sanguineti, da prete, dà credito a ciò citando S. Drake che è una vera autorità su Galileo. Ma Drake parla della questione in una noticina e non nelle tre pagine di cui si dice nella nota di Sanguineti (io i testi li ho, contrariamente alle pecorelle del gregge di Sanguineti). Dice che ha motivi per pensare che delle Colombe avesse ragione e li espone in Galileo against the Philosophers. Tutto qui ma la frase scritta da Sanguineti suona molto diversamente. Vediamo ora meglio di che parrocchia era Sanguineti. Per ragioni soprattutto d’invidia, legate alla rapida carriera di Galileo ed all’essere tornato a Firenze e Pisa (1610) con sue richieste economiche, molti furono gli oppositori proprio di Pisa e di Firenze: Giorgio Coresio (professore di greco all’università di Pisa), Vincenzo di Grazia (professore di filosofia), Arturo Pannocchieschi (rettore), Cosimo Boscaglia (professore prima di logica e poi di filosofia e vicino a Ferdinando I e Cosimo II de’ Medici). Il più agitato del gruppo era però il filosofo dilettante di Firenze, il citato Lodovico delle Colombe, che Galilei chiamava Pippione (soprannome dispregiativo toscano). Tutto il gruppo per ciò veniva chiamato da Galileo “la lega del Pippione“. Questi personaggi si incontravano nella casa fiorentina dell’arcivescovo Marsimedici, frequentata anche da due frati domenicani: Nicolò Lorini e Tommaso Caccini. Molte di queste cose erano state riferite a Galileo dal caro amico Cigoli che definiva la congrega come “una certa schiera di malotichi e invidiosi che fanno testa in casa lo Arcivescovo“. Fu il ciarlatano Ludovico delle Colombe Cito che, sul finire del 1611, consigliò all’arcivescovo di Firenze di attaccare Galileo con argomenti  religiosi perché l’irriverente metteva in continua discussione le basi stesse del sapere e della natura e cioè Aristotele. Ma su questo il prete tace.

        Vado oltre, leggendo questa frase best seller per i cattolici :

Si discute tuttora sulla priorità di Galileo nell’invenzione del cannocchiale.

Lo ripeto per l’ennesima volta. Galileo non ha mai inventato il cannocchiale, chi lo dice fa della facile divulgazione che non serve certo ad accrescere al fama di Galileo. E’ invece vero che Galileo costruì dei cannocchiali di gran lunga migliori di quelli esistenti in circolazione. Egli migliorò di molto l’ottica dello strumento come racconta diffusamente ne Il Saggiatore (si veda l’Edizione Nazionale delle Opere di Galileo, Vol. 6, pag. 259). L’episodio è assolutamente marginale fa il paio con la mela che cade sulla testa di Newton. Non è colpa di Galileo se vi sono persone che si emozionano per queste idiozie. Galileo non ha mai neppure fatto l’esperimento di caduta di gravi dalla torre di Pisa. Egli racconta di vari esperimenti del genere ma non si ha costanza che li abbia mai realizzati. Galileo non ha dimostrato il sistema copernicano. Nessuno gli attribuisce tal cosa e tanto meno egli stesso lo ha fatto, la fama di Galileo non ha nulla a che fare con questa pretesa dimostrazione. L’invenzione di questi aneddoti per poi scagliare contro di essi l’accusa di falso è tipica dei bambini che inventano i mostri per poi distruggerli tappandosi gli occhi. Serve a qualcosa dire che questi bambini sono in grandissima parte dei filosofi, degli epistemologi cattolici, dei sociologi ? Serve entrare duramente con loro in polemica per la loro infruttuosa ricerca del Paradiso perduto (per colpa di Galileo) ? Anche qui, invece di continuare con questi ritornelli, si dica quale storico della scienza sostiene tali cose e quale e quanta sia la sua preparazione scientifica (conosce la matematica ? fino a che livello ? è mai entrato in un laboratorio ? ha fatto esperienze ?), sono spiacente ma questi sono prerequisiti indispensabili per disquisire di queste cose, altrimenti ritorniamo a ciò che Galileo ha combattuto per tutta la vita, il dar più credito ai testi, all’autorità, che non allo studio della natura mediante discorsi, sensate esperienze e dimostrazioni.

        La fatica di leggere il prete continua:

Nella tradizione medievale e dei primi secoli dell’età moderna era abituale vedere ecclesiastici, religiosi e laici impegnati nel lavoro scientifico; un fatto naturale, se si considera che la scienza moderna affonda le sue radici nelle istituzioni universitarie create dalla Chiesa sin dai secoli XII e XIII. Non è strano, per esempio, che Copernico fosse un sacerdote cattolico che nel 1543 aveva inviato al papa Paolo III la sua opera Le rivoluzioni delle orbite celesti, nella quale esponeva la nuova ipotesi astronomica, senza per altro incontrare difficoltà da parte del Pontefice.

Queste poche frasi mostrano gli abissi che separano la scienza e le bugie spacciate per fede. Come è possibile sedersi ad un tavolo con questi farisei e tentare, tentare soltanto, un dialogo ? Con pazienza e didascalicamente provo a dire qualcosa. In modo acritico qui si riprende una posizione che, se il nostro sapesse da dove proviene, si suiciderebbe. L’affermare che la scienza prosegue in modo lineare per cumulo di conoscenze indipendentemente da fatti esterni è del Positivismo. Il fatto poi che la scienza moderna affonderebbe le sue radici nelle istituzioni universitarie ecclesiastiche del XII e XIII secolo fu teorizzato dal cattolico Duhem agli inizi del Novecento. Cerchiamo di capire cosa voleva il francese.

        Duhem era un fisico teorico poi divenuto storico della scienza, cattolico e francese, degli inizi del Novecento definito da Federigo Enriques come una mentalità logica scolastica portata a misconoscere ciò che vi ha d’intuitivo nella ragione. Duhem utilizza un metodo indiretto di squalifica: Galileo ha pochi meriti perché non vi fu una vera rivoluzione nel Seicento, infatti i principali concetti della fisica elaborati all’epoca erano in realtà presenti in pensatori del XIV secolo. Secondo Duhem quindi la nascita della scienza moderna si presenta non come un atto rivoluzionario, ma come un processo graduale e continuo. La negazione del concetto di “rivoluzione scientifica” aveva un chiaro valore ideologico: contro chi vedeva la scienza moderna nascere rompendo con la cultura medievale e con la religione, Duhem poteva sostenere che la scienza era nata nel Medioevo per opera di uomini di chiesa. Dice Duhem che, “a costo di contraddire le leggende, le concezioni di Galileo sulla dinamica portano l’impronta profonda dei principi peripatetici, si discostano molto poco dalle dottrine  ammesse da un buon numero di fisici del secolo XVI, sono in notevole ritardo sulle intuizioni di qualcuno dei suoi predecessori“. Più in dettaglio, in una serie di ponderose opere sulla scienza antica e medievale Duhem attaccò vigorosamente l’immagine di Galileo rivoluzionario e, oltre a sostenere che vari pensatori medievali, in particolare Giovanni Buridano e Nicola di Oresme, avevano anticipato talune fondamentali idee galileiane, adombrò che Galileo era venuto a conoscenza di questi autori tramite la mediazione dei manoscritti di Leonardo ed in qualche modo aveva copiato. Duhem sostenne anche, in Salvare i fenomeni (1908, ed. it. 1986), che, se inserito nella tradizione dell’astronomia, Galileo appariva singolarmente grossolano dal punto di vista metodologico con la sua pretesa di far
accogliere il sistema copernicano come teoria vera, mentre metodologicamente più raffinata era stata la posizione della chiesa cattolica, la quale si era giustamente appellata alla plurisecolare storia dell’astronomia matematica per sostenere che l’eliocentrismo era soltanto una comoda ipotesi calcolistica. Oltre a rivedere profondamente il rapporto tra la figura di Galileo e la scienza a lui precedente, Duhem innovò anche la visione tradizionale circa l’essenza della metodologia galileiana, sostituendo al Galileo empirista dei positivisti un Galileo teorico, che rompe con l’esperienza quotidiana per inaugurare una teoria fisica profondamente contraria all’esperienza comunemente intesa. Quest’ultimo contributo di Duhem al rinnovamento degli studi galileiani fu soprattutto indiretto, poiché lo scienziato francese non dedicò analisi molto approfondite a Galileo, concentrandosi piuttosto sui suoi predecessori. Furono invece la critica epistemologica di Duhem e i suoi lavori di storia, non specificatamente dedicati a Galileo, a dimostrare l’inadeguatezza di una interpretazione empirista della rivoluzione scientifica. A Galileo Duhem dedicò un solo scritto di grande impegno, del 1904, che fu comunque decisivo per illustrare la rottura operatasi tra la scienza della meccanica galileiana e l’esperienza acriticamente intesa. Ma Duhem è, oltre che cattolico, anche francese e cioè profondamente sciovinista. Poiché dietro di sé ha le scuole del XIV secolo dei francescani del Merton College di Oxford e del vescovo occamista francese Oresme, egli non esita ad assegnare ogni merito alla scuola di
Parigi. E riesce anche in un’operazione di gran difficoltà. Egli, che è un cattolico, vuole ridimensionare il ruolo di Galileo, datando la rivoluzione scientifica proprio ai lavori di Oresme che è uomo di Chiesa (inaugurando quel filone che ancora oggi va di moda nei siti della rete totus tuus, che vuole Galileo come un mero continuatore di quanto iniziato da Oresme medesimo). Sembra quasi che per la frenesia di dare la primogenitura ad un cattolico di sicura fede, ci si dimentichi delle condanne con cui la Chiesa, su ordine di Papa Giovanni XXI ed attraverso il vescovo di Parigi Etienne Tempier, nel 1277, colpì un gruppo di professori universitari alla Facoltà delle Arti di Parigi. Censurate furono alcune proposizioni attribuite ai maestri “averroisti” ossia a quegli intellettuali che spiegavano le tesi fisiche e etiche di Aristotele seguendo il commento del musulmano Averroé. Sono 219 le proposizioni riconducibili ad Aristotele che furono giudicate eretiche. Anche lì, la Chiesa aveva bloccato tutto tanto che Edward Grant, che pure è un estimatore di Duhem, nel suo La scienza nel Medioevo, afferma: E’ vero, come
sostenne Pierre Duhem, …che gli articoli 34 e 49 (condannati perché imponevano a tutti di ammettere che Dio potrebbe muovere l’universo in linea retta anche se ciò determinasse un vuoto e di concedere che egli potrebbe creare tutti i mondi che vuole) contribuirono a dare inizio alla scienza moderna ? Se è vero, sarebbe un’ironia che una limitazione di libertà di espressione e di ricerca abbia fatto nascere la scienza moderna. Se questa interpretazione ricevesse sostegno, essa suggerirebbe inevitabilmente che la rivoluzione scientifica, i cui inizi sono associati di solito al grande nome di Galileo, non sia stata che la continuazione delle correnti scientifiche antiaristoteliche generate nel quattordicesimo secolo. … O non sta forse la verità altrove ? E non ha invece ragione Alexander Koyré … quando afferma che la condanna del 1277 non produsse che un cambiamento di lieve entità nell’edificio della scienza aristotelica ? Avevano gli articoli condannati, così importanti per Duhem, il valore di un mero intoppo ? … E l’insistenza sulla potenza assoluta di Dio di compiere qualunque azione fisica non implicante una contraddizione logica, non fu nociva ad uno sviluppo rigoroso di una scienza, come quella aristotelica, le cui parti erano troppo integrate per adattarsi realmente alle richieste teologiche della condanna ? E poi, se, come credeva Duhem, la condanna fu efficace nel generare una reazione radicale alla scienza aristotelica, perché quest’ultima non subì trasformazioni più drastiche nei secoli quattordicesimo e quindicesimo ? Perché il suo rifiuto totale fu posticipato fino allo scorcio del diciassettesimo secolo ?
 (pagg. 50-51). Insomma, per Duhem, la scienza moderna inizia dalla scuola di Parigi. Ma la Chiesa condannò molte delle cose che lì vennero elaborate. Duhem riesce a dire che la Chiesa fece bene perché si era sbarazzata di proposizioni che non avrebbero fatto fare passi avanti alla scienza ! Caspita ! è un capolavoro che non tiene conto, ad esempio e come traspare dalle considerazioni di Grant, del fatto che bloccare quelle proposizioni è bloccare tutta la critica alla filosofia aristotelica che, anche qui come detto, è un insieme estremamente articolato e tale che toccando alcuni punti si smonta l’intera costruzione. Ma tant’è. Le vicende storiche fecero poi in modo che addirittura l’insieme della filosofia aristotelica diventasse intoccabile, dopo l’intervento miracolistico di San Tommaso su Aristotele.

        E cento anni dopo quest’intervento miracolistico di Duhem i cattolici si sono placati ? Ma neanche per idea ! La posizione del matematico di Alleanza Cattolica Maurizio Brunetti, intervistato dal chierichetto Benassi (se non scavano tra i matematici dove, oltre Zichichi ?), è lapidaria:

L’eccellenza di Duhem come pensatore consiste proprio nel fatto di aver riconosciuto con chiare argomentazioni l’incapacità del metodo scientifico di dire qualcosa attorno a problemi ontologici o di metafisica.

Serve osservare che erano passati solo 300 anni dai citati personaggi senza che accadesse nulla ? Come se oggi dicessimo che Einstein non ha fatto niente perché tutto era dentro il lavoro di Galileo ? Sempre 300 anni sono ! Serve dire che il mondo è pieno di buone intenzioni e di vigilia di scoperte ma è chi fa la scoperta che conta ? Serve raccontare che Buridano ed Oresme hanno avuto grandi meriti ma sono vicini allo zero rispetto a ciò che si fa nel Seicento dove, a parte Galileo, vi sono situazioni sociali, economiche e politiche profondamente cambiate ? Insomma meglio non insistere troppo con il pezzentume culturale che affonda le sue radici nel peggio del Medioevo.

        Resta la vicenda di Copernico che inviò il suo De Revolutionibus Orbium Coelestium a Paolo III nel 1543. Vediamo l’imbroglio.  Furono il giovane astronomo tirolese Retico (Retyk) ed il vescovo Giese, amico di Copernico, ambedue protestanti, a convincerlo a dare alle stampe la sua opera. Il lavoro di stampa iniziò nel 1542 seguito da vicino da Retico (vi furono però delle difficoltà iniziali: un protestante che si faceva portatore dell’opera di un cattolico!) il quale prima che l’opera vedesse la luce, dovette abbandonare. Ma nello stesso 1542 a Roma viene riorganizzata l’Inquisizione e viene costituito il Tribunale del Santo Uffizio (Paolo III) mentre partono i lavori per il Concilio di Trento (1544 – 1563) per avviare la Controriforma che vedrà subito il processo ai cardinali (Morone e Pole) fautori del dialogo con i protestanti e la conseguenza della proclamazione di Tommaso d’Aquino dottore della Chiesa (Paolo IV, 1565) e dell’istituzione della Congregazione dell’Indice (Pio V, 1571). Il seguimento della stampa dell’opera di Copernico passò, proprio allora, ad un teologo protestante molto erudito ed interessato all’opera di Copernico, Andreas Osiander. E questo personaggio è al centro di una brutta operazione di manipolazione del lavoro di Copernico perché, contro la volontà di Copernico, vi aggiunse una prefazione non firmata in modo che sembrasse dello stesso Copernico (e sembra abbia anche manipolato il titolo che doveva essere solo De Revolutionibus con particolare riferimento al moto della Terra, e non De Revolutionibus orbium coelestium riferite al generico moto delle varie sfere celesti). In questa prefazione praticamente si sosteneva che l’intera opera era basata su una finzione, su una ipotesi matematica utile per fare i conti. E questo avveniva quando Copernico era sul letto di morte (1543) ed era impedito a fare qualunque cosa. Ed appena morto Copernico il libro vide la luce con la manipolazione suddetta (il manoscritto originale, senza manipolazioni, fu poi ritrovato a Varsavia intorno al 1850). Quindi non fu Copernico ad inviare l’opera a Paolo III (anche se l’opera è a lui dedicata) ma il falsario Osiander quando Copernico era morto ! E dalla sua condizione di cadavere è vero che non ebbe problemi con la Chiesa.

        Ad evitare di discutere solo di questo pezzo ignobile(9), chiudo riportando solo l’ultimo rosario di perle che porta con sé:

Copernico aveva tuttavia formulato un’ipotesi matematica fondata su indizi di natura ottica e sull’argomento della semplicità.

Tutto ciò richiedeva ovviamente la conoscenza dell’inerzia e della legge di gravitazione, allora ancora da scoprire. Keplero, e più tardi soprattutto Newton, avrebbero contribuito a completare la teoria copernicana nelle sue esigenze dinamiche

Nella storia dell’eliocentrismo Galileo ebbe un’importanza secondaria, al contrario di Keplero (cui purtroppo Galileo non diede retta quale fonte informativa e argomentativa). Infatti le osservazioni astronomiche di Galileo favorirono sì il copernicanesimo, senza però dimostrarlo.

Quando l’opera [il Dialogo, ndr] viene letta a Roma produce pessima impressione[…]. La scoperta del monito del 1616 (che era stato dimenticato e al quale l’autore non aveva accennato) situa Galileo in una posizione giuridica irreparabile. Processato nel 1633, viene condannato alla prigione a vita, pena benevolmente commutata quasi immediatamente con l’arresto domiciliare nella sua villa ad Arcetri (Galileo non fu mai incarcerato). [C’è qui da osservare che il nostro prete è ignorantello anche in diritto canonico. Se la cava con la parola monito che vorrebbe essere ammonimento ma nel seguito si capisce essere precetto. Sul fatto poi che il settantenne Galileo non fu mai incarcerato ci sarebbe da chiedersi il perché visto che aveva abiurato ma evidentemente il prete conosce la crudeltà dei suoi simili. In ogni caso Galileo passò il resto della sua vita, quasi cieco in domicilio coatto, con un ferreo controllo alla sua porta e con la compagnia della figlia Suora che gli rubava pure qualche provvista].

Il Dialogo sopra i massimi sistemi era un’indubbia difesa della teoria copernicana, a favore della quale veniva impiegato soprattutto l’argomento (sbagliato) delle maree. Come ogni scienziato, Galileo ragionava per ipotesi, considerando l’eliocentrismo più fondato del geocentrismo, sebbene probabilmente s’accorgesse che non riusciva a dimostrarlo. Ma nel Dialogo egli impiega brillanti argomenti retorici allo scopo di persuadere il lettore della superiorità del copemicanesimo. Scientificamente non dimostrava ciò di cui voleva convincere mediante retorica  [questo è il modo con cui questo maramaldo liquida una delle opere più importanti della storia del pensiero scientifico e non solo. Questo cialtrone insegna degnamente in università papali. Potrei iniziare a spiegare il principio d’inerzia e relatività ma è del tutto inutile, anche perché lor signori usano scambiare la relatività con il relativismo].

Senza la tempesta provocata dal caso Galileo, il copernicanesimo si sarebbe forse imposto in maniera più semplice [lo sa il prete che il sistema copernicano era impossibile ? perché era un sistema aristotelico con l’anomalia della Terra ruotante intorno al Sole e che o tutta la fisica aristotelica crollava o crollava il sistema copernicano o tutti e due o vi era la sua razionalizzazione galileiana].

La vicenda di Galileo, con tutta la sua drammaticità, non era la lotta della ragione astratta e idealizzata contro l’autoritarismo di una fede oscura (concezione illuministica), ma appartiene alla storia della scienza occidentale nel suo vivo rapporto con la visione del mondo scaturita dalla fede cristiana. Non dimentichiamo che le scoperte dello scienziato pisano avvengono in un contesto eminentemente cristiano: il suo genio come fisico non sarebbe comprensibile al di fuori del grande movimento scientifico delle università europee che risale ai secoli XIII e XIV. Gli storici della scienza sono oggi d’accordo nel riconoscere l’importanza indiretta della Chiesa nella nascita della scienza moderna e nel superamento della visione cosmologica greca. D’altronde non ci sono analoghi esempi di difficoltà tra tribunali ecclesiastici e scienza fisico-matematica o astrofisica. Le teorie di Newton, Faraday, Maxwell, Planck o Einstein non sono state problematiche per la fede cristiana: il caso Galileo è un incidente unico nel suo genere nella storia della Chiesa. [A parte il ripetere il ritornello di Galileo che non esisterebbe senza Oresme e Buridano, ha citato tutti scienziati che fortuna loro non c’entravano nulla con la Chiesa di Roma]

Galileo volle andare troppo in fretta ma […] dimostrò nella pratica la possibilità di un’autonoma scienza sperimentale e quantitativa della natura. L’autonomia, però, non significa esclusività. L’ecologismo moderno ci dimostra che l’approccio alla natura non può essere unicamente tecnico e quantitativo.

SEGUE IN ALTRO ARTICOLO DOVE SI DISCUTE DEGLI  ASCARI DI SCIENZA E FEDE.


NOTE

(1) Il falso documento era il seguente:

“In considerazione del fatto che il nostro potere imperiale è terreno, noi decretiamo che si debba venerare ed onorare la nostra santissima Chiesa Romana e che il Sacro Vescovado del santo Pietro debba essere gloriosamente esaltato sopra il nostro Impero e trono terreno. Il vescovo di Roma deve regnare sopra le quattro principali sedi, Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme, e sopra tutte le chiese di Dio nel mondo….
Finalmente noi diamo a Silvestro, Papa universale, il nostro palazzo e tutte le provincie, palazzi e distretti della città di Roma e dell’Italia e delle regioni occidentali.”

Costantino diede anche una spiegazione, fino ad allora assolutamente inedita, del perché avesse tenuto per se l’Oriente. Lui desiderava che Roma, dove la religione cristiana era stata fondata dall’Imperatore del Cielo (Cristo), non avesse rivale alcuno sulla terra. La Roma pagana abdicava a favore della Roma cristiana.
Questo falso fu presentato per la prima volta dal Papa Stefano III a Pipino il Breve per chiedergli aiuto contro Astolfo, Re dei Longobardi, nel 754. E Pipino in cambio di titoli ecclesiastici (e con il figlio Carlomagno che divenne Capo del Sacro Romano Impero), donò a Stefano III (768-772), per mezzo del suo legato Fulrado, abate di Saint-Denis, le province dell’Esarcato e della Pentapoli, sottratte ad Astolfo. Quelle terre gli spettavano secondo la donazione.

Nel 1440 uno studioso di grande levatura ed assistente papale, Lorenzo Valla (giudicato eretico), frugando negli archivi vaticani, scoprì che si trattava di un falso dimostrandolo prima al pontefice e poi … e il poi venne solo nel 1517 con la pubblicazione del libro De falso credita et ementita Costantini donationeche ne parlava anche se la Chiesa continuò a negare fino al XIX secolo. Due prove evidenti del falso come dimostrato da Valla sono: all’epoca della pretesa donazione il Vescovo di Roma (il termine Papa venne molto dopo) non era Silvestro ma Milziade. La città di Costantinopoli non esisteva perché si chiamava Bisanzio ed al massimo Nuova Roma. Lo scritto era in un latino volgare e non il classico in uso nella corte imperiale di Bisanzio.

La pratica dei falsi nella Chiesa è durata molti secoli (e chissà cosa accade ancora …). Il massimo rappresentante delle falsificazioni fu Papa Gregorio VII che mise su una vera e propria impresa diretta da Anselmo da Lucca, che forniva e fornirà documenti falsificati appropriati per ogni futura azione intrapresa dai pontefici. Intorno al 1150 il monaco benedettino Graziano riordinando i documenti vaticani scoprì che su 324 citazioni di affermazioni di papi dei primi quattro secoli soltanto 11 erano autentiche.

(2) Il Vangelo ? O i Vangeli ? Ma quali ? Vale la pena ricordare che i Vangeli furono circa 60 ma le gerarchie della Chiesa, nel Concilio di Nicea del 325, decisero che andavano bene solo i 4 che conosciamo, considerando gli altri apocrifi, cioè tenuti nascosti, anche se scritti da apostoli. Quali criteri si usarono per scegliere i Vangeli buoni? Si conoscono 4 diverse versioni che sono servite al discrimine: 1) Dopo lunga preghiera dei vescovi conciliari, i 4 Vangeli buoni hanno preso il volo e sono andati a sistemarsi sull’altare; 2) Tutti i Vangeli sono stati messi tra loro in competizione sull’altare e gli apocrifi sono caduti in terra mentre gli altri non si sono mossi; 3) Scelti i 4 Vangeli dai Vescovi, sono stati messi sull’altare ed è stato chiesto a Dio di farli cadere se non fossero stati quelli buoni, e la cosa non avvenne; 4) A Nicea accorse lo Spirito Santo che si poggiò sulla spalla di ciascun vescovo sussurrandogli quali fossero i Vangeli buoni e quali quelli apocrifi. Dico questo perché nei Vangeli detti Apocrifi vi sono storie di vita di grande interesse. Ne cito solo qualcuna ma ve ne sono molte. Il piccolo Gesù che si vendicò di alcuni bambini che non volevano giocare con lui. Questi si erano nascosti in un forno. Egli sentì dei rumori provenienti dal forno e chiese chi ci fosse. la madre dei bambini disse che c’erano degli agnelli. Quando poi andò ad aprire trovò proprio degli agnelli al posto dei figli. In un’altra storia ancora Gesù con i genitori attraversa un villaggio  dove alcuni bambini risero del suo abbigliamento diverso dal loro. Egli si voltò, li guardò uccidendoli all’istante con il solo sguardo. Ultima storia riguarda Maria, la madre di Gesù. Era una giovane appartenente ad una famiglia molto ricca,  era una delle poche ragazze ammesse al Tempio, dove ebbe un’educazione privilegiata. In altri Vangeli si discute di Gesù ed i suoi fratelli e di tante cose simpatiche … niente di male ma certamente non in accordo con la leggenda inventata.

(3) I Papi sono davvero dei personaggi da museo degli orrori. Tutti in prima fila a condannare ogni scienza e ricerca ma molto attenti agli oroscopi (come farà Urbano VIII) ed alle magie di vario tipo. E’ esemplare la lettera (lettera decretale Vox in Rama del 12 giugno 1233) seguente che il prode Gregorio IX inviò a Re Enrico, figlio di Federico II di Germania per lodare le attività repressive di Conrad di Marburgo contro certi tedeschi che rifiutavano di essere convertiti al cristianesimo (una crociatina contro un popolo della costa pacifico e con la sola colpa di non essere cristiano, con il massacro di sole 8 mila persone). La lettera descrive tutte le disgrazie che colpiscono la Chiesa e assegna colpe ad eretici, ad adoratori del Diavolo ed a streghe, attive in Germania ed ai loro rapporti con Lucifero:

«… Quando un neofita dev’essere iniziato ed e’ introdotto dinanzi all’assemblea dei malvagi per la prima volta, gli appare una specie di rana o, secondo gli altri, un rospo. Qualcuno [dei novizi, ndr] gli accorda uno sporco bacio nel suo posteriore, qualcun altro sulla bocca, succhiando la lingua dell’animale…
Talvolta il rospo e’ di normali dimensioni, ma spesso e’ grosso quanto un’oca o una papera. Di solito e’ grande come l’apertura di un forno.
Il novizio si fa avanti e si mette di fronte ad un uomo di un pallore spaventoso i cui occhi sono neri ed il cui corpo è così sottile ed emaciato che sembra non aver carne ma solo pelle ed ossa.
Il novizio lo bacia e lo trova freddo come il ghiaccio.
Dopo averlo baciato, ogni resto di fede cattolica che poteva ancora albergare nel cuore del neofita, lo abbandona.
Poi, tutti si siedono per banchettare e quando anche questo è finito e tutti si alzano, da una specie di statua che di solito si trova in queste riunioni, emerge un gatto nero. E’ grande quanto un cane di buona taglia, ed entra camminando all’indietro con la coda sollevata.
Per prima cosa il novizio gli bacia il culo, poi fa lo stesso il Maestro delle Cerimonie, ed infine vi partecipano tutti, a turno. O almeno, tutti quelli che meritano tanto onore. Il resto, cioè quelli che non ne sono ritenuti degni, baciano il Maestro delle Cerimonie.
Ritornati ai loro posti, per un po’ restano in piedi in silenzio, con le teste girate verso il gatto. Quindi il Maestro esclama: “Perdonaci”. La persona dietro di lui ripete la formula ed una terza aggiunge: “Signore lo sappiamo”. Un quarto partecipante finisce la formula dicendo: “Obbediremo”.
Quando questa cerimonia si è conclusa, le luci vengono spente ed i presenti si abbandonano alla più abominevole sensualità, senza badare al sesso. Se ci sono più uomini che donne, questi soddisfano tra di loro i reciproci depravati appetiti. Le donne fanno lo stesso l’una con l’altra.
Alla fine di tali orrori si riaccendono le lampade ed ognuno torna al suo posto. Quindi, da un angolo buio emerge la figura di un uomo. La parte superiore del suo corpo, dai fianchi in su, risplende come il sole ma, sotto, la sua pelle è grezza e coperta da una pelliccia, come un gatto.
Il Maestro delle Cerimonie taglia un pezzo del vestito del novizio e dice a quella risplendente immagine: “Maestro, mi è stato dato questo ed io, a mia volta, lo passo a te”. Al che l’altro risponde: “Tu mi hai ben servito e meglio mi servirai ancora nel futuro. Metterò sul tuo conto ciò che mi hai dato”. E sparisce non appena pronunciate queste parole.
Ogni anno, a pasqua, quando ricevono dal prete il corpo di Cristo [l’ostia, ndr], lo nascondono in bocca per poi sputarlo nelle immondizie in segno di spregio verso il loro Salvatore.
Inoltre, questi uomini tra i più miserabili, bestemmiano contro il Signore dei Cieli, e nella loro follia dicoche il Signore ha fatto male a sprofondare Lucifero in un pozzo senza fondo.
Questa gente disgraziata crede in Lucifero e lo ritiene il creatore dei corpi celesti che assurgerà a gloria dopo la caduta del Signore.
Con lui, e attraverso lui, sperano di raggiungere la felicità eterna. Confessano di non credere che bisogna fare il volere di Dio ma, piuttosto, che bisogna dispiacerlo …
».

(4) Un primo abbozzo di Inquisizione si ebbe nel 1139 sotto Papa Innocenzo II. La Chiesa lasciò da parte le sanzioni spirituali ed ordinò al potere civile di reprimere l’eresia con pene temporali. La cosa fu decisa dal Concilio Ecumenico Laterano e trascritta nel suo Canone 23 che diceva: «Gli eretici che condannano il matrimonio, rigettano i sacramenti del corpo e del.sangue del Signore, il battesimo dei bambini, il sacerdozio e gli altri ordini, siano espulsi dalla Chiesa di Dio come eretici; noi li condanniamo e ordiniamo al potere civile di reprimerli. Includiamo nella stessa sentenza chiunque prenderà le loro difese». Con questo Canone, diretto contro i Catari, nel 1140 furono colpiti Abelardo e Arnaldo da Brescia. Il primo chiese clemenza ma il secondo continuò a predicare finché non fu impiccato e poi bruciato. I loro libri furono dati alle fiamme.

A partire dalla Bolla del 1232 che istituiva l’Inquisizione, in successive bolle pontificie fu fissata la procedura inquisitoriale che dava le direttive dell’intervento degli inquisitori. E’ il precedente del famoso Directorium Inquisitorum (Manuale degli Inquisitori) di Nicolau Eimeric e Nicolau Peña del 1376. Nelle istruzioni agli inquisitori date dalle Bolle si legge: Se una persona confessa essa è colpevole per la sua confessione, se non confessa sarà egualmente colpevole sulla base di testimonianze. Se uno confessa tutto ciò di cui è accusato, è senza dubbio colpevole di tutto, ma se confessa solo una parte, dovrà comunque essere colpevole di tutto, dato che, comunque, con la sua confessione, ha dimostrato di essere colpevole anche del resto delle accuse…La tortura fisica si è dimostrata il mezzo più efficiente e salutare per condurre al pentimento spirituale. La scelta del metodo di tortura viene lasciata al Giudice Inquisitore, che la stabilirà sulla base dell’età, del sesso, e della costituzione della parte. Se, nonostante tutti i mezzi impiegati, lo sfortunato accusato continua a negare la sua colpa, egli deve essere considerato vittima del diavolo, e, quindi, non merita compassione dai servi di Dio, né pietà o indulgenza dalla Santa Madre Chiesa; egli è un figlio della perdizione. Lasciamolo morire tra i dannati.

(5) Riporto di seguito un elenco messo insieme da Luigi Cascioli (www.LuigiCascioli.it). Si parte dalla fine del XV secolo con Alessandro VI per arrivare fino al 1854 con Pio IX (che proseguì anche dopo con fucilazioni di patrioti).— Papa Alessandro VI

Gerolamo Savonarola bruciato vivo in Piazza della Signoria a Firenze. 23 maggio 1498 insieme ai suoi due suoi discepoli Domenico da Pescia e Sivestro da Firenze.

Tre ebrei arsi vivi in campo dei Fiori a Roma. 13 gennaio 1498

Gentile Cimeli, accusata di stregoneria arsa viva a campo dei Fiori 14 luglio 1498

Marcello da Fiorentino arso vivo in piazza S. Pietro. 29 luglio 1498.

— Giulio II

4 donne giustiziate per stregoneria a Cavalese (Trento). 1505.

Diego Portoghese impiccato per eresia. 14 ottobre 1606.

30 persone bruciate vive a Logrono (Spagna) per stregoneria.

Fra Agostino Grimaldi giustiziato per eresia. 6 agosto. 1507

15 cittadini romani massacrati dalle guardie svizzere per eresia.1513.

Orazio e Giacomo di Riffredo, giustiziati per eresia. 30 aprile 1513.

— Leone X (Il Papa che ha dichiarato la non esistenza di Cristo)

30 donne accusate di stregoneria arse vive a Bormio. 1514.

Martino Jacopo giustiziato per eresia a Vercelli. 18 febbraio 1517.

80 donne bruciate vive in Valcamonica per stregoneria. 1518.

5 eretici arsi vivi a Brescia. 13 aprile 1519.

Baglione Paolo da Perugia decapitato per eresia alla Traspontina. 4 giugno 1520.

Fra Camillo Lomaccio, Fra Giulio Carino, Leonardo Cesalpini strangolati in carcere per eresia. 8 luglio 1520.

— Clemente VII

Anna Furabach, giustiziata per eresia. 9 maggio 1524.

 Migliaia di protestanti Anabattisti decapitati, arsi vivi, annegati e torturati a morte. 1525.

Una donna accusata di stregoneria arsa viva in Campidoglio. 30 settembre 1525

Claudio Artoidi e Lerenza di Pietro giustiziati per eresia. 16 maggio 1526.

Rinaldo di Colonia giustiziato per eresia. 26 agosto 1528.

Lorenzo di Gabriele da Parma e Tiberio di Giannantonio torturati e giustiziati per eresia. 9 sett. 1528.

Berrnardino da Palestrina Burciato vivo per eresia. 20 novembre 1529. Giovanni Milanese bruciato vivo per eresia. 23 novembre 1530.

— Paolo III (Un altro Papa ateo che ha affermato la non esistenza di Cristo. Gli altri lo sanno come lui ma non lo dicono).

Uccisi tutti gli abitanti della città di Mérindol (Francia) per aver abbracciato la fede dei protestanti Evangelici. I loro beni furono confiscati e la città rimase deserta e inabitabile.1540.

Tutti gli Anabattisti della città di Munster (Germania) furono massacrati. Giovanni di Leida, loro capo, fu ucciso dopo essere stato sottoposto “a orrendo supplizio”. 4 aprile 1535.

Martino Govinin giustiziato nelle carceri di Grenoble. 26 aprile 1536.

Francesco di Giovanni di Capocena ucciso per eresia. 1538.

Ene di Ambrogio giustiziato per eresia. 1539.

Galateo di Girolamo giustiziato nelle carceri dell’Inquisizione per eresia. 17 gennaio 1541.

Giandomenico dell’Aquila. Eretico, bruciato vivo. 4 febbraio 1542.

Federico d’ Abruzzo ucciso per eresia. Il suo corpo fu portato al supplizio trascinato da un cavallo. Quello che rimase del suo corpo fu appeso alla forca. 12 luglio 1542.

2.740 Valdesi furono massacrati dai cattolici in Provenza (Francia). Aprile 1545.

Girolamo Francese impiccato perchè luterano. 27 settembre 1546.

Baldassarre Altieri, dell’Ambasciatore inglese, fatto sparire nelle carceri dell’Inquisizione. 1548

Federico Consalvo, eretico, giustiziato. 25 maggio 1549.

Annibale di Lattanzio giustiziato per eresia. 25 maggio 1549.

— Giulio III

Fanino Faenza impiccato e bruciato per eresia. 18 febbraio 1550.

Domenico della Casa Bianca, luterano. Decapitato. 20 febbraio 1550.

Geronimo Geril Francese, Impiccato per eresia e poi squartato. 20 marzo 1550.

Giovanni Buzio e Giovanni Teodori, impiccati e bruciati per eresia. 4 settembre 1553.

Francesco Gamba, decapitato e bruciato vivo per eresia. 21 lugio 1554.

Giovanni Moglio e Tisserando da Perugia, luterani. Impiccati e bruciati vivi. 5 settembre 1554.

— Paolo IV

Istituzione del Ghetto a Roma con restrizioni contro gli ebrei ancor più severe del ghetto di Venezia.

Cola Francesco di Salerno, giustiziato per eresia. 14 giugno 1555

Bartolomeo Hector, bruciato vivo per aver venduto due Bibbie. 20 giugno 1555.

Golla Elia e Paolo Rappi, protestanti, bruciati vivi a Torino. 22 giugno 1555.

Vernon Giovanni e Labori Antonio, evangelisti, bruciati vivi. 28 agosto 1555.

Stefano di Girolamo, giustiziato per eresia. 11 gennaio 1556.

Giulio Napolitano, bruciato vivo per eresia.   6 marzo 1556.

 Ambrogio de Cavoli, impiccato e bruciato per eresia. 15 giugno 1556.

Don Pompeo dei Monti, bruciato vivo per eresia. 4 luglio 1556.

Pomponio Angerio, bruciato vivo per eresia. 19 agosto 1556.

Nicola Sartonio, luterano, bruciato vivo. 13 maggio 1557.

Jeronimo da Bergamo, Alessandra Fiorentina e Madonna Caterina, impiccati e bruciati per omosessualità. 22 dicembre 1557.

Fra Gioffredo Varaglia, francescano, bruciato vivo per eresia. 25 marzo 1558.

Gisberto di Milanuccio, eretico, bruciato vivo. 15 giugno 1558.

Francesco Cartone, eretico, bruciato vivo. 3 agosto 1558.

14 protestanti bruciati vivi a Siviglia in Spagna. 1559. 15 protestanti bruciati vivi a Valadolid in Spagna. 1559.

Gabriello di Thomaien, bruciato vivo per omosessualità. 8 febbraio 1559.

Antonio di Colella arso vivo per eresia. 8 febbraio 1559.

Leonardo da Meola e Giovanni Antonio del Bò, impiccati e bruciati per eresia. 8 febbr.1559. 

13 eretici più un tedesco di Augsburg accusato di omosessualità arsi vivi. 17 febbraio 1559.

Antonio Gesualdi, luterano, giustiziato per eresia. 16 marzo 1559.

Ferrante Bisantino, eretico, arso vivo. 24 agosto 1559.

Scipione Retio, eretico, ucciso nelle carceri della Santa Inquisizione. 1559.

— Papa Pio IV

I monaci dell’Abazia di Perosa (Pinerolo) si divertirono a bruciare vivi a fuoco lento un prete evangelico insieme ai suoi fedeli. Dicembre 1559.

Carneficina di Valdesi in Calabria per opera di bande di delinquenti assoldate da Santa Madre Chiesa (uomini, donne, vecchi e bambini atrocemente torturati prime di essere uccisi su diretto ordine del Papa). Dicembre 1559.

”A Santo-Xisto, alla Guardia, a Montalto e a Sant’Agata si fecero cose inaudite: gente sgozzata, squartata, bruciata e orrendamente mutilata. Pezzi di resti umani furono appesi alle porte delle case come esempio alle genti. Quelli che fuggirono sulle montagne furono assediati fino a che morirono di fame. Molte donne e fanciulli furono ridotti in schiavitù”. I559. (Da “La Santa Inquisizione di Maurizio Marchetti. Ed. La Fiaccola).

4000 valdesi massacrati su ordine di Santa Madre Chiesa. 1560.

Giulio Ghirlanda, Baudo Lupettino, Marcello Spinola, Nicola Bucello, Antonio Rietto, Francesco Sega, condannati a morte perchè sorpresi a svolgere una funzione religiosa in una casa privata officiante la messa uno spretato. 1560.

Giacomo Bonello, bruciato vivo perché evangelista. 18 febbraio 1560.

Mermetto Savoiardo, eretico, arso vivo. 13 agosto 1560.

Dionigi di Cola, eretico, bruciato vivo. 13 agosto 1560.

Aloisio Pascale, evangelista, impiccato e bruciato. 8 settembre 1560. 

Gian Pascali di Cuneo, bruciato vivo per eresia. 15 settembre 1560.

Stefano Negrone, eretico, lasciato morire di fame nelle prigioni della Santa Inquisizione. 15 settembre 1560.

Stefano Morello, eretico, impiccato e bruciato. 25 settembre 1560.

Bernardino Conte, bruciato vivo per eresia. 1560.

300 persone a Oppenau, 63 donne a Wiesensteig e 54 a Obermachtal in Gemania, bruciate vive per stregoneria. 1562.

Macario, vescovo di Macedonia, eretico, bruciato vivo. 10 giugno 1562.

Cornelio di Olanda, eretico, impiccato e bruciato. 23 g3nnaio 1563.

Franceso Cipriotto, impiccato e bruciato per eresia. 4 settembre 1564.

Giulio Cesare Vanini, panteista, bruciato vivo dopo avergli strappato la lingua. Giulio di Grifone, eretico, giustiziato.

— Pio V (elevato dalla Chiesa agli onori degli altari).

Con bolla papale viene imposta a Roma la chiusura di tutte le sinagoghe.

Muzio della Torella, eretico, giustiziato. 1 marzo 1566. Giulio Napolitano, eretico, bruciato vivo. 6 marzo 1566.

Don Pompeo dei Monti, decapitato per eresia. 3 luglio 1566.

Curzio di Cave, francescano, decapitato per eresia. 9 luglio 1566.

17.000 (diciassettemila) protestanti massacrati nelle Fiandre da cattolici spagnoli.

Giorgio Olivetto arso vivo perché luterano. 27 gennaio 1567.

Domenico Zocchi, ebreo, impiccato e bruciato a Piazza Giudia nel Ghetto di Roma. 1 febbraio 1567.

Girolamo Landi, impiccato e bruciato per eresia.. 25 febbraio 1567.

Pietro Carnesecchi, impiccato e bruciato per eresia. 30 settembre 1567.

Giulio Maresco, decapitato e arso per eresia. 30 settembre 1567.

Paolo e Matteo murato vivo per eresia. 30 sett.1567.

Ottaviano Fioravanti, murato vivo per eresia. 30 sett. 1567.

Giovannino Guastavillani, eretico, murato vivo. 30 settembre 1567.

Geronimo del Puzo, murato vivo per eresia. 30 settembre 1567.

Gerolamo Donato con altri suoi confratelli dell’Ordine degli Umiliati, vengono giustiziati su ordine di Carlo Borromeo (santo), vescovo di Milano, dopo lunghe ore di torture, per eresia. 2 agosto 1570.

Macario Giulio da Cetona, decapitato e bruciato per eresia. 1 ottobre 1567.

Lorenzo da Mugnano, impiccato e bruciato per eresia. 10 maggio 1668. 

Matteo d’Ippolito, impiccato e bruciato per eresia. 10 maggio 1568.

Francesco Stanga, impiccato e bruciato per eresia. 10 maggio 1568.

Donato Matteo Minoli, lasciato morire nelle carceri dopo avergli rotto le ossa e bruciato i piedi. 27 maggio 1568.

Francesco Castellani, eretico, impiccato. 6 dicembre 1568.

Pietro Gelosi, eretico, impiccato e bruciato. 6 dicembre 1568.

Marcantonio Verotti, eretico, impiccato e bruciato. 6 dicembre 1568.

Luca di Faenza, eretico, bruciato vivo. 28 febbraio 1568.

Borghesi Filippo, decapitato e bruciato per eresia. 2 maggio 1569.

Giovanni dei Blasi, impiccato e bruciato per eresia. 2 maggio 1569.

Camillo Ragnolo, impiccato e bruciato per eresia. 25 maggio 1569.

Fra Cellario Francesco, impiccato e bruciato per eresia. 25 maggio 1569.

Bartolomeo Bartoccio, bruciato vivo per eresia. 25 maggio 1569.

Guido Zanetti, murato vivo per eresia. 27 maggio 1569.

Filippo Porroni, eretico luterano, impiccato. 11 febbraio 1570.

Gian Matteo di Giulianello, giustiziato per eresia. 25 febbraio 1570.

Nicolò Franco, impiccato per aver deriso il papa con degli scritti. Impiccato. 11 marzo 1570.

Giovanni di Pietro, eretico, impiccato e bruciato. 13 maggio 1570.

Aolio Paliero, eretico, impiccato e bruciato su espresso desiderio di Papa Pio V (santo).3 luglio1570. 

Fra Arnaldo di Santo Zeno, eretico, bruciato vivo. 4 novembre 1570.

Don Girolamo di Pesaro, Giovanni Antonio di Jesi e Pietro Paolo di Maranzano, giustiziati per eresia. 6 ottobre 1571.

Francesco Galatieri, pugnalato a morte dai sicari pontifici perché eretico. 5 gennaio 1572.

Madonna Dianora di Montpelier, eretica, impiccata e bruciata. 9 febbraio 1572.

Madonna Pellegrina di Valenza, eretica impiccata e bruciata. 9 febbraio 1972.

Madonna Girolama Guanziana, eretica impiccata e bruciata. 9 febbraio 1572.

Madonna Isabella di Montpelier, eretica impiccatae bruciata. 9 febbraio 1572.

Domenico della Xenia, eretico impiccato e bruciato. 9 febbraio 1572.

Teofilo Penarelli, eretico impiccato e bruciato. 22 febbraio 1572.

— Gregorio XIII

Alessandro di Giulio, impiccato e bruciato per eresia. 15 marzo 1572.

Giovanni di Giovan Battista, impiccato e bruciato perchè eretico. 15 marzo 1572.

Girolamo Pellegrino, impiccato e bruciato per eresia. 19 luglio 1572.

10.000 (diecimila) eretici massacrati in Francia per ordine del Papa (strage degli Ugonotti- Notte di S. Bartolomeo). 24 agosto 1572.

500 eretici massacrati in Croazia per ordine del vescovo cattolico Juraj Draskovic. 1573.

Nicolò Colonici eretico impiccato e bruciato. Giovanni Francesco Ghisleri, strangolato nelle carceri dell’Inquisizione. 25 ottobre del 1574.

Alessandro di Giacomo, arso vivo. 19 novembre 1574.

Benedetto Thomaria, eretico bruciato vivo. 12 Maggio 1574.

Don Antonio Nolfo, eretico giustiziato. 29 luglio 1578.

Giovanni Battista di Tigoni, eretico giustiziato. 29 lugio 1578.

Baldassarre di Nicolò, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.

Antonio Valies de la Malta, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.

Francesco di Giovanni Martino, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.

Bernardino di Alfar, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.

Alfonso di Poglis, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.

Marco di Giovanni Pinto, eretico impiccato e bruciato.13 agosto 1578.

Girolamo di Giovanni da Toledo, eretico re 1578.

Pompeo Loiani, eretico impiccato e bruciato. 12 giugno 1579.

Cosimo Tranconi, eretico impiccato e bruciato. 12 giugno 1579. 2

22 (duecentoventidue) ebrei bruciati al rogo per ordine della Santa Inquisizione. 1558.

Salomone, ebreo impiccato per aver rifiutato il battesimo. 13 marzo 1580.

Un inglese bruciato vivo per aver offeso un prete. 2 agosto 1581.

Diego Lopez, bruciato vivo per eresia. 18 febbraio 1583.

Domenico Danzarelli, impiccato e bruciato per eresia. 18 febbraio 1583.

Prospero di Barberia, eretico impiccato e bruciato. 18 febbraio 1583.

Gabriello Henriquez, bruciato vivo per eresia. 18 febbraio 1583.

Borro d’Arezzo, bruciato vivo per eresia. 7 febbraio 1583.

Ludovico Moro, eretico arso vivo. 10 luglio 1583.

Fra Camillo Lomaccio, Fra Giulio Carino, Leonardo di Andrea strangolati nel carcere di Tor Nona per eresia. 23 luglio 1583.

Lorenzo Perna, arrestato per ordine del cardinale Savelli per eresia, si ignora la sua fine. 16 giugno 1584.

«La Signora di Bellegard», arrestata per eresia, si ignora la sua fine. ottobre 1584.

Giacomo Paleologo, decapitato e bruciato. 22 marzo 1585.

I fratelli Missori decapitati per aver espresso il diritto alla libertà di stampa. Le loro teste furono lasciate in esposizione al pubblico. 22 marzo 1585. (Il corpo di Gregorio XIII, di questo carnefice, viene onorato e riverito dai cattolici nella sua monumentale tomba in S.Pietro a Roma).

— Papa Sisto V

Questo Papa fece impiccare uno spagnolo per aver ucciso con una bastonata un soldato svizzero che lo aveva ferito con l’alabarda. Respinta la richiesta di sostituire la forca con la mannaia, Sisto V assisteva gioiosamente alle esecuzioni facendosi portare da mangiare perchè “questi atti di giustizia gli accrescevano l’appetito”. Dopo l’esecuzione di una sentenza disse: « Dio sia benedetto per il grande appetito con cui ho mangiato».

Pietro Benato, arso vivo per eresia. 26 aprile 85.

Pomponio Rustici, Gasparre Ravelli, Antonio Nantrò, Fra Giovanni Bellinelli, impiccati e bruciati vivi per eresia. 5 agosto 1587.

Vittorio, conte di Saluzzo, giustiziato per eresia. 9 dicembre 1589.

Valerio Marliano, eretico impiccato e bruciato. 16 febbraio 1590.

Don Domenico Bravo, decapitato per eresia. 30 marzo 1590.

Fra Lorenzo dell’Aglio, impiccato e bruciato.13 aprile 1590.

— Gregorio XIV

Fra Andrea Forzati, Fra Flaminio Fabrizi, Fra Francesco Serafini, impiccati e bruciati.  6 febbraio 1591.

Giovanni Battista Corobinacci, Giovanni Antonio de Manno Rosario, Alexandro d’Arcangelo, Fulvio Luparino, Francesco de Alexandro, giustiziati. Giugno 1590. Giovanni Angelo Fullo, Giò Carlo di Luna, Decio Panella, Domenico Brailo, Antonio Costa, Fra Giovanni Battista Grosso, l’Abate Volpino, insieme ad altri seguaci di Fra Girolamo da Milano, arrestati dalla Santa Inquisizione, si ignora la loro fine… 1590.

( Tutto questo in un solo anno di Santo Pontificato!).

— Clemente VIII

Giordano Bruno, bruciato vivo per eresia il 17 febbraio 1600.

Quattro donne e un vecchio bruciate vive per eresia. 16 febbraio 1600.

Francesco Gambonelli, eretico arso vivo. 17 febbraio 1594.

Marcantonio Valena e un altro luterano, arsi vivi. agosto 1594.

Graziani Agostini, eretico impiccato e bruciato. 1596.

Prestini Menandro, eretico impiccato ebruciato. 1596.

Achille della Regina, se ne ignora la fine. Giugno 1597.

Cesare di Giuliano, eretico impiccato e bruciato. 1597.

Damiano di Francesco, eretico impiccato e bruciato. 1597.

Baldo di Francesco, impiccato e bruciato per eresia. 1957.

De Magistri Giovanni Angelo, eretico impiccato e bruciato.1597.

Don Ottavio Scipione, eretico, decapitato e bruciato.1597.

Giovanni Antonio da Verona e Fra Celestino, eretici bruciati vivi. 16 settembre 1599.

Fra Cierrente Mancini e Don Galeazzo Porta decapitati per eresia. 9 novembre 1599.

Maurizio Rinaldi, eretico bruciato vivo. 23 febbraio 1600. Francesco Moreno, eretico impiccato e bruciato. 9 giugno 1600. Nunzio Servandio, ebreo impiccato. 25 giugno 1600.

Bartolomeo Coppino, luterano arso vivo. 7 aprile 1601. Tommaso Caraffa e Onorio Costanzo eretici decapitati e bruciati. 10 maggio 1601.

— Papa Paolo V

Giovanni Pietro di Tunisi, impiccato e bruciato. 1607.

Giuseppe Teodoro, eretico impiccato e bruciato. 1609. Felice d’Ottavio, eretico impiccato e bruciato. 1609.Rossi Francesco, eretico impiccato e bruciato. 1609. Antonio di Jacopo, eretico impiccato e bruciato. 1609. Fortunato Aniello, eretico impiccato e bruciato. 1609. Vincenti Pietro, eretico impiccato e bruciato. 1609. Umberto Marcantonio, eretico impiccato e bruciato. 1609.

Fra Manfredi Fulgenzio, eretico impiccato e bruciato. 1610. Lucarelli Battista, eretico impiccato e bruciato. 1610. Emilio di Valerio, ebreo, impiccato e bruciato. 1610.

Don Domenico di Giovanni, per essere passato dal cristianesimo all’ebraismo, impiccato. 1611. Giovanni Milo, luterano impiccato. marzo 1611. Giovanni Mancini, per aver celebrato la messa da spretato impiccato e bruciato. 22 ottobre 1611.

Jacopo de Elia, ebreo impiccato e bruciato. 22 gennaio 1616. Francesco Maria Sagni, eretico impiccato e bruciato. 1 luglio 1616.

Arrestato un negromante zoppo, arso vivo per stregoneria. 1617.

Lucilio Vanini, arso vivo per aver messo in dubbio l’esistenza di Dio. 17 febbraio 1618.

Migliaia di eretici trucidati dai cattolici nei Grigioni in Valtellina. 1620.  (La Chiesa, rimasta nella convinzione che in Valtellina ci siano ancora tendenze religiose eretico-pagane, mantiene tutt’oggi la regione sotto controllo tramite la “Missione Rezia”, affidata ai cappuccini, dipendenti direttamente da “Propaganda Fidei”) … e il Santo Padre Giovanni Paolo II chiede perdono!

— Urbano VIII

Galileo Galilei, torturato e condannato al carcere perpetuo quale eretico per aver affermato che la Terra gira intorno al Sole. 1633.

Ferrari Ambrogio, eretico impiccato. 1624.

Donna Anna Sobrero, morta di peste in carcere dove era stata condannata a vita. 1627. (nei mesi che seguirono, tutti coloro che passarono per quel carcere, morirono di peste).

Frate Serafino, eretico, inpiccato e bruciato. 1634.

Giacinto Centini, decapitato per aver offeso la sovranità papale. 1635.

Fra Diego Giavaloni, eretico impiccato e bruciato. 1635.

Alverez Ferdinando, bruciato vivo per essersi convertito all’ebraismo. 19 marzo 140.

Policarpo Angelo, impiccato e bruciato per aver celebrato la messa da spretato. 19 maggio 1642.

Ferrante Pallavicino, eretico impiccato e bruciato. 1644. Fra Camillo d’Angelo, Ludovico Domenico, Simone Cossio, Domenico da Sterlignano, giustiziati per eresia. 1644.

— Papa Innocenzo X

Brugnarello Giuseppe e Claudio Borgegnone, impiccati e bruciati per aver falsificato alcune lettere apostoliche. 1652. ( Se questo Papa applicò in prevalenza condanne di carceri a vita ciò dipese dal fatto che in quegli anni ricorreva l’anno Santo).

— Papa Alessandro II

Fello Giovanni, sacerdote, decapitato per eresia. 1657.
1.712 Valdesi massacrati dai cattolici nelle Valli Alpine. 1655.

— Papa Innocenzo XI (santificato)

20 ebrei condannati al rogo. 1680.

Vincenzo Scatolari, per aver esercitato la professione di giornalista senza autorizzazione di Santa Madre Chiesa. Decapitato. 2 agosto 1685.

2.000 (duemila) Valdesi massacrati dai cattolici nelle Valli Alpine per ordine diretto del Papa. Maggio 1686.

24 protestanti uccisi dai cattolici a Pressov in Slovacchia. 1687.

— Papa Innocenzo XII

Martino Alessandro, morto in carcere per tortura. 3 maggio 1690.

37 ebrei bruciati vivi. 1691. (poi si cercano le cause che hanno generato l’antisemitismo!).

Antonio Bevilacqua e Carlo Maria Campana, cappuccini, decapitati perchè seguaci del Quietismo di Molinos. 26 marzo 1695.

— Clemente XI

Filippo Rivarola, portato al patibolo in barella per le torture ricevute, decapitato. 4 agosto 1708.

Spallaccini Domenico, impiccato e bruciato per aver bestemmiato a causa di un colpo di alabarda ricevuta da una guardia papalina. 28 luglio 1711.

Gaetano Volpini, decapitato per aver scritto una poesia contro il Papa. 3 febbraio 1720.

— Clemente XII

Questo Papa, ripristinando la “mazzolatura” (rottura delle ossa a colpi di bastone), si dimostrò uno dei più cinici sostenitori dell’arte della tortura.

Pietro Giarinone, filosofo e storico, morì sotto tortura per aver sostenuto la supremazia del re sulla curia romana. 24 marzo 1736.

Enrico Trivelli, decapitato per aver scritto frasi di rivolta contro il Papa. 23 febbraio 1737.

Le numerose vittime di questo Papa sono rimaste sconosciute perchè egli preferiva più uccidere sotto tortura nella carceri dell’Inquisizione che giustiziarle nelle pubbliche piazze.

– A questo punto si registra una diminuzione dei processi e  delle condanne. L’Illuminismo spaventa le gerarchie.— Clemente XIII

Tommaso Crudeli, condannato al carcere a vita per massoneria. 2 agosto 1740.

Giuseppe Morelli, impiccato per aver celebrato l’Eucaristia da spretato. 22 agosto 1761.

Carlo Sala, eretico, giustiziato. 25 settembre. 1765. (Carlo Sala è l’ultimo martire ucciso dalla Chiesa per eresia).

I massacri, non più di carattere religioso, continuarono contro i cospiratori politici, i giornalistI e tutti quei progressisti che intendevano rovesciare l’immoralità dell’oscurantismo religioso attraverso una rivoluzione armata. Le atrocità furono come nel passato. Tagli di teste, torture con mazzolature, impiccagioni e sevizie che spesso portavano allo squartamento degli accusati. Pur di mantenere il terrore venivano puniti di morte anche i delitti meno gravi come i semplici furti.

— Pio VI

Nei suoi quattro anni di pontificato ci furono soltanto cinque esecuzioni capitali per reati comuni, anche se la sua lotta si intensificò aspramente contro gli ebrei che furono costretti, tra le tante umiliazioni e minacce che subirono, a indossare vestiti di colore giallo perchè fossero pubblicamente oltraggiati.

— Pio VII

Gregorio Silvestri, impiccato per cospirazione politica. 18 gennaio 1800.

Ottavio Cappello, impiccato perchè patriota rivoluzionario. 29 gennaio 1800.

Giovanni Battista Genovesi, patriota squartato e bruciato. La sua testa fu esposta al pubblico. 7 febbraio 1800.

Teodoro Cacciona, impiccato e squartato per furto di un abito ecclesiastico. 9 febbraio 1801.

Paolo Salvati, impiccato e squartato per aver derubato un corriere del Papa. 11 dicembre 1805. 

Bernardo Fortuna, impiccato e squartato per furto ai danni di un corriere francese. 22 aprile 1806.

Tommaso Rotilesi, impiccato per aver ferito un ufficiale francese.

161 furono le esecuzioni capitali per reati comuni nei 15 anni del pontificato di questo vice Dio in terra che prese il mite e devoto nome di Pio.

— Leone XII

Leonida Montanari, decapitato per aver offeso pubblicamente il Papa. 23 novembre 1825.

Angelo Targhini, decapitato per aver ferito una spia papalina. 23 novembre 1825.

Luigi Zanoli, decapitato per aver ucciso uno sbirro papalino. 13 maggio 1828.

Angelo Ortolani, impiccato per aver ucciso guardia papalina. 13 maggio 1828.

Gaetano Montanari, squartato per tentato omicidio dell’emissario papalino Rivolta. 1828.

Gaetano Rambelli, impiccato per aver ferito emissario papalino. 1828.

Le esecuzioni capitali, oltre queste sopra elencate, furono 29 e sempre per reati comuni.

— Pio VIII

In un anno di Pontificato eseguì 13 condanne capitali per reati comuni.

— Gregorio XVI

Impose divieto assoluto ad ogni libertà di parola o di espressione scritta che non seguisse i dettami di Santa Madre Chiesa. Dietro le minacce più gravi obbligò gli ebrei di non esercitare nessuna attività fuori del Ghetto.

Giuseppe Balzani, decapitato per offese la Papa. 14 maggio 1833.

Luigi Scopigno, decapitato per furto di oggetti sacri. 21 luglio 1840.

Pietro Rossi, decapitato per piccolo furto. 9 gennaio 1844. Luigi Muzi, decapitato per piccolo furto. 19 gennaio 1844.

Giovanni Battista Rossi, decapitato per piccolo furto. 3 agosto 1844.

Oltre a queste ci furono sotto il pontificato di questo Santo Padre altre 110 condanne a morte per reati comuni. La descrizione dei moltissimi decapitati, impiccati e squartati dall’Inquisizione sotto Gregorio XI è riportata in un libro scritto da Mastro Titta.

— Pio IX

(santificato da Giovanni Paolo II, chiamato metro cubo di merda da Garibaldi)

Romolo Salvatori, decapitato per aver consegnato ai Garibaldini l’Arciprete di Anagni. 10 settembre 1851.

Gustavo Paolo Rambelli, Gustavo Marloni, Ignazio Mancini, decapitati per aver ucciso tre preti. 24 gennaio 1854.

Antonio de Felici, decapitato per aver attentato al Cardinale Antonelli. 1854.

Per comprendere la criminalità di questo Papa (santo), basta dire che quando i patrioti dell’unificazione italiana entrarono nelle carceri pontificie per liberare alcune decine di prigionieri che vi vivevano incatenati da così lungo tempo da aver perso la vista e l’uso delle gambe, trovarono in quei sotterranei mucchi di scheletri e di cadaveri in decomposizione in un misto di tonache di frati e di monache, di vestiti civili di uomini e di donne, divise militari e scarpe come quando furono liberati i campi di sterminio nazisti. Vi furono trovati anche giocattoli di bambini morti insieme ai loro genitori.

Cambiato il nome alla Santa Inquisizione con quello della Santa Penitenzieria in seguito all’occupazione di Roma da parte dell’esercito italiano, per tutto il XIX secolo, anche se in forma non cruenta, Santa madre Chiesa, facendosi politicamente forte di una pretesa autorità spirituale  continuò comunque a imporre la sua autorità religiosa su quella politica ricorrendo ancora all’abiura e alla scomunica con conseguenti rivalse e castighi temporali che usa tuttora e che noi ben conosciamo.(6) Le frasi di Galileo in questa lettera saranno riprese letteralmente il 10 novembre 1979 da Giovanni Paolo II in un suo discorso in occasione della commemorazione della nascita di Einstein. Disse il Papa:
7. Mi sia lecito, Signori, offrire alla loro attenta considerazione e meditata riflessione, alcuni punti che mi appaiono importanti per collocare nella sua vera luce il caso Galileo, nel quale le concordanze tra religione e scienza sono più numerose, e soprattutto più importanti, delle incomprensioni che hanno causato l’aspro e doloroso conflitto che si è trascinato nei secoli successivi.Colui che è chiamato a buon diritto il fondatore della fisica moderna, ha dichiarato esplicitamente che le due verità, di fede e di scienza, non possono mai contrariarsi “procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio” come scrive nella lettera al Padre Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613 (Edition Nationale de œuvres de Galilée, vol. V, 282-285). Non diversamente, anzi con parole simili, insegna il Concilio Vaticano II: “La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio” (Gaudium et Spes, 36).Galileo sente nella sua ricerca scientifica la presenza del Creatore che lo stimola, che previene e aiuta le sue intuizioni, operando nel profondo del suo spirito. A proposito della invenzione del cannocchiale, egli scrive all inizio del Sidereus nuncius, rammentando alcune sue scoperte astronomiche: “Quae omnia ope Perspicilli a me excogitati divina prius illuminante gratia, paucis abhinc diebus reperta, atque observata fuerunt” (Galileo, Sidereus nuncius, Venezia, MCDX, fol. 4). “Tutte queste cose sono state scoperte e osservate in questi ultimi giorni per mezzo del “telescopio” escogitato da me, in precedenza illuminato dalla grazia divina”.La confessione galileiana della illuminazione divina nella mente dello scienziato trova riscontro nella già citata Costituzione conciliare della Chiesa nel mondo contemporaneo: “Chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza avvertirlo viene condotto dalla mano di Dio” (Gaudium et Spes, 36). L’umiltà richiamata dal testo conciliare è una virtù dello spirito necessaria tanto per la ricerca scientifica, quanto per l’adesione alla fede. L’umiltà crea un clima favorevole al dialogo tra il credente e lo scienziato e richiama l’illuminazione di Dio, già conosciuto e ancora ignoto, ma tuttavia amato, sia nell’un caso sia nell’altro, da chi umilmente ricerca la verità.8. Galileo ha enunciato delle importanti norme di carattere epistemologico indispensabili per accordare la Sacra Scrittura con la scienza. Nella Lettera alla Granduchessa Madre di Toscana, Cristina di Lorena, Galileo riafferma la verità della Scrittura: “Non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che sia penetrato il suo vero sentimento, il qual non credo che si possa negare essere molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole” (Edition Nationale des œuvres de Galilée, vol. V, p. 315). Galileo introduce il principio di una interpretazione dei libri sacri, al di là anche del senso letterale, ma conforme all’intento e al tipo di esposizione propri di ognuno di essi. È necessario, come egli afferma, che “i saggi espositori ne produchino i veri sensi”.La pluralità delle regole di interpretazione della Sacra Scrittura, trova consenziente il magistero ecclesiastico, che espressamente insegna, con l’enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII, la presenza di diversi generi letterari nei libri sacri e quindi la necessità di interpretazioni conformi al carattere di ognuno di essi.        Il discorso è interessante Ma Sua Santità l’ha cambiato radicalmente qualche anno dopo nella Fides et Ratio, come abbiamo visto. Nessuno stupore il Vaticano con le sue gerarchie fagocita tutti, anche i papi che hanno buona volontà.

(7) Durante le poche settimane della Repubblica romana del 1849, dopo la fuga del Papa, si trovarono aperti gli archivi, e alle febbrili ricerche di Antonio Gherardi fu dato scoprire taluni Decreta della Congregazione del Sant’Uffizio che si riferiscono alla causa di Galileo. Fra questi vi è il verbale della seduta del 3 marzo, riportato nel testo, che fa seguito a quello già noto del 25 febbraio. Il documento era redatto per le sole autorità, un rapporto riservato sugli affari in corso. Esso corrisponde esattamente alle istruzioni del 25 febbraio. Tali istruzioni avevano previsto i tre atteggiamenti successivi da adottare nel caso di obbedienza, d’obiezione, o d’ostinazione da parte di Galileo: avvertimento, ingiunzione, arresto. Ora, il rapporto dice semplicemente che l’avvertimento fu accolto con l’acquiescenza e passa agli altri argomenti: se vi fosse stato precetto, ne sarebbe stata fatta almeno
menzione; altrimenti si sarebbe dovuto allegare un rapporto separato del commissario generale, e non ve n’è traccia. Riguardo a cosa si riuscì a trovare in quel breve lasso di tempo della Repubblica Romana negli archivi vaticani, ricordo soloi primi documenti relativi al Processo s Giordano Bruno. Fu il bibliofilo Giacomo Manzoni, entrato negli Archivi Segreti vaticani, che riuscì a prendere nota di alcuni atti ivi conservati. Queste note passarono a Domenico Berti che risultò primo biografo moderno di Bruno (1868 – 1889). Altri documenti furono resi noti da Spampanato nel 1924.

(8) Oltre a Totus Tuus vi è kattolico (in cui brilla la stella di Socci), il sito di Vittorio Messori (un’aquila di pensiero), il Timone, Fides Catholica, Fatti Sentire, Civiltà Cattolica, Tempi, ….

(9) Riporto il pezzo di un ineffabile ascaro del cattolicesimo integrale ed insofferente (scrive dopo che il papa aveva detto che forse si riabilitava Galileo ma per questi personaggi, quando c’è da sparare su scienza e cultura in genere, non vale nulla nemmeno l’appello del loro sovrano). Lo riporto in nota per far capire con quali figuri si ha a che fare per il resto non meriterebbe alcuna menzione.

La verità su Galileo

di Rino Cammilleri

[Da «Fogli», n. 90, Anno XI, settembre 1984]

I secoli futuri, se ci saranno, definiranno questo nostro tempo come “l’età della retorica”. o “del falso storico”, se preferite. Prendiamo ad esempio Galileo: il solo nome evoca nella mente dei più l’ “oscurantismo” della Chiesa e dei “lumi” della Scienza. Ce l’hanno inculcato fin dai banchi dell’asilo il “martirio” di Galileo a opera della “sanguinaria” Inquisizione, l’ “eppur si muove” finale, la terra che gira attorno al sole e via blaterando. Hanno voglia gli storici veri (non i commediografi comunisti come Bertolt Brecht o i cinematografari come Liliana Cavani) e i filosofi del calibro di un Popper di dirci che Galileo aveva torto, e che la ragione stava tutta dalla parte di Bellarmino. Macché. Si continua con la retorica. Il famigerato processo? Dopo vent’anni di insistenze e certificati medici da parte dell’inquisito, fu celebrato con mille scuse per il grande Galileo, che intanto stava alloggiato in una villa sul Pincio con servitori, leccato e lisciato dal Papa e dai Cardinali. L’ “eppur si muove!”? Mai detto. La condanna? Dire una volta alla settimana i sette salmi penitenziali per tre anni (subito commutata). A Galileo la trappola gliel’avevano “montata” i suoi colleghi, stufi della sua arroganza (Galileo li insultava apertamente tutte le volte che poteva) e gelosi delle sue entrature vaticane (furono gli astronomi gesuiti a difenderlo quando annunciò le sue scoperte). L’intolleranza ecclesiastica nella Controriforma? Ma Galileo convive more uxorio con una sguattera che non volle sposare mai (se ne vergognava) e che gli diede quattro figli, tra cui due suore, tutti registrati come N.N.. E nessun ecclesiastico glielo rimproverò mai. Le scoperte di Galileo? Nel campo della fisica, non certo in quello dell’astronomia. Che la terra girasse attorno al sole l’aveva già detto Copernico. Il cannocchiale l’aveva scoperta un ottico olandese (e c’è chi sostiene che l’invenzione fosse addirittura di un domenicano pisano medievale). Allora, cos’era tutta questa storia attorno a Galileo? Il fatto era che lui il cannocchiale l’aveva puntato verso e il cielo e aveva scoperto i satelliti di Giove: giravano attorno a un’altra cosa, quindi non tutto girava attorno alla terra. Bene, questo al tempo lo sapevano tutti: era un’ipotesi matematica che si studiava tranquillamente nelle università. Solo che Galileo pretendeva che la Chiesa mutasse le Scritture, specialmente nel passo in cui si dice che Giosuè fermò il sole. I colleghi fecero girare certe sue lettere in cui si sfidava la Chiesa a pronunciarsi e la cosa finì in tribunale. Tutto qui. La Chiesa si preoccupò subito delle implicazioni etiche della cosa. E aveva ragione, perché oggi conosciamo i guasti che può causare la Scienza quando sfugge di mano. Cambiava qualcosa nella nostra vita se era il sole a girare attorno alla terra? No. Ma sarebbe cambiato sì, ed è cambiato (tutto), da quando la Scienza ha preso il posto della Religione, cosa che a Galileo importava più della teoria copernicana. Ma la retorica si è impadronita dell’evento (ricomposto subito, peraltro, dai protagonisti, che non diedero alla cosa tutta l’importanza che oggi le si dà), facendo di Galileo il campione della Ragione. Ma il “razionalismo” stava invece tutto dalla parte della Chiesa, visto che Galileo e l’intera sua Accademia dei Lincei avevano più a cuore la magia, l’alchimia, l’ermetismo, l’esoterismo (una mostra parigina tutti questi panni sporchi li ha messi in piazza dal 12 dicembre all’8 gennaio), e i fantomatici Rosacroce. Così come tutto il gotha della cosiddetta Scienza dell’epoca: Bacone, Newton, Cartesio, Copernico, Boyle, Grozio, Keplero. E poi Campanello [sic!] e Giordano Bruno, che per vivere, faceva anche la spia. Si è scoperto recentemente: grazie a lui Elisabetta “la grande” mandò a morte migliaia di cattolici inglesi. Ma credete che tutto ciò finirà nei libri di scuola? Scordatevelo.

Dello stesso autore riporto altro articolo, questa volta centrato su Giordano Bruno che dovrebbe rallegrarsi di essere stato ammazzato come lo è stato, se fosse stato per questo personaggio sarebbe prima stato fatto a pezzi e poi bruciato.

 Da Studi Cattolici n° 404 dell’ottobre 1994

CHI ERA VERAMENTE GIORDANO BRUNO ? 

Rino Cammilleri

(personaggio del sottobosco curiale e frequentatore di Facebook, scrive su Il Giornale di Berlusconi e su il Timone clerico fascista. Può essere conosciuto dal suo sito web: http://www.rinocammilleri.com/ n.d.r.)

Il recente volume dello scomparso Luigi Firpo, Il processo di Giordano Bruno (Salerno Editrice, Roma 1993, pp. XXVI – 390, L. 44.000), ha meritato le pagine  dei maggiori quotidiani, ai quali non è parso vero – «esperti» alla mano – di riesumare il «grande» pensatore del XVI secolo. Tra gli inserti culturali dedicati all’avvenimento spiccava, per risalto e dimensioni, quello di Repubblica, il cui recensore, Lucio Villari, si poneva l’amletico dilemma: «E, allora, il tribunale dell’Inquisizione chi ha condannato veramente, il filosofo o l’eretico? È qui il nodo storico». C’è da dire che se i  nodi storici fossero tutti così, la corda della storia sarebbe inesorabilmente liscia. Fortunatamente  Firpo, storico laico ma di grande  onestà intellettuale, ha assemblato nel suo volume i documenti  raccolti in quarant’anni di ricerche e non vi ha trovato nodi. Infatti in un frate domenicano quale era il Bruno, sarebbe ancor og gi questione di lana caprina il voler distinguere il filosofo dall’eretico. Giordano Bruno, nolano, ebbe la malaugurata idea di mettersi a fare il mago-filosofo-eretico-spia-truffatore in un’epoca in cui ci voleva davvero tutta la pazienza di Santa Madre Chiesa (che di pazienza con lui – e non solo con lui – ne ebbe realmente tanta) per sopportare i guasti arrecati dall’ennesimo eterodosso di turno. Infatti si era in piena Controriforma e le idee eterodosse, a quel  tempo, avevano il non trascurabile difetto di far scorrere fiumi di sangue. Dopo anni di peregrinazioni in tutta l’Europa protestante, dopo essersi fatto cacciare da tutti i luoghi dov’era stato, dopo aver causato la morte di parecchi cattolici inglesi con le sue delazioni alla corte di Elisabetta I (come ha dimostrato lo storico inglese John Bossy nel libro Giordano Bruno e il mistero dell’ ambasciata, Garzanti), finì consegnato all ‘ Inquisizione proprio da quella Repubblica di Venezia che gli eretici invece  proteggeva. Il Bruno era ospite di un nobile veneziano veneziano cui aveva promesso di insegnare la sua millantata «arte della memoria» e a cui non insegnò proprio niente. Anzi, prendendo continuamente tempo, spillava al suo mentore non solo molti denari ma anche le grazie della di lui moglie. Fu così che il becco e bastonato decise di denunciarlo. E Venezia se ne liberò volentieri, come volentieri si erano liberati di Giordano Bruno e delle sommosse che suscitava quasi tutti gli Stati d’Europa.

Panteism o cosmico

Personaggio ambiguo e sfuggente, proprio come la statua del Ferrari lo raffigura, aveva anche uno stile che sembrava fatto apposta per fargli sguinzagliare dietro i cani da parte dell’uditorio. A Parigi nel 1582 pubblicò De umbris idearum, dove così si esprimeva: «Siamo un’ombra profonda; non chiedetemi perché, o incolti. Una impresa così ardua vuole gente sapiente, non voi». A Oxford, subito dopo, si presentò come il «risvegliatore delle anime dormienti,  domatore  dell’ignoranza  presuntuosa e recalcitrante», per la felicità (si fa per dire, – naturalmente) degli «illusori dottori e celebri maestri» di quell’ateneo. E poi le idee: secondo lui Mosè e Cristo erano dei maghi, la verginità di Maria una sciocchezza (invece la teoria si Sant’Agostino, dottore della Chiesa sulla verginità di Maria sarebbe una cosa seria. Gesù sarebbe nato da una orecchia della Madonna, n.d.r.), la transustanziazione una cosa senza senso, la croce solo un simbolo egiziano. E il panteismo cosmico? Sostenere l’infinità dell’universo (cosa non vera, come la fisica astronomica ci insegna [a chi? gnurant! n.d.r.]) non era altro che una scusa per fare a meno di Dio trascendente. E non si tratta di un’idea da poco,  visto che apre la strada all’idealismo di Hegel, al postulato idealistico dell’inconoscibilità del reale e a Kant che si spinge fino a ipotizzare un numero infinito di universi (certo che è un fatto gravissimo! n.d.r.). Le affermazioni del Bruno, proprio quando a Trento si concludeva il Concilio, non potevano certo essere tollerate dalla Chiesa, e in un monaco per giunta. Non solo, ma perfino i protestanti le rigettarono come blasfeme o, come minimo, strampalate. In fondo – ed  è il caso di dirlo – Giordano Bruno è passato alla storia non per l’importanza del suo pensiero (che di importanza non ne ebbe nemmeno per i contemporanei), ma come feticcio antipapista tirato di volta in volta in ballo da protestanti, illuministi, massoni [ehi, Cammilleri, ma lei non scrive per Il Giornale, il quotidiano del piduista tessera n° 1816 ], liberali [ehi, Cammilleri, ma lei non scrive per Liberal, il periodico che dice di essere liberale ], eccetera ad esclusivo uso di polemica nei confronti della Chiesa cattolica . E’ noto infatti che il monumento che lo riproduce corrucciato in Campo dei Fiori a Roma, fu voluto da un Crispi indispettito per il rifiuto pontificio di concedere al governo liberal-massonico l’appoggio dei cattolici contro il nascente socialismo. Per quanto riguarda il processo – che culminò nella condanna del 17 febbraio 1600 – di questo «libero pensatore» [certamente non al servizio del padrone come un tal Cammilleri! n.d.r] che non si limitava a «pensare» ma che, al contrario, impensierì tutti i governi dell’epoca a causa delle agitazioni che provocava nel popolo [questo è sempre il peccato più grave! n.d.r], è lo stesso Villari ad ammettere che fu legittimo e persino doveroso. Citando uno studio di Frances Yates del 1964, riconosce che «la Chiesa agì perfettamente secondo i propri diritti includendo gli aspetti filosofici nella sua condanna delle eresie bruniane. Questi ultimi erano infatti  del  tutto  inseparabili dalle eresie».  E  l’imparziale  Firpo: «Nessuno vorrà negare alla Chiesa cattolica che il processo fu condotto secondo il rispetto della più stretta legalità, senza acredine preconcetta, semmai con accenti di tollerante comprensione».  E Giordano Bruno, ricordiamolo ancora una volta, era un religioso domenicano, uno che la Chiesa aveva tutto il diritto di richiamare all’ordine. Infatti, conclude Firpo, «i dogmi della Trinità, dell’Incarnazione, dello Spirito Santo, della creazione dell’anima umana, della vita ultraterrena venivano più o meno direttamente invalidati dalla filosofia bruniana».

Un oblio di secoli

Giordano Bruno fu giudicato da nove cardinali, tra cui san Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa; e, come «eretico impenitente, pertinace et ostinato», venne abbandonato al braccio secolare. Il Bruno era perfettamente consapevole della situazione interiore di quei prelati che fecero di tutto, per molto tempo, per cercare di riaccoglierlo, se solo avesse voluto, nell’ovile romano. Infatti gettò loro in faccia un ultimo «forse con maggior timore pronunciate contro di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla» [tanto è vero che ancora oggi, ad oltre 400 anni dal barbaro rogo, comunque in linea con l’agire della Chiesa così come ci dice implicitamente il dotto cronista, n.d.r]. Eppure ci sarebbe stato, malgrado tutto, ancora spazio per il perdono per questo inquieto personaggio che aveva cominciato la sua carriera di eretico ben presto, quando nel 1576 aveva gettato nel Tevere colui che lo aveva accusato d’eresia ed era fuggito [fatto mai provato, ma la cosa si può rimediare con l’apertura degli Archivi vaticani ancora rigorosamente inaccessibili, n.d.r.). Dopo aver errato  nei  principati  italiani,  in Francia, in Inghilterra, in Germania, scomunicato dai calvinisti di Ginevra [ a suo sommo onore, n.d.r], dai luterani di Helmstadt [ a suo sommo onore, n.d.r], cacciato da Londra, da Parigi, da Strasburgo [il cronista dimentica che Bruno era ricercato dalle varie corti e che insegnava nelle più prestigiose università d’Europa, n.d.r], pervenne a Venezia. E qui, come sappiamo, fu consegnato all’Inquisizione romana. Nessuno si occupò più di lui, dopo la sua morte, per secoli. Solo in tempi relativamente recenti lo si è esaltato per le sue conoscenze matematiche e astronomiche (in realtà ermetiche e astrologiche), facendone un martire. Ma, paradossalmente, proprio  la polemica attorno alla sua figura ha costretto gli studiosi a prendere visione del suo pensiero: ne esce che dall’esame critico delle sue dottrine Bruno non ha proprio niente da guadagnare. In filosofia era confusamente panteista ; ipotesi, quella panteista, non solo conosciuta da gran tempo ma addirittura da gran tempo demolita e non più presa sul serio. Non solo,. ma il Bruno non ha nemmeno il merito di averla esposta con metodo e chiarezza. Bertrando Spaventa, che pur era (per motivi polemici) suo ammiratore, era costretto a confessare che le sue opere esalavano una noia insopportabile, e che erano così oscure e contorte da far sospettare che in certi passi addirittura lo stesso autore non sapesse nemmeno lui bene che cosa stesse dicendo. Gior dano Bruno era praticamente ateo, negava il libero arbitrio e l’immortalità dell’anima. Oggi, dopo la ghigliottina, i Lager, e i Gulag, sappiamo che cosa succede quando a «filosofi» del genere è permesso divulgare nelle piazze (come faceva Bruno) le proprie idee. I nostri padri avevano il buonsenso (che noi abbiamo perduto) di punire i pessimi teorici, più che i criminali comuni, i quali operano un male che è necessariamente circoscritto e limitato.  

Rino Cammilleri

A proposito del Processo a Galileo, a quello a Bruno ed agli attacchi quotidiani a Darwin vi è un’intervista a Nicola Cabibbo (mio professore di Istituzioni di Fisica Teorica), un fisico che ha sfiorato il Nobel l’anno scorso, che è cattolico ed anche Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, che vale la pena leggere. Solo per mostrare che vi sono cattolici di grandissima cultura e levatura che mi piacerebbe leggere di più in luogo degli starnazzamenti degli ascari.

http://www.sanpaolo.org/fc/0922fc/0922fc94.htm

DIBATTITI
INCONTRO CON IL FISICO NICOLA CABIBBO

SCIENZA E FEDE IN DIALOGO

[si ma, leggendo con attenzione, vi accorgerete in che senso può andare il dialogo. Solo in questo senso! ndr]
Le contrapposizioni, come quella fra evoluzionismo e creazionismo, non servono. La ricerca si sforza di leggere il libro della natura, ma c’è un punto in cui si deve fermare.

Nelle stanze di una delle facoltà [non è una Facoltà ma un Dipartimento ! ndr] di Fisica più prestigiose del mondo, quella dell’Università La Sapienza di Roma, intitolate a Enrico Fermi, il professor Nicola Cabibbo, fisico di fama internazionale e presidente della Pontificia accademia delle scienze, ragiona di Darwin e della teoria dell’evoluzione che ha inquietato la Chiesa. Oggi la disputa non è più accesa come un tempo. E la teoria dell’evoluzione è ormai accettata dalla Chiesa, purché non si affermi che l’uomo è prodotto del caso. Eppure, quella di Darwin resta una sfida.

  • Perché professor Cabibbo?

«L’evoluzione è una funzione. Ciò che conta è quanto c’è prima. Intorno a questa riflessione, una parte della teologia continua ad attestarsi su posizioni piuttosto arretrate».

  • In che senso?

«Si oppone creazionismo ed evoluzionismo, soprattutto nei teologi evangelici americani. E questo è un gran danno per la teologia e per la scienza».

  • I cattolici sono più avanti?

«Senza dubbio. Giovanni Paolo II ha spiegato che la teoria evoluzionistica è più che un’ipotesi».

  • Insomma ha “sdoganato” Darwin?

«Ha capito che Darwin aveva la pretesa solo di ricostruite l’albero della vita, attraverso osservazioni e intuizioni. Oggi la quantità di prove a favore aumenta ogni giorno. Abbiamo ricostruito il genoma umano e quello di moltissimi animali».

  • Prove scientifiche alla teoria di Darwin?

«Certo, ma guardi che Darwin non è un filosofo, come dicono alcuni per ridurre la portata delle sue teorie. Studiava i dettagli, era un grande naturalista e un grande biologo».

  • Eppure sull’evoluzionismo si sono bruciati in tanti, filosofi e teologi.

«È accaduto perché il piano del confronto era sbagliato. Per troppo tempo si è visto in Darwin colui che smentisce la Bibbia. Ecco l’errore. Darwin non si alza un mattino e decide di sbaragliare la Genesi. La sua teoria nasce dall’osservazione, dallo studio dei fossili a cui si applicava già suo nonno. Darwin è lo studioso del tempo lungo, del tempo profondo, del tempo della terra».

  • Ma subito lo criticano.

«Perché non capiscono che l’evoluzione è un metodo».

  • Ma creazionismo ed evoluzionismo sono compatibili?

«Perché no? Ma dobbiamo partire dal principio che la scienza si occupa di leggere il libro della natura, che non può essere sbagliato, perché è opera di Dio».

  • E di fronte alle parole della Bibbia «Dio creò l’uomo», come la mettiamo?

«Questa è materia per teologi».

  • Che però discutono con gli scienziati.

«Io propongo una spiegazione naturale, storica, dunque limitata: l’uomo fa parte dell’albero della vita totale. La scienza deve spiegare come le leggi della natura e della materia possano dare un’interpretazione allo sviluppo dell’universo».

  • La teoria del disegno intelligente può risolvere il problema?

«No. L’hanno inventata i creazionisti evangelici americani per evitare di parlare di Dio. Ma la ragione è puramente strategica, visto che nelle scuole e università non potevano citare il Dio biblico. Secondo me, è una teoria pericolosa. Bisogna stare attenti a mettere Dio, o il disegno intelligente, dove fa comodo, per tappare qualche buco, per non procedere fino in fondo nel dialogo tra la teologia e la scienza. La scienza non può pretendere di spiegare tutto, di andare indietro e poi indietro ancora. C’è un punto dove si deve fermare, ed è l’inizio dell’albero della vita: quello è un mistero e lo si accetta per fede».

  • Darwin pretendeva di arrivare fino a quel punto?

«Assolutamente no. Chi dice che, siccome sappiamo come funziona l’evoluzione, non c’è più bisogno di Dio, sbaglia completamente».

  • Quindi è un errore pensare alla scienza come emancipazione progressiva dalla teologia?

«Certo. È una posizione puramente ideologica, che non rispetta né la scienza, né la teologia».

  • Perché la Chiesa ha avuto e, talora, ancora ha paura della scienza?

«Il caso Galileo ha disorientato. La Chiesa era impreparata di fronte al nuovo modo di indagare la natura, quasi che la scienza pretendesse di svelare il Mistero. La ricerca dei dati oggettivi, invece, non compromette il Mistero. Ma c’è voluto Giovanni Paolo II per risistemare le cose, rileggendo il processo a Galileo. Ciò non significa che tutto sia a posto. Ancora troppe sono le porte chiuse nel rapporto tra scienza e teologia».

  • Oggi è la genetica a dividere di più.

«Io dico che non bisogna avere paura della verità, né della nostra ragione. Abbiamo bisogno, invece, di un maggiore confronto tra teologi e scienziati».

  • Galileo e Darwin sono pratiche archiviate. Resta Giordano Bruno: si arriverà a una riabilitazione?

«Forse. Ne ho parlato in Vaticano, ma per ora segnali non ce ne sono. La teoria di Giordano Bruno oggi è dimostrata dall’esistenza dei pianeti extrasolari, osservati dai telescopi in orbita. Il problema sono il processo e la condanna. Credo che se ne sappia meno che del processo a Galileo Galilei. E poi non sarà facile riconoscere che non c’era alcuna ragione per metterlo al rogo».
 

Alberto Bobbio

(10) Capi di imputazione noti

1 – nega la transustanziazione del pane in Carne ed il valore della Messa.

2 – nega la Trinità aderendo al subordinazionismo di Ario.

3 – nega la verginità di Maria.

4 – nega la divinità di Cristo.

5 – nega il culto dei santi.

6 – afferma che Cristo peccò quando, pregando nell’orto, rifiutava la volontà del Padre.

7 – afferma che Cristo non fu crocifisso ma impiccato.

8 – nega l’inferno e le pene eterne poiché tutti si salveranno.

9 – afferma che Caino fece bene ad uccidere Abele in quanto carnefice di animali.

10 – nega i profeti che sono solo degli astuti profittatori.

11 – afferma che Mosè era un mago più bravo di quelli del faraone e che finse il Sinai e che le tavole della legge le costruì lui.

12 – nega i dogmi della Chiesa.

13 – afferma di essere un bestemmiatore blasfemo.

14 – afferma che se sarà costretto a tornare frate manderà all’aria il monastero.

15 – afferma di avere opinioni avverse alla Santa Fede ed ai suoi ministri.

16 – afferma di credere nella trasmigrazione delle anime.

17 – afferma di occuparsi di arte divinatoria e magica.

18 – afferma di indulgere al peccato della carne.

19 – ha soggiornato in Paesi eretici vivendo alla loro guisa.

20 – ha parlato con spregio del Breviario.

21 – afferma disprezzo per le reliquie.

22 – afferma la stupidità del culto delle immagini.

23 – nega l’adorazione dei Magi.

24 – ha irriso il Papa.

25 – afferma l’esistenza di più mondi e la loro eternità ed è un convinto copernicano.

26 – nega l’incarnazione.

27 – afferma che l’uomo si genera dalla decomposizione organica.

28 – nega l’utilità della penitenza.

29 – afferma che Dio ha tanto bisogno del mondo quanto il mondo di Dio.

A questi capi di imputazione occorre aggiungere svariate censure a brani tratti dalle sue opere.


BIBLIOGRAFIA

(1) – Lucio Russo – La rivoluzione dimenticata – Feltrinelli, 2001

(2) – G. de Santillana – Le origini del pensiero scientifico – Sansoni, 1966

(3) – Boll, Bezold, Gundel – Storia dell’astrologia – Laterza 1979

(4) – William H. Stahl – La scienza dei romani – Laterza 1974

(5) A.R. Hall, M. Boas Hall – Storia della scienza – il Mulino 1979

(6) – Mario Gliozzi – Storia della fisica – in: Nicola Abbagnano (coordinata da) – Storia delle scienze – UTET 1965

(7) – S. F. Mason – Storia delle scienze della natura – Feltrinelli 1971



Categorie:Religione, Scienza

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