Roberto Renzetti
Platone, uno dei massimi pensatori dell’antichità classica, non è certamente noto per la sua fisica. Egli si è certamente occupato di scienza, come vedremo, ed ha anche sviluppato una sua visione del mondo ma non è propriamente un pensatore che sia noto per questo. Ciò nonostante, soprattutto in epoca rinascimentale, vi è un continuo mettere in relazione l’esser platonici con l’essere aristotelici proprio in ambito scientifico. Delle visioni aristoteliche del mondo, della sua fisica, credo di aver discusso abbondantemente in diversi articoli. Di Platone ho invece solo dato la sua visione della struttura della materia (che riporterò comunque qui) e della sua particolare inclinazione per la geometria. Mi ripropongo qui di andare ad indagare più a fondo le concezioni platoniche di scienza sviluppate nel Teeteto e quelle sulla costituzione del mondo sviluppate essenzialmente nel Timeo.
BREVE BIOGRAFIA
Con la morte di Pericle nel 429 a.C. termina un’età ricordata per le conquiste di una democrazia avanzata ed inizia un’epoca di incertezze e di grandi rivolgimenti politici e sociali, tempestati da guerre, che durerà almeno fino alla battaglia di Cheronea (328). E’ in questo periodo che si situa la vita di Platone che nasce nel 428 a.C. e muore nel 347. Pericle, tra il 450 ed il 431, rese splendida la città di Atene in cui operavano i più eminenti pensatori (tra i quali i soli scienziati Anassimandro ed Anassimene portati ad Atene dallo stesso Pericle) ed artisti (Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane, Fidia, …) ma anche l’epoca in cui la moralità e la religione tradizionali decaddero, fatto che è sempre associato a rapidi arricchimenti di persone di potere senza basi culturali come lo stesso Pericle ebbe a denunciare. Si affermava la democrazia e con essa una migliore ripartizione delle terre, l’estensione dei diritti politici ad un numero sempre maggiore di persone. Erano finite vittoriosamente le guerre persiane (478), Atene ne aveva tratto grande vantaggio perché si era sostituita nei commerci delle città ioniche con le colonie greche vicine al Mar Nero, gli schiavi per i lavori manuali abbondavano come mai, e la città assumeva via via sia il ruolo di grande potenza a cui erano associate magnificenza, ricchezza e munificenza che potevano permettere di investire denaro nell’istruzione che ebbe grande sviluppo. Ad Atene erano confluite le diverse correnti di pensiero: i pitagorici, gli eleati, i seguaci di Empedocle, di Eraclito, gli atomisti, … E furono questi pensatori ad iniziare una nuova professione, quella di insegnanti di cultura o sofisti. E furono proprio i sofisti (Gorgia, Protagora, Ippia, Antifonte, …) che estesero (facendosi pagare profumatamente) a matematica, geometria, medicina e, soprattutto, alla retorica, all’arte del discorso, gli ambiti dell’istruzione prima ristretti alle sole grammatica, musica e poesia. Comunque, pur non potendo affermare che con i sofisti nasceva il disinteresse per la matematica, certamente l’astrazione ed il rigore che si erano affermati in precedenza venivano trascurati e svalutati. La matematica ritorna per le preoccupazioni pratiche e Protagora, forte della convinzione che l’opinione è la sola forma di conoscenza, potrà dire che è inutile insistere su circonferenza e tangente che si toccano in un solo punto, tutti sanno che i punti sono più di uno ed Antifonte potrà tranquillamente sostenere che non esiste il problema della quadratura del cerchio perché esso è risolto disponendo di un poligono iscritto di abbastanza lati. Vi è un interesse per i mestieri specializzati (medicina, ingegneria), una specie di technē, per ciò che è ritenuto utile da chi ha perduto i fondamenti, per la cultura raccontata e parlata, come avviene sempre in periodi che annunciano l’inizio della decadenza o comunque tempi diversi con valori differenti. Con l’inizio della Guerra del Peloponneso, nel 431, la democrazia ateniese entrava in una profonda crisi che sarà anche quella delle altre città del suo impero (a quest’epoca, nel 399, si colloca il processo e la condanna a morte di Socrate che rappresenta una sorta di spartiacque tra cosiddetti presocratici e postsocratici). Per oltre cinquant’anni si vivranno crisi sempre più acute con successive egemonie di differenti città (è l’epoca che anticipavo in cui operò Platone).
Platone nacque da famiglia aristocratica ad Atene. La sua corporatura robusta (platus) gli fece dare il nomignolo di Platone, in realtà il suo nome era Aristocle. Intorno ai 20 anni, e siamo già abbondantemente fuori l’età di Pericle, egli divenne allievo di Socrate a cui restò molto legato. Socrate gli insegnò che: la virtù si identifica con la scienza intesa non come scienza della natura o matematica ma come saggezza etica e sociale; la virtù si acquisisce approfondendo la conoscenza dell’uomo; la virtù può essere insegnata in quanto scienza. Furono gli insegnamenti del maestro e la sua tragica fine che lo dissuasero dalla carriera politica che voleva intraprendere. Viaggiò a Eliopoli in Egitto, a Cirene sulle coste mediterranee dell’Africa, in Magna Grecia. A Taranto seguì gli insegnamenti del grande astronomo e matematico Archita (che fu anche maestro di Eudosso). Ma i viaggi che più influirono su Platone furono i tre che fece a Siracusa (tra il 390 ed il 354), all’epoca una delle città più importanti, ricche e civili del Mediterraneo, per le varie vicende personali che visse con il tiranno Dionigi padre (che lo vendette come schiavo per sua fortuna al socratico Anniceride di Cirene che lo rese di nuovo libero), con suo cognato Dione e con Dionigi figlio. Tornato ad Atene nel 387 vi fondò, nel parco dove era sepolto l’eroe mitologico attico Accademo agli inizi del IV secolo, l’Accademia, un prototipo dell’Università sia medioevale che moderna, chiusa nel 529 d.C. dall’imperatore Giustiniano che ritenne questo centro una fonte di corruzione intellettuale, contraria all’ortodossia cristiana. Fu qui che, poco più che trentenne, iniziò a scrivere i suoi Dialoghi (34) e le sue epistole (13, delle quali qualcuna è dubbia). Tra i Dialoghi, quelli che a noi interessano, furono scritti molto tardi, nella vecchiaia di Platone, il Teeteto intorno al 360 mentre il Timeo dopo questa data, appena Platone tornò dal suo terzo viaggio in Sicilia. Vi è poi l’Epinomide, opera dei suoi ultimi anni, che è quasi certamente del suo allievo, Filippo di Opunte(1). La riporto comunque perché i dubbi sulla sua attribuzione (come per altre opere attribuite a Platone) non intaccano il fatto che essa fu (e può essere) utilizzata come fonte della dottrina platonica, con la quale non contrasta in nulla. Vi sono poi altri brani in altri Dialoghi di Platone in cui viene trattata la sua concezione della scienza, in particolare del fondamentale ruolo della matematica da distinguere dalla volgare fisica.
TEETETO O LA SCIENZA DI PLATONE
Dopo una premessa importante riguardante la diversità tra scienza e filosofia e dopo aver constatato che scienza e saggezza sono la stessa cosa, Socrate chiede al giovane e grande geometra Teeteto cosa sia propriamente la scienza. Teeteto risponde che scienza è la geometria, l’astronomia ed altre cose simili ed in secondo luogo sono scienza i mestieri e le arti.
Con un’operazione dialettica che è di tutti i dialoghi, Teeteto non ha capito la domanda di Socrate perché ha fatto degli esempi senza dare una definizione di scienza. Dopo una serie di spiegazioni di Socrate, Teeteto tenta una seconda risposta alla medesima domanda affermando che scienza non è altro che la sensazione. Socrate osserva che Teeteto ha risposto come avrebbe risposto Protagora cioè negando il mondo oggettivo e quello che è comune a tutti gli individui. Ciò significherebbe che ogni uomo ha un suo mondo che è cambiante da istante ad istante a seconda di come cambia la nostra percezione di esso. La realtà e l’apparenza vanno a coincidere allo stesso modo di credenza soggettiva e verità. Nello sviluppare questa critica vi è implicita l’affermazione dell’inesistenza di un oggetto indipendente da chi lo osserva, dal soggetto. Ed invece la scienza dovrebbe proprio occuparsi di quell’oggetto con un tentativo di previsione di cosa avverrà. Ciò vuol dire che occorre cercare qualcosa di diverso dalle nostre sensazioni dalle quali non dipende nulla che avverrà. Infatti l’uomo non è la misura di tutte le cose ma, semmai, sono le cose che sono la misura dell’uomo in quanto sono testimoni della falsità oggettiva di una scienza che si pretende tale. Più in generale l’avvenire non è oggetto di sensazione ma di pensiero che è anche fondamentale per la percezione del presente perché molte cose sfuggono alla semplice sensazione. Si può al massimo dire che il soggetto organizza mediante l’anima una molteplicità di sensazioni ed è quindi l’anima a cogliere il significato delle parole ed a mettere in relazione i diversi concetti cogliendo ciò che accomuna due o più aspetti del mondo sensibile e cioè l’essere, il numero, la somiglianza, l’identità, la differenza, … Insomma vi sono sensazioni che tutti raccolgono, vi è poi l’anima che le ordina e le sistema a volte necessitando di molti anni. La scienza, che è verità connessa con l’essere, non può quindi esistere senza un atto di riflessione della mente sulle cose che impressionano i sensi e questo atto è il giudizio o l’opinione che però deve avere la caratteristica di essere opinione vera. Questa definizione di scienza è banale e Socrate lo sa come sa che esiste l’altrettanto banale risposta all’opinione vera. Non posso infatti esistere opinioni false perché l’opinione è conoscere qualcosa e una cosa o la si sa o no. Non è possibile ignorare una cosa che si sa e non si può sapere una cosa che s’ignora allo stesso modo in cui non si può confondere sapere con ignoranza o essere con non essere. Eppure l’errore è possibile perché è possibile farsi un giudizio falso sulle cose, semmai è da capire come si possa produrre una tale opinione falsa nell’anima. L’anima quando pensa, dice Socrate, fa un discorso con se stessa, si parla allo specchio e, di fronte ad un qualcosa che richiede un’opinione, dice si o dice no a volte frettolosamente e quindi sbagliando (Infatti questo a me appare l’anima quando pensa e nessun’altra cosa se non dialogare con se stessa, interrogandosi e rispondendosi, facendo affermazioni e anche il loro contrario). Ma l’errore non può prodursi quando l’anima è in contatto con oggetti sensibili o presenti al pensiero (SOCRATE: … Ma attraverso che cosa agisce la potenzialità che ti rende chiaro quel che è in comune a tutte le cose e quel che è comune a queste in special modo, quella attraverso cui affermi questo «è» e questo «non è» e tutte le cose che su di esse ora chiediamo? Quali organi attribuirai a tutte queste condizioni attraverso cui la parte sensitiva di noi le avverta a una a una? TEETETO: Tu dici dunque l’essere e il non essere, la somiglianza e la dissimiglianza, ciò che è identico a se stesso e ciò che è altro, e ancora l’unità e l’altra numerazione su di esse. è evidente che tu domandi anche l’eguale e il dispari e tutte le altre particolarità che fanno seguito a queste, e attraverso quale organo del corpo noi riusciamo a percepirle, con l’anima. SOCRATE: Tu mi segui egregiamente, Teeteto. …)(2).
Dal confronto può venire fuori una opinione vera. Ma attenzione perché per confrontare occorre che ambedue gli oggetti siano presenti allo stesso modo all’anima e se uno solo non lo è sostituito dalla memoria il rischio dell’errore diventa reale. La memoria è una sorta di impronta di cera presente nell’anima in cui le impressioni vanno ad imprimersi. Le impronte dipendono dalla qualità della cera e dal tempo (Immagina dunque, a titolo di conversazione, che nelle nostre anime ci sia materiale di cera da imprimere in una forma più grande e in una più piccola, e la prima di cera più pura, la seconda più lurida, e più dura, e alcune di cera più morbida e altre invece di impasto mediano. … E su questa cera tutto ciò che vogliamo ricordare delle cose che abbiamo visto, udito, o direttamente pensato, sottoponendola alle nostre sensazioni e ai nostri pensieri, noi imprimiamo dei modelli, come vengono impressi i segni dei sigilli. E quello che viene stampato noi lo ricordiamo e conosciamo finché resta la sua immagine. Quello invece che viene cancellato, oppure non è adatto a essere impressionato, lo dimentichiamo e non lo conosciamo). Il meccanismo del riconoscere un oggetto corrisponde ad inserire l’impressione presente con l’impronta del passato ma si può sbagliare impronta e come conseguenza si ha l’errore.
Questa teoria è avvincente ma non spiega gli errori su oggetti non sensibili, come gli errori di calcolo. Ed allora Socrate ne propone un’altra che però richiede di conoscere cosa vuol dire sapere. con l’immediata contraddizione che nasce dall’impossibilità di sapere quando non si sa cos’è scienza. Seguiamo in proposito la spiegazione di Koyré:
Sapere è avere scienza, o meglio, possedere la scienza senza averla, espressione che ci permetterà di introdurre nell’ambito del sapere la distinzione tra attualità e inattualità, presenza e non-presenza […]. Infatti molte cose si possiedono che pure non si hanno «tra le mani ». Si possiede un abito che è stato acquistato anche se non lo si indossa; e così tutto ciò che è stato appreso, le scienze che sono state studiate e assimilate, si possiedono immagazzinate in qualche modo nella memoria, anche quando il pensiero non ricorre ad esse e quando non sono presenti attualmente allo spirito. Socrate ora paragona la memoria ad una uccelliera, che un cacciatore vada riempiendo di ogni sorta di uccelli (le scienze): egli li possiede nell’uccelliera senza tuttavia averli in mano; può prenderli fuori, ma ciò facendo può anche ingannarsi e prenderne uno per l’altro, un palombo anziché una colomba. Analogamente, quando ricerchiamo nella memoria le scienze che vi abbiamo messo e che abbiamo in noi, ossia le cose che abbiamo appreso e che sappiamo, possiamo ingannarci e prendere una scienza per un’altra che non cercavamo.
Questa immagine è sembrerebbe soddisfacente ma ha un grave difetto perché non tiene conto che anche l’ignoranza è un supposto sapere. Ed ancora, se mettiamo nell’uccelliera scienze e non scienze, quando infiliamo la mano non potremmo prendere una non scienza ? Occorre ritornare all’opinione vera di cui parlavamo. Essa rende impossibile l’opinione falsa che abbiamo invece visto riapparire or ora. Si deve concludere che opinione vera non è scienza ed in questa affermazione c’è dietro la possibilità di opinione falsa.
La scienza è allora un’opinione vera se è accompagnata da ragione (lógoς) e le cose che non ammettono ragione non sono scibili. La ragione può aggiungere alla conoscenza complessiva di una cosa quella relativa alla sua struttura, agli elementi che la compongono. Quindi la ragione aggiunge qualcosa ma ancora non è scienza perché saper enumerare gli elementi che compongono un oggetto non vuol dire conoscerlo. Ed in definitiva vi è un lógoς che non è vera scienza perché non trasforma l’opinione vera in sapere.
Ma insomma, cos’è scienza ? Definirla è impossibile allo stesso modo che definire l’Essere o il Bene. E Socrate conclude con le parole di Koyré:
la scienza non è altro che il possesso della verità e questo non è che lo svelarsi dell’Essere. Possediamo la scienza quando siamo nella verità, cioè quando la nostra anima, in contatto immediato con la realtà – con l’essere – la riflette e la svela a se stessa. Questo essere, questa realtà – ma bisogna ripeterlo? – non è un insieme disordinato di oggetti sensibili come crede l’uomo comune (e il sofista). L’essere delle cose, mobile, instabile e mutevole non è – o è solo in un certo senso – essere: è e non è nello stesso tempo ed è per questo che non è e non può essere oggetto di scienza, ma tutt’al più di opinione. L’essere oggetto di scienza è l’essere stabile e immutabile dell’essenza che la nostra anima ha contemplato in altri tempi; o meglio l’essere del quale la nostra anima conserva quell’idea o visione che ora ricorda – o che almeno può ricordare – e di cui restano in noi le orme, le idee «innate».
Ecco allora che cos’è per noi la scienza, la ragione, il lógoς: l’intuizione dell’essere nella sua essenza, nella sua struttura e nelle sue relazioni (è chiaro che non si può comprendere ciò che è scienza se di fatto non si perviene a tale intuizione) oppure, ma si tratta della stessa cosa, la rivelazione e l’espressione dell’essere a mezzo del discorso e nella verità. Ecco infine ciò che viene chiamato ragionamento: le ricerche che l’anima persegue per condurci fino a quella intuizione.
Come si può osservare usciamo da questo dialogo profondamente insoddisfatti. Socrate, Teeteto e Platone non ci hanno risposto riproponendoci disquisizioni con il carattere sofista. Si rifletta un istante: seguiamo le circonlocuzioni dialettiche su cui Platone ci vuole portare e così facendo dimentichiamo che salta subito la cosa più evidente da porre in discussione e cioè il rapporto tra il pensiero, la ragione con il mondo reale. Vi sono solo delle probabilità su quella strada. E’ evidente che siamo di fronte ad un Platone avanti negli anni che ha perso le certezze dell’età giovanile e che ha ripensato moltissime idee pur restando fermamente un idealista che non confonde se stesso e le idee con il volgare mondo materiale. La materia, brutta copia dell’idea, non ci potrà aiutare a conoscere (ma cosa ?) per la sua approssimazione ed oscurità ed anche per il suo divenire che non la rende stabile, come la sensazione. Da lì non possono venire le connessioni logiche necessarie alla conoscenza. Anche se, verrebbe da chiedersi, come fa la materia a divenire. Semmai vorrebbe divenire ma nella oscura ed infima condizione che occupa come potrebbe fare ? Platone pensa ad una qualche sua partecipazione che, detta così come la dice, richiama entità magiche una sorta di pitagorismo, quello che sosteneva che le cose imitano i numeri. E, vista l’abissale differenza tra idea e materia, Platone non può che riempirla con concetti esoterici o restando in un dubbio, in un indefinito che non fornisce risposte a domande che pure si pone. Ed è proprio ciò che accade quando Platone non fornisce risposte alle domande in sequenza di Socrate perché certe domande, date le premesse, non hanno risposte e se comunque si avessero non aggiungerebbero o toglierebbero nulla alla conoscenza del mondo circostante. E’ quindi vero ciò che Platone-Socrate anticipavano a questo Dialogo: scienza e filosofia sono due cose profondamente diverse e posso anche accettare che lo scienziato fa cose senza sapere cosa sta facendo. Andrebbe aggiunto che il filosofo parla di cose che non conosce o da gabbie che si è costruito ma anche io non aggiungerei nulla al dibattito. Forse la soluzione è il tentare di conoscere il mondo circostante con tutti i mezzi di cui si dispone e dopo, ma solo dopo questa conoscenza, iniziare a capire il senso di ciò che si fa.
TIMEO O LA MATEMATICA E LA COSMOLOGIA DI PLATONE
Un tema sempre ricorrente in Platone è la matematica che diventa centrale nel Timeo, dove Timeo di Locri è un filosofo pitagorico del tempo. Questo Dialogo è costruito sulla falsariga delle ide pitagoriche di Empedocle e la matematica dà il senso dell’ordine e dell’armonia in una cosmologia che non va intesa propriamente come scienza ma come un mito plausibile. E la plausibilità discende proprio dalla possibilità che il cosmo dà di una descrizione matematica. Infatti le scienze che sono basate sul numero risultano adatte a guidare alla verità e per questo il mito risulta plausibile. Il Timeo propone una struttura elementare del mondo ricavata da un impianto geometrico (e metafisico) con l’anima del mondo, che possiede un’armonica struttura matematica, che organizza, ordina e dà vita ad un tale cosmo. E’ un ribaltamento della concezione fisica che parte da elementi materiali come terra, acqua, aria e fuoco e poi, eventualmente, arriva all’anima. Platone parte dall’anima che è l’origine di tutto e ricava ciò dal movimento. Le cose animate si distinguono dalle inanimate per il loro moto. Le cose animate si muovono da sé, le inanimate sono mosse. Il fatto che l’Universo sia in moto (moto che si muove da sé) mostra che esso deve essere animato, appunto, da un’anima, da non intendere però come un qualcosa di separato dall’Universo medesimo (infatti l’Universo non è mosso ma si muove da sé). Osservo subito che questa ammissione non è banale perché significa il riconoscimento della possibilità di comprendere e cogliere un ordine in un mondo naturale apparentemente caotico. In fondo è il ritrovare in questa dicotomia, mondo reale disordinato e mondo matematicamente ordinato del mito plausibile, la base del pensiero ricorrente di Platone, quello che vuole la realtà come brutta copia del mondo delle Idee. Ammissione non banale ma, come osserva de Santillana, all’epoca reazionaria perché squalificava la concezione dell’astronomia che si aveva, come scienza che si costruiva per via induttiva mediante la matematica, con la ricerca lunga e paziente di dati numerici all’interno di fenomeni osservati, e non certamente per via deduttiva. E reazionaria anche secondo Farrington (1978) perché raccomandava di sostituire l’astronomia come scienza d’osservazione per sostituirla con un’0astronomia teorica, cioè con una branca della matematica pura. Quindi la richiesta di Platone era la sostituzione della fisica con la matematica, una funesta invasione della filosofia nel campo della scienza(3). L’astronomia, secondo Platone, non fa alzare gli occhi verso l’alto o, per lo meno, se ciò avviene, è come guardare il soffitto:
Guardare in su a bocca aperta o in giù a bocca chiusa e su per giù la stessa cosa finché indaghiamo un qualsiasi genere di oggetto sensibile … Il solo vero modo di guardare “verso l’alto” è l’indagare il puro Essere, che non si può affatto vedere. [citato da de Santillana]
Credo che qui vi sia tutta la concezione della scienza da parte di Platone: non vi è mai un rapporto con oggetti sensibili, ma il mondo si costruisce come si vuole che sia con il pensiero. Data questa semplice constatazione credo sia più semplice capire il contenuto della doppia tradizione che si è perpetuata fino all’epoca di Galileo. Semplificando, da un lato l’empirismo ingenuo di Aristotele e dall’altro il richiamo ad una matematica astratta di Platone. Solo dall’intersezione delle due tradizioni sarebbe stato possibile fare dei passi in avanti.
Il rango inferiore della fisica rispetto alla matematica trova conferma proprio a partire dall’inizio del Timeo il libro che appunto dell’origine e della struttura del mondo sensibile. Prima di raccontare tutto questo, Timeo, fa alcune premesse ad iniziare dalla distinzione sempiterna su ciò che esiste da sempre e ciò che diviene:
TIMEO. Ma tutti, o Socrate, anche se poco assennati, nel tentare qualsiasi impresa, o piccola o grande, sempre invocano qualche Dio. E noi che siamo per parlare dell’universo, com’è nato o se anche è senza nascimento, se proprio non deliriamo, è necessario che, invocando gli Dei e le Dee, li preghiamo che ci facciano dire ogni cosa soprattutto secondo il loro pensiero e anche coerentemente a noi stessi. […]
Prima di tutto, secondo la mia opinione, si devono distinguere queste cose. Che è quello che sempre è e non ha nascimento, e che è quello che nasce sempre e mai non è ? L’uno è apprensibile dall’ intelligenza mediante il ragionamento, perché è sempre nello stesso modo; l’altro invece è opinabile dall’opinione mediante la sensazione irrazionale, perché nasce e muore, e non esiste mai veramente. Tutto quello poi che nasce, di necessità nasce da qualche cagione, perché è impossibile che alcuna cosa abbia nascimento senza cagione. Ora quando l’artefice, guardando sempre a quello che è nello stesso modo e giovandosi di così fatto modello, esprime la forma e la virtù di qualche opera, questa di necessità riesce tutta bella: non bella invece, se guarda a quel ch’è nato, giovandosi d’un modello generato.
Da una parte quindi vi è il mondo contingente che cambia continuamente e dall’altra la verità che è invece stabile. Allo stesso modo le scienze esatte, che per Platone sono la sola matematica, sono compiute e perfette al contrario delle scienze della natura che sono in continuo sviluppo perché l’oggetto del conoscere cambia continuamente facendo sì che i dati di tali scienze sono sempre e soltanto provvisori. E Timeo insiste:
Se è bello questo mondo, e l’artefice buono, è chiaro che guardò al modello eterno […] e Dio è il più buono degli autori. Il mondo così nato è stato fatto secondo modello, che si può apprendere con la ragione e con l’intelletto, e che è sempre nello stesso modo. E se questo sia così, è assoluta necessità che questo mondo sia immagine di qualche cosa. Ora in ogni questione è di grandissima importanza il principiare dal principio naturale: cosi dunque conviene distinguere fra l’immagine e il suo modello, come se i discorsi abbiano qualche parentela con le cose, delle quali sono interpreti. Pertanto quelli intorno a cosa stabile e certa e che risplende all’intelletto, devono essere stabili e fermi e, per quanto si può, inconfutabili e immobili, e niente di tutto questo deve mancare.
Siamo di fronte ad una sorta di contraddizione. Da una parte il mondo che ci circonda, quello reale, è fisico e quindi non merita attenzione ma dall’altra deve pure essere data una qualche risposta alla sua struttura e costituzione se non altro perché il cosmo è veramente un animale animato e intelligente generato dalla provvidenza di Dio ed è la rappresentazione degradata e volgare di un qualcosa che esiste nel mondo delle Idee. Si tratta quindi non di contraddizione ma di un fatto ordinario che è possibile descrivere proprio mediante la matematica.
Timeo passa quindi a descrivere come è stato fatto il mondo da Dio, dal demiurgo, che naturalmente gli diede la forma più perfetta. Seguiamo le sue parole. Timeo inizia a mostrare con argomenti dialettici l’unicità del mondo:
E abbiamo noi detto per avventura dirittamente che uno è il cielo? o più diritta cosa ella era a dire molti e infiniti? Uno, se il cielo fatto è secondo l’esempio: imperocché non può essere che due siano quelli che in sé contengono tutti quanti gl’intelligibili animali; se no, sarebbe di bisogno un altro animale novamente, il quale tutt’e due contenesse, del quale ei sarebbero parti; e allora non più direbbesi ragionevolmente che somigliante a quelli è questo mondo. Acciocché adunque il mondo. per essere solo, fosse simile al perfettissimo animale. non fece il fattore due né infiniti mondi, ma sì questo uno e unigenito cielo, il quale così è, e sarà.
Segue poi la descrizione della sua costituzione a partire dagli elementi che lo costituiscono:
Ciò ch’è generato, dee essere corporale, e visibile, e palpabile. Ma niuna cosa mai sarebbe visibile senza fuoco: né palpabile senz’alcuna solidezza; e né anche poi solida, senza terra. Onde, messosi Iddio a comporre l’universal corpo, sì ebbelo fatto di terra e fuoco. Ma non può essere che siano due cose sole legate speciosamente senza una terza; imperocché necessità è che alcuno legame sia in mezzo di loro, il quale le congiunga. E il più bello de’ legami quello è, che faccia di sé e delle cose che lega, quanto esser può, uno. E la proporzione fa ciò in forma bellissima: imperocché, quando di tre numeri o corpi o potenze quali si vogliano, il primo sia verso al medio, ciò che il medio è verso all’ultimo; e, novamente, ciò che l’ultimo è verso al medio, il medio sia verso al primo; allora divenendo il medio primo e ultimo, e l’ultimo e il primo divenendo medii, tutti divengon medesimi fra loro necessariamente; e medesimi divenuti fra loro tutti sono uno.
Quindi, per vedere occorre il fuoco ma anche che un oggetto sia solido come la terra. Occorre poi legare nel modo più saldo possibile i due elementi e per farlo cosa di meglio che una proporzione con un medio proporzionale ? Ma la proporzione semplice sarebbe andata bene per un mondo piatto, senza profondità. Ma poiché il mondo ha la profondità, allora la proporzione si è dovuta arricchire di altri medi proporzionali, cioè elementi come l’acqua e l’aria.
Ora se il corpo del mondo avea a essere piano, senza profondità alcuna. un solo medio bastava per collegare i contrarii fra i quali fosse posto, e sé con quelli. Ma ei conveniva che fosse solido: e i solidi non si concordano insieme con un medio solo, ma sì con due ogni volta. E però Iddio, posto acqua e aria in mezzo a fuoco e terra, e proporzionatili fra loro quanto si poteva più, a un medesimo modo: sicché quello che fuoco fosse verso ad aria, fosse aria verso ad acqua, e quello che aria fosse verso ad acqua. fosse acqua verso a terra; sì collegò e compose un corpo visibile e palpabile. Per queste ragioni, di questi corpi, quattro di numero, così fu generato il corpo del mondo, che esso per proporzioni consente seco medesimo, e s’aduna seco medesimo con tanto affetto, che sciogliere non lo può niuno, se non colui che l’ebbe legato.
Abbiamo quindi la teoria dei quattro elementi con una giustificazione di necessità matematica, elementi legati tra loro da tanto affetto. Questi elementi costituiscono l’animale generato da Dio al quale animale Dio
diedegli figura alla natura di lui assai convenevole. E da poi che all’animale deputato a raccogliere dentro sé tutti gli altri animali quella figura si conveniva, la quale dentro sé raccoglie tutte le figure; per questo lo torniò in forma di sfera, il mezzo da ogni parte rimoto dagli estremi egualmente, dandogli di tutte le figure quella più perfetta e simigliante più a sé medesima, giudicando più bello infinite volte ciò che simile è, che ciò che è dissimile. E liscio lo fe’ studiosamente di fuori tutto intorno, per molte ragioni: perocché niente avea bisogno di occhi, ché non era rimasta fuori niuna cosa a vedere; né di orecchi, ché né anco rimasta era fuori cosa niuna a udire; e non era né anche aria d’attorno, sì che bisogno avesse di respirare; e similmente non avea bisogno di alcuno organo a fine di ricevere nutrimento, e, patit04S che lo avesse, mandarne via il soperchio, perché, se nulla ci era, egli non perdeva nulla, e nulla non se gli aggiungeva di dove che sia; e fu generato così per magisterio di arte, che egli trae suo nutrimento della corruzione sua medesima, e di tutto in sé e di per sé fa e patisce: perché il Componitore pensò che meglio era il mondo bastando a sé medesimo, che se avesse mai avuto bisogno di altre cose. E mani, le quali non gli bisognavano niente per cagion di pigliare o respingere alcuna cosa, non credette bene Iddio appiccargliene vanamente; né piedi o altro per lo ministerio dell’andare, avendogli assegnato movimento convenevole al corpo suo, cioè, dei sette, quello che più fa all’intelligenza e alla mente. Ond’egli menando lui intorno, in una medesima forma, in un medesimo spazio, in lui medesimo, sì il fe’ volgere in giro, privandolo di tutte l’altre specie di moti e dei lor vagamenti. E da poi ch’egli non avea bisogno di piedi per questo suo rigirare, Iddio il generò senza gambe e piedi.
Queste sono le giustificazione della sfericità del mondo. Si tratta di un animale che in quanto sferico e liscio si avvicina alla forma del creatore ed è quindi perfetto non necessitando di altro, né di occhi né di orecchi né di bocca né di mani né di piedi, ma solo di ruotare su se stesso. A questo animale Dio dette anima (da qui nasce la famosa teoria, di provenienza pitagorica, dell’anima del mondo) mettendola dentro di esso ed anche intorno ad esso:
E l’anima, messola nel mezzo, distese per tutte le parti di quello e con essa involselo di fuori tutto d’intorno: e così fatto è un solo cielo, solitario, per la virtù sua contento di abitare seco medesimo, di niuno altro non bisognoso, e di sé medesimo conoscitore e amatore assai; e però fatto è Iddio beato.
Manca solo un elemento a questa costruzione fantastica, almeno rispetto a ciò che sappiamo, ed è dubbio che il passo seguente parli di questo elemento, dell’etere, che vari studiosi individuano non qui ma nell’Epinomide:
Della indivisibile essenza, la quale è medesima eternalmente, e di quella la quale nei corpi generasi di visibile, egli contemperò una terza specie di essenza, la quale sta nel mezzo di quelle due, partecipe della natura del medesimo e di quella dell’altro; e nel mezzo di quelle due sì la pose.
Platone è pronto per entrare a discutere dell’astronomia vera e propria iniziando con le distanze dei pianeti che egli afferma essere in relazione con l’intercalazione tra due progressioni geometriche, 1,2,4,8 di ragione 2 e 1,3,9,27 di ragione 3. In tal modo si associano a Luna, Sole, Venere, Mercurio, Marte, Giove, Saturno, rispettivamente i numeri 1,2,3,4,8,9,27. Con ulteriori intercalazioni tra i termini delle suddette progressioni geometriche Timeo arriva ad alcuni antichi accordi musicali di quattro ottave ed una sesta maggiore (ottacordo diatonico dorico) che costituirebbero l’armonia musicale che governa l’anima del mondo(4).
Il passaggio successivo è ai moti del cielo e della Terra, che avvengono su cerchi, anch’essi regolati da progressioni geometriche. Dopo la Terra che ruota sul suo asse, Dio:
fe’ sì che uno dei cerchi fosse di fuori [l’equatore siderale], l’altro di dentro [l’eclittica]: e addimanda movimento della natura del medesimo, il movimento del cerchio il quale è di fuori; e della natura dell’altro, quello del cerchio il quale è di dentro. E fe’ che il cerchio della natura del medesimo si rigirasse a diritta e di costa; e quello dell’altro a sinistra, secondo diagonale(5). Nientedimeno la signoria concedette al rivolgimento del medesimo e simile, lasciandolo intero; per lo contrario, spartito sei volte il rivolgimento di dentro, ei ne fe’ sette cerchi diseguali, di due specie, e ciascheduna con tre intervalli; e hanno gl’intervalli dell’una specie il due a ragione loro, e quei dell’altra, il tre; e ordinò che i cerchi andassero con moto contrario, tre simigliantemente veloci [Sole, Venere, Mercurio], e quattro [Luna, Marte, Giove, Saturno] dissimigliantemente e inverso ai tre e fra loro, ma tutti commisuratamente.
Per rendere conto della mobilità dell’eternità del mondo Dio volle creare il tempo che nasce insieme al mondo e finirà con esso:
Adunque si generò il tempo insieme con il cielo, acciocché, generati insieme, si sciolgano ancora insieme, se mai scioglimento alcuno a loro avvenisse. E fu generato il cielo secondo l’esempio della natura eterna, acciocché egli fosse simigliante a lei quanto potesse. L’esempio è ente, tutta la eternità; e il cielo, tutto il tempo, perpetualmente fu ed è e sarà generato. Per questo pensamento e intendimento di Dio inverso al tempo affinché egli si generasse, fatto è il sole, e la luna, e cinque altri astri che s’addomandano pianeti, per la custodia e distinzione dei numeri del tempo. Formato Iddio i corpi di quelli, sette di numero, poseli nelle orbite, sette anche esse, nelle quali la circulazione dell’altro fa suo movimento. Egli pose la Luna nel primo cerchio che inghirlanda la Terra; il Sole in quello ch’è secondo, attorno alla Terra; e Lucifero [Venere], e il pianeta che sacrato è a Mercurio, in quelli cerchi che si rigirano veloci così come il Sole, ma con avviamento contrario(6), sì che il Sole e il pianeta di Mercurio e Lucifero, ciascuno giugne 1’altro, e giunto è da quello.
Ed il tempo è formato proprio dal movimento di questi astri sistemati nell’orbita che Dio ritenne conveniente animandoli come animali.
Riguardo agli elementi costituenti il mondo, Platone ha altro da aggiungere per comprendere alcuni cambiamenti cui sono soggetti:
In prima, ciò che testé noi abbiamo chiamato acqua, densandosi, ci pare vederla diventar pietra e terra; e se si solve e discerne, vento e aria; e affiammandosi l’aria, diventar fuoco; e densandosi il fuoco e spegnendo, tornare nuovamente in forma di aria; e l’aria se si costringe e affolta, diventar nuvole e nebbie; e queste, pressate più, sciogliersi in acqua; e dall’acqua riuscire di nuovo pietra e terra: sicché, come pare, essi dannosi in giro la generazione vicendevolmente. E così queste cose mai non rimanendo medesime, di quale di esse affermerà alcuno per certo, questa è, senza che di sé si vergogni?
Anche gli elementi quindi non sono mai la medesima cosa. Cambiano continuamente in modo che nessuno è in grado di dire, in un dato istante, cosa ha di fronte. Occorre cercare di capire meglio la loro costituzione in modo da poter dare risposte più esaurienti per dare le quali Platone dà fondo ad un repertorio geometrico che trasforma triangoli di vario tipo come gli ultimi costituenti dei diversi elementi:
Dopo un cenno alla trinità che è un tema orientale ed egizio che si ripete più volte (conviene paragonare alla madre quello che riceve, al padre quello donde riceve, al figlio la natura intermedia), Platone passa a descrivere la sua straordinaria concezione “corpuscolare”.
In prima, che fuoco, terra, acqua, aria, siano corpi, ciò manifesto è ad ogni uomo. E ogni specie di corpo ha profondità; e ogni profondità poi dee avere il piano; e un diritto piano è fatto di triangoli. I triangoli poi nascono di due triangoli, i quali hanno un angolo diritto e due acuti; de’ quali triangoli l’uno da tutt’e due i canti ha una parte uguale di angolo diritto con lati uguali; 1’altre ha due parti ineguali di angolo diritto con lati ineguali. Questi due triangoli poniamo quali principii del fuoco e degli altri corpi, procedendo noi secondo quello ragion verosimile la quale possa stare insieme con Necessità; i principii di sopra a questi sa Iddio, e degli uomini colui il quale gli è caro. […] De’ due triangoli, a quello il quale ha uguali due lati toccò una sola natura, innumerabili poi allo allungato; e però è da scegliere tra cotesti allungati quello che è bellissimo, volendo incominciar bene […] Poniamo dunque de’ molti triangoli il bellissimo, lasciando gli altri, cioè quello del quale due compongono un terzo triangolo con uguali lati. […] Adunque i due triangoli eletti, de’ quali sono orditi corpi del fuoco, dell’aria, acqua e terra, siano quello con due lati uguali e quello che sempre ha secondo potenza il maggior lato tre cotanti di quello che è minore [il quadrato]. […] Il vero è che de’ triangoli da noi scelti nascono le quattro specie di corpi: tre da uno, da quello che ha i lati disuguali, e la quarta sola da quello che ha due lati uguali [il cubo]. Non possono dunque tutti questi corpi, sciogliendosi gli uni negli altri, di molti piccioli generarsi pochi grandi; ma tre, sì possono: imperocché essendo essi nati da un triangolo, sciolti i più grandi di loro si faranno molti piccoli, pigliando convenevoli figure; e di nuovo disseminando molti piccoli secondo i loro primarii triangoli, adunano dosi poi in un solo numero, possono compier una sol grande specie di un solo corpo. E ciò basti della mutua loro generazione.
Seguita ora a dire in qual figura è generata ciascuna delle quattro specie di corpi, e per quale convenimento di numeri, principiando dalla prima specie, la composizione della quale è più semplice [il tetraedro]. Elemento suo è quel triangolo, il quale ha la ipotenusa due cotanti più lunga che il lato minore: due siffatti triangoli così componendosi insieme, che tutte le ipotenuse si tocchino ripetendosi tre fiate sì, che le ipotenuse e i lati brevi si appuntino in uno, siccome in centro, nasce di sei triangoli un triangolo solo equilatero [vedi il disegno D della figura che segue]. Componendosi insieme quattro equilateri triangoli, sì che ogni unione loro ternaria faccia un angolo solido il quale tosto segua il più ottuso angolo piano; e compiuti quattro di cotali angoli solidi, fatta è la prima solida specie [tetraedro], per mezzo della quale può essere compartita una sfera in parti simili e uguali. La seconda specie si fa degli stessi elementari triangoli così legati insieme in otto triangoli equilateri, che da ogni accostamento di quattro angoli piani si compia un solo angolo solido: e, compiuti sei cotali angoli solidi, fatta è la figura del secondo corpo [ottaedro]. Il terzo corpo [l’icosaedro], il quale ha venti facce triangolari equilatere, si genera di due volte sessanta dei detti elementari triangoli, commessi così fra loro, che facciano dodici angoli solidi, ciascun de’ quali è compreso da cinque triangoli piani di uguali lati. E già è consumato uno de’ due elementi dopo generate queste figure. Il triangolo poi da’ due lati uguali generò così il quarto corpo: ripetendo sé quattro volte, e i diritti angoli suoi appuntando nel centro, ebbe fatto un tetragono equilatero [il quadrato]; e, commessi poi insieme sei cotali tetragoni, fatti sono otto solidi angoli, ciascuno dei quali composto è di tre piani angoli e diritti: e così è nata una figura di corpo, che è il cubo, il quale ha sei piane basi tetragone e equilatere. Rimanendo ancora una forma di composizione, che è la quinta [il dodecaedro], di quella si fu giovato Iddio per lo disegno dell’universo.
Serve una qualche spiegazione. Platone inizia con l’affermare una cosa per molti versi cara ai pitagorici: ogni superficie piana è composta da triangoli. Tutti i triangoli sono fondamentalmente di due tipi: il triangolo rettangolo isoscele (angoli di 90°, 45°, 45°) e il triangolo rettangolo scaleno (angoli di 90°, 60°, 30°). Ora, mentre per il triangolo rettangolo isoscele non vi sono problemi, per quello scaleno ve ne sono; essi possono infatti essere, al contrario degli altri, della più incredibile varietà. Com’è possibile allora decidere per quello con angoli di 90°, 60°, 30°? Semplicemente perché è (letteralmente) il più bello. E la bellezza di questo triangolo discende soprattutto dal fatto che, se ripetuto sei volte, realizza un triangolo equilatero (figura D seguente). Occorre osservare che Platone non realizza il triangolo equilatero nel modo più semplice mediante due soli dei triangoli suddetti (figura C seguente). Da questi due triangoli si generano le quattro entità che sono alla base della costituzione del mondo: terra, acqua, aria, fuoco. Per vedere come, occorre intanto osservare che quattro triangoli rettangoli isosceli, uniti tra loro attraverso l’angolo retto, formano un quadrato (figura B seguente). E’ anche qui da notare che il quadrato non è costruito nel modo più semplice, mediante due triangoli rettangoli isosceli (figura A seguente).

Ma siamo ancora al livello di “piano”; i quattro elementi occupano invece lo “spazio”. Come organizzare insieme dei triangoli in modo che diano delle figure solide ? A Platone sembra evidente: attraverso i solidi regolari che, fra l’altro, erano stati da poco scoperti (il cubo, il tetraedro, l’ottaedro, l’icosaedro, il dodecaedro). Vediamo come.
Anzitutto c’è da osservare che i quattro elementi non sono tutti generabili da una unica matrice. La terra ha caratteristiche differenti dagli altri tre elementi perché è formata dall’insieme di triangoli rettangoli isosceli e non scaleni:
-Una particella di terra ha forma di cubo, che si ottiene dall’unione di 24 triangoli rettangoli isosceli (4 per ogni faccia).
– Una particella di fuoco ha forma di tetraedro, che si ottiene dall’unione di 24 triangoli rettangoli scaleni (6 per ogni faccia).
– Una particella di aria ha forma di ottaedro, che si ottiene dall’unione di 48 triangoli rettangoli scaleni (6 per ogni faccia).
– Una particella di acqua ha forma di icosaedro, che si ottiene dall’unione di 120 triangoli rettangoli scaleni (6 per ogni faccia).
Oltre a questa differenza tra i vari elementi, vi è anche la differenza nell’ambito dello stesso elemento perché vi sono tipi diversi di ciascuno di essi. Ad esempio, nel caso della terra, dovremo considerare i triangoli rettangoli isosceli che si combinano nelle singole facce del cubo in tre modi modi diversi attraverso una quantità diversa di triangoli (crescenti secondo la potenza di 2), come mostrato in figura:

Combinazione di due, quattro o otto triangoli rettangoli isosceli per formare quadrati di tre diverse dimensioni corrispondenti ai tre gradi della terra.
Le singole particelle possono dissolversi nei singoli triangoli che le compongono; questi triangoli potranno poi ricomporsi a loro piacimento, purché sia rispettata la regola di triangoli isosceli con triangoli isosceli e triangoli scaleni con triangoli scaleni. Ciò vuol dire che il triangolo elementare che è alla base dell’elemento terra non potrà far altro che ricomporsi con altri triangoli provenienti dalla dissoluzione di altre particelle di terra; i triangoli elementari che provengono dalla dissoluzione degli altri tre elementi, essendo tutti dello stesso tipo, potranno ricomporsi tra loro nei modi più vari, con la conseguenza che atomi provenienti da particelle di fuoco potranno entrare a far parte di particelle d’acqua. Più precisamente, dalla terra si può riottenere soltanto terra, mentre una particella d’aria può trasformarsi in due di fuoco (24 x 2 = 48), una particella d’acqua può trasformarsi in due particelle d’aria e una di fuoco, e viceversa (120 = 2 x 48 + 24).
Ci si potrebbero a questo punto chiedere le ragioni di ciò: esse risiedono tutte in principi armonici e legati a quei postulati non dimostrabili che sono alla base di molte filosofie antiche (che arrivano allegramente fino a noi). Intanto si ha a che fare con poliedri perché il mondo è tridimensionale, e un mondo siffatto è rappresentabile da una grandezza elevata al cubo. Supposto poi che la terra sia rappresentabile da un a³ e il fuoco da un b³, il fatto che servano altri due elementi (l’acqua e l’aria) è giustificato con il riconoscimento dell’esistenza di due medi proporzionali tra a³ e b³, che possono dare origine a una progressione geometrica: a³, a²b, ab², b³.
Perché poi la terra ha particelle a forma di cubo? Perché essa è la più immobile e plasmabile tra i quattro elementi e il cubo, essendo formato da triangoli ben saldi come l’isoscele, è tra tutti i solidi regolari il più stabile. L’acqua ha la forma meno mobile (l’icosaedro) e il fuoco la più mobile (il tetraedro); l’aria, essendo intermedia tra fuoco e acqua, deve avere una mobilità intermedia (ottaedro). Ma perché il tetraedro è il più mobile tra i solidi regolari? Perché ha il minor numero di basi e quindi è più tagliente e può infilarsi dove vuole con facilità. E poi, avendo il minor numero di basi, è di necessità la più leggera tra le particelle, e ciò si conviene al fuoco. In gradi decrescenti le stesse qualità si addicono agli altri elementi e, conseguentemente, agli altri solidi regolari. Leggiamo direttamente ciò che scrive Platone:
E alla terra noi assegniamo figura cubica, perocché ella è la più immobile delle quattro specie di corpi e la più pastosa; e somma necessità è che tale sia quel corpo, il quale ha basi securissime. Ora, de’ triangoli posti dinanzi, la base di quelli a due lati uguali è naturalmente più secura che la base di quelli che hanno tutti i lati loro disuguali; e quanto alla figura piana fatta da ciascuna di coteste due specie di triangoli, di necessità il tetragono equilatero, sì nelle parti sue come in tutto, sta più fermo che il triangolo equilatero. E però noi salviamo la verosimiglianza assegnando la figura mentovata alla terra, e all’acqua quella meno mobile, e quella mobilissima al fuoco, e quella ch’è nel mezzo all’aria; e al fuoco quella acutissima, la seconda in acume all’ aria; e la terza all’acqua [queste considerazioni riportano dritti dritti a Democrito]. Onde quella di tutte queste figure la quale ha pochissima base, è di necessità mobilissima, taglientissima, da poi ch’ella è acutissima sovra a tutte; e anco è leggerissima, però ch’è composta di pochissime parti medesime; la seconda ha secondamente le qualità sopraddette; e terzamente la terza. Sia adunque secondo verisimile e diritta ragione la figura solida della piramide or generata, elemento e seme del fuoco; e la seconda per nascimento dell’aria; e la terza, dell’acqua. Ma è da considerare che tutte queste seminali figure son picciole sì, che noi delle singole parti di ciascun genere per la loro picciolezza non veggiamo niente, e che radunandosi molte insieme, allora si vede il loro volume; ed è a considerare che Iddio, quanto è alle ragioni delle moltitudini e movimenti loro e altre loro potenze, provvedendo egli con amore, fe’ proporzionatamente ogni cosa.
L’insieme dei quattro elementi che compone l’universo deve essere sempre in moto, così da non lasciare mai uno spazio vuoto. Si tratta di un movimento nel tutto pieno, istantaneo e ciclico, fatto in modo da costituire una specie di vortice (tutto ciò verrà ripreso completamente da Descartes). Noto ora che nel Timeo si nega che l’etere sia un elemento, perché non è altro che la parte più pura dell’aria e Platone dice del dodecaedro che restava una quinta combinazione, e Dio se ne giovò per decorare l’universo.
Nella concezione particellare di Platone è sfuggito uno tra i cinque solidi regolari, il dodecaedro. Esso doveva trovare un qualche posto e, in armonia con la sua visione complessiva, lo trova nel cielo, a rappresentazione dello Zodiaco, delle 12 costellazioni (tutto ciò lo si ritroverà ampiamente nel sistema del mondo di Kepler). Una sola osservazione relativa alla quintessenza, quinta essentia o pempton poma, rappresentata dal dodecaedro (su questo tornerò quando parlerò di Epinomide). Questo solido è l’unico che si realizza con poligoni diversi dal triangolo, con pentagoni. E non a caso Platone lo mette ai livelli più elevati e ciò perché i pitagorici, da cui Platone prende molti spunti, avevano come simbolo il pentagramma, l’intersezione tra triangoli che descriveva al suo interno un pentagono.
Il Timeo prosegue dedicando poche parole ad altre questioni definibili come meccaniche come ad esempio: l’origine della gravità e la leggerezza in relazione con l’alto ed il basso; la natura del suono (con la negazione della funzione dell’orecchio che pretenderebbe di sovrapporsi alla mente) e dei colori (alla scuola platonica è dovuta la geometrizzazione dei fenomeni dipendenti dalla luce riflessa: per la prima volta troviamo l’affermazione di identità tra angolo di incidenza ed angolo di riflessione). L’ultima parte è invece dedicata alla fisiologia e la cosa non è di nostro interesse.
In definitiva il mondo si approssima all’idea di perfezione per la sua forma sferica e per i suoi movimenti circolari. Tra questi primeggia quello della volta celeste in 24 ore che è il filo conduttore dell’intero racconto. Vi sono poi parti disordinate del mondo che riescono ad acquistare una qualche dignità grazie alla mediazione matematica da cui tutto discende e che si attenua solo nella parte fisiologica che ho tralasciato nella quale le descrizioni qualitative prendono il sopravvento su quelle quantitative. Il disordine cui accennavo lo si ritrova nei moti planetari che, rispetto alla perfezione, presentano delle anomalie che richiedono spiegazioni. I pianeti non ci offrono la sensazione di moti ordinati, essi sono errabondi (da planaomai = errare). Le irregolarità però devono essere solo apparenti e vi deve essere una combinazione di moti circolari, moti ordinati e perfetti, che spieghi tutto. E’ qui utile un cenno al perché si richiedessero agli astri dei moti perfetti. Platone, nella sua lotta contro materialismo ed ateismo, considerava le vecchie divinità dell’Olimpo, popolari ed ingenue, superate. La sostituzione di tali divinità avviene con divinità astrali, da trovare nel cielo (influenze orientali). Per assegnare il ruolo di divinità ad un corpo celeste occorreva mostrare prima che avesse un’anima e per di più divina. E Platone riesce facilmente nell’impresa (cosa non si può fare giocando con le idee) con il seguente ragionamento. Solo i viventi, come noi, sono in grado di muoversi mentre la materia inanimata ha bisogno di un qualcosa di esterno che la muova (e questo è un attacco a Democrito). Noi vediamo che i cieli si muovono e quindi sono viventi. Essi riescono poi a muovere moli enormi come il Sole e con regolarità e quindi sono intelligenti.
Ciò che agisce sempre allo stesso modo, uniformemente e sotto l’influsso delle stesse cause, dovrebbe proprio per questo essere considerato come dotato di intelligenza, e ciò si applica specialmente agli astri [ …] Che cosa potrebbe fare sì che una massa così grande come il Sole si muova lungo la propria orbita, nell’esatto intervallo di tempo in cui essa compie regolarmente il suo percorso ?[Epinomide, 982]
Nell’ambito di questa visione e a suo coronamento viene assunta in pieno la parte della filosofia pitagorica che voleva il primato della geometria nell’ambito della matematica, quella dei numeri naturali e dei loro rapporti in divine e armoniche proporzioni. Ed è qui che subentra la matematica: essa rappresenta il modo migliore per avvicinarsi a quel mondo di perfezione che viene continuamente richiamato, anche nella pratica quotidiana. Secondo Farrington (1976), per Platone l’aritmetica è democratica mentre la geometria è oligarchica e per questo è un prerequisito per chi voglia diventare filosofo. Egli diceva:
Lo studio della geometria è un metodo per dirigere l’anima verso l’essere eterno; una scuola preparatoria, valida per una mente capace di rivolgere l’attività dell’anima verso le cose eterne
e così grande era la convinzione di ciò che, all’ingresso dell’Accademia, era scritto non entri chi non è geometra.
Abbagnano fornisce un giudizio del Timeo sul piano filosofico:
Sul piano filosofico e metafisico la rilevanza del Timeo consiste nell’aver diffuso il concetto di una Mente intelligente ed ordinatrice del mondo, che rappresenterà lo schema di fondo con cui molti filosofi successivi e l’intero Cristianesimo spiegheranno la realtà. Tant’è vero che il Demiurgo sarà una delle “figure” più celebri della filosofia platonica e verrà sostanzialmente assimilata al Dio creatore della Bibbia. In tal modo, Platone ha finito per incarnare la più decisiva antitesi ad ogni forma di naturalismo e di materialismo e per radicare nelle menti una visione finalistico-religiosa che è penetrata nell’inconscio collettivo e nella mentalità comune. La stessa idea chiave, tipica della tradizione occidentale, secondo cui l’essere è qualcosa di buono e di razionale, con il conseguente ottimismo metafisico, è una eredità del Timeo.
EPINOMIDE OVVERO ANCORA MATEMATICA ED ASTRONOMIA
Ho già detto che l’Epinomide viene attribuita ad un allievo di Platone ed anche che rispecchia in pieno le sue posizioni comunque passate alla storia almeno fino al XVII secolo. I personaggi che dialogano, qui senza più neppure la presenza di Socrate, sono gli stessi de Le leggi: il cretese Clinia, lo spartano Megillo ed un Ateniese in visita a Creta, dove si svolge il dialogo. Il tema generale che il Dialogo affronta riguarda il modo in cui un uomo può diventare saggio e cioè filosofo. Inoltre ci si domanda fino a che punto l’uomo con la sua natura è in grado di essere saggio. Questi problemi nascono al fine di capire quali doti deve avere un uomo per essere un legislatore (da qui l’ipotesi che l’Epinomide fosse o il XIII libro de Le leggi o una Appendice ad esse). Il dialogo è diviso in due parti della quale solo la prima riveste un interesse per noi perché tratta di come il sapere sia inseparabile dalla scienza dei numeri. La seconda parte riguarda la sapienza matematica che possiedono le divinità siderali.
Il breve dialogo inizia prendendo in esame le varie arti per capire se esse hanno un qualche ruolo privilegiato tale da farle assumere come scienza. Ma esse vengono scartate perché esse hanno come scopo il solo successo mondano, quali l’arte di combattere, la medicina, la musica, la navigazione. Eliminate dal computo del sapere le arti resta solo il numero come scienza che meriti veramente e con ragione il nome di sapienza, una scienza che sia in grado di trasformare un artigiano o un uomo comune che l’abbia acquisita in uomo saggio e virtuoso, in cittadino giusto ed ordinato in ogni suo comportamento, sia che comandi, sia che ubbidisca. Senza la conoscenza della scienza del numero, l’uomo sarebbe immorale perché dove non c’è sapienza matematica non ci può essere che disordine e confusione. E solo un Dio può averci concesso la grazia di questa scienza per conservarci. E qual è il Dio che ci ha fatto questa grazia ? Il cielo, solo il cielo, lo si chiami come uno vuole. Ed è il cielo che dobbiamo pregare e ringraziare per i movimenti che imprime agli astri, per far nascere rivoluzioni e stagioni, le diverse conoscenze che discendono dai numeri, e tutti gli altri beni a partire proprio dai numeri mediante i quali sappiamo spiegare l’intero ordine celeste.
Nessuna arte sarebbe possibile senza la scienza dei numeri. Basta pensare alla musica ed al fatto che dai numeri discende solo bene e mai male. Basta osservare che con i numeri misuriamo i passaggi della Luna, contiamo gli anni, i mesi (lunari), i giorni, … ed i numeri ci permettono i confronti ma anche di capire come trattare la terra che ci fornisce i frutti per vivere. E se qualcosa non va bene non è colpa di Dio ma solo nostra perché non viviamo in accordo con le regole della giustizia.
Il discorso prosegue riprendendo la teoria degli elementi costituenti il mondo ma con una importante novità: si introduce l’etere, il quinto elemento. Dice Platone:
Pertanto vi sono cinque corpi elementari e cioè fuoco ed acqua; il terzo l’aria, il quarto la terra, ed il quinto l’etere; e, a seconda che l’uno o l’altro di tali elementi predomini, si forma una moltitudine differente di animali.
Tali animali, in senso molto lato, vengono discussi a partire dagli umani terrestri anche in termini dei loro movimenti.
La specie terrestre si muove senza alcuna regola; la specie ignea, al contrario, ha i suoi movimenti ordinati in modo ammirevole. Ma tutto ciò che si muove senza alcun ordine deve essere considerato privo di ragione ed in questa categoria troviamo quasi tutti gli animali terrestri; mentre il grande ordine che regna nel moto degli animali celesti, è una prova importante che essi sono dotati di ragione. Perché il seguire sempre la stessa direzione con la medesima velocità, e il fare e subire sempre le medesime vicissitudini, è motivo sufficiente per concludere che la loro vita è diretta dalla ragione.
Si deve osservare che l’introduzione dell’etere completa la sfilata dei solidi regolari costituenti gli elementi. Si aggiunge qui il dodecaedro che era saltato nel Timeo anche perché è l’unico solido regolare che non risulta costituito da facce triangolari ma da pentagoni (nel Timeo il dodecaedro, che non poteva sfuggire, non era associato ad un elemento ma allo Zodiaco). Il fatto che il dodecaedro sia associato all’etere, il più nobile degli elementi (posto al di là del fuoco e che non entra quasi mai in relazione con gli altri elementi), come accennato, colloca tale solido ad un livello superiore, in accordo con la scuola pitagorica che viene qui evocata attraverso il pentagono se solo si ricorda che il pentagramma era il simbolo di quella scuola.
Quindi il mondo è popolato da animali diversi e tra essi vi sono gli dei. Per capire poi come tutto sia organizzato occorre conoscere un’altra scienza fondamentale, l’astronomia.
Si ignora, infatti, che il vero astronomo ha da essere un grandissimo saggio, non l’astronomo che si occupa di astronomia seguendo Esiodo e tutti quelli simili a lui, che solo osservano il sorgere e il tramontare degli astri, ma colui che delle otto rivoluzioni [per esempio la rivoluzione del Sole, della Luna, e dei cinque pianeti, oltre all’ottavo, quello della rivoluzione giornaliera della sfera delle stelle fisse, ndr] ne ha osservate sette, perché ciascuna compie il proprio ciclo sì che non è facile a qualunque natura d’essere capace di indagare, a meno che non sia meravigliosamente dotata. [Epinomide, 990 a,b]
Ma per capire ed avere le qualità che ci permettano di studiare il movimento dei pianeti è necessario avere come prerequisiti molte conoscenze e molto lavoro. E, fatto, più importante, non si può prescindere dall’apprendere le matematiche [fermo restando il primato assoluto della filosofia, ndr], la cui prima e principale parte è la scienza dei numeri, e non di quelli concreti ma di quelli astratti, di come si generano il pari e dispari e dell’influenza che hanno sulla natura delle cose. E dopo questa scienza, quella dei numeri, viene la geometria, che è la scienza di rendere commensurabili, riferendosi a superfici, dei numeri che senza questo intervento non avrebbero una misura comune. E ciò è una meraviglia non umana ma addirittura divina, almeno per chi sa comprendere questa scienza. E poi la musica, la musica che è armonia e danza. La musica che accompagna tutto il mondo.
Il dialogo chiude con una importante osservazione generale sulle scienze matematiche ed astronomiche. Esse sono molto utili quando si studiano come devono studiarsi; ma se non si fa così, meglio invocare Dio con continuità. Ci vuole applicazione continua e serietà nell’apprendere ogni tipo di figura, di combinazione di numeri, di armonie musicali ed astronomiche finché non appaiono in una unità inscindibile. Altrimenti meglio raccomandarsi alla fortuna. E certamente come uomini di Stato non abbiamo alcun bisogno di chi si affida alla fortuna. E con queste parole si chiude il dialogo.
CONSIDERAZIONI FINALI
Il bagaglio delle cose che ho cercato di illustrare, ben sapendo che su Platone occorrerebbe discutere per migliaia di pagine, è quello che è passato alla storia ed ha influenzato secoli di pensiero, anche scientifico, sotto il nome di platonismo. L’idea guida del platonismo è che quanto noi percepiamo del mondo reale è solo una copia imperfetta di un mondo fantastico, un mondo di Idee che però non ci è dato conoscere. Solo il filosofo in prima battuta ed il matematico in seconda possono pensare minimamente di avvicinarsi a tali idee. Ma il matematico, poiché per il filosofo questo problema non si pone, che si aiuta con disegni di figure e di linee fa una violenza alle idee perché tenta di riprodurre in modo del tutto imperfetto delle figure che esistono solo in forma ideale. Nell’approccio alla natura l’empirismo può aiutare ma deve essere subito abbandonato di fronte a ragionamenti matematici. Qui abbiamo vista la contrapposizione tra empiria e scienza matematica; avevamo precedentemente visto il dualismo tra opinione e conoscenza, tra mondo sensibile e logos, tra fenomeni e forme. E’ una tendenza dell’intero corpo del pensiero platonico quella di pensare creando dualismi e ragionando per antitesi. Il sistema, anche qui, era di origine pitagorica.
Per ciò che riguarda i successivi sviluppi del pensiero scientifico ho già accennato all’intersezione tra platonismo ed aristotelismo come fonte primaria della rivoluzione scientifica. Posso ora aggiungere che dal punto di vista epistemologico l’idea di Platone di partire dal dato empirico per poi svilupparlo teoricamente è una parte fondamentale del modo di operare della scienza moderna. La parte degenere di questo approccio è l’abbandono completo del contatto con la natura, del non ritorno a tale mondo dopo che il pensiero teorico si è sviluppato. Così che il pensiero viaggia su linee diverse da ciò che accade nel mondo sensibile ed a volte addirittura slegate completamente da esso. Non è estraneo a ciò il disprezzo per l’attività manuale, per quell’approccio con la natura ritenuto volgare. Più in generale, con il passare dei secoli, questa presunta superiorità degli sviluppi solo ed eminentemente teorici ha creato e si è affiancata alle verità indiscutibili a cui riferirsi indipendentemente da un confronto con i dati dell’esperienza. Paradossalmente, nelle disquisizioni peripatetiche sul pensiero di Aristotele, la base del pensiero che muoveva l’approccio era platonico. Si negava la parte del richiamo empirico di Aristotele per discuterlo con la base teorica di Platone che prescindeva completamente dal dato empirico.
Il lavoro che si dovette fare nel XVII secolo, se visto sotto questa luce, fu gigantesco, anche perché non si trattava solo di controbattere delle tesi ma di scontrarsi contro chi, se non approvava quanto sostenevi, ti mandava al rogo. Non solo si doveva smontare la concezione del mondo di Aristotele ma si doveva conquistare la matematica nella spiegazione dei fatti naturali ma una matematica presa con moderazione e molta intelligenza. Galileo, nel Dialogo sui massimi sistemi (Edizione Nazionale, Vol. VII, p. 229), dopo aver sostenuto che il voler trattare le quistioni naturali senza geometria è un tentar di fare quello che è impossibile ad esser fatto, corregge espressamente affermando che queste sottigliezze matematiche son vere in astratto, ma applicate alla materia sensibile e fisica non rispondono. Ed infatti, in natura, non è data una tangente ad una circonferenza in un solo punto.
Riguardo al fossato incolmabile che aveva creato Platone tra materia e spirito, fossato che nasce dalla sua anima del mondo in cui aveva tentato di fare dell’anima un oggetto del mondo naturale, può inserire il nostro filosofo, con le sue profonde riflessioni, in un approccio di tipo religioso alla scienza. E non si prenda questa come una boutade perché per lui religione e scienza erano perfettamente sul medesimo piano. Tanto è vero che Platone raccomandò case di correzione per gli eretici. A tale proposito scrive Farrington (1978):
Nel sistema di governo tratteggiato nelle Leggi, si richiedeva ai cittadini di onorare non solo gli dèi olimpici e gli dèi del sottosuolo, ma i dèmoni, gli eroi e gli dèi privati e ancestrali e si insegnava che il mantenere i contatti con questi dèi mediante preghiere, offerte e ogni sorta di cerimonie era la più nobile delle cose e la più adatta per raggiungere una vita felice. Coloro i quali resistevano a questa fede e si ribellavano a queste pratiche per la loro simpatia per le teorie dei fisici. dovevano essere messi in campi di concentramento e istruiti da funzionari statali sul modo prescritto di intendere la verità. Se si dimostravano ostinati dovevano essere sottoposti a torture e ad altre violenze, e se queste misure risultavano insufficienti dovevano essere messi a morte. Anche nella sua difesa della persecuzione ideologica Platone era un pioniere, poiché anticipò gli atteggiamenti dei secoli successivi. Per lo storico della scienza rimarrà sempre come una macchia il fatto che il brillante intelletto di questo filosofo, che fondò una teoria dello spirito dedotta razionalmente dall’osservazione e dalla esperienza e che allargò così incommensurabilmente il regno della scienza, abbia mescolato i suoi ragionamenti con la difesa di superstizioni smaccate, cercando di imporle perfino con i metodi dell’Inquisizione.
NOTE
(1) Epinomide vuol dire: Appendice alle Leggi. Per alcunidoveva essere il XIII libro delle Leggi, una delle più importanti opere di Platone pubblicata postuma proprio da Filippo di Opunte, che sembra aver aggiunto questa Appendice o XIII libro. Le traduzioni, dal testo in spagnolo riportato in bibliografia e che più oltre si incontreranno, sono mie.
(2) L’argomento ora riportato è trattato anche in Repubblica VI, 509d-511c:
«Tu sai senz’altro che chi si occupa di geometria, di aritmetica e di altre questioni del genere, dà per scontato il pari e il dispari, le figure e i tre tipi di angoli, e altre cose del genere, a seconda della scienza che studia, e le assume come ipotesi, e non ritiene più necessario discuterle né con sé né con gli altri, prendendole come principi evidenti per tutti, e partendo appunto da tali principi, passa a trattare le altre questioni, ricavando di conseguenza in conseguenza la conclusione che si era proposto. – Questo lo so, disse. – E allora sai anche che si servono di figure visibili e su esse sviluppano delle dimostrazioni, ma non si riferiscono a queste figure, bensì alle cose cui esse somigliano: per esempio, discutono del quadrato in sé, della diagonale in sé, e non del quadrato, della diagonale o della figura che stanno tracciando; di queste figure, si servono come immagini per giungere a cogliere altre realtà, che sono in sé e per sé e che non si possono cogliere che con l’intelligenza».
(3) Farrington prosegue così:
La natura reazionaria della posizione platonica risulta ancor più chiara se esaminiamo la cosa dal punto di vista storico. Allorché Platone depreca le fatiche spese nel ricercare gli esatti rapporti tra la lunghezza del giorno e della notte, tra la lunghezza di questi e quella del mese, tra la lunghezza del mese e quella dell’anno, e tra le lunghezze dei percorsi delle varie stelle, non fa soltanto un’affermazione accademica, ma attacca una delle attività più utili della sua epoca. La determinazione sempre più precisa dei rapporti reciproci tra le divisioni naturali del tempo, in vista della preparazione di un calendario più accurato, era un vecchio problema che si presentava nel vasto campo dell’applicazione della scienza alle necessità quotidiane. […] sia i babilonesi che gli egiziani avevano compreso la difficoltà e l’avevano affrontata con un successo addirittura impressionante; e ora, per una generazione, il problema si era posto di nuovo in maniera pressante ai ceti colti di Atene. Secondo le parole di un astronomo greco posteriore, Gemino di Rodi, che visse attorno al 70 a.c., «gli antichi avevano di fronte a loro il problema di individuare il mese per mezzo della luna, e l’anno per mezzo del sole». Come oggi sappiamo, l’anno solare è approssimativamente di trecentosessantacinque giorni e un quarto, mentre il mese è approssimativamente di ventinove giorni e mezzo. Di conseguenza, se impieghiamo dodici mesi per fare un anno, il calendario resta indietro sul sole di circa undici giorni all’anno (29 x 12 = 354). Perciò si fecero diversi tentativi per arrivare a determinare un ciclo d’anni nel quale l’anno lunare e l’anno solare venissero a coincidere esattamente. Questo portò a una determinazione sempre più esatta della lunghezza in giorni del mese e dell’anno, dato che il calendario, a ogni successiva correzione, non risultava ancora completamente in accordo con i fenomeni osservati in natura.
I greci avevano ricevuto dai babilonesi, fin dall’ottavo secolo, un ciclo di otto anni. In otto anni il ritardo di undici giorni all’anno nel calendario assomma a ottantotto giorni. Questi equivalgono quasi a tre mesi; e l’inserzione di tre mesi in più dopo un intero ciclo di otto anni, assieme all’adozione di un mese variabile tra i ventinove e i trenta giorni, portò a un’approssimazione molto vicina alla coincidenza tra l’anno lunare e quello solare. Più tardi si adottò un ciclo di sedici anni. Poi, nel 433 a.c., cinque anni prima della nascita di Platone, un certo astronomo Metone introdusse ad Atene un ciclo di diciannove anni. Questo era il calendario in atto ad Atene allorché Platone scrisse la Repubblica, e, se il suo parere fosse stato ascoltato, non si sarebbe inventato il ciclo di settantasei anni di Calippo, il quale venne ad Atene attorno al 334 a.c., c il ciclo di trecentoquattro anni che fu proposto da Ipparco attorno al 125 a.c.
Il ciclo di Ipparco si basava su un calcolo della lunghezza dell’anno tropico di trecentosessantacinque giorni, cinque ore, cinquantacinque minuti e dodici secondi (il che supera di circa sei minuti e mezzo i nostri calcoli) e su una lunghezza del mese lunare medio di giorni 29,530585, cifra giusta fino al quarto decimale e inesatta per meno di un secondo. Questi erano i trionfi della scienza dai quali Platone avrebbe voluto distogliere gli astronomi greci. Se ci fosse riuscito, i greci non avrebbero neppure condiviso coi babilonesi il merito di aver dato un calendario preciso, cosa tanto necessaria in una civiltà organizzata. Infatti nella nostra ammirazione per i risultati raggiunti da Ipparco non dobbiamo dimenticare il fatto che l’astronomo babilonese Naburiannu, che visse attorno al 500 a.c., aveva già effettuato una determinazione della lunghezza del mese lunare medio che coincide coi nostri calcoli fino alla terza cifra decimale, e che un altro astronomo babilonese, Kidinnu, attorno al 380 a.c., ossia qualcosa come duecentocinquant’anni prima di Ipparco e proprio al tempo in cui Platone lavorava alla Repubblica, aveva ottenuto una cifra ancora più approssimata di quella di Ipparco. Quel che più conta, Ipparco era a conoscenza dei risultati babilonesi. Nella misurazione del tempo, i greci andavano ancora a scuola dai babilonesi. Li superavano solo nell’astronomia fisica.
(4) Platone sta riprendendo una delle dottrine pitagoriche secondo cui la rivoluzione dei corpi celesti produce suoni melodiosi. Ed è proprio la presenza di tale melodia che testimonia l’ordine e la perfezione dell’anima del mondo.
(5) Platone sta parlando qui dell’inclinazione del piano dell’eclittica rispetto al piano dell’equatore siderale che è simile a quella della diagonale di un rettangolo rispetto ai lati. Si tenga conto che il punto di vista nell’osservazione dei moti è quello di un osservatore situato nel nostro emisfero e rivolto a Sud.
(6) A proposito dell’espressione avviamento contrario, Dreyer osserva:
L’espressione “avviamento contrario” al Sole, nell’ultimo periodo, è alquanto oscura e ha dato origine a una grande varietà di interpretazioni, da Teone di Smirne e Proclo fino a Martin. Platone allude evidentemente allo stretto legame esistente tra il Sole e i due pianeti inferiori, che non si allontanano mai da lui […] Ma l’accenno […] alla forza opposta al Sole, mostra con sufficiente chiarezza che secondo Platone Mercurio e Venere differivano realmente in modo decisivo dagli altri pianeti. Teone intese questo passo nel senso che Platone alludesse alla teoria degli epicic1i, che perciò suppose fosse dovuta a Platone, e della stessa opinione fu Ca1cidio, il cui commentario al Timeo, per quanto concerne la parte astronomica, dipende quasi alla lettera da Teone.
BIBLIOGRAFIA
(1) – Lucio Russo – La rivoluzione dimenticata – Feltrinelli, 2001
(2) – G. de Santillana – Le origini del pensiero scientifico – Sansoni, 1966
(3) – Hugo Dingler – Storia filosofica della scienza – Longanesi, 1949
(4) – Carl B. Boyer – Storia della matematica – Mondadori 1980
(5) – Morris Kline – Matematical thought from ancient to modern times – Oxford University Press, 1972
(6) – Giulio Preti – Storia del pensiero scientifico – Mondadori 1975
(7) – U. Forti – Storia della scienza I. Dalle origini al periodo alessandrino – Dall’Oglio 1968
(8) – René Taton (diretta da) – Storia generale delle scienze – Casini 1964
(9) – André Pichot – La nascita della scienza – Dedalo 1993
(10) – George Gheverghese Joseph – C’era una volta un numero – Il Saggiatore 2003
(11) – Bertrand Russel – Storia della filosofia occidentale – Longanesi 1966
(12) – Platone – Timeo, Crizia, Minosse – Laterza 1928
(13) – A. Koyré – Introduzione a Platone – Vallecchi 1973
(14) – François Châtelet – Platón – Gallimard 1973
(15) – David J. Melling – Understanding Plato – Opus Paperback 1987
(16) – Ludovico Geymonat (diretta da) – Storia del pensiero filosofico e scientifico – Garzanti 1970
(17) – J. L. E. Dreyer – Storia dell’astronomia da Talete a Keplero – Feltrinelli 1980
(18) – Platone – Dialoghi – Mondadori 2008
(19) – S. Sambursky – The Physical world of Late Antiquity – Routledge & Kegan, London 1962
(20) – F. M. Cornford – The Unwritten Philosophy and Othet Essays – Cambridge University Press – London 1967
(21) – F. M. Cornford – Before and After Socrates – Cambridge University Press – London 1972
(22) – Geoffrey E. R. Lloyd – La scienza dei greci – Laterza 1978
(23) – Geoffrey E. R. Lloyd – Metodi e problemi della scienza greca – Laterza 1993
(24) – G. Loria – Le scienze esatte nell’antica Grecia – Cisalpino Goliardica 1987
(25) – Aldo Mieli – El mundo antiguo, griegos y romanos – Espasa Calpe, Buenos Aires 1952
(26) – AA.VV. – Historia de la Geometria Griega – Actas Seminario “Orotava”, Tenerife 1992
(27) – Thomas L. Heath – Greek Astronomy – Dover 1991
(28) – Thomas L. Heath – A History of Greek Mathematics – Dover 1981
(29) – E. J. Dijksterhuis – Il meccanicismo e l’immagine del mondo dai Presocratici a Newton – Feltrinelli 1971
(30) – F. Enriques, G. de Santillana – Compendio di storia del pensiero scientifico – Zanichelli 1979
(31) – S.F. Mason – Storia delle scienze della natura – Feltrinelli 1971
(32) – Mario Gliozzi – Storia della fisica – in: Nicola Abbagnano (coordinata da) – Storia delle scienze – UTET 1965
(33) – Nicola Abbagnano – Storia della Filosofia – UTET 1993
(34) – Bertrand Russel – Storia della filosofia occidentale – Longanesi 1966
(35) – Platone – Timeo, Crizia, Minosse – Laterza 1928
(36) – A. Koyré – Introduzione a Platone – Vallecchi 1973
(37) – François Châtelet – Platón – Gallimard 1973
(38) – David J. Melling – Understanding Plato – Opus Paperback 1987
(39) – Benjamin Farrington – Storia della scienza greca – Mondadori 1964
(40) – Benjamin Farrington – La scienza nell’antichità – Longanesi 1978
(41) – Benjamin Farrington – Scienza e politica nel mondo antico. Lavoro intellettuale e lavoro manuale nell’antica Grecia – Feltrinelli 1976
(42) – Armando Massarenti – Platone – Laterza 1978
(43) – Platone – Dialoghi, Vol. VI. Timeo, Crizia, Minosse – Laterza 1928
(44) – Platón – Las leyes. Epinomis. El político – Editorial Porrúa, Mexico 1991
Categorie:Grandi Studiosi
Rispondi