CONCEZIONI PARTICELLARI E DI CAMPO NELLA PRIMA META’ DEL XIX SECOLO: LA CONCEZIONE DELLA MATERIA IN FARADAY

(I PROBLEMI LINGUISTICI CHE SI PONGONO A CHI APRE NUOVE VIE)

Roberto  Renzetti

RINGRAZIAMENTI: Questo scritto è nato sotto lo stimolo del professor Salvatore D’Agostino che mi ha sempre guidato con preziosi consigli sia di carattere bibliografico sia relativi all’impostazione del lavoro. Per tutto questo lo ringrazio vivamente.


RIASSUNTO: Il lavoro va a ricercare le concezioni di Faraday sulla struttura della materia nel loro formarsi e progressivo affermarsi. Dopo una breve panoramica sui primi lavori di Faraday e sui contributi di Ampère e Mossotti, si affronta analiticamente l’opera di Faraday, relativamente al tema dell’articolo, passando attraverso le sue “Ricerche Sperimentali“, la sua corrispondenza, articoli vari ed obiezioni fatte da vari scienziati dell’epoca alle sue “speculazioni”.

INTRODUZIONE
Lo scopo di questo articolo è di ricercare le concezioni di Faraday sulle materia nel contesto delle idee che, all’epoca, si avevano nei vari ambienti scientifici e di andare a capire quanto Faraday, nelle sue ricerche, fosse guidato dalla presenza di un contesto teorico.
La tesi che intendo portare aventi è che Faraday, benché fosse molto meticoloso nel definire ogni parole nuova o significativa da lui usata, fino al 1844, quando avrà elaborato la sue teorie della materia, sfugge dalla definizione di “atomo” e “particella”.
Dal 1844, poi, nonostante le obiezioni che in tal senso gli verranno mosse, sfugge ancora al punto centrale, alla definizione cioè di “punto matematico” e “centro di forze”.
Faraday si serve spesso del termine “particella”, e qualche volte del termine “atomo”, non tanto per una concessione di linguaggio che la scienza ufficiale aveva fatto suo (terminologia corpuscolare), quanto per necessità di linguaggio. La scuola francese soprattutto con Ampère, era quella che più aveva sostenuto l’ipotesi particellare che era evidentemente, connessa con l’azione istantanea a distanza.
Faraday non può accettare il contesto (I) in cui si  muoveva questa scuola, ed allora il suo uso della terminologia corpuscolare è molto vaga e fatta sempre là dove il discorso


(I) Si tenga conto che Faraday si forma nel laboratorio di Da vy il quale è un convinto sostenitore delle teorie di Boscovich sulla costituzione della materia e per molti versi legato alla scuola tedesca. Davy spesso attacca con durezza la scuola francese soprattutto nelle persone di Lavoisier e Laplace (teoria del calorico).


glielo impone ma, ripeto, senza mai qualche definizione che ci faccia intendere di cosa stia parlando. Certamente Faraday non confonde “particella” con “atomo” (varie volte, come vedremo, sosterrà che non vuole parlare della parola “atomo”) pur usando spesso i due termini come sinonimi.
Si comincia ad intendere ciò che risulterà ben chiaro quando Faraday avrà elaborato le sua teoria della Materia: la suggestione delle idee di Boscovich è forte per il fisico inglese tanto da costituire per lui un pregiudizio che molto spesso, nonostante le sue affermazioni teoriche contrarie, lo guiderà nelle sue ricerche.
Questa non chiarezza di fondo, che deriva appunto dalla sua non confessata (almeno fino al 1844) adesione alle idee di Boscovich e nel contempo alla sua necessità di doversi esprimere con i termini delle scienza ufficiale (questo, cioè, da una parte non credere agli atomi e dall’altra doverli citare spesso), la si ritroverà in Faraday fino a che egli non avrà trovato una adeguata base sperimentale alle teorie sulla costituzione della materia che va elaborando.
Ma anche quando Faraday avrà pubblicato i suoi lavori sulla materia, accettando ed ampliando, come già accennato, la concezione di Boscovich (che del resto era già stata accettata da Davy e da gran parte della scuola tedesca), resteranno sempre degli elementi non chiari, di non definizione. Infatti, mentre Faraday definisce bene, con dovizia di particolari, ed assegnando loro anche una realtà fisica (2), le linee di forza, non definisce mai i “punti matematici” (2) o “centri di forza” (singolarità del campo diremmo noi) da cui queste linee di forza ai dipartono. Era il solito problema: quei “punti matematici” o “centri di forza” assumevano ancora una caratteristica di corpuscolarità che, fuor di dimensioni, ricreavano, dal punto di vista continuità – discontinuità, la stessa questione, magari ad un livello più elevato. Ma è chiaro che questo aspetto è secondario a questo punto per Faraday, ciò che lo interessava era l’azione che si esercitava tra gli oggetti in questione; e non vi è dubbio che i centri di forza di Boscovich permettevano a Faraday il superamento della teoria dell’azione istantanea a distanza, connessa con il corpuscolarismo “classico”, e la definizione della sua teoria dell’azione a contatto richiedente un tempo finito (e non nullo). E proprio su questo tipo di azione egli appunterà tutte le sue ultime ricerche, lasciando indietro insieme ai problemi di definizione di cui si è detto, insieme alla materia stessa e a tutto ciò che riteneva “ad hoc“, perfino l’etere. Ciò con cui lo sperimentatore viene a contatto,egli sostiene, sono le azioni e soltanto le azioni e di queste dobbiamo tenere conto. Queste azioni per Faraday sono l’unica realtà fisica che è poi la realtà fisica delle linee attraverso cui queste azioni si esercitano.


(1) Molti degli ultimi lavori di Faraday si occuperanno di questo problema.
Il primo accenno a questa realtà fisica si avrà alla fine della XXVIII serie (ottobre 1851) delle sue”Ricerche sperimentali sulla elettricità” al paragrafo 3175, quindi il concetto verrà sviluppato nell’articolo “Sul carattere fisico delle linee di forza magnetica” (giugno 1852), apparso sul Philosophical Magazine, soprattutto nei paragrafi 3247(fenomeni radianti), 3249 (fenomeni elettrostatici ed elettrodinamici) 3258, 3263, 3264, 3269 sino al 3299 (fenomeni magnetici); ed infine nell’articolo”Sulle linee fisiche di forza magnetica” (giugno 1852), apparso sui Royal Institution Procedings. Relativamente alla realtà fisica delle linee di forza magnetica Faraday fu portato ad affermarla dai risultati di un brillante e semplice esperimento da lui ideato. Muovendo un filo conduttore, collegato con un galvanometro, nelle vicinanze di un magnete, il galvanometro indicava passaggio, di corrente. Faraday non poteva pensare che il mero movimento del filo nel campo magnetico producesse le linee di forza le quali, in qualche modo, dovevano preesistere con la loro, appunto, realtà fisica.

(2) I “puncta”o “prima elementa” di “Boscovich. A proposito dell’atomismo dì Boscovich vedi: AA. VV. – Roger Joseph Boscovich … – Lavcelot law Whyte – London 1961 – pagg. 102-126. 


LA SITUAZIONE DEI CONCETTI DI ATOMO E PARTICELLA NELLA PRIMA META’ DEL SECOLO XIX 


I PRIMI LAVORI DI FARADAY


Alla fine del XVIII secolo ed agli inizi del XIX gli interrogativi sulla costituzione della materia cominciarono ad interessare sistematicamente la fisica.
Anche la chimica lavorava su questo problema ed i chimici pur ritenendo l’ipotesi dell’atomo come molto utile e proficua non si sentivano per questo obbligati ad ammetterne l’effettiva esistenza. La teoria atomica infatti poiché è funzionale alla spiegazione delle leggi chimiche può non tener conto della dimensione effettiva degli atomi: possiamo rimpicciolirli fino a ridurli a meri punti matematici, le leggi chimiche non cambiano ma, nel contempo, il discontinuo si avvicina vieppiù al continuo e l’atomo, pur mantenendo la sua individualità, in pratica non esiste più.
Furono proprio i chimici, soprattutto ad opera di Dalton, a dare un notevole impulso alla teoria atomica. Gli atomi di Dalton, insieme elle leggi delle proporzioni costanti e multiple, erano serviti alla spiegazione di una quantità di fenomeni. E l’ipotesi atomica era l’unica teoria complessiva che, all’epoca, permetteva un’interpretazione estremamente intuitiva di un gran numero di leggi generali della chimica. E’ chiaro quindi che gli atomi si ponevano sempre come elementi da dover tenere in considerazione là dove si scopriva un nuovo fatto o si cercasse 1’interpretazione di qualche fenomeno. In ogni caso, nel contesto dell’Europa degli inizi dell’800, non si poteva non tener conto di questi atomi che fra l’altro erano ormai entrati nel linguaggio e nella mentalità di tutti i ricercatori soprattutto ad opera delle scuole francese ed inglese. Chiunque si cimentasse in lavori di ricerca e passasse dal fatto fenomenologico alla sua interpretazione teorica si scontrava con l’uso delle parole atomo e/o particella; e ciò al di là dell’accettazione contestuale del termine ed al di là del significato che ciascuno gli attribuiva.
Anche Faraday fa uso di continuo in tutti i suoi primi lavori sia del termine “atomo” sia di quella più generico di “particella” ma senza eccessiva convinzione, di passaggio, in modo strumentale. Si ha l’impressione che Faraday accetti la teoria di Dalton solo per quello che può servigli alla spiegazione di alcuni fenomeni e per comunicare agli altri, con l’intenzione di farsi capire, le sue ricerche. Il suo non ben definire né queste particelle né questi atomi fa intendere che Faraday sta costruendo una sua teoria della materia alla quale dovrà portare a sostegno, come suo uso, una grossa base sperimentale.
Il primo accenno del tipo citato a particelle si ha in una lettera (1) che Faraday, il 2 maggio 1826, indirizza a C. Daubeny. In questa lettera Faraday, occupandosi del problema dal riscaldamento dell’acqua mediante lava vulcanica, sostiene che non ci può essere alcun dubbio che di due particelle contigue di acqua quella che è più scaldata salirà (2)». 


(1) Tutte le lettere che saranno citate nel seguito, salvo  indicazione contraria,  sono tratte da “The selected correspondence of Michael Faraday” a cura di L. Pearce Williams, Cambridge University Press, 1971. L’indicazione bibliografica sarà di volta in volta data con le iniziali S.C. seguite dal numero d’ordine della lettera.

(2) S.C. 78 “May be the can little doubt that of  two contiguous particles of water the one which is warmed more than the other will ascend …”.


Il successivo accenno significativo (1831) a particelle, sempre di passaggio come quello ora citato, si ha al paragrafo 76 delle “Ricerche Sperimentali sull’Elettricità” (1) in cui Faraday definisce lo stato elettronico dello materia come quello in cui “le particelle omogenee della materia appaiono aver assunto una regolare ma forzata sistemazione nelle direzione della corrente”(2). 
Nella quarta e quinta serie(1833) dell’E.R.E. (3) le particelle sembrano assumere maggior significato in quanto Faraday pensa che il potere di condurre, sia l’elettricità che il calore, dei corpi, e gli stati di aggregazione della materia potrebbero in qualche modo dipendere dal reciproco “incatenamento delle particelle ai loro posti”(3) o meglio dalla “condizione corpuscolare delle sostanze interessate”. (3)
Faraday va avanti con questo uso della parola particella (4) che se da una parte non si inserisce in un contesto teorico determinato, dall’altra appare non debba venir confusa con l’atomo della teoria atomistica di Dalton: essa sembra essere per Faraday un pezzetto di materia che non ha nulla a che vedere con i costituenti ultimi della materia.


(1) “Faraday’s Experimental Researches in Electricity” – 1° volume: B. Quaritch, Londra 1839; 2° volume: B. Quaritch, Londra 1844; 3° volume: R. Taylor e W. Francis, Londra 1855. L’indicazione bibliografica sarà di volte in volta data con le iniziali E.R.E. seguite dal numero d’ordine del paragrafo. 

(2) E.R.E. 76 -“the omogeneus particles of matter appear to have assumed a regular but forced electrical arrangement ih the direction of the current…”.

(3) E.R.E. 412 – 413 – 416. “… by chaining the particles to their places…”, “… two conducting powers … appeer to be directly connected with the corpuscolar condiction of the substances concerned … “.

(4) E.R.E. 518 – 519 – 520 – 521 – 522 – 523. “…the elementary particles have a mutual relation to, and influence upon each other, extending beyond those with which are immediately combined… ” 


E’ interessante comunque notare il paragrafo 532 in cui Faraday affronta il particolare aspetto degli assunti che fa per la sua teoria della decomposizione elettrochimica. Per la prima volta si accenna ad una azione che non si esaurisce nella particella o nelle immediate vicinanze di essa: “le particelle elementari hanno una mutua relazione, e si influenzano l’un l’altra al di là di quelle particelle con cui esse sono immediatamente combinate”. (vedi nota 4 di pagina precedente) .Questo concetto sarà comunque sviluppato nella sesta serie dell’E.R.E. (833) (1).
Così Faraday va avanti, ed ogni tanto le sue ricerche sperimentali gli fanno usare una parola che egli in qualche modo rifiuta. E’ ora la volta della parola atomo. Infatti nella settima serie (del 1834) dell’E.R.E  (2) incontriamo per la prima volta il passaggio dalle generiche particelle ai più conosciuti atomi. Faraday incomincia con l’associare ad ogni atomo una certa quantità di elettricità (3) ma subito avverte “debbo confessare di essere geloso del termine atomo poiché sebbene sia molto facile parlare di atomi, è molto 


(1) E.R.E. 619 – 624 – 657 – 658.

(2) E.R.E. 852 – 856 – 860 – 869 – 870.

(3) E.R.E. 852.


difficile formarsi una chiara idea sulla oro natura” (1). Anche se dubbioso, Faraday continuerà ad usare la parola atomo e nell’ottava serie (aprile 1834) dell’E.R.E. (2) svilupperà il concetto delle quantità di elettricità associata ad ogni atomo. Ma subito ci ripensa ed in una lettera di risposta (giugno 1834) ad uno studente (Ward) che gli chiedeva consigli per sperimentare una sua teoria sulla struttura atomica, Faraday, dopo avergli detto che gli esperimenti fanno sempre bene, afferma che: “Una riflessione molto breve sul progresso delle filosofia sperimentale le mostrerà che non vi è disturbo più grande alla ricerca di teorie precostituite. Ho pensato a lungo ed attentamente sulle teorie di attrazione e di particelle e di atomi di materia e più ci penso (aiutato dall’esperienza) e meno chiara mi appare la mia idea di un atomo o particella di materia”. (3)



(1) E.R.E. 869. “…I must eonfess I am jealous of the term atom; for though it is very easy to talk of atoms, it is very difficult to form a clear idea of their nature .,.”

(2) E.R.E. 961.

(3) S.C. 170. “… A very brief consideretion of the  progress of experimental philosophy will show you that it is a great disturber of pre-formed theories.
I have thought long and closely about the theories of attraction and of particles and atoms of matter, and the more I think (in association with experiment) the less distinct does my idea of an atom or particle of matter become …”


I CONTRIBUTI DI A.M. AMPÈRE E DI O.F. MOSSOTTI


E’ interessante a questo punto ricordare un articolo (1835) (1) che sembra non essere mai stato preso in considerazione da Faraday. La circostanza è strana per due motivi: l’autore dell’articolo (il vecchio Ampère) era famoso ed in corrispondenza con Faraday da più di dieci anni, il giornale su cui è stato pubblicato (Annales de Chimie e de Physique) era comunemente letto, come dimostrano le sue continue citazioni, da Faraday. In questa memoria Ampère ricapitola sulle conoscenze della teoria atomistica, definendo e precisando con cura alcuni concetti fondamentali, ed inoltre assegna con precisione delle forze attrattive e repulsive agli atomi in modo che le teorie atomiche cominciano a presentarsi come teorie fisicamente strutturate e l’atomo non più come un concetto limite ma come realtà con attributi fisici (2).
Con molta chiarezza Ampère chiama particella “una porzione infinitamente piccola di un corpo e della sua stessa natura, in modo che una particella di un corpo solido è solida, 


(1) “Note de M. Ampère sur la Chaleur et sur la lumière constdérées comme resultant de mouvements vibratoires”.  Anneales de Chimie et de Physique, t. 58 – S. 2 -1835 – pagg. 434-444.

(2) In pratica si tratta di utilizzare l’atomo non più per quello che serve alla chimica, ma per quello che serve alla fisica. Su questa strada si era mosso già Laplace nella sua “Teoria dei fenomeni capillari” (allo scopo vedi “Laplace” a cura di 0. Pesenti Cambursano nella collezione dei Classici della Scienza U.T.E.T. pagg. 714-720) introducendo però, oltre all’interazione “meccanica” tra le particelle,  anche quella tra la loro”atmosfera di calorico”.


quelle di un liquido, liquida, e quelle di un gas, allo stato aeriforme”(1). E, continuando, questa particella è per lui composta dall’aggregazione di più molecole che sono “tenute a distanza: 1° de ciò che resta a questa distanza delle forze attrattive e repulsive proprie degli atomi; 2° dalla repulsione che stabilisce fra esse il movimento vibratorio dell’etere interposto; 3° dell’attrazione in ragione diretta alle masse ed inversa al quadrato delle distanze” (1). La molecola è poi “un insieme di atomi, forze attrattive e repulsive proprie di ogni atomo, forze che io ammetto essere talmente superiori elle precedenti, che quelle possono essere considerate in confronto come quasi impercettibili”, mentre gli atomi “sono i punti materiali da cui emanano queste forze attrattive e repulsive” (1). 
Il lavoro di Ampère, per questa parte di cui ci siamo occupati, trae alcune conseguenze interessanti che si ricavano dalle sue definizioni di molecole ed atomi: “la molecola è essenzialmente solida, sia che il corpo a cui essa appartiene sia solido, liquido o gassoso; … le molecole hanno necessariamente la forma di un poliedro, del quale i loro atomi, o 


(1) “… J’appelle particule une portion infiniment  petite d’un corps et de mime nature que lui, en sorte qu’une particule d’un corps solide est solide, celle d’un liquide, liquide, et celle d’un gaz, à l’état aériforme.
Les particules sont composées de molécules tenues a distance 1° par ce qui r est e a cette distance des forces attractives et répulsives propries aux atomes; 2° par le répulsion qu’établit entre elles le mouvement vibratoire de l’éther interpose; 3° par l’attraction en raison directe des masses et inverse du carré des distances. Je nomme molécules un assemblage d’atomes tenues à distance par les forçes attractives et répulsives propres a cheque atome,  forces que j’admet être tellement supérieures aux precédentes, que celles-ci peuvent étre considérées relativement comme presque insensibles. Ce que j’appelle atomes ce sont les points matériels d’où émanent ces forçes attractives et répulsives.
Il suit de cette définition des molécules et des etomes qua la molécule est essentiellement solide,  que le corps auquel elle appartient soit solide, liquide ou gazeux; que les molécules ont nécessairement la forme d’un polyédre, dont leurs atomes, ou du moina un certain nombre de ces atomes, occupent les sommets …”.


almeno un certo numero di questi atomi, occupano i vertici” (nota 1 di pag. prec.)
Ebbene, secondo me, da queste definizioni che implicano una teoria completa è possibile sia ritrovare, per usare il linguaggio di Kuhn, il “paradigma” laplaciano e meccanicista per cui Ampère si inserisce in questo contesto, sia prefigurare la teoria di campo con annesse le linee di forza faradyane, quando si vogliano interpretare in un contesto diverso le forze attrattive e repulsive che emanano dagli atomi e quando quei punti materiali di cui parla Ampère vengono intesi nel senso boscoviciano di punti matematici. In ogni caso, secondo l’odierno modo di vedere, in mancanza di prove sperimentali che assegnino il primato ad una delle due teorie (quella di Boscovich e quella di Ampère), ambedue dovevano ritenersi equivalenti ed è solo il valore euristico e/o preconcetto (1) di una delle due che la poteva far preferire (2).
Un altro lavoro (3) che ebbe notevolissime conseguenze e che si muoveva su linee esterne 


(1) Su questo argomento, che ritengo particolarmente importante,  ritornerò ella fine di questo lavoro,  quando sarà il momento di trarre qualche conclusione.

(2) Lo stesso Boscovich aveva sostenuto che più una teoria è semplice ed elegante,  più essa ha la possibilità di essere vera.  Allo scopo vedi: R. Champeix: Savants méconnus, inventions oubliées – Dunod, Parigi 1966, pag. 124. 

(3) O. F.  Mossotti: “Sur lés forces qui régissent la constitution intérieure dea corps“, Agosto 1836. Vedi: Mossotti – “Scritti“, 2° volume; tomo 1°- pagg. 158 – 185,  Domus Galileiana – Pisa – 1951.


a quelle di Ampère e del meccanicismo in genere, è quello che nel 1836 pubblicò O. F. Mossotti e che in seguito Faraday terrà in gran conto. E’ certo che questo scritto di Mossotti si muove sulla linea indicata da Boscovich. E’ interessante notare che la linea boscoviciana nasceva per motivi euristici di non possibilità di accettazione teorica della discontinuità che si viene a creare nelle variazione della quantità di moto nell’urto di due particelle (1).
Nella sua memoria Mossotti, dall’osservazione di alcuni fatti sperimentali tra cui la resistenza dei corpi alla compressione, ricava l’idea che tra molecole debbono agire forze repulsive alle minime distanze, che variano rapidamente fino a diventare attrattive (equilibrio stabile delle molecole) ad una distanza più grande (ma sempre piccolissima), e infine, che decrescono “in ragione inversa al quadrato della distanza, quando quest’ultima, è divenuta sensibile, per rappresentare l’attrazione universale” (2). E’ proprio a quella distanza intermedia che Mossotti suppone che le molecole “si trovino nelle composizione dei corpi”.
A questo punto Mossotti sottopone all’analisi la sua teoria, arricchendola di alcune ipotesi aggiuntive (3) che facevano parte del contesto di ricerca dell’Europa della prima metà


(1) Max Jammer: “Storia del concetto di Forza“- Feltrinelli.

(2) “… et enfin elle doit décroître en raison inverse du carré de la distance, lorsque celle-ci est devenue sensible pour représenter l’attraction universelle …”  “…  s’environnent d’une atmosphére dont la densité decroît suivant une fonction de la distance,  qui contient un facteur exponentiel …”

(3) Le molecole materiali, come punti isolati e di forma sferica,  si suppongono immerse in un etere indefinito e continuo. Si suppone inoltre che tra queste molecole e tra gli atomi esistano due particolari forze attrattive ed una repulsiva come suggerito dalla teoria di Epino (che a sua volta l’aveva derivata da Franklin).  Per la teoria di Epino vedi comunque a pag. 16l della nota in oggetto.


del XIX secolo, e trova che queste molecole materiali “si circonderanno  di una atmosfera la cui densità decresce seguendo una funzione  della distanza che contiene un fattore esponenziale” (nota 2 di pag. prec.) e “poiché l’equazione differenziale che determina la densità è lineare, essa è soddisfatta da una somma qualunque di queste funzioni corrispondenti ad un numero qualunque di molecole, da cui segue che le loro atmosfere si possono sovrapporre o penetrare l’una nell’altra senza che l’equilibrio dell’etere ne sia disturbato” (1).

L’articolo in questione termina con una ventina di pagine,  fitte di conti, che portano appunto alla conclusione che Mossotti aveva anticipato.


(1) “… L’équation différentièlle qui détermine la densité étant linéaire, elle est satisfaite par une somme quelconque de ces fonctions correspondentes a un nombre quelcomque de moléculee, d’où il s’en suit, que leurs atmosphéres peuvent se superposer, ou pénétrar l’une dans l’.autre sans que l’èquilibre de l’éther en soit dérangé …”.


LE ULTERIORI RICERCHE DI FARADAY ED IL DIBATTITO FINO AL 1844


Faraday viene subito a conoscenza del lavoro di Mossotti e ne rimane particolarmente eccitato ed interessato tanto che, poiché non ha conoscenze matematiche, chiede subito (dicembre 1836), con una lettera , il parere del suo amico Whewell sullo scritto ed in particolare “sulla correttezza dei ragionanenti matematici” (1) dei quali egli dichiara di non poter essere giudice.
  Egli comincia dunque a lavorare all’ipotesi di Mossotti e nel frattempo le sue idee si arricchiscono di nuovi contributi che altri ricercatori costruiscono. E’ da notare in particolare una lettera (gennaio 1837) che Babbage invia a Faraday in cui si incomincia ad introdurre l’idea di un atomo, del tipo di quello ipotizzato da Mossotti, che, se sollecitato in un certo modo, “irradia in tutte le direzioni, [atomi più piccoli]”(2).
E’ proprio nel 1837 che Faraday porterà avanti nuove idee sulle costituzione e l’interazione di quei corpuscoli e particelle di cui parla sempre più spesso. Nella 11ª serie dell’E.R.E. egli comincia (3) ad avanzare l’ipotesi dell’azione per contatto, ipotesi che svilupperà sempre più in seguito con l’introduzione delle “linee di forza induttiva” che verranno definite per la prima volta nel paragrafo 1304 dell’E.R.E.


(1) S.C. 202 -“… of the correcteness of the mathematical reasoning …”

(2) S.C. 204 -“… there will go on a continued radiation from all parts, [of minor atoms] …”

(3) E.R.E. 1164-1165. 


Intanto Faraday ai sta occupando di fenomeni di conduzione ed isolamento attraverso lo studio dei vari tipi di “scarica” (1), della relazione del vuoto con i fenomeni elettrici, della natura della corrente elettrica e delle sue forze trasversali (2). Questi lavori preciseranno ulteriormente alcune delle idee di Faraday sulle forze a contatto specialmente quando egli si trova a dover analizzare il ruolo che un eventuale vuoto avrebbe nei fenomeni di conduzione: “le particelle agiscono a distanza solo agendo sulle particelle contigue e frapposte … la più vicina particella esistente essendo considerata come la sola contigua” (3).
E’ evidente che per portare in fondo quell’idea di azione a contatto, che non senza difficoltà Faraday portava avanti, era necessario indagare il ruolo del vuoto nei processi di conduzione. E’ indubbio che l’etere, il quale rispondeva sia alle esigenze dei sostenitori della teoria del continuo (nel caso fosse considerato come fluido uniforme) sia a quelle degli “atomisti” (nel caso fosse considerato come costituito da tanti “atomi di etere”), avrebbe risolto ogni difficoltà di Faraday. Infatti il problema era: se l’azione si può svolgere solo “per contatto”, come è possibile che essa si propaghi nel vuoto? E’ evidente che nell’ipotesi faradyana la materie non presenta difficoltà: è il vuoto che


(1) Dal paragrafo 1320 al 1479 della XII serie dell’E.R.E. e dal paragrafo 1480 al 1612 della serie XIII dell’E.R.E.

(2) Dal paragrafo 1613 al 1666 dalla serie XIII dell’E.R.E.


(3) E.R.E. 1615 -“[the particles] act at a distance, only by acting on the contiguous and intermediate particles … the next existing particle being considered as the contiguous one…”.


impedirebbe il propagarsi delle azioni. Affidarsi all’etere sarebbe stato risolutivo, ma Faraday non usa in questo caso quel concetto che pur si era manifestato uno strumento molto utile per la spiegazione di molti altri fenomeni soprattutto in relazione alla sua formalizzazione in termini matematici. Egli vuole trovare la soluzione per via sperimentale, vuole cioè trovare quelle proprietà che si dovrebbero assegnare allo spazio nell’ipotesi, appunto, di azione per contatto. Se poi qui lo spazio fosse da considerare vuoto oppure no di materia e di forza è un problema che Faraday affronterà più avanti.
    E questa non era un’ impresa di poco conto. La critica dell’azione a distanza comportava l’assegnare delle proprietà fisiche allo spazio vuoto che, in questo modo, veniva ad essere un’altra cosa rispetto allo “spazio assoluto” ed inerte introdotto da Newton. Prima di mettere mano agli esperimenti Faraday inizia le sue indagini teoriche confrontando l’azione a distanza con quella a contatto (per la sua riconosciuta (1) difficoltà ad abbandonare, senza discuterla, la teorie dell’azione a distanza) ed arrivando alla conclusione(2) che l’azione di una “particella, elettrizzate positivamente, che si trova al centro di un vuoto di un pollice di diametro, … su tutte le particelle” disposte intorno


(1) E.R.E. 1615.

(2) E.R.E. 1616 – “Suppose it possible for a positively electrified particle to be in the centre of a vacuum an inch in diameter, nothing in my present views forbids that the particle should act at the distance of half an inch on all the particles forming the inner superfices of the bounding sphere, and with a force consistent with the well known law of the squares of the distance…”


sfericamente “alla distanza di mezzo pollice” è la stessa sia quando tra questa particella centrale e le altre c’è il vuoto, sia quando c’è materia isolante (a causa dell’effetto polarizzante che la particella centrale ha su quelle vicine). Faraday non è però ancora completamente convinto, tanto è vero che sente la necessità di indagare ancora sia con speculazioni teoriche sia con ricerche sperimentali. Egli torna quindi a riconsiderare la natura della corrente elettrica (I) sia originata da eccitazione sia da scariche di vario tipo, l’azione elettrolitica (2) ed il calore prodotto dal passaggio di corrente (3), rifacendosi per quest’ultimo argomento agli esperimenti in proposito di A. De la Rive, Davy, Pelletier, Becquerel e Harris.
Arriva quindi alla conclusione che “la vera natura della corrente è sempre la stessa; in essa ci sono dovunque due forze … ed appare impossibile assumere una corrente costituita solamente da forza positiva” (4). Evidentemente ciò cozza con la dottrina della unipolarità che Faraday rigetta affermando che “i fatti portati a sostegno della teoria dell’unipolarità non contrastano con quella unità ed indivisibilità del carattere che  io ho 


(1) E.R.E. 1617 sino 1620.


(2) E.R.E. 1621 sino 1624.


(3) E.R.E. T625 sino 1626. 


(4) E.R.E. 1627- “… It is a most important part of the chara cter of the current, and essentially connected with its very nature, that it is always the same. The two forces are everywhere in it … It appears to me to be as impossible to assume a current of positive or a current of negative force alone,…”


mostrato che la corrente possiede”(1) anzi qualche fatto, oltre alla pila, contrasta addirittura con questa teoria. Tutte queste considerazioni, insieme ad altre sulle scariche elettriche nell’atmosfera (2), sul loro impiegar tempo (2), sulle forse trasverse della corrente (3), sugli effetti magnetici prodotti dalle scariche disruptive (4) oltre a molte esperienze sull’introduzione di dielettrici di diversa capacità induttiva tra poli magnetici e fili trasportanti corrente (5) portano Faraday “ad indulgere in qualche speculazione” (6). Egli afferma allora che le forze polari dell’elettricità sono originate per contatto e quindi, estrapolando, conclude che “tutte le forze polari agiscono nello stesso modo” e “poiché una forza o trova o sviluppa la contraria vicino ad essa, allora non ha occasione di cercarla a distanza” (7), riproponendosi di verificare ciò meglio in futuro (8).


(1) E.R.E. 1636 – “… the facts upon which the doctrine of unipolarity was founded are not adverse to that unity and indivisibility of character which I have stated the current to possess, …”


(2) E.R.E. 1641. 


(3) E.R.E. 1653. 


(4) E.R.E. 1656.


(5) E.R.E. 1662 – In proposito vedi anche la serie XI dell’E.R.E ed in particolare i paragrafi 1270 e 1277.


(6) E.R.E. 1658 – “… I am now very much temted to indulge in a few speculations…”.


(7) E.R.E. 1665 – “… all polar forces act in the same general manner … for the one force either finds or developes thè contrary force near to it, and has, therefore, no occasion to seek for ìt at a distance …”


(8) E.R.E. 1662 – 1664. 


E’ dunque l’unità ed indivisibilità delle forza elettrice che porta Faraday alla conclusione della polarità di tutte le forze elettriche. Questo fatto comportava inoltre che, come nella decomposizione elettrochimica l’azione è trasmessa da particella a particella, anche nella forza elettrostatica si doveva avere una azione da particella a particelle, un’azione cioè a contatto e non a distanza. Poiché poi la trasmissione della forza elettrostatica dipende dal tipo particolare di particelle del dielettrico interposto è evidente che queste particelle debbono manifestare un qualche effetto sulle forze stesse (effetto connesso, come appunto Faraday aveva dimostrato, con la capacità induttiva specifica del dielettrico in gioco). Tutto ciò porta alla conclusione che tutto il processo induttivo ha sede nelle particelle interposte e non meramente nei terminali.
Per fornire un’altra prova dell’azione da particella a particella e quindi non a distanza,  sulla retta congiungente i due terminali, Faraday fa riferimento ad un fatto sperimentale che evidenzia la “curvatura” dell’azione.
Nella decomposizione elettrochimica gli elettrodi si ricoprono uniformemente delle sostanze decomposte. Se l’azione fosse lungo la retta congiungente, ciò non sarebbe possibile essendovi una preponderanza di materiale decomposto sulle parti degli elettrodi che ti trovano affacciate.
E l’azione in linea curva è giustificabile solo ricorrendo egli effetti di volume delle particelle interposte e “forzate” tra gli elettrodi. Ecco allora una prova che sarà impossibile ricondurre all’azione a distanza e che darà a Faraday la conferma dell’azione preponderante del mezzo interposto che, appunto, non è inerte, ma capace di azioni fisiche. Il fatto poi che, dallo studio dei dielettrici, Faraday riesce a provare che anche lì l’azione avviene per linee curve (1) servirà de una parte a mostrargli la correttezza dei suoi ragionamenti relativi all’azione per contatto e, dall’altra, a confermargli il suo programma di unità, intanto, delle forze elettriche.

In tutti questi ragionamenti è ovvio che assume grande importanza la linea di forza induttiva. Essa, come abbiamo visto, è una linea di tensione tra molecole che, appunto a causa di questa tensione, risultano polarizzate, cioè forzate in “una disposizione per cui la stessa molecola acquista opposte potenze in parti differenti” (2) da una medesima forza (ed è per questo motivo che la “potenza” positiva, è sempre  uguale a quella negativa: risultando di una medesima forza)(3).
Ecco allora come si vanno precisando le idee di Faraday sulla costituzione della materia: da une parte egli ritiene necessaria la presenza di particelle per originare e mantenere l’azione, dell’altra le rifiuta quando afferma che è l’azione tra particelle che lo interesse e non le particelle che “non sa” definire,
Faraday sa che ha ancora bisogno di precisare il ruolo del vuoto e della materia per stabilire la natura della forza elettrica ed è per questo che torna su questi argomenti nella 


(1) E.R.E. 1215 e tavola VII.


(2) E.R.3. 1304 – “… a disposition of force by which the same molecule acquires opposite powers on different parts …”


(3) Questo modo di intendere il processo di induzione mediante polarizzazione delle particelle di materia sarà superato de Faraday in E.R.E. 3243 sino 3362, in cui parlerà della polarizzazione non più come uno stato della materia ma come un qualcosa da assegnare alle linee di forza per indicarne la direzione (3361). Si osservi che è in questa parte dell’E.R.E. che Faraday assegna una realtà fisica alle linee di forza.


XIV serie l’E.R.E. del giugno 1838, dove studia con particolare attenzione i problemi connessi con la polarizzazione di un dielettrico mediante induzione. Nel portare avanti questi esperimenti Faraday scrive delle cose, sulla costituzione della materia, che si servono tutte, ancora, di una terminologia completamente atomistica. Egli fa riferimento ad una “teoria” (1) non ben precisata per andare a mettere insieme tutte le conoscenze sulle particelle e/o atomi che a quel punto gli servono. Nel far questo mescola assunti suoi, con assunti ricavati delle opinioni della scienza ufficiale sull’argomento, con considerazioni che egli ricava dagli esperimenti.
Tutte le particelle, secondo Faraday, sia quelle di materiale conduttore che quelle di un isolante sono conduttrici (1). Queste particelle nello stato normale non sono polari ma lo possono diventare, istantaneamente, sotto l’azione delle particelle cariche più vicine (2). Ovviamente lo stato di particella polarizzante è forzato e questa particella ha la tendenza a ritornare nel suo stato normale (3).


(1) E.R.E. 1669 -“… the teory assumes the al the particles, whether of insulatìng or conducting matter, are as whales conductors …”
Altre proprietà sono assegnate da Faraday alle particelle, sempre in base a questa teoria non ben precisata, nei paragrafi da 1670 a 1678.


(2) E.R,E. 1670.


(3) E.R.E. 1671.


In ogni caso “ciascuna particella può accumulare una enorme quantità di potenza” (1). Ma ciò che più interessa è che “comunque complicata possa essere la composizione di un corpo, tutti quegli atomi o quelle particelle che sono tenute insieme dalle affinità chimica per formare una molecola del corpo risultante, agiscono come una massa o come particella conduttrice, quando la sostanza in considerazione è sotto induzione o polarizzata”(2).
Queste ultime affermazioni di Faraday ci fanno intendere un poco meglio l’uso della sua terminologia.

Innanzitutto Faraday sembra che abbia usato fin qui la parola “particella” proprio per rimanere nel vago di una cosa a cui deve riferirsi ma che non gli risulta ben definita. Tanto è vero che la parola “atomo”, proprio perché è riluttante ed essa per sua esplicita affermazione (3) viene da lui usata proprio quando non ne può fare a meno. In questo caso, infatti, dovendo parlare di “molecole” ed essendo ormai accettato dal linguaggio comune che la molecola è composta di atomi, non può fare a meno di usare quella parola che gli è tanto ostica. Conseguenza di ciò è che fino ad ora Faraday ha usato 


(1) E.R.E. 1686 – “… the quantity of power which can thus be accumulated on a single particle is enormous …” 


(2) E.R.E. 1700 – “… however complicated the composition of a body may be, all those perticles or atoms which are heldn together by chemical affinity to form one molecule of the resulting body, act as one conducting mas or particle when inductive phenomena and polarization are produced in the substance of which ìt is a part …” 


(3) S.C. 170 (citata). 


consciamente la parola particella, più sfuggente come sinonimo della parola atomo, più impegnativa per il suo riferimento preciso a tutto un contesto ed una tradizione di tipo meccanicista. 
Quindi per Faraday “particella” ed “atomo” sono la stessa cosa ben distinta da “molecola” che comporta aggregazione di atomi o particelle. Questa molecola poi, comunque complicata possa essere, è dotata di massa, e risulta un tutt’uno con proprietà di condurre anche se il corpo, di cui la molecola è parte, è un isolante. Poiché fin qui Faraday non fa altri riferimenti alla massa, quello che viene spontaneo affermare è che se una molecola ha massa, e se questa molecola è composta di più atomi, ciascun atomo ha una parte della massa totale della molecola. Viste poi le considerazioni che Faraday ha già fatto, e che ho già riportato, a proposito del vuoto che non può essere conduttore, sembrerebbe qui che atomi di per sé conduttori (1) per il solo essere aggregati in molecole con altri atomi forniscano alla intera molecola la proprietà di essere conduttrice se si è sotto induzione o in condizioni di polarizzazione. Ovviamente l’idea di Faraday è guidata dalla azione a contatto e solo il “contatto” tra atomi può originare quella molecola a cui si riferisce. E’ quindi la condizione forzata di polarizzazione che fornisce alla molecola le proprietà di essere conduttrice? La molecole di per sé lo sarebbe indipendentemente da polarizzazioni, o da induzioni? Da quello che Faraday dice non sì capisce ed il fatto che egli non spieghi questa differenza di stato è ancora, secondo me, una prova del suo muoversi con circospezione tra tradizione e rinnovamento. Una annotazione importante la si può ancora ricavare da questa XIV serie dell ‘E.R.E. La tesi che Faraday porta avanti in tutte le sue ricerche è quella dell’identità delle forze elettriche e magnetiche e comunque egli è alle ricerca di un unica causa all’origine dei vari fenomeni che le natura ci presenta (in questo seguendo Bo scovich che per primo, appunto, cercò di ricondurre tutti i fenomeni esistenti in natura ad un’unica spiegazione).
Questa condizione fa affermere a Faraday, di passaggio e quasi per caso, che “le particelle di un dielettrico isolante, sotto induzione, possono essere paragonate ad una serie di piccoli aghi magnetici” (2) realizzando così, almeno intenzionalmente, un tentativo di unificazione fra elettricità e magnetismo. Ovviamente sia le ricerche sperimentali che le speculazioni teoriche di Faraday non passano sotto silenzio ed insieme ai riconoscimenti, non mancano critiche anche aspre a tutti i sui lavori. Valga per tutte 1a disputa che Faraday ebbe con R. Hare (3) tra il 1840 ed il 1841.
Le obiezioni che Hare mosse a Faraday, relativamente alla problematica di cui ci stiamo occupando, in una lunga lettera (4) dura e puntigliosa, sono sostanzialmente tre e tutte sulla poca chiarezza di alcuni termini usati da Faraday.


(1) E.R.E. 1669.

(2) E.R.E. 1679 – “… the particles of an insulating dielectric whilst under induction may be compared to a series of small magnetic needles …” 

(3) Professore di chimica all’università di Pennsylvania.

(4) S.C. 242 “… What is a sensible distance, if half an incà is not? … As the theory which you have proposed, gives great importance to the idea of polarity, I regret that you have not defined the meaning which you attach to this word …”


Hare ricorda dapprima che l’induzione, secondo Faraday, è l’azione di particelle contigue cioè non di particelle a sensibili distanze, ed osserva che c’è contraddizione con quanto Faraday sostiene nel paragrafo 1615 dell’E.R.E. dove si parla di una particella che agisce sulla sfera di quelle circostanti alla distanza di un mezzo pollice. Hare chiede quindi: come è possibile questa azione ad una distanza di mezzo pollice se l’induzione è tra particelle contigue? “Cos’è una distanza sensibile se mezzo pollice non lo è? (nota precedente n° 4).
Altra obiezione mossa da Hare è la seguente: “Poiché la teoria che lei ha proposto dà grande importanza all’idea di polarità, mi rammarico che non abbia definito il senso che dà a questa parola…”(nota precedente n°4).
Ultima obiezione nasce dalla considerazione che, come Hare crede di interpretare da Faraday, poiché ciascuna particella polarizzata deve avere almeno due poli, questo comporta che l’idea della polarità richiede che ci siano in ogni corpo che la possiede due
opposti poli. “Ma se tutto questo è vero, come può esserci una particella eccitata positivamente?”(1)
Faraday rispose a queste obiezioni con una lettera (2) altrettanto lunga a puntigliosa, in cui riafferma sostanzialmente il suo modo di vedere, che ci interessa in quanto chiarisce alcuna questioni che riguardano il tema in discussione. 

Egli parte dal riconoscimento che l’uso della parola “carica” è equivoco ed allora specifica che “semplice carica non implica … polarità nel corpo caricato. Mentre carica induttiva … la implica” (2). Dopo di che continua rimandando Hare ad  una nota che lo stesso Faraday aveva apposto al paragrafo 1665 dell’E.R.E. in cui in sostanza si affermava che particelle contigue sono quelle vicine non quelle che si toccano. Fatta questa precisazione Faraday aggiunge che “su quel punto riguardante particelle contigue e induzione attraverso mezzo pollice di vuoto” (2) non vede perché sia in contraddizione con se stesso o con ogni fatto o legge naturale e conclude affermando che, pur non essendo per lui l’azione attraverso il vuoto una azione di induzione ordinaria, come quella che si ha attraverso particelle contigue, non vede perché non debba avvenire allo stesso modo (3).
La replica (4) di Hare non si fa attendere.
Il chimico americano prende atto del fatto che Faraday ha scelto male il termine  “contigue” e osserva che le induzioni non possono essere ordinarie e straordinarie ma solo di un unico tipo. Ciò che aggiunge di nuovo è la seguente affermazione: “è provato che, in accordo con le sue teorie, l’induzione elettrica richiede l’intervento di materia; ma lei ammette che essa agisce attraverso il vuoto, e, naturalmente, agisce senza la presenza di materia ponderabile …” (2) di conseguenza, secondo Hare, Faraday è più che mai in contraddizione con se stesso.

Nell’ulteriore risposta (5) Faraday chiude seccato questa corrispondenza ritenendola inutile e dispendiosa dì tempo.
E’ interessante, a conclusione di questo paragrafo, fare qualche osservazione di carattere generale che prende spunto da questa controversia con Hare ma che è riferita ad ogni controversia che Faraday ha sostenuto.
E’ indubbio che gran parte delle dispute che si accendono tra chi tenta di dare nuove interpretazioni ai fenomeni naturali e chi invece vuole mantenere il punto di vista del passato, quello accettato dalla scienza ufficiale, nascono, oltreché per differenze di carattere pregiudiziale, soprattutto per motivi di linguaggio. Ed il linguaggio è certamente un momento importante della comunicazione delle idee. Si pensi allora al grave disagio di chi, in una situazione dì tradizione, se non di conservazione, deve comunicare agli altri, ed in particolare a questi altri, i risultati dei suoi lavori che vanno ad intaccare, o quantomeno non sono in linea con le scienza ufficiale. Ebbene questa comunicazione deve necessariamente avvenire con le parole che la vecchie scienza utilizzava in un altro senso, o con più significati, o, in ogni caso, con l’introduzione di parole nuove che, proprio per la loro novità ingenerano immediate reazioni di scetticismo, quando non di ostilità. E’ infetti già difficile, particolarmente nella fisica, comprendere appieno il senso di vecchie parole in relazione a specifici fatti, immaginiamo le difficoltà di far intendere, a chi viene per la prima volta a conoscenze e della parola e dal fatto in un medesimo, ad esempio, articolo, il significato di nuove parole che ancora non sono collegabili a fatti riconosciuti. 
Faraday la sente tutta intera questa difficoltà. Egli, da acuto ricercatore qual è, sa cogliere immediatamente il nocciolo del problema e, proprio nella lettera di risposta alle critiche di Hare, che ci ha dato lo spunto per questa digressione, fa conoscere tutto intero il suo disagio. Egli afferma: “… l’impressione conclusiva che ne ho avuta è che debbo aver espresso in un modo imperfetto il mio pensiero, ma ho la speranza che, quando avrò espresso con maggiore chiarezza le mie parole, potrò guadagnarmi la sua approvazione. Penso che molte parole nel linguaggio della scienza elettrica abbiano più di un significato; e la loro interpretazione varia ancora, più o meno, a seconda dei vari filosofi, cosicché (le stesse parole) non implicano esattamente la stessa idea in menti di uomini differenti: queste (parole), quando sono forzate nel loro uso, per esprimere (un’idea) con tutta la brevità che si concilia con uno che desidera realmente far conoscere il proprio pensiero, rendono con difficoltà (quell’idea) …” (6).


(1) Ibidem. “… But if all thia be true, how can there be a positively excited particle …”

(2) S.C. 245 – “… simple charge therefore does not imply polarity in the body charged. Inductive charge…does…”.
“… So on this point respecting contiguous perticles and induction across half an inch of vacuum, I do not see that I am in contradiction white myself or with any natural law or fact…”.

(3) C’è qui, evidentemente, il riconoscimento da parte di Faraday della possibilità di un’azione a distanza sensibile, in un modo non specificato, con principi analoghi a quelli dell’azione a contatto da particella a particella. E’ probabile che la suggestione di questa insufficienza della sua teoria abbia spinto Faraday ad indagare meglio e, come si vedrà, la successiva speculazione di Faraday “Sulla natura delle materia” supererà questo scoglio.

(4) S.C. 258 -“… It is then proved that, agreeably to your doctrine, electrical induction requires the intervention of matter; but you admit that it acts across a vacuum, and, of course, acts without the presence of ponderable matter….”. 

(5) E.R.E. Vol. 2°, pag. 275.

(6) S.O. 245 (aprile 1840) “… the resulting impression on my mind is, that I must have expressed my meaning imperfectly, and I have a hope that when more clearly stated my words may gain your approbation. I feel that many of the words in the language of electrical science possess much meening; and yet their interpretation by different philosophers often varies more or less, so that they do not carry exactly the same idea to the minds of different men: this often renders it difficult, when such words force themselves into use, to express with brevity as much as, and no more than, one really wishes to say …”.


LA PRIMA SPECULAZIONE DI FARADAY SULLA NATURA DELLA MATERIA.
CONTINUA IL DIBATTITO


Gli sforzi profusi da Faraday per portare a termine la XIV serie dell’E,R.E. (giugno 1838) lo faranno ammalare costringendolo ad abbandonare per sette anni le sue ricerche sperimentali. In questo lasso di tempo Faraday si concentra soprattutto sul problema della costituzione della materia visto che, nel febbraio del 1844, scrive una lettera (1) a Richard Taylor, direttore del Philosophical Magezine, in cui espone ampiamente le sue idee lasciandosi andare a quelle speculazioni che egli stesso aveva sempre, in linea di principio (ma non in pratica), cercato di evitare per paura che interferissero con l’unica realtà che egli riconosceva, quella sperimentale. Questa lettera segna l’abbandono definitivo, da parte di Faraday, di ogni concezione particellare delle materia. 
Faraday inizia questa sua lettere con una serie di critiche alla teoria atomica ed al suo ammettere spazio vuoto (2) tra atomo ed atomo. (3) 
E’ vero che la teoria atomica interpreta bene i fenomeni chimici e cristallografici, sostiene Faraday, ma poiché si sovrappone ai fatti sperimentali senza esserne distinta, uno 


(1) “Speculazione riguardo la conduzione elettrica e la natura della materia“, Philosophical Magazine, S.3, vol. 24, n. 157, pagg. 136-144.

(2) Altrimenti le sostanze non potrebbero né comprimersi né dilatarsi. 

(3) Atomo, naturalmente, inteso come “qualcosa di materiale con un certo volume”.


studioso può interpretarla “come una affermazione dei fatti stessi,benché sia al più un assunto (1) della cui verità non possiamo dire nulla, qualunque cosa possiamo dire o pensare della sua probabilità”(2).
Faraday riconosce quindi l’utilità dell’ipotesi atomica per la speculazione di alcuni fatti (chimici e cristallografici) ma tiene subito a distinguere le teorie e le ipotesi dal fatti. Gli assunti possono essere certamente molto utili, ma se li assimiliamo ai fatti “essi diventano dei pregiudizi che inevitabilmente interferiscono con un chiaro e sospirato giudizio” (3). In Faraday è quindi sempre presente la preoccupazione di sostenere qualsiasi assunto con esperienze probanti e, gli atomi, oltre a “rispondere ad ogni scopo presente” mostrano delle incungruenze con gli studi sull’elettricità e sulla luce che egli portava avanti: “luce ed elettricità (che) sono due grandi e completi investigatori della struttura molecolare dei corpi” (3).
E’ certo dunque per Faraday che alcuni fatti (chimici e cristallografici) si possono spiegare con la teoria atomica, ma è anche certo che questi fatti non sono strumenti di indagine della struttura atomica. Per poter dunque dire qualcosa egli individua degli strumenti (luce ed elettricità) di indagine e, applicatili alla materia, ne trae alcune conclusioni non prima però di aver citato tre grosse incongruenze a cui porterebbe l’accettazione della teoria atomica:


(1) Per “assunto” Faraday intende l’insieme di “teoria ed ipotesi”.

(2) Ibidem, pag. 137 – “… as a statement of facts themselves, though it is at best but an assumption; of the truth of which we can assert nothing, whatever we may say or think of its probability …”.

(3) Ibidem, pag. 137 – “… becomes a prejudice, and inevitably interferes, more or less with a clear – sigihted judgment …  Light and electricity are “two great and searching inveatigators of the molecular structure of bodies …”. 


1) Secondo la teoria atomica, lo spazio, distinto dalle particelle di materia, deve essere considerato come l’unica parte continua nella materia. Se quindi un isolante non conduce è perché lo spazio è un non conduttore; ma allora anche i conduttori non dovrebbero condurre essendo la loro struttura (spazio continuo +  particelle di materia) uguale a quella degli isolanti.
2) Dividendo il peso specifico dei metalli per il numero atomico, nell’ipotesi di volumi eguali di metallo, otteniamo il numero di atomi per unità di volume. Ebbene, applicando questo ragionamento a vari metalli, si trova che: l’oro è uno dei migliori conduttori pur contenendo il minor numero di atomi per unità di volume; il ferro che contiene il maggior numero di atomi per unità di volume è uno dei peggiori conduttori; il rame che contiene tanti atomi quasi quanti il ferro conduce meglio dell’oro ed ha un potere conduttore circa sei volte quello del ferro. Non essendoci nessuna proporzione né dirette né inversa tra il numero di atomi per unità di volume e potere conduttore i dati riportati sono quanto meno “pieni di perplessità”.
3) La terza incongruenza nasce dal confronto, del numero di atomi, dal peso specifico e dal peso atomico tra potassio (eccellente conduttore), potassa (non conduttore) e potassa idrata (1) (non conduttore). Il potassio ha un’unità elementare monoatomica (l’atomo di potassio), la potassa ha un’unità elementare biatomica (un atomo di potassio + un atomo di ossigeno), la potassa idrata ha un’unità elementare tetratomica (un atomo di potassio +  un atomo di ossigeno + un atomo d’idrogeno  + un atomo di ossigeno (1). I1 peso specifico del potassio è 0,865 mentre il suo peso atomico è 40; il peso specifico della potassa idrata è circa 2 mentre il suo peso atomico è 57. Da questi che, per Faraday, sono fatti segue che “un pezzo di potassio contiene meno potassio di un ugual pezzo della potassa formata da esso e da ossigeno”(2) e lo stesso pezzo di potassio contiene meno atomi di potassio di un ugual pezzo della potassa idrata formata da esso, da ossigeno e da acqua cosicché “se un dato volume di potassio contiene 45-atomi, lo stesso volume di potassa idrata contiene 70 atomi circa del metallo potassio ed inoltre 210 atomi in più di ossigeno ed idrogeno” (2). Conseguenza di ciò è che gli atomi di potassio debbono essere molto distanti tra loro in modo da avere molto più spazio che materia; ed allora lo spazio deve essere un eccellente conduttore; ed allora come si spiegano tutti gli isolanti?


(1) Si tenga conto che Faraday accetta l’opinione più diffusa introdotta da Dalton nel 1808, sulla costituzione chimica dell’acqua, ritenendo quest’ultima formata da un atomo di idrogeno ed uno di ossigeno con formula HO. La formula chimica dell’acqua, così come noi la conosciamo (H2O), sarà stabilita quando sarà accettata l’ipotesi di Avogadro (1811)-Ampére (1814) e cioè circa dieci anni dopo questo lavoro di Faraday. Si osservi che il fisico inglese doveva conoscere almeno nella formulazione amperiana, questa ipotesi, e che comunque egli fa riferimento  alla sua enunciazione più diffusa, per attaccare la teoria atomica.

(2) Ibidem, pag. 139 – “… A piece of potassium contaìns less potassium that an equal piece of the potash formed by it and oxygen … If a given bulk of potassium contains 45 atoms, the same bulk of hydrate of potassa contains 70 atoms nearly of the metal potassium, and besides that, 210 atoms more of oxygen and hydrogen …”.


E’ certamente vero che gli atomi attraggono di più la fantasia che non i centri di forza, sostiene Faraday, ma “se dobbiamo fare degli assunti” è meglio farli “tanto piccoli quanto possibili … ed in questo senso gli atomi di Boscovich mi pare che abbiano un grande vantaggio sulla più usuale nozione di atomo” (1).

Ma cosa sono gli atomi di Boscovich? Essi “sono semplici centri di forze o potenze e non particelle di materia” (1), sono dei “punti matematici” circondati da una “atmosfera di forza di cui sono centri” (1). 

Ecco allora che Faraday comincia a chiarire le sue concezioni:
non c’è materia ma centri di forza che sono soltanto dei punti matematici. La sensazione di materia è data dall’impacchettamento di  più atmosfere di forza e sono le forze intorno ai centri che danno a questi ultimi le proprietà di atomi di materia i quali vengono così ad essere estremamente elastici e compenetrabili. Sono le forze che noi percepiamo e non la materia che è un qualcosa di “astratto [e] di cui non c’è nessuna necessità filosofica” (2). La materia senza forze, è inerte. La vera e propria materia sono le forze le quali, essendo presenti in tutto lo spazio rendono questa materia continua e presente dovunque. Stando le cose in questo modo tutte le contraddizioni che nascevano a proposito della conduzione e dell’isolamento, per Faraday, spariscono (3). Riguardo poi agli “atomi di forza” quella che ordinariamente è intesa come forma, intesa dagli atomisti classici come “definita ed inalterabile”, dovrà ora “essere riferita alla disposizione ed alla relativa intensità della forza” (4) sistemata in ed intorno al centro. Questa forza poi: “o può essere uniforme nella disposizione e nell’intensità in ogni direziono al di fuori di questo …; o, dal centro verso l’esterno, la legge di decrescita della forza può variare in differenti direzioni…; o le forze possono essere disposte in modo tale da rendere l’atomo polare; o esse possono circolare intorno ad esso equatorialmente o a seconde del modo di immaginare atomi magnetici” (4).


(1) Ibidem, pag. 140 “… If we must assume…the safest course appears to be to assume as little as possible, and in that respect the atoms of Boscovich appear to me to have a great advantage over the more usual notion. His atoms, if I understand aright, are mere centres of forces or powers, not particles of matter, in which the powers  themselves reside … is a mere matematical point … [with] … atmosphere of force grouped around it …”.

(2) Ibidem, pag. 141 “…the abstract matter … for which there is no philosophical necessity…”.

(3) Faraday non spiega come. Si può pensare che Faraday assegni ad alcune sostanze la caratteristica di essere isolanti e ad altre quella di essere conduttrici a seconda della disposizione delle atmosfere di forza intorno ai centri.

(4) Ibidem, pag. 142 “… that which is ordinarily referred to under the term shape would now be referred to the disposition and relative intensity of the forces. The power arrenged in and around a centre might be uniform in arrangement and intensity in every direction outwards from that centre, and then a section of equal intensity of force through the radii would be a sphere; or the law of decrease of foree from the centre outwards might vary in differant directions, and then the section of equal intensity might be an oblate or oblong spheroìd or have other forms; or the forces might be disposed so as to make the atom polar; or they might circulate around it equatorially or otherwise, after the manner of imagined magnetic atoms. In fact nothing can be supposed of the diaposition of forces in or about a solid nucleus of matter, which cannot be equally conceived with respect to a center …”.


Questa concezione della materia, che in qualche modo si ricollega a tutta la scuola tedesca leibniziana ed idealista, spiega, secondo Faraday, allo; tesso modo della teoria atomica “classica” i fenomeni cristallografici e chimici (che, come abbiamo detto all’inizio di questo lavoro, possono fare astrazione dell’effettiva dimensione degli atomi) ed inoltre è estremamente feconda per la comprensione di fenomeni quali la conduzione elettrica e l’isolamento (assegnando appunto allo spazio, ora non più vuoto ed inerte, queste proprietà) oltre alle combinazioni chimiche, ed in particolare quelle viste prima del potassio e dei suoi composti (affermando la compenetrazione dei centri di forza atomici in modo da formare un atomo o molecola con forze sistemate o uniformemente intorno ad esse o come la risultante delle forze dei due atomi costituenti) (1). E’ evidente che le implicazioni sono molte: innanzitutto c’è un più argomentato rifiuto della teoria dell’azione a distanza con 1’affermazione dell’azione a contatto e quindi ci sono tutti i germi della teoria di campo che Faraday affronta con maggiori dettagli nelle ultime righe di questa lettera:
“Questa concezione sulla costituzione della materie sembrerebbe condurre necessariamente alla conclusione che la materia riempie tutto lo spazio o, almeno, tutto lo spazio a cui si estende la gravitazione (includendo, il sole ed il sistema solare); poiché la gravitazione è una proprietà della materia che dipende da una certa forza, ed è questa forza che costituisce la materia.
In questa concezione la materia non è solo mutuamente compenetrabile, ma ciascun atomo si estende, per così dire, attraverso l’intero sistema solare, pur conservando il proprio centro di forza.
Questo, a prima vista, sembra allinearsi molto armoniosamente can le investigazioni matematiche di Mossotti (2)…e con il vecchio adagio la materia non può agire dove essa non è. Ma non ho alcuna intenzione di entrare in considerazioni di questo tipo, o su quali relazioni questa ipotesi avrebbe con la teoria dalla luce e del supposto etere”(3).
Per sua stessa ammissione Faraday ha costruito une teoria della materia che è indipendente dell’etere ed in pratica, anche se fa riferimento a Mossotti, sostituisce questa entità, che egli non può riconoscere in quanto non sostenuta da alcuna evidenza sperimentale, e che invece Mossotti ammetteva, con le forze e linee di forza a cui assegna, come ho già detto, una realtà fisica. (4)
Con la fomulazione di questa teoria Faraday si mette quindi in contrasto sia con gli atomisti, che volevano atomi e vuoto, sia con chi riteneva che l’etere (continuo e composto da atomi) dovesse permeare tutto lo spazio; ed infatti la sua lettera al Philosophical Magazine si attirò una quantità di critiche e di obiezioni. 
Le critiche più benevole parlano di “vivida immaginazione”, (5) ma subito si passa a ben altre argomentazioni che riguardano soprattutto il “punto matematico” e la sua atmosfera di forza. Essa più che spiegare, legando insieme fenomeni conosciuti, li rimpiazza risolvendo tutta la materia in un’astrazione metafisica (5); ed, in ogni caso, rimane la solita ambiguità nel linguaggio (che è poi non chiarezza di formulazione o mancanza di specificazione), infatti viene subito da pensare:
a) che cos’è un punto matematico? 
b) se il punto matematico è, come lo intendiamo oggi, una singolarità del campo, in che modo si concilia con la pretesa continuità della materia che dovrebbe riempire, appunto,  tutto lo spazio?
c) le idee di punto matematico ed atmosfere di forza sono migliori per interpretare i fenomeni o sono meno in disaccordo con essi?


(1) Su un modo analogo di intendere il legame chimico si era precedentemente espresso anche Davy (vedi P. Williams: The origins of field theory – Random House, 1966; pag.72).

(2) Vedi l’articolo di Mossotti citato.

(3) Ibidem, pagg. 145,146 “… The view now stated of the constitution of matter would seem to involve necessarily the conclusion that matter fills all space, or, at least, all space to which gravitation extends (including the sun and its system); for gravitation is a property of matter dependent on a certain force, and it is this force which constitutes the matter. In that view matter is not merely mutually penetrable, but each atom extends, so to say, throughout the whole of the solar system, yet always retaining its own centre of force. Thia, at first sight, seems to fall in very harmoniously with Mossotti’s mathematical investigation and reference of the phenomena of electricity, cohesion, gravitation, etc. to one force in matter; and also again with the old adage matter cannot act where it is not. But it is no part of my intention to enter into such considerations as these, or what the bearings of this hypothesis would be on the theory of light and the supposed aether…”.

(4) Riporto qui, per comodità, una nota precedentemente fornita. 

Molti degli ultimi lavori di Faraday si occuperanno di questo problema.
Il primo accenno a questa realtà fisica si avrà alla fine della XXVIII serie (ottobre 1851) delle sue”Ricerche sperimentali sulla elettricità” al paragrafo 3175, quindi il concetto verrà sviluppato nell’articolo “Sul carattere fisico delle linee di forza magnetica” (giugno 1852), apparso sul Philosophical Magazine, soprattutto nei paragrafi 3247(fenomeni radianti), 3249 (fenomeni elettrostatici ed elettrodinamici) 3258, 3263, 3264, 3269 sino al 3299 (fenomeni magnetici); ed infine nell’articolo”Sulle linee fisiche di forza magnetica” (giugno 1852), apparso sui Royal Institution Procedings. Relativamente alla realtà fisica delle linee di forza magnetica Faraday fu portato ad affermarla dai risultati di un brillante e semplice esperimento da lui ideato. Muovendo un filo conduttore, collegato con un galvanometro, nelle vicinanze di un magnete, il galvanometro indicava passaggio, di corrente. Faraday non poteva pensare che il mero movimento del filo nel campo magnetico producesse le linee di forza le quali, in qualche modo, dovevano preesistere con la loro, appunto, realtà fisica.

(5) Lettera di T. Mayo a Faraday del 6 marzo 1844: S.C. 279 – “… vivid immagination …”. 


d) ammessa l’atmosfera dì forza, perché al suo centro deve esservi un punto matematico e non un atomo “classico” ? (“Il punto matematico di Faraday o è una semplice negazione, che non ha né grandezza né proprietà, o è esso stesso, dopo tutto, un atomo materiale”) (1);
e) è vero che conosciamo effetti e forze, ma non è possibile pensare queste proprietà disgiunte della materia ? (1)
f) l’ atmosfera di spazio intorno agli atomi materiali non potrebbe essere ritenuta assolutamente indifferente rispetto al potere conduttore ed isolante di una sostanza ? (1)
g) le idee di Faraday sono sostenute da pregiudizi e comunque sono condotte in modo tale da denigrare la teoria atomica; (1)
h) la nuova idea di materia di Faraday è intesa ristretta a quelle forze che si manifestano nelle masse ad insensibili distanze oppure comporta che noi non viviamo soltanto nella materia di cui è costituita la terra ma piuttosto in un miscuglio di tutte le materie solari e planetarie? (2) 

i) finora Faraday aveva sempre sostenuto che, per esempio, i fenomeni di induzione si spiegano mediante l’azione di particelle contigue e non aveva mai fatto cenno a materia priva di ponderabilità mentre ora pare che si riferisca solo a quest’ultima (2);


(1) Ibidem – “… the mathematical point of Dr. Faraday is either a simple negation, as having neither magnitudo nor parts, or is itself, after all, a material atom …”.

(2) Lettera di R. Hare al Philosophical Magazine, S. 3, vol. 26, pagg. 602-607, 1845.


1) benché nell’ idrossido di potassio vi siano più atomi di quelli che vi sono in una uguale massa di potassio è possibile che, nell’ultimo caso, vi sia una maggiore quantità di potenze calorifiche ed elettriche (1). Ed in genere la capacità di condurre di tutti i metalli si può  spiegare “con il loro essere pieni di potenze calorifiche ed elettriche. Quindi le suggestioni di Faraday rispetto alla materialità di quelle che prima sono state designate come le proprietà dei corpi, forniscono gli strumenti per refutare i suoi argomenti contro l’esistenza di atomi ponderadili ed impenetrabili” (1);
m) è vero che gli “agenti fisici”o le forze, che secondo Faraday costituiscono la materia, riempiono lo spazio ma è anche vero che non lo occupano (2);
n) i punti materiali non presentano alcuna condizione intellegibile per originare e rinnovare le forze (2);
o) la sostanza c’è, anche se il termine sostanza è equivoco (2);
p) se le forze elettriche sono le vere responsabili delle reazioni chimiche, quale parte hanno nel fenomeno le sostanze materiali o chimiche?


(1) Ibidem, pag. 606 – “… to their being peculiarly replete with the material powers of heat and electricity.
Hence Faraday’s suggestions respecting the materiality of what has heretofore been designated as the properties of bodies, furnish the means of refuting his arguments against the existence of ponderable impenetrable atoms …”.

(2) Lettera di J. H. Green a Faraday del luglio 1845: S.C. 309.


q) è innegabile che le proprietà di conduzione ed isolamento non appartengono allo spazio; ma non così inevitabile è la conclusione secondo cui un metallo non potrebbe essere un conduttore se non lo fosse lo spazio. Quest’ultima conclusione sarebbe inevitabile come la precedente se noi conoscessimo sperimentalmente che la continuità assoluta è necessaria alla conduzione elettrica. (1)

Insieme alle critiche, vi furono anche proposte alternative alle speculazioni di Faraday. Una spiegazione in termini atomistici delle questioni sollevate da Faraday venne da R. Laming in una breve lettera al Philosophical Magazine(1). Mi sembra interessante citare questa memoria di Laming soprattutto alla luce delle conoscenze moderne. 
Laming parte dalla critica al lavoro di Faraday (2) sostenendo che le proprietà di conduzione ed isolamento sono di gran lunga più comprensibili senza introdurre nessun altro assunto, all’ordinaria teoria atomica, che l’ipotesi secondo cui differenti tipi di atomi sono naturalmente associati con differenti quantità di elettricità (3). Egli osserva poi che, essendo combinata con la materia una gran quantità di elettricità (4), la quantità di elettricità per atomo può ritenersi sufficiente ad invilupparlo. Inoltre, essendo un fatto sperimentale che la forza con cui l’elettricità è attratta dalla materia è più grande a più breve distanza, l’elettricità si avvicinerà sempre più ad una atomo in modo da formare una sfera che ha l’atomo stesso per centro. In accordo con la teoria atomica basta ora pensare una massa di elettricità come  composta da atomi elettrici per concludere che la sfera di elettricità che avvolge l’atomo ai materia ordinaria consisterà di un certo numero di atomi elettrici sistemati in strati concentrici, l’ultimo dei quali può risultare completo o no. 
Se l’ultimo strato risulta non completo siamo nelle condizioni in cui si può avere la conduzione pensandola nel modo seguente: sì supponga una catena di atomi ordinaria disposta tra due corpi elettrizzati di segno opposto; il primo atomo ordinario prenderà gli atomi elettrici che gli mancano, per completare l’ultimo strato, dal corpo elettrizzato che si trova in contatto con lui; il secondo atomo ordinario farà lo stesso con il primo (e così via) mentre il primo continuerà a riformarsi dal corpo elettrizzato. Tutti questi atomi elettrici, che si trasferiscono da atomo ad atomo, andranno a trovare posto nel corpo elettrizzato (di segno opposto) che si trova all’altra estremità della catena (5). 
E’ chiaro che queste idee di Laming riconducono tutto il problema e della conduzione e della costituzione della materia al filone meccanicista in contrasto netto con tutta la “speculazione” di Faraday. In tutto il XIX secolo comunque si dovranno sempre considerare questi due diversi punti di vista (quello meccanicista e quello che comincia ad affermarsi con Faraday) come coesistenti. Anche quando la teoria di campo si affermerà definitivamente con Maxwell, ci sarà sempre un filone di fisici meccanicisti, e non da poco, che porterà avanti, più o meno “underground”, le proprie concezioni. Inoltre gli stessi “innovatori” avranno sempre una forte eredità newtoniana, derivante dalla loro formazione, tale da far spesso coesistere vecchio con nuovo.


(1) Lettera di R. Laming al Philosophical Magazine, S. 3, vol. 27, pag. 420, 1845.

(2) Vedi punto (p) precedentemente citato.

(3) Alla luce del fatto che se ciò non fosse, l’assunto di atomi diversi per diverse sostanze dovrebbe ritenersi ancor meno probabile.

(4) Fatto, questo, sostenuto anche da Faraday.

(5) Laming, in questo modo, spiega bene anche l’affinità chimica che risulta come una specie di incastro tra atomi elettrici di atomi ordinari distinti.


IL SECONDO LAVORO DI FARADAY SULLA NATURA DELLA MATERIA


Dalla pubblicazione del suo lavoro sulla natura della materia Faraday non parlerà più di atomi. Egli è sempre più attratto dalle forze, dal loro conflitto e dalle loro reciproche trasformazioni e naturalmente lega tutto questo alla costituzione della materia (1) pur senza soffermarsi mai sulle obiezioni che, come abbiamo visto, da molte parti gli erano state mosse. In particolare Faraday non spiega che cos’è il suo “punto matematico”.
E’ proprio la ricerca di queste forze che gli farà affrontare una grossa mole di ricerche sperimentali (2).
Tra questi lavori è molto interessante, riguardo i problemi in esame, la XIX (1) serie dell’E.R.E., soprattutto per alcune affermazioni di carattere generale che Faraday fa. Egli sostiene infatti che, della convinzione che le forze possano trasformarsi le une nelle altre, fu condotto “a fare qualche tentativo con l’intento di scoprire il rapporto diretto che può esistere tra la luce e l’elettricità”(3).


(1) E.R.E. 2146. E’ questo il primo paragrafo della serie XIX dell’E.R.E. (novembre 1845) che porta il titolo “Sulla magnetizzazione della luce e 1′ illuminazione delle linee di forza magnetiche“.

(2) La serie XIX, XX e XXI dell’E.R.E. ed un articolo (1845) dal titolo: “Sulle relazioni e caratteri magnetici dei metalli“(vedi E.R.E. vol. III, pag. 444). Sul contenuto di queste ricerche vedi più avanti in nota.

(3) E.R.E. 2147. “…This strong persuasion extended to the powers of light, and led, on a former occasion, to many exertions, having for their object the discovery of the direct relation of light and electricity, and their mutual action in bodies subject jointly to their power; but the results were negative…”.


Molti tentativi che ha fatto sono stati infruttuosi però niente ha potuto indebolire in lui, quella “ferma convinzione che gli deriva da considerazioni filosofiche” (1), finché è riuscito a “magnetizzare ed elettrizzare un raggio di luce e ad illuminare una linea magnetica di forza” (1).
In questi brevi brani si può riconoscere quindi quanto sostenevo all’inizio del lavoro. Faraday non accetta la teoria atomica perché è guidato da pregiudizi di carattere filosofico e questo nonostante le sue molte affermazioni sulla nocività di questi pregiudizi. Egli riconosce se stesso come uno schellinghiano, uno che, muovendosi sulla linea di Oersted, va alla ricerca del conflitto di forze.
E’ certo che le ricerche che Faraday fa a sostegno delle sue idee sulla materia lo convincono sempre di più (2) della giustezza delle sue speculazioni anche se in una lettera (3) al suo amico C. E. Neef, del marzo 1846, si esprime in questi termini “…continuo a sognare con idee di materia e sue forze che non reputo saggio o filosofico mettere in circolazione poiché ritengo che pos sano cambiare con l’evidenza dell’esperimento: ma uso queste idee come stimolo e guida nel corso di nuove indagini e fino ad ora non ho ragione di pentirmi della strada che ho percorso” (1).

Ed ecco che, sostenuto dalle sue Ricerche (4), nel maggio del 1846 Faraday acquista tanta “saggezza e filosofia” da inviare una lettera (5) al Philosophical Magazine in cui, riprendendo gli argomenti del primo lavoro del 1844, sviluppa a fondo le sue idee sulla costituzione della materia costruendo un caposaldo delle teoria di campo.

La lettera riprende là dove ere terminata quella del 1844 (6):


(1) E.R.E. 2148. “… These ineffectual exertions, and many others whìch were never published, could not remove my strong persuasion derived from philosophical considerations; and, therefore, I recently resumed the inquiry by experiment in a most strict and searching manner, and have at last succeeded in magnetizing and electrifying a ray of lighty and in illuminating a magnetic line of force”.

(2) E.R.E. 2225-2226.

(3) S.C. 337. “… I keep dreaming away with views of matter and its powers that I do not think it wise or philosophic to put forth because I hold them so that they may change with the evidence of experiment: but I use these views as stimulants and guides in some degree into the course of new enquiries and I have as yet had no reason to repent the course I have pursued …”.

(4) I lavori che Faraday porta avanti tra il 1844 ed il 1846  (XIX, XX, XXI serie dell’E.R.E.) si occupano: a) dell’azione dei magneti sulla luce; b) dell’azione di correnti elettriche sulla luce; c) dell’azione di magneti su vetro al piombo (rotazione del piano di polarizzazione); d) dell’azione di magneti su altre sostanze che agiscono magneticamente sulla luce; e)dell’azione di magneti su metalli in genere; f) dell’azione di magneti su metalli magnetici e loro composti; g) dell’azione di magneti su aria e gas.

(5) Philosophical Magazìne, S.3, vol. 28, n. l88, pagg. 345-350, 1846.

(6) Prima di riprendere l’argomento “etere”, Faraday aggiunge qualche elemento sul problema della conducibilità: “…That the electric transference depends on the forces or powers of the matter of the wire can hardly be doubted, when we consider the different conductibility of the various metallic and other bodies; the means of affecting it by heat or cold; the way in which conducting bodies by combination enter into the constitution of non-coriducting substances, and the contrary; and the actual existence of one elementary body, carbone both in the conducting and non-conducting state. The power of electric conduction (being a transmission of force equal in velocity to that of light) appears to be tied up in and dependent upon the properties of the matter, and is, as it were, existent in them…”.
Egli sostiene in sostanza che, dalla considerazione delle diverse conducibilità di vari corpi metallici o d’altro tipo, dalla possibilità di influenzarle con il caldo e con il freddo e che corpi conduttori entrano nella costituzione dì sostanze isolanti, non vi può essere dubbio che il trasferimento di elettricità dipende dalle forze che risiedono nella materia del filo conduttore. Ibidem, pag. 346.


si può fare a meno dell’etere se si suppone che “le vibrazioni (che rendono conto della radiazione) possano aver luogo nelle linee di forza che connettono le particelle e quindi masse dì materia vicine” (1).
Queste linee di forza, come ho già detto, hanno per Faraday una realtà fisica (2); esse rappresentano il continuo di forze che riempie il tutto: là dove c’è addensamento di linee di forza c’è materia.
Questa specie di dualità onda-corpuscolo, “materia e radiazione [esistenti] contemporaneamente “(3), di cui indubbiamente Faraday è un precursore, nasce anche dalla comparazione, che il fisico inglese fa tra la velocità della luce nello spazio e la velocità con cui l’elettricità si trasmette in un conduttore (4).
Questo modo di intendere le materia è, ovviamente, sterile per Faraday se si deve ancora ammettere l’etere come sede delle vibrazioni: ci sono le linee di forza, ebbene, siano esse le sede delle vibrazioni dei fenomeni radianti (tenendo conto che “quando ci sono … centri di forza, essi prendono parte al trasporto della forza lungo la linea, ma quando non ce n’è nessuno la linea prosegue attraverso lo spazio”) (5) potendo “agire su queste linee di forza in modo tale che esse possano essere concepite come affette da una specie di urto o vibrazione laterale” (5).
Consideriamo ad esempio due corpi A e B (elettrici o magnetici) mutuamente interagenti e quindi connessi da linee di forza, se noi spostiamo uno dei due corpi di poco, la risultante di forza, avente una direzione invariante rispetto allo spazio, si modificherà (o aumentando al diminuire di quelle vicine, o diminuendo all’aumentare di quelle vicine) con un effetto equivalente ad un disturbo laterale (5).
“Quali linee di forza, si chiede allora Faraday, ci sono in natura che vanno bene per trasportare una tale azione e per soddisfare la teoria vibratoria in luogo dell’etere?”(6). Le linee di forza gravitazionali, per la loro estensione, vanno sicuramente bene e forse vanno bene anche le linee di forza magnetiche, ma allora, ricordando che Mossotti (7) ha mostrato l’origine e la connessione comune di tutte le forze fisiche, Faraday conclude che tutte le linee di forza debbono avere quell’estensione infinita che permette la trasmissione a distanza di vibrazioni che debbono comunque essere laterali e, proprio come la luce e tutte le azioni radianti, occupare tempo. Ecco dunque un attacco all’azione istantanea a distanza che viene proprio qualche riga dopo che Faraday ha citato, per dar forza alle sue teorie, un sostenitore, appunto, dell’azione a distanza: Mossotti. Ebbene, bisogna ancora osservare che questo richiamo di Faraday a Mossotti risulta, anche per altre considerazioni, strumentale. E’ vero che Mossotti ha dimostrato essere possibile un’origine comune delle varie forze, ma è anche vero che ha fatto ciò nell’ipotesi di esistenza di atomi di dimensioni sensibili e di differenza tra materia ponderabile ed imponderabile. Inoltre la concezione di Mossotti implicava materia discontinua con molecole interagenti a distanza istantaneamente e sulla congiungente rettilinea, mentre quella dì Faraday prevedeva una materia continua di punti di Boscovich in cui le azioni si trasmettevano, appunto, per contatto, in un tempo finito e lungo linee curve (8). Infine per Mossotti la materia è immersa e riempita da uno o più eteri mentre per Faraday, in luogo dell’etere, ci “sono le forze dei centri atomici che permeano (e costituiscono ) tutti i corpi, oltre a penetrare tutto lo spazio” (9) , ed in quest’ultimo ci sono solo linee di azione che trasmettono le vibrazioni ad una velocità finita. In definitiva la materia dell’etere e la materia ordinaria sono per Faraday, e contrariamente a Mossotti, simili nella loro costituzione essenziale cioè ambedue costituite da meri centri di forza, con la differenza che la materia ha più forze associate con essa che gli conferiscono le proprietà di solidità e gravitazione. Così Faraday è portato ad affermare: “non percepisco in nessuna parte dello spazio, sia … vuoto sia pieno di materia, niente altro che forze e linee su cui esse si dispiegano” (10).
Faraday era comunque confortato dai lavori sperimentali che lo avevano portato a scrivere questo articolo (11).


(1) Ibidem, pag. 345. “…the vibrations which in a certain theory are assumed to account for radiation and radiant phaenomena may not occur in the lines of force which connect particles, and consequently masses of matter together …”.

(2) Si osservi che, per affermare questa realtà fisica, Faraday ad un certo punto (vedi E.R.E. 3250, nel giugno del 1852, sarà tentato a riaffermare l’etere di cui si era sbarazzato precedentemente nell’articolo “Sulla materia” del 1844 ed in quello “Sui raggi” del 1846 (vedi più avanti). In un successivo articolo (“Sulle linee fisiche di forza magnetica“), sempre del giugno 1852, ritornerà su questa debolezza affermando che “sperimentalmente il puro spazio è magnetico; ma allora l’idea di un tale puro spazio deve includere quella di etere” (vedi. E.R.E., vol. 3, pag. 443) “… Experimentally mere space ia magnetic; but then the idea of such mere space must include that of the aether …”.

(3) Ibidem pag. 346: “. . .Another consideration bearing conjointly on the hypothetical view both of matter and radiation …”.

(4) Quest’ultimo dato Faraday lo ricava dagli esperimenti di Wheatstone.

(5) Ibidem, pag. 348 “… when there are intervening particles of matter (being themselves only centres of force), they take part in carrying on the force through the line, but that when there are none, the line proceeds through space … we can, at all events, affect these lines of force in a manner which may be conceived as partaking of the nature of a shake or lateral vibration …”.

 (6) Ibidem, pag. 348 “… It may be asked, what lines of force are there in nature which are fitted to convey such an action and supply for thè vibrating theory the place of the aether? …”.

(7) Vedi l’articolo di Mossotti già citato.

(8) In proposito vedi anche il commento di A. de la Rive in “Supplement a la Bibliothéque Universelle de Genéve”, tomo II, nota I a pag. 228, 1846. 

(9) Philottphical Magagine, S. 3, vol. 28, n. 188, 1846, citato, pag. 349 “… it is the forces of the atomic centres which pervade (and make) all bodies, and also penetrate all space …”.

(10) Ibidem, pag. 348 “… I do not perceive in any part of space, whether (to use the common phrase) vacant or filled with matter, anything but forces and the lines in which they are exerted …”.

(11) Già citati.


Da questi lavori egli rafforzò la sua ritrosia, già manifestata nella lettera del 1844, ad accettare l’ipotesi “ad hoc” dell’etere che per ora viene soppiantato dalla maggiore “sottigliezza ed estensione” delle linee di forza e che più avanti sarà completamente accantonato, o meglio cooptato, dall ‘ammissione che “sperimentalmente il puro spazio è magnetico; ma allora l’idea di un tale puro spazio deve includere quella di etere”(1).

 Era inevitabile che queste speculazioni di Faraday suscitassero dure reazioni negli ambienti ufficiali. Quello che si imputava a Faraday era soprattutto il suo non distinguere tra materia ponderabile ed imponderabile ed il suo così manifesto attacco alla concezione newtoniana dell’azione a distanza.
Il più duro di questi attacchi venne da G. B. Airy, astronomo reale, in una lettera (2) al Philosophical Magazine in cui si muovono a Faraday varie obiezioni, alcune delle quali relative a termini non correttamente spiegati dallo stesso Faraday e la cui ambiguità lascia ampi spazi alla critica. In sostanza Airy sostiene: a) tra i vari fenomeni che Faraday intende spiegare con la sua teoria di vibrazioni laterali c’è anche quello della diffrazione per la cui spiegazione sono richiesti movimenti ondulatori progressivi in modo tale che il movimento di particelle può essere origine di movimento per altre particelle (3) estendentesi intorno ad esse attraverso un angolo solido molto grande e non attraverso una qualsiasi linea radiale: ebbene è impossibile mettere insieme una teoria di linee radiali soggette ad impulsi laterali con la spiegazione della diffrazione (cioè l’irraggiamento laterale su un grande angolo solido). 
b) La diffrazione ha luogo nell’aria e quest’ultima, per quanto sia tenue, produce rifrazione. Ora, la propagazione delle onde ha luogo attraverso l’aria fino ai suoi massimi confini e, a queste frontiera, il cammino di queste onde sarà soggetto a rifrazione. Visto che è stato abbondantemente dimostrato che ai confini della nostra aria non c’è sensibile rifrazione, da che cosa dipenderebbe quindi questo esatto aggiustamento di due differenti velocità? Esso esisterebbe necessariamente se l’etere, medesimo mezzo vibrante, occupasse tutto lo spazio, aria compresa. E’ quindi oltremodo difficile trovare una teoria di impul si laterali in modo de spiegare questa assenza di rifrazione ai confini dell’aria.           c) La questione della costituzione della materia mediante centri  di forza è analoga alle problematiche sulle Sostanze ed Accidenti e risulta una questione metafisica, estranea al campo della filosofia naturale.  

Tutto si può demandare, secondo Airy, ai centri di forze, ma non la proprietà di inerzia. E l’idea che generalmente uno si fa di sostanza è strettamente legato alla sua inerzia: fintantoché la resistenza alla forza rimane, sembra impossibile li berarsi dall’idea di sostanza. Si può certamente scavalcare questa difficoltà supponendo che anche l’inerzia sia rappresen tabile da centri di forza solo con l’ipotesi aggiuntiva che lo sviluppo della forza dipende in qualche modo dal tempo. Ma, sempre secondo Airy, ciò renderebbe i centri di forza di una complessità molto più grande di quella associata all’idea di sostanza nella teoria materiale. 
Oltre a ciò Airy osserva che ogni matematico si potrà rendere conto della necessità dell’inerzia confrontando fra loro le soluzioni delle equazioni di trasmissione del calore (in cui non è richiesta inerzia) e di trasmissione del suono (in cui è richiesta inerzia) : “il primo risultato certamente non rappresenta niente di somigliante alla legge di diminuzione dell’intensità luminosa; il secondo invece rappresenta la sua generale costanza di intensità” (4). 
d) La descrizione fatta de Faraday del, da lui supposto, etere (con nuclei quasi infinitesimi e con forza quasi infinitamente intensa) è, per Airy, quanto meno inesatta. A lui obietta che, poiché quasi infinitesimo vuol dire finito, il supposto etere in questa descrizione è precisamente della stessa categoria di tutti gli altri fluidi.

Queste, nella sostanza, le obiezioni mosse a Faraday non solo da Airy ma anche da molti altri (5). Ho, tra i diversi, citato Airy perché questa sua lettera è emblematica del come venivano accolte le idee di Faraday negli ambienti scientifici. Fino al 1840 circa, quando Faradey si era limitato a fare lo sperimentatore, in Inghilterra e nel mondo intero la sua fama era enorme. Era la fama di un grosso sperimentatore, di un “praticone”, che viveva nel suo laboratorio solo descrivendo ciò che faceva. I fisici gli rinfacciavano di essere un chimico, i chimici di essere un fisico, ambedue di non conoscere la matematica. Ma tutto ciò andava bene e la scuola inglese, potendosi vantare delle Ricerche Sperimentali di Faraday, non aveva quasi mai posto il problema. Ma Faraday ha l’impudenza di mettersi a teorizzare e questo gli scatena contro tutti, anche chi, come Airy, era stato suo amico ed aveva richiesto la sue consulenza (con varie lettere) per molti anni (6).


(1) Vedi E.R.E.: “On the Physical Lines of Magnatic Force” – Vol. III, pagg. 438-443, giugno 1852 (pag. 443), già citato.

(2) Philosophical Magazine, S. 3, n. 190, Suppl. Vol. 28, pagg. 532-537, 1846.

(3) Non si saprebbero spiegare i fenomeni della diffrazione senza ammettere, secondo la teoria ondulatoria di Huygens e Fresnel, che ogni punto di un’onda luminosa è esso stesso un centro di vibrazione che trasferisce il movimento vibratorio a tutti i punti compresi in un grande angolo solido.

(4) Ibidem, pag. 536 “… the former result certainly does not represent anything like the law of diminution of light; the latter does represent its general costancy of ìntesity … “.

(5) Vedi, su questa stessa linea, le critiche mosse a Fareday da A. de la Rive in “Supplement à la Bibliothéque Universelle de Genéve”, tomo II, pag. 230, nota 1, 1846. 

(6) Vedi S.C., vol. II, pagg. 1039 e 1040 alla voce Airy.


ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL METODO (1) DI FARADAY 

Non credo sia possibile, né sia mai stato possibile, che un ricercatore si metta di fronte ai suoi strumenti, operi su di essi per ricavarne dei fenomeni, da cui dedurre delle conseguenze, sul piano teorico, il tutto senza alcuna idea preconcetta.
Allo stesso modo non credo, e tutto il lavoro faradyano nel suo complesso ne è una prova, che questo fosse il metodo di Faraday, anche se, quando lo stesso Faraday ci parla (qua e là nei suoi scritti) del suo modo di indagare la natura, qualche volta troviamo affermazioni che vorrebbero accreditare questo metodo di indagine insieme, però, ad altre affermazioni che lo negano completamente. 
E’ interessante, senza nessuna pretesa esaustiva, cercare di capire dove sta la contraddittorietà delle affermazioni di Faraday enucleando la linea metodologica nella quale egli si è mosso realmente. 
La prima osservazione da fare è che Faraday ha sempre dato una enfasi notevole all’esperimento, pure se strettamente correlato ad un contesto teorico. Per lui solo l’esperimento è probante ed in grado, da solo, di confermare o refutare una teoria (2). In ogni caso l’esperimento ha un valore educativo e conoscitivo di per sé e, come ho già detto, quando Faraday si troverà a rispondere ad una lettera dello studente Ward (1843) sosterrà: “Non ho alcuna esitazione a consigliarle di fare esperimenti a sostegno delle sue teorie, perché, sia che le confermino sia che le confutino, riceverà del bene dai suoi sforzi”(3).
Ma qual è il rapporto tra esperimento e teoria? Dalle cose che in un primo tempo sostiene Faraday, sembra che la teoria debba nascere come conseguenza dell’esperimento; più volte infatti egli negherà il valore delle idee preconcette, affermando di operare fuori di esse, ed altrettante volte sosterrà che egli si è mosso sulla linea di alcune sue convinzioni filosofiche. Probabilmente si riesce a sanare questa contraddizione, che sarà più chiara quando avrò citato dei brani a sostegno della mia tesi, ammettendo che Faraday intendesse per idee preconcette, o pregiudizi, quelle idee, che erano fornite dalla scienza ufficiale e che, effettivamente, non permettevano (e non permettono) mai un salto in avanti nella interpretazione e nella conoscenza della natura.
Le prima presa di posizione di Faraday sulle idee precostituite si ha nella lettera a Ward, or ora citata, in cui il fisico inglese dice allo studente che “una riflessione molto breve sul progresso della filosofia sperimentale le mostrerà che non vi è dìsturbe più grande di teorie precostituite (4). Qualche anno più tardi (1837) oltre a ribadire questo concetto, Faraday traccia anche una linea metodologica attraverso cui ai muovono o dovrebbero muoversi i filosofi naturali; essi debbono andare avanti nelle loro ricerche “zelantemente e prudentemente, combinando esperimenti con analogie, sospettosi delle proprie opinioni


(1) A proposito del “metodo in Faraday” vedi anche l’articolo di P. Williams su “Problems in the Philosophy of Science“, Lakatos, Musgrave Editors, North Holland, 1968.

(2) Vedi i primi paragrafi di ogni serie dell’E.R.E. In essi Faraday sì ripropone sempre “di sottoporre all’esperimento alcune idee” per trovarne conferma. 

(3) S.C. 170 (già citate). 

(4) S.C. 170 (già citata). Sulla stessa negazione di idee precostituite vedi E.R.E. 1642. 


preconcette, affidandosi di più ad un fatto che ad una teoria, non troppo frettolosi nel generalizzare e, soprattutto, disposti ad ogni passo a sottoporre a verifica le proprie opinioni personali, sia con il ragionamento che con 1 ‘esperimento (1). Faraday è coerente con questo modo  di procedere ma nel contempo non rinuncia, pur con tutte le riserve, ad esporre una sua idea, anche quando non è sostenuta da una convincente base sperimentale. Egli è solito far presenti i suoi timori, o all’iniziò o alla fine dei suoi lavori, in una forma spesso simile alla seguente: “infine desidero dire che ho esposto questo particolare mio punto di vista (2) con dubbio e con timore che esso non possa reggere alla prova di un esame generale, perché se non risultasse vero esso sarebbe solo di imbarazzo al progresso della scienza elettrica” (3). E’ vero allora che Faraday avverte quando una sua teoria è azzardata, ma questo lo fa soltanto per non turbare troppo le convinzioni degli scienziati ufficiali del suo tempo. Prova di ciò è che se da una parte, a proposito della costituzione della materia, egli sostiene che “probabilmente ho commesso molti errori nelle pagine precedenti, poiché anche a me stesso le idee su questo punto appaiono solo come l’ombra di una speculazione, e come una di quelle immagini lecite per un po’ di tempo come guida al pensiero ed alla ricerca” (4), dall’altra nega lo stesso valore interpretativo (5) ed euristico (6) alla teoria atomica dichiarando che “poiché essa non è accuratamente distinta dai fatti, spesso appare allo studioso, come una affermazione dei fatti stessi, benché sia al più un assunto della cui verità non possiamo dire nulla, qualunque cosa possiamo dire o pensare della sua probabilità … Ma è sempre prudente e filosofico distinguere, per quanto possiamo, fatto da teoria … e considerando la costante tendenza della mente a restare su un assunto e, quando esso risponde ad ogni scopo presente, dimenticare che è un assunto, dobbiamo ricordare che esso, in questi casi, diventa un pre giudizio ed inevitabilmente interferisce, più o meno, con un evidente giudizio (7). Ecco allora, come avevo anticipato ciò che possiamo pensare essere per Faraday pregiudizio: le convinzioni e le teorie della scienza ufficiale, la quale appunto, all’epoca, aveva nella teoria atomica, come parte integrante del meccanicismo, uno dei suoi punti fermi.


(1) E.R.E. 1161 – “… zealously yet cautiously, combining exptriment with analogy, suspicious of their preconceived notions, paying more respect to a fact than a theory, not too hasty to géneralize, and above all things, willing at every step to crossexamine their own opìnions, both by reasoning and experiment …”.

(2) Relativo, in questo caso, alla capacità induttiva specifica ed all’induzione in generale. 

(3) E.R.E. 1306 (anno: 1838) “… Finally, I beg to say that I put forth my particular view with doubt and fear, lest it should not bear the test of general examination, for unless true it will only embarrass the progress of electrical science …”.

 (4) E.R.E., vol. IlI, pag. 452 (anno: 1846). Sullo stesso tipo di dubbio vedi S.C. 337. “… I thik it likely that I have made many mistakes in thè procedìng pages, for even to myself, my ideas on this point appear only as the shadow of a apeculation, or as one of those ippressions on the mind which are allowable for a time as guides to thought and resaarch …”.

(5) In una lettera al suo amico C.E.Neef del 1846, (S.C. 337), già citata, sullo stesso argomento, Faraday sostiene: “uso queste idee come stimolo e guida nel corso di nuove indagini”.

(6) Più volte Faraday accenna al valore euristico di un’idea. Come esempio vedi le ultime righe del suo lavoro “Sulla Vibrazione dei Raggi” (E.R.E., vol.III, pag. 152) in cui Faraday afferma, tra l’altro: “Chi lavora in ricerche sperimentali sa bene come [le idee] siano numerose e come spesso la loro apparente convenienza e bellezza svanisca davanti al progresso e allo sviluppo della reale verità naturale”. (“… He who labours in experimental inquirìes knows how numerous these are, and how often their apparent fitness and beauty vanish before the progress and development of real natural truth …”).

(7) E.R.E. vol. II, pag. 285 (anno 1844) “… and is not so carefully distinguished from the facts, but that it often appears to him who stands in the position of student, as a statement of the facts themselves, though it is at best but an assumption; of the truth of which we can assert nothing whatever we may say or think of its probability … But it is always safe and philosophic to distinguish, as much as is in our power, fact from theory; … and considering the constant tendency of the mind to rest on an assumption, and, when it answers every present purpose, to forget that it is an assumption,  we ought to remember that it, in such cases, becomes a prejudice, and inevitably ìnterferes, more or less, with a clear-sighted judgement …”.


E l’attacco che Faraday muove alla teoria atomica è un attacco ad una teoria chiusa, la quale, proprio perché è stata assunta dalle scuole scientifiche più importanti, è ormai difficile da rimettere in discussione. Egli infatti non pensa neppure per un attimo a risolvere le incongruenze che derivavano dall’accettazione dell’atomismo; quest’ultimo va rigettato in blocco e sostituito con una teoria autoconsistente. E questa teoria Faraday l’aveva ed era tutta precostituita: gli proveniva dalle suggestioni schellinghiane e boscoviciane che cominciarono ad affascinarlo fin dal suo apprendistato, quando erano argomento di discussione tra il suo maestro Davy e l’amico poeta S. T. Coleridge. Con il passare degli anni Faraday acquisterà una tale autorità, per le sue riconosciute scoperte, da non preoccuparsi più di affermare, pubblicamente, le sue convinzioni filosofiche e di ammettere nel contempo che è guidato da teorie precostituite. E’ della fine del 1845 la XIX serie dell’E.R.E., in apertura della quale Faraday afferma: “fui condotto da questa convinzione [di origine comune e reciproca trasformazione delle forze] (1) a fare qualche tentativo con l’intento di scoprire il rapporto diretto che può esistere tra luce ed elettricità … ma ho ottenuto dei risultati negativi … Questi tentativi infruttuosi, e qualche altro che non ho mai pubblicato non hanno potuto indebolire in me questa ferma convinzione che deriva da considerazioni filosofiche, ed h o ripreso ancora, ultimamente, queste ricerche mediante esperien ze più circoscritte e più decisive, e sono riuscito infine a magnetizzare e ad elettrizzare un raggio di luce, e ad illuminare una linea di forza magnetica” (3). 
Dopo una breve parentesi in cui Faraday sostiene di seguire un metodo puramente sperimentale ed indipendente da qualsiasi pregiudizio (4) egli ritorna sul problema delle idee precostituite affrontandolo con maggiore ampiezza e, penso, con maggiore riferimento al suo proprio modo di procedere nell’indagine sperimentale; ” Mi sono talmente abituato ad usare [le linee di forza], specialmente nelle mie ultime ricerche, che, senza volerlo, posso ora avere un pregiudizio in loro favore e non essere più un giudice imparziale (5) … Non si deve supporre che speculazioni di questo tipo siano inutili o necessariamente dannose alla filosofia naturale, esse devono sempre essere considerate come dubbie e soggette ad errore o cambiamenti; ma sono di grandissimo aiuto nelle mani dello sperimentale e del matematico. Infatti non solo sono utili per rendere più chiara per un certo tempo una idea vaga, dando ad essa una forma più definita che possa essere sottoposta all’esperienza o al calcolo, ma possono anche portare, per via di deduzioni e di correzioni, alla scoperta di nuovi fenomeni, e causare in tal modo un aumento ed un avanzamento della reale verità fisica che, contrariamente alle ipotesi che hanno portato ad essa, diviene conoscenza fondamentale non più soggetta a cambiamento”(6).
Per definitivo riconoscimento di Faraday, quindi, le idee preconcette, sottopposte ad esperimento, lo hanno sempre guidato nel suo lavoro. E queste idee, giuste o sbagliate che fossero, lo hanno sempre condotto ad aprire nuovi campi di ricerca in cui egli trovava, molto spesso, ciò che cercava e, qualche volta, anche ciò che non cercava. Resta la considerazione che, tre le mani di un abile sperimentatore, una teoria, anche la più discutibile, può essere origine di scoperte non previste.


(1) Confronta con la filosofia di Schelling.

(2) E.R.E. 2147 (citato). 

(3) E.R.E. 2148 (citato). Sullo stesso problema dell’unità delle forze vedi anche E.R.E. 2702 (anno 1850) in cui Faraday, guidato dalle stesse considerazioni filosofiche, vuole trovare relazioni tra elettricità e gravita. Egli non riesce in quest’impresa ma porta egualmente a conoscenza dei suoi esperimenti perché “possono essere utili sia come impostazione generale del problema, sia per interessare altre menti a queste considerazioni”, (“… may be useful, both as a general statement of the problems, and as awakening the minds of others to its consideration …”).

(4) E.R.E. 3159 (anno 1851):”Essendo uno sperimentale, mi sento impegnato a lasciare che l’esperimento mi guidi in un qualunque indirizzo di pensiero che dall’esperimento possa essere giustificato; sono infatti convinto che 1’esperimento, come l’analisi, debba portare a pura verità se correttamente interpretato; e sono anche convinto che esso è per sua natura più capace di suggerire nuovi indirizzi di pensiero”. (“… As an experimentalìst, I feel bound to let experiment guide me into any train of thought which it may  juatify; being satisfied that experiment, like analysis, must lead to strict truth if rightly interpreted; and be lieving also, that it is in its nature far more suggestive of new trains of thought …”).

(5) E.R.E. 3174 (anno: 1851): “… I have been so accustomed, indeed, te employ them, and especially in my last researches, that I may, unwittingly, have become prejudiced in their favour, and ceased to be a clear-sighted judge …”.

(6) E.R.E. 3244(anno: 1852): “… It is not to be suppossed for a moment that speculations of this kind are useless, or necessarily hurtful, in matural philosophy. They should ever be held as doubtful, and liable to error and to change; but they are wonderful aids in the bands of the experimentalist and mathematician. For not only are they useful in rendering the vague idea more clear for the time, giving it something like a definite shape, that it may be submitted to experiment and calculation; but they lead on, by deduction and correction, to the discovery of new phaenomena, and so cause an increase and advance of real physical truth, which, unlike the hypothesis that led to it, becomes fundamental knowledge not subject to change …”.
Su problemi di metodo metodo vedi anche la lettera di Faraday a E. Becker (1860) in S.C. 749.


CONCLUSIONE


La digressione, or ora fatta, sul “metodo” in Faraday rende più chiara la formulazione delle sue idee sulla costituzione della materia. Il fisico inglese inizia i suoi lavori con l’accettare, solo verbalmente (nei suoi articoli), la teoria atomica.
Quando, più avanti nelle ricerche e nell’autorità che gli derivava dai suoi successi, si sbarazza dell’idea corpuscolare, meccanicista, di atomo sostituendola con l’idea boscoviciana dei centri di forza e delle atmosfere di forza, lo fa sorretto oltre che dalle sue convinzioni filosofiche (Schelling) da alcune suggestioni (più che indicazioni) sperimentali. Alla fine delle sue ricerche Faraday arriva ad affermare l’esistenza fisica delle linee di forza che, insieme ai centri di forza, costituiscono ogni realtà fisica. E nonostante che l’abitudine all’uso di queste linee di forza gli faccia dire che esse, forse, sono diventate un pregiudizio, rimane la convinzione della correttezza metodologica, convinzione che ho riportato nell’ultima citazione del paragrafo precedente.
Faraday in definitiva si sbarazza sia dell’idea di atomo corpuscolare sia dell’etere. Ma mentre per la sostituzione di quest’ultimo con le vibrazioni delle linee di forza non rimangono dubbi (a parte la polemica di Airy sulle vibrazioni laterali), per la sostituzione dell’atomo materiale con i centri di forza rimane una questione a cui Faraday non ha mai risposto: “Che cos’è un punto matematico?”.
Analogamente per il problema della differenza tra conduttori ed isolanti. La polemica di Faraday sul preteso intervento dello spazio nei problemi di conduzione ed isolamento trova in Mayo una obiezione a cui Faraday non risponde: “Lo spazio non potrebbe essere semplicemente indifferente?”. Quello che Faraday fa, in sostanza, è l’attribuire certe proprietà ad uno spazio per attaccare la teoria atomica, quindi l’assegnare quelle proprietà all’intera materia a seconda della distribuzione in essa di atmosfere di forza. Il problema della conduzione e dell’isolamento rimane perché Faraday sembra risolvere la domanda “Quando un corpo è conduttore?” con la risposta “Quando conduce”.
Quelle che ho citato sono due grosse incongruenze che si presentano a chi legga l’opera di Faraday con qualche attenzione. Evidentemente di questi momenti in cui il fisico inglese o non è chiaro o sorvola sulle obiezioni che gli vengono mosse ve ne sono molti nella sua opera; mi sono soffermato su quelli che più interessavano la tesi che ho annunciato nell’introduzione, elencandone poi vari altri. Nonostante ciò Faraday porta avanti il suo programma con coerenza e determinazione fino alla fine della sua attività di ricerca. Il problema della forza alla base di ogni realtà fisica sarà sempre da lui tenuto presente ed investigato. Ormai gli atomi materiali per lui non esistono più, è inutile ritornarvi sopra.
Por quanto riguarda poi il problema della conduzione e dell’isolamento esso è rimasto da parte non per cattiva volontà ma forse perché era un problema che non poteva essere risolto se non in termini di “Sostanze ed Accidenti”. Non si deve comunque giudicare una teoria in base al suo successo od alla sua attualità. Ogni teoria o speculazione, anche se nasce da pregiudizio, non è, secondo Faraday, necessariamente dannosa:essa deve essere sempre considerata con cautela e, dinamicamente, come soggetta ad essere aggiustata o addirittura sostituita. La rappresentazione modellistica della teoria è servita a Faraday per rendergli più chiara la teoria stessa e per poterla sottoporre all’esperienza. Ma per costituire una qualunque teorie è determinante il contesto teorico e quel tanto di pregiudizio che ha guidato Faraday nei suoi lavori è stato poi fecondo per gli sviluppi e per la notevole quantità di dibattiti che ha generato. 

A parte la disgressione sul metodo dell’ultimo paragrafo, quello che ho fin qui riportato è il dibattito che, intorno alla metà del XIX secolo, si aveva sulle questioni particellari e di campo. Al di là degli sforzi per ricondurre i fenomeni osservati ad una formulazione meccanicista, emergeva evidente una insufficienza della fisica newtoniana.
La resistenza al superamento delle vecchie concezioni si rafforzava anche perché i nuovi fatti sperimentali e le nuove concezioni non avevano trovato una rappresentazione modellistica chiara per 1’interpretazione della realtà fisica che fornisse loro quella “dignità scientifica” che le stesse vecchie concezioni avevano. La teoria dell’azione a distanza aveva avuto i suoi grandi sistematori soprattutto nella scuola continentale ed in particolare in quella francese. Occorreva fare la stessa cosa con la teoria dell’azione a contatto. La teoria del continuo aveva bisogno dei suoi Euler, D’Alembert, Lagrange, Ampère e Laplace. Faraday non era certamente adatto allo scopo: occorrerà l’opera di Maxwell. 

Roberto Renzetti



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