QUANTO CI COSTA IL VATICANO?

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L’otto per mille al vaticano

Il finanziamento alla Chiesa Cattolica, deciso con la revisione concordataria del 1984, con l’inghippo dell’otto per mille sottoscritto da Craxi per acquisire benemerenze presso il Vaticano, è, nella formulazione italiana, null’altro che una truffa in quanto la percentuale dei contribuenti che firmano l’otto per mille a favore della Chiesa cattolica è di circa il 45%, che poi in sede di liquidazione dell’importo calcolato diventa quasi il 90%.
In altri paesi con forte presenza cattolica le cose sono regolate in modo più giusto e trasparente. In Germania ad esempio il credente versa volontariamente alla sua chiesa un 9 per cento dell’imposta sul reddito pagato, chi non vuole semplicemente non paga; in Spagna il contribuente può dichiarare che lo 0,5 per cento del gettito fiscale possa essere destinato alla Chiesa o allo Stato, in assenza di scelta la cifra è destinata ad altri fini. In Italia invece la Chiesa Cattolica, mai sazia di privilegi, è riuscita a mettere a punto e far approvare un meccanismo perverso che le consente di incamerare quasi totalmente il cosiddetto otto per mille dell’IRPEF, qualunque sia la scelta o la non scelta degli italiani. La relativa legge che consente la truffa può essere quindi considerata più rispondente a reciproci interessi politico-economici che a una precisa definizione della volontà dei cittadini.
Il nuovo sistema di finanziamento dell’organizzazione ecclesiastica è oggi regolato dalla legge 222 del 20.05.1985, e recepisce gli accordi raggiunti il 15.11.1984 da Mons. Attilio Nicora e dal prof. Francesco Margiotta Broglio. Al secondo titolo del punto 3 del Protocollo Addizionale Beni ecclesiastici e sostentamento del clero”, viene superato il precedente sistema della congrua sia nella forma dell’erogazione sia nella gestione dei fondi. L’articolo 21 infatti prevede la creazione di un “Istituto per il sostentamento del clero” alle dipendenze del vescovo di ogni diocesi, e di un “Istituto Centrale” alle dipendenze della CEI, dove far confluire l’enorme tributo dell’otto per mille e i versamenti fino a due milioni detraibili dalla denuncia dei redditi.
L’articolo 46, che prevede appunto questa forma di erogazione, chiamata “obolo” perché elargisce un contributo personale, grava comunque sulle pubbliche finanze sotto forma di minori introiti di imposta. C’è da aggiungere che gli esperti finanziari pensavano che da queste libere offerte venisse la parte più rilevante del finanziamento della chiesa, ma così non è stato. Il loro gettito è stato di circa 45 miliardi l’anno, ed è attualmente in diminuzione. Questo smacco dimostra in maniera clamorosa che il nuovo finanziamento in nessun modo si può chiamare “Autofinanziamento”.
L’entità dell’otto per mille dell’IRPEF è attualmente di circa mille miliardi ma, per effetto dell’inflazione, è ovvio che il suo aumento farà sempre lievitare la percentuale da attribuire alla Chiesa Cattolica. Questo versamento effettuato da TUTTI i cittadini può essere suddiviso mediante una scelta espressa fra lo Stato, la Chiesa Cattolica e le altre piccole confessioni religiose che hanno accettato di partecipare alla spartizione (i Testimoni di Geova, i più pericolosi concorrenti del Vaticano, sono da dieci anni in attesa di essere inseriti, ma inutilmente).
Ma il meccanismo perverso che favorisce la Chiesa Cattolica è la quota dell’otto per mille di quei cittadini che, intendendo sottrarsi a tale invito, non firmano nessuna preferenza e di quei cittadini che, riconoscendosi in un’etica laica, scelgono lo Stato Italiano e loro malgrado sono quasi totalmente aggiunti alla quota riservata alla Chiesa Cattolica, in virtù di uno stratagemma ideato per aggirare l’ostacolo dei non credenti e mantenere il più alto possibile l’introito per la Chiesa Cattolica.
Lo stesso comma 3 si conclude così: …in caso di scelta non espressa da parte dei contribuenti la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse. Quale che sia, cioè, la percentuale delle scelte espresse, anche la quota su cui non è stata effettuata nessuna scelta viene distribuita alla Chiesa Cattolica o allo Stato, in percentuale alle scelte a loro favore. Solo fra loro, perché le altre confessioni dignitosamente non hanno accettato di partecipare a questa ulteriore spartizione.
Un esempio concreto: se su 100 cittadini 90 non si esprimono (per disinteresse o per tacita delega allo Stato), e solo 8 firmano per la Chiesa Cattolica, l’80 per cento della quota IRPEF stabilita andrà alla Chiesa Cattolica. Ecco come in Italia una evidente minoranza può diventare la quasi totalità degli italiani che finanzieranno, loro malgrado, un’associazione religiosa. Anche le somme accumulate per la scelta a favore dello Stato sono convogliate ad opere assistenziali, in Italia quasi interamente in mano alla Chiesa Cattolica. In tal modo non viene assolutamente rispettata la volontà di chi, non scegliendo o scegliendo lo Stato, ha inteso sottrarsi all’obbligo di partecipare a questa specie di referendum che, fra l’altro, viola il diritto di riservatezza. Non solo viene limitata la libertà di scegliere o non scegliere, ma è evidente l’intrusione nel segreto delle coscienze.
Questa situazione si aggrava ulteriormente da quando la legge consente ai lavoratori dipendenti di affidare al datore di lavoro la redazione della proprio denuncia dei redditi, per possibili rischi di rappresaglie sul posto di lavoro.
Un’altra cosa non corretta è il sistema di conteggio delle scelte effettive dei contribuenti la cui percentuale non viene attribuita contando la reale destinazione della scelta espressa, ma con un sorteggio a campione che molti ritengono addirittura illegale.
Quanto all’entità delle somme erogate alla CEI sulla base di tale forma di finanziamento, è previsto un complesso sistema di transizione che stabilisce anticipi e conguagli annuali e di triennio in triennio. Gli acconti versati dallo Stato alla CEI con il nuovo sistema dell’otto per mille sono di circa 700 miliardi l’anno, salvo poi conguagli e ulteriori anticipi che nel 1996 hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 1500 miliardi più 800 miliardi, sempre a conguaglio, che la magnanimità dei vescovi ha accettato fossero rateizzati. Dopo l’erogazione di quest’enorme cifra, che dalle disastrate casse della Repubblica Italiana è passata a rimpinzare quelle del Vaticano, il Card.Ruini ha avuto modo di dichiararsi soddisfatto e durante una recente assemblea della CEI ha indicato anche come saranno ripartiti i 1500 miliardi appena ricevuti:  

      565 miliardi per mantenere e assicurare gli stipendi ai 40.000 preti italiani;
      10 miliardi per un fondo domestiche, vista la quasi scomparsa delle perpetue;
      390 miliardi alle diocesi per l’edilizia, per i monasteri di clausura, per le facoltà di teologia e altri enti del
      genere;
      190 miliardi al restauro dei beni culturali ecclesiastici e a iniziative nel campo delle catechesi;
      10 miliardi a un fondo per la cultura;
      30 miliardi per case canoniche delle parrocchie del sud;
      280 miliardi alle spese di carità, ma di questi 140 saranno dirottati per opere (?) nel terzo mondo.
Un esempio di opere nel terzo mondo sono anche i 40.000 dollari donati dal Vaticano alla Croazia durante la
guerra con la Bosnia.
Come è a tutti evidente solo una minima parte dell’otto per mille va in opere di carità, che oltretutto non sono verificabili da nessuno, come conferma l’art.44 del titolo 2 sempre del Protocollo Addizionale: si stabilisce che la CEI trasmetta annualmente all’Autorità Statale un rendiconto relativo all’effettiva utilizzazione delle somme ricevute a vario titolo direttamente dai cittadini o dallo Stato”. Su tali rendiconti, però, non sono previsti né controlli né verifiche.
Prima lo Stato stipendiava direttamente i preti, ora, con la nuova intesa, il finanziamento va direttamente ai vescovi, aumentando notevolmente l’autorità nei loro confronti. Di diversa natura sono i contributi che vanno a sostenere opere e associazioni cattoliche nel contesto del finanziamento di attività sociali, assistenziali, scolastiche, editoriali di vario genere: sono finanziamenti in gran
parte assicurati dalle Regioni, dai Comuni e ancora dallo Stato.
La verità è che tra una cosa e l’altra lo Stato Italiano sta concentrando un’enorme quantità di denaro nelle casse di uno stato straniero non democratico e non controllabile. C’è da osservare infine che nella pubblicità svolta attraverso radio, televisioni pubbliche e private, giornali, opuscoli e perfino le comunicazioni bancarie ai clienti e con l’aiuto massiccio delle aziende a partecipazione statale come la SIP prima, la Telecom adesso, la CEI afferma di non ricevere più contributi diretti dallo Stato, in seguito ad una scelta di libertà e di povertà evangelica. Niente di più falso.
La legge parla esplicitamente di somme ricevute “direttamente” dallo Stato, come del resto i fatti confermano. Il regime di privilegio si evidenzia anche perché a fare propaganda è sostanzialmente solo la gerarchia cattolica, lo Stato non entra praticamente in competizione e le altre confessioni non hanno la forza per garantirsi una vera campagna di spot.
La Chiesa con i suoi enormi patrimoni ha da tempo capito che la forza del cristianesimo sta nel potere che si mantiene con il possesso e il continuo accumulo di ricchezze, catturando e azzannando i beni della terra. Attilio Nicora detto “Monsignor otto per mille” e ora vescovo di Verona è un esempio attuale della febbrile penetrazione della Chiesa nel mondo della finanza.
A lui, per aver ideato la truffa dell’otto per mille, il Vaticano sta riservando una luminosa carriera (prossimo arcivescovo di Milano?); intanto a Verona, attraverso l’opera sua, è sorto un grosso Pool di Banche cattoliche, una sorta di IOR, che per importanza è il terzo polo in Italia. Il Pool unisce infatti la Cariverona, l’Unicredito a cui fanno capo la Cassamarca di Treviso, la Cassa di Risparmio di Trieste, la Cassa di Risparmio di Gorizia, quella di Udine e Pordenone, la Banca di Trento e Bolzano (già della
Curia Trentina). E’ in patto con l’Ambro-Veneto e con la Cassa di Risparmio di Torino e Genova, ed ha comprato quote della Popolare di Verona (la Popolare con quei soldi ha pagato il Banco dei Santi che ora fa parte della Popolare, il cui presidente Zanotto, come i suoi dirigenti, è sempre dell’Opus Dei).
Alla Chiesa adesso non interessano più i partiti di riferimento: il gregge è ormai politicamente disperso. Alla Santa Chiesa interessano ora più che altro le BANCHE. Il grande polo bancario padano dovrebbe essere di 43 mila miliardi di raccolta, 26 mila miliardi di impieghi, 7 mila miliardi di patrimonio con 800 sportelli. Tutto sotto l’egida della Chiesa Cattolica e la protezione dello Spirito Santo. E’ sotto gli occhi di tutti l’immagine di un cristianesimo aziendale, di possesso e di rapina, visto che i loro immensi patrimoni immobiliari e le loro ricchezze in genere non pagano una lira di tasse. La degenerazione capitalista tanto denunciata da Wojtyla è solo ipocrisia.

Mario Patuzzo


Tratto da Kontrocultura

La sorpresa dell’otto per mille
opere di bene, ma non solo


di Giancarlo Mola e Mario Reggio da “La Repubblica” del 27 maggio 2003

ROMA –

Il piatto vale ben oltre un miliardo di euro. La partita si gioca a sette, ogni anno, quando arriva il momento di presentare la dichiarazione dei redditi, quando gli italiani decidono a chi destinare l’otto per mille del loro imponibile: alla Chiesa cattolica? Alle altre cinque confessioni di minoranza ammesse alla spartizione? O allo Stato? Un dubbio che non tocca la stragrande maggioranza degli italiani, che hanno inequivocabilmente deciso di premiare la Santa Sede. Ma che si ripropone quando si fanno i conti finali, per vedere come e dove sono stati spesi i soldi dei contribuenti.
I numeri parlano chiaro e dicono che la Chiesa cattolica non ha rivali. Quest’anno per la prima volta ha superato il miliardo di euro di incasso è ha stabilito il record di preferenze: 87,17 per cento delle scelte contro l’86,58 del 2002 (anno nel quale lo Stato ha ottenuto l’11,04 per cento dei consensi e gli altri le briciole rimanenti). «I cittadini – dice Paolo Moscarino, direttore dell’ufficio promozione sostegno economico della Conferenza episcopale italiana – hanno capito che non si tratta solo di una firma ma della partecipazione consapevole alla missione della Chiesa».
La Cei ha illustrato nei giorni passati l’utilizzo della sua quota di otto per mille, a tredici anni dall’introduzione. Analizzando le cifre si scopre così che gli introiti, dal 1990 al 2003, si sono praticamente quintuplicati. Ma la distribuzione nei tre compiti istituzionalmente fissati dalla legge non si è mossa in modo omogeneo. È cresciuta notevolmente la voce «esigenze di culto e pastorale», che va dalla catechesi nelle parrocchie all’edilizia di culto: il fondo è passato da 38 a oltre 420 milioni di euro. Più modesto l’aumento delle somme spese per gli interventi caritativi (da 27 a 185 milioni di euro) e di quelle usate per il sostentamento del clero: (da 145 a 330 milioni di euro). «Sì, solo il 18 per cento del totale finisce direttamente in progetti umanitari», spiega ancora Moscarino. «Attenti però a non fare semplificazioni: la carità cammina sulle gambe degli uomini, che la Chiesa deve formare e sostenere, anche economicamente».
Ma è il meccanismo di attribuzione a far discutere. Soprattutto per quel che riguarda l’otto per mille di chi hanno scelto di non scegliere, lasciando in bianco la casella della dichiarazione dei redditi. Si tratta della maggioranza delle persone che pagano le tasse. In cifre: 22 milioni su 36 milioni di contribuenti del ’99 (che hanno determinato la spartizione dell’anno scorso). Ebbene, il loro otto per mille è stato diviso tra tutti i pretendenti (salvo quelli che, come i Valdesi, hanno espressamente rinunciato a questa seconda divisione) in proporzione delle preferenze ottenute. In altre parole: l’87 per cento dell’otto per mille di chi non ha preso alcuna decisione è andato comunque alla Chiesa cattolica, il dieci allo Stato. E così via. «Il sistema non ci piace», dice Ignazio Barbuscia, tesoriere dell’unione delle chiese avventiste del settimo giorno. «Avevamo proposto che quei soldi andassero allo Stato, ma evidentemente hanno prevalso altre logiche».
Già, lo Stato. Anche sulla gestione del suo otto per mille non mancano le polemiche. Nel 2001 i tre quarti dei cento milioni di euro di sua competenza sono stati distolti, con un semplice decreto legge, dagli scopi prefissati. E sono stati impiegati per finanziare la missione in Albania (con i risvolti militari che ne conseguono). Nello stesso anno, appena 500 euro sono andati a progetti per combattere la fame nel mondo. La denuncia arriva dai consumatori dell’Aduc, che contro l’attuale sistema dell’otto per mille hanno lanciato una campagna che va avanti da anni. «Non solo lo Stato costringe i cittadini a finanziare le religioni altrui. Ma si rende protagonista di una vera beffa», spiega il presidente Vincenzo Donvito. «Se si va a vedere infatti il dettaglio delle spese dello Stato si scopre che, per esempio, nel 2002 un terzo dei cento milioni di euro che i cittadini hanno dato allo Stato sono serviti per ristrutturare beni culturali di proprietà, guarda caso, della Chiesa cattolica».


Otto per Mille dello Stato -Tra cifre che parlano…

(dall’originale, rubrica «La pulce nell’orecchio» dell’1/4/2002 a cura di Annapaola Laldi, sul sito dell’ADUC)

L’otto per mille (OPM) è il frutto del nuovo Concordato (1984) fra la Repubblica italiana e la Santa Sede, e fu ideato dalla Commissione paritetica chiamata a stilare la bozza della legge che doveva regolamentare le questioni economiche e finanziarie fra i due Stati. L’unico scopo dell’OPM è quello di garantire il finanziamento statale alla Chiesa cattolica come tale. A tanto non si era spinto il Concordato del 1929 che, pur riconoscendo a questa numerosissimi privilegi – che, peraltro, non sembrano venuti meno – non la finanziava direttamente, ma si limitava a pagare lo stipendio (congrua) ai preti titolari di una parrocchia.

Questa realtà va tenuta ben presente, perché solo così possiamo capire il movente di quell’assurdità per cui lo Stato trasforma se stesso in elemosiniere e assegna a se stesso una parte delle tasse, che ha riscosso dai suoi contribuenti, per destinarla a «scopi d’interesse sociale o di carattere umanitario» come si legge all’art.47 (comma 2) della L. 225/1985.

È per assegnare alla Chiesa cattolica una sovvenzione sicura, mascherata da libera scelta dei contribuenti, che lo Stato ha dovuto assumere la parte di pseudoconcorrente della Chiesa. Il fatto che, in seguito, siano state ammesse a beneficiare dell’OPM anche altre Confessioni religiose si deve, come mi fa notare il direttore di “Riforma”, il settimanale delle Chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi, a un emendamento proposto dai Radicali – e accolto dalle Camere – in sede di discussione della L. 222/1985.

Parlavo di assurdità di uno Stato che si trasforma in elemosiniere. Infatti, che cosa ci starebbe a fare lo Stato se non proprio per affrontare tutti i problemi che sorgono quotidianamente a livello nazionale e internazionale, e fra i quali, certo, si annoverano a buon diritto, la fame nel mondo, le calamità naturali, l’assistenza ai rifugiati e la conservazione dei beni culturali – i quattro settori, cioè, in cui è utilizzabile l’OPM che lo Stato assegna a se stesso?

Questo dubbio deve forse avere sfiorato anche le menti di chi preparò la bozza della legge, se con l’art. 48 si circoscrisse l’utilizzazione dell’OPM statale a «interventi straordinari», concetto ribadito nel DPR 76/98, all’art.2 (c.6), dove si precisa che questi interventi «sono considerati straordinari (…) quando esulano effettivamente dall’attività di ordinaria e corrente cura degli interessi coinvolti e non sono per tale ragione compresi nella programmazione e nella relativa destinazione delle risorse finanziarie». Ma viene subito da notare che, così facendo, si è caduti in un’altra assurdità. Infatti, che cosa può mai esserci di straordinario in quei quattro settori, quando la fame nel mondo è endemica, le calamità naturali all’ordine del giorno, l’assistenza ai rifugiati un’urgenza quotidiana, la conservazione dei beni culturali un’ordinaria necessità?

Credo che, se ci si volesse attenere rigorosamente a queste indicazioni, paradossalmente, non si dovrebbe mai assegnare niente a nessuno, tanta è l’ordinarietà di tutti questi problemi.

DAL DPR 76/98 IN POI

Nell’utilizzazione dell’OPM statale vi è uno spartiacque rappresentato dal DPR 10/3/1998, n.76che detta regole e fissa scadenze per la ripartizione. Questo decreto stabilisce anche i requisiti che devono avere i soggetti che desiderano accedere alla ripartizione (è sempre escluso il fine di lucro), e, in attuazione di tutto ciò è stata emanata dalla Presidenza del Consiglio la circolare 14/2/2001, n.1619.

Le informazioni essenziali sul periodo 1991-1997 sono inserite in un puntuale articolo apparso su “Riforma” del 23/3/2001.

Qui preferisco soffermarmi sul periodo dal 1998 in poi, le cui fonti sono le seguenti:

  1. la documentazione gentilmente messami a disposizione dalla redazione dello stesso settimanale per l’anno 1998 e riferimenti agli anni precedenti,
  2. il sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri per i Decreti 1999, 2000, 2001, sul quale si può “pescare” il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) dell’ultimo anno (non ho trovato su questo sito un archivio che contenga i decreti degli anni precedenti).

COME SI FORMA L’OPM DELLO STATO…

  1. L’art.47, comma 3 della L.222/85 precisa che le destinazioni OPM «….vengono stabilite… sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi. IN CASO DI SCELTA NON ESPRESSA da parte dei contribuenti, LA DESTINAZIONE SI STABILISCE IN PROPORZIONE ALLE SCELTE ESPRESSE…».
    È questo il meccanismo in base al quale CHI NON SCEGLIE, in realtà SCEGLIE TUTTI (salvo, per ora Valdesi e ADI, che hanno rinunciato, a favore dello Stato, alla quota non espressa che spetterebbe loro).

Un esempio: nel 1998, i contribuenti sono stati circa 25 milioni e mezzo; hanno espresso la destinazione OPM poco meno di 10 milioni, cioè il 38,93%. La preferenza allo Stato l’ha data il 13,36 di questi 10 milioni, che, però, rispetto al totale, rappresentano solo il 5,03%. Per il meccanismo vigente, allo Stato è andato il 13,36% di tutto l’OPM, e inoltre dovrebbe essersi assegnato anche la percentuale delle quote non espresse lasciatagli da Valdesi e ADI (per il 1998 un +1,83%).

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (ex Tesoro) stanzia quindi un importo iniziale su un capitolo di spesa dello stato di previsione.

  • La disponibilità del punto precedente viene successivamente rideterminata in sede di assestamento del bilancio dello Stato.

…E COME VIENE SPESO

  1. LA FALCIDIE DEI DECRETI-LEGGE (DD.LL.)

Per lo meno dal 1993 è invalso l’uso di destinare una parte cospicua dell’OPM con DD.LL. Questa prassi continua anche adesso che è in vigore il DPR 76/98, che stabilisce un preciso iter per la ripartizione OPM, in cui non si fa menzione della possibilità di usare i decreti-legge. Anzi. Sulle singole iniziative sono richieste preventive valutazioni da parte delle amministrazioni competenti e del Ministero dell’Economia e Finanze, e sullo schema del DPCM sono richiesti i pareri delle Commissioni parlamentari, anche se non in forma vincolante.

Nella TABELLA A si vede la formazione della quota OPM, la destinazione con DD.LL e la somma che resta per la ripartizione effettuata con DPCM, ai sensi dell’art.5 del DPR 76/98. Va tenuto presente che, nella cronologia dei passaggi, la spesa per DD.LL. avviene sulla cifra del bilancio preventivo, prima, quindi, dell’assestamento definitivo, cosa che nella tabella non emerge, allo scopo di facilitare il confronto diretto fra le percentuali delle spese fatte coi DD.LL. e quella della cifra finale a disposizione del DPCM.

Si nota che le spese fatte con DD.LL. assorbono sempre un’altissima percentuale del gettito OPM, e inoltre vanno in gran parte a finanziare la partecipazione militare italiana a missioni internazionali di pace, destinazione molto dubbia quanto a legittimità rispetto al DPR 76/98. Proprio a questo proposito, il sen. Alberto Monticone, nella seduta della Commissione Pubblica Istruzione del 12/10/2000 faceva presente, peraltro invano, che «..la partecipazione militare italiana a missioni internazionali di pace, benché faccia senz’altro onore al nostro paese, potrebbe essere più opportunamente finanziata a carico di altri capitoli del bilancio».

Nella TABELLA B sono riportati gli estremi dei DD.LL. e delle leggi di conversione con le cifre stanziate e le destinazioni di ciascun intervento.

TABELLA A (in milioni di lire)

ANNO1° STANZIAMENTO MINISTERIALEASSESTAMENTO DEL BILANCIOOPM REALESPESE CON DD.LL.RIMANENZA PER DPCM
1998161.500 (cap. 6878)+ 13.700175.200140.000
80%
32.500
20%
1999198.000 (cap. 6878)+ 3.240201.240166.500
82,75%
34.700
17,25%
2000200.000 (cap.3870)– 7.254,284192.745,716110.000
57,1%
82.745,716
42,9%
2001220.500 (cap. 3870)– 4.021,292216.478,708150.250
69,46%
66.228,708
30,54%

TABELLA B (in milioni di lire)

ANNODECRETI-LEGGE E LEGGIINTERVENTOSPESATOTALE ANNO
1998D.L.30/98, n.6 L.30/3/98, n.61] D.L.17/2/98, n.23 [L.8/4/98, n.94] D.L.11/6/98 n.180 [L.3/8/98, n.267]Terremoto Umbria e Marche Spese sanitarie indigenti Rischi idrogeologici35.000 5.000 100.000140.000
1999D.L.28/1/ n.12 [L.29/3/99, n.77] D.L.21/4/99 n.110 [L.18/6/99, n.186] D.L.13/5/99 n.132 [L.13/7/99, n.226]Invio 150 osservatori OCSE in Kosovo e 250 militari in Macedonia Assistenza ai rifugiati del Kosovo in Albania Protezione civile40.000 100.000 26.500166.500
2000D.L.7/1/00, n.1 [L.7/3/00, n.44]Partecipazione militare a missioni internazionali di pace110.000110.000
2001D.L.29/12/00, n.393 [L.28/2/02, n.27]Partec. Militare missioni intern. di pace e Forze di polizia ital, in Albania150.250150.250
  • …CON QUEL CHE RESTA

Ciò che rimane dopo la sforbiciata dei DD.LL., viene ripartito con il DPCM fra i progetti accolti dopo il vaglio dei ministeri competenti, come mostrano le TABELLE C.

A questo proposito è giocoforza sottolineare che l’impossibilità dichiarata dal Ministero Affari Esteri di valutare la validità degli 11 progetti relativi alla fame nel mondo presentati nel 2000 ha fatto sì che quell’anno lo stanziamento per questa voce sia stato pari a ZERO (la motivazione è riportata nella nota 1 della TABELLA C/2000).

Per restare a questa voce, va detto che essa non ha mai rappresentato una spesa significativa rispetto alla somma ripartita col DPCM, che è già, come si è visto, esigua rispetto al totale OPM. Si va, infatti, dallo 0,44 del 1999 al’1,51 del 2001, e solo nel 1998 si arriva a un 11,69%.

Neppure l’assistenza ai rifugiati ha brillato granché, almeno fino al momento in cui non è sceso in campo il Ministero dell’Interno con un suo progetto-pilota che ha assorbito 26 miliardi fra il 2000 e il 2001 (24,17% nel 2000 e 9,08% nel 2001). La legittimità dello stanziamento di 100 miliardi effettuato con il D.L. 110/99 a favore dei rifugiati del Kosovo in Albania resta dubbia, perché il DPR 76/98 parla di rifugiati che siano nel nostro paese e non altrove.

La voce «conservazione dei beni culturali» (in cui rientrano tanto i restauri di edifici, di opere d’arte o di documenti, quanto la sistemazione di archivi e biblioteche) riporta in primo piano la Chiesa cattolica, destinataria di interventi il cui costo, in percentuale, arriva fino al 48,34% del 1998.

Una timida novità nel 2000: accanto alla Chiesa cattolica ha fatto la sua comparsa l’assegnazione di uno smilzo 0,11% a favore della Comunità ebraica, e, nel 2001 è stato devoluto un 1,20% anche ai Valdesi, e un ulteriore 0,60% agli Ebrei.

Ciò non toglie, tuttavia, che l’uso dell’OPM dello Stato a favore delle Confessioni religiose, che già usufruiscono di un loro OPM, risulti quanto meno singolare, se non proprio irrispettoso, nei confronti dei contribuenti che hanno scelto esplicitamente lo Stato al posto, appunto, delle Confessioni religiose.

È vero che un altissimo numero di beni culturali in Italia è legato alle Confessioni religiose, in particolare alla Chiesa di Roma, ed è anche giusto che, in quanto testimonianza della nostra storia e cultura, tutto ciò sia tutelato e conservato al meglio, ma a questo proposito, mi sembra legittimo parafrasare l’osservazione del sen. Monticone riportata poco fa: la conservazione di opere di matrice religiosa, benché faccia certo onore al nostro paese, potrebbe essere opportunamente finanziata a carico di altri capitoli di bilancio.

TABELLE C

RIPARTIZIONE EFFETTUATA CON DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

ANNO 1998 (in milioni di lire)

Fame nel mondoCalamità naturaliAssistenza rifugiatiConservazione beni culturaliTotali
 Interventi per Chiesa cattolicaInterventi per opere civili 
4.1134.8856508.22417.32835.200
11.69%13,85%1,86%23,27%49,23%100%

ANNO 1999 (in milioni di lire)

Fame nel mondoCalamità naturaliAssistenza rifugiatiConservazione beni culturaliTotali
 Interventi per Chiesa cattolicaInterventi per opere civili 
154,4462.798828,71416.794,14814.164,69234.740
0,44%8,1%2,4%48,34%40,72%100%

ANNO 2000 (in milioni di lire)

Fame nel mondo1Calamità naturaliAssistenza rifugiati2Conservazione beni culturaliTotali
 Confessioni religioseOpere civili 
Cattolica3Ebraica 
0000011.16020.00025.3228926.174,71682.745,716
0%13,49%24,17%30,63%0,11%31,6%100%
NOTE: Il DPCM 20/11/2000 giustifica il mancato stanziamento di fondi dicendo che «…per le 11 domande relative alla fame nel mondo – totale richiesto lire 3.633 milioni – sono emerse gravi ed oggettive difficoltà per il Ministero degli affari esteri… Nel procedere – sulla base del regolamento vigente – alla valutazione dei progetti e verifica della effettiva realizzazione degli interventi, e… In assenza di tali garanzie è preferibile non dar corso per quest’anno al finanziamento delle predette».   L’intera cifra è stata assegnata al Ministero dell’Interno per un «Progetto pilota per la costituzione e la gestione di un sistema nazionale di accoglienza e di assistenza e protezione integrato e in rete, in favore dei profughi stranieri, dei richiedenti asilo e dei rifugiati riconosciuti ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951».   È compresa in questa voce la cifra di 1.000 milioni a favore della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna.  

ANNO 2001 (in milioni di lire)

Fame nel mondoCalamità naturaliAssistenza rifugiati1Conservazione beni culturaliTotali
 Confessioni religioseOpere civili 
CattolicaEbraicaValdese 
1.0007.4516.00021.481,70840080029.09666.228,708
1,51%11,26%9,08%32,43%0,60%1,20%43,92%100%
NOTE: L’intera cifra è stata assegnata al Ministero dell’Interno per la seconda fase dell’attuazione del progetto pilota di cui alla nota 2 della tabella C/2000.

APPENDICE

L’art.4, comma 2, del DPR 76/98 prevede che sia possibile finanziare per un nuovo progetto i soggetti che hanno già usufruito di un finanziamento, a patto che presentino una nuova, documentata istanza.

A partire dal DPCM 26/11/1999 viene dato conto di questa realtà, rispecchiata nella TABELLA D con alcune avvertenze.

TABELLA D (in milioni di lire)

Beneficiario1995199619971998199920002001Totale
Acc. studi italo-tedeschi BZ  200 410 140750
ACCRI (As. coop. crist. intern) – Roma   2382,046  105,046
Arc. Aud. Mov. Oper. – Roma    450200 600
Centro Pio Rajna – Roma  250  420 670
Chiesa San Sabino – Bari    1.200750 1.950
Comune Campoformido (UD)    400550 950
Comune Castiglion Fiorentino (AR)     9004001.300
Comune Felonica (MN)    200 200400
Comune Giffoni Valle Piana (SA)   1.0008001.223 3.023
Comune Magiliano (GR)    900,603 7001.600,603
Comune di Nulvi (SS)    320830 1.150
Comune di Sedini (SS)     329300629
Comune di Sondrio    100524 624
Comune Tavernola Berg. (BG)    540 5601.100
Comunità S. Egidio – Roma    828,7148007002.328,714
Fond. E.Franceschini – FI500100300   4501.350
Fond. Ist. Gramsci – Roma  200 300400 900
Fond. Museo «Gortani» – UD     200190390
Fond. Scienze Religiose Giovanni XXIII – BO300300   1.300 1.900
Ist. Ital. Studi Filos. – NA2.0001.000900 1.000  4.900
Ist. studi legislativi – Roma    228115 343
Ist. Ital. Studi Storici – NA 500    9001.400
Ist. Stor. Ital. Medio Evo – Roma300100    6001.000
Italia Nostra – Roma    800160 960
Min. Interno – Roma     20.0006.00026.000
Parr. Maria SS. Annunziata – Castrano (LE)    1.2001.080 3.080
NOTA BENE: Tutti gli interventi di questa tabella rientrano nella categoria «conservazione beni culturali» con l’eccezione del n° 2 (fame nel mondo), del n° 14 (protezione civile) e del n° 25 (assistenza rifugiati). Un discorso a parte merita la Comunità di S.Egidio (n° 15): il finanziamento del 1999 riguarda l’assistenza ai rifugiati, mentre i contributi del 2000 e 2001 rientrano nella voce «beni culturali», in quanto destinati al restauro di Palazzo Leopardi.   La Parrocchia al n° 26 è citata nel DPCM del 2000 come destinataria di uno stanziamento precedente. Poiché non è rintracciabile la stessa denominazione, l’ho identificata con la “Parrocchia Annunciazione di Maria Vergine – Castrignano del Capo (LE) citata nel decreto del 1999.   L’Accademia nazionale dei Lincei e l’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro, citati nel DPCM 20/11/2000 come beneficiari di precedenti finanziamenti, non sono rinvenibili nella documentazione da me consultata, che riporta i finanziamenti analitici dal 1995 in poi.   Vi sono almeno altri due soggetti beneficiari di più di un finanziamento dal 1995 al 1998, e precisamente: Fondazione Giovanni Spadolini di Firenze con 700 milioni fra il 1995 e il 1997 FAI (Fondo per l’ambiente italiano) con 2.450 milioni fra il 1997 e il 1998

Quanto «costa» allo Stato il finanziamento della Chiesa cattolica

di Marcello Vigli

Fin dalla sua costituzione lo Stato italiano ha contribuito al sostentamento del clero cattolico «in cura d’anime» con un finanziamento pubblico, che si configurava come risarcimento per la perdita dei molti beni ecclesiastici da esso confiscati con le leggi cosiddette eversive. Lo Stato si faceva carico, in pratica, della volontà dei «fedeli», che con i loro lasciti avevano costituito il patrimonio delle chiese, sostituendo le rendite, che ne sarebbero derivate, con il suo contributo diretto al mantenimento dei parroci. Chiamato congrua perché integrava le offerte dei fedeli per renderle adeguate alle necessità delle parrocchie, tale contributo era progressivamente rivalutato senza più un rapporto reale con le rendite perdute.

La situazione non cambiò molto con i Patti Lateranensi del 1929 che, mentre con la Convenzione finanziaria risolsero definitivamente il contenzioso economico tra l’Italia e la Santa Sede, con il Concordato mantenevano il pagamento della congrua ai parroci in cura d’anime, non quindi a tutti sacerdoti. Convenzionalmente considerata ancora come restituzione dei beni ecclesiastici continuò ad essere rivalutata negli anni.

Il sistema è, invece, radicalmente mutato con l’Accordo del 1984 di revisione del Concordato, voluto da Bettino Craxi, e con la legge 222/85 di applicazione dell’intesa finanziaria in esso contenuta che configura un sistema di finanziamento pubblico affidato alla gestione della Conferenza episcopale italiana, Cei.

Non si tratta, infatti, di autofinanziamento, come si tentò di far credere in un primo momento, ma di autentico finanziamento diretto da parte dello Stato che copre non solo le spese del sostentamento dei parroci, come ai tempi della congrua, ma l’intera attività della Chiesa cattolica.

Per di più su tale modello si sono definite le norme di finanziamento delle altre confessioni religiose che hanno stipulato Intese con lo Stato italiano. Esse, eccetto l’Unione delle Comunità ebraiche, dichiarano, però, di non usare le somme ricevute dallo Stato per il mantenimento delle loro strutture, ma solo per attività assistenziali e culturali in Italia all’estero.

Otto per mille e deduzione fiscale

La suddetta legge 222/85 configura due forme di finanziamento.

La prima prevede la sottrazione dell’otto per mille del bilancio dello Stato alla giurisdizione del Parlamento per affidarne la destinazione alle scelte dei contribuenti, che quindi nulla pagano in più delle imposte dovute, la seconda prevede che i contribuenti possano dedurre dal loro imponibile fiscale un esborso diretto a favore di una confessione religiosa. Anche questo grava, ugualmente, sul bilancio dello stato sotto forma di «lucro cessante».

In conformità a questa normativa ogni anno una percentuale pari all’otto per mille del gettito complessivo dell’Irpef (non delle imposte di ciascuno), va alla Chiesa cattolica sulla base delle scelte dei contribuenti. Tale percentuale, in costante aumento per la diminuzione dell’evasione e per l’aumento dell’inflazione, è accresciuta dalla successiva ripartizione dell’ammontare annuo dell’otto per mille su cui non si sono esercitate scelte e che è ridistribuito, in base a quella percentuale, tra gli enti (Chiesa cattolica, Governo, e altre confessioni) che la legge prevede come destinatari dell’otto per mille. Nel corso degli ultimi anni solo il 45% degli aventi diritto hanno in media effettuato la scelta. Di questi circa il 75% ha destinato l’otto per mille alla Chiesa cattolica, a cui viene attribuito, grazie alla norma suddetta, la stessa percentuale della quota di quanti non hanno scelto.

Nei primi quattro anni (1989-1993), dopo l’entrata in vigore della nuova normativa, non essendo possibile calcolare l’entità delle scelte sono stati erogati ogni anno 406 miliardi di acconto, pari all’ammontare annuo della somma delle congrue alla firma dell’accordo, poi si sono avviati i versamenti regolari delle quote di pertinenza attraverso un complesso sistema di acconti e conguagli.

Per l’anno 1999 il finanziamento è stato pari a 1461 miliardi, 1.043 in acconto e 418 di conguaglio. Per il 2000 sono previsti 1.550 miliardi, 1.100 d’acconto e 450 di conguagli.

Dal 1989 sono stati erogati in tutto 9.408 miliardi, invece dei 4.060 se fosse restato in vigore il vecchio sistema, nel 2000 saranno 10.958 con la media annua di 1.000 miliardi.

Una seconda forma di finanziamento è costituita dal diritto, riconosciuto ai contribuenti, alla deduzione fiscale per le somme, fino a due milioni, erogate a favore della Chiesa cattolica o delle altre confessioni. Ne derivano contributi che nel corso degli anni, per la prima, si sono aggirati tra i quaranta e i quarantasei miliardi. Dal confronto tra il gettito delle due forme di finanziamento si può dedurre che quando si tratta di un esborso diretto i contribuenti sono meno generosi, non hanno mai superato il numero di 180.000 sui venti e più milioni di contribuenti.

Nella dichiarazione dei redditi del 1999 sono stati sottoscritti 42 miliardi. È difficile calcolare il lucro cessante per lo Stato, ma si può ipotizzare che si aggiri intorno ai 15 miliardi l’anno.

Finanziamento indiretto

Al finanziamento diretto alla Cei, si aggiungono altre forme di finanziamento che, seppure indirette, costituiscono pur sempre un onere per le pubbliche finanze in primo luogo gli stipendi dei ministri di culto (insegnanti di religione cattolica nelle scuole e cappellani nelle caserme, nelle carceri e negli ospedali) impegnati per motivi pastorali in strutture pubbliche.

Gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche costano circa mille miliardi l’anno. Nell’anno in corso sono a carico del bilancio della Pubblica Istruzione precisamente 976 miliardi per circa 20.000 insegnanti: 1415 nelle materne, a coprire 33.969 ore, 7.996 nelle elementari, a coprire 175.912 ore, e 10.486 insegnanti nelle medie inferiori e superiori.

Essi, oltre a rappresentare un’ingombrante presenza confessionale nella scuola pubblica, costituiscono anche una riserva di operatori pastorali a disposizione delle diocesi. La pressoché piena discrezionalità delle curie diocesane nelle nomine e nelle conferme in servizio, mentre offre facili occasioni di favoritismi e di clientelismo, costituisce un forte strumento di pressione.

Gli stipendi dei cappellani militari, che recentemente sono stati estesi alla Polizia di Stato pur demilitarizzata, non raggiungono una cifra così elevata. Difficile è il calcolo del loro ammontare perché nei bilanci dei ministeri della Difesa e dell’Interno sono inseriti tra le voci concernenti le strutture finalizzate al benessere dei militari. Lo stesso si può dire per i cappellani delle carceri e degli ospedali.

È anche difficile, se non impossibile, valutare le somme che lo Stato non incassa per gli usi illegittimi delle forme di esenzione fiscale garantite alle attività e alle strutture destinate al culto. Queste, equiparate con la legge 121/85 alle attività culturali e assistenziali, godono di un particolare regime fiscale, esenzione dall’IVA e dall’imposta sui terreni. Va aggiunto il regime speciale di esenzione dall’Invim degli atti di compra-vendita di immobili di proprietà ecclesiastica. È innegabile che in questo regime sono facili le occasioni, che diventano tentazioni, di usare le finalità di culto come copertura di attività lucrative, pur se a maggior gloria di Dio. È facile che questo accada trattandosi di 16.500 istituti religiosi, 27.000 parrocchie e 16.000 enti di varia natura. Meno facile che siano indagati o perseguiti se si pensa alle difficoltà di far luce sulle attività finanziarie del cardinale Giordano, pur inquisito per fatti accertati di rilevanza penale, e se si ricorda l’omertà che ha coperto le vicende che hanno accompagnato la truffa dello Ior.

Possiamo aggiungere all’elenco la parte dei finanziamenti alle scuole private confessionali. Sono da respingere i tentativi di chiamarle «libere», perché in verità esse sono ideologicamente «orientate», o di assimilarle a quelle degli enti locali, non governative ma pur sempre pubbliche, perché la loro gestione è totalmente privata. Tali finanziamenti sono stati erogati fin qui in deroga alle leggi, mentre d’ora in avanti saranno legittimati, seppure in forma ambigua, dalla legge sulla parità scolastica approvata recentemente dal Parlamento. Si tratta della parte assolutamente maggioritaria dei 550 miliardi in essa stanziati per le scuole private dell’infanzia e per le scuole elementari. Per la media restano ancora fuori legge 10 miliardi pronti a moltiplicarsi legittimamente non appena le scuole confessionali cominceranno a chiedere e ad ottenere di diventare paritarie, cioè abilitate a svolgere «un servizio pubblico», con buona pace dell’articolo 33 della Costituzione.

Meno rilevanti, pur se significativi, i contributi statali alle Università confessionali cattoliche nel quadro di quelli attribuiti alle private.

A questo stesso capitolo vanno iscritti i contributi che le leggi regionali hanno fin qui concesso, e che si apprestano a concedere, agli alunni delle scuole private sotto forma di sostegno del diritto allo studio, in verità in applicazione del principio di sussidiarietà. Preferiscono erogare risorse a scuole confessionali, specie alle scuole per l’infanzia, piuttosto che incrementare l’istituzione di scuole pubbliche. Il Friuli, l’Emilia Romagna e la Lombardia sono all’avanguardia, ma, in diversa forma, anche le altre sono avviate ad imitarle.

Analogamente possono essere considerati costi le sovvenzioni erogate alle organizzazioni confessionali all’interno dei contributi che lo Stato sociale, Governo ed Enti locali – tanto vituperato se eroga pensioni o sostegno alla disoccupazione – distribuisce per promuovere cultura e qualità della vita. Dall’uso degli obiettori di coscienza alle convenzioni, un incontrollato flusso di risorse si trasforma in finanziamento pubblico di attività private con buona pace dei principi liberisti e del carattere «volontario» di molte delle organizzazioni assistenziali. A quelle confessionali cattoliche tocca una grossa fetta della torta. Esse sono la punta di diamante del rivendicazionismo che anima l’intero settore associativo.

Non per questo sono meno benemerite perché finanziate. Il loro impegno interviene in settori che lo Stato non può raggiungere o costituisce una supplenza in quelli in cui gli interventi pubblici, spesso malgestiti, sono poco efficienti. Si può dire, quindi, che tale esborso di pubbliche risorse non è del tutto a fondo perduto. Non si può neppure negare che i cappellani svolgano un utile servizio nelle carceri e negli ospedali, un po’ meno nelle caserme. Perfino 132 miliardi dello stesso otto per mille attribuito alla Chiesa cattolica quest’anno sono destinati ad opere assistenziali in Italia.

Anche dell’eccezionale finanziamento erogato dallo Stato in occasione del giubileo pari a 3.500 miliardi una parte è stata utilizzata per opere pubbliche d’interesse generale, pur se la maggior parte è stata destinata al rifacimento/ammodernamento di strutture ecclesiastiche. Ad essi si devono aggiungere i costi a carico dei bilanci statale o locali, relativi al servizio d’ordine, ai trasporti, al servizio pubblico radiotelevisivo, per consentire lo svolgimento e la spettacolarizzazione delle manifestazioni liturgiche e delle apparizioni papali. Solo alla fine dell’anno santo si potrà dire se hanno costituito un investimento redditizio o un gratuito contributo a sostegno del primato papale nella Chiesa cattolica.

Costi «politici»

Questo articolato e complesso sistema di finanziamento non è paragonabile con nessuno dei sistemi in vigore nei paesi europei siano i paesi scandinavi, i länder luterani tedeschi o l’Inghilterra, dove la chiesa è di Stato, siano i paesi cattolici come la Spagna, il Portogallo e il Belgio dove pure sono previste forme di finanziamento diretto alla Chiesa cattolica. In nessuno di questi ultimi, eccetto il Lussemburgo, si raggiungono forme così capillari di integrazione, con gravi conseguenze sul piano istituzionale, e livelli così elevati di deresponsabilizzazione dei fedeli nei confronti del mantenimento della loro Chiesa.

Si può, infatti, rilevare che, ai costi economici del finanziamento dell’apparato ecclesiastico cattolico, sono da aggiungere i riflessi negativi che esso ha sul piano istituzionale e politico.

In primo luogo c’è da rilevare che lo stesso meccanismo dell’otto per mille inquina il sistema istituzionale esautorando il Parlamento dalla gestione di una parte solo percentualmente determinata delle risorse ricavate dalle imposte, che invece devono essere destinate in conformità a precise norme legislative, affidandone la destinazione a singoli cittadini, per di più solo se contribuenti e dichiaranti. È leso con ciò un principio fondamentale dello stato democratico.

Per di più l’attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei ministri della gestione della quota spettante allo Stato crea ogni anno un fondo di circa 150 miliardi di cui essa può disporre a discrezione. Il Capo del governo deve, infatti, solo indicare i criteri d’impiego in tempo utile perché il Parlamento possa esprimere il suo parere, obbligatorio non vincolante. Per di più non è svolta nessuna azione pubblicitaria per sollecitare i contribuenti, opportunamente informati, ad orientare le loro scelte verso lo Stato. Molti preferiscono astenersi nella scelta anche perché ignorano le norme, ribadite e precisate nel recente DPR 76/98, che vincolano il governo a destinare queste risorse, gestite fuori del bilancio ordinario, a precisi settori di impiego: la fame nel mondo, le calamità interne, l’assistenza ai rifugiati, la conservazione dei beni culturali.

In verità molti altri sono scoraggiati per l’uso distorto e discrezionale che ne hanno fatto i Presidenti del Consiglio. In generale sono stati dispersi in mille rivoli molti dei quali sono tornati a confluire verso strutture ecclesiastiche o organizzazioni confessionali. Talvolta le loro finalità sono state stravolte: Andreotti nel 1991 ha attinto al fondo per fronteggiare l’emergenza dell’immigrazione albanese di massa, e D’Alema otto anni dopo per finanziare la missione arcobaleno e la guerra «umanitaria» in Jugoslavia

Non meno negative sono le conseguenze che il finanziamento diretto dello Stato comporta nei rapporti interni alla Chiesa cattolica intesa come Comunità dei fedeli.

La Cei fissa annualmente l’ammontare lo stipendio mensile per tutti i sacerdoti, circa quarantamila, e lo eroga per intero a quelli che non hanno altre fonti di sostentamento. A quelli, che per la loro attività in strutture ecclesiali, o extraecclesiali percepiscono emolumenti, viene concessa una integrazione per raggiungere la quota fissata. Nessuna integrazione è dovuta a quelli che la raggiungono con il loro lavoro. Nel 1999 solo 103 sono stati a pieno carico, 36.509 hanno ricevuto un’integrazione, 3.200 sono stati autosufficienti.

In tal modo per tutti i sacerdoti cattolici, anche per i parroci, si conferma il ruolo di funzionari alle dipendenze della Cei dalla quale ricevono regolare stipendio: il suo Istituto Centrale Sostentamento del Clero paga i loro sostituti d’imposta. Con l’abolizione della congrua è venuta meno la pur limitata autonomia formale goduta dai parroci che, ricevendola direttamente dallo Stato, potevano esserne privati solo se formalmente destituiti dall’autorità ecclesiastica attraverso una procedura molto garantista.

Si può quindi affermare che la gestione dell’apparato ecclesiastico italiano si avvia ad diventare pienamente aziendalistica.

Questa concentrazione nelle mani della Cei dei poteri di gestione del finanziamento non aumenta solo il controllo sul clero, ma fa della sua Presidenza, del suo Presidente in particolare, un soggetto economico forte all’interno della comunità ecclesiale capace di condizionare anche le attività e gli orientamenti di gruppi e singoli per la discrezionalità di cui gode nell’elargizione di contributi. Si deve, infatti, tenere conto che solo 1/3 del finanziamento ricevuto come percentuale, in aggiunta alle scarse risorse ricavate dall’elargizione diretta, è impegnato per il sostentamento del clero. Restano circa mille miliardi da destinare a sostenere la pastorale nelle diocesi, ma anche le attività sociali, culturali e di comunicazione, locali e nazionali, a tutto vantaggio di una gestione autoritaria della comunità ecclesiale. La gerarchia cattolica, affrancata dalla necessità di essere sostenuta economicamente dai fedeli, si costituisce come un soggetto autoreferenziale e antidemocratico sulla scena politica italiana capace di egemonia nella società, anche per l’acquiescenza nei suoi confronti delle pubbliche autorità e di gran parte della classe dirigente.

Roma 5 giugno 2000



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