RICORDO DI UN MAESTRO
Ricordi personali su Edoardo Amaldi
Roberto Renzetti
Quando, nel 1963, iniziai a frequentare l’Istituto di Fisica dell’Università di Roma (IFUR) ebbi svariate crisi di rigetto. I primi incontri erano, all’Istituto di Matematica, con l’odioso Giuseppe Scorza Dragoni (Analisi), poi con il freddo Martinelli (Geometria), quindi con il disinteressato Caglioti (quest’ultimo all’Istituto di Chimica). Io, che non sapevo nulla di fisica, che provenivo da un Classico nel quale avevo goduto delle splendide lezioni di Alberto Asor-Rosa, di Giambattista Salinari, di Luigi Begozzi, di Michele Coccia, mi trovavo improvvisamente invischiato in un mondo non mio. Ero completamente disorientato e non capivo proprio che cosa stessi a fare lì. Poi, un freddo lunedi mattina di dicembre alle 7 e 30 mi trovavo a far la fila fuori dall’aula di Fisica Sperimentale (con altri 300 o 400 studenti del primo anno). Iniziava il corso di Fisica Generale 1 il prof. Amaldi. Io, che non avevo alcun retroterra culturale, non sapevo chi fosse e mi accingevo ad aggiungere rigetto a rigetto. Conobbi lì fuori il caro Paolo amico indimenticabile col quale imparai a discutere di tutto. Un vociare confuso nel quarto d’ora accademico. Eravamo assiepati nell’anfiteatro. Ad un certo momento il gran vociare si placa come per incanto. Nell’aula entrava a passo spedito un elegante ed affascinante signore. Iniziò con garbo la sua lezione. Cominciai a capire qualcosa. Era vicino a tutti noi. A fine lezione ci permise di stargli accanto, di parlargli. Ed egli rispondeva a tutti, con trasporto, con affetto, con convinzione. Per lui decisi che valeva la pena e decisi la mia vita. Da quel momento le lezioni di Amaldi furono un riferimento continuo per un lavoro che altrove non riusciva ad esaltarsi. Poi ritrovai immediatamente Amaldi in una vicenda ormai nota a tutti: il Caso Ippolito. Proprio sul finire del 1963 scoppiava lo scandalo che non capivo bene ma che annunciava un ridimensionamento drastico delle nostre ricerche nucleari. Sentir parlare di queste cose mi faceva sentire importante. Ero a fisica anche io e, gli amici non universitari non capivano bene cosa fosse fisica ma la riducevano immediatamente a nucleare. Amaldi mi apparve come un gigante quando si schierò a difesa di Felice Ippolito e quindi dell’autonomia della ricerca del nostro Paese contro strani interessi che ci volevano ubbidienti ed ossequienti a quanto altrove era deciso (leggi U.S.A.). Saragat, futuro Presidente della Repubblica, venne bistrattato dalla foga polemica di Amaldi. Con le sue sciocche dichiarazioni, disse Amaldi, Saragat si è guadagnato un posto imperituro nel mondo della barzelletta. E noi lo rivedevamo il giorno dopo a lezione, eravamo con lui, non sapevamo come dirglielo. Abbiamo iniziato ad applaudire alla fine di ogni sua conversazione, mai comunque diretta a commento dei torbidi fatti. Ricorderò sempre quella sua meravigliosa testa bianca, quel suo incedere svelto, quel suo muovere rapidamente gli occhi a destra e sinistra per accertarsi dell’attenzione, per cogliere qualche dubbio negli occhi, per rispondere a qualcuno che nel frattempo avesse sollevato la mano.
Feci i suoi esami eppoi passai ad altri insegnamenti ed esami che, nella quasi generalità dei essi, fintantoché si svolsero presso l’Istituto di Fisica ebbero maestri di grande levatura, alcuni dei quali, per me indimenticabili (Carlo Bernardini, Giorgio Salvini, Nicola Cabibbo, Giorgio Careri, Marcello Conversi, Brunello Rispoli, Luigi Lepri, …).
Nel 1966, alcuni fascisti uccisero facendo cadere dalla scalinata di Lettere lo studente diciannovenne Paolo Rossi. Durante l’occupazione di tutte le facoltà universitarie che ne seguì, vi fu un tentativo fascista, guidato dall ‘on. Caradonna di riconquistare la facoltà di destra per eccellenza: Giurisprudenza. Vi furono degli scontri al di fuori di questa facoltà tra gli occupanti ed il corteo fascista. Intervenne la polizia che stava per arrestare alcuni studenti occupanti. Noi stavamo alle finestre dell’Istituto di Fisica che guardano alla Facoltà di Giurisprudenza. Amaldi uscì a passo svelto dall’Istituto. Si avviò quasi correndo verso il Comnissario Mazzatosta che dirigeva le operazioni e riuscì con il suo intervento a far rilasciare i fermati. Alcuni fascisti che seguitavano lì vicino iniziarono a spintonare Amaldi verso le scale. Mi parve un sacrilegio. Corse il mio amico matematico Marco Lippi. Si frappose tra Amaldi ed i suoi spintonatori e riaccompagnò Amaldi in Istituto.
Venne poi il 1968. Anno duro di contestazione che vide l’Istituto di Fisica in prima linea (insieme a Lettere e Filosofia ed Architettura). Le lotte del 1968 in prima istanza erano lotte contro l’autoritarismo e le baronie all’interno degli Istituti universitari, solo successivamente acquistarono il carattere di “contestazione dell’interosistema”. In quegli anni una delle armi degli studenti era il “gatto selvaggio”, a volte in contemporanea con il “cane randagio”. Si interrompevano le lezioni di vari baroni dell’Università (erano e sono tanti!) per trasformarle in assemblee (ricordo gli epici gatti selvaggi alle lezioni del barone di Matematica Fichera: si entrava uno alla volta a lezione, dopo che erano state chiuse le porte, qualcuno fumava, qualcun altro mangiava un panino; Fichera urlava di uscire ed un’altro entrava, .. Naturalmente si doveva essere di altri Istituti o Facoltà, altrimenti il barone ti avrebbe distrutto). Che io sappia mai fu interrotta una lezione presso l’Istituto di Fisica con il fine di contestare l’insegnante di un dato corso. A volte furono interrotte delle lezioni con il fine di avere l’aula per poter svolgere l’assemblea del Movimento Studentesco. Ebbene io ero uno di coloro che dovevano procurare le aule in determinati momenti. Più volte in quell’aula (la più grande) c’era la lezione di Amaldi. Egli sapeva quando qualcosa si muoveva ed in quelle circostanze chiedeva ai bidelli di lasciare aperta la porta dell’aula di sperimentale che dà sui corridoi interni all’Istituto (porta dalla quale sarebbero entrati gli studenti interessati all’Assemblea). Ricordo che quando mi presentavo (solo!) davanti a quella porta ed Amaldi si accorgeva di me, semplicemente mi diceva:”Renzetti, dovete fare un’assemblea?”. “Si, professore”. Si rivolgeva allora ai suoi studenti e diceva, allargando le braccia: “Scusate”. E se ne andava via senza mai creare un problema che, per la verità, mi avrebbe creato un imbarazzo infinito.
In quegli anni vi sono però altri episodi che mostrano il suo non essere per nulla cedevole quando le richieste urtavano le sue convinzioni e la sua limpida onestà. Due soli esempi.
Nel corridoio che porta al Gruppo Teorico si discuteva animatamente di un manifesto comparso davanti all’Istituto. Questo manifesto, che io ben conoscevo perché era stato scritto dal mio amico Paolo, così recitava: ‘BASTA CON LA SCIENZA-IDEOLOGIA BORGHESE’. Amaldi era furioso. Mai lo avevo visto così. I suoi dolci occhi celesti erano fuori dalle orbite, il suo viso era rosso fuoco. E urlava (lui!) che la scienza non è ideologia borghese. Il mio amico Leo Violini, provò a dire, per calmarlo, che 1a cosa era stata sostenuta dal prof. Marcello Cini. Ed Amaldi, più adirato che mai, sibilò: “Se mi fate il nome di Cini per il suo prestigio, ebbene, di prestigio ne ho più io!”.
Un’altra volta, a seguito di eventi esterni all’Università si decise l’occupazione immediata di tutti gli Istituti. Nell’Istituto di Fisica tra le altre attività, si stavano svolgendo gli esami scritti di Fisica Generale 1 con lo stesso Amaldi che assisteva. Entrò in quest’aula il mio amico Franco B. per comunicare agli studenti che potevano andarsene perché l’Istituto era occupato. Amaldi, molto alterato, disse che non era accettabile che fossero gli studenti che facevano gli scritti a rimetterci. Dopo un violento alterco vinse Amaldi; gli studenti finirono il loro esame scritto ma dovettero aspettare la fine dell’occupazione per fare il loro esame orale.
Nel 1970 mi laureai. Dopo una seduta che mi parve interminabile, dopo la più grande sudata della mia vita davanti a Salvini, Careri, Francesco Paolo Ricci, Mattioli, Camiz e tanti curiosi per vari motivi, tra cui il mio trattare un tema allora nuovo, quello delle Variabili Nascoste, fu proprio Amaldi che, in sala lauree, mi proclamò ‘Dottore in fisica’ e si venne a complimentare con me (mi piace ricordare che, a fine seduta la mia amica scomparsa, Titti la Rosa, venne ad abbracciarmi ed a complimentarsi). Da quando iniziai a lavorare in Istituto ogni occasione di incontro per i corridoi
era un’occasione perché, con estrema amabilità mi chiedesse sempre come andava, di cose mi stavo occupando, di occuparmi con grande impegno della didattica che era un grande e grave problema; insomma un sostegno ed una guida. In una occasione, credo fosse il 1973, facevo da relatore ad uno studente che si laureava. La sua tesi riguardava la didattica della termodinamica. Tutto andò bene fino a quando per questo studente chiesi il massimo dei punti per la tesi: 5. In quella prestigiosa sala c’erano tutti quelli che erano stati i miei professori. Tutta gente che stimavo e stimo. Chiedere questo punteggio per una tesi didattica risultava una novità. Il massimo si dava a tesi teoriche o sperimentali. Argomentai il perché della mia richiesta. Appena finito fu proprio lui, il presidente delle sessione, che mi dette ragione, mi appoggiò e fece praticamente passare ciò che io avevo richiesto. Amaldi è sempre stato attento, anche elle più piccole questioni: su di lui si poteva sempre contare.
Rincontrai Amaldi ad uno dei congressi dell’AIF (Associazione per l’Insegnamento della Fisica). Egli aveva accettato entusiasta di parlarci delle sue ultime ricerche, di “onde gravitazionali”. La grande sala che a Rimini ci accoglieva era stracolma. Avevo occasione di rivedere e risentire il mio ‘professore’. Poi, all’uscita io ed il mio amico Achille Taddeini lo abbiamo riaccompagnato al suo albergo su una vecchia 127. Stare vicino a lui per un po’ di tempo e parlare di cose diverse da argomenti di fisica mi fece sentire in grande intimità con lui. Era affabile, dolcissimo, spiritoso. Qualche giorno dopo lo incontrai di nuovo a Roma. Camminavo su di un marciapiede, sotto il Ministero dell’Aereonautica, vicino all’Università; una vecchissima e scassatissima seicento mi si avvicina, si apre il finestrino e vedo Amaldi che mi saluta: “Ciao Renzetti, ti serve un passaggio ?”. “Grazie professore, no!”. Avrei voluto salire con lui. Scambiare due parole. Riprovare per un momento la compagnia esclusiva di un grande uomo sempre ultraimpegnato. La sorpresa, l’imbarazzo, … insomma non sono riuscito a cogliere quel prezioso momento, anche se, una volta salito alla domanda del dove volevo scendere, avrei risposto: “dove vuole”.
Poi sono venuto a lavorare qui, in Spagna. Le occasioni di incontro si sono ridotte di molto. Solo durante 1’estate, nelle mie incursioni in Istituto, avevo l’occasione di intravedere la sua testa bianca attraverso quella porta sempre socchiusa al secondo piano. Alcune volte, incontrandomi, mi chiedeva del mio lavoro. Altre mi salutava cordialmente.
Nel 1982, a settembre, l’ho rivisto per alcuni giorni a San Feliu de Guixolls. Aveva aderito ad un convegno sulle ‘Simmetrie in Fisica’ organizzato dal prof. Doncell dell’Università Autonoma di Barcellona. Tenne una splendida, relazione sulla statistica di Fermi.
Nel 1984, dopo il Nobel a Carlo Rubbia, chiesi all’Istituto di Cultura di Barcellona di invitare o Rubbia o Amaldi per dare enfasi a questo grande successo italiano. Al di là della solidarietà di un paio di addetti culturali, tutto morì nell’indifferenza di chi non sa e non potrà mai sapere. Gli Istituti di Cultura hanno i loro concertini e le loro mostre di pittura (per gli amici del paesello del direttore di turno); non hanno tempo per altro.
L’ultimo incontro con Amaldi lo ebbi nel luglio del 1989. Era da poco scomparso Emilio Segré ed ero stato invitato dal prof. Cordaro (ex professore di Humanidades all’Università di Boston ed ex consigliere personale di J.F. Kennedy, ora in pensione a Barcellona) a ricordare la figura, del grande fisico italiano (la cosa fu poi realizzata da una collaborazione tra il Liceo italiano di Barcellona e l’Istituto di Cultura). Mi serviva del materiale ? e chi più di Amaldi avrebbe potuto fornirmelo ? Lo andai a cercare in Istituto, usciva dalla sua stanza, aveva un abito blu e delle carte in mano. Andava di fretta. Mentre mi salutava gli dissi, in fretta, di cosa avrei avuto bisogno. Lasciò perdere ciò che stava facendo; mi accompagnò alla segreteria; chiese ad un segretario di tirarmi fuori dal calcolatore l’articolo che aveva scritto su Segré. Mi dette questo articolo dicendomi che ancora non era stato pubblicato e che c’era un errore che avrei dovuto correggere. Lo ringraziai e lo salutai. Era l’ultima volta che lo vedevo.
Nel luglio dell’anno successivo andavo in cerca di materiale che lo riguardasse per poterlo degnamente ricordare, dopo la sua improvvisa scomparsa.
Roberto Renzetti
Barcellona, 7 febbraio 1991.
Roberto Renzetti
Barcellona, 7 febbraio 1991.
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