Il gioco e la descrizione del mondo

di John Archibald Wheeler

(tratto da: J. A. Wheeler – Physics and Austerity – Law Without Law – University of Texas, Working Paper, 1982)

            Quindici amici stanno seduti in salotto dopo pranzo e decidono di fare il gioco delle 20 domande.

            Uno di essi è scelto come “vittima” e mandato fuori dalla stanza. Dopo aver chiuso la porta coloro che restano si accordano su una parola difficile, “esofago”. Quindi la vittima viene riammessa e cominciano le sue domande a risposta si/no. Se la vittima scopre la parola entro le 20 domande vince, altrimenti perde.

            Il gioco viene ripetuto alcune volte finché non viene il mio turno. La porta resta chiusa dietro di me per un tempo più lungo. Non capisco perché. Quando dopo un poco vengo riammesso in  salotto vedo sorrisi sul viso di ciascuno, indice di uno scherzo o un imbroglio.

            Inizio a fare le mie domande in modo innocente.

“Fa parte del regno animale?”

“No”

“Fa parte del regno vegetale?”

“No”

“Fa parte del regno minerale?”

“No”

“E’ verde?”

“No”

“E’ bianco?”

“Si”

            E mentre io procedevo con le mie domande, i miei amici, ogni volta mi facevano attendere più e più tempo per decidere se rispondere si o no. In ogni caso, ormai sapevo di avere a disposizione una sola domanda per indovinare la parola. E decido di rischiare.

“E’: nuvola?” dico.

“Si” gli amici mi rispondono; e si mettono tutti a ridere.

            Mentre io ero fuori della stanza si erano messi d’accordo di non accordarsi su una parola. Non c’era alcuna parola da scegliere quando io ero rientrato nel salotto. Ciascuno poteva rispondere alle mie domande a suo piacimento. C’era solo una piccola clausola. In accordo con le regole del gioco, io potevo ricusare qualcuno degli amici. Quindi quella persona che mi dava la risposta doveva essere sicura di dare una risposta che fosse compatibile con tutte le precedenti risposte. La nuova “versione a sorpresa” del gioco delle 20 domande presentava una  medesima difficoltà sia per me che per i miei amici.

            Qual è la morale di questa storia ? Il mondo esiste “da qualche parte” indipendentemente dal fatto che noi lo osserviamo. Noi dobbiamo considerare che un elettrone in un atomo abbia istante per istante una posizione ed una quantità di moto definite. Io, entrando, pensavo che nella stanza esistesse una parola definita. Invece la parola era costruita passo a passo attraverso le domande che facevo, allo stesso modo che le informazioni sull’elettrone discendono dall’esperimento che l’osservatore sceglie di fare; cioè dal tipo di strumento di registrazione che egli utilizza. Se io avessi  posto differenti domande o le stesse domande in un ordine differente, avrei dovuto concludere trovando una parola differente, allo stesso modo in cui gli sperimentatori avrebbero concluso con una storia differente per gli stati dell’elettrone. La mia abilità nell’arrivare alla particolare parola nuvola è molto parziale. La maggior parte è nell’ordine e selezione dei si e no che gli amici della stanza mi rispondevano. Allo stesso modo gli sperimentatori hanno qualche significativa influenza sulla descrizione dell’ elettrone attraverso la scelta degli esperimenti che faranno relativamente ad esso, “le domande che noi facciamo alla natura”. Ma questi sperimentatori sanno che c’è una certa non predicibilità circa cosa ciascuno di questi esperimenti ci dirà, circa quali “risposte la natura darà”, circa cosa succederà quando “Dio gioca a dadi”. Questo parallelo tra il mondo delle osservazioni quantistiche e la “versione sorpresa” del gioco delle 20 domande non si allontana  molto dal centrare il nocciolo del problema. Nel gioco nessuna parola è una parola finché questa parola non sia promossa a realtà dalla scelta delle domande fatte e dalle risposte ricevute. Nel mondo reale della fisica quantistica, nessun fenomeno elementare è un fenomeno finché esso non è un fenomeno registrato.



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