CHIESA ED OMOSESSUALITA’

“In definitiva si può calcolare intorno al 35% il numero degli aderenti alla Chiesa (seminaristi, preti, gerarchie) che è e si dichiara omosessuale”

Pepe Rodriguez

ed io aggiungo che non vi sarebbe nulla di male se si ammettesse ciò e non si criminalizzassero gli omosessuali.

        Vediamo attraverso alcuni documenti, articoli e cronache l’atteggiamento della Chiesa Cattolica (e non solo) nei riguardi dell’omosessualità.

La Bibbia e l’omosessualità
I passi della Bibbia in cui si tocca la questione
Traduzione CEI

Indice

Genesi 1,26-28
Genesi 2,18-24
Genesi 19,1-29
Levitico: Capitolo 18
Levitico 20,7-21
Giudici Cap. 19
1RE 14,22-24
Matteo: Capitolo 19, 1-9
Seconda Lettera di Pietro 2,4-10
Lettera di Giuda 1,5-7
Romani 1,24-27
Prima Lettera ai Corinzi 6,9,12
Prima Lettera a Timoteo 1,1-15


Genesi 1,26-28

26E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
27Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.
28Dio li benedisse e disse loro:
“Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra;
soggiogatela e dominate
sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente,
che striscia sulla terra”.


Genesi 2,18-24


18Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. 19Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. 21Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. 22Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. 23Allora l’uomo disse:
“Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall’uomo è stata tolta”.

24Per questo l`uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. 25Ora tutti e due erano nudi, l`uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.


Genesi 19,1-29


1 I due angeli arrivarono a Sodoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sodoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. 2 E disse: “Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada”. Quelli risposero: “No, passeremo la notte sulla piazza”. 3 Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi e così mangiarono. 4 Non si erano ancora coricati, quand’ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sodoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. 5 Chiamarono Lot e gli dissero: “Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!”. 6 Lot uscì verso di loro sulla porta e, dopo aver chiuso il battente dietro di sé, 7 disse: “No, fratelli miei, non fate del male! 8 Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all’ombra del mio tetto”. 9 Ma quelli risposero: “Tirati via! Quest’individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!”. E spingendosi violentemente contro quell’uomo, cioè contro Lot, si avvicinarono per sfondare la porta. 10 Allora dall’interno quegli uomini sporsero le mani, si trassero in casa Lot e chiusero il battente; 11 quanto agli uomini che erano alla porta della casa, essi li colpirono con un abbaglio accecante dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta. 12 Quegli uomini dissero allora a Lot: “Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. 13 Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandati a distruggerli”. 14 Lot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie, e disse: “Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!”. Ma parve ai suoi generi che egli volesse scherzare. 15 Quando apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: “Su, prendi tua moglie e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere travolto nel castigo della città”. 16 Lot indugiava, ma quegli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuori della città. 17 Dopo averli condotti fuori, uno di loro disse: “Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!”. 18 Ma Lot gli disse: “No, mio Signore! 19 Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato una grande misericordia verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia. 20 Vedi questa città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù – non è una piccola cosa? – e così la mia vita sarà salva”. 21 Gli rispose: “Ecco, ti ho favorito anche in questo, di non distruggere la città di cui hai parlato. 22 Presto, fuggi là perché io non posso far nulla, finché tu non vi sia arrivato”. Perciò quella città si chiamò Zoar. 23 Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, 24 quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. 25 Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. 26 Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. 27 Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore; 28 contemplò dall’alto Sodoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace. 29 Così, quando Dio distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.


Levitico: Capitolo 18


Proibizioni sessuali

1Il Signore disse ancora a Mosè: 2″Parla agli Israeliti e riferisci loro. Io sono il Signore, vostro Dio. 3Non farete come si fa nel paese d`Egitto dove avete abitato, né farete come si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, né imiterete i loro costumi. 4Metterete in pratica le mie prescrizioni e osserverete le mie leggi, seguendole. Io sono il Signore, vostro Dio. 5Osserverete dunque le mie leggi e le mie prescrizioni, mediante le quali, chiunque le metterà in pratica, vivrà. Io sono il Signore.
6Nessuno si accosterà a una sua consanguinea, per avere rapporti con lei. Io sono il Signore.
7Non recherai oltraggio a tuo padre avendo rapporti con tua madre: è tua madre; non scoprirai la sua nudità. 8Non scoprirai la nudità della tua matrigna; è la nudità di tuo padre. 9Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, sia nata in casa o fuori. 10Non scoprirai la nudità della figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia, perché è la tua propria nudità. 11Non scoprirai la nudità della figlia della tua matrigna, generata nella tua casa: è tua sorella. 12Non scoprirai la nudità della sorella di tuo padre; è carne di tuo padre. 13Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre, perché è carne di tua madre. 14Non scoprirai la nudità del fratello di tuo padre, cioè non ti accosterai alla sua moglie: è tua zia. 15Non scoprirai la nudità di tua nuora: è la moglie di tuo figlio; non scoprirai la sua nudità. 16Non scoprirai la nudità di tua cognata: è la nudità di tuo fratello.
17Non scoprirai la nudità di una donna e di sua figlia; né prenderai la figlia di suo figlio, né la figlia di sua figlia per scoprirne la nudità: sono parenti carnali: è un`infamia. 18E quanto alla moglie, non prenderai inoltre la sorella di lei, per farne una rivale, mentre tua moglie è in vita.
19Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l`immondezza mestruale.
20Non peccherai con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei.
21Non lascerai passare alcuno dei tuoi figli a Moloch e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore.
22Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio. 23Non ti abbrutirai con alcuna bestia per contaminarti con essa; la donna non si abbrutirà con una bestia; è una perversione.
24Non vi contaminate con nessuna di tali nefandezze; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi. 25Il paese ne è stato contaminato; per questo ho punito la sua iniquità e il paese ha vomitato i suoi abitanti. 26Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni e non commetterete nessuna di queste pratiche abominevoli: né colui che è nativo del paese, né il forestiero in mezzo a voi. 27Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi e il paese ne è stato contaminato. 28Badate che, contaminandolo, il paese non vomiti anche voi, come ha vomitato la gente che vi abitava prima di voi. 29Perché quanti commetteranno qualcuna di queste pratiche abominevoli saranno eliminati dal loro popolo. 30Osserverete dunque i miei ordini e non imiterete nessuno di quei costumi abominevoli che sono stati praticati prima di voi, né vi contaminerete con essi. Io sono il Signore, il Dio vostro”.


Levitico 20,7-21


7Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono il Signore, vostro Dio.

B. Colpe contro la famiglia

8Osservate le mie leggi e mettetele in pratica. Io sono il Signore che vi vuole fare santi.
9Chiunque maltratta suo padre o sua madre dovrà essere messo a morte; ha maltrattato suo padre o sua madre: il suo sangue ricadrà su di lui.
10Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l`adultero e l`adùltera dovranno esser messi a morte.
11Se uno ha rapporti con la matrigna, egli scopre la nudità del padre; tutti e due dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di essi.
12Se uno ha rapporti con la nuora, tutti e due dovranno essere messi a morte; hanno commesso un abominio; il loro sangue ricadrà su di essi.
13Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro.
14Se uno prende in moglie la figlia e la madre, è un delitto; si bruceranno con il fuoco lui ed esse, perché non ci sia fra di voi tale delitto.
15L`uomo che si abbrutisce con una bestia dovrà essere messo a morte; dovrete uccidere anche la bestia. 16Se una donna si accosta a una bestia per lordarsi con essa, ucciderai la donna e la bestia; tutte e due dovranno essere messe a morte; il loro sangue ricadrà su di loro.
17Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei ed essa vede la nudità di lui, è un`infamia; tutti e due saranno eliminati alla presenza dei figli del loro popolo; quel tale ha scoperto la nudità della propria sorella; dovrà portare la pena della sua iniquità.
18Se uno ha un rapporto con una donna durante le sue regole e ne scopre la nudità, quel tale ha scoperto la sorgente di lei ed essa ha scoperto la sorgente del proprio sangue; perciò tutti e due saranno eliminati dal loro popolo.
19Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre o della sorella di tuo padre; chi lo fa scopre la sua stessa carne; tutti e due porteranno la pena della loro iniquità.
20Se uno ha rapporti con la moglie di suo zio, scopre la nudità di suo zio; tutti e due porteranno la pena del loro peccato; dovranno morire senza figli.
21Se uno prende la moglie del fratello, è una impurità, egli ha scoperto la nudità del fratello; non avranno figli.


Giudici: Capitolo 19


2. IL DELITTO DI GABAA E LA GUERRA CONTRO BENIAMINO
Il levita di Efraim e la sua concubina

1In quel tempo, quando non c`era un re in Israele, un levita, il quale dimorava all`interno delle montagne di Efraim, si prese per concubina una donna di Betlemme di Giuda. 2Ma la concubina in un momento di collera lo abbandonò, tornando a casa del padre a Betlemme di Giuda e vi rimase per quattro mesi. 3Suo marito si mosse e andò da lei per convincerla a tornare. Aveva preso con sé il suo servo e due asini. Ella lo condusse in casa di suo padre; quando il padre della giovane lo vide, gli andò incontro con gioia. 4Suo suocero, il padre della giovane, lo trattenne ed egli rimase con lui tre giorni; mangiarono e bevvero e passarono la notte in quel luogo. 5Il quarto giorno si alzarono di buon`ora e il levita si disponeva a partire. Il padre della giovane disse: “Prendi un boccone di pane per ristorarti; poi, ve ne andrete”. 6Così sedettero tutti e due insieme e mangiarono e bevvero. Poi il padre della giovane disse al marito: “Accetta di passare qui la notte e il tuo cuore gioisca”. 7Quell`uomo si alzò per andarsene; ma il suocero fece tanta insistenza che accettò di passare la notte in quel luogo. 8Il quinto giorno egli si alzò di buon`ora per andarsene e il padre della giovane gli disse: “Rinfràncati prima”. Così indugiarono fino al declinare del giorno e mangiarono insieme. 9Quando quell`uomo si alzò per andarsene con la sua concubina e con il suo servo, il suocero, il padre della giovane, gli disse: “Ecco, il giorno volge ora a sera; state qui questa notte; ormai il giorno sta per finire; passa la notte qui e il tuo cuore gioisca; domani vi metterete in viaggio di buon`ora e andrai alla tua tenda”.
10Ma quell`uomo non volle passare la notte in quel luogo; si alzò, partì e giunse di fronte a Iebus, cioè Gerusalemme, con i suoi due asini sellati, con la sua concubina e il servo.

Il delitto degli uomini di Gàbaa

11Quando furono vicino a Iebus, il giorno era di molto calato e il servo disse al suo padrone: “Vieni, deviamo il cammino verso questa città dei Gebusei e passiamovi la notte”. 12Il padrone gli rispose: “Non entreremo in una città di stranieri, i cui abitanti non sono Israeliti, ma andremo oltre, fino a Gàbaa”. 13Aggiunse al suo servo: “Vieni, raggiungiamo uno di quei luoghi e passeremo la notte a Gàbaa o a Rama”. 14Così passarono oltre e continuarono il viaggio; il sole tramontava, quando si trovarono di fianco a Gàbaa, che appartiene a Beniamino. Deviarono in quella direzione per passare la notte a Gàbaa. 15Il levita entrò e si fermò sulla piazza della città; ma nessuno li accolse in casa per passare la notte. 16Quand`ecco un vecchio che tornava la sera dal lavoro nei campi; era un uomo delle montagne di Efraim, che abitava come forestiero in Gàbaa, mentre invece la gente del luogo era beniaminita. 17Alzati gli occhi, vide quel viandante sulla piazza della città. Il vecchio gli disse: “Dove vai e da dove vieni?”. 18Quegli rispose: “Andiamo da Betlemme di Giuda fino all`estremità delle montagne di Efraim. Io sono di là ed ero andato a Betlemme di Giuda; ora mi reco alla casa del Signore, ma nessuno mi accoglie sotto il suo tetto. 19Eppure abbiamo paglia e foraggio per i nostri asini e anche pane e vino per me, per la tua serva e per il giovane che è con i tuoi servi; non ci manca nulla”. 20Il vecchio gli disse: “La pace sia con te! Prendo a mio carico quanto ti occorre; non devi passare la notte sulla piazza”. 21Così lo condusse in casa sua e diede foraggio agli asini; i viandanti si lavarono i piedi, poi mangiarono e bevvero. 22Mentre aprivano il cuore alla gioia ecco gli uomini della città, gente iniqua, circondarono la casa, bussando alla porta, e dissero al vecchio padrone di casa: “Fà uscire quell`uomo che è entrato in casa tua, perché vogliamo abusare di lui”. 23Il padrone di casa uscì e disse loro: “No, fratelli miei, non fate una cattiva azione; dal momento che quest`uomo è venuto in casa mia, non dovete commettere questa infamia! 24Ecco mia figlia che è vergine, io ve la condurrò fuori, abusatene e fatele quello che vi pare; ma non commettete contro quell`uomo una simile infamia”. 25Ma quegli uomini non vollero ascoltarlo. Allora il levita afferrò la sua concubina e la portò fuori da loro. Essi la presero e abusarono di lei tutta la notte fino al mattino; la lasciarono andare allo spuntar dell`alba. 26Quella donna sul far del mattino venne a cadere all`ingresso della casa dell`uomo, presso il quale stava il suo padrone e là restò finché fu giorno chiaro. 27Il suo padrone si alzò alla mattina, aprì la porta della casa e uscì per continuare il suo viaggio; ecco la donna, la sua concubina, giaceva distesa all`ingresso della casa, con le mani sulla soglia. 28Le disse: “Alzati, dobbiamo partire!”. Ma non ebbe risposta. Allora il marito la caricò sull`asino e partì per tornare alla sua abitazione.
29Come giunse a casa, si munì di un coltello, afferrò la sua concubina e la tagliò, membro per membro, in dodici pezzi; poi li spedì per tutto il territorio d`Israele. 30Agli uomini che inviava ordinò: “Così direte ad ogni uomo d`Israele: E` forse mai accaduta una cosa simile da quando gli Israeliti sono usciti dal paese di Egitto fino ad oggi? Pensateci, consultatevi e decidete!”. Quanti vedevano, dicevano: “Non è mai accaduta e non si è mai vista una cosa simile, da quando gli Israeliti sono usciti dal paese d`Egitto fino ad oggi!”.


Giudici: Capitolo 20


Gli Israeliti si impegnarono a vendicare il delitto di Gàbaa

1Allora tutti gli Israeliti uscirono, da Dan fino a Bersabea e al paese di Gàlaad, e il popolo si radunò come un sol uomo dinanzi al Signore, a Mizpa. 2I capi di tutto il popolo e tutte le tribù d`Israele si presentarono all`assemblea del popolo di Dio, in numero di quattrocentomila fanti, che maneggiavano la spada. 3I figli di Beniamino vennero a sapere che gli Israeliti erano venuti a Mizpa. Gli Israeliti dissero: “Parlate! Com`è avvenuta questa scelleratezza?”. 4Allora il levita, il marito della donna che era stata uccisa, rispose: “Io ero giunto con la mia concubina a Gàbaa di Beniamino per passarvi la notte. 5Ma gli abitanti di Gàbaa insorsero contro di me e circondarono di notte la casa dove stavo; volevano uccidere me; quanto alla mia concubina le usarono violenza fino al punto che ne morì. 6Io presi la mia concubina, la feci a pezzi e li mandai per tutto il territorio della nazione d`Israele, perché costoro hanno commesso un delitto e un`infamia in Israele. 7Eccovi qui tutti, Israeliti; consultatevi e decidete qui stesso”. 8Tutto il popolo si alzò insieme gridando: “Nessuno di noi tornerà alla tenda, nessuno di noi rientrerà a casa. 9Ora ecco quanto faremo a Gàbaa: tireremo a sorte 10e prenderemo in tutte le tribù d`Israele dieci uomini su cento, cento su mille e mille su diecimila, i quali andranno a cercare viveri per il popolo, per quelli che andranno a punire Gàbaa di Beniamino, come merita l`infamia che ha commessa in Israele”.
11Così tutti gli Israeliti si radunarono contro quella città, uniti come un sol uomo.
12Le tribù d`Israele mandarono uomini in tutta la tribù di Beniamino a dire: “Quale delitto è stato commesso in mezzo a voi? 13Dunque consegnateci quegli uomini iniqui di Gàbaa, perché li uccidiamo e cancelliamo il male da Israele”. Ma i figli di Beniamino non vollero ascoltare la voce dei loro fratelli, gli Israeliti.


1RE 14,22-24

22Giuda fece ciò che è male agli occhi del Signore; essi provocarono il Signore a gelosia più di quanto non l`avessero fatto tutti i loro padri, con i loro peccati. 23Anch`essi si costruirono alture, stele e pali sacri su ogni alto colle e sotto ogni albero verde. 24Inoltre nel paese c`erano prostituti sacri, i quali rinnovarono tutti gli abomini dei popoli che il Signore aveva scacciati davanti agli Israeliti.


Matteo: Capitolo 19, 1-9

1Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano. 2E lo seguì molta folla e colà egli guarì i malati.
3Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “E` lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. 4Ed egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: 5Per questo l`uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola ? 6Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l`uomo non lo separi”. 7Gli obiettarono: “Perché allora Mosè ha ordinato di darle l`atto di ripudio e mandarla via ?”. 8Rispose loro Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. 9Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un`altra commette adulterio”.


Seconda Lettera di Pietro 2,4-10


Le lezioni del passato

4Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell`inferno, serbandoli per il giudizio; 5non risparmiò il mondo antico, ma tuttavia con altri sette salvò Noè, banditore di giustizia, mentre faceva piombare il diluvio su un mondo di empi; 6condannò alla distruzione le città di Sòdoma e Gomorra, riducendole in cenere, ponendo un esempio a quanti sarebbero vissuti empiamente. 7Liberò invece il giusto Lot, angustiato dal comportamento immorale di quegli scellerati. 8Quel giusto infatti, per ciò che vedeva e udiva mentre abitava in mezzo a loro, si tormentava ogni giorno nella sua anima giusta per tali ignominie. 9Il Signore sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del giudizio, 10soprattutto coloro che nelle loro impure passioni vanno dietro alla carne e disprezzano il Signore.


Lettera di Giuda 1,5-7

I falsi dottori. Il castigo che li minaccia

5Ora io voglio ricordare a voi, che già conoscete tutte queste cose, che il Signore dopo aver salvato il popolo dalla terra d`Egitto, fece perire in seguito quelli che non vollero credere, 6e che gli angeli che non conservarono la loro dignità ma lasciarono la propria dimora, egli li tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno. 7Così Sòdoma e Gomorra e le città vicine, che si sono abbandonate all`impudicizia allo stesso modo e sono andate dietro a vizi contro natura, stanno come esempio subendo le pene di un fuoco eterno.


Romani 1,24-27


24 Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, 25 poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. 26 Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. 27 Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento.


Prima Lettera ai Corinzi 6,9,12


9 O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, 10 né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. 11 E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio! 12 “Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla.


Prima Lettera a Timoteo 1,1-15


1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, 2 a Timòteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro. 3 Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse 4 e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede. 5 Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. 6 Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità, 7 pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che dànno per sicure. 8 Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente; 9 sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, 10 i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina, 11 secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato. 12 Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: 13 io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; 14 così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. 15 Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io.


http://www.ildialogo.org/omoses/#uno

Cristianesimo ed omosessualità
Il Catechismo della Chiesa Cattolica sul tema dell’omosessualità

Per chiarezza e a beneficio di quanti non li conoscono, riportiamo di seguito i tre paragrafi (2357, 2358 e 2359) dedicati alla omosessualità dal Catechismo della Chiesa Cattolica promulgato da Giovanni Paolo II° nel 1992.


2357 L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, [Cf Gen 19,1-29; Rm 1,24-27; 1Cor 6,10; 1Tm 1,10 ] la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.


2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.”


http://www.ildialogo.org/omoses/#uno

I cristiani e l’omosessualità
“Posizione della Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno sull’omosessualità”.

Di Nome e Cognome

La Chiesa Avventista del 7° Giorno riconosce che ogni essere umano è prezioso agli occhi di Dio e gli avventisti cercano di servire tutti gli uomini e le donne nello spirito di Gesù. Noi crediamo anche che per la grazia di Dio e attraverso l’incoraggiamento della comunità di fede, un individuo possa vivere in armonia con i principi della Parola di Dio.
Gli Avventisti del 7° Giorno credono che l’intimità sessuale sia lecita solo nell’ambito della relazione coniugale tra uomo e donna.
Questo era il piano stabilito da Dio alla creazione. Le Sacre Scritture dichiarano: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” (Genesi 2:24). In tutta la Sacra Scrittura viene ribadito questo modello eterosessuale. La Bibbia non prevede nessuna possibilità di relazioni o attività omosessuali. Atti sessuali al di fuori della sfera di un matrimonio eterosessuale sono proibiti (Levitico 20:7-21; Romani 1:24-27; I Corinzi 6:9-11). Gesù Cristo ha riaffermato l’intento della creazione divina: “Non avete letto che il Creatore da principio, li creò maschio e femmina e che disse: ‘Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con sua moglie, e i due saranno una sola carne?’ Così non sono più due, ma una sola carne” (Matteo 19: 4-6). Per queste ragioni gli avventisti sono contrari alle pratiche e alle relazioni omosessuali.
Gli Avventisti del 7° Giorno si sforzano di seguire le istruzioni e l’esempio di Gesù. Egli affermò la dignità di tutti gli esseri umani e si rivolse con bontà alle persone e alle famiglie che soffrivano per le conseguenze del peccato. Egli offrì un ministero di conforto e parole di consolazione alle persone che lottavano, facendo una chiara distinzione tra il suo amore per i peccatori e l’insegnamento biblico relativo alle pratiche peccaminose.


http://www.ildialogo.org/omoses/#

Anglicani: sinodo della chiesa di inghilterra, celibato per i preti omosessuali e apertura alle unioni gay

Da Agenzia SIR del 13 febbraio 2004

Nessun cambiamento nella posizione della Chiesa di Inghilterra in merito alla omosessualità ma la richiesta di un atteggiamento “più moderato nei confronti dei gay in tutte le aree della Chiesa”. È quanto è emerso al termine di una lunga discussione nell’ambito del Sinodo generale della Chiesa di Inghilterra che mercoledì scorso ha votato con una “schiacciante maggioranza” un documento redatto dalla “House of Bishops” (Casa dei vescovi) sulla sessualità: “Some issues in human sexuality”. Il testo – secondo quanto si apprende dal Servizio di informazione della Comunione anglicana – è stato presentato dal reverendo Richard Harries, vescovo di Oxford, specificando che il documento “non cambia la posizione della Casa dei vescovi” in merito alla omosessualità ma intende offrire un “punto di vista alla luce della teologia tradizionale e dei comportamenti culturali attuali”. Il testo vuole essere una guida per incoraggiare una “maggiore comprensione” di questi temi all’interno delle comunità anglicane inglesi. Secondo le linee-guida date dalla Casa dei vescovi, il clero omosessuale è chiamato a vivere questa condizione nel celibato. Il documento apre, comunque, alla possibilità di benedire i matrimoni gay. Dopo la presentazione del vescovo Harries, in molti hanno preso la parola. C’è stata anche la testimonianza del reverendo Paul Collier della diocesi di Southwark che si è dichiarato apertamente gay, pur esercitando il ministero da 10 anni. Più cauta la posizione del reverendo David Banting di Chelmsford che ha sottolineato le “ampie difficoltà e divisioni nella Chiesa anglicana di tutto il mondo” che il dibattito sulla omosessualità sta provocando.

Mercoledì, 18 febbraio 2004


http://www.oliari.com/chiesa/dottori_chiesa.html

La condanna dei Padri e dei Dottori della Chiesa

tratto dal sito “Luci sull’Est

Sant’Agostino: “i delitti compiuti dai sodomiti devono essere condannati ovunque e sempre”

Fin dalle origini la Chiesa, facendo eco alla maledizione delle Sacre Scritture, ha condannato la pratica omosessuale per bocca dei santi Padri, scrittori ecclesiastici antichi riconosciuti come testimoni della Tradizione Divina.

Fra i primi a pronunciarsi, fu il sommo sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona e Dottore della Chiesa: “I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand’anche tutti gli uomini li commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio infatti non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di loro stessi. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio ha creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venire violata” (Sant’Agostino, Confessioni, c. III, p. 8).

San Gregorio Magno: “era giusto che i sodomiti perissero per mezzo del fuoco e dello zolfo

San Gregorio I Papa (540-604) detto “Magno”, Dottore della Chiesa, ravvisa nello zolfo, che si rovesciò su Sodoma il peccato della carne degli omosessuali.

“Che lo zolfo evochi i fetori della carne, lo conferma la storia stessa della Sacra Scrittura, quando parla della pioggia di fuoco e zolfo versata su Sodoma dal Signore. Egli aveva deciso di punire in essa i crimini della carne, e il tipo stesso del suo castigo metteva in risalto l’onta di quel crimine. Perché lo zolfo emana fetore, il fuoco arde. Era quindi giusto che i Sodomiti, ardendo di desideri perversi originati dal fetore della carne, perissero ad un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male compiuto sotto la spinta di un desiderio perverso” (San Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, XIV, 23, vol. II, p. 371).

San Giovanni Crisostomo: la passione omosessuale è diabolica

Il Padre della Chiesa che condannò con maggior frequenza l’abuso contro natura fu san Giovanni Crisostomo (344 ca.-407), Patriarca di Costantinopoli e Dottore della Chiesa, di cui riportiamo passi di un’omelia di commento all’epistola di san Paolo ai Romani:

“Le passioni sono tutte disonorevoli, perché l’anima viene più danneggiata e degradata dai peccati di quanto il corpo lo venga dalle malattie; ma la peggiore fra tutte le passioni è la bramosia fra maschi. (…) I peccati contro natura sono più difficili e meno remunerativi, tanto che non si può nemmeno affermare che essi procurino piacere, perché il vero piacere è solo quello che si accorda con la natura. Ma quando Dio ha abbandonato qualcuno, tutto è invertito! Perciò non solo le loro (degli omosessuali, n.d.r.) passioni sono sataniche, ma le loro vite sono diaboliche. (…) Perciò io ti dico che costoro sono anche peggiori degli omicidi, e che sarebbe meglio morire che vivere disonorati in questo modo. L’omicida separa solo l’anima del corpo, mentre costoro distruggono l’anima all’interno del corpo. Qualsiasi peccato tu nomini, non ne nominerai nessuno che sia uguale a questo, e se quelli che lo patiscono si accorgessero veramente di quello che sta loro accadendo, preferirebbero morire mille volte piuttosto che sottostarvi. Non c’è nulla, assolutamente nulla di più folle o dannoso di questa perversità” (San Giovanni Crisostomo, Homilia IV in Epistula Pauli ad Romanos; cfr. Patrologia Graeca, vol. 47, coll. 360-362).

San Pier Damiani: “Questo vizio supera per gravità tutti gli altri vizi…”

Durante tutto il Medioevo, ossia nel periodo di formazione della civiltà cristiana occidentale, la Chiesa non ha mai smesso di promuovere la virtù della temperanza e di rinnovare la condanna del vizio contro natura; in tal modo riuscì a ridurlo ad un fenomeno rarissimo e marginale.

Fra i santi che combatterono il vizio omosessuale nel Medioevo, uno dei più grandi fu san Pier Damiani (1007-1072), Dottore della Chiesa, riformatore dell’ordine benedettino e sommo scrittore e predicatore. Nel suo Liber Gomorhanus, scritto verso il 1051 per Papa san Leone IX, egli denuncia con grande vigore la rovina spirituale alla quale si condanna chi pratica tale vizio. (…) “Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti, uccide il corpo, rovina l’anima, contamina la carne, estingue la luce dell’intelletto, caccia lo Spirito Santo dal tempio dell’anima. (…)” (op. cit., in Patrologia Latina, vol. 145, coll. 159-190).

San Tommaso d’Aquino: l’omosessualità “offende Dio stesso come ordinatore della natura”

San Tommaso d’Aquino (1224-1274), il grande teologo domenicano proclamato dalla Chiesa “Dottore comune” della Cristianità, descrive nella sua  Summa Theologica l’omosessualità come il vizio contro natura più grave, equiparandolo al cannibalismo e alla bestialità.

“L’intemperanza è sommamente riprovevole, per due ragioni. Innanzitutto perché ripugna sommamente all’umana eccellenza, trattandosi di piaceri che abbiamo in comune coi bruti. (…) Secondariamente perché ripugna sommamente alla nobiltà ed al decoro, in quanto cioè nei piaceri riguardanti l’intemperanza viene offuscata la luce della ragione, dalla quale deriva tutta la nobiltà e la bellezza della virtù. (…) I vizi della carne che riguardano l’intemperanza, benché siano meno gravi quanto alla colpa, sono però più gravi quanto all’infamia. Infatti la gravità della colpa riguarda il traviamento dal fine, mentre l’infamia riguarda la turpitudine, che viene valutata soprattutto quanto all’indecenza del peccato. (…) Ma i vizi che violano la regola dell’umana natura sono ancor più riprovevoli. Essi vanno ricondotti a quel tipo di intemperanza che ne costituisce in un certo modo l’eccesso – è questo il caso di coloro che godono nel cibarsi di carne umana, o nell’accoppiamento con bestie, o in quello sodomitico” (San Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, II-II, q. 142, a. 4).

Insomma, se l’ordine della retta ragione viene dall’uomo, invece l’ordine della natura proviene direttamente da Dio stesso. Pertanto, “nei peccati contro natura in cui viene violato l’ordine naturale, viene offeso Dio stesso in qualità di ordinatore della natura” (San Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, II-II, q. 154, a. 12).

Santa Caterina da Siena: vizio maledetto schifato dagli stessi demoni

Anche la grande santa Caterina da Siena (1347-1380), maestra di spiritualità e Dottore della Chiesa, condannò in maniera veemente l’omosessualità.

Nel suo Dialogo della divina Provvidenza, in cui riferisce gli insegnamenti ricevuti da Gesù stesso, ella così si esprime sul vizio contro natura:

“Non solo essi hanno quell’immondezza e fragilità, alla quale siete inclinati per la vostra fragile natura (benché la ragione, quando lo vuole il libero arbitrio, faccia star quieta questa ribellione), ma quei miseri non raffrenano quella fragilità: anzi fanno peggio, commettendo il maledetto peccato contro natura. Quali ciechi e stolti, essendo offuscato il lume del loro intelletto, non conoscono il fetore e la miseria in cui sono; poiché non solo essa fa schifo a Me, che sono somma ed eterna purità (a cui è tanto abominevole, che per questo solo peccato cinque città sprofondarono per mio divino giudizio, non volendo più oltre sopportarle la mia giustizia), ma dispiace anche ai demoni, che di quei miseri si sono fatti signori. Non è che ai demoni dispiaccia il male, quasi che a loro piaccia un qualche bene, ma perché la loro natura è angelica, e perciò schiva di vedere o di stare a veder commettere quell’enorme peccato” (S. Caterina da Siena, op. cit., cap. 124).

San Bonaventura: nella notte di Natale “tutti i sodomiti morirono su tutta la terra”

Il francescano san Bonaventura (1217-1274), Dottore della Chiesa con il titolo di Doctor Seraphicus, illustrando alcuni fatti miracolosi accaduti nel momento del Santo Natale afferma che: ”Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò san Gerolamo commentando il salmo ‘È nata una luce per il giusto’, per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità” (San Bonaventura, Sermone XXI, In Nativitate Domini, pronunciato nella chiesa di Santa Maria della Porziuncola, in Opera Omnia, vol. IX, p. 123).

San Bernardino da Siena: “la sodomia maledetta … sconvolge l’intelletto”

Fra coloro che in quell’epoca parlarono e scrissero contro il risorgere di questo vizio, il più importante è forse il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444), celebre predicatore insigne per dottrina e per santità. Egli proclamò nella sua Predica XXXIX:

“Non è peccato al mondo che più tenga l’anima, che quello de la sodomia maledetta; il quale peccato è stato detestato sempre da tutti quelli che so’ vissuti secondo Iddio, (…) ‘La passione per delle forme indebite è prossima alla pazzia; questo vizio sconvolge l’intelletto, spezza l’animo elevato e generoso, trascina dai grandi pensieri agli infimi, rende pusillanimi, iracondi, ostinati e induriti, servilmente blandi e incapaci di tutto; inoltre, essendo l’animo agitato da insaziabile bramosia di godere, non segue la ragione ma il furore’. (…) La cagione si è perché ellino so’ accecati, e dove arebbono i pensieri loro alle cose alte e grandi, come quelle che hanno l’animo magno, gli rompe e gli fracassa e riduceli a vili cose a disutili e fracide e putride, e mai questi tali non si possono contentare. (…) Come de la gloria di Dio ne partecipa più uno che un altro, così in inferno vi so’ luoghi dove v’è più pene, e più ne sente uno che un altro. Più pena sente uno che sia vissuto con questo vizio de la sodomia che un altro, perocché questo è maggior peccato che sia” (San Bernardino da Siena, Predica XXXIX in Prediche volgari, pp. 896-897 e 915).

San Pietro Canisio: i sodomiti violano la legge naturale e divina

Nel suo celebre Catechismo, il gesuita san Pietro Canisio (1521-1597), Dottore della Chiesa, così sintetizzava l’insegnamento della Chiesa:

“Come dice la Sacra Scrittura, i sodomiti erano pessima gente e fin troppo peccatori. San Pietro e san Paolo condannano questo nefasto e turpe peccato. Difatti la Scrittura denuncia l’enormità di una tale sconcezza con queste parole: ‘Lo scandalo dei sodomiti e dei gomorrani si è moltiplicato e il loro peccato si è troppo aggravato’. Pertanto gli angeli dissero al giusto Loth, che aborriva massimamente le turpitudini dei sodomiti: ‘Abbandoniamo questa città, etc.’ (…) La Sacra Scrittura non tace le cause che spinsero i sodomiti a questo gravissimo peccato e che possono spingere anche altri. Leggiamo infatti nel libro di Ezechiele: ‘Questa fu l’iniquità di Sodoma: la superbia, la sazietà di cibo ed abbondanza di beni, e l’ozio loro e delle loro figlie; non aiutarono il povero e il bisognoso, ma insuperbirono e fecero ciò che è abominevole al mio cospetto; per questo Io la distrussi’ (Ez. 16, 49-50). Di questa turpitudine mai abbastanza esecrata sono schiavi coloro che non si vergognano di violare la legge divina e naturale” (San Pietro Canisio, Summa Doctrina Christianae, III a/b, p. 455).

San Pio V: “l’esecrabile vizio libidinoso contro natura”…

Se lo spirito dell’Umanesimo e del Rinascimento aveva risuscitato le pratiche omosessuali, la riforma della Chiesa promossa dal Papato nel secolo XVI (più nota come Controriforma) provocò una tale riscossa delle virtù di fede e di purezza da risanare quasi dovunque gli ambienti, sia ecclesiastici che laici, che ne erano stati pervasi.

Fra gli interventi del Magistero ecclesiastico al riguardo, il più solenne è quello di san Pio V (1504-1572), il grande Papa domenicano che in due Costituzioni condannò solennemente e proibì severamente il peccato contro natura.

“Avendo noi rivolto il nostro animo a rimuovere tutto quanto può offendere in qualche modo la divina maestà, abbiamo stabilito di punire innanzitutto e senza indugi quelle cose che, sia con l’autorità delle Sacre Scritture che con gravissimi esempi, risultano essere spiacenti a Dio più di ogni altro e che lo spingono all’ira: ossia la trascuratezza del culto divino, la rovinosa simonia, il crimine della bestemmia e l’esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popoli e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre, fame e pestilenze. (…)

Sappiano i magistrati che, se anche dopo questa nostra Costituzione saranno negligenti nel punire questi delitti, ne saranno colpevoli al cospetto del giudizio divino, e incorreranno anche nella nostra indignazione. (…)

Se qualcuno compirà quel nefando crimine contro natura, per colpa del quale l’ira divina piombò su figli dell’iniquità, verrà consegnato per punizione al braccio secolare, e se chierico, verrà sottoposto ad analoga pena dopo essere stato privato di ogni grado” (San Pio V, Costituzione Cum primum, del 1° aprile 1566, in Bullarium Romanum, t. IV, c. II, pp. 284-286).  

…”reprimere tale crimine col massimo zelo possibile”  

“Quell’orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e oscene (di Sodoma e Gomorra, n.d.r.) vennero bruciate dalla divina condanna, marchia di acerbissimo dolore e scuote fortemente il nostro animo, spingendoci a reprimere tale crimine col massimo zelo possibile.

A buon diritto il Concilio Lateranense V (1512-1517) stabilisce per decreto che qualunque membro del clero, che sia stato sorpreso in quel vizio contro natura per via del quale l’ira divina cadde sui figli dell’empietà, venga allontanato dall’ordine clericale, oppure venga costretto a far penitenza in un monastero (c. 4, X, V, 31).

Affinché il contagio di un così grave flagello non progredisca con maggior audacia approfittandosi di quell’impunità che è il massimo incitamento al peccato, e per castigare più severamente i chierici colpevoli di questo nefasto crimine che non sono atterriti dalla morte dell’anima, abbiamo deciso che vengano atterriti dall’autorità secolare, vindice della legge civile.

Pertanto, volendo proseguire con maggior vigore quanto abbiamo decretato fin dal principio del Nostro Pontificato (Costituzione Cum primum, cit.), stabiliamo che qualunque sacerdote o membro del clero sia secolare che regolare, di qualunque grado e dignità, che pratichi un così orribile crimine, in forza della presente legge venga privato di ogni privilegio clericale, di ogni incarico, dignità e beneficio ecclesiastico, e poi, una volta degradato dal Giudice ecclesiastico, venga subito consegnato all’autorità secolare, affinché lo destini a quel supplizio, previsto dalla legge come opportuna punizione, che colpisce i laici scivolati in questo abisso” (San Pio V, Costituzione Horrendum illud scelus, del 30 agosto 1568, in Bullarium Romanum, t. IV, c. III, p. 33).

San Pio X: il peccato contro natura grida vendetta al cospetto di Dio

Durante l’Ottocento, la sensibilità esasperatamente sentimentale ed erotica, diffusa prima dal Romanticismo e poi più gravemente dal decadentismo, contribuì ad un certo risorgere dell’omosessualità, che però sembrava tenuto a freno da una convenzionale “morale laica” e si diffondeva nascondendosi ipocritamente sotto il velo dell’arte e della moda sensuali.

Con l’inizio del nostro secolo, gli argini di questa “morale”, ben presto destinati a crollare, cominciarono a cedere sotto il crescente impatto delle passioni sregolate, che influenzavano sempre più le classi colte e ricche e cominciavano a pretendere una legittimazione pubblica.

La Chiesa pertanto ritenne necessario ribadire la condanna dei peccati risorgenti, compreso quello omosessuale.

Segnaliamo al riguardo due fondamentali documenti promossi dal grande Pontefice san Pio X.

Nel suo Catechismo del 1910, infatti, il “peccato impuro contro natura” è classificato per gravità come secondo, dopo l’omicidio volontario, fra i peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio” (Catechismo maggiore, n. 966).

“Questi peccati – spiega il Catechismo – si dicono gridare al cospetto di Dio, perché lo dice lo Spirito Santo e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punire con più severi castighi” (n. 967).


http://www.oliari.com/chiesa/ratzinger1.html

Card. Josef Ratzinger,

Prefetto per la Dottrina della Fede

NOTIFICAZIONE

riguardante Suor Jeannine Gramick e Padre Robert Nugent

Suor Jeannine Gramick e Padre Robert Nugent, da più di venti anni sono impegnati in attività pastorali indirizzate a persone omosessuali. Nel 1977 essi fondarono nel territorio dell’arcidiocesi di Washington l’organizzazione New Ways Ministry allo scopo di promuovere “giustizia e riconciliazione fra lesbiche e omosessuali cattolici e la più vasta comunità cattolica”.
Sono autori dei libri Building Bridges: Gay and Lesbian Reality and the Catholic Church (Mystic: Twenty-Third Publications, 1992) e Voices of Hope: A Collection of Positive Catholic Writings on Gay and Lesbian Issues (New York: Center for Homophobia Education, 1995).
Fin dall’inizio, nel presentare l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità, Padre Nugent e Suor Gramick ne hanno ripetutamente messo in discussione elementi centrali. Per questo motivo, nel 1984, il Cardinale James Hickey, Arcivescovo di Washington, dopo il fallimento di una serie di tentativi di chiarificazione,comunicò loro che non potevano più svolgere le loro attività in quella arcidiocesi. Nello stesso tempo, la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica ordinò loro di separarsi totalmente e completamente da New Ways Ministry, aggiungendo che non avrebbero potuto esercitare alcun apostolato senza presentare fedelmente la dottrina della Chiesa circa la malizia intrinseca degli atti omosessuali.
Nonostante questo intervento della Santa Sede, Padre Nugent e Suor Gramick continuarono ad essere implicati in attività organizzate da New Ways Ministry, pur dimettendosi da posizioni di responsabilità. Essi continuarono anche a mantenere e a diffondere posizioni ambigue circa l’omosessualità e criticarono esplicitamente documenti del Magistero della Chiesa su questo problema. A motivo delle loro dichiarazioni ed attività, la Congregazione per la Dottrina della Fede e la Congregazione per gli Istituti di 
Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica ricevettero numerose lamentele e urgenti richieste di chiarificazione da oparte di Vescovi e di altre persone negli Stati Uniti d’America. Era chiaro che le attività di Suor Gramick e di Padre Nugent stavano creando difficoltà in non poche diocesi e che essi continuavano a presentare la dottrina della Chiesa come un’opzione possibile fra altre e come aperta a mutamenti fondamentali.
Nel 1988 la Santa Sede istituì una Commissione sotto la Presidenza del Cardinale Adam Maida per studiare e valutare le loro dichiarazioni ed attività pubbliche e per determinare se queste erano fedeli all’insegnamento cattolico sull’omosessualità.
Dopo la pubblicazione di Building Bridges, l’esame della Commissione si concentrò soprattutto su questo libro, che riassumeva le loro attività ed idee. Nel 1994 la Commissione pubblicò i suoi risultati, che furono comunicati ai due autori. Quando le loro risposte a questi risultati furono pervenute, la Commissione formulò le sue Raccomandazioni finali e le trasmise alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica. Pur rilevando la presenza di alcuni aspetti positivi nell’apostolato di Suor Gramick e di Padre Nugent, la Commissione trovò serie lacune nei loro scritti ed attività pastorali, che erano incompatibili con la pienezza della morale cristiana. La Commissione, perciò, raccomandò delle misure disciplinari, fra cui la pubblicazione di qualche forma di Notificazione, allo scopo di controbilanciare e porre rimedio alla dannosa confusione causata dagli errori e dalle ambiguità presenti nelle loro pubblicazioni ed attività.
Dal momento che i problemi posti dai due autori erano primariamente di natura dottrinale, nel 1995 la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica trasmise l’intero caso alla competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede. A questo punto, nella speranza che Padre Nugent e Suor Gramick sarebbero stati disponibili ad esprimere il loro assenso alla dottrina cattolica sull’omosessualità ed a correggere gli errori presenti nei loro scritti, la Congregazione intraprese un altro tentativo di soluzione invitandoli a rispondere in modo chiaro ad alcune domande riguardanti la loro posizione sulla moralità degli atti omosessuali e sull’inclinazione omosessuale.
Le loro risposte, inviate in data 22 febbraio 1996, non erano sufficientemente chiare per dissipare le serie ambiguità della loro posizione. Suor Gramick e Padre Nugent mostravano una comprensione concettuale chiara dell’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità, ma si astenevano dal professare ogni adesione a questo insegnamento. Inoltre la pubblicazione, nel 1995, del loro libro Voices of Hope: A Collection of Positive Catholic Writings on Gay and Lesbian Issues aveva reso evidente che non vi era un cambiamento nella loro opposizione a elementi fondamentali della dottrina della Chiesa.
Considerato il fatto che alcune delle dichiarazioni di Padre Nugent e di Suor Gramick erano chiaramente incompatibili con l’insegnamento della Chiesa e che l’ampia diffusione di questi errori per mezzo delle loro pubblicazioni e delle loro attività pastorali stava divenendo fonte di crescente preoccupazione per i Vescovi negli Stati Uniti d’America, la Congregazione decise che il caso doveva essere risolto secondo la procedura indicata nel suo Regolamento per l’esame delle dottrine (cap. 4).
Nella Sessione Ordinaria dell’8 ottobre 1997 i Cardinali ed i Vescovi che costituiscono la Congregazione giudicarono che le dichiarazioni di Padre Nugent e di Suor Gramick, identificate per mezzo della summenzionata procedura del Regolamento per l’esame delle dottrine, erano di fatto erronee e pericolose. Dopo che il Santo Padre ebbe approvato la contestazione formale degli autori, le suddette affermazioni erronee furono ad essi trasmesse tramite i rispettivi Superiori Generali. A ciascuno fu chiesto di rispondere alla contestazione personalmente ed indipendentemente dall’altro, per permettere loro la più grande libertà nell’esprimere le loro posizioni personali.
Nel febbraio 1998 i due Superiori Generali trasmisero le risposte alla Congregazione. Nelle Sessioni Ordinarie del 6 e del 20 maggio 1998 i Membri della Congregazione valutarono attentamente le risposte, dopo aver ricevuto le opinioni di membri dell’Episcopato degli Stati Uniti e di esperti nell’ambito della teologia morale.
I Membri della Congregazione furono unanimi nella loro decisione che le risposte dei due, pur contenendo alcuni elementi positivi, erano inaccettabili. Sia Padre Nugent che Suor Gramick avevano cercato di giustificare la pubblicazione dei loro libri e nessuno dei due aveva espresso una adesione personale alla dottrina della Chiesa sull’omosessualità in termini sufficientemente chiari. Fu pertanto deciso che essi avrebbero dovuto preparare una dichiarazione pubblica,che sarebbe stata sottoposta al giudizio della Congregazione. In questa dichiarazione si chiedeva loro di esprimere un assenso interiore all’insegnamento della Chiesa Cattolica sull’omosessualità e di riconoscere che i due summenzionati libri contenevano errori.
Le due dichiarazioni, pervenute nell’agosto 1998, furono esaminate dalla Congregazione nella Sessione Ordinaria del 21 ottobre 1998. Ancora una volta esse non erano sufficienti per risolvere i problemi collegati con i loro scritti e con le loro attività pastorali. Suor Gramick, pur esprimendo il suo amore per la Chiesa, semplicemente rifiutava di esprimere ogni qualsivoglia assenso all’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Padre Nugent era più ampio nella sua risposta, ma non totalmente chiaro nella sua dichiarazione di assenso interiore all’insegnamento della Chiesa. Dai Membri della Congregazione fu pertanto deciso che doveva essere data a Padre Nugent ancora un’altra opportunità per esprimere un chiaro assenso. Per questa ragione la Congregazione preparò una dichiarazione di assenso e, con lettera del 15 dicembre 1998 la trasmise a Padre Nugent, tramite il suo Superiore Generale, perché egli la sottoscrivesse. La sua risposta, del 25 gennaio 1999, mostrò che questo tentativo non aveva avuto successo. Padre Nugent non aveva firmato la dichiarazione ricevuta e rispondeva proponendo un testo alternativo che modificava la dichiarazione della Congregazione su alcuni punti importanti.
In particolare, non era disposto a sottoscrivere che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati ed aggiungeva un paragrafo che metteva in questione la natura definitiva ed immutabile della dottrina cattolica su questo punto.
Essendo quindi falliti i ripetuti tentativi delle legittime autorità della Chiesa di risolvere i problemi posti dagli scritti e dalle attività pastorali dei due autori, la Congregazione per la Dottrina della Fede è obbligata a dichiarare per il bene dei fedeli cattolici che le posizioni espresse da Suor Jeannine Gramick e da Padre Robert Nugent in merito alla malizia intrinseca degli atti omosessuali ed al disordine oggettivo dell’inclinazione omosessuale sono dottrinalmente inaccettabili perché non trasmettono fedelmente il chiaro e costante insegnamento della Chiesa Cattolica su questo punto. Padre Nugent e Suor Gramick hanno spesso affermato che essi cercano, in armonia con la dottrina della Chiesa, di trattare le persone omosessuali “con rispetto, compassione e delicatezza”. Tuttavia la diffusione di errori ed ambiguità non è coerente con un atteggiamento cristiano di vero rispetto e compassione: le persone che stanno combattendo con l’omosessualità hanno, non meno di altre, il diritto di ricevere l’autentico insegnamento della Chiesa da coloro che li seguono pastoralmente. Le ambiguità e gli errori della posizione di Padre Nugent e di Suor Gramick hanno causato
confusione fra i Cattolici ed hanno danneggiato la comunità della Chiesa. Per questi motivi a Suor Jeannine Gramick, SSND, ed a Padre Robert Nugent, SDS, è permanentemente vietata ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali ed essi non sono eleggibili, per un periodo indeterminato, ad alcun ufficio nei loro rispettivi Istituti religiosi.
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell’Udienza concessa il 14 maggio 1999 al sottoscritto Segretario, ha approvato la presente Notificazione, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, 31 maggio 1999.

+ JOSEPH Card. RATZINGER Prefetto
+ TARCISIO BERTONE, S.D.B. Arcivescovo emerito di Vercelli Segretario

http://www.oliari.com/chiesa/ratzinger.html

“Cara Eminenza … “

Lettera aperta: gli omosessuali rispondono al Card. J. Ratzinger

il presente testo è di proprietà esclusiva di GayLib: i diritti sono riservati.

testo in breve

“Per lor maladizion sì non si perde

che non possa tornar l’eterno amore,

mentre che la speranza ha fior del verde”:

come Vostra Eminenza sa, con questi versi il cattolico Dante Alighieri salva nella Divina Commedia[1] l’imperatore Manfredi, “maladetto” (cioè, scomunicato) dalla Chiesa e il cui corpo fu disseppellito e abbandonato in terra sconsacrata dal vescovo di Cosenza per ordine di papa Clemente IV nel 1266 dopo la battaglia di Benevento, nella quale il sovrano svevo aveva trovato la morte. Ma – dice Dante – nonostante la scomunica della Chiesa, l’uomo non si perde  al punto che l’amore di Dio non possa tornare da lui fino a quando la speranza dell’uomo è viva, perché

“la bontà infinita ha sì gran braccia,

che prende ciò che si rivolge a lei”[2].

Nulla potrebbe esprimere, con maggiore chiarezza ed efficacia, da una parte la inadeguatezza umana in ogni tempo a giudicare il cuore degli uomini, quand’anche ci provi la Chiesa con le sue “maladizioni”; e dall’altra parte – per chi ha il dono della fede –  la grandezza senza limiti della impregiudicata misericordia di Dio verso tutti gli uomini, quand’anche scomunicati dalla Chiesa.

“Chiesa”, Eminenza, non è il papa, non sono i cardinali, non sono i vescovi, non sono i preti, non sono i fedeli; “Chiesa” è il papa più i cardinali più i vescovi più i preti più i fedeli più la loro storia, ma insieme a qualcosa che i cattolici troppo spesso dimenticano, che è la presenza dello Spirito Santo che dà forza a coloro che credono e a coloro che sperano, indipendentemente dalle loro preferenze sessuali: mentre senza lo Spirito, Eminenza, anche il papa, i cardinali e i vescovi possono errare. Quando si parlerà qui in seguito di “Chiesa”, si intenderà perciò solo quella gerarchico-istituzionale rappresentata dall’autorità della Santa Sede e dalla sua forza cogente sulla coscienza e sull’azione dei fedeli osservanti, ma non infallibile in tutti i suoi pronunciamenti: precisamente per questo, nulla vieta di ritenere che anche un intervento del Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, approvato da un papa sperabilmente ancora compos sui, possa essere fallibile o fallace.

Da questa Chiesa ci è venuto infatti ora un documento[3] su cui occorre riflettere, con serenità e senza estremizzazioni, ma anche con chiarezza e senza inibizioni, nella consapevolezza, laica e cristiana insieme, della necessità che soprattutto oggi “sia il nostro parlare: sì, sì; no, no”.

I – UN NUOVO NON EXPEDIT.

E quello che sorprende anzitutto in questo nuovo documento vaticano è il fatto che delle quattro parti in cui esso è diviso, solo la prima si limita a riassumere (talora male e in qualche punto anche infedelmente) la più recente dottrina della Chiesa sull’omosessualità; mentre le altre tre e più ampie parti attengono in realtà non già al merito del problema delle unioni omosessuali, bensì alle istruzioni che la Congregazione presume di potere e dover indirizzare ai cattolici impegnati in politica perché ottemperino con ogni zelo alle disposizioni vaticane: questa sproporzione così evidente tra le parti complessive (3 su 4) dice da sé quanto il fine principale del documento sia non già quello di ribadire il pensiero della Chiesa, bensì quello di intervenire direttamente nell’autonomia della politica dando istruzioni e prefigurando comportamenti precisi, non solo generali e “strategici”, ma addirittura tattici, per intervenire a condizionare o sabotare il processo di formazione e di attuazione delle leggi dello Stato.

Peraltro, l’intervento si dimostra tanto scopertamente finalizzato alla situazione italiana, ove solo si consideri che in quasi tutti i Paesi dell’Europa occidentale, tranne la non cattolica Inghilterra, ormai sono operanti da tempo legislazioni che hanno riconosciuto alle coppie omosessuali registrate dinanzi allo Stato tutta una serie di diritti-doveri in materia di alloggi, di pensioni, di fisco, di previdenza, di assicurazione e di eredità, o addirittura (come in Svezia, Danimarca e Olanda) di adozioni. Perfino nella cattolicissima Spagna i Parlamenti di Aragona, Catalogna e Navarra  hanno fin dal 1998 messo sullo stesso piano coppie eterosessuali e coppie omosessuali.

Legislazione innovativa garantista nello stesso senso viene ora adottata perfino dallo Stato di Israele il cui popolo avrebbe anche titoli maggiori e più seri dei cattolici in relazione al rispetto della Bibbia. E dunque, considerato che negli Stati Uniti d’America (che non sono neanche a maggioranza cattolica) lo stesso presidente Bush e il suo partito risultano contrari al riconoscimento di tali unioni, l’unico Paese di rilievo in cui la situazione resta quanto mai incerta, e su cui dunque la Santa Sede ritiene di poter esercitare con calcolato tempismo le più esplicite pressioni risulta essere l’Italia[4], per la quale con ogni evidenza il documento appare studiato: tempestivamente e puntualmente, infatti, il presidente della CEI card. Ruini non ha mancato di enfatizzare l’intervento d’Oltretevere nella riunione della presidenza il 22 settembre 2003, collegando surrettiziamente il problema della famiglia con quello del riconoscimento di diritti civili alle coppie omosessuali come auspicato dal Parlamento europeo.

Ma questa prevalenza così pesante di un insieme di considerazioni orientate al condizionamento delle scelte legislative e del personale politico della nostra Nazione denuncia precisamente la gravità dell’intervento, e insieme il fatto che la Chiesa si attesta su posizioni difensive e anatemizzanti, come ogniqualvolta si sente impotente ad orientare la vita della società solo col suo magistero morale: ancora nel 1986 essa sembrava volersi aprire all’autorità dei “risultati delle scienze umane, le quali pure hanno un oggetto e un metodo loro proprio, che godono di legittima autorità”[5]; oggi invece il medesimo dicastero, guidato dal medesimo Prefetto, ritiene necessario alzare il tiro e porre un veto alle coscienze dei cattolici impegnati in politica: segno oggettivo di difficoltà della Chiesa dinanzi alla emancipazione di un tessuto sociale che intende ampliare i confini delle libertà individuali perché la società sia più garantita e più libera nel suo complesso[6]. Cento anni fa la Chiesa non avrebbe avuto bisogno di aprire una battaglia contro gli omosessuali, perché in questa ostilità essa era surrogata egregiamente dalla società civile; ora invece che la coscienza civile si va emancipando in tutto il mondo occidentale, la Chiesa si sente costretta a scendere direttamente in campo: segno di debolezza, e non già di forza.

Capovolgeremo qui tuttavia l’impostazione del documento, e parleremo prima del piano politico-sociale, e dopo dell’aspetto più specificamente religioso e della comprensione e utilizzazione della Sacra Scrittura.

Ed è certo difficile trovare, nella storia post-conciliare e più recente dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia, un documento di così pesante interferenza presentato come una “difesa di valori dell’umanità” (§ 11): ma Vostra Eminenza è così certa che i valori cristiani e umani si difendano in siffatto modo? E qual è il modo a cui si pensa per difendere tali valori: prefigurando uno scontro a livello istituzionale e una lacerazione della coscienza civile (laica e cristiana) del Paese funzionale al mantenimento della dottrina della Chiesa e dei suoi divieti nelle leggi dello Stato? Che cosa è, un nuovo integralismo, del tipo islamico?

Eminenza, ma Lei ha ben letto quel che è scritto al § 5 del documento, dove si invita il Legislatore ad affermare il “carattere immorale” delle unioni omosessuali? Lo Stato laico, Eminenza, non definisce le immoralità, definisce le illegalità, se ne rende conto[7]? Il famoso processo al vescovo di Prato negli anni ’50 non le dice nulla? Il tono apocalittico con cui si parla in appena otto righe di “moralità pubblica”, di “concezione erronea della sessualità”, di “dilagare del fenomeno”, di “tolleranza del male”, di “legalizzazione del male” risulta assolutamente preoccupante: questa denuncia di una specie di ‘male’ assoluto che si diffonderebbe nel tessuto di una società ‘sana’ fino ad un minuto prima è tanto anticristiana e manichea sul piano spirituale quanto falsa sul piano sociale.

E che significa dire che l’omosessualità sarebbe una “concezione erronea della sessualità”? L’omosessualità è una forma di sessualità (accettabile o no), ma non è una “concezione erronea” della sessualità: anzi, a voler essere precisi, erroneo è piuttosto il parlare di “concezione”, dato che l’omosessaulità è non una “concezione” ma un semplice dato di fatto presente nella realtà umana.

E che significa poi dire che “ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo” (§ 5)? Ma Vostra Eminenza si rende conto del significato di tali parole? Vorremmo sommessamente ricordarLe che l’art. 7 della Costituzione italiana stabilisce che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”: “indipendenti”, Eminenza. Indipendenti! In Italia il Parlamento fa le leggi, il capo dello Stato le promulga, l’amministrazione dello Stato le applica: che cosa si vorrebbe dire, che il capo dello Stato dovrebbe rifiutarsi di promulgare una legge del Parlamento sovrano? che l’amministrazione pubblica dovrebbe astenersi dall’applicarla? che i pubblici funzionari dovrebbero rifiutare la loro cooperazione materiale sul piano applicativo?

Ma, Eminenza, si rende conto di cosa significhi tutto questo sul piano delle responsabilità e dei doveri civici? E non è stato forse san Paolo a dire che “ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio”[8]? Come mai qui san Paolo viene dimenticato, Eminenza? O Vostra Eminenza vorrebbe citarlo e interpretarlo solo nell’ottica teocratica della plenitudo potestatis  e della potestas directa?

In realtà, la sensazione che si ricava da questo capitolo nel suo insieme è quella di una forma di velata istigazione su base confessionale alla disubbidienza civile; della proclamazione di un nuovo non expedit, più grave del precedente ottocentesco, e più antistorico di quello in quanto indirizzato oggi non più al rifiuto pregiudiziale del riconoscimento dello Stato sovrano, non più al disconoscimento o al rifiuto delle sue leggi, ma addirittura finalizzato a progettare ed organizzare interventi preventivi ostruzionistici, limitativi od ostativi a prerogative giurisdizionali dello Stato laico in quanto tale.

Non è bastata un’esperienza storica di separazione del mondo cattolico, di chiusura, di ostilità verso lo Stato con cui quel non expedit  segnò tutto il secondo Ottocento ed anche il primo Novecento, con il ritardo nella formazione di una completamente nuova generazione politica e di una piena dialettica sociale, con tutti i danni che da esso derivarono alla maturazione di una classe politica cattolica moderna, responsabile e non paternalistica? Vogliamo creare nuove lacerazioni, nuovi non licet? E’ davvero questo ciò che vuole il papa?

II – L’ORDINE SOCIALE.

L’ampio capitolo III del documento, relativo alle argomentazioni razionali contro il riconoscimento legale delle coppie omosessuali contiene troppe articolazioni perché esse possano essere esaurientemente qui considerate in modo analitico. Ma certo, e giusto per evidenziarne solo una, Vostra Eminenza sembra difendere o voler rispettare “i diritti inalienabili di ogni persona” addirittura citando san Tommaso, ma poi afferma che ove lo Stato riconoscesse dei diritti alle coppie omosessuali verrebbe meno al suo “dovere di tutelare il matrimonio” (§ 6). Non è vero. Si possono riconoscere nuovi diritti senza per questo “svalutare” istituzioni esistenti: non esiste siffatta cosa affermata nel documento.

Improntato ancora a tono apocalittico appare il successivo § 7, che addirittura prospetta pericoli per la sopravvivenza della specie umana. E per quale motivo la specie umana sarebbe in pericolo? Guarda caso, non se esiste – come esiste, e come è sempre esistita senza mettere in pericolo nessuna popolazione in nessuna cultura – una percentuale di popolazione omosessuale diremmo quasi fisiologica, compresa (secondo i calcoli statistici mondiali più attendibili) tra il 5 e il 10 %; bensì solo e soltanto se a questa percentuale di popolazione omosessuale venissero riconosciuti certi diritti dai quali oggi essa risulta esclusa: Eminenza, si rende conto della risibilità dell’argomentazione? Se invece costoro continuassero semplicemente ad esistere, ma continuassero a vivere nel rischio, nel pericolo, nella instabilità affettiva, nella solitudine, nella dimensione, che piace a certa Chiesa, del “fenomeno privato” (§ 6), in tal caso la specie umana sarebbe salvaguardata? Vostra Eminenza sarebbe più tranquilla e felice? Come si può negare la “cattiveria” tutta anticristiana del ragionamento?

Qualche seria ragione riscuote la successiva argomentazione del documento relativa al problema delle adozioni da parte di coppie omosessuali.

E’ certo che la vita che nasce, il frutto del concepimento dovrebbe essere il risultato e il segno di un rapporto consentito a livello biologico dalla natura: chi vuole un figlio, lo genera. Ed è altresì vero che i bambini, che sono la parte più fragile e indifesa della società, hanno bisogno di godere equilibratamente dell’esperienza della paternità e della maternità insieme. Questo sarebbe tanto vero quanto è auspicabile. Tuttavia Vostra Eminenza non è così ingenua da non sapere che spesso il passaggio dal piano teorico a quello pratico, dalle situazioni ideali a quelle reali, può sempre comportare e comporta sfumature, adattamenti, valutazioni che lo schema teorico non prevede.

Oltretutto, il problema concreto di adozioni da parte di coppie omosessuali non si proporrà per infiniti decenni in Italia, dove per ogni bambino adottabile esistono attualmente ben 25 coppie eterosessuali pronte all’adozione o all’affidamento. Tale problema si porrebbe invece, come si pone, per l’adottabilità da parte non di coppie, ma di un singolo (uomo o donna che sia), sulla qual cosa il dibattito resta attualmente aperto, e pertanto su di esso non intendiamo per ora intervenire.

Ma Vostra Eminenza sa cosa sono stati e cosa sono gli orfanotrofi? Sa quale “esperienza della maternità o della paternità” (§ 7) hanno i bambini chiusi in quegli istituti, che in Italia sono oltre mille e quasi tutti in mano alle suore cattoliche? Sa quanto male funziona tuttora in Italia l’istituto delle adozioni e dell’affido? Sa a quali e quante sofferenze, a quali patimenti, a quali traumi psichici sono sottoposti o esposti i bambini custoditi da teste fasciate e da non sempre affidabili istitutori? Sa quale percentuale di microdelinquenza giovanile (e poi anche adulta) proviene da quegli orfanotrofi? Le stanno bene i bambini che vedono anche a Pasqua, Natale, Carnevale o Ferragosto solo la faccia, magari arcigna, di una suora? Il fatto che in Italia entro l’anno 2006 tali istituti dovrebbero – per l’Italia il condizionale in queste cose è d’obbligo – sparire non riduce la gravità del fatto ed il silenzio della Chiesa che ha accettato, incoraggiato e coltivato tali istituzioni perché gestite quasi totalmente dal mondo cattolico.

Eminenza, almeno fino al 2006 la formazione, la crescita equilibrata, la tutela dai traumi per quei bambini sui quali il mondo cattolico esercita ancora, attraverso quegli istituti, un dominio pressoché pieno e molto spesso incontrollato, non La preoccupano? Il Suo dicastero ha mai detto qualcosa sulle sofferenze dei bambini chiusi negli orfanotrofi o in simili istituti di accoglienza, privi insieme di padre e di madre? Non sono figli di Dio anch’essi? Stanno bene così, senza qualcosa che almeno si avvicini al calore di un focolare familiare? Le risulta o no che siffatti istituti hanno sempre avuto una sorda resistenza a ‘cedere’ (termine orribile e turpe) i bambini all’adozione o all’affido perché essi istituti avrebbero perso in tal modo i relativi sussidi economici previsti dalle leggi dello Stato? Quegli “ambienti” invece non “fanno violenza” al bambino? Essi favoriscono invece il “pieno sviluppo umano” del bambino? Lei crede davvero così, Eminenza?

L’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali sarebbe – Ella dice – “gravemente immorale”: e perché, la permanenza disumana negli orfanotrofi è “morale”? Ma se l’adozione da parte di coppie omosessuali si traducesse, di per sé, in una “pratica gravemente immorale” che comprometterebbe il “sano” sviluppo della personalità del bambino, come spiega poi Vostra Eminenza, di grazia, le pulsioni istintivamente e definitivamente omosessuali presenti nei milioni di figli nati e allevati da “sani” coniugi eterosessuali e cattolici? Tutti traviati solo dalle cattive compagnie extra-familiari? Ma davvero…?

Suggeriremmo a Vostra Eminenza di rivedere un noto film di H. Roach del 1932, solo apparentemente comico (per la presenza della coppia Stan Laurel e Oliver Hardy), Il compagno B., per capire come anche due uomini possano riversare su una bambina tutto l’affetto umano possibile, che istituti e suore “cattoliche” spesso non sanno nemmeno cosa sia.

E, contemporaneamente, porremmo all’Eminenza Vostra la domanda se il padre di un bambino che ha perduto la moglie durante il parto sia obbligato da qualcuno (legge civile o legge canonica) a risposarsi per favorire il “pieno sviluppo umano” del bambino: in questo caso il bambino può fare a meno dell’esperienza della maternità solo perché un prete aveva benedetto il matrimonio dei genitori? E il vedovo dell’esempio si comporterebbe in modo “gravemente immorale” se volesse allevare da solo il proprio figlio? perché lo priverebbe della “esperienza della maternità”? Vero è che molti tribunali per i minorenni, in Italia, vanno in questi decenni adottando provvedimenti che gridano vendetta dinanzi a Dio per la loro disumanità, Eminenza, e non ci meraviglierebbe se prima o poi qualcuno di loro giungesse anche a sottrarre il bambino al padre vedovo, con la motivazione – essa sì vergognosa e immorale – di  dover tutelare “lo sviluppo normale” del bambino: ma quante strane persone umanitarie vengono ogni tanto fuori, a questo mondo!

E’ certamente vero che il problema delle adozioni non attiene specificamente al Suo dicastero, e non tocca direttamente il problema che la Congregazione ha affrontato per le proposte relative alle coppie omosessuali. E tuttavia, gradiremmo un autorevole pronunciamento della Chiesa anche su questo tema. Lei sa che nella sola Africa esistono o si prevedono 15.000.000 (quindici milioni) di orfani a causa dell’Aids; che cosa suggerirà di dire il Suo dicastero ai governanti africani: “teneteli negli orfanotrofi, e date i soldi alle suore”? Ne parli con il papa, Eminenza.

I due punti successivi del documento (§ 8-9) toccano il cuore del problema, insistendo sull’aspetto sociale e giuridico delle unioni omosessuali e sulla loro configurazione, come parrebbe di dover intendere, concorrenziale rispetto all’istituto del matrimonio.Qui il tono del documento diventa, a ben leggere, sottilmente ossessionato e farneticante.

Il filo del ragionamento è il seguente:

–                     esiste il “bene comune” a cui tende la società (bene comune che però non viene definito e non si sa cosa precisamente sia e chi abbia la prerogativa di definirlo);

–                     le coppie omosessuali “non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune” (e anche qui non si sa in base a che cosa si dica ciò);

–                     il “bene comune” (che non si sa cosa precisamente sia) può essere garantito solo nel “matrimonio collegato alla eterosessualità” (e non si sa da dove lo si deduca);

–                     e dunque, lo Stato, ove concedesse diritti analoghi alle coppie omosessuali agirebbe “arbitrariamente”;

–                     e dunque, “la giustizia” richiede di “non attribuire” riconoscimento legale alle coppie omosessuali, dato che queste persone “disordinate” sono già abbondantemente tutelate dal “diritto comune”, mentre invece qualsiasi forma di tutela dei rapporti omosessuali consentirebbe a queste stesse persone di “sfruttare le disposizioni di legge” (testualmente così!).

Indegna è per un qualsiasi sacerdote di Dio quest’ultima considerazione, che costituisce un processo alle intenzioni, e dunque una calunnia. Ma essa resta ancora più stigmatizzabile se a farla è un principe della Chiesa che ha visto con i suoi occhi la migrazione in Italia di decine di migliaia di donne dell’Europa orientale, particolarmente provenienti dalla Polonia dopo l’ascesa al trono pontificio di un cardinale polacco; migliaia delle quali donne, polacche ucraine rumene e quant’altre, hanno contratto matrimonio – benedetto da sacerdoti cattolici – con italiani (per lo più anziani) al fine di ottenere (o carpire) la cittadinanza italiana e di percepire (o carpire) assistenza sociale e benefici previdenziali a carico delle casse dello Stato e della comunità italiana[9]. E Vostra Eminenza ha l’impudenza di sostenere che le coppie omosessuali vorrebbero “sfruttare le disposizioni di legge” solo perché vorrebbero (ove ricorrano le circostanze e pagando i relativi e non indifferenti contributi previdenziali) poter assicurare al partner della coppia, ove riconosciuta dallo Stato, un diritto alla casa, un diritto all’assistenza medica, un diritto alla pensione, un diritto ad assistere il partner morente (senza essere cacciato dall’ospedale in quanto “non-familiare” o dai parenti in quanto “pietra dello scandalo”), un diritto alla successione ereditaria senza trovarsi privati anche dei ricordi affettivi, magari di una vita, da un momento all’altro? Ella ha mai letto una biografia di Marguerite Yourcenar e della sua compagna Grace Frick, come si dirà anche dopo? Eminenza, ma i porporati sanno arrossire?

Ha presente Vostra Eminenza, dal Vangelo di Matteo, la parabola degli operai mandati alla vigna, ai quali il padrone dà a fine giornata la medesima mercede: a quelli mandati all’alba come a quelli presi alle nove, e poi a mezzogiorno, e poi alle cinque, con la protesta dei primi che avevano lavorato di più?

“Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”[10].

E lo Stato non può essere forse “buono” verso i suoi cittadini? Il fatto che l’art. 29 della Costituzione italiana “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” non comporta affatto che la Repubblica non possa riconoscere altri diritti (simili o meno simili) ad altre “società naturali” (naturali, Eminenza, perché determinate dalle pulsioni sessuali loro donate dalla natura), ancorché non fondate sul sacramento del matrimonio; e due persone che sentono istintivamente di voler stare insieme e di condividere un percorso di vita non possono che essere, dinanzi allo Stato, che “società naturale”, senza che questa diversa società intacchi in alcun modo i diritti della famiglia fondata sul matrimonio: “oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.

E che cosa significa poi che lo Stato agirebbe “arbitrariamente” se decidesse di concedere riconoscimento e tutele giuridiche anche alle coppie omosessuali, come agli ultimi operai della parabola mandati alla vigna? Arbitrariamente, Eminenza?! Ma si rende conto di quel che è stato scritto? Lo Stato che agisce “arbitrariamente”?! E chi stabilisce questo? il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede della Chiesa cattolica? Come crede che potrebbe commentare questo concetto, se potesse, Marsilio da Padova[11]?

III – USO, ABUSO E MAL USO DELLA SACRA SCRITTURA.

Abbiamo tralasciato finora il ricorso, presente nella parte iniziale del documento, alle Sacre Scritture, e cioè al Vecchio e al Nuovo Testamento. E’ necessario ora affrontare il problema sotto il profilo più strettamente scritturistico ed esegetico.

Eminenza, detto in tutta umiltà, sarebbe il caso che Ella suggerisse ai teologi del Suo dicastero qualche corso specialistico di esegesi biblica o, meglio, di filologia biblica, o di mera filologia, ma anche di genetica e di storia del progresso delle conoscenze umane. Per capire e interpretare correttamente le Scritture, occorre anzitutto saperle leggere senza presentarle in modo alterato e distorto: e occorre anche non limitarsi a spigolare tra i Sacri Testi per ricavarne solo quello che sembrerebbe poter confermare una tesi. Ella, che resta un fine teologo, sa bene quanto occorra essere onesti e completi nell’uso e nelle citazioni dalla Bibbia.

§1 – La creazione dell’uomo.

I tre brevi paragrafi che compongono il cap. I (§ 2, 3 e 4) si limitano, per ammissione stessa di Vostra Eminenza, a riassumere e ribadire la dottrina approvata precedentemente dalla Chiesa sul tema dell’omosessualità. Vogliamo qui ricordare quanto il documento espone?

Il primo argomento è che il racconto biblico della creazione confermerebbe la “verità naturale” sul matrimonio, e a tale scopo il documento richiama – nell’ordine – tre “dati fondamentali” della Genesi, e cioè “in primo luogo” Gn 1, 27; “poi” Gn 2, 24; “infine” Gn 1, 28. E già il solo fatto di richiamare in siffatto ordine i tre passi del racconto biblico, soprattutto spezzettando innaturalmente i vv. 27-28, costituisce una alterazione del testo stesso, e dunque una sua falsificazione.

Infatti, se il passo viene letto correttamente e nel suo dipanamento testuale, la verità sarà diversa da quella che Vostra Eminenza ritiene di poter ricavare. I primi due capitoli del racconto biblico presuppongono infatti una susseguenza temporale che non è possibile tacere a meno di non voler mentire. E la susseguenza, chiarissima nel testo, è la seguente:

1)                 al sesto giorno, Dio crea gli animali terrestri e alla fine crea l’uomo: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gn 1, 27);

2)    “Dio li benedisse e disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi …’ (Gn 1, 28);

3)      “Poi Dio disse….. E fu sera e fu mattina: sesto giorno” (Gn 1, 29-31);

4)       “Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro…” (Gn 2, 2);

5)    “allora il Signore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2, 7);

6)    “Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden…” (Gn 2, 8);

7)     “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden…” (Gn 2, 15);

8)  “Poi il Signore disse: ‘Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile’. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche…ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile” (Gn 2, 18-20);

9)  “Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo” (Gn  2, 21-22);

10) “Allora l’uomo disse: ‘Questa volta essa è carne della mia carne…’” (Gn 2, 23);

11)  A questo punto l’autore umano (non Dio, e non Adamo) aggiunge nel testo: “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne” (Gn 2, 24).

Orbene, Eminenza Reverendissima, se vogliamo, come dobbiamo, rispettare il racconto biblico, non possiamo non evidenziare alcune cose, e cioè:

1)      che il racconto della Genesi  rispetta un preciso ordine temporale;

2)      che, di conseguenza, Dio prima crea l’uomo, e lo bendice;

3)      che Dio crea, poi, il giardino di Eden e vi pone l’uomo;

4)      che Dio crea, poi, ogni sorta di bestie selvatiche perché aiutino l’uomo;

5)      che, dopo,  non avendo l’uomo trovato tra queste bestie selvatiche un simile per suo aiuto, Dio forma la donna, che l’uomo riconosce come carne della sua carne;

6)      che Dio dopo aver creato la donna – che prima non esisteva – non procede ad alcuna nuova benedizione;

7)      che è l’autore biblico, e non Dio, a dire che l’uomo e la donna saranno una carne sola.

E dunque, da tutto l’intero racconto della creazione, che Vostra Eminenza conosce peraltro benissimo, risulta chiarissimo che quando Dio crea l’uomo, e lo crea maschio e femmina, in realtà la donna non era stata ancora creata.

§ 2 – La creazione della donna.

Vuole Vostra Eminenza una conferma, tratta dal Nuovo Testamento, della esattezza di questa successione temporale? Se Vostra Eminenza non si fida di coloro che qui scrivono, si fiderà almeno dell’autorità di san Paolo? E come interpreta san Paolo il racconto della creazione? Lo interpreta con le seguenti parole:

“Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione” (1Tm 2, 12-14);

e inoltre:

“ L’uomo…è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo.” (1Cor 11, 7-8).

Vostra Eminenza vuole mettere in dubbio l’esattezza della interpretazione del passo biblico da parte di san Paolo? Crediamo di no…

Dunque, se la donna fu creata dopo, secondo la non contestabile affermazione e interpretazione dello stesso san Paolo, ciò significa che quando Dio creò l’uomo, e “maschio e femmina lo creò” e “li benedisse” (Gn 1, 27-28, versetti che vanno letti e interpretati insieme e nella loro precisa collocazione testuale), la donna non esisteva ancora. E dunque, il passo biblico deve avere un significato diverso da quello che la teologia e l’esegesi ufficiali della Chiesa propongono e sostengono a spade sguainate: e l’unico modo corretto di interpretare quel racconto della creazione è quello di ritenere la benedizione del Signore non già impartita all’uomo e alla donna come a due essere distinti, e già creati, e in un’ottica vincolantemente matrimonialistica, bensì all’uomo inteso come specie umana, e non come generi (un maschio e una femmina). E la benedizione non può dunque tradursi in un obbligo al singolo uomo e alla singola donna in riguardo al matrimonio e al supposto vincolo tra sessualità e procreazione, ma è una benedizione globale e generale alla specie umana perché cresca e domini il Creato: tanto è vero che quando poi, dopo, Dio crea la donna dalla costola dell’uomo, non li benedice più, non li benedice di nuovo, giacché era già valida la benedizione data, prima,alla specie umana. Come può allora spiegarsi il fatto che Dio creò l’uomo “maschio e femmina”?

Se i Suoi teologi, Eminenza, avessero seguito con maggiore attenzione il progresso della conoscenza scientifica, avrebbero sicuramente notato come ormai da tempo risulta dimostrato che, sotto il profilo genetico e riproduttivo, nell’essere umano il maschio è di sesso eterogametico, caratterizzato dai cromosomi X (femminile) e Y (maschile), mentre invece la femmina è di sesso omogametico, con la situazione cromosomica XX, per cui, nella fecondazione, se lo spermatozoo maschile porta il cromosoma X, dalla fecondazione nascerà una femmina, se esso porta il cromosoma Y nascerà un maschio. In fondo, dunque, la Bibbia aveva ben ragione di dire che l’uomo è “maschio e femmina”, precisamente nel senso che la scienza si è incaricata di dimostrare, e cioè che egli è portatore, contemporaneamente, del cromosoma del maschio (Y) e del cromosoma della femmina (X).

§ 3 – “Crescete e moltiplicatevi”.

Dunque, Eminenza, non corrisponde al vero quello che Ella dice quando scrive (§ 3) che Dio “ha benedetto l’uomo e la donna con le parole: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi’ (Gn 1, 28)”, giacché Dio ha con assoluta chiarezza benedetto l’uomo, l’essere umano, e non “l’uomo e la donna”, dando perciò una benedizione divina e perenne alla sua esistenza e alla sua vita sulla terra. Il testo, in quel punto preciso, non legittima ancora alcun concetto di obbligo matrimoniale e di collegamento tra attività sessuale e procreazione: intenderlo diversamente significa falsificarlo. Le dispiacerà non poco, Eminenza: ma è così.

Singolare conferma di tale interpretazione come dell’unica possibile la offre l’episodio di rabbi Simeone ben Azzai (pressoché contemporaneo di san Paolo) che, rispondendo a chi gli faceva notare come non essendo sposato, mancava di mettere in pratica un precetto dato ai suoi progenitori, rispose: “Che devo farci? La mia anima aderisce totalmente alla Legge; penseranno gli altri a far sussistere il mondo[12]: e dunque, Dio ha donato a ciascun essere umano la sua sessualità, e ha dato poi una benedizione generale e complessiva all’umanità, ma non ha impartito un ordine per ciascun uomo di accoppiarsi e di generare figli, giacché la specie umana cresce comunque.

La successiva considerazione dell’autore biblico, posta a conclusione del racconto della creazione, ritorna almeno in due passi del Nuovo Testamento: e Vostra Eminenza, che è persona di grande acutezza e intelligenza, non ha omesso di utilizzarli nella difesa del sacramento cristiano del matrimonio.

Si tratta, come è noto, soprattutto del richiamo a Gn 2, 24 fatta da Gesù a proposito della controversia con i farisei (Mt 19, 3-12 e Mc 10, 6-9) circa il divorzio ed il “libello del ripudio”[13]; nonché del paragone tra il legame sponsale ed il legame tra Cristo e la Chiesa, presente nella lettera agli Efesini attribuita a san Paolo (Ef  5, 32).

Cominciamo col dire che il paragone usato da san Paolo serve a sostenere l’idea che il marito deve difendere e proteggere la moglie: sicché, esso paragone è usato in riferimento ad una situazione di matrimonio già avvenuto. San Paolo vuole semplicemente usare una similitudine per dire che, da quando gli sposi sono diventati, dopo il matrimonio, una carne sola, il marito deve proteggere la sposa come se fosse il suo stesso corpo, così come Cristo fa con la Chiesa, con la quale Egli forma un solo corpo[14].

Più complessa è la discussione sulla controversia relativa al divorzio: come è noto, i farisei per mettere in difficoltà Gesù gli domandano se è lecito per un uomo ripudiare la sposa, come Mosé permetteva nella sua legislazione. Dunque, innanzitutto il problema di fondo è quello del ripudio della donna, e del divorzio: qui non c’entra il matrimonio, giacché il problema del ripudio sorge evidentemente alla fine di un matrimonio, quando l’uomo decide di ripudiare la moglie.

Ciò chiarito (e non è poco), ricordiamo come risponde Gesù. Egli dice che Mosé autorizzò il “libello del ripudio” (cioè il divorzio) “in considerazione della vostra durezza”, mentre in principio non era così, perché “il Creatore da principio li creò maschio e femmina” (Mt 12, 4). L’evangelista Matteo a questo punto prosegue: “E disse: ‘Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola” (Mt 12, 4-5). Chi fu che “disse”? Gesù che citava, o il Signore Iddio secondo la citazione di Gesù? E chi ha fatto il collegamento tra i due passi: Gesù nel suo parlare, o Matteo nel suo raccontare?

Il passo parallelo dell’evangelista Marco – più antico rispetto a Matteo, e dunque più affidabile di quest’ultimo – significativamente non presenta l’espressione “e disse”. Marco fa dire infatti da Gesù che “all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola”: sicché è lecito interpretare nel senso che Gesù, secondo il più affidabile Marco, non afferma che Dio “disse”, ma si limita semplicemente a citare i due distinti passi dell’episodio della creazione per sostenere che, essendo diventati i due sposi dopo il matrimonio una carne sola, non possono più essere separati dall’uomo (e quindi il ripudio e il divorzio non possono essere approvati). Nessuno qui, e nemmeno Lei, può sostenere che l’argomento che provoca la risposta di Gesù sia il matrimonio: l’argomento è il divorzio, a cui Gesù nega liceità in quanto il matrimonio unisce per sempre.

Tutto ciò può allora essere invocato dalla Chiesa per condannare e rifiutare il divorzio; ma non può essere invocato per sostenere che il matrimonio, e solo il matrimonio tra uomo e donna, può essere l’unica via lecita per la realizzazione della vita sessuale di ciascuno. Questo sarebbe infatti fuori dal contesto ed è fuori dal presupposto da cui nasce la risposta di Gesù ai farisei. Gesù si è limitato a dire che, una volta unito in matrimonio, il marito non può ripudiare la moglie.

E dunque, Eminenza, nella sostanza:

1)      il racconto nella Genesi della creazione dell’uomo non può essere invocato per sostenere che l’attività sessuale è concepibile solo tra maschio e femmina, tra uomo e donna, perché quel racconto non intende alludere all’attività sessuale, ma semplicemente non ne parla;

2)      la benedizione della specie umana, nello stesso racconto, prima della creazione della donna non può essere invocata per sostenere che l’attività sessuale deve essere solo tra maschio e femmina e solo se finalizzata al matrimonio, in quanto è un auspicio generale di fecondità che riguarda il genere umano nella sua globalità;

3)      Gesù nella Sua predicazione ha parlato solo della indissolubilità del matrimonio una volta celebrato, ed in riferimento ad un problema e ad un contesto specifico della società giudaica del suo tempo, ma non ha inteso relegare all’interno del rapporto matrimoniale la sfera sessuale: semplicemente, ha parlato di un’altra cosa, e cioè del divorzio.

§ 4 – La “Tradizione”.

L’esserci soffermati così ampiamente su un problema di esegesi biblica non è casuale; e non è casuale in particolare il riferimento alla discussione sul divorzio affrontata da Gesù: e lo sa perché, Eminenza? Perché il richiamo alla “Tradizione cattolica” che avrebbe consolidato un giudizio morale totalmente negativo espresso da alcuni padri della Chiesa circa i rapporti omosessuali (§ 4) trova il suo inciampo precisamente nella questione del divorzio come affrontata da Gesù nei Vangeli: e colpisce che una mente sottile come la Sua non lo abbia percepito.

Lasciamo da parte il fatto che tra i Padri della Chiesa Ella avrebbe dovuto citare anche quel Giovanni Grisostomo (“bocca d’oro”) che nella sua Omelia sulle statue dell’anno 387 giungeva ad affermare che era lecito al cristiano esercitare violenza fisica contro i bestemmiatori (“Santificate la vostra mano per una salutare correzione”) e a sostenere nella stessa omelia che “i cristiani sono i depositari dell’ordine pubblico”[15]. Lasciamo stare questo, che si avvicina tuttavia abbastanza pericolosamente all’impostazione culturale delle presenti Considerazioni, dopo oltre sedici secoli.

Ad ogni modo, non c’è bisogno di molte parole per ricordare la grandezza storica di Mosé, il legislatore per eccellenza del popolo ebraico. Anche se non tutto il Pentateuco può essere attribuibile nella sua interezza al personaggio storico di Mosé, sicuramente è possibile dire che a lui risalga il nucleo più solido della Torah, della Legge, che ha segnato, nel bene e nel male, oltre tre millenni di storia ebraica.

Come è noto tuttavia, la legislazione attribuita a Mosé viene datata oggi dagli studiosi intorno ai secoli IX-VIII a.C. con diverse propaggini che giungono fino al IV secolo a.C.: e dunque, quando Gesù discuteva della legislazione mosaica relativa al divorzio ed al “libello del ripudio”, discuteva indubbiamente di norme che costituivano la “Tradizione” del popolo ebraico nel suo insieme, fossero farisei, fossero sadducei, fossero altre sette: niente poteva apparire più consolidato dalla “Tradizione” che il libello del ripudio in quella società maschilista ebraica, nella quale la donna aveva pochissimi diritti. Questa “Tradizione” mosaica era sostanzialmente consolidata e “unanimemente accettata” (per usare le medesime parole del Suo documento) da circa nove secoli.

La portata sconvolgente e grandiosa dell’intero episodio raccontato da Matteo e Marco sta appunto in questo: che il Maestro non esita un attimo a rifiutare e condannare la “unanimemente accettata” Tradizione ebraica relativa al divorzio ed al “libello del ripudio”, e a mettersi così ancora una volta contro i farisei e il Fariseismo, a provocare scandalo contro la morale del Suo tempo perché contraria alla volontà di Dio così come riportata nella Genesi nel racconto della creazione. Sicché, se la Tradizione è contraria alla Scrittura, è la Tradizione a dover essere rifiutata, anche a costo di suscitare scandalo: come puntualmente avvenne.

Orbene, se il Maestro ci ha detto esplicitamente che la “Tradizione” può essere anche frutto della “durezza di cuore”, e che, per essere diventata “Tradizione” non per questo rimane intoccabilmente vera senza riserve, ebbene che cosa impedisce in linea generale di seguire l’esempio del Maestro e di poter considerare anche la “Tradizione cattolica” frutto della “durezza” dei cristiani?

Badi bene, Eminenza, che qui nessuno intende “stabilire analogie tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (§ 4): se Vostra Eminenza intende in siffatto modo le soluzioni attuate o proposte in diversi Stati europei, resta sostanzialmente in errore. Il punto del contendere è di sapere se, indipendentemente dal “disegno di Dio sul matrimonio” – su cui si può continuare a discutere in sede di esegesi e di teologia biblica – lo Stato laico nella sua autonomia anche quando porta “radici cristiane” abbia o no il diritto di riconoscere in modo pieno e totale l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, con provvedimenti che nella propria autonomia esso Stato ritenesse di dover riconoscere.

§ 5 – Catechismo e omosessualità.

Che cosa replica, nella sostanza, la Chiesa attraverso la Sua autorevole voce? Replica riassumendo il contenuto del Catechismo della Chiesa cattolica, e cioè:

1)    che l’atto sessuale è lecito solo se è aperto alla generazione della vita;

2)   che tali atti “non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale”;

3)   che la Sacra Scrittura  condanna tali atti come gravi depravazioni;

4)  che tutti gli omosessuali vivono, anzi “soffrono”, uno stato di “anomalia”;

5)  che l’unico modo per superare tale “anomalia” è quello di vivere in castità, dato che quegli “atti” sono peccati “gravemente contrari alla castità”.

Eminenza, ma è veramente questa la risposta che Santa Madre Chiesa ritiene di poter dare a tutti quei milioni di uomini e donne (giacché quantitativamente siamo in tale ordine di grandezze)  cattolici, cristiani, uomini di buona volontà, uomini di buon senso, che vivono quotidianamente sulla loro pelle disagi familiari, lavorativi, sociali e umani pagando un prezzo altissimo in termini di sofferenza personale, di chances di vita, di mortificazione della propria dignità e, in definitiva, della propria libertà di persone umane?

Lei crede veramente che sia bastato scrivere che costoro debbono essere accolti con “compassione” per avere la coscienza a posto? Con compassione, Eminenza? Con la compassione con la quale si trattano i malati o i matti? Ma come si permette la Chiesa di usare una parola del genere nei confronti di persone che sono, proprio per la Chiesa, figli di Dio? Quando quella parola è stata inserita nel Catechismo in riferimento agli omosessuali Ella, Eminenza Reverendissima, dove era: in giro per l’Africa?

E’ allora necessario fermarsi in maniera più approfondita su quei cinque punti nei quali è stata riassunta la posizione attuale della Chiesa circa la “condizione” e gli “atti” di omosessualità.

5.1 – Sessualità e riproduzione.

Primo: l’atto sessuale sarebbe lecito solo se aperto alla generazione della vita.

E perché? Perché, si dovrebbe intendere, il Signore ha detto “Crescete e moltiplicatevi”. Ma se quella benedizione della Genesi alla specie umana (e non – è bene ricordarlo – alla coppia uomo/donna, ancora non esistente) viene ricondotta nei suoi giusti termini ed interpretata nel solo modo che lo stesso testo consente, e cioè appunto come benedizione e non come obbligo, è chiaro che il collegamento tra atto sessuale e generazione della vita non è più così certo come la Chiesa si ostina ad interpretare: il vincolo tra sesso come piacere e sesso come mezzo di procreazione non è autorizzato dal testo biblico in alcun modo. Vogliamo ascoltare un interprete autorevole molto più di noi ma anche molto più di Lei, Eminenza? Bene: ancora una volta, si fida Vostra Eminenza dell’autorità di san Paolo?

“E’ cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione”:

 Vostra Eminenza ricorda questo passo[16]? E che cosa esattamente dice qui san Paolo ai suoi fedeli di Corinto? Egli dice che per evitare la pornèia, cioè l’incontinenza, l’uomo e la donna devono stare insieme e godere del piacere sessuale senza separarsi se non in limitati momenti, per la preghiera, e poi devono ritornare a stare insieme perché la coppia abbia la possibilità di vivere pienamente le proprie pulsioni sessuali, nei momenti di passione (che prescindono chiarissimamente, nelle parole di san Paolo, dallo scopo del concepimento).

Dunque, non c’è ombra di dubbio che qui san Paolo preveda il piacere sessuale assolutamente separato dall’intento procreativo, di cui non è parola: e dunque, resta legittimo nell’uomo come nella donna il soddisfacimento del desiderio sessuale ogni volta che la loro natura spontaneamente lo suggerisca o lo rappresenti. Non conta dire che san Paolo prevede ciò all’interno della coppia marito/moglie: conta dire che san Paolo prevede il rapporto sessuale anche quando non finalizzato alla generazione della vita. Sicché il primo assunto del Suo documento, Eminenza, è destituito di fondamento non da noi, ma da san Paolo.

La cosa più strana poi sotto questo aspetto è che la Chiesa ritiene ancor oggi legittimamente sanzionabile col sacramento del matrimonio l’unione di persone ultracinquantenni che sicuramente non potranno generare figli; ovvero, addirittura, ritiene sanzionabile con lo stesso sacramento l’unione di una coppia in cui almeno uno dei nubendi sia sterile: “Sterilitas matrimonium nec dirimit nec impedit” (C.J.C. c. 1068, § 3). Prevedibile e scontata sarà la risposta di teologi e canonisti: e cioè che in tali casi è la Natura che ha determinato le circostanze. La “Natura”? Ma perché, la Natura non ha determinato forse anche la pulsione verso il proprio stesso sesso nelle persone omosessuali? In questo caso la “Natura” non va rispettata? Non agisce essa anche in questi casi per volontà di Dio? Solo se si parla degli omosessuali la loro natura diventa “opus diabuli”? Ma vogliamo “dare i numeri”, Eminenza Reverendissima?

5.2 – Volersi bene.

Secondo: gli atti omosessuali non sarebbero “il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale”.

Tralasciamo qui la domanda, facilmente colorabile di sarcasmo, di voler sapere da quali esperienze Vostra Eminenza e i suoi teologi abbiano tratto la certezza che tra due persone omosessuali non possa esservi complementarità sessuale: forse ci si è limitati a studiare solo qualche trattato sulla frigidità sessuale? Ma l’affermazione che tali atti sarebbero privi di “vera complementarità affettiva” è un falsità così enorme che non avrebbe bisogno nemmeno di essere smentita.

Basti qui tuttavia poterla dissolvere da un livello che resta enormemente più in alto di quello degli sprezzanti teologi che mal collaborano con Vostra Eminenza. Marguerite Yourcenar, sopra già richiamata, grandissima scrittrice (1903-1987) unica donna ammessa tra “gli immortali” nell’Accademia di Francia, notoriamente lesbica, ha vissuto una vita di intenso affetto con la sua compagna, Grace Frick, per oltre quarant’anni, fino alla morte di costei (1979). Nei suoi Taccuini di appunti pubblicati insieme al famoso e ormai classico Memorie di Adriano, che Ella sicuramente avrà letto, la scrittrice ricorda la sua compagna con le seguenti parole:

“Quando cerco di definire questo bene che mi è stato donato da anni, dico a me stessa che un simile privilegio, benché tanto raro, non può tuttavia essere unico; che a volte deve pur succedere che nell’avventura d’un libro riuscito o nell’esistenza d’uno scrittore fortunato, ci sia stato qualcuno, un poco in disparte, che non lascia passare la frase inesatta o debole che per stanchezza vorremmo lasciare; qualcuno capace di rileggere con noi fino a venti volte, se è necessario, una pagina incerta; qualcuno che va a prendere per noi sugli scaffali delle biblioteche i grossi volumi nei quali forse troveremo ancora una indicazione utile, e si ostina a consultarli ancora quando la stanchezza ce li aveva già fatti richiudere; qualcuno che ci sostiene, ci approva, alle volte ci contraddice; che partecipa con lo stesso fervore alle gioie dell’arte ed a quelle della vita, ai lavori dell’una e dell’altra, mai noiosi e mai facili; e non è né la nostra ombra né il nostro riflesso e nemmeno il nostro complemento, ma se stesso; e ci lascia una libertà divina ma, al tempo stesso, ci costringe ad essere pienamente ciò che siamo. Hospes comesque[17]:

Vostra Eminenza è sfidata ad affermare che non c’era “vera complementarità affettiva” tra Marguerite Yourcenar e Grace Frick. E ciò basti per dimostrare l’infondatezza più totale circa una mancanza di vera corrispondenza affettiva tra due persone omosessuali.

5.3 – Maschilismo, schiavitù e depravazioni secondo san Paolo.

Terzo: la Sacra Scrittura condannerebbe tali atti tra omosessuali come gravi depravazioni.

Quando Vostra Eminenza – come già il Catechismo e la dichiarazione Persona humana – indica qui la Scrittura, si riferisce sostanzialmente al famoso (e forse famigerato) passo della lettera ai Romani nel quale san Paolo sembra condannare senza riserve gli atti omosessuali[18]. Emergono tuttavia preliminarmente su questo punto specifico problemi di onestà e di fedeltà al testo, nonché di coerenza e di linearità esegetiche che non possono essere elusi.

Ella sa bene, Eminenza, che non è onesto scorporare dal cap. I di quella lettera i soli vv. 24-27[19], come ha già fatto il Catechismo e come risulta ripetuto nelle presenti Considerazioni. E lo sa bene perché il discorso ha un altro senso, che è la condanna della cultura pagana per non aver riconosciuto la presenza di Dio (del Dio giudaico-cristiano) nell’Universo. Gli atti omosessuali a cui Dio abbandona i pagani sono per il testo una precisa conseguenza di tutta una valutazione negativa del pensiero e della cultura classica presente nei versetti 18-23 che precedono: sicché, non è onesto scorporare e assolutizzare una parte del discorso senza capirne e chiarirne il contesto.

E il contesto è che i pagani hanno rifiutato di riconoscere la presenza di Dio nelle opere del Creato e sono perciò “inescusabili” (Rm 1, 21): è a causa di ciò che Dio “li ha abbandonati” ai peccati, tra i quali sono indicati anche gli atti omosessuali tra donne e tra uomini. E’ dunque chiaro che l’omosessualità è vista da san Paolo come una punizione per il supposto rifiuto a riconoscere il vero Dio.

Se è così, il passo va storicizzato e non già assolutizzato: per quale motivo, ad esempio, Dio dovrebbe abbandonare oggi a quegli stessi peccati persone che invece riconoscono la mano di Dio (del Dio “cattolico”, Eminenza) nell’Universo, e che non commettono nulla per cui essere giudicati “inescusabili”? Ce l’ha una risposta, Eminenza?

La gravità dell’assolutizzazione di quella condanna (anche brutale) riferita invece e circoscritta nella lettera ai Romani alla cultura dei pagani e ai loro costumi sessuali – che non potevano certo essere compresi e approvati da un uomo di cultura giudaica e farisaica come san Paolo – risulta ancora più evidente se si considera lo sforzo che teologi ed esegeti cattolici hanno affrontato da decenni per giustificare affermazioni fatte dallo stesso san Paolo e che ripugnano a qualsiasi coscienza umana: Ella, Eminenza, avrà già compreso a cosa qui si alluda, ma è bene esplicitarlo perché non vi siano alibi o zone di ombra. Si tratta infatti quanto meno dei due problemi del ruolo della donna nella società, e della legittimazione della schiavitù.

Vogliamo richiamare con completezza quello che san Paolo pensa del rapporto uomo-donna, Eminenza? Basta aprire la Bibbia:

1Cor 11, 3: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio”;

1Cor 11, 7-11: “L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la la donna; come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio”;

1Cor 14, 34-35: “Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge[20]. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea”;

Ef 5, 22-24: “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto”;

1Tm 2, 11-14: “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli (…)”;

Col 3, 18: “Voi mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore”.

E vogliamo richiamare con altrettanta completezza, Eminenza Reverendissima, quanto sempre san Paolo dice degli schiavi e della schiavitù? Anche per questo, basta aprire la Bibbia:

1Cor 7, 20-22: “Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione! Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore!”;

Ef 6, 5-9: “Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo, e non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore, prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a uomini. Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo sia libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene”;

Col 3, 22: “Voi, servi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore”;

Col 4, 1: “Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo”;

1Tm 6, 1-2: “Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù, trattino con rispetto i loro padroni, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina. Quelli poi che hanno padroni credenti, non manchino loro di riguardo perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio, proprio perché sono credenti e amati coloro che ricevono i loro servizi”;

Tt 2, 9-10: “Esorta gli schiavi a essere sottomessi in tutto ai loro padroni; li accontentino e non li contraddicano, non rubino, ma dimostrino fedeltà assoluta, per fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore”.

Come mai, Eminenza Reverendissima, di tutti questi passi paolini non ne riecheggia quasi più nessuno nelle letture domenicali che i fedeli ascoltano nelle chiesa cattoliche quando adempiono al precetto festivo settimanale? Ha influito in questa opera di rimozione la abolizione della schiavitù per opera degli Stati e delle società civili (e di un presbiteriano non cattolico qual era Lincoln, mentre gli Stati “cattolici” europei tifavano per l’Unione sudista), abolizione accettata poi, comodamente a posteriori, dalla Chiesa? Sappiamo bene che la Chiesa non ha “approvato” formalmente la schiavitù: ma per un domenicano come Las Casas (1474-1566) che combatté in modo radicale contro la schiavizzazione degli indios del Sudamerica, vi fu un gesuita come un Padre Vieira (1608-1697) che, pur sforzandosi di moderarla, non rifiutava la schiavitù dei negri e considerava quelli che fuggivano come scomunicati e colpevoli di peccato mortale, pensando che se davanti a Dio gli uomini sono tutti uguali, la Provvidenza (la Provvidenza?!) ha tuttavia permesso la schiavitù dei negri per condurli alla salvezza…

E ha influito in questa stessa opera di rimozione la conquista faticosa (anche se talora disordinata, da parte della donna, a cominciare, per gli anni più recenti, dal famoso 1971 francese), nelle società occidentali non integraliste, del riconoscimento di una uguale dignità di persona umana a fianco dell’uomo, riconoscimento anch’esso accettato, comodamente a posteriori, dalla Chiesa? Ma se vale citare qualche Padre apostolico o qualche apologista per richiamare il “giudizio morale” negativo sui rapporti omosessuali, perché non dovrebbe poi valere il citare un grande padre della Chiesa quale fu sant’Ireneo di Lione, che nel II secolo sosteneva come “entrambe, la natura e la legge, mettono la donna in condizione subordinata rispetto all’uomo”[21]? Com’è, Eminenza: possiamo smentire questo Padre della Chiesa, anzi questo “padre della dogmatica cattolica”? o no? Ella riconosce che sant’Ireneo qui va smentito, o corretto, o storicizzato? Ella concorda? E se concorda per Ireneo, perché non concorda anche per il pensiero di S. Policarpo, S. Giustino e Atenagora circa gli atti omosessuali[22]?

Sappiamo bene che, per difendere e mantenere intatto il valore dell’ispirazione dello Spirito Santo in tutta la Scrittura (che non è la “Tradizione”) il Concilio Vaticano II ha dovuto accettare, tra l’altro, anche la legittimità dei generi letterari e ha dovuto ammettere che

“per comprendere esattamente ciò che l’autore sacro ha voluto asserire nello scrivere, si deve far molta attenzione sia ai modi abituali e originari di intendere, di esprimersi e di raccontare in voga ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che allora si usavano abitualmente nei rapporti umani”[23].

Bene: ma allora occorre spiegare perché la storicizzazione dei “modi di esprimersi” e dei “rapporti umani” sarebbe applicabile alla sottomissione della donna all’uomo fermissimamente sostenuta da san Paolo, da sant’Ireneo e da tutta un’ampia “Tradizione cattolica”; perché quella storicizzazione sarebbe applicabile alla legittimazione della schiavitù, chiarissimamente sostenuta da san Paolo[24]; ma perché poi quello stesso criterio non sarebbe invece applicabile, guarda caso, alla condanna degli atti omosessuali diffusi nel mondo dei pagani, condanna chiaramente derivante da una radice farisaico-giudaica presente nella lettera ai Romani. Tutto ciò non cancella il fatto che per ben  s e i  volte san Paolo – “parola di Dio” – sostiene senza ombra di dubbio un ruolo impari e subordinato della donna rispetto all’uomo, e per ben  s e i  volte – “parola di Dio” – legittima la schiavitù: come mai Dio avrebbe consentito a  farsi limitare dal “linguaggio umano” per le opinioni sulla donna e per la schiavitù, e non invece anche per il riferimento all’omosessualità? Dov’è l’imbroglio, Eminenza Reverendissima?

E la cosa resta ancor più sorprendente se si pensa agli sforzi sovrumani degli esegeti paolinisti cattolici che si arrampicano tuttora sugli specchi pur di dimostrare che anche i pensatori pagani, soprattutto stoici, rifiutavano – e talora deridevano – comportamenti e scelte omosessuali molto diffusi nella società loro contemporanea: se la condanna della omosessualità si trova espressa anche in filosofi e pensatori pagani, e anche già qualche secolo prima della nascita di Cristo, tanto più essa si inquadra nei “modi di intendere” e nei “rapporti umani” propri dei tempi di san Paolo, che costituiscono di conseguenza l’aspetto temporaneo e perento della Sacra Scrittura, in cui Dio “ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana”[25].

Dunque, in realtà, se esaminiamo con discernimento, correttezza ed onestà la subordinazione della donna all’uomo e la legittimazione della schiavitù, presenti in san Paolo, e poi la condanna degli atti omosessuali, pure presente in san Paolo, dovremo necessariamente concludere che “l’intenzione dell’agiografo” (e cioè di san Paolo), in questo terzo caso era la condanna della filosofia e della cultura pagana e del mancato riconoscimento della presenza di Dio nell’Universo, su cui l’agiografo (e cioè, san Paolo) si esprime ricorrendo alla equiparazione tra irreligiosità ed omosessualità, equiparazione ampiamente presente nella cultura ebraica del suo tempo.

Se si volesse commettere l’errore di sostenere che gli altri tre criteri indicati dalla costituzione dogmatica conciliare per l’esatta comprensione dei testi biblici (e cioè: l’unità della Scrittura, la tradizione della Chiesa e l’analogia della fede) legittimerebbero solo la condanna dell’omosessualità, sarebbe un gioco elementare dimostrare che essi sono applicabili perfettamente anche al problema della sottomissione della donna all’uomo ed alla legittimazione della schiavitù: vuole Vostra Eminenza ricordare il ruolo sottomesso della donna in tutta la Bibbia? vuole ricordare che cosa pensava e scriveva san Tommaso d’Aquino circa la donna, considerata dal “Dottore Angelico” non pienamente creata ad immagine di Dio[26]?

5.4 – Omosessualità e “malattia”.

Quarto dei cinque punti sopra richiamati: lo stato di “anomalia” in cui gli omosessuali “soffrono”.

Qui la cosa che più sorprende, Eminenza, è la riproposizione, dopo ventotto anni, delle conclusioni e dell’espressione medesima usata in un precedente e più ampio documento della Sua Congregazione, e cioè la dichiarazione Persona humana del 29 dicembre 1975. In quella dichiarazione si parlava degli omosessuali come di persone che “soffrono di questa anomalia” e li si definiva come persone caratterizzate da una “costituzione patologica, giudicata incurabile” (ma: giudicata da chi?).

Come si vede, sono termini del linguaggio medico che, per l’epoca nella quale quel testo fu redatto – quand’anche già ormai superato nella sua impostazione culturale di fondo, risalente in modo trasparente al “vizio innominabile” della società vittoriana dell’Ottocento e al concetto di “patologia mentale” degli inizi del secolo XX – manteneva tuttavia in quegli anni una parziale scusante dovuta alle non definitive valutazioni del fenomeno a livello scientifico.

Poi però, Eminenza, sono intervenute dopo il 1975 (data della Persona humana), ben due chiarissime – e sconvolgenti, per la valutazione religiosa del fenomeno – dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha la massima autorità scientifica a livello di patologie che interessino la popolazione umana. Nel 1985 l’OMS rimosse l’omosessualità dall’elenco delle “malattie”, e cioè stabilì che l’omosessualità non è una malattia; e poi, nel 1993, stabilì che, al di là di ogni dubbio, l’omosessualità è da considerarsi “una variante non patologica del comportamento sessuale”: Le risultano questi due documenti dell’OMS, Eminenza?

Se non Le risultano, Ella non ottempera bene ai suoi doveri. Se le risultano, Ella omette con fraudolenza di citare dei dati essenziali al discorso, giacché non poteva riproporre con le medesime identiche parole usate nel 1975 un concetto di “sofferenza” e di “anomalia” che non può essere assolutamente più legittimato e considerato utilizzabile, anche a livello morale, per trattare del problema dell’omosessualità. E dunque, il richiamare nell’anno del Signore 2003, e cioè dopo ben venti anni dalla seconda e definitiva dichiarazione dell’OMS, parole e concetti che erano stati superati decisamente dalla conoscenza scientifica può essere solo il frutto di una coriacea impermeabilità ai risultati della ricerca e della riflessione scientifica, alla cui considerazione sono tenuti, per costante definizione dello stesso supremo Magistero pontificio da più di un secolo, anche gli organismi della Santa Sede.

Ed allora, Eminenza, come mai Ella ha ritenuto di poter richiamare e riproporre senza modificazioni una definizione dell’omosessualità che non trova più alcuna corrispondenza scientifica ed anche umana? Giacché, ormai, non è più lecito dire che l’omosessualità è una “malattia” o è una “sofferenza” o è una “anomalia”: non Le è consentito, Eminenza, per ragioni di ufficio, per ragioni di coscienza. Ella non può ripetere e sostenere qualcosa che la massima autorità sanitaria mondiale ha smentito senza incertezze e senza residui. Togliete la polvere dagli orologi della Congregazione, il tempo passa, la vita e la storia camminano, la verità non può essere rinchiusa e non può essere taciuta. E la verità è che l’omosessualità non è una “anomalia”, non è una malattia, non è una patologia.

IV –  LA CASTITA’ SECONDO IL CATECHISMO.

Trattiamo a parte l’ultimo dei cinque punti nei quali prima abbiamo riassunto le argomentazioni del capitolo I delle Considerazioni del 2003. Il riferimento alla “castità” non può essere infatti separabile della corrispondente argomentazione presente nel Catechismo della Chiesa cattolica.

Sorprende preliminarmente che Vostra Eminenza abbia ritenuto di ribadire la dottrina del Catechismo sull’omosessualità non già richiamando il testo del documento (nn. 2357-2359), bensì una sua sintesi (n. 2396) che non si limita affatto a sintetizzare quanto precedentemente là esposto, ma introduce surrettiziamente (e forse subdolamente) un concetto che nel testo non appare sviluppato, e cioè che le pratiche omosessuali “sono peccati gravemente contrari alla castità”: normalmente le sintesi riassumono quanto più ampiamente detto in precedenza, non introducono concetti e considerazioni nuove. Saremmo curiosi di sapere chi ha redatto quelle sintesi. Ragioneremo dunque qui in base al testo ufficiale del Catechismo, più che in base ad una sua non fedele “sintesi”.

Orbene occorre notare che il testo delle Considerazioni rivela, al di là di ogni dubbio, un processo di irrigidimento  rispetto alla impostazione che era alla base del Catechismo.

§ 1 – Scelta od obbligo?

Il Catechismo infatti aveva ammesso (n. 2358) che

“un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali innate. Costoro non scelgono la loro condizione omosessuale (…)”:

dunque, esistono persone che  n a s c o n o  omosessuali, e la quantità di queste persone è “un numero non tracurabile”. Era caduto cioè, nel Catechismo (almeno in parte) la convinzione che la condizione di omosessualità derivasse da una sorta di scelta peccaminosa e intollerabile, e si ammetteva invece che si può nascere omosessuali come si nasce biondi o castani, alti o bassi, ecc.: persone cioè che sviluppano “per natura” la cosiddetta “identità sessuale profonda” caratterizzata in tal caso per l’attrazione sessuale verso il proprio sesso. Ma se è così (per esplicita ammissione del Catechismo medesimo), come possiamo sterilizzarne le conseguenze? Lo facciamo – ragiona il Catechismo – sostenendo che questa condizione però “costituisce per la maggior parte di loro una prova” (n. 2358). E cioè: tutti gli uomini nascono uguali, Dio è Padre[27] per tutti allo stesso modo, ma: se nasci omosessuale, la tua vita, a differenza degli altri, deve essere una “prova” continua. Ma perché? Non si sa.

Il Catechismo non trovava infatti altra soluzione al problema della realizzazione della propria identità sessuale da parte di chi è omosessuale se non un totale, inappellabile, definitivo obbligo alla…castità: “Le persone omosessuali sono chiamate alla castità”! (n. 2359). Chiamate da chi?

Vediamo di capire: tutti gli esseri umani nascono con una loro “identità” sessuale; tutti gli esseri umani hanno il diritto naturale alla manifestazione ed alla realizzazione della propria identità sessuale; ma l’omosessuale, no: chi nasce (come la Chiesa riconosceva nel Catechismo) omosessuale è obbligato a rinunciare alla realizzazione di quella identità sessuale che ha ricevuto così al momento della nascita. Dunque, è obbligato adessere casto. Non può realizzare la sua identità sessuale: gli è proibito.

Che cosa allora può fare? Può fare “di necessità virtù”, e cioè non è libero nel corpo, ma può guadagnarsi la “libertà interiore” sacrificando la sua sessualità. Al massimo, a tutto concedere – e si noti qui la liceità assegnata dal Catechismo all’opzione – egli può procedere sulla strada della perfezione segnata dalla castità obbligatoria “mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata[28]” (n. 2359).

L’accusa di infedeltà fatta all’inizio in riferimento a queste Considerazioni deriva dalla constatazione, Eminenza, che il riferimento a tale “amicizia disinteressata”, presente nel Catechismo appare qui non solo ‘inavvertitamente’ dimenticata, ma addirittura deliberatamente rimossa, e rimossa proprio quando – guarda caso – si tratta di un possibile riconoscimento di diritti alle coppie omosessuali costruite precisamente su quella “amicizia disinteressata” esplicitamente prevista e in qualche misura approvata nel testo ufficiale del Catechismo medesimo. Noi non crediamo che possa trattarsi di una casuale dimenticanza, ma temiamo che si tratti di una modificazione restrittiva e correttiva (non si sa se autorizzata dal papa!) rispetto a quel testo. Così non è? Ne prendiamo atto con piacere, Eminenza, ma continuiamo a porre qualche interrogativo.

§ 2 – Le “amicizie disinteressate”.

Vorremmo infatti capire un po’ meglio il senso della presenza di questa “amicizia disinteressata” di cui il Catechismo parla con tono positivo. Di che cosa può trattarsi?

Non può che trattarsi, evidentemente, della legittimazione, molto sfumata, ma non suscettibile di equivoci o fraintendimenti, del partner della persona omosessuale, che può sostenere la persona con una amicizia “disinteressata”: Eminenza, e cosa significa “disinteressata”?

Significa, se le parole hanno un senso, che l’omosessuale può anche avere un partner, una persona definita, nel più puro stile farisaico, come una “amicizia”, purché però essi, i peccatori, non emergano chiaramente nella società come tali alla luce del sole e non si abbandonino peccaminosamente alla consumazione degli “atti”. Insomma, non uno, ma due casti che vivono “in amicizia”.

Ora, vale la pena di richiamare brevemente quello che più specificamente sulla castità dice lo stesso Catechismo. E così possiamo capire:

– che “ogni battezzato è chiamato alla castità” (n. 2348);

– che anche “le persone sposate sono chiamate a vivere la castità coniugale” (n. 2349);

– che “la perfezione della castità, alla quale tutti i fedeli sono chiamati, comporta per coloro che liberamente accolgono la vocazione alla vita consacrata l’obbligo di praticare la castità nel celibato per il Regno (…)” (n. 915);

– infine che “la castità è una virtù morale. Essa è anche un dono di Dio, una grazia[29],un frutto dello Spirito (…) Lo Spirito Santo dona di imitare la purezza di Cristo a colui che è stato rigenerato dall’acqua del Battesimo” (n. 2345).

Dalla semplice lettura delle ora riportate definizioni relative alla castità emerge con ogni chiarezza che per il Catechismo la castità è una libera scelta, e che è tale anche quando viene suscitata e aiutata dalla Grazia di Dio: né potrebbe essere altrimenti, dato che è una virtù morale. Non esistono virtù morali originate dalle costrizioni. Le virtù morali sono sempre il frutto di libere scelte. Del resto, basterebbe richiamare quello che il Maestro dice a proposito della continenza volontaria che resta per la Chiesa il riscontro evangelico al celibato ecclesiastico, “vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli” (Mt  19, 12): si sono fatti liberamente eunuchi, per loro vocazione-scelta, non per costrizione.

Ed allora, Eminenza Reverendissima: come è possibile affermare che la castità è una libera scelta e poi prevederla come un percorso obbligato solo e unicamente per la persona che presenta “tendenze omosessuali innate” e cioè che non ha fatto nulla per di essere così, ma è così perché il Signore o la Natura creata da Dio così ha operato, determinando nel soggetto una disposizione non volontaria? Come è possibile prima ammettere che Dio ha creato una persona con una “identità sessuale profonda” di natura omosessuale, e poi pretendere di correggere il prodotto della creazione divina obbligando quella persona a rinunciare contro la sua volontà alla realizzazione della propria identità sessuale così ricevuta?

Se è un modo per mantenere integro il pregiudizio di condanna verso gli omosessuali, concedendo che, poveretti, non è colpa loro ma comunque devono “astenersi”, ebbene, Eminenza, è un modo sbagliatissmo con cui la Chiesa si illude di salvare capra e cavoli (e cioè, dare parvenza di rispettare la dignità della persona umana, ma inchiodarla poi ad un calvario senza appelli): è di una crudeltà inaudita il voler pretendere che una persona, segnata da Dio, dalla Natura, dalla biologia, da chi vi pare, con una pulsione omosessuale precisa, identificata, definita ed immodificabile, pretendere che questa persona rinunci alla sua identità sessuale a costo di indicibili sacrifici, e sottoponga la sua vita ad una “prova” continua. E’ una crudeltà indegna della stessa grandezza della predicazione cristiana. E’ una crudeltà che solo menti guaste possono considerare valida al fine di tutelare purchessia una morale sessuale costituita da ceppi, da vincoli, da divieti: una morale non solo poco cristiana, ma che si allontana gradualmente sempre più dalla coscienza civile del mondo moderno.

V – UNA NUOVA WESTFALIA?

Giacché, Eminenza, non è possibile intendere la storia della civiltà occidentale, e della cultura europea in particolare, solo in chiave di separazione e di allontanamento dai precetti morali della Chiesa, quando questi precetti non riescono più a dare risposta ai problemi, alle domande, ai bisogni che l’uomo di oggi pone a se stesso, alla società e alla Chiesa: questi bisogni presenti nel cuore dell’uomo si aspettano da Santa Madre Chiesa soluzioni, non divieti. Quando il popolo non ha pane per mangiare, Eminenza, non lo si manda via, non gli si dice di digiunare, non gli si suggerisce di arrangiarsi. E invece, “date illis vos manducare”, “date voi loro da mangiare!”, come Gesù ordina ai suoi discepoli dinanzi a una moltitudine affamata (Mt 14, 16); e nonostante che i discepoli negligentemente non sappiano cosa fare, il Maestro non manda via le cinquemila persone presenti, né impone loro di digiunare: moltiplica invece i pani e i pesci, le sfama e le sazia; e ne avanza. Se la Chiesa non si sforza di fare altrettanto, e se si limita solo a proclamare divieti e ad irrogare pene e penitenze, essa ancora, dopo duemila anni, come in quel tempo i discepoli del Maestro, non sa cosa fare ma così viene di nuovo meno al mandato del Cristo, Eminenza. Date nobis manducare, dateci da mangiare! Siete ancora negligenti voi “Chiesa”, come i discepoli: e avete sempre bisogno del miracolo che vi apra gli occhi e la mente?

C’è stato un secolo, nella storia dell’Europa moderna, che ha visto i cristiani d’Europa scannarsi per trent’anni, cattolici contro protestanti, francesi contro tedeschi, spagnoli e gesuiti contro boemi, il continente bagnato da fiumi di sangue, mentre ognuno pensava e gridava “Dio è con me!”: ci vollero trent’anni di stragi, di sgozzamenti, di massacri, di roghi per giungere nel 1648 ai trattati ed alla pace di Westfalia. Con essi si affermò definitivamente il principio del cuius regio eius religio, e cioè che ogni popolo avrebbe potuto liberamente professare la confessione del suo sovrano e della nazione, ed ogni dissidente avrebbe potuto “frequentare privatamente, in piena libertà di coscienza, i rispettivi luoghi di culto, senza essere soggetti a domande, e indisturbati; e di partecipare senza impedimenti al pubblico esercizio della loro religione, nella loro zona, dove e quante volte essi volessero”. Quell’evento sancì così non solo la territorializzazione delle confessioni cristiane, ma sancì soprattutto l’esclusione della Chiesa dallo scenario politico del continente: dopo Westfalia la Chiesa perse quasi completamente l’autorità ed il potere in forza dei quali aveva regolato per secoli le vicende politiche europee. La Santa Sede, come Ella sa, innalzò altissime proteste contro quelle decisioni, e si rifutò di riconoscere il fatto compiuto. Eppure…

Eppure, Eminenza, da quella estromissione della Chiesa come potenza politica dallo scenario europeo, e in sostanza anche mondiale, da quella emancipazione del sistema politico europeo dal Papato, nonostante le proteste del legato papale confermate da Roma, derivò per la Chiesa stessa una nuova stagione missionaria, e in fondo una nuova libertà per la Chiesa che nei secoli successivi si è rivelata  provvidenziale.

Dinanzi all’attuale dibattito, nella società occidentale, relativo al problema del riconoscimento giuridico, o meglio, del riconoscimento di certi diritti civili alle unioni omosessuali, la Chiesa sembra voler assumere oggi lo stesso atteggiamento di rifiuto e di chiusura che Roma assunse nei confronti di Westfalia. Ma se la Chiesa ha tutto il diritto di difendere la sua concezione del sacramento del matrimonio, deve anche rispettare il diritto agli Stati laici di risolvere nella propria autonomia – e senza ingerenze palesi od occulte, dirette o indirette, senza sobillamenti politici o ricatti morali – i problemi di natura sociale, quei problemi cioè attinenti al principio di pari dignità e di equità di tutti i cittadini dinanzi alle legge “senza distinzione di sesso…, di condizioni personali e sociali”, come recita l’art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana.

Che cosa vuole la Chiesa, una nuova Westfalia sul piano etico e sociale, come la prima si determinò sul piano politico? Vuole di nuovo vedersi esclusa dalla vita della società civile?

Quando, prima o poi, tutti gli Stati europei avranno riconosciuto che ciascun cittadino ha il diritto di vivere la propria vita sessuale e che ciascun cittadino, anche omosessuale, è titolare e depositario di diritti sociali che non gli possono essere negati a condizione che, come tutti gli altri cittadini, non violi diritti altrui; quando una legislazione in tal senso si sarà consolidata in Europa, e quando sarà stata adottata anche in Italia – giacché questo, Eminenza, nonostante tutti gli anatemi o le pressioni sulle coscienze dei parlamentari e dei pubblici funzionari di uno Stato sovrano da parte della Chiesa, avverrà comunque, ne sia certa – ebbene, la Chiesa si troverà di nuovo isolata ed emarginata, come a Westfalia; e come a Westfalia eleverà le più alte proteste affermando che saranno stati violati diritti “imprescrittibili” della Chiesa e saranno state calpestate “caratteristiche irrinunciabili” del matrimonio.

Ma anche qui, per il matrimonio e per la famiglia, la Chiesa ha tutto il diritto di proporre un modello da accettare o da imitare: ma ha il diritto di proporlo alla coscienza dei fedeli e dei timorati di Dio, non di imporlo a chi non lo accetta. Vivaddìo, la Chiesa è stata liberata da tempo del terribile ruolo di servirsi del potere secolare del Sacro Romano Impero per imporre ai Sassoni di scegliere tra la conversione forzata al Cristianesimo o lo sterminio di massa. Eminenza, quei tempi non ci sono più, e preghi la Chiesa stessa il Signore Dio perché non tornino: sarebbe una nuova immane tragedia per la Chiesa stessa, oltre che per il mondo. Il mondo, e anche il mondo omosessuale che non è un mondo “a parte”, ha bisogno di speranze, non di minacce. E la Chiesa deve dare speranza, anche ai suoi figli quando amano, nella carne benedetta da Dio perché da Dio creata, un altro essere umano: capisce, Eminenza?

VI – CONCLUSIONE.

Nella conclusione delle Considerazioni Ella, Eminenza, afferma che “la Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare… al riconoscimento legale delle unioni omosessuali”. Con tutto il rispetto, Eminenza, Ella non può dire questo: non può dirlo perché la Chiesa non ha il diritto di “insegnare” quali riconoscimenti legali lo Stato debba concedere o meno. La Chiesa può insegnare la sua dottrina sui rapporti tra persone omosessuali; ma non può insegnare quale tipo di legislazione lo Stato debba adottare per problemi di rilevanza sociale, a rischio di ricadere nella teocrazia papale.

E’ forse invece il caso che anche gli uomini di Chiesa ricevano qualche “insegnamento” dalla società civile e dalla sua storia.

Ella conoscerà sicuramente la Dichiarazione di indipendenza americana, redatta da T. Jefferson e approvata a Filadelfia il 4 luglio 1776. Ricorda cosa è scritto al capo 2 di quella dichiarazione? E’ scritto:

“Riputiamo di per sé evidentissime le seguenti verità: che tutti gli uomini sono stati creati uguali; che il Creatore li ha investiti di certi diritti inalienabili[30]; che tra questi sono il diritto alla vita, la libertà, la ricerca della felicità; che per garantire tali diritti furono istituiti fra gli uomini i governi…”.

I governi, dunque, devono garantire al singolo cittadino, al singolo uomo il diritto non già alla felicità, che non è mai certa, bensì alla ricerca della felicità, che è cosa ben diversa dall’edonismo individualista: è una delle pulsioni più nobili e vitali questa ricerca della felicità, per la quale l’uomo sente di poter vivere con dignità, a differenza degli animali. La Chiesa, mater et magistra, può avere qualche volta l’umiltà di essere anche discipula?

In realtà, Eminenza, i punti affrontati nelle Considerazioni sono essenzialmente due:

1)      la liceità, dal punto di vista religioso, dei rapporti omosessuali;

2)      la facoltà dello Stato di riconoscere alle persone omosessuali, dal punto di vista sociale e giuridico, alcuni diritti che la coscienza civile delle società moderne ritiene giusto sanzionare.

§ 1 – Chiesa e omosessualità.

Orbene, quanto al primo punto, la Chiesa ha il sacrosanto diritto di formulare, esprimere ed insegnare il suo pensiero, ricavato e definito (con fondamento o meno) sulla base delle Sacre Scritture. Ma, non essendo la dottrina morale dogma di fede, anch’essa è soggetta a revisioni e correzioni. Così come è soggetta a revisioni l’interpretazione stessa data in passato o attualmente alle Sacre Scritture.

In realtà:

1)      Dio ha benedetto la specie umana, e non la “coppia” uomo-donna obbligando ciascuno al matrimonio o alla castità;

2)      Dio ha espresso un augurio alla fecondità della specie umana, ma non ha dato un ordine perentorio ai singoli individui collegando sessualità e procreazione;

3)      Dio ha dotato ciascun essere umano della sua propria sessualità, e cioè del suo proprio istinto sessuale;

4)      le persone che nascono omosessuali sono state create così da Dio, per il tramite della natura e della biologia;

5)      tutto ciò che Dio ha creato è e resta intrinsecamente “buono”, e non “disordinato[31];

6)      non si può privare la persona umana della sua identità sessuale;

7)      non si può imporre alla persona umana una rinuncia (la “castità”) alla realizzazione della propria sfera sessuale, se non è una sua libera scelta;

8)      le condanne della Bibbia circa gli “atti” omosessuali vanno storicizzate e ricondotte dentro i confini del generale natalismo ebraico, delle leggi dell’ospitalità (Sodoma e Gomorra), delle leggi di purità (Levitico),  della condanna della cultura pagana (san Paolo);

9)      il matrimonio è e resta per la Chiesa un sacramento, ma non ha come fine unico la continuazione della specie, altrimenti non sarebbero ammessi matrimoni tra persone in età non più fertile o addirittura sterili;

10)  se la “natura” legittima per la Chiesa il matrimonio tra queste ultime categorie di persone, essa non può poi non rispettare una qualche unione basata sull’affetto anche tra persone che sono “per natura” omosessuali.

§ 2 – Stato e omosessualità.

Quanto poi al secondo punto, la Chiesa non ha alcun diritto di rivendicare una privativa dell’istituto matrimoniale, che esiste nelle società civili anche indipendentemente dalla presenza e dall’esistenza stessa della Chiesa, come hanno testimoniato nella storia le società che non avevano ancora ricevuto la predicazione cristiana, e che pure conoscevano l’istituto del matrimonio.

E tuttavia, costituisce una forma di falso ideologico voler insistere sulla valenza nominalistica del “matrimonio” come unico parametro su cui misurare le molteplici forme sorgive di vita associata che possono essere garantite dallo Stato. Lo Stato può ben continuare a riconoscere il “matrimonio” tra uomo e donna come il fondamento naturale della società ancora oggi, come “cellula fondamentale” della società. Il punto non è questo. Il punto è se lo Stato ha o meno la prerogativa, in vista della realizzazione sempre più piena del “bene comune”, di riconoscere diritti sociali ad altre forme di vita in comune che si differenziano dalla forma classica e consolidata del “matrimonio” tra uomo e donna, ma i cui soggetti sono cittadini come tutti gli altri, che pagano le tasse come tutti gli altri, e che costituiscono un problema di rilevanza sociale nella coscienza laica del mondo attuale; ovvero dovrebbe negare dei diritti (che sono anche diritti “umani”) a una parte della società che è, per riconoscimento della stessa Chiesa, non trascurabile, e dovrebbe negarli perché una confessione religiosa non è d’accordo. Questo è il punto.

La Chiesa, tramite il documento oggetto delle presenti riflessioni, dice ora che:

1)      le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione;

2)      se  tali unioni restassero clandestine, allora si potrebbero, forse, tollerare;

3)      se esse ricevessero un riconoscimento giuridico, diventerebbero invece un pericolo pubblico;

4)      l’esistenza alla luce del sole di tali unioni è un pericolo mortale per l’istituzione matrimoniale;

5)      tali unioni sono una minaccia per la sopravvivenza stessa della specie umana;

6)      esse sono una minaccia per il bambino, in caso si conceda loro anche l’adozione;

7)      se lo Stato concedesse loro un qualche riconoscimento giuridico, opererebbe arbitrariamente;

8)      queste unioni sono nocive per la società;

9)      gli omosessuali devono accontentarsi delle garanzie che il diritto comune riserva ai singoli cittadini, ma non possono godere di diritti in quanto coppie;

10)  se lo Stato (scilicet, italiano) osasse legiferare in senso garantista, i politici e i funzionari cattolici avranno il diritto  e il dovere di fare le barricate.

Ebbene, Eminenza, tranne che per il problema – controverso – delle adozioni, non esiste in tutti questi assunti una sola posizione sostenibile e di buon senso. Non una sola.

E’ indegno di qualsiasi persona proporre una sorta di benevola o magnanima tolleranza a forme solo clandestine di rapporti umani. E chi stabilisce che queste “attività”, come Ella le chiama, “non rappresentano un significativo e positivo contributo per lo sviluppo della persona”: la Chiesa, Eminenza? E Le sta bene che due persone che sentono sincero affetto l’una verso l’altra debbano mantenere in forma catacombale e quasi da congiurati il loro rapporto per non turbare i tranquilli sonni del ‘commenda’ milanese che va farisaicamente a messa con la moglie la domenica ed ha poi una amante in Brianza? Ma Ella crede che gli omosessuali siano solo i pittoreschi personaggi coperti di lustrini e di piume che hanno scandalizzato la perbenista Roma giubilare-affaristica?

E’ oggettivamente – e senza nessun tono irriguardoso nei confronti di chicchessia – una stupidaggine pensare che la sopravvivenza della specie umana sia minacciata dalle unioni omosessuali. E’ una stupidaggine talmente grande da suscitare solo ilarità: Lei crede che se gli omosessuali vivessero ciascuno in solitudine e in repressione la propria esistenza, la specie umana sarebbe più prolifica? Lei crede che il “tasso zero” di natalità della “cattolica” nazione italiana negli ultimi decenni sia dovuto ad una particolarmente alta concentrazione di omosessuali in Italia? Lei crede veramente che se due persone omosessuali vivono in qualche modo decentemente in coppia, invece che ciascuno nella sua solitudine, la specie umana sia più a rischio? Lei crede che l’ufficializzazione di un rapporto omosessuale possa determinare un “effetto-valanga” anche tra coloro che omosessuali non sono? Ma Ella dove vive, Eminenza, sulla luna?

E’ arroganza affermare che lo Stato opererebbe arbitrariamente se ampliasse la sfera dei diritti civili. Tutte le società veramente liberali non possono che allargare ed accentuare gli spazi di libertà dei cittadini: che sono cittadini, e non sudditi, cara Eminenza. E Lei crede che se lo Stato decidesse di assicurare la pensione di reversibilità ad una persona che ha diviso sacrifici, gioie e speranze con un’altra persona, magari rinunciando alla carriera e perfino al lavoro, ebbene lo Stato opererebbe “arbitrariamente” solo perché l’altra persona appartiene allo stesso sesso del compagno della sua vita? Mentre invece i matrimoni di convenienza – quelli di donne slave ed extracomunitarie con pensionati italiani molto anziani – benedetti dai preti cattolici all’altare e dinanzi a Dio anche se lo scopo evidente è quello di scroccare la pensione allo Stato, quelli sono leciti e non arbitrari? Eminenza?!

E’ un oltraggio alla civiltà giuridica e al comune buon senso affermare che il diritto comune attuale tutela interessi “reciproci” delle coppie omosessuali. Il diritto comune tutela i diritti di una persona, non di una coppia omosessuale: Ella sa benissimo che l’assistenza sanitaria, le coperture assicurative, i diritti ad accedere all’edilizia agevolata, i diritti alla proprietà della casa, spesso comprata insieme ma intestata ad uno dei due perché essi non sono “coppia” nemmeno per le banche e per i mutui ipotecari, i diritti successori, perfino i diritti a restare vicino al compagno morente di cancro o di Aids, non si estendono oggi alla coppia di fatto omosessuale, e che uno dei due corre sempre il rischio di restare sul lastrico perché la famiglia originaria del compagno (genitori, fratelli, nipoti, ecc.) può estromettere in tutto “l’estraneo”. Ella lo sa tutto questo, o non lo sa?

E’ un attentato alla libertà dello Stato l’esortare esplicitamente all’ostruzionismo parlamentare e alla disobbedienza amministrativa. Le risulta o no che per lo Stato italiano è un reato l’istigazione a delinquere? E le Considerazioni avallate dalla Sua autorità e dalla Sua firma non solo esortano i parlamentari cattolici ad opporsi in ogni e qualunque modo a qualsiasi proposta di un qualche riconoscimento di diritti alle coppie omosessuali, ma giungono persino ad istigare i pubblici funzionari a non applicare o a rendere non applicabile una legge deliberata dallo Stato italiano e che avrebbe valore cogente erga omnes.

Ed infatti, Eminenza, Ella non ha scritto che i pubblici funzionari possono ricorrere alla obiezione di coscienza se contemplata dalla legge: no, Ella ha scritto che per i pubblici funzionari “è doveroso opporsi” e “ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste” (§ 5), indipendentemente da come sarà definito il testo legislativo che ancora non c’è, e dunque anche se esso non prevedesse (come per i medici in riferimento all’aborto) quella obiezione di coscienza! Ma si rende conto di che cosa significhi, quale precedente spaventoso sarebbe il legittimare moralmente la disapplicazione delle leggi emanate dallo Stato solo perché giudicate dalla Chiesa o addirittura soggettivamente da un qualsiasi funzionario cattolico come “ingiuste”? Ma Lei crede che l’immunità diplomatica assicurata ai prìncipi della Chiesa consenta loro di esortare impunemente alla disobbedienza civile?

§ 3 – Dalla “tolleranza” ai “diritti”.

Eminenza, si rende conto che queste Considerazioni “fanno acqua” da tutte le parti? E’ grave che il Suo dicastero le abbia costruite in quei termini; ma è più grave che il Sommo Pontefice le abbia (consapevolmente, bisogna sperare) approvate e ne abbia ordinato la pubblicazione in quei termini. E’ vero, per chi crede, che l’assistenza dello Spirito Santo alla Chiesa resta indefettibilmente vera: ma è tanto difficile, qualche volta, esserne convinti,  Eminenza.

Eppure…

Lei sa, Eminenza, Lei sa cosa fa un omosessuale che non abbia un compagno, e che non può o non vuole rassegnarsi alle costrizioni della castità o dell’astinenza? Le risulta l’esistenza ormai altamente diffusa in tutte le principali città e regioni del mondo – non solo occidentale – di locali, ritrovi, posti, in cui gli “atti” omosessuali si praticano (quando non si mercificano) diffusamente e promiscuamente, talora con discrezione, talora in modo pacchiano, talora squallidamente, talora con altissimi rischi per la salute, quasi mai con buon gusto? Queste cose le conosce anche un numero notevole di sacerdoti, e talora non per “ragioni di ufficio”, se è vero che esistono anche sacerdoti ammalati di Aids, come deve risultarLe; e qualche indagine promossa con ogni discrezione anche nei corridoi vaticani, anche negli “alti” corridoi vaticani, o tra le eleganti guardie svizzere darebbe risultati, forse, sorprendenti in questa direzione[32]: a meno che la Vostra ben informata Eminenza non contempli implicitamente anche una casistica del genere tra i previsti “fenomeni privati” (§ 6).

Certamente l’omosessuale anche come singola persona umana, e depositaria in quanto tale di diritti etici e civili pari in tutto a quelli di qualunque cittadino, non solo non ha bisogno di essere “compatito” (come scrive il Catechismo), ma ha invece diritto ad essere rispettato innanzitutto dalla Chiesa senza che essa pretenda di trasformarlo, contro il volere di Dio e suo, in quello che non è e che non può essere: la Chiesa, Eminenza, deve rassegnarsi ad accettare la naturale esistenza di persone omosessuali, così come è stata costretta in passato ad accettare la naturale esistenza di donne dai capelli rossi che prima considerava come streghe e che mandava al rogo. E questo è valido per il singolo omosessuale, indipendentemente dal fatto che egli decida di vivere in coppia o meno, cosa che attiene solo alle sue personali decisioni.

Ma per il problema delle coppie omosessuali, che costituisce l’oggetto delle Considerazioni, Lei crede che se ciascuno di noi potesse avere una persona a cui voler bene e da cui essere ricambiato; se ciascuno di noi potesse trovare la gioia di sentire un affetto vivo, presente e vicino, e di dividere con un’altra persona felicità, speranze e timori; se lo Stato si sforzasse di garantire a queste persone una vita più tranquilla socialmente e di conseguenza anche meno precaria sul piano emotivo ed esistenziale; se nessuno più si vedesse costretto ad incontri occasionali, avvilenti o senza futuro: ebbene, Lei pensa che la società nel suo complesso ne riceverebbe un danno o un vantaggio?

Noi non chiediamo che la Chiesa equipari le unioni omosessuali al sacramento del matrimonio quale la Chiesa in piena libertà continua e continuerà a predicare e ad amministrare. Non ci interessa. Ma noi chiediamo che la Chiesa si adatti almeno a considerare senza manifesto peccato due persone che realizzano con pulizia di sentimenti la loro sessualità quale hanno ricevuto da Dio e dalla natura, senza meriti e senza colpe, quasi senza scelta: nessuno può negare infatti che una coppia omosessuale potrebbe avere anch’essa un ruolo di stabilizzazione sociale che è lungi dall’essere negativo e che potrebbe al contrario essere anch’esso una forma di “famiglia” diversa da quella classica che è stata e continuerà ad essere incontestabilmente prevalente, senza che nessuno abbia alcunché da ridire. Ma, almeno così, Eminenza, lo diciamo con tutta l’accorata sincerità di cui siamo capaci, abbiamo il diritto di vivere.

In fondo, basterebbe rinunciare alla pretesa assurda, disumana e immotivata di imporre alle persone omosessuali una castità non scelta liberamente, e inibitoria di naturali pulsioni sessuali da Dio donate agli uomini; e basterebbe trarre le implicite conseguenze da quanto lo stesso Catechismo della chiesa cattolica prevede al n. 2359, laddove parla di “sostegno di un’amicizia disinteressata” tra due omosessuali: se due “amici disinteressati” si donano un reciproco “sostegno” – par di capire – non commettono peccato. D’altro canto, gli eventuali “atti” omosessuali tra queste due persone si determinerebbero ovviamente nella sfera privata, e pertanto non potrebbero che attenere (a norma di diritto canonico) al solo “foro interno”, e cioè al foro della coscienza: a meno che Vostra Eminenza non voglia pensare ad un controllo repressivo come fu deciso nel XVI secolo da un fanatico qual era Calvino, quando sosteneva che i suoi ministri avessero il diritto di esercitare “poteri di polizia spirituale”, e che nelle Ordonnances ecclésiastiques di Ginevra faceva autorizzare i seniori ad entrare nelle case ed ispezionare quanto avveniva anche nelle camere da letto. E’ vero che di procedimenti inquisitoriali Vostra Eminenza deve avere buona memoria, ma vuole arrivare a qualcosa del genere?

Ed invece, qualora una coppia omosessuale (come adombrato, se non anche previsto, dallo stesso testo del Catechismo) si formi da una radice di affetto e di condivisione di valori morali e sociali comuni, chi può escludere che essa sia partecipe dei disegni misteriosi e provvidenziali di Dio che così li ha creati, ed agli stessi interessi del “bene comune” della società? Ella ha mai sentito parlare di “omosessuali credenti”, Eminenza? Essi dalla Chiesa si aspettano un aiuto, non una condanna.

Dio, secondo i teologi cattolici, assistendo con lo Spirito Santo i conclavi, ha voluto nei suoi disegni misteriosi – e in soli tre decenni – un papa probabilmente omosessuale (Sisto IV della Rovere, 1471-1484), e ha voluto poi un papa simoniaco, lussurioso e degenerato (Alessandro VI Borgia, 1492-1503): e perché mai Egli non potrebbe volere con altrettanta insondabile provvidenzialità l’esistenza di onesti legami omosessuali, così determinati attraverso la “Natura” da Lui creata, nell’ambito della multiforme vita umana sulla terra? Con la differenza che la grandissima parte delle anonime coppie omosessuali non commette “peccato” perché non corrompe paggetti, non compra cariche sacre, non congiura, non avvelena e non ammazza, non crea cardinali i figli diciottenni (il ‘simpatico’ Cesare Borgia). Ma papa della Rovere non è condannabile moralmente perché volle arginare l’espansione ottomana, bensì perché fu sfrenatamente nepotista circondandosi dei corrotti Riario, veri “demoni maligni”, e perché riempì il collegio cardinalizio di personaggi indegni (tra cui, “per le doti del corpo” il card. Giovanni Sclafenato); e papa Borgia non è condannabile moralmente perché aveva per natura una fredda intelligenza o una volontà indomabile (come testimonia l’affresco del Pinturicchio nell’appartamento “Borgia” in Vaticano), bensì per la serie infinita di corruzioni e di delitti che ha commesso o favorito con la banda dei suoi figli.

Quali delitti, per i quali saremmo colpevoli e dei quali saremmo imputati, commettiamo noi, Eminenza? Vogliamo domandarlo e gridarlo con libera e aperta coscienza, e dinanzi a Dio quelli  tra noi che hanno fede, e dinanzi alla Chiesa e alla società quelli tra noi che non hanno fede: qual è il nostro delitto? Ditecelo! Ditecelo, per favore, quando invece anche da un legame omosessuale che sia pulito la stessa comunità umana nel suo insieme non può che ricevere contributi alla sua stabilità e ad un suo vivere più ordinato e civile, e contemporaneamente allargare e così arricchire l’orizzonte dei diritti del singolo cittadino.

Ditecelo, per piacere! Qual è la colpa della nostra natura? Quella di voler bene? Eminenza, ma si rende conto che affermare di voler rispettare la “persona omosessuale” ma di dover condannare “gli atti omosessuali” di quella stessa persona è una stupidaggine completa? E’ come dire che Dio ha creato gli uomini con lo stomaco perché vivano e si sostengano, ma quelli a cui piace una pietanza non comune o piuttosto strana non hanno diritto di cibarsene, e se proprio vogliono, dovranno farlo solo di nascosto! Siete in un vicolo cieco, e vi illudete di poter controllare e censurare anche emozioni intime, nobili e pulite del cuore umano.

E’ probabile che la Chiesa abbia mutuato dalla cultura della società cristiana del II secolo d.C. (gnostica, in particolare) l’ostilità verso gli omosessuali, e quindi fatta propria la loro condanna sulla base di un “consenso” sociale: ora che questo “consenso” si sta sgretolando perché quella condanna appare, anche alla luce delle conoscenze scientifiche, sempre più immotivata, la Chiesa da una parte continua ad allontanare da sé e a condannare dei suoi figli e ne diventa matrigna, dall’altra si allontana essa dalla società e si arrocca su “maladizioni” oggettivamente preconcette, che non trovano più riscontri nella cultura e nella conoscenza medico-scientifica delle società liberali nel terzo millennio.

Quando la società civile si sarà diffusamente convinta che gli omosessuali non sono un pericolo per nessuno e che hanno il diritto di vivere la propria vita come tutti; e quando le società liberali avranno dimostrato di non tollerare più discriminazioni contro i “diversi” e non crederanno più in una indimostrabile “anomalia” degli omosessuali come non credono più alle “potenze magiche” medievali, al potere malefico delle streghe o a quello degli untori, la Chiesa continuerà ancora a sostenere una dottrina morale (che non è un dogma di fede) basata sulla condanna, sul rigetto, sugli anatemi?

Lei sa che cosa stabilisce l’art. 22 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948? Stabilisce precisamente che “ogni individuo…ha diritto…alla realizzazione…dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”: e perché mai solo la personalità di coloro che sono omosessuali non avrebbe diritto a tale “libero sviluppo”? Eminenza, forse non Le resta del tutto accettabile, ma qui non stiamo parlando affatto di “concessioni”, nella sfera privata e segreta, di tipo paternalistico o tollerante: stiamo parlando di “diritti”, e di diritti sorgivi dell’individuo che col sacramento del matrimonio non creano alcuna interferenza. E’ più chiaro così?

Nella introduzione al De sacris nostri temporis controversiis del 1649 (guarda caso, l’anno successivo ai trattati di Westfalia) uno statista tedesco, Hermann Conring, parafrasando Terenzio, poteva scrivere che “i protestanti sono uomini, essere umani come chiunque altro” (Homines sunt Protestantes: humani ab illis nihil est alienum). Molto tempo è passato da quel giorno, ed ora la cosa sembra naturale, ovvia e scontata. Ma ci sarà un giorno lontano, che né noi né Vostra Eminenza vedremo, ma un giorno in cui un porporato, illuminato dallo Spirito di Dio, potrà anche dire che  Homines sunt homosexuales: humani ab illis nihil est alienum.

Passeranno molti decenni, forse secoli, eppure a questo la Chiesa giungerà, Eminenza: non si sa quanti odii dovranno ancora essere suscitati ed aizzati da ogni parte; non si sa quante angosce dovranno ancora essere sopportate nelle solitudini dell’anima; non si sa quante ingiurie dovranno essere rivolte a migliaia di esseri umani che si vedono discriminati nella società “cristiana” perché Dio o la Natura ha donato loro – atei o credenti che siano – una sessualità diversa da quella prevalente nel clan o nella tribù del momento; non si sa quanti anatemi la Chiesa lancerà ancora contro costoro che, sebbene in purità di spirito, saranno tuttavia scandalo per tanti pii e devoti cattolici che credono di essere signori, padroni e interpreti della volontà di Dio. Sarà un giorno lontano, Eminenza: ma quel giorno verrà. E allora la veste inconsutile di Cristo potrà veramente coprire tutti i figli di Dio, tutti i timorati di Dio, tutti gli uomini di buona volontà, senza che la misericordia del Signore sia abbassata a soppesare, approvare o disapprovare le categorie o la fisiologia degli “atti” sessuali, quando essi siano origine e prova, segno e conferma di un affetto tra due esseri umani: il che in fondo, Eminenza, in questo mondo che passa, è l’unica cosa che veramente conta. Ma questo, forse, Vostra Eminenza non può saperlo.

Comitato di studi teologici di GayLib 

________________________

Note:

[1] Purg.  III, vv. 133-135.

[2] Ivi,  vv. 122-123.

[3] Congregazione per la dottrina della fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali,  Città del Vaticano, 3 giugno 2003.

[4] Probabilmente non è per nulla un caso che siano passati quasi tre mesi tra l’approvazione data dal pontefice il 28 marzo 2003, la firma del documento del 3 luglio 2003, e la sua pubblicazione del 31 luglio 2003, a ridosso del vuoto agostano, al fine di attutire possibili clamori e proteste, cosa finora riuscita ….

[5] Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1 ottobre 1986, n. 2.

[6] “La difesa della libertà consiste nell’obiettivo ‘negativo’ [= negatorio] di respingere l’interferenza. Minacciare di perseguitare un uomo a meno che non si pieghi a una vita in cui non può esercitare nessuna scelta dei propri obiettivi, sbarrargli tutte le porte eccetto una, non importa quanto sia nobile la prospettiva su cui si apre e generose le motivazioni di coloro che lo fanno, significa commettere un peccato contro la verità che egli è un uomo, un essere con una propria vita da vivere”, I. BERLIN, Due concetti di libertà, tr. it. Milano 1989, p. 19

[7] In Israele è vietato uscire senza calzini; in Giordania una coppia di sposi deve fare sesso almeno ogni quattro mesi; nella regione di Parigi è assolutamente proibito baciarsi sui treni e sulle linee ferroviarie; in Arizona è vietato sorridere in pubblico se manca più di un dente in bocca; nella contea di York è legale colpire uno scozzese con una freccia, tranne però la domenica; a Los Angeles è vietato leccare i rospi: e si potrebbe continuare…

[8] Rm 13, 1.

[9] Le risulta o no che in Italia (dati della Caritas) ogni anno avvengono circa 13.000 (tredicimila) matrimoni misti, dei quali ben il 79,8% (cioè, 10.374) riguarda donne straniere che si sposano in Italia? Tutte stregate dall’italico latin lover?

[10] Mt 20, 1-16.

[11] Marsilio da Padova (1275c-1343), autore del Defensor pacis, condannato dalla Chiesa: “Il legislatore oppure la causa efficiente prima e specifica della legge è il popolo, o la totalità dei cittadini, o la loro maggioranza” (I 12, 3).

[12] J. BONSIRVEN, Textes rabbiniques, Roma 1955, n. 1212 ; Yevamot 63b.

[13] Era, come è noto, nella storia dei costumi dell’antico Israele, un documento rilasciato dal marito alla moglie ripudiata, e che consentiva a quest’ultima di contrarre nuovo matrimonio.

[14] “Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli…, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna, e i due formeranno una carne sola”, (Ef 5, 28-31).

[15] MIGNE, Patrologia greca vol. 49, pp. 32-33.

[16] 1Cor 7, 1-5.

[17] M. YOURCENAR, Memorie di Adriano, tr. it. Torino 1988, p. 298. Le parole latine fanno riferimento alla notissima poesia dell’imperatore Adriano, Animula blandula vagula,/ hospes comesque corporis….

[18] Tralasciamo  gli altri due riferimenti minori di 1Cor 6, 10 e di 1Tm 1, 10, in quanto inseriti in ampie liste di peccati, e di significato tuttora problematico anche per i paolinisti più esperti.

[19] “Per questo Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi  la punizione che s’addiceva al loro traviamento”, Rm 1, 24-27.

[20] Il richiamo è a Gen 3, 16: Dio disse alla donna: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”.

[21] S. IRENEO,  frammento n. 32.

[22] Nota n. 6 delle Considerazioni.

[23] Cost. dogm. Dei Verbum III, 12.

[24] E’ un ridicolo sofisma l’affermare che san Paolo considera la schiavitù un fatto sociale, ma non ne dibatte la struttura: san Paolo legittima al di là di ogni dubbio la schiavitù nel mondo greco-romano.

[25] Ibidem.

[26] S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae  I, q. 92, art. 1 e q. 93, art. 4.

[27] Anzi, “è Padre e Madre insieme”, come ha catechizzato nel suo breve pontificato Giovanni Paolo I.

[28] Cfr n. 2347: “La virtù della castità si dispiega nell’amicizia. Indica al discepolo come seguire ed imitare colui che ci ha scelti come suoi amici, si è totalmente donato a noi e ci rende partecipi della sua condizione divina. La castità è promessa di immortalità. (…)”.

[29] Così nel testo.

[30] Si badi: il testo non dice “inviolabili”, dice “inalienabili”, e cioè che gli uomini non possono “alienare”, non possono rinunciarvi; e ciò corregge, integra ed amplia quanto scrive S. Tommaso d’Aquino come citato alla nota n. 13 delle Considerazioni (Summa Theologiae, I-II, p. 95, a. 2).

[31] “Infatti tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera”, 1Tm 4, 4-5.

[32] Ogni riferimento al chiaro e non isolabile “caso Estermann/Tornay”  del 5 maggio 1998 non è per nulla casuale, nonostante sparizioni di prove, depistaggi, tacitazioni e archiviazioni ben pilotate.

Link: Card. Josef Ratzinger, Prefetto per la Dottrina della Fede – Notoficazione riguardante Suor Jeannine Gramick e Padre Robert Nugent


http://www.we-are-church.org/it/omo/omo.Spagna.htm

L’OMOSESSUALITÀ È NATURALE.
IL TEOLOGO BENJAMIN FORCANO AD UN CONVEGNO IN SPAGNA

31114. N.82 del 2001 VALENCIA-ADISTA. “Come membri della Chiesa nelle sue diverse confessioni, mossi dall’amore che le professiamo e dal senso di corresponsabilità invitiamo la Chiesa a liberarsi dai pregiudizi accumulati da secoli contro l’omosessualità e la transessualità, riconoscendole, in dialogo con le scienze, per quello che sono: uno dei possibili orientamenti o identità sessuali delle donne e degli uomini”.
Sono i rappresentanti di “associazioni e movimenti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali cristiani della Spagna” che si sono riuniti a Valencia, dal 12 al 14 ottobre 2001, nel IV incontro nazionale dedicato quest’anno a “Cristianesimo, nuove famiglie e omosessualità”, per discutere del diritto degli omosessuali a condurre una vita normale nella società e anche nella Chiesa, a vivere con dignità la propria scelta sessuale senza rinunciare alle proprie credenze religiose.
Nel Manifesto conclusivo dell’incontro i partecipanti rivendicano perciò il loro diritto a “partecipare a tutti i livelli della vita ecclesiale (eucarestia, formazione, catechesi, ministeri, sacerdozio…), il diritto ad avere una famiglia riconosciuta non solo dallo Stato ma anche dalla Chiesa (“la Chiesa riconosca il matrimonio civile e religioso fra persone dello stesso sesso”), e il diritto di adottare bambini.
“L’omosessualità – ha detto Judith Vázquez del gruppo messicano Fratelli della Resurrezione – non è una scelta di vita, è la nostra vita. Bussiamo alla porta della Chiesa perché ci lasci entrare, ma già siamo dentro. Entriamo dalla finestra. E ora vogliamo aprire la porta dall’interno perché entrino quelli rimasti fuori”.
E “fuori”, rifiutati dalla Chiesa ufficiale, non ci sono solo gli omosessuali – ha precisato Juan José Broch, coordinatore dell’incontro e membro del gruppo cristiano di omosessuali “Collettivo Lambda” -, ma anche “i sacerdoti che vogliono conciliare il proprio ministero sacerdotale con una vita matrimoniale o i divorziati e le madri nubili”. Chiaro il riferimento ai recenti casi di discriminazione da parte della Chiesa cattolica verso alcuni insegnanti di religione spagnoli, sollevati dall’incarico per avere situazioni familiari irregolari (v. Adista n. 67/01). Al riguardo il convegno ha approvato una Risoluzione in cui “si sollecita una revisione e una riformulazione degli accordi Chiesa-Stato del 1979 perché l’idoneità degli insegnanti non sia giudicata in base alla loro vita privata ma in base alla loro capacità professionale”.
“Una Chiesa che si fonda sull’amore – ha dichiarato Broch – non può rifiutare famiglie che vogliono costituirsi basandosi sull’amore”. E ha rivendicato il diritto degli omosessuali, ad “accedere a tutti i sacramenti incluso quello del matrimonio”. “Noi ci sentiamo Chiesa e siamo creature di Dio”: “vogliamo che ci vengano riconosciuti, in quanto cristiani, gli stessi diritti degli eterosessuali a costituire una relazione di amore riconosciuta a livello ecclesiale”. Nonché il diritto di adottare dei bambini. E su quest’ultimo punto, ha sottolineato Broch, se non dovesse bastare il sostegno di scienze come la psicologia e la sociologia, uno studio recente del Consiglio europeo, “un’istituzione che non può essere sospettata di parzialità, conferma che l’adozione tra omosessuali non pregiudica in alcun modo il minore, né gli crea alcun problema di sviluppo psicologico nella crescita”
Il convegno non era solo dedicato alle associazioni gay o lesbiche: molti i cristiani non omosessuali invitati, fra cui il teologo cattolico Benjamín Forcano, che in una ricca e lunga relazione ha ribadito la natura biofisica dell’omosessualità e condannato l’atteggiamento della Chiesa cattolica che, ha detto, deve rivedere con urgenza la sua posizione al riguardo, “per onestà”, perché non esiste una base biblica per considerare l’omosessualità un’attitudine “disordinata”.
“Essere omosessuali – ha spiegato Forcano – non dipende dalla propria volontà. L’omosessualità è una forma sessuale che emerge nello sviluppo della persona”. È semplicistico ridurre la sessualità umana ad “un mondo bipolare, assolutamente contrapposto”: il maschile e il femminile. “La mascolinità e la femminilità pure non esistono. Esistono persone che, all’interno della loro predominante forma maschile o femminile conservano anche elementi e contenuti del tipo opposto”. Dimenticare questo aspetto della bisessualità umana – nota il teologo – ci porta a “posizioni semplificate e tranquillizzanti che inducono a condannare come “contra naturam” gli omosessuali”. Né si può dire che l’eterosessualità, “per essere maggioritaria, sia corretta e l’omosessualità, per essere minoritaria, deviata e quindi, eticamente riprovevole”. “Il fatto stesso dell’omosessualità, non proverebbe ipso facto che sia immorale, ma solo diversa. E se l’agere sequitur esse (l’agire segue l’essere) l’omosessuale agirebbe bene assecondando personalmente le esigenze della sua natura, senza che nessuno possa obbligarlo a che, contra naturam, si comporti eterosessualmente”.
“Nell’ipotesi che l’omosessualità sia naturale, – aggiunge Forcano – io mi rifiuto di ammettere che Dio l’abbia voluta stabilire come una tendenza (pulsione e atti concreti inclusi) perversa e sono incline ad ammettere che la sessualità umana, biofisicamente parlando, non è solo eterosessuale ma anche omosessuale”.
Quanto alla posizione della Chiesa al riguardo, “il male – spiega il teologo – è stato che la Chiesa si è aggrappata all’interpretazione data a partire dalla patristica e dalla scolastica sanzionandole come veicolo obbligatorio per la trasmissione del messaggio biblico”. “Quando si deve affermare una verità come patrimonio della rivelazione cristiana, spesso si confonde il contenuto essenziale di questa rivelazione con la formula contingente che della medesima si è fatta in una data epoca e si tratta indebitamente di presentarla e conservarla come definitiva”. Insomma “una cosa è il sistema filosofico dell’Antichità e un’altra la Buona Novella del Vangelo, anche se per annunciare il Vangelo bisognava utilizzare le categorie più valide e significative di quel tempo”. “Da questa prospettiva viene da chiedersi: la Chiesa possiede l’autorità per opinare su questioni su cui il Vangelo dice poco o niente e sulle quali il chiarimento delle stesse deve essere fatto attraverso le scienze?”. “L’omosessualità – replica il teologo – non è competenza di un insegnamento specifico della Chiesa”: è un problema umano che deve essere risolto in modo umano. Ricorrere alla Bibbia per condannare l’omosessualità non è giusto. “Il fatto che la Bibbia sia parola di Dio, non osta a che sia anche parola dell’uomo, che deve essere analizzata in un contesto storico secondo il livello delle scienze di allora”. “La Bibbia non è mai stato un trattato di scienza rispetto alla biologia, alla psicologia, alla sessuologia, all’antropologia, ecc. E perciò stesso non è adeguato cercare in essa risposte a questioni che sono proprie della scienza”. E “certamente un’etica cristiana deve spogliare l’omosessualità di ogni connotazione morale negativa: non è una perversione, né un delitto, né un crimine”.
L’atteggiamento della Chiesa verso gli omosessuali – ha dichiarato il presidente dell’Associazione cristiana di gay e lesbiche della Catalogna, Gwenael Le Moing, è “totalmente anticristiano”, “promuove l’odio e la violenza verso gay e lesbiche”, ma questa “omofobia della Chiesa” deve essere combattuta dall’interno. Molti di coloro che dirigono le Chiese – si legge in uno dei documenti di lavoro dell’incontro – sono omosessuali e odiano se stessi (soprattutto tra i celibi della Chiesa cattolico-romana)”.


QUELLI CHE SEGUONO, GLI EVANGELICI, FANNO PAURA. LOR SIGNORI CONOSCONO IL PENSIERO DI DIO:

http://evangelici.altervista.org/omoses.html

L’ omosessualità dal punto di vista cristiano

Siamo oggi sottoposti, in ogni ambiente, ad un intenso battage teso a far sì che anche nella chiesa si accetti ed si approvi l’omosessualità come uno stile di vita e una “preferenza” sessuale al pari di ogni altra. Coloro che, su base morale e religiosa, vi si oppongono, vengono di solito dipinti come ignoranti bigotti e razzisti, degli “omofobi”, portatori di pregiudizi superati.

È vero che nel mondo esistono persone che odiano gli omosessuali, ma un tale comportamento non è in alcun modo giustificabile. Ogni vero cristiano non odia gli omosessuali, e deve trattarli secondo i comandamenti di Dio (1 Giovanni 5:3): non è quindi mai ammissibile la calunnia, la derisione, la violenza e l’odio né verso l’omosessuale, né verso chiunque altro.

Sebbene un cristiano abbia il dovere di trattare l’omosessuale come ogni altra persona, egli deve essere con lui biblicamente onesto. L’atteggiamento di una persona verso l’omosessualità non deve essere modellato dalla mutevole cultura contemporanea.


L’istituzione creazionale del matrimonio

Per comprendere rettamente la sessualità umana bisogna risalire ai primordi dell’umanità. Nel principio Dio crea un uomo (Adamo) ed una donna (Eva). Dio non crea due uomini, o due donne. La creazione di un uomo e di una donna per essere marito e moglie è il modello o paradigma di base di ogni rapporto approvato da Dio, benedetto e secondo natura.

Gesù Cristo cita Genesi 2:24 come chiara prova che la poligamia (avere più di una moglie) e il divorzio (eccetto che nel caso di adulterio) sono condannati da Dio (Matteo 19:5). 
La Bibbia condanna ogni attività sessuale al di fuori del matrimonio monogamo ed eterosessuale: l’omosessualità, i rapporti sessuali prima del matrimonio, la poligamia, l’adulterio, la bestialità, e così via (chissà se condanna anche Abramo che se la spassa con le due figlie che lo avevano ubriacato allo scopo, n.d.r.). “Nessuno vi seduca con vani ragionamenti, perché per queste cose viene l’ira di Dio sui figli della disubbidienza” (Efesini 5:6).


Omosessualità: cosa ne pensa Dio

La legge morale di Dio è contraria all’omosessualità di qualsiasi tipo. Ad esempio, Dio dichiara al suo popolo: 
“Non avrai relazioni carnali con un uomo, come si hanno con una donna: è cosa abominevole” (Levitico 18:22). Si noti che le pratiche omosessuali erano condannate da Dio già secoli prima che venisse promulgata la legge (si veda ad es. Genesi 19).

Il Nuovo Testamento conferma la condanna che l’Antico Testamento fa dell’omosessualità. Ad esempio, il primo capitolo di Romani ammonisce: 
“Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami, poiché anche le loro donne hanno mutato la relazione naturale in quella che è contro natura. Nello stesso modo gli uomini, lasciata la relazione naturale con la donna, si sono accesi nella loro libidine gli uni verso gli altri, commettendo atti indecenti uomini con uomini, ricevendo in se stessi la ricompensa dovuta al loro traviamento. E siccome non ritennero opportuno conoscere Dio, Dio li ha abbandonati ad una mente perversa, da far cose sconvenienti … Or essi, pur avendo riconosciuto il decreto di Dio secondo cui quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non solo le fanno, ma approvano anche coloro che le commettono” (Romani 1:24-28,32).

Similmente, nella prima epistola ai Corinzi è scritto:
 “Non sapete voi che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v’ingannate: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né gli omosessuali, né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né gli oltraggiatori, né i rapinatori erediteranno il regno di Dio” (1 Corinzi 6:9,10).

Quanto è meraviglioso constatare che il verso successivo mette in evidenza la possibilità e la grazia che Dio offre a chiunque chiede a Cristo di cambiare la propria vita. Il verso 11 continua: 
“E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo…”


Scelta o tendenza?

Qualsiasi discussione sull’omosessualità sarebbe incompleta senza discutere la questione della differenza fra atto ed orientamento. Molti omosessuali dicono: “Io sono nato omosessuale – Dio mi ha fatto così. quindi, i miei pensieri, desideri, e stile di vita, non dovrebbero essere condannati”. Se vi sono delle persone che nascono con una predisposizione verso il comportamento omosessuale, questo non rende i loro comportamenti accettabili per Dio.

La dottrina biblica sul peccato originale insegna che tutti nascono con una natura o disposizione peccaminosa. Il primo uomo, Adamo, fu il capostipite e rappresentante dell’intera razza umana. Quando Adamo peccò, la contaminazione del peccato passò all’intera razza umana (Romani 5:12,17,19). Ogni persona nasce con quella natura peccaminosa. È sbagliato dire: “Dio mi ha reso omosessuale (o bugiardo, o omicida)”, perché il peccato non ha preso origine da Dio, ma dall’uomo.

Il fatto che ogni essere umano nasca con un orientamento (o propensione) verso il peccato, non giustifica desideri o comportamenti peccaminosi. La Bibbia dice che tutti nascono bugiardi (Salmo 58:3), eppure la Bibbia dice che la menzogna è un peccato (Esodo 20:16; Deuteronomio 5:20), e che i bugiardi non entreranno nel regno di Dio (Apocalisse 21:27). Se vi sono alcuni che nascono con la tendenza a rubare, ad essere omosessuale, sadomasochista o alla bestialità, al feticismo, alla pedofilia, alla mutilazione, ecc. questo non giustifica il loro comportamento.
L’argomentazione che la tendenza all’omosessualità la renda in qualche modo accettabile a Dio, potrebbe essere usata per giustificare qualsiasi altro comportamento. Questo ragionamento distrugge la responsabilità personale e priva di significato la stessa legge di Dio. Tutti dovranno rendere conto di sé stessi a Dio per ogni loro pensiero, parola ed azione, indipendentemente dal loro “orientamento” di fondo. Accusare Dio di avere impresso in noi una certa tendenza e che per questo sia inevitabile, potrà forse far sentire meglio qualcuno, ma non reggerà di fronte al giudizio di Dio, quando tutti gli impenitenti saranno condannati in eterno (1 Corinzi 6:9-10; Apocalisse 21:27).
La Bibbia, inoltre, dice chiaramente che Dio non tenta l’uomo. È dalle proprie passioni che uomini e donne vengono sospinti: 
“Nessuno, quando è tentato dica: «Io sono tentato da Dio», perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno. Ciascuno invece è tentato quando è trascinato e adescato dalla propria concupiscenza. Poi quando la concupiscenza ha concepito, partorisce il peccato e il peccato, quando è consumato, genera la morte” (Giacomo 1:13-15).

Alcuni sostengono che certi sentimenti o desideri sono innati, inevitabili, e quindi non peccaminosi. Certamente, la Bibbia insegna che essere tentati non è peccato (Cristo fu tentato come noi, eppure non commise peccato; v. Ebrei 2:18). Ciò che è peccato è quando una persona coltiva ciò a cui è tentata, fantastica e fa piani su come realizzare quel comportamento. La Bibbia chiaramente insegna che peccato non è solo commettere di fatto ciò che Dio proibisce, ma pure avere desideri e pensieri immorali. Come ebbe a dire Martin Lutero: “Non posso impedire agli uccelli di volarmi sopra la testa, ma posso far in modo che non nidifichino tra i miei capelli”.

Gesù Cristo proibisce anche il solo bramare rapporti sessuali eterosessuali illeciti (Matteo 5:27-29). Avverte che quando un uomo guarda una donna desiderandola, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (verso 5:28). L’idea di condannare solo l’atto esteriore, ma non la bramosia interiore, era una dottrina dei Farisei che Cristo condanna fermamente (Matteo 5:21,22; 15:19,20).
“Fate dunque morire le vostre membra che sono sulla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e avidità, che è idolatria” (Colossesi 3:5). La Parola di Dio esorta i cristiani a santificare (rendere santi) i loro stessi pensieri (Filippesi 4:8). L’apostolo Giacomo avverte infatti che se i desideri non vengono controllati, ne conseguirà facilmente il peccato (Giacomo 4:1).

Quando il profeta Isaia dice: 
“Lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri, e ritorni all’Eterno che avrà compassione di lui, e al nostro Dio che perdona largamente” (Isaia 55:7), intende che il ravvedimento implica anche i pensieri. Dato che la Bibbia condanna i desideri illeciti insieme agli atti illeciti, non può esistere alcun “omosessuale cristiano” come non può esistere un ladro cristiano o un omicida cristiano. Si può dire di credere in Dio, si può frequentare una chiesa, ma essere cristiani significa anche obbedire, non soltanto dire di “credere”. Quando un omosessuale diventa cristiano, questi deve rifiutare nella sua vita sia i pensieri che gli atti omosessuali, e liberarsene. A volte potrà anche essere tentato, ma si rifiuterà di fantasticare o di commettere tali atti. “Quanto al rimanente, fratelli, tutte le cose che sono veraci, tutte le cose che sono oneste, tutte le cose che sono giuste, tutte le cose che sono pure, tutte le cose che sono amabili, tutte le cose che sono di buona fama, se vi è qualche virtù e se vi è qualche lode, pensate a queste cose” (Filippesi 4:8).


Omosessuali si nasce o si diventa?

In quanto ex-omosessuale, mi sento di affermare – insieme a tanti scienziati, anche se in barba a una martellante propaganda odierna – che nessuno nasce omosessuale. Non esiste un terzo sesso. E la scienza moderna conferma che ciascuna delle 300 milioni di cellule che compongono il nostro corpo contiene dei cromosomi nei quali c’è scritto, o “MASCHIO” (XY) oppure “FEMMINA” (XX). A eccezione di rarissime anomalie cromosomiche, questo dato è fisso e inalterabile. Non esiste il “cambio di sesso”. Non c’è nulla di più tragico del cosiddetto “transessuale” – peggio ancora, chi si è fatto fare un intervento chirurgico irreversibile per “apparire” una femmina, quando per la natura e per Dio rimane irrevocabilmente maschio, o viceversa.

La tendenza omosessuale è invece una condizione che deriva da circostanze e suggerimenti dall’ambiente in cui si cresce. Potrebbe esistere una predisposizione (e ciò spiegherebbe il fatto che fratelli cresciuti nello stesso ambiente famigliare ne vengono fuori con orientamenti diversi), ma le voci che con sempre maggiore insistenza parlano di un fantomatico “gene omosessuale” sono frutto dell’ideologia, non della scienza seria. A tanta gente infatti fa comodo trovare una giustificazione per non sentirsi più responsabile delle proprie scelte. Infatti, se dovesse esistere un tale gene, sarebbe molto difficile spiegare la sua sopravvivenza e sempre maggiore diffusione, visto che sarebbe, evidentemente, un gene “suicida” (infatti non potrebbe passare ai figli e diffondersi).

La teoria che “si nasce omosessuali”, se da una parte serve ad anestetizzare la coscienza di chi vuole restare così, dall’altra distrugge la speranza di chi vuole uscirne. È una menzogna. Dio non ha creato nessuno in quel modo, ma è una delle molteplici conseguenze del peccato, che ha comportato la corruzione della nostra natura umana insieme a tutto il creato. Esistono molte testimonianze di persone che, a un certo punto della loro vita, hanno cercato e trovato liberazione da quella che consideravano, per sentito dire, una condizione irreversibile.

Lo psicoterapeuta Joseph Nicolosi scrive: “Nasciamo tutti eterosessuali, però sappiamo quanto l’immagine che abbiamo di noi stessi influenzi il nostro comportamento e, naturalmente, ciò vale in particolare per i giovani. Ora qualcuno obietterà: «Già nell’antica Grecia c’erano omosessuali…» Sbagliato. C’erano persone con un comportamento omosessuale, ma non erano «nati omosessuali». L’idea dell’identità omosessuale risale solo a circa cento anni fa. Si tratta di un concetto politico, che si sottrae ad ogni fondamento psicologico. Colin Cook, un ex-omosessuale, descrisse così questo fatto: «La nostra eterosessualità giace sepolta sotto mille paure»”.


Concludendo


La Chiesa Cristiana non può compromettere l’insegnamento fondamentale della Scrittura: l’omosessualità è contraria alla volontà di Dio riguardo alla sessualità umana. Le norme stabilite da Dio alla creazione – per esempio la distinzione originale tra uomo e donna – sono ancora pienamente valide. Se Dio ha stabilito qualcosa per il bene dell’uomo nella Sua Parola, l’uomo non può pensare di frustrarne il disegno divino senza incorrere nel Suo giudizio. Amare non significa essere accondiscendenti. Dio ama l’uomo, ma odia il peccato.

“Lavatevi, purificatevi, togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni … Poi venite, e discutiamo, dice il Signore: Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana” (Isaia 1:16-18).


Chiesa anglicana dell’Australia

tratto da Tetu.com, tradotto da Carmela

Sotto la minaccia di una rottura nell’ambito della sua gerarchia e dell’ampia comunità dei suoi credenti, la chiesa anglicana dell’Australia tenta di giocare sulle parole per evitare il disastro. Dal 2 ottobre si svolge il sinodo dell’istituzione religiosa. Quest’ultimo potrebbe dare il via all’ordinazione di sacerdoti omosessuali e dare la sua approvazione all’unione tra due persone dello stesso sesso. Una rivoluzione che non è pronta ad essere accettata dalla frangia conservatrice della chiesa, in grande maggioranza gli evangelisti di Sydney e la sua regione. Allora, fin quando il dibattito morale non faccia apparire rotture inevitabili, il capo della chiesa anglicana del paese ha cercato di giocare sulle parole per provare ad attizzare il consenso. Peter Carnley chiede così espressamente ai fedeli di regolare il loro atteggiamento verso l’omosessualità, insistendo perché vedano in una relazione omosessuale. “dell’amicizia”, nulla più.
Da parte di Benjamin Adler – il 12/10/2004


http://www.ildialogo.org/omoses/#

Ma è poi vero che dio condanna l’omosessualità?

La Bibbia letta dalla destra e dalla teologia liberale


di NICHOLAS D. KRISTOF

sabato 30 ottobre 2004 , da la Repubblica

Quando Dio creò gli omosessuali, che si innamorano gli uni degli altri con tanta intensità e struggimento, prese forse una svista? Questo pare implicito nei decreti che negli Usa vogliono proibire il matrimonio tra gay in corso di definizione in 11 Stati.

Negli ultimi due mesi ho studiato la questione di come la Bibbia consideri l´omosessualità. I conservatori mi paiono essenzialmente dalla parte del giusto quando affermano che il Vecchio Testamento condanna effettivamente quanto meno il sesso anale tra uomini (gli studiosi non sono d´accordo sul fatto che l´espressione in ebraico includa anche altri contatti sessuali). Mentre l´omosessualità non è mai entrata nella Top 10 dei comandamenti, da una lettura letterale del Libro del Levitico si evince che il sesso anale tra uomini è male in ogni suo dettaglio quanto altre pratiche che il testo condanna, come ad esempio indossare una maglietta di poliestere e cotone (Levitico 19,19: «Non indossare vesti intessute con fili diversi»).

Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, Gesù non disse neppure una parola contro i gay, ma fu molto esplicito quando consigliò a un uomo ricco di distribuire tutti i suoi beni, mettendolo giustamente in guardia dai conti correnti bancari («Non accumulate tesori per voi sulla Terra»). I teologi sottolineano che la Bibbia è sufficientemente grande da annoverare i rapporti gay e la tolleranza, così come qualche sporadica condanna dei medesimi. La Destra religiosa cita una parte del Nuovo Testamento che condanna apertamente l´omosessualità maschile, non con le parole di Gesù, ma con quelle di San Paolo. Vogliamo davvero che sia San Paolo il nostro legislatore? Promulgheremo davvero una legge seguendo ciò che San Paolo dice a proposito di donne che si devono coprire il capo e portare i capelli lunghi? (Nota per il presidente Bush: se davvero intende obbedire a San Paolo, perché prima di passare a proibire il matrimonio tra gay non inizia velando Laura e facendole portare i capelli lunghi?).

Ma vi è anche un´altra soluzione. San Paolo disapprova il matrimonio, ad eccezione di coloro che siano ossessionati dal sesso, dicendo che è meglio «rimanere scapoli quale io sono». Pertanto, potendo scegliere qua e là le frasi bibliche ignorando il messaggio centrale dell´amore, non dovremmo forse proibire il matrimonio tout court?

Traduzione di Anna Bissanti
Copyright New York Times-La Repubblica


http://www.uaar.it/chi/ateo/2000_3_art1.html

Il capolavoro della chiesa cattolica:
l’automartirio di Alfredo Ormando

di Lorenzo Lozzi Gallo

Il 16 febbraio di quest’anno abbiamo celebrato la figura di Giordano Bruno in occasione dei quattrocento anni dalla sua morte. Giordano Bruno è giustamente considerato un martire del libero pensiero da tutti gli atei del mondo; eppure, non tutti sanno che ancora oggi la chiesa cattolica produce martiri contro di essa. È il capolavoro della chiesa cattolica, creare le condizioni per uccidere senza che nessuno possa accusarne i vertici di aver materialmente ordinato la cosa. Eppure, nessuno può negare che spesso i suicidi di omosessuali e di altre persone che il Vaticano utilizza come capri espiatori non possono essere imputati ad altro che a questa campagna omnipervasiva: soprattutto tra i giovani omosessuali, i più esposti agli influssi dell’educazione cattolica, il numero di tentativi di suicidio, secondo le statistiche, è nettamente superiore rispetto a quello dei loro coetanei eterosessuali. Ma non sono solo gli adolescenti a cadere vittime di questo pogrom silenzioso: la storia che stiamo per raccontare è esemplare, e insieme eccezionale, per il carattere eccezionale della persona coinvolta.

Alfredo Ormando era nato e cresciuto in Sicilia, in un ambiente da lui stesso definito bigotto e provinciale. Discriminato dalla più tenera età a causa del suo essere omosessuale, a 39 anni Ormando decise di farla finita con le discriminazioni, a modo suo. Martedì 13 gennaio 1998 Ormando arrivò in piazza S. Pietro intorno alle sette e mezza di mattina, portando con sé una tanica di benzina. Arrivato al colonnato, si tolse il soprabito, si cosparse di liquido e appiccò il fuoco ai vestiti che portava. Riuscì a fare ancora qualche passo in direzione della basilica, poi cadde. I carabinieri in servizio in piazza S. Pietro lo soccorsero e fu trasportato d’urgenza all’ospedale. Aveva ustioni sul 90 per cento del corpo. Morì dopo undici giorni di agonia, senza mai riprendere coscienza.

Alla sua morte, il portavoce del Vaticano, Ciro Benedettini, negò che esistesse una qualunque connessione tra l’omosessualità dell’uomo e il luogo scelto per mandare ad effetto il suo gesto, affermando: «Nella lettera trovata addosso a Ormando, non si afferma in nessun modo che il suo gesto sia determinato dalla sua presunta omosessualità o da protesta contro la Chiesa». In realtà, Alfredo Ormando aveva con sé due lettere in cui spiegava le sue ragioni; le aveva lasciate nel soprabito che si era tolto. Furono confiscate. Ma Ormando era un uomo previdente: ne aveva mandato copia anche all’ANSA di Palermo, prima di prendere il treno per Roma.

La prima delle due lettere era indirizzata al fratello. In essa l’autore si sfogava in questi termini: «Non hai idea di come ci si sente quando si è trattati in questo modo; non si riesce mai ad abituarsi ad accettarlo, perché è la nostra dignità che viene brutalmente vilipesa. Anche il marito di “E” (una sua sorella, nda) e suo figlio si sono vergognati in pubblico di me, anche quella santa donna di tua suocera si è permessa di deridere la mia omosessualità. Forse non ti è noto l’odio caino di nostro fratello “E” nei miei confronti? Fino a giungere a dire di fronte ad un estraneo (tu eri presente): “Se potessi ucciderlo con le mie mani lo farei”. Non voglio rifare queste bruttissime esperienze, so che si ripeteranno sempre fino a quando sarò vecchio e prossimo alla morte. Non permetterò più che si continui ad umiliarmi: non lo potrei più sopportare».

Nell’altra, indirizzata genericamente «ai posteri», Ormando cominciava con tono amaro: «Chiedo scusa per essere venuto al mondo». Questa seconda lettera è pervasa da un’esaltazione che si può spiegare considerando che è stata scritta da un uomo che aveva già fermamente deciso di uccidersi.

Ma la spiegazione del suo gesto emerge dolorosamente chiara in un’altra lettera, datata al natale del 1997, indirizzata ad un amico, in cui scrisse: «Penseranno che sia un pazzo perché ho deciso Piazza San Pietro per darmi fuoco, mentre potevo farlo anche a Palermo. Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa, che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia».

A questo punto, credo che nessuno avrà dubbi sulle ragioni di Ormando. Era un intellettuale, un uomo colto anche se provato, ormai esausto, e negli ultimi febbrili giorni prima della fine si è preoccupato di lasciare sufficienti testimonianze che ci permettono ora di erigergli il monumento che si è meritato come martire sull’altare delle libertà civili, l’unico cui tutti i cittadini italiani devono rendere omaggio. È triste dover riportare come questo gesto di grande valore morale sia andato totalmente sprecato per la chiesa: il papa stesso non ha voluto nominare Alfredo Ormando, neanche per dire una civile parola di cordoglio.

Da allora, la comunità omosessuale e i suoi sostenitori celebrano ogni anno il 13 gennaio in memoria di Alfredo Ormando. Quest’anno, l’appuntamento è stato particolarmente amaro per i cristiani, dato che nell’anno del Giubileo già si sapeva che il papa non avrebbe chiesto scusa agli omosessuali per le persecuzioni di cui li aveva fatti oggetto, e il rappresentante del coordinamento dei gruppi omosessuali cristiani in Italia, Andrea Ambrogetti, se ne era lagnato con la stampa. Ma anche per i laici ci sono stati segnali a dir poco inquietanti: come già raccontato nel numero 1 di quest’anno (Criticare la chiesa cattolica è reato di Pierangelo Bucci) il sit-in avvenuto in Campidoglio, nei giorni in cui il sindaco di Roma riceveva il papa, si è concluso con la repressione violenta di una libera e pacifica manifestazione, e con la denuncia di due ragazzi colpevoli di aver scritto in uno striscione un’opinione («Chiesa assassina») che nessuno può ritenere tecnicamente scorretta, nel caso di Ormando, ma che in Italia, a quanto pare, è proibito esprimere. Un bell’inizio Giubileo… Certo, a giudicare dalle polemiche di questi giorni, si può affermare con sicurezza che né il comune di Roma né il Vaticano hanno intenzione di proseguire diversamente da come avevano cominciato. Da questi avvenimenti d’inizio anno, e da quelli che abbiamo vissuto nei giorni scorsi, risulta chiaro che la Repubblica Italiana nei confronti delle minoranze sessuali usa metodi non democratici, in palese contrasto non solo con i diritti civili, ma anche con quelli umani. La vicenda di Alfredo Ormando, e le polemiche di questi giorni, mostrano a tutti noi atei, agnostici, o semplicemente cristiani liberi, l’importanza dei diritti delle minoranze sessuali come «cartina tornasole» del tasso di democraticità e di rispetto dei diritti umani in una nazione. La memoria stessa di chi è morto per la mancanza di questi diritti ci impedisce di dimenticare uno dei primi slogan del movimento omosessuale americano: «I diritti dei gay sono diritti umani – Gay rights are human rights!».


http://www.gaynews.it/go_rub.php?ID=21

Omosessualità e Chiesa cattolica

Il numero attualmente in distribuzione della rivista Lettera Internazionale (edizione italiana) comprende un contributo del nostro comune collaboratore Felice Mill Colorni, sui rapporti fra omosessualità e Chiesa cattolica, che riproduciamo di seguito, su autorizzazione della rivista.

L’edizione italiana di Lettera Internazionale, diretta da Federico Coen, è giunta al suo diciassettesimo anno di vita. E’ nata nel 1984 con l’obiettivo dichiarato di combattere il provincialismo delle grandi culture europee, cioè la tendenza di queste culture a chiudersi nei rispettivi confini nazionali, perdendo di vista tradizioni e valori comuni; tendenza resa più grave dalle barriere politico-ideologiche che per più di quarant’anni hanno tagliato l’Europa in due, passando nel cuore della vecchia Mitteleuropa, fucina della cultura europea. L’altro obiettivo essenziale consiste nella rivalutazione e diffusione di una letteratura e di una saggistica di alto livello, destinate però a un pubblico di non specialisti, e quindi capaci di esprimersi in un linguaggio alla portata dei non addetti ai lavori. La formula editoriale coerente con questi due obiettivi è quella di una rivista multinazionale (diverse edizioni nazionali autonome ma coordinate tra loro) e insieme interdisciplinare. Unico esempio del genere in Europa. Lettera internazionale è l’unico periodico culturale autenticamente sovranazionale, in quanto può contare, oltre all’edizione italiana, anche su altre nove edizioni pubblicata in altrettanti paesi europei nelle rispettive lingue.

****************************************

«Un documento inaccettabile: questa è la prima definizione che sorge spontanea leggendo la “Lettera sull’omosessualità” che il cardinale Ratzinger ha indirizzato ai vescovi cattolici. Più che il contenuto specifico della lettera, colpisce la censura che tocca ogni legislazione che voglia riformarsi in modo da riconoscere anche agli omosessuali il diritto ad essere se stessi. Questo è un preciso appello all’intolleranza sul piano sociale, sia della condizione che della pratica omosessuale […] La “Lettera” sa bene che la condizione omosessuale è oggetto di un disprezzo che conduce alla violenza diretta o indiretta, fisica o morale. Affermare che l’omosessuale non ha il diritto civile di praticare il suo sesso, significa avallare la repressione sociale verso una condizione umana. La “Lettera” […] prefigura una legislazione in cui la pratica omosessuale, cui non è riconosciuto alcun diritto, divenga a ogni effetto un reato. Ora la Chiesa sa bene che la condizione omosessuale non è una scelta. L’ha affermato essa stessa, in una dichiarazione di dieci anni fa, formulata dalla medesima Congregazione per la dottrina della fede che Ratzinger ora dirige. La condizione omosessuale è per l’omosessuale una condizione biologica e psichica, quindi antecedente a ogni scelta personale[…] La discriminazione sociale e pubblica dell’omosessuale come tale ha un solo antecedente storico: la discriminazione dell’ebreo, che ebbe la sua massima forza nel nazismo […] Essere omosessuale è tanto poco una scelta quanto l’essere ebrei: può essere ratificata, ma non è il frutto di un atto libero e responsabile. È stata la stessa Chiesa ad affermarlo. Nella concezione del presente pontificato, la Chiesa è il principio di una Cristianità, cioè di un ordine pubblico e sociale. […] La Chiesa tende ora a incidere sulla legge e non soltanto sulle coscienze: o meglio ritiene che non sia possibile incidere sulle coscienze personali se non si agisce anche sulla dinamica sociale, su quella pubblica, su quella legale. Il cardinale chiede in nome della Chiesa romana una legislazione repressiva della pratica omosessuale: e avalla con ciò i comportamenti sociali che anticipino o accompagnino tale legislazione, anche se vuole dissociarsi da essi. Questa è la novità della “Lettera”: essa si situa nella prospettiva di una Chiesa di Cristianità che si propone di incidere sui diritti e sui doveri dei cittadini. Mentre le aspirazioni positive della Chiesa, come quella sulla pace, si pongono apertamente su un piano religioso e metapolitico, le indicazioni politiche, quelle che sono intese a determinare la legislazione, hanno sempre, nella bocca dell’attuale pontificato, un carattere di limitazione dei diritti […] Sul piano strettamente spirituale, la “Lettera” è drammatica perché predica agli omosessuali la semplice rinuncia al sesso in nome della Croce. Mentre la Chiesa ritiene che la verginità sia un dono e un carisma personale, la pratica di un consiglio evangelico non imposto da alcuna norma ma prodotto solo dalla vocazione della grazia, la “Lettera” afferma che gli omosessuali debbono rimanere vergini per natura o per destino […] Non potendo più usare il concetto di natura per motivi scientifici, né quello di sodomia per motivi esegetici (è ben chiaro che la Genesi condanna Sodoma per la violazione del diritto dello straniero all’ospitalità), la Chiesa romana non ha altro fondamento alla sua affermazione che l’affermazione stessa […] La repressione anti-omosessuale [appare] come la figura caratterizzante della “nuova” Cristianità. Si delegittima sul piano civile ciò che non si riesce più a motivare sul piano spirituale.» L’autore di questa lunga citazione non è un esponente di qualche esasperato gruppo catacombale di gay cattolici. Queste parole sono state scritte nel 1986 dall’attuale consigliere di Silvio Berlusconi e mentore della svolta clericale, e quindi omofoba, della destra italiana don Gianni Baget Bozzo, all’epoca editorialista di Repubblica . Esse fotografano con precisione le perduranti contraddizioni della Chiesa romana in materia di omosessualità, contraddizioni in cui gran parte della classe politica italiana (non solo di destra) ha inopinatamente ritenuto vantaggioso avvilupparsi a sua volta negli ultimi mesi, sull’onda delle polemiche suscitate dalla pretesa vaticana di far sospendere per un anno intero l’esercizio della libertà di riunione nella capitale del paese, e di impedire così la celebrazione del World Gay Pride nel 2000. In realtà posizioni come quelle difese nel 1986 da Baget Bozzo sono ampiamente diffuse anche all’interno della Chiesa cattolica. Non solo, ovviamente, fra i gay cattolici organizzati ; non solo fra quei milioni di cattolici generici, che si definiscono tali solo perché credenti che vivono in un paese di tradizione cattolica, per i quali cattolicesimo romano e cristianesimo sembrano ancora sostanzialmente sinonimi, e la cui adesione alle prescrizioni etiche del magistero è ormai del tutto marginale, soprattutto in campo sessuale; non solo fra quei credenti più consapevoli, ormai da decenni rassegnati a vivere la propria fede nell’ambito di uno “scisma sommerso” non dichiarato, e del tutto indifferenti agli editti e ai richiami della gerarchia. La consapevolezza dell’insostenibilità delle formule tradizionali sembra talvolta trasparire perfino nelle pubblicazioni volte a ribadirne la validità . Anche se non mancano studiosi cattolici pronti a ribadire le posizioni tradizionali senza tradire il minimo imbarazzo . La dottrina cattolica tradizionale è prigioniera della condanna dell’omosessualità pronunciata in epoche storiche in cui era del tutto ignota la nozione stessa di omosessualità come condizione propria dell’identità personale di una minoranza di individui. Solo negli ultimi decenni, infatti, grazie alla liberalizzazione dei costumi e all’estensione delle garanzie di libertà a sempre più vaste categorie di soggetti e di materie, si sono fatti strada in Occidente un clima culturale e una situazione giuridica che hanno consentito agli omosessuali di raccontare e di discutere liberamente di una realtà che era in precedenza quasi sempre ignorata perché vissuta nella clandestinità e nella vergogna: chi è omosessuale non lo è perché sceglie di “diventarlo” un bel mattino, ma perché constata, di solito abbastanza presto nella vita, che i propri desideri affettivi ed erotici si indirizzano, in modo spesso univoco, verso altri individui del proprio sesso, con la stessa spontaneità e naturalezza con cui, per la maggioranza dei suoi simili, si indirizzano invece verso individui del sesso opposto. Sembrerebbe ovvio ritenere che nessun discorso, neppure teologico, sull’omosessualità possa evitare di fare oggi i conti con questa esperienza, ormai conoscibile da chiunque si prenda la briga di interessarsene. Un’esperienza, sia detto per inciso, che non ha assolutamente nulla a che fare né con la piena assunzione di un’identità di genere maschile o femminile, né con la predilezione di una pratica erotica piuttosto che di un’altra, né tanto meno con una pretesa avversione o timore per il sesso opposto. E neppure, necessariamente, con l’esercizio di una qualunque effettiva attività sessuale, che può anche mancare del tutto. Un’esperienza comunque ben diversa da quell’occasionale attrazione per una persona del proprio sesso che è episodicamente vissuta prima o poi quasi da tutti, soprattutto nell’adolescenza, o in situazioni particolari come periodi trascorsi in comunità monosessuali (caserme, navi, carceri, ecc.). Ma è probabilmente proprio sulla base di queste esperienze occasionali o proprie dell’età evolutiva, comuni a pressoché tutti gli esseri umani, che ha tratto origine la valutazione tradizionale dell’omosessualità da parte della maggioranza, nelle epoche in cui agli omosessuali non era riconosciuta libertà di espressione: la valutazione cioè che identificava il comportamento omosessuale come un vizioso “cedimento” a pratiche sessuali eccentriche da parte di individui essenzialmente eterosessuali, cui si imputava di non saper dare un orientamento coerente alla propria vita erotica e affettiva. È questa, tra l’altro, la concezione che inevitabilmente traspare dai testi biblici. Oggi dovrebbe essere noto a chiunque non voglia ignorarlo che, semplicemente, per una minoranza di esseri umani, per lo più valutata attorno al 5% della popolazione, la sola ragionevole possibilità di instaurare rapporti affettivi autentici, che abbiano anche una componente fisica ed erotica, con altri esseri umani consiste in relazioni con persone del proprio sesso anziché dell’altro. Le “cause” dell’orientamento sessuale sono ignote alla biologia, ammesso che abbiano un’eventuale base organica, mentre per quel che riguarda le scienze psicologiche e comportamentali esse non considerano più da anni l’omosessualità una patologia, ma una variante naturale dell’orientamento sessuale : le posizioni di chi ancora non accetta questo punto di vista consistono in petizioni di principio, motivate in genere dalle obbedienze e dall’orientamento ideologico degli autori, e argomentate in modo tale da alimentare, in lettori colti ma non specialisti, seri dubbi sullo statuto epistemologico di quelle discipline. Ma, in ogni caso, si tratti di predisposizioni organiche, o si tratti di inafferrabili esperienze psicologiche risalenti alla più lontana infanzia, resta il fatto che l’orientamento sessuale è appunto, nell’esperienza della grande maggioranza degli omosessuali (come del resto in quella degli eterosessuali), una “condizione ascritta”, una caratteristica dell’identità individuale come il tipo fisico o razziale o il colore degli occhi o dei capelli, non una scelta.

L’esegesi storico-critica contemporanea, in ambito soprattutto protestante, ha ampiamente indagato le ragioni della condanna dell’omosessualità contenute nei testi biblici: rilevando come la vicenda di Sodoma si riferisca a un tentato stupro di gruppo, per di più perpetrato sulla sacra persona dell’ospite, nel quale l’omosessualità può rappresentare al più un’aggravante; come il divieto contenuto nel Levitico si accompagni a quello di numerosissimi altri comportamenti, ritenuti peccaminosi solo dai più rigorosamente osservanti fra gli ebrei ortodossi; come l’esplicita condanna contenuta nelle lettere paoline (unico luogo in cui l’argomento compaia nel Nuovo Testamento), oltre ad essere in qualche caso espressa con termini di incerta traduzione, che ne chiamano in causa la portata , fosse strettamente intrecciata con la condanna della prostituzione sacra propria di alcuni culti pagani e della dissolutezza della società ellenistica, oltre che con problematiche connesse a questioni di purità rituale . Nella stessa storia medievale cristiana, del resto, la linearità della condanna dell’omosessualità appare, alla luce di importanti studi degli ultimi anni, tutt’altro che priva di contraddizioni, almeno fino al XII secolo . La posizione ufficiale della Chiesa romana è però prigioniera della condanna atavica, pronunciata nei primi secoli. Il problema, a ben vedere, mette pericolosamente in causa l’intero sistema delle fonti della dottrina cattolica, che, a differenza di quello protestante, non si basa solo sui testi biblici, ma anche sulla tradizione e sul magistero: i quali, figli del loro tempo, non potevano che allinearsi all’universale condanna dell’omosessualità. Una condanna universale tutt’altro che sorprendente in società in cui la sopravvivenza in tarda età dipendeva dalla procreazione, in cui l’idea della libertà di espressione delle minoranze (e di una minoranza, per di più, come quella omosessuale strutturalmente impossibilitata a tramandare le proprie esperienze attraverso le generazioni) era sconosciuta, in cui il sesso eterosessuale non poteva essere disgiunto dalla procreazione e in cui una concezione olistica e antiindividualistica della società costituiva lo scontato orizzonte di senso, come ancor oggi in pressoché tutte le società non occidentali e non occidentalizzate .

Di qui la necessità di difendere, con la struttura delle fonti su cui si basa il “sistema romano”, anche quel che – lo si avverte spesso leggendo la produzione recente dei cattolici ufficiali in materia di omosessualità – deve apparire come intrinsecamente contraddittorio, insostenibile e ormai inaccettabilmente spietato nelle sue conseguenze agli occhi degli stessi cattolici. Sembrerebbe impossibile giustificare, per esempio, l’evidente iniquità di una situazione legislativa che, in Italia, negando ogni tutela alle convivenze fra persone dello stesso sesso, porta a negare perfino al convivente di decenni il diritto di assistere il proprio partner morente in ospedale (capita che le famiglie di origine addirittura impediscano al partner l’accesso al luogo di cura e lo escludano da ogni decisione riguardante il partner malato e incapace di agire); che non garantisce al (solo) convivente omosessuale il diritto di subentrare nell’affitto della casa comune in caso di morte o sopravvenuta incapacità del partner, facendolo finire così, letteralmente, per strada, anche dopo decenni di convivenza; che esclude la reversibilità della pensione del partner omosessuale defunto, e, attraverso l’istituto della riserva a favore dei legittimari, vieta al testatore di lasciare in eredità il proprio patrimonio alla persona con cui ha condiviso l’esistenza; che, anche in assenza di eredi legittimari, stabilisce che tale eredità venga falcidiata dalla stessa tassazione prevista per i lasciti a persone del tutto estranee al defunto; che solo in poche regioni prevede che gli omosessuali possano aver diritto alla casa popolare, se in possesso dei requisiti di legge, in modo da evitare tra l’altro la necessità della separazione forzata di partner anziani, conviventi da decenni, e del loro ricovero più o meno coatto in case di riposo . Per non dire dell’inaccettabilità, per la cultura civile e giuridica occidentale contemporanea, di discriminazioni basate sulla condizione ascritta di una minoranza di individui: come giustificare che due ultrasettantenni, impossibilitati ad avere figli per via naturale, per via di inseminazione artificiale e per via di adozione, possano tuttavia scegliere liberamente quale assetto attribuire ai propri reciproci rapporti giuridici e patrimoniali, e che la stessa libertà di scelta non venga invece riconosciuta a una coppia di individui dello stesso sesso, che si trova esattamente nella stessa situazione? Si noti, tra l’altro, che queste discriminazioni non hanno nulla a che fare con i comportamenti sessuali, che in teoria potrebbero anche non essere o non essere più praticati da coppie di omosessuali conviventi, come possono non esserlo in molte coppie eterosessuali, ma sono mera conseguenza dell’identità sessuale dei conviventi. Eppure tutto questo non solo non viene considerato scandaloso e intollerabile, ma viene giustificato dai cattolici ufficiali con la “difesa della famiglia”: con l’argomento cioè che un’equiparazione di diritti fra coppie omosessuali ed eterosessuali minerebbe alla base – non si comprende perché – la convivenza civile e i “diritti della famiglia” tradizionale. In nome della carità cristiana, si considera un prezzo accettabile fare polpette dell’esistenza degli individui che non si adeguano ai dettami della Chiesa cattolica (per meglio dire, in nome della carità cattolico-romana, perché la posizione delle Chiese protestanti storiche europee occidentali – e italiane – su queste questioni è in netta prevalenza ormai da anni opposta a quella cattolica ). Così, soprattutto in conseguenza del veto cattolico, l’Italia è ormai uno degli ultimi paesi dell’Europa occidentale a non avere varato riforme legislative in materia: la Chiesa cattolica pretende, ottenendo udienza e consensi da parte di uomini politici che credono di guadagnarci elettoralmente, che tali discriminazioni continuino ad essere legge dello Stato, con il pretesto di una loro supposta “naturalità”, come qualche decennio fa l’indissolubilità del matrimonio. Quando questo modello teorico idolatrato di quel che dovrebbe essere la Natura secondo la Chiesa cattolica si scontra con una natura che non vi si adegua, è tale natura a dover essere violentata. È evidente che imporre agli omosessuali comportamenti eterosessuali è fare violenza alla “loro natura”. Del resto, è forse rintracciabile, nella storia variegata dei modelli famigliari, una qualche continuità strutturale, stabile attraverso i secoli, di questo asserito modello naturale? Tanto per fare qualche esempio, la famiglia poligamica islamica è innaturale? Era naturale l’istituto del levirato nell’antico Israele? È naturale la famiglia mononucleare o lo era quella estesa? Era naturale la regolamentatissima pederastia educativa della Grecia classica ? Ma, si sa, l’omosessualità è argomento che si presta a reazioni istintive più che a riflessioni, e che ancor oggi risveglia in molti timori irrazionali sulla propria identità personale e su quella della società in cui vivono. Sicché non c’è da stupirsi se ormai la condanna cattolica dell’omosessualità ha una sola funzione pubblica: quella di dare una copertura di rispettabilità e di presentabilità ai pregiudizi che alla parte più arretrata della società derivano non già dalla sofferta adesione a dogmi religiosi di cui si avverte l’insostenibilità ma anche la difficoltà ad emanciparsene, bensì da ben più grevi retaggi propri di un’antropologia patriarcale e primitiva, contadina e premoderna, in cui tali pregiudizi si accompagnavano con naturalezza a quelli contro ebrei e stranieri di ogni sorta, diversi di ogni specie, donne, disabili, minori, ecc. Come è ovvio che sia, dato che la struttura della discriminazione nei confronti degli omosessuali è identica a quella del razzismo in senso stretto, posto che l’una e l’altro fanno discendere la pretesa di supremazia dell’identità maggioritaria da una condizione ascritta di cui gli individui giudicati indegni della parità di diritti sono portatori. Le acquisizioni delle scienze sociali e quelle dell’esegesi contemporanea dovrebbero avere ormai convinto anche i più tradizionalisti fra i cattolici a riconoscere di essersi sbagliati per secoli, come già in materia di prestito a interesse, di astronomia, di libertà religiosa e di coscienza, di diritti umani, di interpretazione dei testi biblici, ecc. Eppure gli omosessuali sono rimasti fra i pochi esclusi dalle solenni richieste di perdono avanzate dal Papa in occasione del giubileo per le persecuzioni subite ad opera dei cattolici. Nonostante le decine di migliaia di “sodomiti” arsi vivi nel corso dei secoli (qualcuno dice centomila) per decisione o con la benedizione di quella Chiesa. E, nonostante che, almeno dal Concilio, la Chiesa cattolica abbia riconosciuto la valenza affettiva dell’attività sessuale, non circoscrivendola più come un tempo soltanto alla funzione procreativa , non solo questo riconoscimento rimane circoscritto alla sessualità eterosessuale, ma, mostrando una pervicace e compiaciuta ignoranza della realtà delle relazioni affettive fra omosessuali nella società contemporanea, fra i cattolici ufficiali è ricorrente il pregiudizio secondo cui alle relazioni fra omosessuali sarebbe costituzionalmente estranea, in conseguenza della mancata “complementarietà” anatomica (identificata meccanicamente con la complementarietà teologica dedotta dal racconto della creazione nella Genesi), anche ogni possibile complementarietà affettiva, ritenuta invece intrinseca alla relazione monogamica eterosessuale. E gli argomenti in cui questa petizione di principio è formulata sono invariabilmente – e paradossalmente – tratti da una disciplina per decenni aborrita dai cattolici, come la psicoanalisi (naturalmente quella meno aggiornata in materia ). L’amore omosessuale sarebbe in realtà solo “apparente”, mera copertura di pulsioni “narcisistiche”. Va detto che probabilmente questa prospettiva è anche il frutto di un’ignoranza che ha ragioni abbastanza spiegabili con il campione di popolazione omosessuale che entra in contatto con moralisti e psichiatri tradizionalisti, cui si rivolgono verosimilmente proprio quegli omosessuali che hanno interiorizzato così profondamente la colpevolizzazione indotta dall’educazione cattolica da vivere la propria identità in modo pessimo e da andare a cercare un aiuto proprio lì dove è meno probabile trovarlo. Naturalmente neppure i più tradizionalisti possono ormai fingere di ignorare quel che ai tempi di Paolo si poteva lecitamente ignorare, che cioè l’identità omosessuale non è scelta. Di qui i contorcimenti semantici di cui ormai da anni la condanna dell’omosessualità viene circonfusa: l’omosessualità raramente viene definita un “peccato” anche dai cattolici più rigidi e ortodossi, ma piuttosto una condizione “oggettivamente disordinata”, e negli stessi ambienti non si sembra mai soddisfatti di avere ribadito abbastanza che, purché restino ferme la condanna morale di principio e il riconoscimento dell’intrinseca colpevolezza di ogni singolo gesto omosessuale, all’atto pratico si farà uso di dosi industriali di comprensione, di “accoglienza” e di “perdono”. Come già protestava negli anni ’50 lo scrittore cattolico e omosessuale Carlo Coccioli, si assolve così ripetutamente chi pratica rapporti sessuali “usa e getta” nella clandestinità e con l’animo del trasgressore e del colpevole, mentre si condanna chi incardini la propria vita sessuale in relazioni umane significanti (magari perfino stabili come lo erano un tempo quelle eterosessuali) , e si fa tutto il possibile per impedirne o ritardarne il riconoscimento giuridico. Salvo poi trarre dall’effetto di queste condanne morali e di questa attività di lobbying la prova dell’intrinseca instabilità delle relazioni omosessuali.

Ma tutto ciò non accade ormai senza che il senso di colpa si accumuli sempre più e in modo sempre più massiccio ed evidente, non, come un tempo, sulle spalle dei “condannati”, ma su quelle dei persecutori, che appaiono sempre meno “volonterosi” e sempre più riluttanti e tormentati: condannati spesso, si direbbe, a ripetere formule e anatemi della cui intrinseca nequizia morale sembrano essi stessi (a differenza dei loro fatui paladini politici) sempre più spesso consapevoli. Non sempre, tuttavia: impermeabile a qualunque resipiscenza, uno degli “esperti” chiamati a raccolta dall’Osservatore romano, discettando di “terapie” del lesbismo, conclude: «Non sempre è possibile ottenere un cambiamento radicale di identità. L’accettazione matura della propria situazione, priva di rivendicazioni aggressive – quali il riconoscimento dei diritti delle coppie lesbiche […] può rappresentare in molti casi la meta più opportuna cui il lavoro terapeutico dovrebbe aspirare» . Dove si constata come l’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità sia sempre, per le Chiese come per gli Stati, rivelatore di orientamenti più generali: che un “lavoro terapeutico” possa mirare a far rinunciare il “paziente” a rivendicare dei diritti è tesi che non si sentiva risuonare da quando, con il muro di Berlino, era crollata anche la psichiatria sovietica.

Felice Mill Colorni

felice.mill_colorni@tin.it

http://www.ildialogo.org/omoses/#

Chiesa politica e gay
La politica (reazionaria) dei cattolici

di Pierangelo Bucci

Una chiesa cattolica fuori dai problemi sociali, dal mondo reale, ed incapace di dare vere risposte spirituali.

Venerdì 22 ottobre 2004

Spesso quando si discute di politica e delle (indebite) ingerenze delle organizzazioni religiose in questo ambito si soffre di una triste parzialità, o, più precisamente, le chiese si sentono autorizzate a vomitare vere incitazioni all’odio su delle categorie ben precise (in genere classificate come peccatori), barricandosi dietro la libertà religiosa, mentre la risposta laica deve essere moderata, piagnucolosa, giustificativa e che (dio non voglia!) mai deve ferire la sensibilità dei credenti (la sensibilità laica ovviamente va a farsi…benedire!).

A questo punto un dubbio nasce spontaneo: la chiesa è un’istituzione eminentemente religiosa, che si occupa dell’anima o è un’associazione politica?

I dubbi sono subito fugati.

La chiesa è a tutti gli effetti un’associazione politica, che trova più conveniente non presentarsi alle elezioni, altrimenti tutte le sue debolezze verrebbero atrocemente smascherate. La chiesa politica interviene e fa pressione su parlamenti e governi per bloccare legislazioni progressiste in tema di diritti civili e libertà personali. Si veda quello che stanno facendo in Spagna contro il Grande Gobierno Zapatero, ad esempio.

Ma democrazia e cristianesimo possono andare d’accordo? E ancora più in generale, religione e democrazia sono sempre compatibili?

L’esperienza non è di conforto su questo punto.

Come afferma Emanuele Severino, uno dei maggiori filosofi italiani, in un’intervista rilasciata per “Il Messaggero” (13.10.2004), a proposito della guerra santa portata avanti dal Vaticano per inserire le radici cristiane nella costituzione europea:

“[…] Per la Chiesa, si trattava di qualificare come cristiano lo Stato europeo. Con tutte le relative conseguenze: cioè che tutte le norme si sarebbero dovute adeguare al messaggio cristiano. Questo integralismo, inteso in senso non squalificante, appartiene all’essenza non soltanto della Chiesa. Ma addirittura del Vangelo. Un cristiano deve fare in modo che la vita pubblica si adegui a ciò che ai suoi occhi è la verità”. E continua mettendo in guardia sulla pericolosità dell’ideologia cattolica per una sana, democratica e civile convivenza: “L’inconveniente non è che si costituisca una maggioranza cattolica per far passare una legge cattolica. Il problema è che una legge cattolica, come appunto quella sulla fecondazione, impone anche ai non cattolici di avere un comportamento cattolico oppure li costringe ad andare all’estero. Mentre una legge sanamente laica consente alle coscienze di comportarsi come vogliono, fatto salvo il rispetto per la Costituzione. Esempio: una legge laica sull’aborto consente a chi vuole abortire di abortire e a chi non vuole di non farlo”.

Ogni qual volta si discuta di argomenti che riguardino le libertà personali si percepisce sempre un forte fastidio da parte dei cattolici e nel caso l’interlocutore persista nell’errore, è subito liquidato come persecutore di cristiani o addirittura di inquisitore – oltrepassando così anche la soglia del ridicolo – e le cui idee “trascinano il mondo nella depravazione e dissoluzione”. Le loro, quelle dei cattolici, sono sempre scelte di vita. Quelle degli altri immancabilmente di morte. Se il malcapitato provasse a spiegare che così non è, scatta immediatamente il ritornello dell’offesa alla chiesa e quindi a dio. Insomma l’opinione divergente è assimilata alla bestemmia, viatico sicuro per l’inferno, con tanto di fiamme e gironi.

Ma veniamo ad un piccolo e banale esempio. Su “Avvenire”, giornale dei vescovi italiani, all’indomani della bocciatura di Rocco Buttiglione a commissario europeo con delega alla giustizia, titola così un suo editoriale: “L’inaudita bocciatura di Buttiglione: Atto schifoso per forma e sostanza”. Da queste poche parole già si capisce che “Avvenire” è un giornale moderato. Il resto dell’articolo è un vomito d’odio per la violata maestà. Ma quale maestà è stata effettivamente violata? In realtà Buttiglione è stato bocciato da una Commissione del Parlamento Europeo, e cioè un organo pienamente e legittimamente democratico e che era chiamato a dare un parere su Buttiglione, cioè stava svolgendo il lavoro per cui è stato eletto e profumatamente pagato. Ma siccome lo stesso non si è espresso secondo i voleri e le aspettative del manipolo di “briganti dei diritti civili” che si aggira per le stanze vaticane, allora si tratta di un atto schifoso. Così il clero attacca, in modo addirittura eversivo, le
istituzioni laiche democraticamente elette, bollandole come Lobby. E qui non si tratta di libertà di coscienza e di pensiero.

Infatti Buttiglione ha già dimostrato in passato come la sua ideologia vaticana infici eccome nel suo lavoro. Anzi è proprio questa che sembra guidare costantemente il suo operato. Il dossier preparato dall’Ilga ricorda che alla Convenzione incaricata di redigere la Carta dei Diritti fondamentali dell’Ue Rocco Buttiglione presentò un emendamento con il quale proponeva di togliere l’«orientamento sessuale» dall’elenco dei motivi sulla base dei quali non si deve discriminare (emendamento documentato in Charte 4360/00). O la sua posizione durante il Wold Pride del 2000, corteo che lui avrebbe fatto volentieri vietare, con tanti saluti al diritto costituzionale di manifestare.

Oppure quando il 9 luglio 2003 il ministro per le Politiche Comunitarie Rocco Buttiglione firma insieme agli altri ministri il decreto n. 216 di attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, che di fatto contraddice la normative europea, introducendo una vera discriminazione.

Infatti nel decreto italiano si afferma che “non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell’idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare”. Insomma, niente poliziotti gay, quando questi sono già una realtà, in modo nascosta ed ipocrita, in Italia e liberamente e a pieno titolo nel resto d’Europa.

E’ sulla base di questi fatti che il Parlamento Europeo ha rigettato la candidatura di Buttiglione, non su fumose considerazioni filosofiche. Ma ovviamente valgono sempre i due pesi e le due misure (per loro stessi usano sempre le bilance truccate, ovvio).

Cosi se la chiesa dice: “l’omosessualità è moralmente ed oggettivamente disordinata e non può essere approvata in nessun caso” , ogni opposizione deve essere rigettata, poiché questo è l’insegnamento, o almeno è una posizione che deve essere rispettata e compresa e, potendo, accettata.

Sicuramente non può essere contestata come è stato fatto con il martire Buttiglione, che invece l’aveva ribadita. Chissà poi se tutti i martiri della chiesa avevano un capo di gabinetto come quello del ministro Buttiglione. Come ci ricorda Pannella nella sua lettera al presidente designato della Commissione Europea Barroso, “a Capo della Segreteria particolare e tecnica di Buttiglione, nonché incaricato con decreti ministeriali e governativi di straordinaria responsabilità di governo in materie oltretutto attinenti ai rapporti con l’Unione europea, vi è il Professore Giampiero Catone. Il quale è oggetto da parte della Magistratura italiana di denunce, imputazioni e arresti (e anche una condanna di primo grado) per una serie di reati, quali associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, falso, false comunicazioni sociali, bancarotta fraudolenta pluriaggravata.”

Ma se si ribaltasse l’affermazione dottrinale della chiesa ed ingenuamente si affermasse che: “il cattolicesimo è moralmente ed oggettivamente disordinato e che in nessun caso può essere approvato” subito si sarebbe accusati di blasfemia, censurati o peggio ancora. Accusati di tutto e di più. E comunque tale posizione verrebbe considerata come non lecita poiché offensiva e lesiva (sic!) della dignità della chiesa e dei suoi fedeli. Questo è il modello di una democrazia che sia anche cristiana. Se i preti avessero un filo in più di potere non esiterebbero a fare dell’Italia una specie di Iran. E la storia lo prova. Si pensi allo Stato Pontificio, scandalo dell’Europa d’allora per arretratezza, prima che fosse provvidenzialmente (!) abbattuto dalle spinte rinnovatrici ed unitarie dell’Italia di metà ottocento (socialisti, liberali, massoni).

Insomma l’Italia riesce ad andare avanti con il processo di democratizzazione nonostante la zavorra vaticana, grazie a questi contrappesi interni, sempre troppo deboli per la verità, ed esterni e che le permettono di non scivolare (totalmente) verso le democrazie autoritarie del nord Africa.

Il principale di questi fattori esterni è di certo l’Unione Europea, che proprio non vuole sentirne dei deliri papali. Pannella, ancora nella sua lettera al presidente designato Barroso, denuncia il grave stato dell’Italia: “perché, in particolare nelle ultime settimane, da parte di massimi esponenti dello Stato della Città del Vaticano e dei vertici della Chiesa italiana si è fortemente aggravata la ormai tradizionale criminalizzazione dell’operato di quanti, Governi, Parlamenti, e dei loro rappresentanti, adottino leggi e misure di regolamentazione e non di
proibizione della libertà di coscienza e di scienza, della libertà di ricerca scientifica, civile e morale, più particolarmente nel settore biologico, procreativo, e di terapia di importanti disagi, disfunzioni, malattie che colpiscono il nostro tempo e la nostra società, di libertà umane e politiche fondamentali specie relative agli orientamenti morali e sessuali”.

La tragedia della situazione italiana, avvinta nei tentacoli vaticani, è stata particolarmente visibile nello scontro politico sulle radici cristiane dell’Europa. Le democrazie mature si sono schierate per il no contro le pretese, ormai antistoriche e per questo fallite, del papa polacco e delle sue ancelle, fra cui la nostra Italietta.

Insomma la chiesa cattolica sostiene candidati, emette scomuniche contro statuti regionali (vedi Toscana ed Emilia-Romagna) e costituzioni federali (appunto la costituzione europea), referendum (fecondazione assistita, divorzio, aborto), legislazione civile in genere (l’estensione dell’istituto matrimoniale alle coppie dello stesso sesso in Spagna).

Ma se la chiesa cattolica decide di uscire dal chiostro, in cui, diciamocelo francamente, non si è mai rinchiusa, e scende in campo in quanto soggetto politico non può aspettarsi di non essere trattata come tale. La chiesa discute sempre poco dell’aldilà (talmente poco da domandarsi quanto in realtà la stessa ci creda o ne sia minimamente interessata) e molto dell’aldiquà. Anzi verrebbe da dire che tutti i discorsi sul divino, alla fine, risultano essere solo funzionali a quelli politici. Tant’è che questa stessa visione cambia a seconda delle necessità politiche ed economiche del momento. Perché, ricordiamocelo, la forza residuale della chiesa cattolica, non è certo da ritrovarsi nel suo messaggio morale (spesso sbeffeggiata dai suoi stessi pastori con i loro scandali e scandaletti da camera da letto) o nel suo messaggio spirituale (ormai sterile), ma nella sua ricchezza costituita da società, immobili, conti correnti, investimenti, azioni, etc. Il tutto mantenuto con la truffa dell’8 per mille e dei sussidi statali, in mancanza dei quali anche questo ultimo residuale potere verrebbe a mancare. Nemmeno quella che fu la chiave per la vittoria della DC nel dopo guerra esiste più, e cioè l’organizzazione capillare sul territorio, spazzata via dalla crisi delle vocazioni e dalla laicizzazione della società (la sindrome delle chiese vuote). La frustrazione incontrata dalla chiesa per i suoi fallimenti, la vede reagire nella classica maniera e cioè con un irrigidimento di posizioni, senza comprendere che proprio in questa sterilità spirituale ed ideologica è il seme della sua decadenza, della sua distanza dai problemi concreti delle persone, della restrizione della base del consenso sociale.

E non sono sufficienti a colmare il vuoto spirituale gli sfruttamenti di alcune figure come Padre Pio, proprio perché eccessivamente commercializzate, così da risultare, in ultimo, quasi fenomeni da baraccone, più uno spettacolo che una testimonianza per una riflessione seria sulla natura umana.

Nemmeno l’occupazione militare delle televisioni sembra arginare la frana della chiesa cattolica. Infatti il piccolo schermo non fa che apparire ancora più macroscopica la sua debolezza. La Carrà fa sempre meglio, e di gran lunga, del papa in termini di ascolti (e non solo in questi aggiungerei io).

Insomma, una chiesa cattolica fuori dai problemi sociali, dal mondo reale, ed incapace di dare vere risposte spirituali.

Lo schiaffo ricevuto da Madrid è la prova più evidente di come ormai questa chiesa con le sue posizioni risulti incomprensibile e lontana. Se anche la cattolicissima Spagna volta le spalle al papa, non c’è davvero più religione. Il fatto è che la Spagna ha smesso di essere cattolicissima già da molto tempo. E’ un’immagine che appartiene alla storia, chiusasi con la fine della dittatura franchista, quella sì benedetta dai preti.

Si sveglino i politici nostrani. Perché la realtà, altrimenti, li travolgerà. L’unico che sembra aver capito come stanno le cose è, incredibilmente, Teodoro Buontempo (AN), che qualche giorno fa su “La Stampa”, dichiarava ad Augusto Minzolini: “Noi non conosciamo più l’Europa del Nord… Quelli sono trent’anni avanti a noi, lì gli omosessuali non vogliono essere riconosciuti come da noi, vogliono la libertà di adottare i figli. Noi ai loro occhi rappresentiamo i valori che hanno voluto dimenticare, che hanno perso. Per questo ci odiano, come i loro deputati odiano Buttiglione”.

Il povero Buontempo dimentica però che i politici italiani non sono odiati solo dagli stranieri, ma anche e, direi, soprattutto, dagli italiani stessi, scarso amore visibile nel distacco (io direi baratro) fra la società civile e la classe di governo. E quindi non è la società italiana ad essere trent’anni indietro al nord-europa, ma solo i suoi politici.

Così se gli italiani sono favorevoli all’eutanasia, chissenefrega, visto che il papa è contrario. Lo stesso per la fecondazione assistita e le unioni civili. La volontà e le necessità dei cittadini sono schiacciate dai capricci di un manipolo di cardinali, accontentati dai nostri governanti come si faceva con le cortigiane in altri tempi.

“Avanti figli della patria, il giorno della gloria è arrivato” recita la Marsigliese. In Olanda la testa del premier Balkenende è finita in cima ad una picca durante la grande manifestazione dei sindacati tenutasi agli inizi di ottobre e che ha raccolto oltre 300.000 persone.

L’ora della sudditanza è tramontata, così come quella delle catene della doppia morale cattolica. Oggi gli italiani sono pronti a diventare dei cittadini a pieno titolo. E lo diventeranno, con o senza il consenso della sua classe politicante o dei quattro grassi cardinali asserragliati nei palazzi papali.

Pierangelo Bucci Rozendaal



Categorie:Varia umanità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: