UNIVERSITA’ DI CHICAGO
http://www-news.uchicago.edu/fermi/Group25/home.htm
(Mi ha stupito la sciatteria dell’Università di Chicago nel presentare questo lavoro: era pieno di errori di scrittura, di battitura e non era stato rivisto dopo essere passato allo scanner).
1901-1917
Enrico Fermi nasce a Roma il 29 settembre. Durante l’infanzia il suo unico amico di giochi è il fratello Giulio, di un anno più grande di lui. A dieci anni si iscrive al ginnasio liceo Umberto I e molto presto sviluppa un forte interesse per la fisica e la matematica. A quattordici anni scopre su una bancarella di piazza Campo dei Fiori, un trattato di fisica matematica di circa 900 pagine, scritto in latino, Elementorum Physicae Matematicae, e lo studia a fondo come risulta dalle numerose annotazioni in margine al testo e da foglietti pieni di calcoli ritrovati all’interno. Nel 1915, poco dopo la drammatica morte dell’amatissimo fratello Giulio, Fermi fa amicizia con Enrico Persico, compagno di scuola di Giulio. Il grande interesse per la fisica accomuna i due ragazzi, che insieme fanno lunghe passeggiate per la città, durante le quali il giovane Persico scopre con meraviglia l’intelligenza del tutto singolare del compagno: “In matematica e fisica dimostrava di conoscere molti argomenti non compresi nei nostri studi. Conosceva questi argomenti non in modo scolastica, ma in maniera tale da potersene servire con la massima abilità e consapevolezza. Già allora per lui conoscere un teorema o una legge scientifica significava soprattutto conoscere il modo di servirsene. Durante gli anni del liceo Fermi ha un interlocutore importante nell’ingegner Adolfo Amidei, amico e collega del padre, appassionato di matematica e fisica, che contribuisce alla sua formazione scientifica prestandogli numerosi trattati di livello universitario.
1918-1921
In luglio Fermi, saltando il terzo anno, consegue la licenza liceale e ad Amidei che gli chiede quali siano le sue preferenze risponde: “Ho studiato con passione la matematica perché la consideravo necessaria per lo studio della fisica alla quale io voglio esclusivamente dedicarmi”. È lo stesso Amidei a suggerire al giovane Fermi di partecipare al concorso per entrare alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove avrebbe avuto a disposizione una biblioteca, insegnamenti supplementari e integrativi e un ambiente adatto a concentrarsi soltanto sugli studi. Alla fine di luglio Fermi scrive all’amico Persico: “La lettura dello Chwolson procede celermente e calcolo di averlo finito tra un mese o un mese e mezzo perché ho trovato circa 1000 pagine da saltare perché le conoscevo”. Si tratta del gigantesco trattato in 9 volumi di O. D. Chwolson, dove c’è tutta la fisica delle grandi svolte, ci sono tutti i nomi che rappresentano la transizione dalla fisica classica alla nuova fisica: oltre a Einstein e Planck, vi figurano Wien, Poincarè, Lorentz, Abraham, Minkowski, Ehrenfest, von Laue, Rayleigh, Sommerfeld; e, ben citati, Volterra e Levi – Civita, che Fermi avrebbe incontrato ben presto. Il suo tema di ammissione alla Normale (“Caratteri distintivi dei suoni e loro cause“) è a un livello talmente alto che uno dei commissari lo convoca per conoscere di persona questo prodigio e rendendosi conto delle eccezionali capacità del giovane Enrico gli annuncia che certamente sarebbe diventato un grande scienziato. In autunno Fermi si iscrive all’Università di Pisa come allievo interno della Scuola Normale. Dalle lettere scritte all’amico Persico è possibile ricostituire l’intensa attività di studi che Fermi porta avanti durante questi anni universitari al di fuori del curriculum universitario. Legge la Theorie des Tourbillons (Teoria dei vortici) di Henri Poincarè e il Traité de Mécanique Rationelle (Trattato di meccanica razionale) di Paul Appell, che lo stimola a interessarsi particolarmente ai metodi della meccanica analitica, studia testi di chimica come Theoretisque Chemie (Chimica teorica) di Walter Nernst e il Lehrbuch der allgemeinen Chemie (Manuale di Chimica generale) di Wilhelm Ostwald. Tra le carte di Fermi conservate a Chicago si trova un quaderno di appunti che risale all’estate del 1919 nel quale sono annotati una serie di argomenti oggetto dei suoi studi recenti. Si va dalla meccanica analitica di Hamilton e Jacobi, alla teoria di Lorentz, alla relatività ristretta, alla teoria del corpo nero. C’è una bibliografia che contiene molti dei libri fondamentali, in particolare il testo di O. Richardson Electron Theory of Matter (Teoria elettronica della materia), studiato a fondo da Fermi, e il libro di Ernest Rutherford Radioactive Substances and theri Radiations (Elementi radioattivi e loro radiazioni). Nel quaderno si trovano menzionati i primi lavori di Bohr sullo spettro dell’idrogeno, certamente poco conosciuti e considerati all’epoca in Italia. È un completo autodidattta e già si muove con grande sicurezza nei campi più diversi della fisica e della matematica, dando consigli all’amico Persico e suggerendogli i testi da leggere o i problemi su cui cimentarsi. I fisici con cui Fermi viene in contatto a Pisa sono Luigi Puccianti, direttore dell’Istituto di Fisica di Pisa e titolare della cattedra di fisica sperimentale, e Giovanni Polvani, suo aiuto, con cui stringe anche amicizia. Tra i suoi colleghi vi sono Franco Rasetti e Nello Carrara, con i quali Fermi inizia a fare esperimenti nel laboratorio di fisica al quale il direttore Puccianti aveva dato loro libero accesso. Fermi ha le idee ben chiare su quali esperimenti eseguire per fare ricerche originali e mostra subito le sue doti di leader del piccolo gruppo, come ricorda Rasetti: “Carrara e io, che nell’anno precedente avevamo ormai riconosciuto la superiorità di Fermi per le sue conoscenze di matematica e fisica, lo consideravamo fin da allora il nostro capo naturale e ci rivolgevamo a lui e non ai professori per avere istruzioni e consigli”. Fermi ha già studiato a fondo quello che allora è considerato il testo sacro della meccanica quantistica, Atombau und Spektrallinien (Struttura dell’atomo e linee spettrali) di A. Sommerfeld ed è già considerato da tutti l’autorità indiscussa sulla teoria quantistica di Bohr – Sommerfeld. “All’istituto fisico sto a poco a poco diventando l’autorità più influente. Anzi uno di questi giorni dovrò temere, davanti a diversi magnati, una conferenza sulla teoria dei quanti, di cui sono sempre un sostenitore” scrive Fermi al suo amico Enrico Persico il 30 gennaio 1920. È probabile che risalga più o meno a questo periodo la lettura del libro di Hermann Weyl, Raum, Zeit, Materie (Spazio, tempo, materia), pubblicato nel 1921, che costituisce un’introduzione di straordinaria chiarezza fisica e matematica alla teoria della relatività e da cui Fermi in particolare apprende la potenza dei metodi variazionali in fisica matematica. Dopo lo studio della meccanica quantistica, Fermi si dedica a fondo alla relatività e nel corso del terzo anno di università pubblica sul “Nuovo Cimento” i suoi primi lavori su problemi di elettromagnetismo. Nel primo (Sulla dinamica di un sistema rigido di cariche elettriche in moto traslatorio) si trova l’interessante risultato secondo cui, per i sistemi materiali del tipo considerato, l’inerzia del corpo è rappresentata da un tensore. Nel secondo articolo (Sull’elettrostatica di un campo gravitazionale uniforme e sul peso delle masse elettromagnetiche) si discute l’effetto di un campo gravitazionale uniforme statico su di un sistema di cariche elettriche. Trova così che il peso del sistema aumenta proporzionalmente alla massa elettromagnetica. L’apparato formale presente in queste prime due note è quello caratteristico dei fisici matematici di quegli anni, ma l’attenzione di Fermi è già rivolta a concetti e risultati più vicini alla fisica. Secondo quanto affermato da Persico, il metodo di lavoro di Fermi consisteva nel fatto che egli “prendeva i dati di un determinato problema, li elaborava lui stesso e poi confrontava i suoi risultati con quelli ottenuti dagli autori dei saggi. A volte, nella realizzazione di questo tipo di lavoro, egli poneva nuovi problemi e li risolveva oppure, addirittura, correggeva le soluzioni errate se erano ormai universalmente accettate. Nacquero così le sue prime pubblicazioni.
1922-1925
Dopo lo studio delle relazioni fra campo gravitazionale ed elettromagnetico sotto condizioni piuttosto restrittive, Fermi avverte la necessità di una trattazione più sistematica di questo e di altri problemi simili. Nel frattempo si è impadronito a fondo dei metodi del calcolo tensoriale che, sviluppato dai matematici Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi – Civita, costituisce la struttura matematica alla base della relatività generale. Il più notevole dei suoi risultati in relatività si trova nell’articolo Sopra i fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria nel quale Fermi dimostra un teorema di considerevole interesse per le applicazioni, la cui importanza consiste appunto nel semplificare alcune dimostrazioni di relatività generale. Questa memoria viene successivamente citata nei più importanti tratta di calcolo differenziale assoluto, primo fra tutti le famose Lezioni di calcolo differenziale assoluto, di Levi – Civita, pubblicate nel 1925. In questo studio Fermi introduce un sistema di coordinate spazio – temporali (le cosiddette coordinate di Fermi) particolarmente adatto per seguire l’evoluzione temporale di fenomeni che avvengono in una piccola regione di spazio (una importante estensione viene successivamente fatta da A. G. Walker nel 1932, per cui nella letteratura scientifica si parla generalmente di coordinate di Fermi – Walker). Fermi dimostra inoltre un teorema di calcolo differenziale assoluto secondo il quale in prossimità di una linea orari lo spazio si comporta come se fosse euclideo. Nel luglio si laurea in fisica cum laude e ottiene il diploma della Scuola Normale. La sua tesi di laurea riguarda una ricerca sperimentale sulle immagini di diffrazione dei raggi X. Riguardo ai motivi di questa scelta, Rasetti ricorderà anni dopo che “A quell’epoca in Italia la fisica teorica non era considerata una disciplina da insegnare nelle università e una tesi in quel campo avrebbe rappresentato uno scandalo almeno per i membri più anziani della facoltà. I fisici erano essenzialmente fisici sperimentali e soltanto una tesi sperimentale sarebbe stata accettata da loro come una vera tesi di fisica. L’argomento più affine alla fisica teorica, la meccanica razionale, era insegnata dai matematici che la consideravano un settore della matematica applicata, mostrando il più completo disinteresse per le sue implicazioni fisiche. Questo spiega perché argomenti come la teoria dei quanti non avevano preso piede in Italia: rappresentavano una terra di nessuno fra la fisica e la matematica. Fermi fu il primo a colmare questa lacuna”. Tuttavia Fermi ha già maturato una grande passione per la fisica sperimentale, come testimonia ancora Rasetti: “Egli fu fin dall’inizio un fisico completo per cui la teoria e l’esperimento avevano lo stesso peso, anche se per molti anni la sua fama fu fondata principalmente sui suoi contributi teorici. Ma non è stato mai, neanche per un momento, uno di quei fisici teorici che, per usare un’espressione molto usata più tardi dal gruppo di Roma, non sapevano ‘distinguere l’acciaio dall’alluminio’.” È notevole il fatto che a quest’epoca Fermi sia già abbastanza noto, almeno in alcuni ambienti, tanto che la sua partecipazione è richiesta all’appendice dell’edizione italiana del libro di A. Kopff, I fondamenti della relatività einsteiniana. La maggior parte dei dodici articoli contenuti nella stessa appendice, scritti dai più noti fisici e matematici italiani della generazione più anziana, sono invece molto scettici e ostili alla teoria di Einstein. Fermi spicca nettamente per le sue capacità di individuare gli sviluppi fisici più interessanti. Nel breve saggio: Le masse nella teoria della relatività, nel quale sottolinea come “La grandiosa importanza concettuale della teoria della relatività” e il dibattito filosofico sui fondamenti cui aveva dato luogo “hanno forse un po’ distolta l’attenzione da un altro suo risultato che, per essere meno clamoroso e, diciamolo pure, meno paradossale, ha tuttavia nella fisica conseguenze non meno degne di nota, ed il cui interesse è verosimilmente destinato a crescere nel prossimo svilupparsi della scienza. Il risultato a cui accenniamo è la scoperta della relazione che lega la massa di un corpo alla sua energia”. Dopo aver sottolineato le potenziali qualità di energia contenute in un grammo di materia in base alla relazione E = mc2, Fermi prosegue: “Non appare possibile che, almeno in un prossimo avvenire, si trovi il modo di mettere in libertà queste spaventose quantità di energia, cosa del resto che non si può augurarsi, perché l’esplosione di una così spaventosa quantità di energia avrebbe come primo effetto di ridurre in pezzi il fisico che avesse la disgrazia di trovare il modo di produrla.” In questo periodo Fermi si reca a Gottingen presso Max Born con una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione. Là conosce Werner Heisenberg e Pascual Jordan, e probabilmente anche Wolfgang Pauli, ma non stabilisce particolari legami con questo ambiente rimanendo piuttosto in disparte. Nel 1923 Fermi pubblica una serie di lavori sulla meccanica analitica, in particolare l’articolo “Dimostrazione che in generale un sistema meccanico normale è quasi ergodico” che viene molto apprezzato da Paul Ehrenfest, uno dei maggiori esperti, con Einstein, di meccanica statistica e il cui lavoro ha all’epoca profonde implicazioni per i fondamenti della meccanica. Nel primo di questi lavori, Il principio delle adiabatiche ed i sistemi che non ammettono coordinate angolari, scritto dopo appena un mese di soggiorno a Gottingen, Fermi definisce i limiti di validità del principio delle adiabatiche di Ehrenfest, applicabile a un sistema meccanico in cui le forze oppure i vincoli vengano continuamente modificati in funzione del tempo ma lentissimamente in confronto ai periodi propri del sistema, ossia, secondo l’espressione a Ehrenfest, “adiabaticamente”. Nel secondo articolo scritto durante il suo soggiorno a Gottingen, Alcuni teoremi di meccanica analitica importanti per la teoria dei quanti, Fermi mostra come sia possibile utilizzare il principio di Ehrenfest per quantizzare sistemi atomici a tre corpi, come la molecola di idrogeno ionizzata (composta da due protoni e un elettrone orbitale) o l’atomo di elio (il nucleo e i due elettroni orbitali). Ehrenfest consegna a George Eugene Uhlenbeck, che si recava a Roma, una lettera per Fermi nella quale gli pone un certo numero di domande. In questa occasione Fermi e Uhlenbeck si conoscono: rimarranno amici per tutta la vita. Probabilmente in seguito a queste circostanze Fermi, deciderà di andare a Leida con una borsa Rockefeller nel settembre 1924, dove oltre al contatto con Ehrenfest, noto anche per i suoi fondamentali contributi alla meccanica quantistica, Fermi conoscerà di persona scienziati come Hendrick Lorentz e Albert Einstein (secondo la sua stessa testimonianza quest’ultimo prova per lui una “simpatia vivissima”) e farà amicizia con alcuni giovani fisici come Samuel Goudsmit e Jan Tinbergen. A parte l’amico Enrico Persico, con il quale ha una lunga amichevole consuetudine, Fermi non ha in Italia, tra i fisici in senso stretto, interlocutori competenti con cui discutere delle sue ricerche sulla meccanica quantistica e sulla teoria della relatività. Tuttavia, matematici importanti dell’epoca, come Tullio Levi – Civita, un assoluto esperto in Italia nel campo della relatività e in qualche misura anche Vito Volterra, si accorgono della sua brillante competenza ed entrano in contatto con lui. I soggiorni all’estero costituiscono quindi un’occasione preziosa per misurarsi con figure a livello internazionale. Tornato a Roma, Fermi scrive una breve memoria dal titolo Sulla probabilità degli stati quantici, che può essere considerata il suo primo contributo importante alla meccanica quantistica. In questo periodo Fermi pubblica una teoria semiclassica della Radiazione di frenamento (sulla teoria degli urti tra atomi e particelle cariche) che ha qualche successo qualitativo, anche se bisognerà aspettare molti anni per vederne il perfezionamento ad opera di Von Weizsacker e Williams (da cui il metodo prenderà il nome). Il metodo, nella versione di Fermi viene criticato da Bohr che sottolinea le discrepanze con i risultati sperimentali relativi alla distribuzione degli elettroni emessi negli urti. Il lavoro Sopra la teoria di Stern della costante assoluta dell’entropia di un gas perfetto monoatomico, pubblicato l’anno precedente, presenta un certo interesse storico perché è la prima indicazione delle riflessioni di Fermi su questi argomenti in particolare sulla suddivisione dello spazio delle fasi in celle di volume h3. Ma è soltanto con il lavoro Considerazioni sulla quantizzazione dei sistemi che contengono degli elementi identici che Fermi arriva a porsi il problema della ricerca di un “principio mancante” per spiegare il comportamento di particelle identiche che obbediscono alle condizioni della meccanica quantistica di Bohr – Sommerfeld e in particolare per spiegare l’annullarsi dell’entropia allo zero assoluto. Per avere un’idea del modo di ragionare di Fermi con particelle identiche nell’ambito della quantizzazione semiclassica, si può pensare al modello dell’atomo di elio in cui i due elettroni sono in opposizione agli estremi del diametro di un orbita circolare e ruotano con uguale velocità; se le particelle fossero distinguibili il periodo del sistema corrisponderebbe a una rotazione completa di entrambi gli elettroni, mentre dopo mezzo periodo il sistema ritorna esattamente nello stesso stato grazie all’identità dei due elettroni. Perciò nel calcolo dell’azione quantizzata secondo Bohr e Sommerfeld la periodicità che conta è quella dello stato e non quello del sistema. Almeno due anni prima di scrivere il suo famoso lavoro sulla statistica del gas ideale Fermi anticipa senza saperlo il principio di Pauli, anche se per molecole generiche, quando, nel sommario conclusivo alle Considerazioni sulla quantizzazione sui sistemi che contengono elementi identici scrive: “(l’insuccesso delle regole di Sommerfeld per il calcolo del valore assoluto dell’entropia di un gas è evitato quantizzando il moto di molecole identiche) solo nel caso che in ogni cella sia contenuta una sola molecola, mentre se il gas è una miscela di due specie di molecole e lo si quantizza racchiudendo le molecole in celle, per modo che in ciascuna cella siano contenute due molecole, però di specie diversa, si ottiene ancora il risultato esatto”. Non appena il “principio di esclusione” verrà enunciato da Pauli egli ne comprenderà immediatamente le ragioni profonde che giustificano la sua statistica a cui arriverà appunto partendo da basi diverse e da un punto di vista relativamente indipendente dallo sviluppo della nuova meccanica quantistica. Il 2 luglio il fisico indiano Satyendra Nath Bose introduce un nuovo tipo di statistica per i quanti di luce. A distanza di poco più di una settimana Albert Einstein applica la statistica di Bose a un gas di particelle libere e nel suo articolo dell’8 gennaio 1925 deduce che la materia deve esibire proprietà ondulatorie con un argomento indipendente da quello di Louis De Broglie che nella sua tesi di laurea, discussa il 25 novembre del 1924, era stato il primo ad associare alla materia un comportamento ondulatorio. È un periodo di grandi scoperte e rapidi cambiamenti. Nel gennaio 1925 Pauli pubblica il suo famoso articolo sul principio di esclusione e appaiono i due fondamentali lavori di Einstein sulla statistica quantistica dei gas. Nell’estate dello stesso anno Heisenberg, Born e Jordan gettano le basi della nuova meccanica quantistica – o meccanica delle matrici – che Fermi non riesce ad apprezzare trovando la formulazione troppo astratta. A causa della sua particolare formazione matematica l’algebra delle matrici e la matematica degli operatori in generale non gli sono particolarmente congeniali; assai più congeniali gli sono le equazioni alle derivate parziali. Questo forse spiega come mai Fermi accetti rapidamente la versione di Schrodinger della meccanica ondulatoria e consideri con diffidenza la formulazione di Heisenberg; naturalmente finché non ne sarà dimostrata la completa equivalenza da Born, Jordan e Dirac. Dall’autunno del 1924 fino ai primi mesi del 1926 Fermi insegna meccanica teorica e fisica matematica all’Università di Firenze dove ritrova l’amico Rasetti, che all’epoca è assistente universitario. Insieme realizzano una serie di esperimenti originali dedicati all’effetto di un campo magnetico variabile sulla polarizzazione della radiazione di risonanza del mercurio (Effect of an Alternating Magnetic Field on the Polarisation of the Resonance Radiation of Mercury Vapour; Effetto di un campo magnetico alternato sopra la polarizzazione della luce di risonanza). Rasetti ricorda che questa seconda incursione di Fermi nel campo sperimentale “dimostra la sua inventiva nel lavoro con una metodica sconosciuta e costituisce il primo esempio di ricerca degli spettri atomici con metodi di radiofrequenze, che saranno ampiamente utilizzati anni dopo.” Pubblica due articoli di carattere divulgativo nel “Periodico di Matematiche” una rivista diretta dal matematico Federigo Enriques il quale era dell’opinione che la rivista si dovesse occupare anche di fisica moderna a livello elementare: Sui principi della teoria dei quanti (un articolo sulla nuova meccanica quantistica) e Sopra la teoria dei corpi solidi. Nel 1926 scriverà per la stessa rivista l’articolo Problemi di chimica, nella fisica dell’atomo.
1926-1929
Vince la cattedra di fisica teorica all’Università di Roma. Esce l’articolo Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico, il celebre lavoro nel quale Fermi formula la teoria di un gas ideale di particelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli. Più tardi Fermi racconterà a Segré che la divisione dello spazio delle fasi in celle finite era un problema che lo aveva occupato molto a fondo e se Pauli non avesse enunciato il principio di esclusione ci sarebbe arrivato a partire dalla costante assoluta dell’entropia, un problema di cui si era interessato fin dal gennaio 1924, quando aveva scritto il lavoro sulla quantizzazione di sistemi contenenti particelle identiche. Subito dopo aver letto l’articolo di Pauli, Fermi si rende conto di possedere tutti gli elementi per formulare una teoria di gas ideale soddisfacente il principio di Nernst allo zero assoluto. Come è noto P. A. M. Dirac sviluppa questo tipo di statistica indipendente da Fermi. Il lavoro di Dirac viene presentato alla Royal Society il 26 agosto 1926, mentre la prima breve nota di Fermi era stata presentata all’Accademia dei Lincei già il 7 febbraio di quell’anno. La prima applicazione della statistica di Fermi – Dirac viene fatta in ambito astrofisico. Il 10 dicembre dello stesso anno R. H. Fowler presenta alla Royal Society un lavoro intitolato Dense Matter (Materia densa) in cui mostra che un gas di elettroni all’interno di una nana bianca deve essere “un gas di Fermi” degenere. L’importanza della statistica di Fermi per gli elettroni in un metallo viene messa in luce da un articolo di Pauli di poco successivo (10 febbraio 1927), Sulla degenerazione del gas e il paramagnetismo, in cui “La statistica quantica del gas perfetto monoatomico che è dovuta a Fermi viene estesa al caso in cui gli atomi del gas possiedano spin e alla magnetizzazione di un tale gas”. In questo lavoro, Pauli considera appunto gli elettroni di conduzione all’interno di un metallo come un gas perfetto degenere. Nel settembre 1927, in occasione del Congresso di Como, Arnold Sommerfeld presenta una relazione in cui riesce a spiegare per la prima volta il contributo al calore specifico da parte degli elettroni di un metallo utilizzando la nuova statistica. Come è noto, in onore di Fermi, tutte le particelle che obbediscono a questo tipo di statistica, come gi elettroni, i protoni e i neutroni, vengono attualmente chiamate fermioni. Il nome di Fermi verrà anche adoperato nell’abbreviazione corrente Fermi motion, per descrivere la distribuzione della quantità di moto in un nucleo, considerato un esempio di gas degenere di nucleoni. La nozione è importante perché in questo modo contribuisce all’energia totale disponibile nelle collisioni fra una particella e un nucleo. Nei primi mesi del 1926 compare sugli “Annalen der Physik” il primo lavoro di Schrodinger sulla meccanica ondulatoria. Al suo ritorno da Firenze a Roma per le vacanze estive Fermi trova Pontremoli e Persico che studiano e discutono questa nuova formulazione della meccanica quantistica che fa uso di equazioni differenziali alle derivate parziali e quindi appare alla maggior parte dei fisici molto più accessibile rispetto alla “strana” matematica delle matrici utilizzata da Heisenberg. Una gran parte delle discussioni verte sulla possibilità di trovare qualche collegamento, per quanto vago, tra le idee, così inusuali, della meccanica ondulatoria e i concetti che avevano guidato il lavoro dei fisici atomici fino a pochi mesi prima. Da queste discussioni nasce il lavoro Il principio delle adiabatiche e la nozione di forza viva nella nuova meccanica ondulatoria, che Fermi scrive insieme con Persico. Dopo aver sviluppato la statistica di un gas di particelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli, Fermi applica lo stesso metodo per calcolare il potenziale efficace che agisce sugli elettroni di un atomo considerandoli come un gas di fermioni allo zero assoluto mantenuto intorno al nucleo dall’attrazione coulombiana. Da questa applicazione importante nasce il lavoro Un metodo statistico per la determinazione di alcune proprietà dell’atomo, oggi noto come metodo di Thomas – Fermi. Fermi non sa che L. H. Thomas è arrivato alle stesse conclusioni circa un anno prima, pubblicandole su una rivista non molto diffusa. Nel settembre del 1927, in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita di Alessandro Volta, viene organizzato un congresso internazionale di fisica a Como. Vi partecipano tutti i grandi della fisica mondiale. Arnold Sommerfeld presenta una serie di importanti risultati che mostrano l’importanza della nuova statistica di Fermi per l’interpretazione del comportamento degli elettroni nei metalli, assolutamente inspiegabile in base alle teorie classiche. Lo stesso Fermi mette in evidenza come, a questo punto, sia ormai del tutto chiaro che esistono due tipi di particelle, quelle che obbediscono alla statistica di Bose – Einstein, come nel caso dei quanti di luce (attualmente chiamate bosoni) e quelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli, come gli elettroni e i protoni (attualmente chiamate fermioni) e che seguono appunto la statistica di Fermi – Dirac. Dopo aver sviluppato la statistica di un gas di particelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli, Fermi applica lo stesso metodo per calcolare il potenziale efficace che agisce sugli elettroni di un atomo considerandoli come un gas di fermioni allo zero assoluto mantenuto intorno al nucleo dall’attrazione coulombiana. Da questa applicazione importante nasce il lavoro Un metodo statistico per la determinazione di alcune proprietà dell’atomo, oggi noto come metodo di Thomas-Fermi. Fermi non sa che L.Thomas è arrivato alle stesse conclusioni circa un anno prima, pubblicandole su una rivista non molto diffusa. Nel settembre del 1927, in occasione delle celebrazioni del centenario del-la nascita di Alessando Volta, viene organizzato un congresso internazionale di fisica a Como. Vi partecipano tutti i grandi della fisica mondiale. Arnold Sommerfeld presenta una serie di importanti risultati che mostrano l’importanza della nuova statistica di Fermi per l’interpretazione del comportamento degli elettroni nei metalli, assolutamen-te inspiegabile in base alle teorie classiche. Lo stesso Fermi mette in evidenza come, a questo punto, sia ormai del tutto chiaro che esistono due tipi di particelle, quelle che obbediscono alla statistica di Bose-Einstein, come nel caso dei quanti di luce (attualmente chiamate bosoni) e quelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli, come gli elettroni e i protoni (attualmente chiamate fermioni) e che seguono appunto la statistica di Fermi-Dirac. Quando Fermi si stabilisce all’Università di Roma come titolare della cattedra di fisica teorica, non esiste alcun gruppo di ricerca. Persico è a Firenze, Corbino è impegnato su altri fronti e si impegna principalmente sull’attività didattica. Intorno a Fermi si forma il primo nucleo di una scuola italiana di fisica moderna. Su interessamento di Corbino, Rasetti viene trasferito a Roma, mentre Emilio Segré, Edoardo Amaldi e Ettore Majorana all’epoca sono ancora studenti, ma la “velocità della formazione di un giovane fisico alla scuola di Fermi era incredibile” come ricorda Emilio Segré. Più tardi si unirà al gruppo anche Bruno Pontecorvo. Fermi è un insegnante nato. La grande chiarezza e la nettezza dell’esposizione derivano non soltanto dalle sue profonde conoscenze e dalla sua eccezionale lucidità, ma anche dal lavoro autonomo fatto all’epoca in cui era studente. Ama tenere lezioni di fisica elementare perché attribuisce una grande importanza a una buona preparazione in fisica classica. Il suo corso di fisica matematica costituisce una specie di enciclopedia contenente elementi di elettrodinamica, di teoria della relatività, di teoria della conduzione del calore, di teoria dell’elasticità e della diffusione. Nel corso di quest’anno Fermi pubblica una serie di articoli in cui utilizza il modello di Thomas-Fermi per calcolare le proprietà degli atomi che variano con regolarità al variare del numero atomico. Fermi continuerà sempre ad applicare il suo metodo statistico a una numerosa serie di problemi appartenenti a campi molto diversi; molto più in là lo utilizzerà anche per eventi nucleari ad alte energie. Nel 1928 Fermi pubblica il brillante manuale Introduzione alla fisica atomica che riempie una lacuna importante nella manualistica universitaria in lingua italiana. Nel 1927 Dirac pubblica i primi lavori in cui estende sistematicamente le regole di quantizzazione dei sistemi meccanici ai campi elettromagnetici. Fermi approfondisce lo studio di questi lavori e durante l’inverno 1928-1929 decide, come fa spesso, di riformulare la teoria seguendo un approccio matematico a lui più familiare. Successivamente lavora a lungo per trovare una soluzione alle ben note difficoltà relative alle divergenze dell’elettrodinamica quantistica dovute alla self-energia dell’elettrone puntiforme e riempie interi quaderni di calcoli, senza successo. Alcuni risultati interessanti si trovano tuttavia nei lavori Sopra l’elettrodinamica quantistica, Le masse elettromagnetiche nella elettrodinamica quantistica, Quantum Theory of Radiation [Teoria quantistica della radiazione]. Nel corso di queste ricerche personali, Fermi comunica regolarmente i suoi risultati ad allievi e amici come Amaldi, Majorana, Racah, Rasetti e Segré. Ogni giorno, alla fine del lavoro li raduna intorno al tavolo e in loro presenza inizia con l’elaborare prima la formulazione di base dell’elettrodinamica quantistica e poi, prosegue facendo, una dopo l’altra, una lunga serie di applicazioni dei principi generali a particolari problemi fisici. Questo metodo, caratteristico di Fermi, di lavorare su un problema teorico “in pubblico” (per così dire) e di insegnare allo stesso tempo, gli permette di esprimere ad alta voce quello che sta pensando; nel frattempo, nello scrivere i risultati alla lavagna, non salta mai un passaggio, procede a velocità uniforme e senza esitazioni, ma facendo sistematici progressi, indipendentemente dalla difficoltà della trattazione. Tutto questo lavoro sull’elettrodinamica viene riassunto da Fermi in una serie di lezioni che tiene all’Istituto Poincaré di Parigi nel 1929 e, in forma più completa, alla scuola estiva di Ann Arbor all’Università del Michigan nel 1930. Di queste lezioni viene fatta una traduzione sia in francese che in inglese. L’articolo di Fermi Quantum Theory of Radiation [Teoria quantistica della radiazione] pubblicato nella “Review of Modern Physics” del 1932, che fornisce le prime nozioni di teoria dei campi, è una monografia su cui generazioni di ricercatori hanno imparato l’elettrodinamica. Da Hans Bethe viene considerato un “esempio insuperabile di come si possa esporre con semplicità una materia così complessa”. Eugene P. Wigner commenta a proposito: “Nessuno che non conoscesse a fondo tutte le complicazioni della teoria avrebbe potuto scriverlo e nessuno avrebbe potuto evitare più abilmente tutte le complicazioni”. Wigner e Victor Weisskopf si adopereranno per rendere rigorosa una regola di calcolo delle probabilità di transizione spontanea tra stati quantici che Fermi ricava con una matematica assai spregiudicata e che da lì in poi verrà chiamata Fermi’s golden rule [Regola d’oro di Fermi].
1930-1933
Come già era emerso nel caso dei suoi lavori sulla relatività, in generale Fermi rifugge da riflessioni di tipo puramente epistemologico e adotta un’impostazione pragmatica secondo cui egli si ritiene soddisfatto quando un formalismo matematico è in grado di spiegare i dati sperimentali. Un’eccezione è costituita dal dibattito intorno alla corretta interpretazione del principio di indeterminazione. Nell’articolo L’interpretazione del principio di causalità nella meccanica quantistica, Fermi cerca di precisare in che senso in meccanica quantistica non si possono determinare gli eventi futuri e mostra con chiarezza che la nuova teoria non è caratterizzata tanto dall’indeterminazione dello sviluppo temporale degli eventi, quanto dall’incertezza implicita necessariamente nella descrizione dello stato fisico. Il lavoro scaturisce anche da animate discussioni con i matematici Guido Castelnuovo, Tullio Levi-Civita e Federigo Enriques seguite a una serie di conferenze tenute da Fermi sulla meccanica quantistica al Seminario matematico dell’Università. In questo periodo soggiorna a Roma il fisico tedesco Hans Bethe che rimane molto colpito dalla semplicità del metodo di lavoro di Fermi: “Egli era in grado di arrivare al nocciolo di qualsiasi problema, per quanto difficile fosse, spogliandolo dalle complicazioni matematiche e dall’inutile formalismo. Con l’aiuto di questo tipo di approccio era in grado, spesso in non più di mezz’ora, di risolvere il problema di fisica più complesso. Certamente, in questo modo non otteneva una soluzione matematica completa, ma dopo aver discusso con lui di quell’argomento, chiunque aveva chiaro qual era la via per la soluzione matematica. Questo metodo mi colpì in maniera particolare, poiché io ero uscito dalla Scuola di Monaco di Sommerfeld che, in tutti i suoi lavori, partiva sempre dalla soluzione matematica completa di un problema. Educato nello spirito della Scuola di Sommerfeld, io supponevo che bisognasse attenersi sempre al seguente metodo: scrivere l’equazione differenziale del problema (di solito l’equazione di Schrodinger), applicare poi le proprie capacità matematiche per cercare una soluzione quanto più possibile precisa ed elegante, e solo dopo discutere la soluzione. Finalmente, nella discussione si sarebbero trovate le sue particolarità qualitative e, quindi, si sarebbe capito l’aspetto fisico del problema”. Più avanti Bethe precisa: “Fermi era un buon matematico. Egli era in grado, se necessario, di fare i calcoli matematici più complessi, ma prima di ogni cosa egli doveva convincersi che ne valesse la pena”. Nel 1932 Fermi e Bethe pubblicheranno insieme un articolo (Ùber die Wechselwirkung von zwei Elektronen [Interazione di due elettroni]) in cui l’interazione fra particelle cariche viene descritta in termini di scambi di fotoni, mostrando così che la teoria quantistica dei campi introduce in fisica un nuovo modo di concepire le forze. Intorno a Fermi e Franco Rasetti, abilissimo fisico sperimentale, che Fermi conosceva bene e con cui aveva lavorato fin dai tempi dell’università, si raccoglie ormai il gruppetto di giovanissimi fisici Emilio Segré, Edoardo Amaldi e Ettore Majorana. Secondo la testimonianza di Franco Rasetti, Fermi è ben deciso a imparare le tecniche della fisica nucleare, molti anni prima che il suo nome diventi famoso in questo campo. Questa decisione viene messa in atto a partire dal 1930, quando i membri del gruppo di Roma iniziano a fare lunghi soggiorni presso i maggiori centri di ricerca all’estero per acquisire conoscenze relative a tecniche sperimentali allora sconosciute in Italia. Rasetti va da R. Millikan a Pasadena e successivamente passa un anno a Berlino-Dahlem da Lise Meitner, Segrè va da Otto Stern ad Amburgo e da Pieter Zeeman ad Amsterdam, e Amaldi fa un soggiorno da Peter Debye a Lipsia. Lo stesso Fermi comincia a dedicare una notevole quantità di tempo a questi problemi sebbene il lavoro teorico di quel periodo stia seguendo delle linee completamente diverse. Come primo passo, nell’inverno a cavallo fra il 1930 e il 1931, Fermi si dedica alla costruzione e al funzionamento di una camera a nebbia, con l’aiuto di Edoardo Amaldi. Il punto debole del dipartimento di fisica di Roma è proprio la mancanza di strumentazione e la mancanza di efficienza dell’officina per costruire gli apparati. È possibile soltanto costruire strumenti molto semplici, e anche questi con un notevole dispendio di tempo e di fatica. Queste circostanze inducono Fermi ad adottare metodi del tipo “fai da te” che sono caratteristici del suo modo di lavorare, sia a livello teorico che sperimentale. La camera a nebbia viene costruita e utilizzata, ma le tracce di particelle a osservate sono di bassa qualità a causa dell’inefficienza del meccanismo di espansione e della difficoltà di eliminare le vecchie tracce. Non vengono nemmeno fatti tentativi di fare fotografie. Nella primavera del 1931 le difficoltà incontrate a livello pratico inducono Fermi ad abbandonare il progetto della camera a nebbia e a dedicarsi di nuovo esclusivamente al lavoro teorico, pur continuando a partecipare all’attività sperimentale che si svolge nell’Istituto di via Panisperna. Secondo quanto ricorda Rasetti “l’attività sperimentale negli anni 1927-31 si svolse quasi interamente nel campo della spettroscopia atomica e molecolare […] anche perché ne conoscevamo bene la tecnica e avevamo strumenti adeguati”. Ma a partire dal 1929 Fermi e Rasetti cominciano appunto a rendersi conto che il futuro sta ormai nel campo della fisica nucleare. A quest’epoca si conosce l’esistenza di processi di decadimento che avvengono con l’emissione di una particella α o di una particella β, accompagnati da emissione di raggi γ. Nel 1928 il fisico russo George Gamow, all’epoca a Gèttingen, e, indipendentemente, Ronald W. Gurney e Edward R. Condon a Princeton, avevano pubblicato una teoria secondo la quale il processo di decadimento α è una conseguenza dell’effetto “tunnel”, un processo quantomeccanico secondo il quale le particelle α, riescono a penetrare attraverso la barriera di potenziale coulombiana del nucleo e a penetrare in una regione che sarebbe loro proibita da un punto di vista classico. Il nucleo deve essere dunque una struttura composta, tenuto insieme da forze ancora sconosciute. Fino alla scoperta del neutrone, all’inizio del 1932, si continuerà a ritenere che i nuclei di tutti gli elementi siano composti di protoni e elettroni, sebbene ipotesi sull’esistenza di una particella neutra pesante fossero state avanzate da Rutherford già nel 1920. il confinamento degli elettroni in un volume delle dimensioni del nucleo e lo spettro continuo delle velocità con cui i raggi β (elettroni) vengono emessi dal nucleo, portano a una serie di risultati paradossali, tra cui quello dell’apparente non conservazione dell’energia, ipotesi presa seriamente in considerazione da Bohr. Pauli pensa che “Bohr è su una strada completamente sbagliata” e propone che insieme all’elettrone vengano emesse una o più particelle neutre, che saranno dette (su proposta di Fermi) “neutrini” – In ogni disintegrazione β l’energia liberata nel processo si ripartisce tra elettrone e neutrino in modo che l’energia dell’elettrone possa assumere tutti i valori da zero fino a un certo massimo. Questa ipotesi viene formulata informalmente da Pauli in una lettera scritta il 4 dicembre 1930. Proprio per fare il punto sulle questioni ancora irrisolte in fisica nucleare Fermi ha l’idea di organizzare un Congresso internazionale di fisica nucleare, che si tiene a Roma dall’1 al 17 ottobre del 1931. La presenza degli scienziati più eminenti nel campo della fisica nucleare conferisce all’evento una enorme importanza scientifica. In questa occasione Wolfgang Pauli avanza di nuovo, nel corso di conversazioni private, l’ipotesi dell’esistenza di una nuova particella “neutra, leggera e molto penetrante per salvare il principio della conservazione dell’energia nel decadimento β”‘ come lui stesso racconta molti anni dopo a Franco Rasetti. Una serie di scoperte e di eventi significativi contribuisce a focalizzare fortemente l’attenzione di una parte importante della comunità dei fisici sui fenomeni nucleari e sulle nuove possibilità di ricerca in questo campo. Possibilità che si amplificano enormemente grazie allo sviluppo, alla disponibilità e all’uso produttivo di nuovi acceleratori di particelle. Tutto comincia a gennaio: l’americano Harold Urey annuncia la scoperta di un isotopo pesante dell’idrogeno, da lui battezzato “deuterio”. In febbraio James Chadwick dimostra l’esistenza di una nuova particella nucleare, il neutrone. In aprile John Cockcroft e Ernest Thomas Walton riescono ad ottenere la prima disintegrazione nucleare bombardando nuclei leggeri con protoni artificialmente accelerati. In agosto Carl Anderson individua nelle immagini di tracce lasciate da raggi cosmici l’esistenza di una nuova particella, l’elettrone carico positivamente, subito denominata “positrone”. È la conferma sperimentale dell’esistenza dell’antiparticella dell’elettrone prevista dalla teoria relativistica dell’elettrone di P. A. M. Dirac. Immediatamente, Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini cercano e trovano non soltanto le tracce dei positroni nelle emulsioni già esposte, ma individuano anche eventi in cui è più evidente la creazione della coppia elettrone-positrone sotto l’effetto di radiazione g ad altissima frequenza. Quella stessa estate Ernest Lawrence, Stanley Livingston e Milton White utilizzano per disintegrare nuclei il ciclotrone ideato da Lawrence, uno strumento che nel giro di pochi mesi sarà in grado di generare circa 5 MeV Al ritorno di Rasetti da Berlino-Dahlem nell’autunno del 1932, si decide di dare inizio a un programma di ricerche in fisica nucleare. Gli strumenti vengono progettati e fatti poi costruire da ditte esterne. Viene realizzata una camera a nebbia, simile a quelle usate a Berlino dalla Meitner, che funziona subito alla perfezione; utilizzando una tecnica speciale per la preparazione di grossi cristalli singoli di bismuto viene costruito uno spettrometro a cristalli per raggi γ (Uno spettrografo per raggi gamma a cristallo di bismuto) e vengono realizzati vari tipi di contatori di Geiger-Mùller. Rasetti, che ha appreso a Dahlem le tecniche per la preparazione di sorgenti radioattive, mette a punto una sorgente di neutroni al polonio-berillio. Questi sviluppi vengono resi possibili da una consistente dotazione di fondi messi a disposizione dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Per la fine del 1933 la strumentazione nucleare sarà adeguata per fare ricerche secondo linee diverse. Nell’ottobre di quest’anno Fermi partecipa al settimo Congresso Solvay: la fisica nucleare ha fatto passi da gigante a livello sperimentale e il modello del nucleo composto di protoni e neutroni è abbastanza ben stabilito attraverso il lavoro di Werner Heisenberg, Dmitri Iwanenko e Ettore Majorana. Sono presenti tutti i più importanti fisici nucleari del mondo, come James Chadwick, Patrick Blackett, Ernest Rutherford, Lise Meitner, Frédéric Joliot e Irène Curie, Ernest Lawrence (unico americano invitato) insieme ad alcuni fisici teorici, come Niels Bohr, Werner Heisenberg, Wolfgang Pauli, Paul Adrien, Maurice Dirac e George Gamow. In quest’occasione Pauli presenta di nuovo la sua idea del neutrino, che per la prima volta compare negli atti del congresso. Tuttavia e ancora una ipotesi abbastanza vaga e in ogni caso non esiste ancora una teoria formale del processo di decadimento β. Due mesi dopo Fermi completa il suo celebre lavoro Tentativo di una teoria dei raggi β, in cui applica la teoria quantistica dei campi alla radioattività b: l’emissione di un elettrone β è simile all’emissione di luce da parte di un atomo eccitato né la particella né il quanto di luce sono contenuti dentro l’atomo prima dell’emissione ma l’emissione della particella β non è dovuta all’interazione elettromagnetica, bensì a una nuova classe di forze, che molto più tardi sarà conosciuta come interazione debole. Secondo la teoria, elettroni e neutrini possono essere creati e distrutti, ogni transizione da neutrone a protone deve essere accompagnata dalla creazione di un elettrone e di un neutrino all’atto del processo di disintegrazione. In questo modo Fermi bandisce formalmente gli elettroni dal novero dei costituenti del nucleo e apre un nuovo campo della fisica delle particelle elementari, la fisica delle interazioni deboli. Inoltre chiarisce definitivamente che il neutrone non è un sistema legato protone-elettrone, come molti avevano pensato in un primo momento e spazza via ogni dubbio relativo alle congetture di Bohr sulla non conservazione dell’energia nei processi di decadimento. L’articolo compare su “La ricerca scientifica”, ma in realtà Fermi aveva deciso di annunciare i risultati della sua teoria in una lettera a “Nature”. Il manoscritto era stato respinto e gli era stato risposto che conteneva troppe speculazioni astratte ed era “troppo lontano dalla realtà fisica”. Segré ricorda che “Fermi era pienamente consapevole dell’importanza del suo lavoro e disse che pensava che quello sarebbe stato il suo capolavoro, ricordato dalla posterità”. I risultati di Fermi aprono nuove prospettive alle ricerche già in atto sulle forze nucleari. In quegli stessi annui un gruppo di giovani ricercatori si sta aggregando a Firenze sotto la protezione di Antonio Garbasso, direttore dell’Istituto di Fisica, anche lui, come Corbino, personaggio molto influente a livello istituzionale. Nel 1928 Gilberto Bernardini era diventato assistente di Enrico Persico, che due anni prima aveva vinto insieme a Fermi la cattedra di fisica teorica e che in quegli anni insegnava la nuova meccanica quantistica. Nel 1928 si era trasferito a Firenze, dopo essersi laureato a Bologna, il ventitreenne Bruno Rossi. Nel 1929, grazie alla sua intuizione viene individuato un promettente programma di ricerca a lungo termine: la fisica della radiazione cosmica. Vengono subito costruiti dei contatori Geiger-Mùller posti in coincidenza per studiare il potere penetrante delle particelle ionizzanti associate alla radiazione cosmica e il giovane Rossi realizza il suo famoso circuito elettronico a coincidenze multiple, che consentiva di osservare impulsi simultanei (coincidenze) fra più di due contatori Geiger-Mùller permettendo di individuare la traiettoria dei singoli corpuscoli della radiazione penetrante. Ancora discussa è in quel momento la questione se questi corpuscoli rappresentino l’agente primario oppure siano generati nell’alta atmosfera per effetto dì una radiazione di altra natura. La scoperta di una eventuale dipendenza dell’intensità della radiazione penetrante dalla latitudine geomagnetica (effetto latitudine) avrebbe corroborato l’ipotesi corpuscolare. Rossi aveva previsto che in questo caso il campo magnetico terrestre avrebbe dovuto determinare an-che un “effetto Est-Ovest”, cioè un’asimmetria nell’intensità dei raggi cosmici rispetto al piano del meridiano magnetico terrestre. Fra il 1930 e il 1931 Rossi effettua esperimenti per scoprire tale effetto, il cui esito negativo viene attribuito da Rossi all’assorbimento da parte dell’atmosfera. Nel corso di una delle sue frequenti visite a Roma, Rossi discute con Fermi il problema dell’assorbimento e nel 1933 pubblicano insieme l’articolo Azione del campo magnetico terrestre sulla radiazione penetrante. L’interpretazione di Rossi si rivelerà corretta: i raggi cosmici primari sono per lo più protoni che perdono la maggior parte della loro energia attraverso collisioni nucleari. Sulla base di queste ipotesi Rossi decide di organizzare una spedizione in Africa, che fornirà poi conferma dell’effetto Est-Ovest, ma a causa di quelle che lo stesso Rossi definisce “difficoltà di carattere logistico” la spedizione viene battuta sul tempo da T. H. Johnson e L. Alvarez, un giovane allievo di Arthur Compton, che scoprono simultaneamente e annunciano prima di lui questi risultati.
1934-1937
Nel mese di gennaio del 1934 Irène Curie e Frédéric Joliot annunciano la scoperta di nuovi radioisotopi ottenuti artificialmente bombardando i nuclei di elementi leggeri con particelle a. Fermi intuisce immediatamente che i neutroni possono essere validamente utilizzati come proiettili per indurre la radioattività artificiale: essendo privi di carica non sono soggetti alla repulsione coulombiana esercitata dai nuclei bersaglio. E l’occasione per iniziare esperimenti su larga scala. Verso la fine di marzo vengono irradiati diversi elementi la cui attività viene misurata per mezzo di un contatore Geiger-Mùller. Dopo una serie di tentativi infruttuosi fatti con la sorgente di polonio-berillio, Rasetti parte per il Marocco e Fermi inizia a bombardare in modo sistematico gli elementi del sistema periodico di numero atomico crescente utilizzando una sorgente neutronica più intensa costituita da radon e berillio. Sorgenti di questo tipo erano già state fornite da Giulio Ce-sare Trabacchi, dell’Istituto di Sanità (proprio per questo soprannominato dai membri del gruppo “La divina Provvidenza”) e utilizzate con lo spettrometro a raggi g. Finalmente il contatore di Geiger-Mùller registra alcuni conteggi irradiando il fluoro e l’alluminio. Secondo l’interpretazione data subito da Fermi il nucleo dell’alluminio assorbe un neutrone emettendo una particella a (nucleo di elio) trasformandosi in sodio che a sua volta decade trasformandosi in calcio con emissione di una particella b (elettrone). Il 25 marzo 1934 esce sulla rivista del CNR, la “Ricerca Scientifica”, l’articolo Radioattività provocata da bombardamento di neutroni il primo di una lunga serie di lavori che vedranno Fermi protagonista, insieme al suo gruppo, di un filone di ricerca i cui esiti sono per ora assolutamente insospettati. Per procedere più rapidamente Fermi chiede ad Amaldi e Segré di lavorare con lui. Rasetti è richiamato dal Marocco e il chimico Oscar D’Agostino, appena tornato per le vacanze di Pasqua dal laboratorio dei Joliot-Curie, dove aveva appreso le tecniche di radiochimica, è sollecitato a unirsi al gruppo. In poco tempo vengono irradiati con neutroni una sessantina di elementi e in almeno quaranta di questi vengono scoperti, e spesso identificati, nuovi elementi radioattivi. I risultati ottenuti dal gruppo dei “ragazzi di via Panisperna” dimostrano tutti i vantaggi del lavoro di équipe, introdotto per la prima volta proprio a Roma. La grande importanza di questi risultati è immediatamente evidente. Il 24 aprile Ernest Rutherford, il padre della fisica nucleare, si complimenta con Fermi per il successo degli esperimenti: “Mi congratulo con lei per il successo della sua fuga dalla sfera della fisica teorica. Sembra proprio che lei abbia trovato una buona linea di ricerca per cominciare”. Nel procedere con il bombardamento sistematico, Fermi e il suo gruppo, all’inizio dell’estate, arrivano a irradiare il tono (numero atomico 90) e l’uranio (numero atomico 92), ma la naturale attività di questi elementi ostacola l’identi-ficazione dei nuovi radionuclidi artificiali ottenuti. Fermi e il suo gruppo dimostrano che l’attività di tali radionuclidi non è dovuta ad alcuno degli isotopi di elementi compresi fra il piombo e l’uranio, cioè con numero atomico compreso fra 86 e 92. Il gruppo è convinto di avere prodotto e identificato due elementi transuranici che vengono battezzati esperio e ausonio e accantona la possibilità che il nucleo di uranio possa scindersi in “molti grandi pezzi” ciascuno dei quali può essere un isotopo di elementi noti ma lontani dall’uranio e dal tono nella tavola periodica. Questa ipotesi, esplicitamente avanzata dalla chimica tedesca Ida Noddack in un suo articolo del 1934 regolarmente inviato a Fermi, implica un tipo di reazione nucleare completamente nuovo e viene rapidamente accantonata. Altri quattro anni di ricerche portate avanti nei laboratori più importanti dell’epoca saranno necessari per svelare l’enigma dei “transuranici”. Nell’autunno del 1934 Fermi assegna ad Amaldi e Bruno Pontecorvo, appena laureato, il compito di stabilire una scala quantitativa delle attività indotte negli elementi bombardati. I due si trovano subito di fronte a una serie di problemi perché l’inten-sità della radioattività ottenuta sembra dipendere dal materiale su cui vengono posti la sorgente e l’elemento da irradiare, come ricorda Amaldi: “Certi tavoli con sopra uno spettroscopio avevano proprietà miracolose; l’argento irradiato su quei tavoli diventava molto più attivo rispetto a quando veniva irradiato in altri tavoli di marmo nella stessa stanza”. Per chiarire il mistero vengono eseguite osservazioni sistematiche a partire dal 18 ottobre, in particolare Amaldi effettua una serie di misure all’esterno e all’interno di una sorta di casetta di piombo le cui pareti hanno 5 cm di spessore che serve da schermo per le radiazioni. I risultati mostrano chiaramente che, mentre all’esterno la capacità di attivazione decresce rapidamente con l’aumento della distanza fra sorgente ed elemento irradiato, all’interno la diminuzione è molto più lenta. A questo punto, per misurare l’assorbimento del piombo viene preparato un cuneo di questo materiale da inserire tra la sorgente di neutroni e il rivelatore con l’idea di confrontarne l’assorbimento rispetto a un mattoncino di piombo dello stesso spessore. La mattina del 22 ottobre i membri del gruppo sono impegnati con gli esami e Fermi decide di procedere da solo per risolvere 1′ “enigma del piombo”. In quel momento soltanto Enrico Persico in visita da Firenze, si trova con lui ed è lui stesso ad annotare le misure fatte da Fermi. Anni dopo Fermi racconterà a Subrahmanyan Chandrasekhar che al momento di collocare il cuneo di piombo, senza alcun particolare motivo, aveva deciso di mettere al suo posto un pezzo di paraffina. La sera stessa il gruppo scrive una lettera per la “Ricerca Scientifica”, Azione di sostanze idrogenate sulla radioattività provocata dai neutroni-I in cui annuncia la sensazionale scoperta: “Uno spessore di alcuni centimetri di paraffina interposto fra la sorgente e l’argento invece di diminuire l’attivazione la aumenta”. I neutroni rallentati fino all’energia dell’agitazione termica delle molecole dalle collisioni con nuclei di idrogeno passano più tempo nelle vicinanze dei nuclei bersaglio diventando più efficaci nell’indurre la radioattività artificiale. La scoperta dell’effetto dei neutroni lenti apre una nuova fase nel programma di ricerca del gruppo che si concentra ormai sul problema degli effetti di questi neutroni. La scoperta ha immediate applicazioni pratiche nella possibilità di produrre isotopi radioattivi artificiali da utilizzare per esempio come traccianti a scopi fisici, chimici e biologici. Orso Mario Corbino convince Fermi e i suoi collaboratori a prendere un brevetto. A partire da quest’anno il gruppo comincia a disperdersi. Segré si trasferisce a Palermo, dove ha vinto la cattedra di fisica sperimentale, Pontecorvo lavora con Gian Carlo Wick e poi si sposta a Parigi dai Joliot-Curie nella primavera del ’36, mentre D’Agostino inizia a lavorare nell’Istituto di Chimica del CNR. Durante l’estate Rasetti visita il laboratorio di Robert Millikan a Pasadena dove studia un acceleratore lineare ad alto voltaggio e il Radiation Laboratory a Berkeley dove si trova la nuova macchina acceleratrice ideata da Ernest Lawrence. Il ciclotrone produce fasci di neutroni di intensità incredibil-mente più elevate rispetto a quelle ottenibili con le sorgenti naturali di cui dispongono i fisici romani. Rasetti trascorre l’anno accademico 1935-36 alla Columbia University, mentre Amaldi e Fermi restano i soli a fare ricerca sulle proprietà dei neutroni lenti, lavorando “con un’ostinazione incredibile”, come ricorda lo stesso Amaldi, forse proprio per reagire a un’atmosfera che si fa sempre più plumbea. In Germania è in pieno sviluppo la politica di persecuzione degli oppositori e delle minoranze etniche e l’espansionismo di Hitler fa pesare sull’Europa la prospettiva di un conflitto generale, mentre l’Italia, con aspirazioni colonialiste, si prepara alla guerra d’Etiopia e viene perciò isolata dalla Società delle Nazioni con le sanzioni. “Si iniziava alle otto del mattino e, praticamente senza intervallo, andavamo avanti fino alle sei, sette di sera e anche oltre. Le misure venivano realizzate in base a un preciso programma […]. Esse duravano tre-quattro minuti e si ripetevano per molte ore e anche per molti giorni se questo era necessario a risolvere il problema impostato. Risolto un problema, ne affrontavamo immediatamente un altro, senza interruzione, senza ombra di dubbio”. Nel giro di pochi mesi, a cavallo con l’anno precedente, Fermi e Amaldi pubblicano una serie di lavori su “La Ricerca Scientifica” che culminano con un ampio articolo inviato a “Physical Review” nel quale si illustrano una serie di risultati conclusivi dello studio sistematico sull’assorbimento e la diffusione di neutroni lenti. Il problema della diffusione viene affrontato da Fermi utilizzando alcune variabili che lo semplificano notevolmente: in particolare, la “letargia” che è una misura logaritmica dell’energia del neutrone e che permette una rappresentazione grafica unidimensionale della successione di collisioni elastiche che portano il neutrone alla termalizzazione. Fermi sviluppa un’equazione di diffusione in cui si danno valutazioni importanti della distanza che un neutrone raggiunge a partire dal punto in cui è stato creato fino alla completa termalizzazione: la misura di questa distanza è affidata a un parametro che d’ora in poi verrà chiamato “età di Fermi” (Fermi SS age). Da queste ricerche emerge un nuovo interessante fenomeno: il forte assorbimento, da parte di molti elementi, di neutroni la cui energia cinetica cade in alcune bande di energia caratteristiche del nucleo bersaglio. In seguito alla scoperta di queste risonanze Bohr propone nell’aprile del 1936 il cosiddetto “modello del nucleo composto”, secondo il quale le reazioni nucleari possono suddividersi in due fasi: nella prima la collisione tra un neutrone e un nucleo pesante dà luogo alla formazione di un nucleo composto che sopravvive per un tempo relativamente lungo e successivamente si decompone secondo un processo che non ha alcuna relazione con il primo stadio e nel quale tuttavia si conservano l’energia totale, la parità e il momento angolare. La ragione principale della stabilità dello stato composto è che l’energia inizialmente concentrata nella particella in entrata viene suddivisa fra tutte le altre particelle del nucleo bersaglio. Soltanto quando questa energia, a causa di una fluttuazione, si concentra dì nuovo su un’altra particella, quest’ultima riesce a sfuggire dando luogo a uno stato finale che non conserva alcuna “memoria” della situazione iniziale. Nel gennaio del 1937 Fermi rimane privo del sostegno politico e scientifico di Corbino, che muore all’improvviso di polmonite. La sensazione della fine di un’epoca viene profondamente avvertita da tutti i membri dell’Istituto e in effetti il cambio di direzione dell’Istituto il successore di Corbino è Antonino Lo Surdo, e non Fermi, come ci si sarebbe aspettato e la situazione politica, che si sta deteriorando rapidamente, fanno presagire la catastrofe imminente. Nel frattempo Fermi riesce a far approvare insieme a Domenico Marotta, direttore dell’Istituto di Sanità Pubblica, una proposta per realizzare un acceleratore del tipo Cockcroft-Walton da 1 MeV, in grado di accelerare particelle fino a un’energia di un milione di volt. Ormai si stanno diffondendo nei maggiori laboratori acceleratori lineari e ciclotroni che permettono di disporre di sorgenti artificiali di neutroni, molto più intense rispetto a quelle fino a quel momento utilizzate a Roma, come i tubetti contenenti emanazione di radio e polvere di berillio. Nel giugno del 1937 Fermi e il suo gruppo realizzano un prototipo in scala ridotta, da 200 keV, nei locali dell’Istituto di Fisica che nel frattempo si è trasferito da via Panisperna alla nuova città universitaria. La descrizione dell’impianto per la produzione di neutroni a mezzo di ioni di deuterio accelerati a 200 keV è contenuta nell’articolo Un generatore artifi-ciale di neutroni, pubblicato sulla “Ricerca Scientifica”. L’acceleratore da 1 MeV verrà completato due anni dopo, quando Fermi ormai avrà lasciato l’Italia. Nel gennaio dello stesso anno Fermi presenta al CNR una dettagliata proposta per la costituzione di un Istituto Nazionale di Radioattività, nella quale fa notare come l’Italia, che fino a quel momento ha avuto una posizione preminente in questo campo di ricerca, stia perdendo decisamente terreno rispetto ai laboratori dotati di macchine acceleratrici che forniscono sorgenti la cui intensità è “migliaia di volte superiore a quelle ottenibili partendo dalle sostanze naturali” e prosegue: “È chiaro come queste circostanze rendano vano pensare a un’efficace concorrenza con l’estero, se anche in Italia non si trova il modo di organiz-zare le ricerche su un piano adeguato”. Nel corso di una sua visita a Ernest Lawrence nell’estate del 1937 Fermi esamina concretamente la possibilità di realizzare in Italia un ciclotrone “economico”. Ma nel luglio 1937 muore improvvisamente Guglielmo Marconi, che nella sua veste di presidente del CNR e dell’Accademia d’Italia era stato un valido sostenitore del gruppo, nonostante le sue numerose richieste per ottenere fondi per la ricerca non fossero del tutto in consonanza con l’idea che Mussolini aveva riguardo al ruolo della scienza nello Stato fascista. Ecco cosa scriveva il Duce a un suo aiutante già nel 1930: “Le rimetto questa doglianza che mi è stata consegnata da S. E. Marconi, Pres. del CNR, nonché dell’Accademia d’Italia. Credo che gli si possono dare 570.000 dal fondo delle spese impreviste e non un soldo di più. Salvo a vedere se questo Consiglio debba ancora funzionare”. 111937 è anche l’anno della morte di Ernest Rutherford. Fermi lo ricorda in una breve nota pubblicata su “Nature”.
1938-1941
Nel maggio del 1938 il CNR respinge definitivamente la proposta di Fermi per l’Istituto Nazionale di Radioattività adducendo la limitata disponibilità di fondi e poco dopo gli assegna un contributo che Fermi giudica del tutto insufficiente per realizzare qualsiasi progetto, in particolare l’idea del ciclotrone. E evidente ormai che la più importante istituzione scientifica italiana non è in grado di mettere a disposizione di Fermi e dei suoi collaboratori i mezzi necessari per proseguire ricerche che possano competere con quelle portate ormai avanti nei laboratori più avanzati. Nel frattempo la situazione politica sta precipitando. In marzo è avvenuta l’annessione dell’Austria alla Germania nazista (Anschluss) e soprattutto nel mese di luglio inizia anche in Italia la campagna antisemita con la pubblicazione del Manifesto della Razza. Nei mesi successivi vengono promulgate le leggi razziali: comincia l’espulsione degli ebrei da tutti gli impieghi statali, dalle università e dalle accademie, oltre all’esclusione degli allievi ebrei dalle scuole pubbliche. La moglie di Fermi, Laura Capon, è ebrea e all’inizio di settembre i coniugi Fermi decidono di emigrare. Il 10 novembre Fermi riceve l’annuncio ufficiale del conferimento del premio Nobel e decide di proseguire direttamente per gli Stati Uniti dopo il soggiorno a Stoccolma per la cerimonia di conferimento del premio. Nel corso dei suoi precedenti soggiorni negli Stati Uniti, Fermi aveva maturato una profonda simpatia per quel Paese, come ricorda Emilio Segré: “Lo attiravano i laboratori attrezzati, gli abbondanti mezzi di ricerca, l’entusiasmo che sentiva nella nuova generazione di fisici” e prosegue sottolineando come la decisione di emigrare fosse “più l’esecuzione di un piano a lungo meditato che una decisione improvvisa determinata dalle circostanze”. Il 10 dicembre Fermi riceve a Stoccolma il premio Nobel per la fisica: “Per aver dimostrato l’esistenza di nuovi elementi radioattivi prodotti dall’irradiazione mediante neutroni e per la scoperta, legata alla precedente, delle reazioni nucleari indotte da neutroni lenti”. Nella “Nobel Lecture” Fermi menziona l’ipotesi dei transuranici ausonio ed esperio e cita le ricerche di Otto Hahn e Lise Meitner i quali avrebbero identificato elementi fino al numero atomico 96. Ma nel frattempo una incredibile catena di avvenimenti si era messa in moto: Otto Hahn, un valente radiochimico, e Fritz Strassmann, esperto di analisi chimiche, avevano individuato la presenza di bario radioattivo negli elementi prodotti dal bombardamento con neutroni e il 22 dicembre 1938 inviano un articolo alla rivista “Naturwissenschaften” in cui annunciano la scoperta. Nelle bozze della “Nobel Lecture”, Artificial radioactivity produced by neutron bombardment [Radioattività artificiale prodotta da bombardamento di neutroni] pubblicate nel 1939, Fermi aggiungerà una nota menzionando la scoperta: “E necessario riesaminare tutti i problemi relativi agli elementi transuranici, considerando che molti di loro potrebbero rivelarsi i prodotti della fissione dell’uranio Fermi arriva a New York il 2 gennaio e molto presto viene a conoscenza della scoperta della fissione dell’uranio. L’articolo di Hahn e Strassmann è pubblicato in gennaio ma, come ricorda Segré, “La notizia di queste sensazionali scoperte si diffuse a voce, per lettera e per telegramma mentre il lavoro procedeva e prima che fosse stato pubblicato qualsiasi risultato”. Infatti nel frattempo Hahn era rimasto in contatto epistolare con Lise Meitner, anche lei ebrea e appena fuggita dalla Germania in circostanze avventurose. Proprio la Meitner lo aveva convinto, ai tempi della scoperta della radioattività indotta da neutroni, ad approfondire le ricerche riprendendo una collaborazione che risaliva ad anni addietro, quando avevano scoperto l’elemento 91, il protoattinio. La lettera di Hahn, con le stupefacenti notizie della presenza di bario nei prodotti del bombardamento dell’uranio con neutroni, raggiunge la Meitner in vacanza in Svezia insieme a suo nipote Otto Frisch, collaboratore di Niels Bohr. I due interpretano correttamente i risultati e fanno una stima della’ quantità di energia liberata nel processo di fissione. Al suo ritorno a Copenhagen, Frisch trova Bohr in partenza per gli Stati Uniti e gli comunica la notizia. Quest’ultimo arriva a New York verso la metà di gennaio e in poco tempo la notizia si diffonde fino a raggiungere Fermi. All’epoca, Herbert Anderson sta mettendo a punto una camera di ionizzazione collegata con un amplificatore lineare per la sua tesi sulla diffusione dei neutroni ottenuti con il ciclotrone appena entrato in funzione alla Columbia University. Anderson prova subito a bombardare l’uranio con neutroni lenti. Ecco quanto racconta lo stesso Anderson: “Vedemmo gli impulsi prodotti dalla fissione dell’uranio sullo schermo del mio oscilloscopio a raggi catodici il 25 gennaio 1939”. Il giorno dopo, nel corso della VI Conferenza di Fisica Teorica tenuta a Washington, Fermi avanza l’ipotesi che in una reazione così violenta i nuclei possano emettere neutroni, che, a loro volta, sarebbero in grado di provocare una nuova fissione. Una dimostrazione del processo di fissione viene organizzata per i partecipanti al convegno. “Di ritorno alla Columbia, Fermi sapeva a quali domande voleva trovare una risposta. Venivano emessi neutroni nella fissione dell’uranio? Ed eventualmente in che quantità? Come si poteva fare in modo che questi neutroni producessero ulteriori fissioni?” e soprattutto, aggiunge Anderson, “Era possibile sviluppare una reazione a catena?” Fermi insiste sulla necessità di effettuare misure quantitative e un mese dopo il suo arrivo alla Columbia University, insieme a un gruppo di lavoro di cui fanno parte Anderson e J. R. Dunning (suo relatore), firma il suo primo articolo “americano”, The Fission of Uranium [Fissione dell’uranio] in cui vengono riportate le sezioni d’urto per neutroni lenti e neutroni veloci. In questa fase Fermi si concentra sul problema dell’emissione di neutroni, piuttosto che sugli aspetti più direttamente connessi con la reazione a catena (Production of Neutrons in Uranium bombarded by Nentrons [Produzione di neutroni nell’uranio bombardato con neutroni]). La questione della produzione di neutroni nell’uranio bombardato con neutroni è oggetto di alcune ricerche pubblicate nel 1939 sul “Physical Review”. In seguito sarà impossibile seguire il lavoro di Fermi attraverso la letteratura periodica pubblica. Le relazioni vengono dichiarate “top secret”. Nel lavoro Simple Capture of Neutrons by Uranium [Cattura semplice di neutroni da uranio], Anderson e Fermi analizzano il problema della cattura di neutroni lenti da parte dell’U-238, che, secondo la scoperta fatta da Otto Hahn e Lise Meitner, si trasforma in U-239 per cattura di un neutrone decadendo dopo circa 23 minuti in un elemento che deve avere numero atomico 93 e massa 239. Nella primavera Fermi, Anderson e Leo Szilard pubblicano Neutron Production and Absorption in Uranium [Produzione e assorbimento di neutroni in uranio]: il numero di neutroni emessi dall’uranio sotto l’azione dei neutroni lenti è maggiore di quelli assorbiti. E la condizione necessaria per realizzare una reazione a catena. Questo lavoro mette anche in evidenza l’importanza dell’assorbimento di neutroni alle energie di risonanza e fornisce la chiave di come ridurre le perdite di neutroni causate da questo effetto concentrando l’uranio in blocchi. Questi esperimenti mettono anche in luce un problema fondamentale: l’assorbimento di neutroni termici da parte dell’idrogeno è troppo alto perché l’acqua possa essere un mezzo utilizzabile per rallentare neutroni in una reazione a catena. Questo è il primo e l’ultimo esperimento fatto da Fermi in collaborazione con Szilard, il cui stile di lavoro a livello sperimentale non è affatto congeniale a Fermi. Nei mesi successivi Fermi e altri gruppi di lavoro in diverse università americane studiano i problemi connessi con la fisica della reazione a catena. La maggior parte dei progressi fondamentali per la fisica dei reattori sono realizzati durante il 1939 e il 1940. Fermi è il primo ad informare le autorità militari sulle possibili implicazioni belliche di una eventuale reazione a catena: nel mese di marzo tiene una conferenza al Ministero della Marina in seguito alla quale viene concesso un piccolo finanziamento per queste ricerche alla Columbia University. All’inizio dell’estate del 1939 Szilard, insieme a Paul Wigner, ungherese anche lui, convince Albert Einstein a firmare una lettera indirizzata a F. D. Roosevelt, all’epoca Presidente degli Stati Uniti, in cui vengono messe in evidenza le ricerche di Fermi e Szilard negli Stati Uniti e di Joliot in Francia sulla reazione a catena e la quasi certezza di poter “pervenire a questo risultato nell’immediato futuro”. Nell’adombrare la possibilità di costruire “bombe di nuovo tipo”, Einstein conclude sottolineando la necessità di agire tempestivamente e di “istituire un collegamento permanente fra il governo e il gruppo di fisici che si occupano della reazione a catena in America” in considerazione del fatto che in Germania potrebbero essere in corso ricerche analoghe. Roosevelt istituisce un Advisory Committee on Uranium, per il coordinamento delle ricerche sulla fissione svolte nei diversi laboratori degli Stati Uniti. Fermi e Szilard vengono invitati regolarmente alle riunioni. Il comitato riesce a ottenere una certa quantità di fondi per proseguire le ricerche sulla reazione a catena da parte delle forze armate americane. Durante l’estate Fermi si trasferisce ad Ann Arbor, alla scuola estiva di Fisica Teorica, dove era già stato in precedenza. In questo periodo è in contatto epistolare con Szilard. Nel mese di luglio entrambi arrivano indipendentemente alla conclusione che l’acqua non è adatta come moderatore, perché assorbe i neutroni, e che sia meglio tentare con la grafite. Nel frattempo la sua attenzione è attratta dal dibattito molto vivo che riguarda la scoperta di due anni prima, nei raggi cosmici, di particelle instabili alle quali viene attribuita una massa pari a 100 ÷ 200 volte quella dell’elettrone e una vita media, subito misurata da Bruno Rossi, di circa 2 microsecondì. L’ipotesi è che possa trattarsi del “quanto pesante” postulato da Yukawa come mediatore delle forze nucleari. Nel 1935, dopo aver letto il lavoro di Fermi sul decadimento b, il fisico giapponese Hideki Yukawa, facendo un’analogia tra il campo di forze coulombiano (a raggio d’azione infinito, a cui è associata una particella di massa nulla, il fotone) e campo delle forze nucleari, che decrescono molto rapidamente con la distanza, associa a quest’ultimo una “particella pesante”, di massa intermedia fra quella dell’elettrone e quella del protone. La particella individuata nei raggi cosmici da Carl Anderson e Seth Neddermeyer al California Institute of Technology viene battezzata “mesotrone”. Al suo ritorno alla Columbia Fermi scrive una breve nota sull’argomento (The Absorption of Mesotrons in Air and in condensed Materials [Assorbimento di mesotroni in aria e materiali condensati]). Nella primavera di quell’anno viene fornita la conferma sperimentale che il processo di fissione prodotto da neutroni lenti riguarda soltanto l’isotopo raro U-235, presente in minime quantità insieme al più abbondante U-238. In febbraio Fermi, in visita a Berkeley per un breve ciclo di conferenze, incontra Segré che non vedeva da due anni. Insieme utilizzano il nuovo ciclotrone da 60 pollici, allora il più potente del mondo, per dimostrare la scissione dell’uranio sotto il bombardamento di particelle a (Fission of Uranium by alpha-Particles [Fissione dell’uranio per mezzo di particelle a]). Al suo ritorno alla Columbia Fermi riprende gli esperimenti sull’assorbimento e la diffusione dei neutroni da parte della grafite insieme all’analisi teorica della reazione a catena, un’estensione delle ricerche già eseguite in Italia sulla moderazione dei neutroni da parte delle sostanze idrogenate (Production and Absorption of slow Neutrons by Carbon [Produzione e assorbimento di neutroni lenti in carbonio]). I risultati di questo lavoro confermano non soltanto come la grafite sia la scelta più opportuna quale materiale per rallentare i neutroni, ma sono anche della massima importanza perché forniscono una prima base teorica delle tecniche per descrivere il comportamento dei neutroni all’interno di queste sostanze. Come ricorda Segré, buona parte della nomenclatura della tecnologia nucleare viene sviluppata all’epoca. Il termine pila per il reattore nucleare, per esempio, deriva dall’inglese pile, e si riferisce alla catasta di blocchetti di grafite all’interno della quale viene inserito l’uranio. Nel frattempo, anche altre università stavano lavorando su problemi analoghi e Fermi, considerato il più grande esperto al mondo di fisica dei neutroni, fa ormai da consulente per problemi sia teorici che sperimentali. Nel frattempo sotto la pressione dell’avanzata di Hitler in Europa, Roosevelt istituisce il National Defense Research Commitee (NDRC) con il compito di coordinare le ricerche connesse con i problemi della difesa e organizzare la mobilitazione della comunità scientifica a scopi bellici. L’Uranium Committee viene posto sotto la sua giurisdizione e ne sono esclusi gli scienziati stranieri non naturalizzati come Fermi e Szilard. Fino all’estate 1941 le ricerche si focalizzano intorno alla possibilità di utilizzare la reazione a catena per la produzione di energia, piuttosto che per la produzione di un ordigno nucleare. A questo scopo Fermi prepara una relazione sui problemi relativi alla produzione di energia atomica e lo presenta all’Uranium Committee il 30 giugno 1941 (Some Remarks on the Production of Energy by a Chain Reaction in Uranium [Alcuni commenti sulla produzione di energia mediante reazione a catena in uranio]). E’ interessante notare che Fermi limita il discorso a una reazione a catena per l’uranio naturale che è in questo momento l’unica forma di uranio disponibile, in cui è prevalente l’U-238 e nel quale l’isotopo fissionabile U-235 è presente in minime tracce. La separazione di questo isotopo dall’U-238 sembra ancora un’impresa irrealizzabile da un punto di vista tecnologico. L’altra via per realizzare la fissione veniva dalla scoperta fatta da Hahn e dalla Meitner i quali avevano dimostrato che l’U-238 si trasforma in U-239 per cattura di un neutrone decadendo dopo circa 23 minuti in un elemento che doveva avere numero atomico 93 e massa 239. Nell’estate del 1940 era stato identificato a Berkeley il primo elemento transuranico, poi chiamato nettunio (Np-239) che a sua volta decade emettendo elettroni con un periodo di circa due giorni dando luogo a un isotopo di massa 239 dell’elemento di numero atomico 94, il plutonio (Pu-239). Nel dicembre del 1940 Fermi e Segré discutono della possibilità che il plutonio, preparato in quantità sufficienti, possa essere utilizzato per studiarne le possibilità nucleari ed eventualmente essere utilizzato come esplosivo. In base alla teoria di Bohr e Wheeler sull’energia di legame dei nuclei pari e dispari, ritengono probabile che questo elemento, di peso atomico dispari come l’U-235, possa dare luogo alla fissione se bombardato con neutroni lenti. Nel giro di pochi mesi Segré e altri colleghi, insieme a un certo numero di esperti radiochimici, riescono a ottenere una certa quantità di plutonio utilizzando il ciclotrone di Berkeley. Lo studio delle proprietà di questo nuovo elemento dimostra che può costituire un potenziale esplosivo nucleare. Il 1941 finisce con l’attacco dei giapponesi su Pearl Harbour, il 7 dicembre. L’entrata in guerra degli Stati Uniti determina la decisione di accelerare al massimo gli sforzi di ricerca per realizzare un ordigno nucleare sia sul piano finanziario sia sul piano scientifico e tecnico.
1942-1945
In primavera Fermi si trasferisce a Chicago, insieme a Szilard e agli altri fisici della Columbia University, presso il Metallurgical Laboratory dove inizia la costruzione di un reattore nucleare a uranio naturale e grafite di cui Fermi assume la direzione scientifica. Nel frattempo è costretto a partecipare a riunioni, a stendere relazioni, dare consigli su questioni tecniche, oltre a dirigere, con tatto, gli ingegneri che si scontrano con problemi del tutto nuovi. Invece di fare lui stesso gli esperimenti deve affidare tutto a collaboratori fidati, riservandosi solo l’analisi dei dati. Come racconta lui stesso, gli sembra di “fare fisica per telefono”. Vengono ripetuti su scala molto maggiore una serie di esperimenti cosiddetti “esponenziali” il cui scopo è quello di realizzare misurazioni di alta precisione del flusso dei neutroni nei vari punti del reticolo di grafite-uranio. Perché sia possibile una reazione a catena divergente in un sistema di uranio naturale e grafite è necessario fare molta attenzione alle perdite indesiderate di neutroni, in particolare dalle zone di confine per ridurre le quali è necessario usare una struttura sufficientemente grande. Per fare il test con una struttura più piccola Fermi inventa l’esperimento esponenziale, nel quale viene misurata la diminuzione esponenziale della densità dei neutroni in una colonna di uranio-grafite a base quadrata (Neutron Production in a Lattice of Uranium Oxide and Graphite (Exponential Experiment) [Produzione di neutroni in un reticolo di ossido di uranio e grafite (Esperimento esponenziale)]). Il metodo della pila esponenziale viene successivamente utilizzato con successo nell’analisi delle partite di materiali ricevute. Nel mese di giugno il presidente Roosevelt decide di procedere con un programma su vasta scala finalizzato alla costruzione di bombe a fissione e affida all’esercito la direzione di quello che verrà chiamato il Progetto Manhattan. Fermi organizza una serie di seminari per lo staff dei fisici che lavorano a Chicago sulla fisica dei neutroni e sulla reazione a catena (Slowing down and Diffusion of Neutrons; Determination of the Albedo and the Measurement of slow Neutron Density; The Absorption of Graphite for Thermal Neutrons [Rallentamento e diffusione dei neutroni; Determinazione dell’albedo e misura della densità di neutroni lenti; Il potere assorbente della grafite per i neutroni termici]). Secondo la testimonianza di Anderson, questi seminari rappresentano straordinari esempi della sua abilità di insegnante. Fermi propone gli argomenti in forma chiara e semplice, in modo che tutti possano seguire. Grazie alla comprensione raggiunta attraverso queste lezioni il lavoro di gruppo prosegue al massimo delle sue possibilità. In ottobre le quantità di grafite e di ossido di uranio cominciano ad avvicinarsi molto a quella necessaria per la costruzione di una pila destinata a raggiungere lo stato critico. Il progetto iniziale è quello di montare la pila nella foresta delle Argonne, ma uno sciopero ne ritarda a tal punto la costruzione che Fermi propone di utilizzare lo spazio sottostante le gradinate dello stadio dell’Università di Chicago, al centro di una zona densamente abitata. Fermi è talmente sicuro di sé da riuscire a convincere Arthur Compton, responsabile per le ricerche sulla reazione a catena e il generale Leslie Groves, direttore del Progetto Manhattan. La decisione definitiva viene presa il 14 novembre. La mattina del 2 dicembre si decide di procedere al montaggio dell’ultimo strato di uranio e grafite, il 570, quello che in base ai risultati delle misure avrebbe reso critica la pila innescando la reazione a catena. Sbarre di legno avvolte in sottili fogli di cadmio (un potente assorbitore di neutroni, come Fermi e il suo gruppo avevano scoperto a suo tempo) vengono inserite all’interno della pila per tenere sotto controllo la reazione. Fermi assume la direzione delle operazioni alla presenza di circa quaranta persone, quasi tutti scienziati del Metallurgical Laboratory. Fermi ha predisposto una serie di operazioni per raggiungere la soglia critica gradualmente e in modo perfettamente controllabile. L’ultima barra di cadmio viene estratta pezzo dopo pezzo. Ogni volta si procede con la misura dell’aumento del flusso dei neutroni. Fermi utilizza il regolo e i grafici per decidere le dimensioni del passo successivo, migliorando di volta in volta la sua capacità di previsione. Il processo converge rapidamente verso il punto critico e le sue capacità di previsione si fanno più accurate. Al momento di fare il passo finale Fermi è perfettamente sicuro che la pila raggiungerà la criticità. In effetti, una volta estratta completamente la barra la pila diventa critica: ha luogo la prima reazione a catena autosostenuta nella storia dell’uomo. Leo Szilard, che tanto aveva fatto per spingere a utilizzare l’energia nucleare, commenta: “Questo è un giorno infausto per la storia dell’uomo”, mentre Fermi, nel rapporto mensile di dicembre (Experimental Production of a divergent Chain Reaction [Esperimento di produzione di una reazione a catena divergente]) che verrà declassificato soltanto dieci anni dopo, scrive semplicemente: “La struttura per la reazione a catena è stata completata il 2 dicembre e da allora ha continuato a funzionare in modo soddisfacente”. Ciò che più emoziona Fermi non sono tanto le possibilità aperte dal funzionamento della pila circa la produzione di energia nucleare e di ordigni atomici, obiettivi che molti altri si apprestano a perseguire, ma piuttosto le eccezionali possibilità offerte dalla pila in quanto nuovo e straordinario apparato sperimentale. In effetti la pila è uno stupefacente moltiplicatore di neutroni di potenza quasi illimitata; basta cambiare di poco il numero di neutroni e immediatamente si ottiene un effetto moltiplicativo dell’ordine del milione. La pila permette un’analisi della purezza dell’uranio, uno studio accurato del reticolo uranio-grafite, tutto lavoro per fisici: un nuovo apparato da calibrare, misure da eseguire, nuovi metodi da sviluppare, limiti da esplorare, nuovi effetti da osservare, risultati da interpretare. Per un bel po’ di tempo Fermi ha troppo da fare per occuparsi di comitati. Appena tre settimane dopo viene pubblicata la prima relazione sull’attività sperimentale messa in piedi da Fermi insieme ai gruppi di Herbert Anderson e Walter Zinn, seguono una serie di relazioni mensili sullo stato delle ricerche. Dopo tre mesi le potenzialità della pila sono state esplorate in lungo e in largo, ormai si sa come ricostruirla con una serie di miglioramenti: per la fine di maggio la pila di Chicago viene rimontata nel laboratorio delle Argonne. Anderson ricorda bene lo stile di lavoro di Fermi: “Egli cominciava con sicurezza le sue ricerche nella giusta direzione; eliminando gli elementi marginali e individuando subito quelli più importanti, riusciva a estrapolare l’essenza della questione […] il suo approccio alle cose era sempre il più semplice possibile, e non si impegnava mai in una costruzione più complessa o in misurazioni più precise di quanto non fosse strettamente necessario alla soluzione del problema che gli stava davanti”. Del gruppo dei collaboratori di Fermi fa ormai parte, dalla primavera del 1942, anche Leona Woods, che nell’estate del 1943 sposa John Marshall, un membro dello stesso gruppo. Lei stessa racconta come fosse abitudine del gruppo andare ogni giorno, nel tardo pomeriggio, a fare una nuotata al lago Michigan. La domenica pomeriggio vanno tutti a fare un giro in bicicletta o passeggiano nei boschi. In queste occasioni Fermi ama molto dimostrare la sua grande resistenza fisica: la sua capacità di nuotare più lontano, di camminare più a lungo, di arrampicarsi più in alto stancandosi meno degli altri. In genere ci riesce. Nello stesso modo gli piace vincere a “freccette”, a “pulci” o a tennis, come generalmente accade. Queste qualità di allegria e mancanza di formalità proprie del carattere di Fermi facilitano il contatto tra lui e i membri giovani del laboratorio. E un compagno incredibilmente piacevole, raramente impaziente, generalmente calmo e vagamente divertito. Non si lancia spontaneamente in discorsi di politica e di economia, né di filosofia e letteratura, è difficile coinvolgerlo in questo tipo di conversazione. Nemmeno le arti visive costituiscono una particolare attrattiva per lui. Una volta, trascinato controvoglia ad una mostra di ritratti, passa tutto il tempo facendo statistiche sul rapporto tra lunghezza delle gambe e statura degli uomini del diciottesimo secolo. Nelle ore di relax parla di cose che lo divertono così come gli vengono in mente. Delinea le idee in modo qualitativo e brevemente, in modo che una volta afferrata l’immagine l’interlocutore provi il desiderio di approfondire l’argomento. Usa lo stesso metodo quando fa lezione, delineando con chiarezza i principi generali, senza dare i dettagli. In questo modo lo studente è attratto dalla sua visione ampia e al tempo stesso catturato dalla curiosità di capire più a fondo i problemi delineati. Sul lavoro Fermi è flessibile e aperto ai suggerimenti. Sostiene di avere meno esperienza tecnica rispetto agli sperimentatori ed è piuttosto lui ad assisterli nel preparare l’attrezzatura. Ma negli stadi successivi dell’esperimento è lui a guidare, per mettere a fuoco i criteri per l’individuazione delle quantità misurabili e dei risultati significativi. Fa una particolare impressione nell’analisi dei dati, come quando insiste che gli integrali si possono calcolare numericamente in un tempo inferiore a quello necessario per cercarli sulle tavole. Dopo il successo della pila di Fermi vengono avviati due progetti paralleli per la pro-duzione di materiali fissili: un impianto per la separazione dell’U-235 a Oak Ridge e la costruzione di reattori nucleari destinati alla produzione di plutonio. Fra il 1943 e il 1944 Fermi, Ziun, Marshall e altri fanno molti esperimenti di fisica pura con la pila delle Argonne, i cui risultati rimarranno tuttavia segreti fino a dopo la guerra. Questi esperimenti aprono un nuovo settore di ricerca in cui i neutroni vengono applicati allo studio dei problemi più diversi. Ancora una volta Fermi intuisce le potenzialità offerte dai neutroni e inizia lo studio dello stato solido. Nel corso di queste ricerche viene introdotta la cosiddetta “colonna termica”, un dispositivo a cui Fermi teneva particolarmente. Un blocco di grafite pura che, disposta alla sommità della pila, agisce come un selettore di velocità lasciando passare soltanto neutroni lentissimi, in modo da selezionare intensi fasci di neutroni di energia inferiore a quella termica, i cosiddetti “neutroni freddi”. I neutroni così filtrati hanno una lunghezza d’onda di de Broglie confrontabile con le distanze interatomiche delle sostanze cristalline e quindi possono essere utilizzati per osservare fenomeni di diffrazione. Questi effetti erano stati già osservati negli anni ’30, ma erano molto modesti. Ora Fermi dispone di fasci di neutroni ad alta intensità e molto collimati e li impiega inducendo effetti di interferenza in berillio, bismuto e zolfo (Production of low Energy Neutrons filtering through Graphite; Slowing down of Fission Neutrons in Graphite [Produzione di neutroni di bassa energia filtrati da grafite; rallentamento di neutroni da fissione in grafite]). Insieme a Segré, Fermi progetta anche un selettore meccanico di velocità con il quale osserva la riflessione e la rifrazione dei neutroni. Con questi lavori Fermi dà così inizio a ricerche sistematiche sulle proprietà ottiche dei neu-troni (A thermal Neutron Velocity Selector and its Application to the Measurement of the Cross-Seetion of Boron; Collimation of Neutron Beamfrom thermal Column of CP-3 and the Index of Refraetion for thermal Neutrons; Reflection of Neutrons on Mirrors [Un selettore di velocità per neutroni termici e la sua applicazione per la misura della sezione d’urto del boro; Collimazione di un fascio di neutroni dalla colonna termica del CP-3 e l’indice di rifrazione dei neutroni termici; riflessione speculare di neutroni]). Da questa serie di esperienze nasce il metodo di diffrazione a cristalli, che diventerà in seguito uno dei sistemi più efficaci nello studio della struttura dei cristalli. Fermi si trova di nuovo nelle condizioni migliori per fare ricerca, la sua attività preferita, relativamente libero da problemi organizzativi che lo hanno occupato in precedenza. Ma le sue competenze sulla fisica dei neutroni e sulla conoscenza della pila sono assolutamente uniche e spesso viene chiamato a fare da “ancora di salvezza” nei vari laboratori dove vengono prodotti i materiali fissili, come racconta Arthur Compton. Nel frattempo i problemi ingegneristici connessi con la pila vengono studiati altrove. Verso la fine dell’estate Fermi si trasferisce stabilmente a Los Alamos, nel New Mexico, dove in precedenza si era recato saltuariamente. Questi laboratori, dove sono in corso ricerche su problemi più strettamente connessi con la costruzione della bomba, costituiscono il centro principale di tutto il Progetto Manhattan. Nella primavera del 1945 più di duemila persone lavorano a Los Alamos. Sotto la direzione di Robert Oppenheimer, un brillante fisico teorico che aveva introdotto la meccanica quantistica negli Stati Uniti, i migliori fisici teorici e sperimentali si trovano ad affrontare e risolvere una serie di problemi fondamentali per il funzionamento di una bomba a fissione. Fermi ha il ruolo di superconsulente. Secondo la testimonianza di Segrè “Fermi funzionava come una specie di oracolo a cui ogni fisico con problemi difficili poteva rivolgersi e spesso ricevere aiuto”. Poco dopo il suo arrivo Fermi inizia a tenere lezioni su molti argomenti e verso la fine del 1945 svolgere un corso regolare di fisica dei neutroni. Gli appunti vengono presi da un certo numero di studenti e stilati mantenendo alla lettera la presentazione di Fermi (A Course in Neutron Physics [Lezioni di fisica dei neutroni]). Durante il soggiorno a Los Alamos fa amicizia con John von Neumaun, che ha un ruolo fondamentale nello sviluppo dei primi calcolatori elettronici. Entrambi condividono l’interesse per i computer. Fermi, da sempre un appassionato di calcoli numerici, nel suo lavoro ha dato costantemente un ruolo importante a questo tipo di applicazioni e quindi apprezza immediatamente le possibilità aperte dai nuovi strumenti. A Los Alamos passa molte ore nella stanza dei computer per studiarli e sperimentarli. Il 16 luglio, ad Alamogordo viene fatta esplodere la prima bomba atomica della storia. Fermi ha un ruolo centrale nella supervisione di questo esperimento e nella successiva elaborazione dei dati. Fin dal mese di maggio il nuovo presidente Truman aveva creato una commissione presieduta dal ministro della guerra, l’Interim Committee, con il compito di affrontare la questione di un eventuale uso della bomba atomica. L’Interim Committee era stato affiancato da una commissione scientifica composta da Oppenheimer, Fermi, Lawrence e Compton, i leader scientifici del progetto, che hanno il compito delicato di fornire consigli tecnici sull’uso dell’arma nucleare. Dopo la resa della Germania, avvenuta 1’8 maggio di questo anno, gli scienziati impegnati nel Progetto Manhattan sono costretti a porsi concretamente l’interrogativo sull’utilità di un impiego militare degli ordigni nucleari in costruzione a Los Alamos. Nei giorni immediatamente successivi alla fine della guerra con la Germania la responsabilità di affrontare queste questioni era stata affidata da Arthur Compton a un Comitato formato da vari scienziati del Metallurgical Laboratory di Chicago, presieduto da James Franck, un valente fisico tedesco sfuggito alle persecuzioni naziste. In data lì giugno il Comitato aveva presentato un lungo Memorandum nel quale si sconsigliava apertamente “l’uso delle bombe nucleari per un attacco precoce contro il Giappone” e si insisteva che fosse data una dimostrazione della bomba atomica ai capi giapponesi in una zona disabitata, prima di farne uso militare. Oltre a sottolineare il rischio di affrettare la corsa agli armamenti il Rapporto Franck metteva chiaramente in evidenza come la possibilità di generare un’ “ondata di orrore e di repulsione” nel resto del mondo potesse superare “i vantaggi militari e il risparmio di vite americane ottenuti con l’impiego senza preavviso di bombe atomiche contro il Giappone”. Il memorandum non aveva avuto alcun riscontro e quindi Szilard, che aveva fatto parte della commissione ed era fortemente convinto che l’uso della bomba atomica contro il Giappone potesse dare il via a una corsa agli armamenti, aveva fatto una serie di tentativi andati a vuoto per sensibilizzare le massime autorità dello Stato e gli altri scienziati, ma il processo decisionale era ormai inesorabilmente avviato verso l’impiego delle nuove armi nucleari. La sottocommissione scientifica dell’Interim Committee formata da Fermi, Oppenheimer, Lawrence e Compton non era persuasa che una dimostrazione avrebbe assicurato una rapida fine della guerra nel Pacifico. Alla fine di giugno i membri scrivono nel loro rapporto ufficiale all’Interim Committee: “Ci è stato chiesto di fornire un parere sull’impiego iniziale della nuova arma. …. Le opinioni dei nostri colleghi scienziati non sono unanimi e vanno dalla proposta di un’applicazione puramente tecnica a quella di un’applicazione militare più adatta a indurre i Giapponesi alla resa. […]. Non siamo in grado di proporre alcuna dimostrazione tecnica suscettibile di fare finire la guerra; non vediamo alcuna alternativa accettabile all’impiego militare diretto”. Il 6 e il 9 agosto una bomba all’uranio e una bomba al plutonio vengono sganciate rispettivamente sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Il 15 agosto cessano le ostilità.
1946-1949
Già a partire dall’autunno del 1945 molti degli scienziati che avevano lavorato al Progetto Manhattan si mobilitano per sottrarre ai militari il programma statunitense di sviluppo dell’energia atomica e per indirizzare le ricerche sulla nuova fonte di energia verso scopi pacifici e socialmente utili. Viene fondata la Federation of Atomic Scientists, cui aderiscono molti dei partecipanti al Progetto Manhattan, con lo scopo principale di informare l’opinione pubblica sui problemi dell’energia atomica. Fermi non si iscrive a questa associazione, ma prende immediatamente posizione sulla questione dell’abolizione del segreto militare, una condizione che considera fondamentale per uno sviluppo della ricerca scientifica basato sulla libera circolazione di idee e risultati. Fermi afferma con forza anche la necessità di un “libero sviluppo delle applicazioni dell’energia nucleare al riparo dalla minaccia di un impiego militare delle nuove scoperte”. Questi obiettivi naturalmente suscitano la più totale ostilità dei militari e di importanti settori del mondo politico. Va sottolineato che Fermi sostiene la necessità che la produzione di armi resti sotto il controllo dei militari. Nel mese di maggio Fermi viene invitato a parlare in pub-blico di energia atomica e sceglie come argomento le applicazioni pacifiche dell’energia atomica (Atomic Energy for Power [L’energia atomica come risorsa energetica). Tra il 1944 e il 1945, fin dai primi stadi dello sviluppo dei reattori si era fortemente interessato alla possibilità di usarli per produrre energia, in particolare aveva subito considerato la produzione in un reattore di più materiale fissile di quanto ne fosse impiegato, cioè la possibilità di reattori autofertilizzanti (Discussion on Breeding; Relation of Breeding to Nuclear Properties [Discussione sull’autofertilizzazione; Relazione tra autofertilizzazione e proprietà nucleari]). In una pila che utilizza uranio naturale questo significa produrre più plutonio rispetto all’ U-235 consumato. Fermi è talmente convinto dell’importanza pratica di sviluppare reattori autofertilizzanti da incoraggiare Zinn, direttore del laboratorio di Argonne, a progettarne e a costruirne uno. Il primo impianto commerciale di questo tipo sarà chiamato “The Enrico Fermi Atomic Power Plant”. Dopo la fine della guerra, Fermi si trasferisce all’Università di Chicago dove Compton vuole affidargli la direzione dell’Institute for Nuclear Studies, appena fondato insieme a quello di radiobiologia e a uno per lo studio dei metalli. Fermi vuole dedicarsi completamente alla ricerca e rifiuta la carica di direttore chiedendo a Samuel Allison, suo più stretto collaboratore, di occuparsi degli aspetti amministrativi. Gli anni della guerra avevano contribuito alla nascita della cosiddetta big science, sia a livello finanziario, sia a livello scientifico e tecnologico, con la costruzione di grandi macchine come reattori nucleari e acceleratori di particelle, sia a livello organizzativo. È un modo completamente inedito di fare ricerca. Nel gennaio 1946 Fermi scrive a Edoardo Amaldi e Gian Carlo Wick (che dal 1939 occupa a Roma la cattedra di Fisica Teorica lasciata da Fermi): “Dal gennaio io mi sono stabilito a Chicago, più o meno definitivamente. … Sembra che avremo mezzi piuttosto illimitati e abbiamo cominciato ad usarli ordinando un betatrone da 100 MeV […]. Anche in America la situazione della fisica ha subito cambiamenti molto profondi per effetto della guerra. Alcuni sono per il meglio: ora che la gente si è convinta che con la fisica si possono fare le bombe atomiche tutti parlano con apparente indifferenza di cifre di vari milioni di dollari. Fa l’impressione che dal lato finanziario la maggiore difficoltà consisterà nell’immaginare abbastanza cose per cui spendere. D’altra parte ci aspettiamo che il numero degli studenti cresca considerevolmente […]”. Intorno a Fermi cominciano a radunarsi molti giovani studenti, borsisti e ricercatori provenienti da Los Alamos o altri laboratori. Chicago diventa la meta di un gran numero di giovani talenti che accorrono anche da paesi come la Cina, l’India e il Canada. Anche nel corso delle ricerche finalizzate al raggiungimento di obiettivi ben precisi, come nel caso della pila o addirittura a Los Alamos, Fermi crede fermamente nella necessità di mandare avanti in parallelo insegnamento e ricerca, fra i quali non fa una vera e propria distinzione. La sua forza è di rendere partecipi i più giovani del processo di ricerca nel momento stesso in cui lui stesso vi è impegnato in prima persona. Come ricorda Albert Wattenberg, uno dei primi allievi americani di Fermi alla Columbia: “[Fermi] voleva che i giovani membri del gruppo avessero una chiara comprensione di quello che stavano facendo. […] voleva che ognuno di noi capisse la successione delle misure che si accingeva a effettuare per stabilire un controllo quantitativo di una reazione nucleare a catena […] Riduceva al minimo le dimostrazioni e gli argomenti che potevano far deviare il flusso del ragionamento. Sapeva ciò che era importante e ciò che poteva venire trascurato[…]”. Chen Ning Yang, futuro premio Nobel, ricorda così le lezioni di Fermi a Chicago: “Per ogni argomento aveva l’abitudine tipica di cominciare sempre dall’inizio, faceva esempi semplici ed evitava per quanto possibile i formalismi. (Usava ripetere per scherzo che il formalismo complicato era per “gli alti prelati”). La semplicità dei suoi ragionamenti creava l’impressione di una totale mancanza di sforzo da parte sua. Ma quest’impressione è falsa: la semplicità era il risultato di un’accurata preparazione e di una ponderata valutazione delle possibili diverse alternative di esposizione”. Secondo la sua vecchia abitudine romana, Fermi raccoglie nel suo studio, una o due volte la settimana, un piccolo gruppo di laureati a cui fa lezione in modo informale. Il tema viene proposto da lui stesso o da uno degli studenti. Gli argomenti sono i più svariati e la discussione viene mantenuta a un livello elementare. Dalla nuova scuola di fisica teorica fondata da Fermi a Chicago usciranno ricercatori come Owen Chamberlain (premio Nobel con Emilio Segré per la scoperta dell’antiprotone), Jay Orear, Harold Agnew, Geoffrey Chew, Tsung Dao Lee e Chen Ning Yang (i quali condivideranno il premio Nobel per la scoperta della non conservazione della parità nelle interazioni nucleari deboli). Nel frattempo Fermi sì impegna di nuovo a fondo nelle ricerche. Fermi viene nominato commissario del General Advisory Committee (GAC), un comitato consultivo dell’Atomic Energy Commission, composto da otto scienziati e presieduto da Oppenheimer, che ha il compito di fornire pareri scientifici e tecnici sui programmi civili e militari per lo sviluppo dell’energia nucleare; terrà questa carica fino all’agosto del 1950. La sua presenza a Chicago influenza l’Atomic Energy Commission a scegliere un luogo vicino a questa città come sede permanente dell’Argonne National Laboratory. Uno degli interessi di Fermi riguarda l’uso dei fenomeni di interferenza ottenuti con neutroni per lo studio della struttura dei liquidi e dei solidi. Owen Chamberlain si laurea con lui proprio con una tesi su questi argomenti. I campi di ricerca aperti da Fermi in questo periodo, come ricorda Segré, “si sono enormemente sviluppati col trascorrere degli anni e formano ora interi nuovi capitoli della fisica dei solidi e dei neutroni”. Ma nel frattempo l’attenzione di Fermi è di nuovo catturata dal problema dei mesoni. Alla fine del 1946 Edoardo Amaldi lo aveva messo al corrente di un importante esperimento effettuato a Roma da Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni nel corso di quell’anno. I tre avevano trovato che il decadimento e l’assorbimento dei mesotroni avveniva con delle modalità molto diverse da quello che ci si aspettava in base all’ipotesi che queste potessero essere le particelle responsabili delle interazioni nucleari, secondo la teoria formulata dal fisico giapponese Hideki Yukawa nel 1935. Fermi si rende subito conto dell’importanza dei risultati dell’esperimento di Conversi, Pancini e Piccioni e nel giro di pochi giorni, insieme a Edward Teller e Victor Weisskopf, completa un’analisi det-tagliata del fenomeno giungendo alla conclusione che i mesotroni dei raggi cosmici non possono essere identificati con la particella di Yukawa, in quanto hanno un’interazione con i nuclei molto più debole (The Decay of negative Mesotrons in Matter; The Capture of Negative Mesotrons in Matter [Decadimento di mesotroni negativi nella materia; cat-tura di mesotroni negativi nella materia]). I primi di giugno il risultato dell’esperimento e le sue implicazioni teoriche vengono discussi alla Conferenza di Shelter Island, avanzando importanti congetture. L’enigma viene risolto definitivamente pochi mesi dopo, a Bristol: Cesare Lattes, Giuseppe Occhialini e Cecil Frank Powell, utilizzando la tecnica delle emulsioni fotografiche esposte ai raggi cosmici ad alta quota, scoprono che il mesotrone osservato a livello del mare non è altro che il cosiddetto mesone μ (o muone) prodotto del decadimento di una nuova particella, il mesone π (o pione) che è appunto il mesone postulato da Yukawa. L’origine dei raggi cosmici era un problema che aveva sempre attirato l’attenzione di Fermi. Nel 1948 lo svedese Hannes Alfvén, che si era sempre interessato dei fenomeni elettromagnetici su scala cosmica, è a Chicago, invitato da Edward Teller, che all’epoca sta ragionando sull’idea che i raggi cosmici possano essere accelerati nel passare vicino al sole e vuole proseguire questo discorso con Alfvén. In questa occasione Fermi viene a conoscenza della probabile esistenza di campi magnetici relativamente intensi che attra-versano la nostra galassia, e che devono necessariamente essere indotti e trascinati dal materiale interstellare ionizzato in movimento. In un articolo pubblicato nel 1949 (On the Origin of the Cosmic Radiation [Origine dei raggi cosmici]). Fermi utilizza appunto questo fenomeno per spiegare che il principale meccanismo di accelerazione consiste nell’interazione delle particelle dei raggi cosmici con i campi magnetici vaganti che occupano lo spazio interstellare. Tuttavia questo modello, in contraddizione con l’evidenza speri-mentale, non spiega le più alte velocità raggiunte dai protoni. L’articolo, che ha origine da accese discussioni con Teller, viene scritto da Fermi anche con lo scopo di confutare il punto di vista che le particelle che formano i raggi cosmici siano principalmente di origine solare e che non possano attraversare lo spazio galattico a causa della grande quantità di energia necessaria. Fermi riesce a individuare sia un metodo per spiegare la generazione dei raggi cosmici, sia un meccanismo di accelerazione alle altissime energie osservate sperimentalmente. Queste stesse ipotesi verranno presentate da Fermi in una conferenza tenuta al Congresso Internazionale di Como sulla fisica dei raggi cosmici nel 1949, al suo primo rientro in Italia. I suoi rapporti con gli amici rimasti in Italia erano sempre stati molto stretti. Nel marzo del 1948 Amaldi gli chiede di intercedere presso il presidente del consiglio Alcide De Gasperi per appoggiare una richiesta di aumento degli stanziamenti per la ricerca scientifica in Italia. Dopo la partenza di Fermi, Amaldi si era accollato il duro compito della ricostruzione, mantenendo viva in Italia la tradizione di studi e ricerche avviata al tempo della scuola romana. Negli anni successivi diventerà il protagonista della riorganizzazione e della rinascita della fisica italiana. Nell’aprile del 1948 Fermi scrive ad Amaldi: “Da parecchi mesi ho dedicato quasi tutto il mio tempo a studiare fisica teorica. Non me ne occupavo da tanto tempo che stavo poco alla volta dimenticando quello che avevo saputo e non imparando nulla di nuovo”. Contempora-neamente lo informa dei progressi nel campo dell’elettrodinamica quantistica e dei primi mesoni prodotti artificialmente con gli acceleratori di Berkeley. Questo settore di ricerca si era espanso enormemente nel dopoguerra. Inizialmente il centro principale era stato Berkeley, dove nel novembre del 1946 era entrato in funzione il ciclotrone da 184 pollici e, l’anno successivo un elettrosincrotrone che accelerava elettroni e con il quale furono prodotti i primi mesoni per fotoproduzione. Anche alla Columbia University e a Rochester erano entrate in funzione altre macchine acceleratrici, anche se meno potenti, con le quali si producevano fasci di protoni da 200 MeV. Queste macchine aprivano nuovi orizzonti alla fisica delle particelle elementari. Fermi e gli altri fisici di Chicago erano impazienti di avere a disposizione un grande acceleratore. La costruzione di un sincrociclotrone da 170 pollici comincerà nel 1949 sotto la direzione di Herbert Anderson e John Marshall. Fermi seguirà molto da vicino questo lavoro e si occuperà di effettuare i calcoli del raggio dell’orbita del fascio emergente, usando un calcolatore grafico di sua invenzione. Prima dell’entrata in funzione di questa macchina Fermi decide appunto di dedicarsi agli studi teorici affrontando lo studio delle nuove teorie delle particelle elementari. Dopo la notizia dell’esplosione atomica sovietica, nelle alte sfere militari degli Stati Uniti si comincia a discutere la questione dell’elaborazione di un programma per la crea-zione della bomba all’idrogeno. Fermi e I. Rabi, che fanno parte del GAC esprimono la loro opinione: “Il fatto che la potenza distruttiva di questa arma non abbia limiti rende la sua stessa esistenza, nonché la capacità di costruirla, un pericolo per tutta l’umanità“. “Durante l’estate Fermi torna in Italia dopo quasi undici anni per partecipare alla conferenza di Como sui raggi cosmici; quindi tiene una serie di lezioni a Roma e a Milano, organizzate dall’Accademia dei Lincei e dalla Fondazione Donegani, dal titolo Conferenze di fisica atomica. È l’occasione per rivedere i vecchi amici e conoscere i giovani fisici della nuova generazione, che per la prima volta incontrano il leggendario Fermi. Alcuni degli argomenti trattati particelle elementari, orbite nucleari, nuovi sviluppi dell’elettrodinamica quantistica costituiscono un forte stimolo nell’orientare gli interessi dei fisici italiani verso la fisica delle particelle. Sempre durante l’estate Fermi e Chen Ning Yang, scrivono insieme Are Mesons Elementary Particles? [I mesoni sono particelle elementari?]. Lo stesso Yang racconta la genesi del lavoro: “Come abbiamo affermato esplicitamente nell’articolo non avevamo realmente l’illusione che ciò che stavamo suggerendo potesse effettivamente corrispondere alla realtà. In effetti io ero propenso a seppellire il lavoro nei quaderni di appunti e a non pubblicarlo affatto. Tuttavia Fermi disse che uno studente deve risolvere problemi mentre un ricercatore deve porsi domande; e considerò che il problema che ci eravamo posti valesse la pena di essere pubblicato”. Nell’articolo Fermi e Yang suggeriscono che i pioni possano essere particelle composte formate dall’associazione di un nucleone con un antinucleone. Il modello sarà ripreso più tardi da Shoichi Sakata con un certo successo; naturalmente solo più tardi sarà soppiantato dal modello a quark. A Chicago Fermi partecipa attivamente a tutti i seminari e a moltissime discussioni spesso gettando con una sola osservazione il seme di importanti futuri sviluppi, come ricorda, per esempio, Maria Goeppert Mayer nel suo classico lavoro sull’interazione spin-orbita negli shell nucleari, quando dice: “Ringrazio particolarmente Enrico Fermi per la sua osservazione ‘Ci sono indizi di un accoppiamento spin-orbita?’, che è all’origine dì questo lavoro.
1950-1952
Negli anni 1949-1950 Fermi comincia a preparare se stesso e i suoi colleghi e studenti di Chicago agli esperimenti sulla fisica delle alte energie che molto presto sarebbero stati in grado di fare con il ciclotrone ancora in costruzione nell’Institute for Nuclear Studies e che sarebbe stato in grado di fornire fasci di mesoni. Una parte di queste lezioni appaiono nelle “Lezioni Donegani”; una versione più completa sarà più tardi pubblicata in volume con il titolo Elementary Particles [Particelle elementari]. Uno degli esempi di questo lavoro preparatorio è rappresentato dall’articolo High Energy Nuclear Events [Eventi nucleari di alta energia] scritto come contributo per una rivista giapponese in occasione del 180 anniversario della formulazione della teoria di Yukawa. L’idea nasce dal tentativo di supporre che cosa possa succedere nel corso di collisioni nucleone-nucleone ad altissima energia con produzione multipla di particelle. Nel secondo lavoro su questi problemi (Angular Distribution of the Pions produced in High Energy Nuclear Collisions [Distribuzione angolare dei pioni prodotti in collisioni nucleari di alta energia]) Fermi confronta i risultati sperimentali con il modello teorico. Per fare queste valutazioni utilizza un metodo statistico. Questo tipo di eventi vengono osservati occasionalmente a livello di raggi cosmici, per il momento l’unica fonte di particelle di altissima energia; ci si aspettava che questi eventi potessero riprodursi in laboratorio disponendo di macchine sufficientemente grandi. Il modello di Fermi è estremamente semplificato e consente di ottenere almeno gli ordini di grandezza delle sezioni d’urto dei processi, un buon modo per cominciare a capire che cosa può accadere. Così commenta Isidor Rabi: “Se Fermi ha ragione dicendo di essere in grado di calcolare che cosa succede ad altissime energie facendo esclusivamente uso di metodi statistici, allora non abbiamo niente da imparare in questo campo”. In realtà il modello di Fermi è molto semplificato, proprio come lui vuole che sia, e pur non fornendo risultati dettagliati, che verranno trovati in seguito, tuttavia fornisce dei valori di riferimento con i quali fare i primi confronti dei risultati sperimentali, in modo da rivelare se sta accadendo qualcosa al di fuori della statistica. La sua idea d’altra parte è che le teorie sui mesoni non sono in ogni caso corrette e allora perché prendersi la briga di calcolare qualsiasi cosa in modo esatto? I metodi di Fermi erano una buona ricetta per gli sperimentali, che avevano difficoltà a seguire il modo sofisticato con il quale i teorici operavano. Il 27 gennaio 1950 Klaus Fuchs confessa di aver passato informazioni segrete sulle armi atomiche ai russi dal 1942 al 1949. Il 30 gennaio Fermi e gli altri commissari del GAC si riuniscono e giungono alla conclusione, di cui viene informato il Presidente Truman, che Fuchs poteva aver fornito ai sovietici informazioni segrete molto importanti anche sulla superbomba all’idrogeno, un progetto a cui si lavorava a Los Alamos fin dai tempi della realizzazione dell’atomica. Il 31 gennaio Truman rende nota la decisione di procedere allo sviluppo della superbomba con la massima priorità. Fermi, che come membro del GAC si era battuto contro la realizzazione della bomba, è tra i primi a rimettersi al lavoro. Nell’estate di quest’anno lavora a Los Alamos dove effettua ricerche per la realizzazione della bomba all’idrogeno. Nel novembre 1951 gli Stati Uniti faranno esplodere la prima bomba all’idrogeno che libera un’energia quasi mille volte superiore a quella della bomba di Hiroshima. Nell’agosto del 1953 anche i sovietici faranno esplodere la loro prima superbomba seguita nel 1955 dalla prima vera e propria bomba trasportabile all’idrogeno. Finalmente entra in funzione il nuovo sincrociclotrone di Chicago che accelera protoni a 450 MeV con il quale si possono produrre un gran numero di pioni. La macchina era stata costruita con l’idea che Fermi ne sarebbe stato l’utente principale e nel momento in cui viene completata quest’ultimo passa una gran quantità del suo tempo familiarizzandosi con le sue operazioni, allineando i fasci di pioni e misurando la loro intensità ed energia. E molto fiero di almeno uno dei suoi contributi alla costruzione. Si tratta del suo carrello, l’apparato per trasportare il bersaglio del ciclotrone. Può essere mosso a piacere intorno alla parte periferica del polo magnetico, controllato dall’esterno dall’azione del campo magnetico sulle correnti che possono essere inviate attraverso gli avvolgimenti a cui sono connesse le ruote. Lo aveva costruito lui stesso nella sua piccola officina e per anni ha funzionato alla perfezione. Nella primavera del 1951 Fermi, insieme a un folto gruppo di studenti e allievi, riprende l’attività sperimentale. Negli ultimi tre anni di vita si concentrerà sull’interazione fra pioni e nucleoni (cioè protoni e neutroni) che costituisce il processo fondamentale delle cosiddette interazioni forti nella teoria di Yukawa. Il nuovo ciclotrone è l’occasione per organizzare una Conferenza internazionale di fisica nucleare e delle particelle elementari, tenuta dal 17 al 22 settembre a Chicago. Circa 200 scienziati vi prendono parte e 40 di loro provengono da paesi stranieri. Vengono riferiti alcuni risultati interessanti relativi ai primi esperimenti sulla diffusione dei pioni sui protoni dell’idrogeno liquido effettuati durante l’estate. Fermi fa il discorso iniziale sulle particelle elementari (Fundamental Particles [Particelle fondamentali]) e partecipa a tutte le discussioni. Il Convegno coincide quasi con il suo cinquantesimo compleanno, che viene festeggiato informalmente con alcuni dei suoi vecchi amici. In questo periodo Fermi si interessa anche di un problema teorico riguardante l’instabilità di una superficie di separazione fra due fluidi, quando il più pesante viene accelerato dal più leggero (instabilità di Taylor). Questo argomento era stato sviluppato ampiamente a Los Alamos da John von Neumann perché era importante per il metodo di implosione delle bombe atomiche. L’interesse di Fermi ad approfondire l’argomento è testimoniato da tre lavori, due pubblicati nel 1951 (Ercerpt from a Lecture on Taylor Instability given during the Fall of 1951 at Los Alamos Scientific Laboratory; Taylor Instability of an Incompressible Liquid [Estratto di una lezione sull’instabilità di Taylor dell’estate 1951 al Laboratorio scientifico di Los Alamos; Instabilità di Taylor di un liquido incompressibile]) e il terzo nel 1953, quest’ultimo insieme allo stesso von Neumann (Taylor Instability al the Boundary of two Incompressible Liqnids [Instabilità di Taylor alla superficie di separazione di due liquidi incompressibili]). Il lavoro principale effettuato con il sincrociclotrone da 450 MeV di Chicago consiste nello studio delle interazioni di pione-nucleone. I primi esperimenti misurano per la prima volta le collisioni di pioni positivi e negativi nell’idrogeno liquido. Più tardi viene studiata in dettaglio la distribuzione angolare dei pioni diffusi dall’idrogeno, un lavoro che assorbe molto tempo e a cui Fermi si dedica a lungo. Il primo articolo relativo a questo lavoro (Total Cross Section of negative Pions in Hydrogen [Sezione d’urto totale di pioni negativi in idrogeno]) riguarda misure della sezione d’urto totale per pioni negativi nell’idrogeno e mostra che quest’ultima cresce rapidamente a partire dal basso valore trovato in precedenza da altri a 85 MeV. Molte teorie possibili sul mesone che erano state avanzate in precedenza possono essere scartate a partire da questi dati. Con i pioni negativi, oltre allo scattering (diffusione per urto) elastico, nasce la possibilità di uno scattering con scambio di carica nel corso del quale il pione negativo si converte nel pione neutro, il protone in neutrone. Nell’articolo (Ordinary and Erchange Scattering of Negative Pions by Hydrogen [Diffusione con e senza scambio di carica di pioni negativi in idrogeno]) è riportato un sorprendente risultato: quest’ultimo processo è circa due volte più frequente nel primo. L’articolo successivo (Total Cross Section of Positive Pions in Hydrogen [Sezione d’urto totale di pioni positivi in idrogeno]) riserva una sorpresa an-cora maggiore. La sezione d’urto per pioni positivi oltrepassa di gran lunga il massimo trovato per quelli negativi. Inizialmente questo risultato appare particolarmente strano, ma dopo aver letto il preprint di un articolo in cui Brùckner mette in evidenza l’importanza dello “spin isotopico” (isospin), come viene allora chiamato, nelle interazioni pione-nucleone, Fermi riesce immediatamente a collegare i risultati con questo elemento essenziale. L’isospin è il numero quantico interno il cui valore permette, per esempio, di considerare il protone e il neutrone come due stati della stessa particella, il nucleone. Fermi congettura che la reazione sia dominata dallo stato di isospin 3/2. Nel qual caso si arriva rapidamente, così come Fermi stesso fa, alla conclusione che i rapporti fra le sezioni d’urto devono essere 9 : 2 : 1 per lo scattering elastico del pione positivo, lo scambio di carica nello scattering e i processi elastici del pione negativo. Pochi mesi dopo, nel corso di un incontro a New York della American Physical Society, fa un annuncio importante che riguarda l’interazione pione-mesone per il quale ha una serie di risultati e ha trovato una spiegazione che implica un principio importante. Nell’interazione forte tra pione e nucleone si conserva lo spin isotopico. Così una vecchia idea, fino ad allora piuttosto trascurata, assume una nuova importanza. Intanto, è comparsa la prima ”risonanza” il primo stato eccitato del nucleone, quello che sarà poi chiamato N* e che farà pensare che i nucleoni abbiano una struttura. Questi esperimenti vengono seguiti con grande interesse dalla comunità dei fisici teorici dell’epoca perché da essi sembra poter venire la chiave per capire le forze nucleari. Si era ragionato molto sulla natura dell’intera-zione pione-protone; gli esperimenti avrebbero potuto mostrare quale delle molte teorie possibili avrebbe potuto avvicinarsi meglio alla verità. Il problema aveva catturato l’at-tenzione del brillante giovane teorico americano Richard Feynman, che Fermi conosceva bene dai tempi di Los Alamos. Feynman scrive a Fermi una lettera che contiene alcune predizioni basate su differenti teorie per i mesoni e per le sezioni d’urto pione-nucleone. La risposta di Fermi mostra il suo modo di analizzare i risultati sperimentali e sottolinea l’importanza dell’evidenza sperimentale della conservazione dello spin isotopico. Questi esperimenti sono alla ribalta della fisica nucleare del momento e alla terza Conferenza Rochester sulla fisica nucleare delle alte energie l’uditorio è ansioso di ascoltare la relazione di Fermi. Questi lavori di Fermi hanno dato inizio a un nuovo capitolo della fisica teorica e sperimentale. È impossibile avere un’idea globale di tutta la mole della sua attività teorica in base agli articoli pubblicati. Fermi seleziona rigidamente i suoi lavori, pubblicandone solo una parte molto esigua, ma i risultati non pubblicati vengono da lui trascritti in forma riassuntiva e conservati in numerosissimi quaderni che costituiscono quella che lui stesso chiama la sua memoria artificiale”. Il lavoro sperimentale sulle interazioni fra pioni e nucleoni riaccende l’interesse di Fermi per i computer, che cominciano a entrare in funzione proprio in questi anni. Fermi con il suo spiccatissimo senso pratico e la sua intuizione, riconosce immediatamente le potenzialità dei computer per lo studio di problemi nell’ambito delle discipline fisiche, astrofisiche e della fisica classica. Nicholas Metropolis, un fisico americano di origine greca, ricorda le sue prime discussioni con Fermi nella sala computer a Los Alamos, dove Fermi passa l’estate del 1945: “Iniziammo a discutere le caratteristiche di alcuni calcolatori elettromeccanici utilizzati per i calcoli scientifici, ma ben presto egli tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta sul quale “risultò” scritta una certa equazione, dopo di che mi chiese: “Come potremmo risolverla con la macchina?” Si trattava della formula semiempirica, da lui elaborata, delle masse atomiche. Dopo la domanda passò immediatamente all’azione […]. Per ogni fase del lavoro egli ascoltava il minimo delle spiegazioni dopo di che risolveva il problema impostato in maniera totalmente autonoma”. In paticolare, Fermi decide subito di utilizzare il MANIAC, uno dei più potenti calcolatori esistenti all’epoca appena costruito a Los Alamos per eseguire l’analisi del gran numero di dati sperimentali raccolti dal suo gruppo per i quali aveva fatto un’analisi preliminare dai risultati dello scattering dei pioni negativi nell’idrogeno con un calcolatore da tavolo Marchant. L’analisi viene completata includendo i dati sperimentali sullo scattering dei pioni positivi ottenuti dai gruppi della Columbia e della Carnegie University. Il risultato di questi specifici calcoli, insieme a una generalizzazione di queste tecniche, è contenuto nel lavoro Numerical Solution of a Minimum Problem [Soluzione numerica di un problema di minimo] frutto della collaborazione tra Fermi e Nicholas Metropolis. Al suo ritorno a Chicago Fermi è un esperto di analisi computazionale e pieno di entusiasmo per i calcolatori e tiene una serie di lezioni sull’uso e la programmazione dei computer. È in queste circostanze che si appassiona all’uso del metodo Monte Carlo che era stato inventato dai suoi colleghi e amici John von Neuman e Stanislaw Ulam. Infine bisogna ricordare che nell’estate del 1952, a quanto racconta Metropolis, Fermi si interessa alla possibilità di fare elettronicamente sia l’analisi che le misure delle tracce in emulsioni nucleari; nonostante il problema venga da lui formulato in modo molto preliminare, sono già chiare in queste premesse le linee di sviluppo che saranno seguite più tardi da altri.
1953-1954
Fermi ha ormai raggiunto un enorme prestigio nella comunità dei fisici americani: all’inizio di quest’anno viene eletto presidente dell’American Physical Socìety. I suoi in-teressi nel campo dell’astrofisica sono accolti con grande favore dagli astrofisici e gli viene chiesto di tenere una importante conferenza per l’American Astronomical Society nella quale coglie l’occasione per riesaminare le sue precedenti idee sull’origine dei raggi cosmi-ci alla luce dei successivi sviluppi delle conoscenze sull’intensità e il comportamento dei campi magnetici (Galactic Magnetic Fields and the Origin of Cosmic Radiation [Campi magnetici galattici e l’origine dei raggi cosmici]). È il primo “non astronomo” a meritare questo onore, di cui è particolarmente orgoglioso. Fermi fa un ultimo esperimento sullo scattering dei pioni; ha bisogno di più dati per l’analisi che vuole fare durante l’estate a Los Alamos e scrive l’ultimo articolo della sua vita di argomento sperimentale: Scattering of Negative Pions by Hydrogen [Diffusione di pioni negativi in idrogeno]. L’estate successiva scrive, insieme a Metropolis e a E. F. Alci, Phase Shift Analysis of the Scatterìng of Negative Pions by Hgdrogen [Analisi in fase della diffusione di pioni negativi in idrogeno]. Questo metodo di analisi dei dati nel seguito diviene il metodo standard di elaborazione dei dati sperimentali per tutti i problemi di questo tipo. Libero dal lavoro sperimentale Fermi considera la possibilità di lavorare insieme a Chandrasekhar sui problemi di interesse astrofisico, in qualche modo correlati ai suoi precedenti interessi sull’origine dei raggi cosmici. La collaborazione con Chandrasekhar nasce in parte dal carattere dell’Institute of Nuclear Studies che cerca di estendere il ventaglio degli argomenti di interesse a campi diversi dalla fisica delle alte energie e delle particelle elementari. Fermi si adopera per incoraggiare e sostenere questa tendenza. Nell’articolo Magnetic Fields in Spiral Arms [Campi magnetici nei bracci di spirale] Fermi e Chandrasekhar fanno una stima del campo magnetico nei bracci di una galassia a spirale. Nel corso degli anni 1952-1953, Fermi e Chandrasekhar discutono regolarmente di astrofisica, il tutto confluisce in uno studio esteso della stabilità gravitazionale in presenza di un campo magnetico (Problems of Gravitational Stability in the Presence of a Magnetie Field [Problemi di stabilità gravitazionale in presenza di un campo magnetico]). Quest’ultimo lavoro dimostra, in qualche modo, la disponibilità di Fermi a risolvere qualsiasi tipo di problema fisico. Secondo la testimonianza dello stesso Chandrasekhar la maggior parte dei problemi considerati derivano da suggerimenti di Fermi. Gli anni del dopoguerra vedono una enorme crescita di interesse nei confronti della magnetoidrodinamica, un campo di ricerca in cui le difficoltà nascono principalmente dalla complicazione di visualizzare le opposte tendenze alle quali è soggetto un fluido conduttore in moto in presenza di un campo magnetico. E naturale che Fermi consideri una sfida la com-prensione fisica di questo tipo di fenomeni che certamente deve averlo affascinato; d’altra parte era stato il primo a capire l’importanza dei campi magnetici per la struttura e l’evoluzione di una galassia. Nell’estate del 1952, durante una delle sue frequenti visite a Los Alamos, Fermi di-scute con il matematico Stanislaw Ulam il tipo di problemi che nel futuro si sarebbero potuti studiare per mezzo dei computer sfruttandone le potenzialità in via di svilup-po. Insieme decidono di fare una selezione di problemi da risolvere euristicamente per mezzo del computer nel tentativo di capire le proprietà delle soluzioni di problemi che non ammettono una forma analitica chiusa. Questo approccio appare particolarmente opportuno per problemi che implicano il comportamento asintotico a lungo termine o “in grande” di sistemi fisici non lineari, per i quali non è possibile fare ricorso alle sole tecniche matematiche dell’analisi classica del XIX e XX secolo. Per di più questi esperimenti di simulazione sui computer hanno il vantaggio di una chiara identificazione delle condizioni, il che non si verifica sempre in un sistema fisico reale o in un modello dove tutte le condizioni presupposte non sono talvolta esplicitamente identificate. Lo stesso Ulam racconta in dettaglio l’intera storia della collaborazione. In questa occasione Fe-mi esprime spesso la convinzione che le future teorie fondamentali della fisica possano implicare operatori ed equazioni non lineari. Dopo aver a lungo dibattuto sui possibili problemi la cui soluzione avrebbe richiesto una computazione così lunga che non sarebbe stato possibile realizzarla con carta e matita o con le calcolatrici meccaniche in uso sino a quel momento, per cominciare individuano un problema tipico e di facile formulazione, relativo allo studio del comportamento a regime di un sistema dinamico e alla previsione a lungo termine sulla sua evoluzione. Il caso studiato è quello di una molla elastica, con le due estremità fisse, sottoposta a una forza elastica di tipo ideale in cui lo sforzo è proporzionale alla tensione ma a cui viene sommato un termine non lineare molto piccolo per tener conto delle correzioni fisiche. Il problema è quello di trovare in che modo questa perturbazione non lineare avrebbe progressivamente alterato, dopo un gran numero di periodi di oscillazione, il ben noto comportamento periodico unimodale di oscillazione in avanti e indietro. La speranza è anche quella che, come i due suppongono, l’intero moto possa, infine, assumere un comportamento termodinamico, imitando, forse quello dei fluidi che sono inizialmente laminari e diventano successivamente sempre più turbolenti per poi convertire il loro moto macroscopico in calore. Per studiare al calcolatore il moto di un mezzo continuo, come una molla, si assume che esso sia composto di un numero finito di particelle; in questo caso vengono scelte 64 particelle, connesse l’una all’altra mediante forze che, oltre a essere lineari rispetto alla loro distanza reciproca, contengono in aggiunta un piccolo termine quadratico non lineare. Per fare uno studio dell’evoluzione temporale, su tempi lunghi, di questo sistema dinamico unidimensionale si calcolano gli spostamenti di ciascuno di questi punti materiali dividendo l’intero moto in brevi intervalli di tempo. Ciascun intervallo corrisponde a un passo nella computazione, e si prosegue iterando molte volte l’esecuzione dei calcoli per ciascun passo corrispondente agli intervalli successivi. Per eseguire questo lavoro numerico con carta e matita occorrerebbero letteralmente migliaia di anni. John Pasta, un fisico arrivato da poco a Los Alamos, assiste Fermi e Ulam nel compito dì elaborare un diagramma di flusso, di scrivere un programma e di farlo girare sul MANIAC. A quei tempi, non esistendo insiemi di istruzioni, programmi già pronti e procedure automatizzate (ciò che oggi chiamiamo software), l’impresa era enormemente più difficile di quanto non sia adesso. In una sola estate Fermi impara molto rapidamente come programmare i problemi sul calcolatore e non soltanto è in grado di progettarne le linee generali e costruire il cosiddetto diagramma di flusso, ma sa perfettamente effettuare lui stesso la vera e propria codificazione in ogni dettaglio, imparando una serie di piccoli trucchi. Nel lavoro Studies of non Linear Problems [Studio di problemi non lineari] firmato congiuntamente da Fermi, J. Pasta e S. Ulam, ma pubblicato nel 1955, dopo la morte di Fermi, vengono presentati i risultati di questo primo tentativo. Il lavoro, progettato già nel 1952, viene eseguito al calcolatore l’estate successiva, nel 1953. Ecco cosa racconta Ulam: “La scelta del nostro problema risultò essere molto indovinata. I risultati furono totalmente diversi da quelli che persino Fermi, con la sua grande conoscenza dei moti ondulatori, si era aspettato. Considerata una molla, posta in uno stato di moto sinusoidale puro (la nota era emessa come Tin singolo tono), l’obiettivo iniziale era quello di stabilire a quale livello di energia si sarebbero potuti sviluppare toni più alti con le armoniche; si voleva verificare, inoltre, se il comportamento del sistema sarebbe stato caratterizzato alla fine dalla presenza di “picchi raggruppati”, sia nella forma della molla, che nella distribuzione dell’energia fra le armoniche via via sempre più alte. Non accadde niente di tutto questo. Con nostra grande sorpresa la molla cominciò a suonare una melodia da musica da camera (soltanto fra poche note basse) e, cosa forse ancora più incredibile, dopo l’equivalente di parecchie centinaia di semplici vibrazioni su e giù, essa tornò nuovamente ad assumere l’esatta for-ma sinusoidale che aveva all’inizio”. Tali risultati sembrano quindi non solo interessanti ma addirittura sorprendenti, nel senso che costituiscono una piccola scoperta nel forni- re avvertimenti che le concezioni prevalenti riguardo l’universalità del “mescolamento e termalizzazione nei sistemi non lineari potrebbero non essere sempre giustificate. Nelle discussioni avvenute prima di programmare il problema e far girare il tutto sul calcolatore avevano deciso di studiarne come secondo passo una versione a due dimensioni e Fermi aveva suggerito di studiare qualcosa di puramente cinematico: “Immaginate una catena costituita da moltissimi anelli, rigidi, ma liberi di ruotare ciascuno attorno ad ogni altro. Varrebbe la pena di vedere quali forme potrebbe assumere la catena quando fosse lanciata su di un tavolo, studiando semplicemente gli effetti dell’energia iniziale e dei vincoli, in assenza di forze”. Questi studi preliminari servivano a costruire modelli per il moto di sistemi dove si potessero verificare “mescolamento” e “turbolenza”. Lo scopo era di misurare le velocità di mescolamento e “termalizzazione” (cioè la transizione da uno stato lontano dall’equilibrio a uno stato di equilibrio termico a una data temperatura) delle particelle del sistema, con la Speranza che i risultati del calcolo potessero fornire delle indicazioni per una possibile teoria. Si può supporre che un motivo nella scelta dei problemi sia rintracciabile negli antichi interessi di Fermi riguardo alla teoria ergodica. In effetti il suo lavoro giovanile Dimostrazione che in generale un sistema meccanico norma-le è quasi ergodico costituisce un importante contributo a questa teoria. Queste ricerche sull’evoluzione dei sistemi non lineari rappresentano un lavoro pionieristico. Per spiega-re le ragioni di questo comportamento periodico e regolare una serie di persone hanno cominciato a occuparsi di vibrazioni non lineari facendo interessanti analisi matematiche riguardanti problemi di natura analoga e trovando risultati del tutto peculiari, lavori che hanno continuato a svilupparsi fino ad oggi con le ricerche di dinamica molecolare e le teorie del caos e della complessità. Non è la prima volta che Fermi e Ulam collaborano; nell’estate del 1950 avevano fatto uno studio del comportamento di una reazione termonucleare in una massa di deuterio. Il problema era di enorme complessità matematica e lo scopo era quello di ottenere attraverso una schematizzazione, pur a livello discretamente elaborato, una descrizione dell’evoluzione di una serie di processi fisici coinvolti nella propagazione di questo tipo di reazione. Tutto questo lavoro era stato svolto con calcolatrici da tavolo e regoli, ma il successivo lavoro, lungo e molto impegnativo, organizzato ed effettuato al calcolatore sotto la guida di von Neumann, aveva confermato in larga parte, sia qualitativamente sia quantitativamente, il comportamento dei sistemi così come valutato e previsto nella relazione finale compilata da Fermi e Ulam, nella quale si combinavano valutazioni intuitive equazioni schematizzate e calcoli fatti a mano. Nel corso di quest’anno la comunità scientifica americana è sconvolta da un grave processo: quello contro Julius Robert Oppenheimer (“Oppie”). Il 7 novembre 1953 il direttore esecutivo del Comitato congiunto del Congresso sull’Energia Atomica, William Liscum Borden scriveva al direttore della FBI, J. Edgard Hoover, una lettera in cui asse-riva che “con tutta probabilità” Oppenheimer non solo era stato, ma continuava a essere un “agente” dell’Unione Sovietica. Immediatamente il Presidente Eisenhower aveva ordinato di escludere Oppenheimer dall’accesso ai segreti atomici e alla Atomic Energy Commission di chiarire il caso. Il processo comincia il 13 aprile del 1954 e l’accusatore è un tal avvocato Roger Robb, particolarmente violento. L’accusa è di “comunismo” e rientra perfettamente nella “caccia alle streghe” attivamente perseguita dal senatore del Wisconsin Joseph McCarthy (che ha poi dato il nome al cosiddetto “maccartismo”). Purtroppo gli scienziati chiamati a testimoniare si dividono in accusatori (in verità una minoranza) e difensori (la maggioranza). Tra i principali testimoni di accusa Edward Teller, Louis Alvarez e David Lawrence (che non testimoniò perché gravemente malato). Il processo tocca molti fatti privati e si conclude con un verdetto di condanna che non sarà mai revocato, anche se molti anni dopo John Kennedy assegnerà, e Lyndon Johnson consegnerà, a Oppenheimer il Premio Fermi (1963): Oppenheimer, ormai molto malato, all’epoca è direttore dell’Institute for Advanced Studies di Princeton. Morirà il 18 febbraio 1967 dopo aver rifiutato la riapertura del processo. Anche Fermi testimonia, il 20 aprile 1954. Naturalmente difende la lealtà di Oppenheimer e la sua correttezza verso gli Stati Uniti; ma è particolarmente importante il suo commento sull’ escalation nucleare: “La mia opinione all’epoca era che si dovesse mettere fuori legge la superbomba prima che fosse nata. Pensavo più o meno che sarebbe stato più facile mettere fuori legge, attraverso un qualche accordo internazionale, qualcosa che non esisteva”. Fermi affronta di nuovo lo studio teorico delle collisioni pione-nucleone e nucleone-nucleone applicando i metodi statistici che aveva utilizzato in precedenza nel caso della produzione multipla di pioni alle energie del cosmotrone di Brookhaven (fino a 2.5 BeV) (Multiple Produetion of Pions in Pion-Nucleon Collisions; Multiple Production of Pions in Nucleon-Nucleon Collisions at Cosmotron Energies [Produzione multipla di pioni in urti pione-nucleone; Produzione multipla di pioni in urti nucleone-nucleone all’energia del Cosmotrone]). Nel frattempo, in febbraio, riceve la visita di Emilio Segré che lo mette al corrente dei risultati di alcuni esperimenti recenti sulla polarizzazione dei protoni diffusi effettuati dal suo gruppo a Berkeley. In precedenza si era tentato di fare esperimenti simili a Chicago con risultati negativi, risultati di cui i due avevano già discusso nel novembre dell’anno precedente. I risultati ottenuti da Segré suscitano l’interesse di Fermi che vuole subito controllare se l’accoppiamento spin-orbita, che riveste un ruolo fondamentale nel modello a shell, può anche rendere conto della polarizzazione nella diffusione ad alte energie. Il calcolo riportato nell’articolo Polarization of High Energy Protons Scattered by Nuclei [Polarizzazione di protoni di alta energia diffusi da nuclei] viene effettuato da Fermi sulla sua lavagna dalle dieci della mattina fino a circa mezzogiorno. All’inizio fa una falsa partenza usando l’approssimazione di Born, fornisce un risultato nullo, ma si corregge subito e procede rapidamente mentre Segré prende appunti che poi utilizza anche per scrivere l’articolo, che sarà completato in pochissimi giorni. Fermi ama molto la semplicità del metodo e dei risultati e ne parla poco dopo a Varenna (Lectures on Pions and Nucleons [Lezioni su pioni e nucleoni]). Questa è l’ultima volta in cui Segré vede Fermi all’opera nel risolvere un problema nel suo tipico stile, a lui così familiare fin dai tempi di Roma. Durante l’estate Fermi torna in Italia per la seconda volta dalla fine della guerra. A Villa Monastero, a Varenna sul lago di Como, tiene un memorabile corso di lezioni sulla fisica dei pioni e dei nucleoni. Come ricorda Bernard Feld: “Qui c’era Fermi al massimo delle sue capacità, che metteva ordine e semplicità nella confusione, che scopriva connessioni tra fenomeni apparentemente non collegati; acume e saggezza fluivano dalle sue labbra, come al solito bianche di gesso, con la sua voce chiara e sonora. Durante il soggiorno in Italia la sua salute peggiora rapidamente. Tornato negli Stati Uniti gli viene diagnosticato un cancro allo stomaco. Muore a Chicago il 28 novembre all’età di 53 anni. Negli ultimi giorni si dedica alla revisione delle note di un corso di lezioni di fisica nucleare; il volume incompiuto sarà pubblicato postumo con il titolo Nuclear Physics [Fisica nucleare] a cura di tre suoi allievi. Quando Fermi si stabilisce all’Università di Roma come titolare della cattedra di fisica teorica, non esiste alcun gruppo di ricerca. Persico è a Firenze, Corbino è impegnato su altri fronti e si impegna principalmente sull’attività didattica. Intorno a Fermi si forma il primo nucleo di una scuola italiana di fisica moderna. Su interessamento di Corbino, Rasetti viene trasferito a Roma, mentre Emilio Segré, Edoardo Amaldi e Ettore Majorana all’epoca sono ancora studenti, ma la “velocità della formazione di un giovane fisico alla scuola di Fermi era incredibile”, come ricorda Emilio Segré. Più tardi si unirà al gruppo anche Bruno Pontecorvo. Fermi è un insegnante nato. La grande chiarezza e la nettezza dell’esposizione derivano non soltanto dalle sue profonde conoscenze e dalla sua eccezionale lucidità, ma anche dal lavoro autonomo fatto all’epoca in cui era studente. Ama tenere lezioni di fisica elementare perché attribuisce una grande importanza a una buona preparazione in fisica classica. Il suo corso di fisica matematica costituisce una specie di enciclopedia contenente elementi di elettrodinamica, di teoria della relatività, di teoria della conduzione del calore, di teoria della conduzione del calore, di teoria dell’elasticità e della diffusione.
GLI STUDI DI ENRICO FERMI
Se si apre una rivista di fisica contemporanea si incontra spesso il nome di Fermi, ma nel sostantivo derivato, “fermione”. E altre volte si entra direttamente in contesti strettamente connessi, “statistica di Fermi” o “momento di Fermi”. Tutti i corpi, ed in particolare le particelle elementari, a seconda delle loro proprietà quantistiche e della statistica che seguono (vedremo poi che cosa intendono i fisici con la parola statistica), si dividono in fermioni e in bosoni, dove la parola bosone deriva dal fisico indiano Bose, che scrisse il primo fondamentale lavoro sulle proprietà statistiche dei quanti di luce (che sono dei bosoni). In breve, i bosoni seguono la statistica di Bose-Einstein e i fermioni quella di Fermi-Dirac.
LA STATISTICA DI FERMI – DIRAC
Prima di ricostruire la storia della scoperta delle statistiche quantistiche dobbiamo fare una parentesi e spiegare che cosa i fisici intendano misteriosamente con la parola statistica. Consideriamo un caso molto semplice: due bicchieri e due palline. Assumiamo che le palline siano oggetti macroscopici (quindi soddisfano la meccanica classica). Supponiamo di mettere le palline in maniera casuale sotto i bicchieri; ci sono quattro possibilità: Due palline sotto il bicchiere A e nessuna sotto il bicchiere B. Due sotto il bicchiere B e nessuna sotto il bicchiere A. Una delle due palline sotto il bicchiere A e l’altra sotto il bicchiere B. Grosso modo, se ci limitiamo alle particelle elementari, le particelle che consideriamo co- me costituenti della materia (elettrone, protone, neutrone, neutrino, quark) sono dei fermioni, mentre quelle che sono associate alla quantizzazione di un campo di forze (fotone, gravitone, pione) sono dei bosoni. Le particelle composte sono dei bosoni, se (e solo se) sono formate da un numero pari di fermioni. La stessa situazione del caso precedente, ma con le due palline scambiate. Le probabilità corrispondenti sono P(AA)=P(BB)=1/4;P(AB)=1/2 dove abbiamo indicato con P(AA)la probabilità di avere due palline sotto il bicchiere A, con P(BB) la probabilità di avere due palline sotto il bicchiere B e con P(AB)la probabilità di avere una pallina sotto il bicchiere A e una pallina sotto il bicchiere B. Lo stesso risultato si può ottenere ragionando in maniera lievemente diversa. Metto la prima pallina a caso sotto uno dei due bicchieri (le due possibilità sono equiprobabili), successivamente aggiungo la seconda pallina a caso sotto uno dei due bicchieri (e anche adesso le due possibilità sono equiprobabili) e facendo i facili conti ritrovo il risultato precedente. La formula precedente si può generalizzare facilmente al caso di N palline in M bicchieri. Per esempio, se abbiamo due bicchieri e indichiamo con k1 e k2 il numero di palline rispettivamente nel primo e nel secondo bicchiere (k1+ k2= N) abbiamo che P (k1, k2) =N!k1!k2!(12N. Nel caso di tre bicchieri) P (k1, k2, k3) =N!k1!k2!k3!13N Questi risultati classici della teoria della probabilità vengono indicati come la statistica di Boltzmann in quanto Boltzmann li aveva usati nelle sue deduzioni statistiche. Qualche piccolo dubbio su questi risultati potrebbe venire nel caso in cui le palline siano veramente indistinguibili, tuttavia classicamente questo caso non accade mai: pos- siamo sempre seguire (almeno concettualmente) la traiettoria delle palline e identificare la prima pallina, per esempio come quella che e entrata per prima nella stanza. Quantisticamente le cose cambiano: Esistono oggetti veramente indistinguibili: tutti gli elettroni sono uguali, non c’ e un elettrone con una macchia bianca, un’altro un poco schiacciato ai poli, quello con una piccola scalfittura. . . Gli elettroni non hanno piccoli segni di riconoscimento come gli oggetti macroscopici Inoltre in meccanica quantistica non possiamo concettualmente pensare di tenere sempre sotto osservazione le particelle in modo da seguirle costantemente per evitare il rischio di confonderle, a meno di non perturbare in maniera costante il sistema. Un oggetto indivisibile, non decomponibile ulteriormente, non può avere segni di riconoscimento. Nel caso quantistico non ci sono motivi forti per mantenere la statistica classica (ovvero quella appena esposta) e considerare il caso in cui la prima pallina sta nel bicchiere A e la seconda in B come diversa dalla situazione opposta, se le palline sono indistinguibili. Tuttavia non ci sono nemmeno dei motivi evidenti per abbandonare la statistica classica e passare alle statistiche quantistiche. Abbandonare il modo classico di contare gli stati implicava un cambiamento completo di prospettiva che non era affatto facile fare. Infatti il primo passo fu fatto inconsapevolmente da Bose e sulla sua scia si inserirono velocemente Einstein, Fermi e Dirac. Proviamo a riformulare lo stesso problema in maniera quantistica. Ci sono due particelle (o palline) indistinguibili, che per ipotesi non interagiscono tra di loro. Ciascuna di queste particelle può stare in uno dei due stati quantici A o B con uguale probabilità a priori (gli stati quantici giocano lo stesso ruolo dei bicchieri). Ci domandiamo quali siano le probabilità di trovare due particelle in questi due stati quantici se le particelle sono messe in maniera casuale. Se apriamo un manuale di meccanica quantistica scopriamo che, se le particelle sono dei bosoni, nel caso precedente di due palline in due bicchieri abbiamo che P(AA)= P(BB)= P(AB)= 1/3 , sempre se supponiamo che la pallina possa stare in un solo stato quantistico dentro ciascun bicchiere. La formula precedente si può generalizzare facilmente al caso di N palline in k bicchieri. Per esempio, se abbiamo due bicchieri e indichiamo con k1e k2 il numero di palline rispettivamente nel primo e nel secondo bicchiere abbiamo che P (k1, k2) = (N + 1)-1. Nel caso di tre palline P (k1, k2, k3) = C3(N) , dove C3(N) è un’appropriata funzione di N. In generale nel caso di Bose le probabilità non dipendono dalle k ma solo da N, come fu dimostrato da Dirac nella seconda metà del ’26. Il risultato precedente e facile da interpretare. Dal punto di vista quantistico ci sono solo tre possibilità e non quattro: due palline in A, due palline in B e una pallina in A e una pallina in B; infatti, dato che le palline sono indistinguibili, non ha senso distinguere quale pallina stia in A e quale in B. Tra le particelle, che tendono a stare nello stesso stato pi u di quello che ci aspetteremmo classicamente. Le particelle che quantisticamente godono di questa statistica (di Bose-Einstein) sono dette bosoni. Tuttavia ci sono altre particelle, quelle che chiamiamo fermioni, che soddisfano il principio di esclusione di Pauli: non più di un fermione può occupare lo stesso stato quantico; sono proibite occupazioni multiple dello stesso stato. Il principio di esclusione e alla base della quasi-incomprensibilità della materia solida; inoltre implica che elettroni rotanti intorno ad un atomo pesante non si dispongono tutti nelle orbite pi u interne, ma incominciano a popolare le orbite più esterne e da questo effetto nasce la chimica. Se le nostre particelle sono fermioni, nel caso di due particelle in due stati quantici, l’unica possibilità consiste nel mettere le due particelle in stati quantici diversi e abbiamo P(AB)= 1. Ovviamente le cose si complicano se abbiamo un maggior numero di particelle e di stati quantici. In questo caso abbiamo delle formule un poco pi u complicate; tuttavia nel caso di fermioni ogni stato quantico può essere o occupato da una sola particella o rimanere libero. Avendo chiarito che cosa sia una statistica quantistica, cerchiamo di inquadrare i lavori fondamentali in cui e stato introdotto questo concetto nel loro contesto storico. All’inizio degli anni venti la situazione della teoria quantistica era confusa. Era assodata la teoria di Planck per la radiazione di corpo nero, secondo la quale ogni modo normale del campo elettrico-magnetico può avere energie solo multiple di h/2p . La teoria di Planck era stata generalizzata e si potevano calcolare i livelli energetici di sistemi quantistici il cui moto classico fosse periodico o quasi-periodico utilizzando la formula di quantizzazione di Bohr-Sommerfeld. Il caso di un moto classico generico sfuggiva alla quantizzazione. Nel caso di un potenziale generico era quindi impossibile trovare i livelli energetici del sistema e pi u in generale calcolare le proprietà statistiche. Uno dei pochi casi per cui era possibile fare i calcoli era costituito dalle vibrazioni termiche di un solido; era quindi possibile ricavare teoricamente il calore specifico di un solido, che come è noto e costante ad alte temperature, ma devia verso zero a bassa temperatura, a causa di effetti quantistici. Questo risultato e fondamentale ed e alla base della terza legge della termodinamica. Il caso del gas perfetto, invece, sfuggiva ad ogni analisi; il calore specifico era quello della meccanica classica, ovvero indipendente dalla temperatura. Questo risultato era estremamente imbarazzante in quanto in disaccordo con la terza legge della termodinamica. Questa attrazione è alla base di molti importanti fenomeni quantistici, tra cui l’effetto laser, la superconduttività e la superfluidità. In prima approssimazione la terza legge della termodinamica afferma che l’entropia a temperatura zero e finita. Questa legge, in una versione lievemente diversa, fu proposta come congettura da Nernst verso il ’10. Per motivi strani questa congettura (che si può dimostrare usando la meccanica quantistica) passa alla storia come il teorema di Nernst, mica che impone che il calore specifico si annulla a temperatura zero. Non si riusciva a progredire: mancava l’idea fondamentale necessaria per porre rimedio a questa situazione e fino al ’24 la situazione rimase bloccata. A questo proposito Einstein nel ’12 scrive “Si tratta di una ricerca a tentoni priva di basi precise. Pi u la teoria dei quanti ha successo, meno seria appare. Come riderebbero i non addetti ai lavori se fossero in grado di seguire lo strano corso di questi sviluppi concettuali.” Tutto cambiò con l’articolo di Bose del ’24. Secondo i manuali, Bose intuì che a causa dell’indistinguibilità delle particelle la statistica di Boltzmann non era più valida e doveva essere sostituita da una statistica differente. In realtà Bose probabilmente non intuì quasi nulla per quanto riguarda la statistica. Vediamo in dettaglio l’articolo di Bose. La proposta di Bose consisteva nel dividere lo spazio delle fasi (posizione e impulso) in celle di volume h3(h e la costante di Planck). Successivamente descriveva lo stato del sistema indicando quante celle contenevano un dato numero (k) di particelle. Al variare di k questa quantità era indicata con nk. Per esempio, nel caso di due particelle in due bicchieri possiamo avere: (a) n1= 2 e tutti gli altri n uguali a zero: in questo caso le due particelle sono in bicchieri differenti: il numero di bicchieri che contiene una particella e 2. (b) n0= 1 e n2= 1 e tutti gli altri uguali a zero: in questo caso le due particelle sono nello stesso bicchiere: il numero di bicchieri che contiene nessuna particella e 1 e il numero di bicchieri che contiene due particelle e 1. Bose propose che la probabilità di avere una sequenza di dati valori di n fosse data da C n0!n1!n2! . . . , dove C e una quantità opportuna tale da rendere la probabilità totale uguale a 1. Se ci ricordiamo che 0! = 1, vediamo che per il primo caso (a) la probabilità e C/2! = C/2 mentre nel secondo caso (b) la probabilità e C/(1!)2= C. Dato che la somma delle due probabilità deve essere 1, abbiamo che C = 2/3 e facendo un semplice conto ritroviamo i risultati precedenti della statistica di Bose-Einstein . La novità rivoluzionaria dell’articolo sta nella formula , che costituisce una radicale rottura con la statistica classica. Tuttavia Bose non spende una parola per giustificarla in quanto la ritiene “evidente”. Molto probabilmente, come suggerisce Pais, Bose aveva scritto la formula per analogia con quella della probabilità classica per il numero di particelle sotto i bicchieri, senza rendersi conto che le leggi della probabilità classica non implicavano affatto la sua formula . In termini più crudi Bose era stato superficiale, aveva scritto una formula che gli sembrava evidente senza rifletterci sopra e si era inconsapevolmente sbagliato (errore fecondo come quello di Colombo). Lui stesso successivamente scrisse “Non mi rendevo conto di aver fatto qualcosa di veramente nuovo. [. . . ] Non ero abbastanza esperto di statistica per capire che stavo facendo qualcosa di molto diverso da ci o che avrebbe fatto Boltzmann, dalla statistica di Boltzmann” La proposta era rivoluzionaria e per motivi incomprensibili dava il risultato giusto per la radiazione di corpo nero. L’articolo fu respinto dal “Philosophical Magazine”, che probabilmente si comportò come i saggi di Salamanca (sarebbe interessante saperne le motivazioni). Per far pubblicare il suo articolo Bose si rivolse alla sua regina Isabella, ovvero ad Einstein, scrivendogli una lettera nel giugno del ’24. Einstein subito comprese la portata dell’articolo di Bose, lo tradusse personalmente dall’inglese in tedesco per farlo pubblicare su una rivista tedesca e scrisse immediatamente un secondo articolo da cui traeva ulteriori conseguenze dalla proposta di Bose e applicava la formula di Bose al caso del gas monoatomico. Che ruolo gioca Fermi in questa storia? All’inizio essenzialmente quello dell’osservato- re. Fermi e interessato alla problematica, scrive vari articoli di statistica quantistica, per esempio: Sopra la teoria di Stern della costante assoluta dell’entropia in un gas perfetto monoatomico (1923), Sulla probabilità degli stati quantici (1923), Considerazioni sulla quantizzazione dei sistemi che contengono degli elementi identici (1924), Sull’equilibrio termico di ionizzazione (1924), Sopra la teoria dei corpi solidi (1925), articoli interessanti che contengono osservazioni intelligenti ma niente di straordinariamente nuovo. Il contributo fondamentale di Fermi arriva subito dopo l’introduzione del principio di esclusione di Pauli nel ’25. Fermi si rende conto istantaneamente delle profonde conseguenze del principio di esclusione di Pauli sulla meccanica statistica e scrive molto velocemente due articoli. L’articolo lungo in tedesco Zur Quantelung Des Idealen Einatomigen Gas e preceduto da un articolo più corto in italiano, con lo stesso titolo (Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico) pubblicato sui rendiconti dell’Accademia dei Licei, presentato in Accademia nel Febbraio del ’26. L’articolo in italiano e molto breve, 5 pagine. Fermi considera un gas monoatomico in presenza di un potenziale armonico, calcola correttamente i livelli quantistici e imponendo che ogni livello non possa essere occupato da più di un atomo, ottiene le varie proprietà termodinamiche del gas perfetto. Ad alte temperature ritrova i risultati classici, mentre scopre che a basse temperature il calore specifico non e più costante, ma va a zero proporzionalmente con la temperatura. L’entropia a temperatura zero è zero, mentre ad alte temperature l’entropia è uguale, con grande soddisfazione di Fermi, a quella ipotizzata da Tetrode e Stern, che avevano usato un argomento euristico. L’articolo tedesco contiene maggiori dettagli, ma tutte le idee nuove sono nell’articolo in italiano. La velocità impressionante di Fermi a tirare le conseguenze dell’articolo di Pauli è dovuta, secondo Pontecorvo, al fatto che “Fermi già da tempo accarezzava l’idea di questo lavoro: gli mancava però il principio di Pauli. Appena quest’ultimo venne formulato, Fermi molto spesso pubblicava i suoi lavori velocemente in forma abbreviata in italiano per avere la priorità e successivamente ne scriveva la versione estesa in tedesco e in inglese. Fermi avrebbe potuto tranquillamente mettere il gas in una scatola cubica, come aveva fatto nel passato, ma l’uso di un potenziale armonico presenta un vantaggio tecnico in quanto nella zona dove il potenziale è elevato, la densità e bassa e quindi il comportamento e simile a quello classico. Questa sottigliezza permette di arrivare al risultato voluto in maniera estremamente semplice. Mandò in stampa il suo articolo. A questo proposito c’ è da dire che Fermi era piuttosto amareggiato per non essere da solo riuscito a formulare il principio di Pauli, principio al quale -come risulta dai suoi lavori- era arrivato molto vicino.” In ogni caso l’articolo di Fermi presenta una versione definitiva della statistica di Fermi nell’ambito della meccanica quantistica prima maniera. E interessante notare che Fermi supponeva che tutti gli atomi soddisfacessero il principio di esclusione di Pauli, mentre attualmente sappiamo che questo succede solo a quelli composti da un numero dispari di fermioni (quelli composti da un numero pari di fermioni sono dei bosoni). Fermi, che non poteva supporre tutto ciò, applica erroneamente la sua statistica all’atomo d’elio che, essendo composto da sei fermioni, e un bosone. Nella seconda metà del ’26 nell’ambito della teoria quantistica vecchia maniera (quella di Planck, Bohr, Sommerfeld) il problema della statistica quantistica era molto poco chiaro: da un lato c’era una proposta strampalata (quella di Bose) per valutare i pesi statistici, che, secondo Einstein, rifletteva “una ben definita ipotesi di influenza tra le molecole, [. . . ] influenza di natura affatto misteriosa”; dall’altro c’era una proposta chiarissima, quella di Fermi che discendeva in maniera cristallina dal principio di esclusione di Pauli. Perchè bisognasse usare la prima per i fotoni e la seconda per gli elettroni era al di là di ogni possibile comprensione. Inoltre non era affatto evidente il legame tra le due proposte. La soluzione del problema e la formulazione definitiva delle statistiche quantistiche nell’ambito della nuova teoria quantistica ondulatoria arrivano nell’agosto del ’26 con un lavoro di Dirac (in cui Dirac giunge indipendentemente da Fermi a formulare la statistica delle particelle che soddifano il principio di Pauli). Nella nuova meccanica quantistica un sistema composto da una particella era rap- presentato da una funzione d’onda di una variabile (x) mentre un sistema compo- sto da due particelle era rappresentato da una funzione d’onda di due variabili (x, y). Dirac nota che se si considerano come ammissibili solo le funzioni d’onda simmetriche ((x, y) = (y, x)) le particelle soddisfano la statistica di Bose-Einstein, mentre al contrario se si considerano come ammissibili solo le funzioni d’onda antisimmetri- che ((x, y) = – (y, x)) si ottiene il principio di esclusione di Pauli e la conseguente statistica di Fermi. Inoltre la statistica di Bose, se riformulata in termini di numeri di occupazione di ogni stato quantistico, implicava una formula molto semplice. La teoria delle statistiche quantistiche era fatta, e Fermi ne fu giustamente considerato uno degli autori principali. Come esempio della notorietà di Fermi possiamo citare una lettera di Einstein a Lorentz, in cui Einstein declina l’invito a parlare della statistica quantistica al congresso Solvay del ’27, in quanto non sufficientemente competente e Einstein scriveva “la sua deduzione è elegante, ma la sostanza resta oscura”. Fermi non ha mai lavorato a Bologna; i due articoli sulla statistica erano stati fatti da Fermi mentre era professore incaricato a Firenze. Subito dopo gli articoli originali partirono le applicazioni: la prima fu un trattamento statistico degli elettroni più interni di un atomo pesante con molti elettroni, articoli di Thomas (fine del ’26) e di Fermi (fine del ’27), da cui nasce la teoria di Thomas-Fermi, che permette di calcolare in maniera quantitativa le varie proprietà degli atomi pesanti (per esempio il raggio) come funzione del numero atomico. Successivamente venne costruita la teoria dei metalli: qui gli elettroni formano un gas di fermioni quasi perfetto ad alta densità (a temperatura quasi zero) dove gli effetti quantistici sono dominanti. Già nel ’27 Pauli usa la statistica di Fermi per spiegare il paramagnetismo dei metalli alcalini e Sommerfeld incomincia uno studio sistematico dei metalli a partire dal contributo degli elettroni al calore specifico (proporzionale alla temperatura). Fermi non si interessa direttamente di queste applicazioni della sua teoria, sulle quali lavoreranno generazioni di fisici, ma rivolge piuttosto i suoi interessi verso quella che era in quel momento la nuova frontiera della fisica teorica: l’elettrodinamica quantistica, con tutti i problemi connessi all’emissione e all’assorbimento dei fotoni e scrive una serie di magistrali lavori, ammirati da tutti per l’estrema chiarezza. L’esperienza fatta studiando l’elettrodinamica quantistica, gli sarà estremamente utile nella stesura dell’articolo del ’33, Tentativo di una teoria dell’emissione dei raggi beta che forse è il contributo più profondo di Fermi alla fisica teorica.
IL LIVELLO DI FERMI
I conduttori metallici si possono considerare costituiti da un reticolo entro il quale si può muovere, pressoché liberamente, un “gas di elettroni” originato dal fatto che più elettroni appartenenti alle orbite più esterne dei singoli atomi, quando questi si avvicinano per costituire un cristallo metallico, si svincolano pressoché totalmente dal proprio atomo originario.
A titolo indicativo, nella tabella 1A viene riportata la densità di questo gas di elettroni per alcuni metalli, la corrispondente densità atomica (numero di atomi per unità di volume) e il rapporto fra i due valori. Tale rapporto consente di evidenziare il numero medio di elettroni liberi donati da ciascun atomo al gas elettronico.

Attraverso una serie di dimostrazioni la fisica classica è riuscita a dedurre utilizzando il modello del gas di elettroni liberi la legge di Ohm. Questo è sicuramente un buon successo del modello stesso ma non è necessariamente l’indicazione che esso sia un modello esauriente.
Infatti, sempre attraverso una serie di dimostrazioni, risulta la resistività espressa in funzione della temperatura dalla formula
ρ =c(T)1/2
In realtà, invece, le misure sperimentali della dipendenza resistività – temperatura mostrano che, per ciascun metallo, è individuabile una temperatura θ al di sopra della quale la dipendenza ρ – T tende a diventare di proporzionalità diretta e al di sotto della quale tende a diventare del tipo ρ = cost T5
Inoltre, dal punto di vista della fisica classica, un gas di elettroni non è diverso da un gas di molecole e proprio per questo si potrebbe supporre che l’energia totale del sistema costituito dal gas di elettroni di conduzione deve valere:
Per un metallo sia espresso da
N3kT+N(3/2)kT=N(9/2)kT
Per un isolante
N3kt
Conseguentemente, assumendo N=NA e quindi Nk=R, il calore specifico di un metallo dovrebbe valere approssimativamente (9/2)R e il valore specifico di un isolante dovrebbe valere approssimativamente 3R.
Ma la previsione è decisamente negata dalle misure sperimentali; infatti tutti i solidi al di sopra di una certa temperatura, sono caratterizzati da un valore del calore specifico molare pari a circa 3R.
La precedente trattazione ha fornito un’interpretazione microscopica della conducibilità elettrica di un metallo mediante un modello nel quale gli elettroni si devono considerare praticamente liberi e possono essere trattati secondo le leggi della fisica classica. Questo stato di libertà è tipico degli elettroni esterni degli atomi che creano legami metallici ma non è applicabile agli elettroni degli atomi che stabiliscono fra loro legami ionici o covalenti. Questi tipi di legame bloccano in certo modo gli elettroni intorno agli atomi creando ottetti stabili e quindi sono caratteristici di sostanze che, in condizioni normali, si presentano come isolanti.
Le considerazioni svolte mettono quindi in evidenza che il modello classico del gas di elettroni liberi, accanto ad alcune previsioni corrette, comporta anche previsioni errate e non è in grado di interpretare altri fenomeni importanti.
Una teoria utilizzata per risolvere simili problemi è quella del “modello di Sommerfeld” che descrive gli elettroni di conduzione di un metallo come cariche libere di muoversi in una “buca di energia potenziale elettrostatica” a pareti verticali e di profondità Ea.
Per giustificare questa ipotesi ci si può riferire ad un ipotetico “cristallo unidimensionale” ovvero ad una fila indefinita di ioni carichi positivamente e cercare di determinare la forma del potenziale da esso generato.
Quando si considera una fila di ioni positivi identici ed equidistanti, la forma del potenziale da essa generato diviene allora, in prima approssimazione, del tipo indicato in figura.
In essa, le curve tratteggiate indicano il potenziale associato a ciascun ione e la curva a tratto continuo il potenziale risultante.
Si noti, in quest’ultima figura la forma rettangolare del profilo dell’energia potenziale dell’elettrone.
Estendendo il ragionamento svolto per il “cristallo unidimensionale” all’insieme tridimensionale degli ioni carichi positivamente che costituiscono il cristallo, si può allora giungere a considerare il generico elettrone di conduzione come dotato di energia potenziale negativa.
Per estrarre dal cristallo occorrerà dunque fornire ad esso almeno una equivalente energia positiva e ciò conduce all’immagine di un elettrone posto in una sorta di “buca di energia potenziale”, come appunto si era detto in precedenza.
Secondo il modello classico, che non prevede quantizzazioni di sorta, l’elettrone potrà assumere un’energia di valore qualunque nella buca. Ad esempio, allo zero assoluto, tenendo conto della relazione (1/2)mv2=(3/2)kT, secondo la quale se T=0 deve essere v=0, tutti gli elettroni si troveranno al fondo della buca con energia nulla.
Quando la temperatura del cristallo sarà diversa da zero essi acquisteranno energia cinetica e si troveranno a un certo livello nella buca.per valori di temperatura più elevati, un certo numero di essi potrà essere dotato di energia maggiore di Ea e potrà quindi uscire dalla buca di energia potenziale ovvero potrà fuoriuscire dal metallo.
Quando nel descrivere il comportamento dell’elettrone si tiene conto dei principi quantistici, la precedente descrizione subisce due sostanziali modifiche:
i livelli energetici che l’elettrone può assumere nella buca non costituiscono più un insieme continuo. L’applicazione dei principi della meccanica quantistica conduce infatti a prevedere un insieme discreto di livelli energetici possibili la cui densità è espressa dalla formula seguente:
dZ /dE = C E1/2
ove C è una costante dipendente dal volume a disposizione degli elettroni, dalla loro massa e dalla costante di Planck.
Per quanto riguarda la collocazione degli elettroni nei livelli energetici possibili occorre tenere presente il principio di Pauli, in base al quale due elettroni non possono mai avere tutti i numeri quantici identici. In virtù di questo principio dunque, un livello energetico potrà essere occupato al più da due elettroni che dovranno però avere spin opposto.
Supponendo allora che il cristallo si trovi allo zero assoluto avremo una coppia di elettroni nel livello energetico più basso della buca di energia potenziale, una seconda coppia nel secondo livello, una terza coppia nel terzo livello e così via.
Il livello di maggior energia occupato dagli elettroni di conduzione allo zero assoluto si denomina livello di Fermi ed energia di Fermi è chiamata l’energia corrispondente a tale livello.
Il valore dell’energia di Fermi di un metallo allo zero assoluto risulta proporzionale (non direttamente) alla densità n di elettroni liberi.
Questa considerazione consente di comprendere perché i metalli caratterizzati da un livello d Fermi con energia maggiore sono anche quelli dotati di maggior densità di elettroni liberi.
In base a quanto detto in precedenza, possiamo rappresentare la probabilità di occupazione P(E) dei livelli energetici possibili allo zero assoluto come in figura.
Si osservi che la figura è del tutto simile alla figura ma è troncata in corrispondenza del livello di Fermi. Infatti la figura è una rappresentazione dei livelli energetici possibili mentre la figura è una rappresentazione dei livelli energetici effettivamente occupati dagli elettroni. Dalla figura si passa quindi alla figura tenendo conto della figura e questa indica che allo zero assoluto la probabilità che un elettrone abbia energia superiore a quella indicata dal livello di Fermi vale zero.
Quando si considerano temperature superiori allo zero assoluto, gli elettroni possono assumere energie superiori a quella del livello di Fermi. Infatti la probabilità P(E) di occupazione dei livelli si dimostra dipendere dalla temperatura secondo la relazione seguente:
P(E)= 1
e(E-Ef)/(kT)+1
Per ottenere la distribuzione della densità dei livelli energetici occupati dagli elettroni si dovrà ora moltiplicare la funzione per la e ciò conduce alla figura , nella quale dN/dE indica la densità dei livelli energetici occupati in funzione dell’energia E.
La deduzione della dipendenza della resistività di un metallo dalla temperatura è molto meno intuitiva della deduzione del suo calore specifico.
Essa infatti ci obbliga a considerare il carattere ondulatorio dell’elettrone e a determinare (con calcoli non semplici) l’interazione fra l’onda ad esso associabile e gli ioni del reticolo. Così, mentre nella trattazione classica si parlava di urto fra la particella elettrone e gli ioni del reticolo, ora si deve ragionare in termini di interferenza dell’onda elettrone con gli ioni del reticolo.
Lo sviluppo matematico di queste considerazioni mette in evidenza che per gli elettroni di conduzione le vibrazioni ioniche determinano un libero cammino medio dell’onda elettronica che è proporzionale a 1/T. da ciò si può dedurre che anche la conducibilità sarà proporzionale a 1/T ovvero che la resistività sarà proporzionale a T, in accordo, secondo quanto detto nel terzo paragrafo, con il dato sperimentale.
Tutto ciò permette di comprendere anche il cosiddetto effetto fotoelettrico, considerando che solo quanti di radiazione di frequenza f sufficientemente elevata sono in grado di estrarre gli elettroni dal cristallo da esso irraggiato.
Nella quale si mette in evidenza che l’energia di soglia hf che è necessario superare per espellere gli elettroni è direttamente fornita dall’intervallo energetico Æ che separa il livello di Fermi dall’energia zero associata allo spazio esterno al solido.
Un effetto di “soglia” di questo tipo non può essere spiegato con un modello classico degli elettroni perché ipotizzerebbe che il valore della soglia energetica al di sopra della quale si ha espulsione di elettroni dovrebbe diminuire fortemente con l’aumentare della temperatura del solido. Il modello quantistico, secondo il quale, a temperature anche piuttosto elevate, solo pochi elettroni possiedono energie appena superiori al livello di Fermi, giustifica invece molto semplicemente l’esistenza della frequenza di soglia fotoelettrica.
Si può giustificare inoltre l’effetto termoelettrico che consiste nell’emissione di elettroni da parte di un metallo adeguatamente riscaldato. Le misure della densità di corrente J associata agli elettroni emessi dall’unità di superficie di un metallo che si trova alla temperatura assoluta T conducono alla relazione seguente:
J=AT2e-C/(kT)
Ove A, in molti casi, assume il valore di 1.2×10-2 A/(m2K2) e C è una costante tipica di ciascun metallo dell’ordine di qualche eV. tale formula è nota come formula di Richardson – Fermi.
Anche in questo caso il modello classico del gas di elettroni si dimostra incapace di interpretare sia la forma dell’equazione sia l’origine fisica del parametro costante C. il modello quantistico consente invece di dedurre il valore di A sopra indicato e di identificare la costante C nell’energia potenziale Æ che separa il livello di Fermi dall’energia zero
IL DECADIMENTO BETA
Una particella beta è un elettrone ad alta velocità che fuoriesce da un nucleo in disintegrazione.
Tale particella può avere carica negativa unitaria (ß-, decadimento beta negativo), o carica positiva unitaria (ß+, decadimento beta positivo). In ogni caso la massa è identica a quella dell’elettrone.
Decadimento Beta negativo
Quando il nucleo è instabile per eccesso di neutroni, un neutrone in eccesso si trasforma in protone secondo la formula:
n° = p+ + ß– + antineutrino
È possibile spiegare il processo sfruttando la teoria dei quark.
Infatti:
un neutrone è costituito da un quark up e due down;
uno dei quark down si trasforma in un quark up. Dato che il down ha carica -1/3 e l’up 2/3, per conservare la carica bisogna che il processo sia mediato da una particella W– virtuale, che porti via una carica di -1;
il neutrone così è diventato un protone. La W– emessa si allontana;
un elettrone e un antineutrino prendono vita dal bosone virtuale W–.
Il decadimento beta negativo provoca una transizione isobarica: il numero Z aumenta di una unità e l’atomo si trasforma in un elemento chimico differente, situato a destra nella tavola di Mendelejev mentre resta invariato il numero A.
L’energia liberata dalla trasformazione del neutrone in protone diviene energia cinetica dell’elettrone (ß–) e dell’antineutrino (particella priva di massa) che vengono espulsi dal nucleo e, ad eccezione dei ß emittenti puri, rimane in parte nel nucleo provocandone l’eccitazione e la conseguente diseccitazione con emissione di un fotone gamma.
L’energia della particella ß– e dell’antineutrino è imprevedibile e si distribuisce in uno spettro continuo di valori secondo una modalità probabilistica, mentre quella del fotone gamma è caratteristica per ogni radionuclide e può assumere solo livelli discreti di energia.
Interazioni con la materia

Le particelle ß– possono ionizzare il mezzo attraversato provocando l’allontanamento di elettroni dalla sfera di influenza nucleare per repulsione elettrostatica, a spese della loro energia cinetica (in media 34 eV per ogni evento di ionizzazione in aria). Essendo molto più piccole e elettricamente meno cariche delle particelle alfa, hanno una più bassa densità di ionizzazione e potere penetrante circa 1000 volte quello di una particella alfa di pari energia.
Il range medio di una particella ß– può arrivare fino ad alcuni metri in aria e fino ad alcuni millimetri nei tessuti molli.
La Ionizzazione Specifica in aria è pari a 42 ionizzazioni / cm (per una radiazione di 1 MeV).
IONIZZAZIONE BETA– |

Le particelle ß– possono, inoltre, interagire con i campi elettrici nucleari, subendo una deviazione della traiettoria e una riduzione dell’energia cinetica, con la contemporanea produzione di un fotone “X” di Bremsstrahlung (frenamento).
L’energia dei fotoni di Bremsstrahlung corrisponde alla perdita di energia cinetica della particella ß e si distribuisce in uno spettro continuo esteso tra 0 e l’energia della radiazione ß- incidente.
La produzione di radiazioni X di Bremsstrahlung è maggiore se le radiazioni ß– attraversano materiali con alta densità. Per questo motivo, per la schermatura di radioemettitori ß- emittenti vengono utilizzati materiali plastici con basso Z, nei quali non si producono fotoni X di Bremsstrahlung che, essendo molto più penetranti, sarebbero di più difficile schermatura.
Decadimento Beta positivo
Quando il nucleo è instabile per difetto di neutroni, un protone in eccesso emette una particella ß+, chiamata positrone, e si trasforma in neutrone secondo la formula:
p+= n° + ß+ + neutrino
Il decadimento ß+ è più probabile rispetto alla cattura elettronica per gli elementi con basso numero atomico.
Il decadimento ß+ provoca una transizione isobarica: il numero Z si riduce di una unità e l’atomo si trasforma in un elemento chimico differente, situato a sinistra nella tavola di Mendelejev mentre resta invariato A.
Interazioni con la materia
Le particelle ß+ possono ionizzare il mezzo attraversato provocando l’allontanamento di elettroni dalla sfera di influenza nucleare per attrazione elettrostatica, a spese della loro energia cinetica (in media 34 eV per ogni evento di ionizzazione in aria). Il potere penetrante è uguale a quello delle particelle ß-.
Le particelle ß+ dopo circa 10E-9 secondi vanno incontro ad ANNICHILAZIONE, interagendo con un elettrone. Le due particelle scompaiono e la loro massa è trasformata in 2 fotoni gamma di 0.511 MeV, emessi in direzioni contrapposte.
I radionuclidi che decadono per emissione ß+ sono usati in medicina nucleare per la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET).
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