M. Faraday: Sull’educazione della mente

Ricorre tra qualche mese il centoquarantesimo anniversario della morte di Michael Faraday uno dei più grandi fisici della storia che ha unito alle sue eccellenti doti di ricercatore una vita intensa e piena di una carica enorme di umanità e solidarietà sociale; per onorarne la memoria pubblico un suo scritto tratto da una traduzione che ne fece il Giornale di Fisica quaranta anni fa (Vol. 8, n°4; ottobre/dicembre 1967). Si tratta di uno scritto poco noto, un suo discorso «Sull’educazione della mente ». Questa conferenza fu tenuta alla presenza di S. A. Reale il Principe Consorte e dei membri della Royal Institution il 6 maggio 1854.

Troverete passi di grande interesse che dovrebbero essere studiati e meditati dai nostri pretesi pedagogisti per non dire dai nostri epistemologi alla pera (minuscolo). Vi è un mondo da imparare, anche dalla solidità delle argomentazioni ben ancorate a fatti reali che ancora oggi viviamo come nostri.

E’ molto utile leggere il grande interesse che aveva Faraday per una seria educazione dei giovani. Ed oggi vi è un grande bisogno di ripensare ciò che si fa per rendere un migliore servizio a coloro che verranno dopo di noi.

Monsignore, la Vostra presenza qui oggi mi incoraggia a dire francamente quello che ho in mente. Io temevo che ciò potesse riuscire spiacevole ad alcuni dei miei ascoltatori, ma poiché so che Vostra Altezza Reale propugna e desidera la verità, io crederò che tutti qui sono uniti nella stessa causa, e perciò esprimerò, senza esitazione, quello che ho da dire sulle condizioni attuali dell’educazione mentale.
Se il termine educazione può essere inteso in senso così lato da includere tutto ciò che pertiene al progresso intellettuale, sia con l’acquisizione delle conoscenze altrui, o con il loro aumento tramite la propria attività, allora io posso sperare giustificazione se avanzo alcune disordinate osservazioni riguardanti l’esercizio dei poteri mentali in una particolare direzione, che, altrimenti, potrebbero sembrare fuori di posto. I punti che ho in mente sono generali, ma sono evidenti in modo impressionante, per le materie fisiche che hanno occupato la mia vita; e poiché queste ultime offrono un campo di attività in cui riflessioni e conclusioni devono essere sottoposte al rigido vaglio dei fatti e degli esperimenti — poiché tutte le categorie di persone si occupano più o meno dello studio delle materie fisiche, e possono farlo con molto vantaggio, se sono portate anche solo un poco a trar profitto dalle pratiche educative — cosi io spero che ciò che potrò dire troverà applicazione in ogni condizione di vita.
Prima di entrare in argomento, devo fare una distinzione che, comunque possa apparire agli altri, è per me di somma importanza. Per quanto in alto sia posto l’uomo al di sopra delle creature che lo circondano, c’è una posizione pili alta e molto più elevata a portata della sua vista; e sono infiniti i modi in cui egli occupa i suoi pensieri sui timori, le speranze o le attese in una vita futura. Io credo che la verità su questo futuro non possa essere portata a sua conoscenza da nessuno sforzo dei suoi poteri mentali, per quanto elevati possano essere; che essa gli sia resa nota da altri ammaestramenti che i suoi, ed è ricevuta attraverso la semplice fede nella testimonianza data. Nessuno supponga, neanche per un momento, che l’autoeducazione che sto per elogiare nei riguardi delle cose materiali, si estenda alla considerazione delle speranze che abbiamo davanti, come se l’uomo potesse comprendere Dio col ragionamento. Sarebbe inopportuno insistere qui su questo argomento oltre che affermare una distinzione assoluta fra le credenze religiose e quelle comuni. Mi sarà rimproverata la debolezza di rifiutarmi di applicare alle cose altissime quelle operazioni mentali che mi sembrano buone per le cose alte. Sopporterò il rimprovero lietamente. Anzi, anche nelle cose terrene, io credo che le cose invisibili di Lui sono chiaramente visibili dalla creazione del mondo, essendo comprensibili dalle cose create anche la Sua potenza eterna e la sua Divinità ; ed io non ho riscontrato mai alcuna incompatibilità fra le cose umane che possono essere conosciute dallo spirito che l’uomo ha in sé, e quelle cose più elevate concernenti il suo futuro, che egli non può conoscere con quello spirito.
Sostenendo quindi l’uso delle facoltà ordinarie della mente nelle cose ordinarie, lasciatemi ora tentare di mostrare quello che mi sembra essere una grande deficienza nell’esercizio dei poteri mentali in ogni direzione; tre parole esprimeranno questa grande deficienza, mancanza di discernimento. Io non voglio fare alcuna asserzione sorprendente, ma so che in argomenti di fisica molti sono pronti a trarre conclusioni che non forniscono che pochi o nessun criterio per giudicare nei singoli casi; che questo è vero anche in altri campi delle cognizioni; e che, in generale, l’umanità lascia volentieri le facoltà che influiscono sul discernimento quasi interamente diseducate, e le proprie decisioni alla mercè dell’ignoranza, dei pregiudizi, delle passioni o anche del caso.
Non si supponga poiché sto qui e parlo così, senza fare eccezioni, che eccettui me stesso. Io ho imparato a capire che non raggiungo affatto quell’efficace esercizio del discernimento che è possibile raggiungere. Ci sono, beninteso, eccezioni alle mie conclusioni generali, numerose ed alte; ma se desideriamo sapere fino a che punto l’educazione sia necessaria, non dobbiamo occuparci dei pochi che non ne abbisognano, ma dei molti che ne sono affatto privi; e, per quanto riguarda il discernimento, il numero di questi ultimi è quasi infinito. Sono per altro persuaso che le chiare e possenti menti che hanno raggiunto in qualche misura la preparazione intellettuale di cui voglio parlare, ne ammetteranno l’importanza, anzi la necessità; e che non eccettueranno se stessi né penseranno che ho fatto un’affermazione troppo ampia.
Poiché credo che una grande porzione degli errori di discernimento che facciamo sia un semplice e diretto risultato del nostro stato di perfetta inconsapevolezza, e poiché penso che una dimostrazione delle responsabilità alle quali siamo esposti ci aiuterebbe moltissimo a trovare un rimedio, procederò prima ad alcuni chiarimenti di natura fisica. Nulla può fornirceli meglio dei suggerimenti che riceviamo dai nostri sensi; in essi abbiamo immediata fiducia; per mezzo di essi prendiamo cognizione delle cose esterne e acquistiamo il potere di accrescere e modificare i fatti da cui dipendiamo interamente. Le nostre percezioni sensitive sono meravigliose. Anche nel fanciullo che osserva, ma non riflette, producono subito un risultato che, per la sua perfezione, sembra frutto di intuizione. Giungendo alla mente sotto forma di tanti dati, essi vi sono conservati e, senza che ce ne accorgiamo, vengono sempre usati in circostanze simili per formare il nostro giudizio ; e non c’è da stupirsi se siamo abituati a fidarcene senza esame. Dunque, questo risultato è effetto dell’educazione: la mente deve essere istruita sui sensi e sui loro suggerimenti in ogni fase dell’esistenza; e, quando l’istruzione è imperfetta, è stupefacente quanto e quanto rapidamente ci venga a mancare la loro testimonianza. Pur tuttavia, negli ultimi anni della nostra vita, non teniamo conto di ciò, ma, avendo avuto l’istruzione ordinaria sufficiente per gli scopi ordinari, ci azzardiamo a giudicare di cose che in quel momento sono straordinarie e quasi sempre con maggiore confidenza quanto meno educate sono le nostre capacità di osservazione. Consideriamo il seguente caso di impressione fisica, derivata dal senso del tatto, che può essere esaminata e verificata in qualsivoglia momento: Se si portano le mani l’una verso l’altra in modo che i polpastrelli delle dita corrispondenti si tocchino, l’estremità di ciascun dito si può considerare come un oggetto che può essere sentito col tatto dal dito opposto; tali possono essere considerati per il momento i due medi. Se si dirige l’attenzione su di essi, non si incontrerà alcuna difficoltà a muovere ciascuno un poco in cerchio attorno al polpastrello dell’altro, in modo che ciascuno di essi senta l’altro, ed il moto può indifferentemente svolgersi in un senso o nell’altro — sia che sì guardino le dita o che gli occhi siano rivolti altrove — mentre le altre dita si toccano stando ferme o muovendosi nella stessa direzione; tutto ciò è facile, perché ciascun dito è adoperato nel modo che gli è consueto o a cui è assuefatto, mentre obbedisce alla volontà e mentre comunica tramite l’organo sensitivo con il cervello. Ma si faccia fare un mezzo giro alle mani, in modo che adesso i dorsi siano uno contro l’altro, e poi, incrociandole ai polsi, si portino nuovamente le dita omonime a contatto per i polpastrelli. Se ora si desidera muovere le estremità dei medi l’una attorno all’altra, o seguire il contorno di un dito col polpastrello del dito opposto, ne seguirà una gran confusione di movimenti; e, mentre il dito di una mano prova, secondo le istruzioni della volontà, a muoversi in un senso, il dito toccato trasmetterà la sensazione che esso si muova in un altro. Se si muovono le dita assieme, nascerà una terribile confusione, essendo completamente scomparse la facilità e la semplicità del precedente movimento. Se, dopo numerose prove, la familiarità con le nuove circostanze ha rimosso in parte l’incertezza, allora essa riapparirà se si incrociano le mani girando i polsi dal lato opposto. Questi risultati contrastanti non dipendono da qualche cambiamento nella natura delle indicazioni sensoriali, o delle superfìci o sostanze con cui i sensi hanno a che fare, ma dall’insignificante circostanza di una piccola variazione nella direzione in cui gli organi sensori di questa parte sono di solito esercitati; e mostrano in quale misura straordinariamente grande la nostra interpretazione delle impressioni sensoriali dipenda dall’esperienza, cioè dall’educazione che i nostri sensi hanno ricevuto in precedenza, e la loro grande incapacità ad aiutarci subito in circostanze interamente nuove.
Altre volte ci vengono meno perché non possiamo conservare un fedele ricordo delle impressioni precedenti. Cosi la sera dell’11 marzo scorso, io o molti altri eravamo persuasi che in un certo momento la luna avesse effettivamente un colore verdastro, e per quanto io sapessi che le tinte rossastre prevalenti nel cielo fossero in grado di produrre un effetto di questo genere, ce ne erano così poche in prossimità della luna, che io dubitavo che il colore verdastro fosse prodotto da qualche sostanza aerea diffusasi davanti ad essa; sinché, tenendo cartoncini bianchi in posizione opportuna e confrontandoli con il nostro satellite, non ebbi determinato sperimentalmente che l’effetto era dovuto solo al contrasto. In mezzo ai colori circostanti la mia memoria non poteva richiamare la vera impressione sensitiva che il biancore della luna aveva esercitato sicuramente in precedenza sui miei occhi.
Altre volte l’incapacità è provocata dal fatto che un’impressione è sopraffatta da un’altra; perché, cosi come la stella mattutina scompare quando sorge il sole, sebbene sia ancora sopra l’orizzonte e splenda chiaramente come sempre, fenomeni più intensi oscurano quelli più deboli, anche se entrambi sono della stessa specie; sino al punto che una persona non istruita è proclive a non osservare quelli più deboli, e persino a negarne l’esistenza.
Cosi l’errore procede talvolta dalla fiducia nei nostri sensi; dovrebbe essere considerato un errore del giudizio piuttosto che dei sensi, perché questi ultimi hanno adempiuto al loro dovere; la loro indicazione è sempre corretta ed in armonia con le grandi verità della natura. Dove è allora lo sbaglio? Quasi interamente nel nostro discernimento. Non abbiamo avuto dai sensi istruzioni sufficienti a giustificare le conclusioni che ne traiamo; dobbiamo escogitare mezzi supplementari e speciali coi quali correggere o piuttosto allargare le prime impressioni; siano caduti in errore perché il nostro procedere era affrettato, i dati troppo scarsi, il nostro discernimento incolto; non perché i dati erano sbagliati. Quanto di frequente ciascuno di noi può scorgere, negli altri almeno, che un risultato come questo, derivante dall’osservazione dei fenomeni fisici, si ha anche negli affari consueti della vita ordinaria !
Quando mi accorgo di essere colpevole di tale fretta, cosa che non è infrequente, riguardo l’errore come derivante da « giudizio presuntuoso ». Sotto questa forma è facilmente presentabile alla mente ed ha un’utile azione correttiva. Io non penso che la espressione sia troppo forte; perché se siamo indotti, o per semplicità o per vanità, ad esprimere un’opinione su cose sulle quali non siamo istruiti, o dalle conoscenze altrui o dalle nostre intime osservazioni; se siamo indotti ad ascrivere un effetto ad una forza, o a negare la sua relazione con un’altra, conoscendo poco o nulla delle leggi delle forze, o le condizioni necessarie all’effetto considerato, certamente il nostro giudizio deve essere qualificato come « presuntuoso ».
C’è una moltitudine di persone che pensano di essere competenti a decidere, dopo una osservazione molto superficiale, sulla causa di questo o quell’avvenimento (e possono effettivamente essere molto acuti e corretti nelle cose a loro familiari): una frase ad essi non inusuale è che « non si può negare » che l’effetto atteso deve essere il risultato della causa che gli assegnano, eppure è difficilissimo, in molti casi che sembrano chiari, indicare la ragione o dedurre la vera e sola relazione razionale tra causa ed effetto. In argomenti relativi alle scienze naturali, abbiamo un magnifico aiuto nel progresso e nella certezza delle caratteristiche del nostro giudizio decisivo, consentitoci dai fatti che ci forniscono i dati, e dall’esperienza che ne moltiplica il numero e ne varia la testimonianza. Un fatto fondamentale, come un principio elementare, non ci manca mai, la sua testimonianza è sempre veritiera; d’altra parte, spesso dobbiamo chiederci: qual è il fatto? … spesso sbagliamo nel distinguerlo,… spesso sbagliamo proprio nell’esporlo,… per lo più travalichiamo o restiamo al di qua del suo riconoscimento.
Se siamo passibili di errare nell’interpretazione delle nostre pure e semplici impressioni sensoriali, siamo ancor di più esposti all’errore quando passiamo a dedurre da queste impressioni (che ci sono fornite dalle nostre esperienze ordinarie) la relazione tra causa ed effetto; e l’esattezza del nostro giudizio è, di conseguenza, ancor più compromessa. Quindi dobbiamo appoggiarci ai fatti osservati con cura e alle leggi naturali; ed io procederò ad illustrare ulteriormente il difetto mentale di cui parlo, facendo brevemente riferimento ad una di queste leggi.
Le leggi naturali, come noi le intendiamo, sono la base della nostra conoscenza dei fenomeni naturali. Tutto ciò che noi sappiamo su di esse è stato sviluppato dagli sforzi successivi degli intelletti più elevati, esercitati in molti periodi. Dopo un esame molto rigido ed attento del principio e degli esperimenti, è stata data loro una formulazione definitiva; esse per noi sono divenute, per così dire, articoli di fede. Giorno per giorno ne esaminiamo e verifichiamo la formulazione. Non abbiamo interesse a mantenerle se sono fallaci; al contrario la più grande scoperta che un uomo possa fare è dimostrare che una di queste leggi generalmente accettate è erronea, e la scoperta tornerebbe a suo massimo onore. Né dovrebbe esserci alcun desiderio di conservare la formulazione precedente: perché sappiamo che la legge nuova o corretta produrrebbe maggiori risultati, accrescerebbe le nostre acquisizioni intellettuali e si rivelerebbe sorgente abbondante di fresche delizie per la mente.
Queste leggi sono numerose e sono più o meno esaurienti. Esse sono anche precise; perché una legge può presentare un’apparente eccezione e ciò non di meno essere per noi una legge, se l’eccezione è prevista nella sua formulazione. Così è una legge ben definita che l’aumento della temperatura fa dilatare tutti i corpi, quantunque vi sia un eccezione per l’acqua in un limitato intervallo di temperatura; perciò abbiamo cura, nell’esprimere la legge, di specificare l’eccezione e i suoi limiti. Un posto preminente fra queste leggi, per la sua semplicità, la sua universalità e la sua rigorosa verità, occupa quella enunciata da Newton (comunemente detta legge di gravitazione), che la materia attrae la materia con una forza inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Newton dimostrò che questa legge regola le condizioni generali degli oggetti sulla superfìcie della terra; e da essa il globo stesso, con tutto quello che c’è sopra, è tenuto assieme come un tutto. Dimostrò che i moti dei pianeti attorno al sole e quelli dei satelliti attorno ai pianeti, sono soggetti ad essa. Durante e dopo la sua epoca, si trovò che ne erano conseguenza necessaria alcune irregolarità nel moto dei pianeti, che furono chiamate perturbazioni e che potevano, per quel che se ne sapeva allora, essere dovute a qualche altra causa diversa dall’attrazione gravitazionale. Con la grande e osservatrice attenzione delle menti più perseveranti ed accurate si poté accertare che anche le lontane stelle erano soggette a questa legge; ed infine, per porre, per così dire, il sigillo di garanzia alla sua infallibile verità, divenne, nelle menti del Leverrier e Adams (1845), l’annunziatrice e la scopritrice di un orbe rotante nelle profondità dello spazio, cosi grande da eguagliare quasi sei terre, eppur così distante da essere invisibile ad occhio nudo. Quale verità, inferiore a quelle rivelate, può avere una garanzia più forte di questa?
Eppure questa legge spesso viene scartata come priva di valore e di autorità, a causa dell’inconscia ignoranza nella quale siamo immersi. Si sente ancor oggi che alcune persone mettono le loro dita su un tavolo e, quando sollevano le mani, il tavolo si solleva e le segue; che questo pezzo di mobilio, per quanto pesante, si muove verso l’alto, e che le loro mani non sostengono alcun peso e non sono tirate in giù verso il legno; non si parla di questo come di un gioco di prestigio, mostratovi per divertimento, ma ci si attende che vi crediate seriamente, e vi vien detto che è un fatto importante, una grande scoperta fra le verità naturali. Il vostro vicino, una persona dabbene e coscenziosa, ci crede; e quella asserzione è accettata da ogni classe sociale, e da categorie di persone ritenute colte. Ora cosa altro si può dedurre da ciò se non che la società, in generale, non solo è ignorante per quanto riguarda l’educazione del discernimento, ma è anche ignorante della sua ignoranza. Coloro che ne sono persuasi e coloro che propendono a pensare e a sperare di aver ragione, gettano via ad un tratto la legge di Newton, e proprio in un caso che fra tutti gli altri è il più adatto a essere controllato da essa; o se la legge fosse erronea, a controllarla. Io non dirò che costoro si oppongano alla legge, quantunque io abbia in effetti sentito citare trionfalmente questo presunto fatto contro di essa; ma per quanto io ho potuto osservare, essi non la applicano. La legge fornisce il metodo più semplice per controllare il fatto; e se vi fosse davvero in quest’ultimo qualcosa di nuovo per le nostre conoscenze (e chi potrebbe dire che non ci si presentino ogni giorno cose nuove che passano senza che ce ne accorgiamo?), essa ci fornisce i mezzi per porre questo fatto davanti a noi isolato nella sua semplicità e verità. Allora perché non acconsentire ad applicare le conoscenze che abbiamo a ciò che è in via di sviluppo? Dovremmo istruirci in ciò che è noto, e poi, gettando via tutto ciò che abbiamo acquisito, rivolgerci alla nostra ignoranza perché ci aiuti a guidarci nell’ignoto! Tanto varrebbe allora insegnare ad un uomo a scrivere, ma per leggere ciò che è scritto impiegare uno che è ignaro di lettere; il risultato sarebbe altrettanto insoddisfacente, ma non altrettanto oltraggioso; perché il libro della natura, nel quale dobbiamo leggere, è scritto dalla mano di Dio. Perché colui che è in grado di alzare un tavolo in quel modo non provvede a verificare e controllare questo fatto e a porlo in relazione con la legge di Newton? Perché non prende il piano del suo tavolo (potrebbe essere uno piccolo) e, mettendolo su una bilancia o una leva, procede ad accertare quanto peso può sollevare con la trazione delle sue dita verso l’alto; e di questo peso, cosi accertato, quanta parte non è rappresentata da una trazione verso il basso sulle dita? Allora sarà in grado di studiare l’altra questione, se l’elettricità, o qualche altra forza materiale, si manifesti nelle sue operazioni; oppure se, essendo disuguali l’azione e la reazione, ha in suo potere la sorgente del moto perpetuo. Un siffatto uomo, fornito di un carrello ben costruito, su un binario, potrebbe viaggiare grazie alla mera attrazione delle sue dita. Un pregio molto minore di questo gli guadagnerebbe già l’attenzione di tutto il mondo scientifico e commerciale; e stia pur sicuro che, se può fare abbassare od alzare per attrazione la più delicata bilancia, sia pure controbilanciando un quarto di oncia o anche un grano, non mancherà di conquistarsi il rispetto universale e la più onorevole ricompensa. Quando pensiamo alle leggi naturali (che per le continue osservazioni ci sono diventate note) come il banco di prova al quale deve essere sottoposto in primo luogo ogni nuovo fatto o la sua rappresentazione teorica, contempliamone le caratteristiche assodate e vaste. Andiamo nei campi e guardiamo il firmamento con le sue glorie di soli, stelle e pianeti; il cielo colle sue nuvole; le acque che scendono dall’alto o scorrono ai nostri piedi; gli animali, gli alberi, le piante; e consideriamo la stabilità dalle loro azioni e condizioni sotto il governo di queste leggi; sempre variabile eppur sempre la stessa. Se pensiamo di aver scoperto un’infrazione, come negli Aphides, Medusae, Distomae, ecc. (1), la stessa legge interessata è il miglior mezzo per dar principio ad uno studio, e sinora abbiamo sempre trovato che il testimone ritorna alla sua testimonianza originale. Queste fragili cose sono incessanti, invariabili, prova della immutabilità della legge. Sarebbe bene che colui che si trova davanti ad un caso anomalo, contemplasse una foglia d’erba, e dopo aver riflettuto sulle numerose incessanti e pur certe azioni che vi hanno luogo, e la sua incapacità a cambiare le caratteristiche dell’infima di esse, tornasse al suo nuovo soggetto; ed, invece di accettare risultati non controllati né verificati, si mettesse a ricercare una simile certezza e ricorrenza nelle manifestazioni ed azioni di quel nuovo fenomeno.
Forse si può dire che l’illusione di far ballare i tavolini è passata, e non occorrerebbe riparlarne davanti ad un uditorio come quello di oggi (2); anche ammesso ciò, cerchiamo di fare in modo che questo argomento produca un risultato utile; facciamo in modo che serva di esempio e non passi in dimenticanza. È tanto recente ed è stato accolto dal pubblico in modo così strano, da giustificare che se ne parli a riprova dello stato di diseducazione della mentalità generale. Non ho obiezioni contro il movimento dei tavolini in sé stesso; che una volta assodato diviene un conveniente, per quanto poco promettente, soggetto di esperimenti; ma mi oppongo alla ritrosia dei suoi sostenitori a studiarlo, alla loro impudenza nel fare asserzioni, alla credulità degli spettatori, al loro desiderio che chi obietta per riserva e cautela sia in errore; ed intendo, richiamando l’attenzione su queste cose, rendere manifesta la generale mancanza di disciplina ed educazione mentale.

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Dopo essermi sforzato di mostrare questa grande deficienza nell’uso dell’intelletto, presenterò alcune osservazioni sui mezzi per sottometterla ai perfezionati sistemi di istruzione. Forse molti di coloro che curano gli interessi della comunità e desiderano ardentemente il suo benessere, concluderanno che lo sviluppo del discernimento non può essere propriamente incluso nell’idea generale di educazione; che, poiché l’educazione proposta deve rivolgersi, in grandissima parte, all’« io », per questo stesso è incomunicabile: che il maestro e lo scolaro si fondono in uno, e così scompaiono entrambi; che l’insegnante non è più sapiente dell’allievo, e così i soliti rapporti fra i due perdono la loro efficacia. Ciò nonostante io credo che il discernimento può essere educato in larghissima misura, e potrei fare riferimento alle belle arti, che danno una testimonianza positiva; e sebbene, per quanto riguarda la comunità ed il suo miglioramento rispetto alle cose comuni, ogni educazione efficace debba essere dell’« io », io penso che la società, come un tutto, può agire energicamente in questo caso. Oppure si potrebbe ancora obiettare che la mia esperienza è imperfetta, che deriva principalmente da una attività svolta nei limiti delle scienze naturali, e che non ha quella generalità di applicazione che può darle valore per la società nell’insieme. Posso solo ripetere la mia convinzione che la società oggi si occupa di argomenti fisici e li giudica oggetti comuni. Errando in rapporto ad essi, è ugualmente esposta a trasferire questi errori in altri campi della vita. La prova della mancanza di discernimento in un settore indica un abito mentale, e la scarsità generale in rapporto agli altri settori. Sono persuaso che tutti possono trovare nei fenomeni naturali un’ammirevole scuola per istruire sé stessi ed un campo per svolgere i necessari esercizi mentali ; che essi possono facilmente applicare i loro modi di pensare, così formati, ad uno scopo sociale; e che essi dovrebbero farlo come un dovere verso se stessi e la loro generazione.
Lasciatemi illustrare la prima parte dell’argomentazione e nello stesso tempo esporre quello che io penso che un uomo può e deve fare per se stesso.
L’autoeducazione verso la quale l’uomo deve essere stimolato dal desiderio di migliorare il proprio discernimento, non richiede una cieca dipendenza dai dogmi altrui, ma gli è raccomandata dai suggerimenti e dai dettami del suo buon senso. Principalmente essa è fondata sulla disciplina mentale; fortunatamente essa non richiede spiacevoli confessioni, si conservano le apparenze e la vanità non è offesa, ma è necessario che ciascuno esamini se stesso e senza negligenza. Al contrario, man mano che progredisce, ciascuno deve diventare sempre più severo, sinché alla fine dimostra di essere un critico di se stesso più sottile di chiunque altro; ed egli dovrebbe proporsi ciò, perché, se non vi giunge consapevolmente, egli riconosce che gli altri possono essere dalla parte della ragione quando lo criticano. Un primo risultato di questo abito mentale sarà un intimo convincimento di ignoranza in molte cose nelle quali altri sono istruiti, e che su questi argomenti dovrebbe avanzare le sue opinioni e le sue conclusioni con riserbo. Una mente così disciplinata sarà aperta alle correzioni in ogni campo purché giustificate, anche in quelli in cui è più esperto, e dovrebbe familiarizzarsi con l’idea che ciò potrebbe sempre avvenire; perché anche se egli non vede la ragione per supporre di essere in errore, pure ne esiste la possibilità. La mente non risulta indebolita da queste intime ammissioni, ma rafforzata; perché, se essa non valutasse adeguatamente quanto probabilmente c’è di giusto e quanto di sbagliato negli argomenti che non conosce bene, tenderebbe o ad essere avventata o ad esitare; mentre colui che ammette il dovuto ammontare di probabilità alla fine sarà forse scusato. È giusto persistere ed agire secondo i propri princìpi; ma non è giusto sostenerli con cieca ostinazione o insistervi quando è stato dimostrato che sono sbagliati. Io ricordo il tempo in cui credevo che si producesse una scintilla fra i metalli voltaici quando li si avvicinava per portarli a contatto (e le ragioni per cui ciò era possibile rimangono ancora valide); ma altri dubitavano di questo fatto e respingevano le prove, e dopo un riesame ho trovato motivi per ammettere che le loro correzioni erano ben basate. Anni fa io credevo che gli elettroliti potessero condurre l’elettricità per conduzione propriamente detta; anche questo fu negato a lungo da molte persone; pur ritenendo di avere ragione, tuttavia le circostanze mi hanno indotto a portar rispetto alle critiche e riesaminare la questione, e ho la soddisfazione di pensare che la natura conferma le mie conclusioni originarie. Così anche se le prove possono sembrar propendere nettamente a favore di una certa decisione, è saggio e opportuno ascoltare le opinioni contrarie. Non potete avere un’idea di quanto e quanto spesso, sotto questa impressione, ho desiderato che le meravigliose descrizioni che mi erano giunte potessero mostrarsi, in alcuni punti, corrette; e quanto frequentemente mi sono sottoposto al calore delle fiamme, allo sfregamento con calamite, al passar delle mani, ecc., per timore di escludermi da una scoperta; incoraggiandomi l’ardente desiderio che ci potesse essere qualcosa di vero, e che potessi concorrere allo sviluppo di una nuova forza naturale.
Tra quei punti dell’autoeducazione che assumono la forma di disciplina mentale, ce n’è uno di grande importanza e, per di più difficile a trattare, perché causa un conflitto interno e tocca ugualmente la nostra vanità e la nostra tranquillità. Consiste nella tendenza ad ingannare noi stessi riguardo a ciò che desideriamo, e la necessità di resistere a questo desiderio. È impossibile per chiunque non è stato costretto, dal corso delle sue occupazioni e dei suoi pensieri, ad abituarsi a correggere continuamente se stesso, rendersi conto della quantità di errori di discernimento generati da questa tendenza. La forza della tentazione che ci spinge ad andare in cerca di quelle testimonianze e di quelle manifestazioni che sono a favore dei nostri desideri, e a trascurare quelle a sfavore, è straordinariamente grande. A questo riguardo siamo tutti, chi più chi meno, attivi promotori di errori. Invece di praticare una sana rinuncia, noi facciamo sempre del desiderio il padre del pensiero; accogliamo come amico ciò che ci dà ragione, resistiamo con avversione a ciò che ci dà torto, mentre proprio l’opposto è richiesto da qualsiasi dettame del buon senso. Lasciatemi illustrare le mie idee con un caso in cui, essendo le prove facili, respingerle per questa tentazione è ben più sorprendente. Un tempo, i bambini legavano un anello o un bottone all’estremità di un lungo pezzo di spago, che tenevano per l’altra estremità, lasciando pendere il bottone entro un bicchiere, o su un pezzo di matita o di ceralacca o su un chiodo ; poi aspettavano per osservare se il bottone dondolasse, e se, dondolando, colpisse il bicchiere tante volte quanti colpi aveva battuto l’ultima volta l’orologio, o si muovesse parallelamente o trasversalmente alla matita, o in un cerchio o in un ovale. Recentemente, gruppi appartenenti a tutte le categorie sociali hanno rinnovato e ripetuto l’esperimento di quei bambini. Essi hanno cercato di accertare un fatto semplicissimo, cioè se l’effetto era come era stato riferito; ma quanti sono stati incapaci di far ciò? Erano sicuri di poter tenere le mani immobili, … erano sicuri di poterlo fare mentre osservavano il risultato, … erano sicuri che la concordanza dell’oscillazione con una direziono prevista non era il risultato dei loro desideri o movimenti involontari. Quanto facilmente tutti questi punti avrebbero potuto essere messi alla prova non guardando gli oggetti, pure come era difficile per lo sperimentatore privarsi di questo privilegio ! Quanto di rado ho trovato qualcuno che acconsentisse liberamente che la sostanza sulla quale si sperimentava fosse nascosta alla sua vista, e poi ne fosse cambiata la posizione.
Quando mi occupavo dello studio del movimento dei tavolini, avevo costruito un apparecchio molto semplice (3), che serviva da indice per mostrare i movimenti inconsci delle mani sulla tavola. Il risultato fu o che l’indice si muoveva prima del tavolino, o che non si muovevano né l’indice né il tavolino; e in molti casi ogni potere motorio si annullava. Contro di esso coloro che facevano muovere i tavolini sollevarono un’obiezione generale; si affermava che paralizzava i poteri della mente. Ma non era necessario che gli sperimentatori vedessero l’indice; potevano lasciare che i loro amici lo guardassero, e che le loro menti trovassero diletto in ogni potere che la loro attesa o la loro immaginazione potesse conferir loro. Ma con queste limitazioni nasce un’avversione all’esperimento; ma cosa è questo se non una prova che mentre hanno fiducia in se stessi dubitano di se stessi, e non desiderano giungere ad una decisione, per timore che la fiducia che loro piace dovesse venire a mancare, e il dubbio che loro dispiace salire all’autorità di verità?
Ancora, per quanto riguarda l’azione dei magneti sul corpo umano, è quasi impossibile che una persona non istruita cominci con profitto una tale indagine. Egli può osservare qualsiasi sintomo verso il quale è stata accidentalmente diretta la sua attesa; oppure essere inconscio di ogni sintomo, se ignora di essere stato sottoposto alla forza magnetica, o le condizioni e i modi della sua applicazione.
A prova dell’estensione di quell’influsso, anche sulle menti di coloro che si rendono ben conto dei suoi poteri e desiderano in ogni circostanza sfuggirgli, io menzionerò l’abitudine dei chimici, i quali, nell’usare la bilancia, questo imparziale strumento decisivo che non sbaglia mai le sue indicazioni, ma dà la sua testimonianza semplice, duratura e veritiera, tuttavia si ricordano che devono dubitare di se stessi e, col desiderio di rendersi inaccessibili alle tentazioni, prendono una quantità contrappesata ma sconosciuta della sostanza da analizzare, in modo da rimanere ignari delle proporzioni che dovrebbero ottenere, e solo alla fine confrontano la somma dei prodotti ottenuti col contrappeso.
L’inclinazione che abbiamo per ogni descrizione od opinione che armonizzi con le nostre idee preconcette, può solo essere paragonata per intensità con l’incredulità che proviamo verso qualunque cosa che le contrasti; e queste condizioni opposte e apparentemente incompatibili, od almeno contraddittorie, sono accettate contemporaneamente nel modo più straordinario. In un certo momento si ammette una deviazione dalle leggi naturali senza la pretesa di esaminarne accuratamente le prove; e subito dopo, si nega ogni valore a queste leggi, che agiscono senza deviazioni per tutto il tempo, sol perché dispiace la loro testimonianza.
È mia ferma convinzione che nessun uomo può esaminare se stesso nelle cose più comuni, che hanno relazione con lui personalmente, o con ogni persona, idea o argomento in relazione con lui, senza che si renda conto di lì a poco della tentazione e difficoltà di opporsi ad esse. Io potrei darvi molti esempi miei personali, sul magnetismo atmosferico, linee di forza, attrazione, repulsione, unità dell’energia, natura della materia, o su argomenti generali alla nostra comune natura, su simpatie ed antipatie, desideri, speranze e timori, ma sarebbe inopportuno ed anche inutile, perché ciascuno deve essere conscio di un vasto campo gravemente incolto a questo riguardo. Voglio solo esprimere la mia salda fiducia che quel punto dell’autoeducazione che consiste nell’ insegnare alla mente a resistere ai suoi desideri ed alle sue inclinazioni, finché non sia stato dimostrato che sono giusti, è il più importante di tutti, non solo in questioni di scienze naturali, ma in ogni settore della vita quotidiana.
Ci sono numerosi precetti che derivano, quale più quale meno, dai principi di disciplina mentale sui quali si è insistito come essenziali, che sono molto utili per formarsi un giudizio su questioni di fatto, sia fra i fenomeni naturali che fra uomo e uomo. Uno di tali precetti, e quello che dovrebbe ricorrere alla mente subito in ogni nuovo caso, è di conoscere le condizioni del fenomeno sul quale siamo richiesti di esprimere un giudizio. Supporre che qualcuno voglia giudicare prima di conoscere le condizioni potrebbe sembrare assurdo; d’altro lato, supporre che il pubblico aspetti di conoscere le condizioni prima di giudicare è un’ipotesi così ampia che io non posso accettarla. Pochissimi scoprono le condizioni; e i più sono ansiosi di passar sotto silenzio quelle che si oppongono ai loro preconcetti; pur tuttavia nessuna di esse può essere trascurata se si vuole formulare un corretto giudizio. È vero che molte condizioni ci rimarranno sempre sconosciute, anche per quanto riguarda la più semplice cosa della natura; così quanto alla meravigliosa azione della gravità, la cui legge non ci inganna mai, non siamo in grado di dire se i corpi esercitano la loro azione effettivamente a distanza oppure tramite una linea di forza fisica come legame di connessione fra loro. La grande maggioranza pensa che sia giusta la prima ipotesi, l’opinione di Newton è a favore della seconda (4). Ma dovremmo cercare tutte le condizioni che sono a nostra portata; perché in rapporto a quelle che restano ignote o insospettate siamo nella stessa situazione di ignoranza (riguardo al giudizio) che è nostro attuale intento primo di rendere manifesta e poi di rimuovere.
Un esercizio della mente, che influenza largamente la forza e le caratteristiche del giudizio, è l’abitudine a formarsi idee chiare e precise. Se, dopo aver considerato un argomento nel nostro modo solito, vi torniamo sopra con il particolare intendimento di osservare le condizioni del nostro pensiero, saremo stupiti nel trovare quanto poco precise esse rimangano. Riandando col pensiero ai fenomeni relativi ad un fatto concreto, alle circostanze che li modificano, al genere e alla quantità di attività esplicata, al risultato reale o probabile, troveremo che le prime impressioni sono poco adatte a basare un giudizio, e che è meglio rifletterci sopra. Per acquisire a questo riguardo una buona forma mentale, ci si deve esercitare a prendere l’abitudine di formulare i pensieri in modo chiaro e preciso, in modo che le impressioni sul fenomeno in questione, sulle sue circostanze e sulle sue conseguenze possano rimanere vivide e distinte. Prima di procedere allo studio di qualsiasi questione che coinvolga principi fisici, dovremmo partire con idee chiare su ciò che è possibile o impossibile in natura. Vi sono molti argomenti che uniscono in quantità maggiore o minore le più sicure e valide ricerche scientifiche con la più immaginaria e infruttuosa speculazione, che passano attraverso varie fasi di sviluppo intellettuale, sperimentale o commerciale: alcune per trovare una conferma, alcune per sparire per sempre, altre per riapparire più volte, come erbacce che non possono essere estirpate, e d’altra parte non possono essere coltivate con qualche risultato come salutare cibo della mente. Tali sono, per esempio, in grado diverso, il motore a calorico, la luce elettrica, la bussola simpatica Pasilalinica (5), il mesmerismo, l’omeopatia, l’odilismo, il motore elettromagnetico, il moto perpetuo, ecc. : tutti ne parlano e ne sentono parlare; tutti, chi più chi meno, usano del loro discernimento su di esse, e tutti potrebbero effettivamente farlo, se essi istruissero se stessi sino ad un punto che rientri nelle loro capacità. Sono persuaso che i fenomeni naturali sono una scuola meravigliosa per istruirsi, il campo più vario per il necessario esercizio mentale, che coloro che si esercitano con essi possono facilmente applicare il modo di pensare così formatosi agli usi sociali: ma come primo passo in questa consuetudine, si dovrebbero avere idee chiare su ciò che è possibile e su ciò che è impossibile. Così è impossibile creare una forza. Una forza, noi possiamo impiegarla, possiamo farla sorgere in una forma in seguito alla sua trasformazione da un’altra forma, possiamo nasconderla per un certo periodo, ma non possiamo né crearla né distruggerla. Possiamo metterla da parte, ma dove noi la mandiamo, là essa compirà il suo lavoro. Se dunque desideriamo esprimere un giudizio su una proposizione riguardante l’impiego e l’evoluzione della potenza, portiamo con noi il nostro discernimento, educato su questi punti. Se la proposta comprendesse il doppio uso di una forza con una sola origine, essa implica una creazione di potenza, e questo non può essere. Se potessimo alzare con le dita un pesante pezzo di legno o di pietra senza sforzo, e poi, lasciandolo cadere, potessimo produrre con la sua gravitazione uno sforzo uguale al suo peso, questo sarebbe una creazione di potenza, e ciò non può essere.
Così, ancora, noi non possiamo annichilare la materia, né crearla. Ma se noi siamo soddisfatti di basarci su questo dogma, cosa dobbiamo pensare del sollevamento dei tavolini! Se potessimo fare in modo che il tavolino cessasse di agire per gravità sul terreno sottostante, o per reazione sulla mano che si suppone che lo tiri in su, dovremmo annichilarlo proprio riguardo a quella proprietà che lo caratterizza come materia.
Considerazioni di questo genere sono di grande aiuto al discernimento; e quando qualcuno fa un’affermazione e richiede la nostra approvazione, dovremmo cercare di trarne alcune conseguenze che possano essere immediatamente messe a confronto con questa o altre simili, terse e infallibili e verificate da esse. Se ne risulta incompatibilità, allora avremo ragione di differire le nostre conclusioni, per quanto la proposizione possa essere attraente per la nostra immaginazione, e continuare l’esame sinché non si trovi la concordanza; sarebbe una mente molto poco educata e molto presuntuosa quella che accettasse subito di scartare una verità provata ed accettasse al suo posto un’asserzione sol perché fatta ad alta voce. Dobbiamo cercare di separare i punti essenziali che ci stanno davanti e di concentrarci su ciascuno di essi, in modo da sviluppare una chiara idea tipica del fatto predominante e delle sue conseguenze; guardando l’oggetto da ogni lato, con l’intento precipuo di distinguere la realtà costitutiva, e di riconoscerla sotto ogni suo vario aspetto.
In modo analogo dovremmo avvezzarci ad un linguaggio chiaro e preciso, specialmente in argomenti di fisica; è solo dando ad ogni parola il suo vero e pieno, ma ponderato significato, che potremo comunicare chiaramente le nostre idee alle menti degli altri. Due persone non possono scambiarsi le loro cognizioni, o confrontare e rettificare le loro conclusioni, se entrambe non badano al vero intendimento e alla forza del linguaggio. Se con parole come attrazione, elettricità, polarità, atomo, intendono cose diverse, possono discutere fatti, negare risultati, e dubitare delle conseguenze per un tempo indefinito senza alcun vantaggioso progresso. Ritengo che sia uno dei punti principali dell’educazione di se stesso che lo studente si impegni continuamente a formare idee esatte e ad esprimerle chiaramente col linguaggio. Questa pratica contrasta senza che ce ne accorgiamo la tendenza ad esagerare o ad ingannarsi, ed accresce il senso e l’amore della verità in ogni manifestazione della vita.
Mi dispiacerebbe, però, se quanto ho detto fosse inteso nel senso che l’educazione per migliorare e rafforzare il discernimento debba reprimere completamente l’immaginazione, o confinare l’esercizio della mente a processi di carattere matematico o meccanico. Io credo che, nello studio delle scienze fisiche, l’immaginazione dovrebbe essere educata a presentare il soggetto studiato da tutti i punti di vista possibili, ed anche impossibili; a ricercare analogie per rassomiglianza e (se così si può dire) per opposizione — analogie inverse o contrapposte; a presentare l’idea fondamentale in ogni forma, proporzione e condizione; a rivestirla di supposizioni e probabilità, — in modo che si possano passare in rassegna tutti i casi e li si possa toccare, se necessario, con la lancia di Ithuriel dell’esperimento. Ma tutto ciò deve essere sotto controllo, ed il risultato non deve essere reso pubblico sinché non si è esercitato su di esso il discernimento, educato dal processo stesso. Costruiamo le nostre ipotesi per un’ora, per un giorno, o per degli anni, esse sono di grandissimo valore per eliminare convinzioni, «che derivano più facilmente dall’errore che dalla confusione»; ma, soprattutto, non cessiamo di essere consapevoli delle tentazioni che essi offrono; o, poiché ci divengono piano piano familiari, di accettarle come verità accertate. Non possiamo ragionare sull’elettricità senza pensare ad essa come ad un fluido, o una vibrazione, o qualche altro stato o forma già esistente. Dovremmo rinunciare a metà dei nostri vantaggi nello studio del calore se ci rifiutassimo di considerarlo un principio, o uno stato di moto. Difficilmente potremmo trattare questi argomenti con gli esperimenti, e non potremmo fare progressi nelle loro applicazioni pratiche senza avanzare delle ipotesi; pur tuttavia è strettamente necessario che noi impariamo a dubitare delle condizioni stesse che supponiamo, e che riconosciamo di essere incerti se il calore e l’elettricità siano vibrazioni o sostanze, o tutt’e due.
Allorché i diversi dati richiesti sono in nostro possesso, e siamo riusciti a formarci un’idea chiara di ciascuno di essi, si deve istruire la mente a bilanciarli uno con l’altro, e non permettere che essa sconsideratamente si affretti a trarre conclusioni. Questa riservatezza è veramente essenziale; ed è specialmente necessario che si presti diligente attenzione alle ragioni che sono contrarie alle nostre attese e ai nostri desideri. Spesso le verità ci vengono da sorgenti che non ci piacciono; spesso abbiamo buone ragioni per accettare verità sgradevoli. Ben di rado siamo disposti ad accettare cognizioni che hanno questo spiacevole carattere, ed è necessario in ciò molto autocontrollo per preservarci anche moderatamente dagli errori. Suppongo che difficilmente si potrà trovare qualcuno che faccia ricerche originali che non abbia mai avuto la tentazione di non tener conto delle ragioni e dei risultati contrari al suo modo di vedere. Riconosco di averla avuta molto spesso, e non avrò la pretesa di affermare di aver ormai imparato ad evitare l’errore in tutte le occasioni. Se si pone una sbarretta di bismuto o fosforo tra i poli di un potente magnete, essa si dispone in posizione perpendicolare alla retta che unisce i poli ; se solo un polo è vicino alla sbarretta, essa indietreggia; questo effetto ed il precedente sono dovuti alla repulsione, e sono in contrasto stridente con l’attrazione subita dal ferro. Per spiegarla io una volta ho suggerito l’idea che fosse indotta nel fosforo o bismuto una polarità opposta a quella indotta nel ferro, e questa opinione è ancora sostenuta da eminenti filosofi. Ma osservate un risultato che seguirebbe necessariamente da tale supposizione, che appare evidente quando si riportano questi fenomeni ai principi elementari. Da tutti i risultati relativi a questo argomento si dimostra che il tempo rientra nella formazione e nella scomparsa dello stato di induzione prodotto dalla forza magnetica, ne consegue, come ha messo in rilievo Thomson, che se una sferetta di bismuto potesse essere sospesa fra i poli di un magnete, in modo da non incontrare resistenza da parte del mezzo circostante, o per attrito o torsione, e fosse messa in moto attorno ad un asse verticale, dovrebbe, a causa dello stato di polarizzazione ricevuto, continuare a ruotare per sempre, e le parti, che ad un determinato istante sono assiali, si muoverebbero come la sbarretta, in modo da divenire in un istante successivo equatoriali. Ora, poiché noi crediamo che le forze meccaniche naturali tendano a portare le cose in condizioni di stabilità, e non di instabilità, poiché noi crediamo che il moto perpetuo sia impossibile, cosi poiché entrambi questi punti sono coinvolti nella nozione di polarità inversa, che a sua volta si suppone che non dipenda da un consumo di energia, mi trovo costretto a tenere in sospeso ogni giudizio, e quindi esito ad accettare una conclusione basata su tale nozione dell’azione fisica; tanto più in quanto i peculiari fatti sperimentali (6) che comprovano la polarità del ferro, non si riproducono nel caso di corpi diamagnetici.
Come risultato di questa sana condizione mentale, dovremmo essere in grado di formarci un giudizio adeguato. La mente desidera naturalmente di decidere una cosa od un’altra; di trovar quiete nell’affermazione o nella negazione; e questo con un grado di assolutismo che è irrazionale e inopportuno. Nel trarre una conclusione è molto difficile, ma ciò nondimeno necessario, farlo in modo adeguato alle testimonianze: eccetto quando esiste la certezza (caso che capita di rado), dovremmo considerare le nostre risoluzioni solo probabili. La probabilità può sembrare molto grande, cosicché per gli scopi pratici la prendiamo per certezza, e affidiamo ad essa il nostro benessere e le nostre vite. Tuttavia solo una mente poco educata potrebbe confondere la probabilità con la certezza, specialmente quando si incontra una conclusione contraria tratta da un’altra persona sulla base di dati simili. Questa sospensione del grado di giudizio non rende l’uomo meno attivo nella vita, o le sue conclusioni meno certe come verità; al contrario, io credo che egli così sia più pronto a graduare e dirigere la sua azione giustamente in ogni circostanza e sono sicuro che le sue conclusioni ed affermazioni avranno nel mondo maggior peso di quelle di un incauto.
Quando ero giovane, ricevetti da uno, che era abilissimo nell’aiutare uno studente nei suoi sforzi per migliorare se stesso, una curiosa lezione sul modo di valutare la quantità di fiducia che potevamo attribuire alle nostre conclusioni. Questa persona era il dr. Wollaston, che, su un dato argomento, fu indotto a propormi una scommessa di due contro uno per la risposta affermativa. Io, piuttosto impertinente, citai i ben noti versi (7) di Butler sul genere di persone che usano le scommesse come argomenti, ed egli mi spiegò gentilmente, che egli non considerava quella scommessa una cosa avventata, ma come l’espressione della quantità di fiducia nella mente della persona che la proponeva; combinando questa curiosa applicazione della scommessa, come una misura, con la necessità che esiste sempre di trarre conclusioni non assolute ma adeguate alle testimonianze.
Saltuariamente ma frequentemente l’uso del discernimento dovrebbe concludersi con una riserva assoluta. Può essere molto antipatico e molto faticoso sospendere una conclusione; ma poiché non siamo infallibili, dovremmo perciò essere cauti; alla fin dei conti dovremmo trovarci avvantaggiati, poiché colui che resta sulle sue posizioni non è cosi lontano dal giusto come colui che, procedendo nella direzione sbagliata, se ne allontana sempre più. Nel 1824 Arago scoprì (8) che il rame ed altri corpi, posti in prossimità di un magnete, pur non esercitando alcuna diretta azione di attrazione o repulsione su di esso, lo influenzavano se erano mossi ed erano da esso influenzati. Una lamina di rame in rotazione presso un magnete lo trascinava con sé. Un ago magnetico che vibrava liberamente su un disco di vetro o legno, era estremamente ritardato nel suo movimento quando questi dischi erano sostituiti da un disco di rame. Arago determinò con grandissima chiarezza tutte le condizioni, e scompose le forze in tre direzioni, ma non comprendendo la causa fisica di questo comportamento, impose la più saggia ed istruttiva riserva sulle proprie conclusioni. Altri, come Haldat, la considerarono una prova della universalità del magnetismo di tipo normale, e si attennero a questa opinione anche quando fu contraddetta da fatti ulteriori; e fu solo in un’epoca successiva che la vera causa fisica, cioè le correnti magneto-elettriche indotte nel rame, ci divenne nota (9). Quale educazione deve aver ricevuto la mente di Arago sulla riserva filosofica; quale antitesi forma egli con la massa dei sollevatori di tavolini; e quale bell’esempio ci ha lasciato di quello stato di discernimento, al quale dovremmo sforzarci di giungere!
Se posso portare un altro esempio della necessaria riserva di giudizio, citerò il caso dell’idrogeno e dell’ossigeno gassosi, che, mescolati, rimangono assieme senza combinarsi per anni in contatto col vetro, ma in contatto con la spugna di platino si combinano immediatamente. Lo stesso fatto si presenta in molte forme e molte proposte sono state fatte sul suo modo d’azione; ma sinora non sappiamo chiaramente come si ottenga questo risultato. Non possiamo dire se agisca o no l’elettricità. Quindi dovremmo sospendere le nostre conclusioni. La nostra conoscenza del fatto stesso, e delle sue molte varianti, non è perciò meno ricca e sicura; e quando la verità emergerà dalla nebbia, non dovremmo avere pregiudizi contrari, ma essere preparati a riceverla.
L’educazione che io propugno richiederà pazienza e fatica mentale in ogni esercizio tendente a migliorare il discernimento. Non ha importanza quale sia. il soggetto che occupa la nostra mente, noi dobbiamo impegnarci in esso con la convinzione che esso richiederà una fatica mentale. Una mente possente sarà in grado di trarre le conclusioni più rapidamente e più correttamente che una mediocre; ma entrambe supereranno se stesse se faranno un’analisi scrupolosa ed accurata, invece di una trascurata e prevenuta; ed a questo scopo l’educazione è ancor più necessaria per una mente mediocre, perché, con essa, l’uomo meno abile può elevare il suo rango e migliorare la sua posizione. Io insisto calorosamente su questo argomento dell’educazione di se stessi, perché credo che sia più o meno in potere di ogni uomo migliorare grandemente il proprio discernimento.
Io non credo che uno possegga completamente la capacità di discernere di cui un altro è privo per natura. Io sono dell’opinione che tutti possano giudicare, e che noi dobbiamo solo proclamare in ogni occasione che l’educazione mentale è deficiente, e condurre gli uomini ad accorgersi che per mezzo di essa essi hanno nelle loro mani, in larga misura, il loro benessere e la loro reputazione, per provocare nel futuro un abbondante sviluppo di retto giudizio in ogni classe.
Questa educazione ha come suo primo ed ultimo passo l’umiltà. Essa può cominciare solo a causa di un convincimento di deficienza; e se non siamo scoraggiati dalle crescenti rivelazioni che essa ci farà, questa convinzione diventerà più forte al termine. Ma l’umiltà si baserà, non sul paragone di noi stessi con i modelli imperfetti che abbiamo attorno, ma sull’aumento di quei convincimenti interiori che soli ci possono rendere consapevoli delle nostre intime deficienze. Il primo passo per correggerci è imparare le nostre deficienze, e, avendole imparate, il secondo passo è quasi decisivo; perché nessuno che abbia scoperto che il suo giudizio è affrettato, o illogico, o imperfetto, continuerà con la stessa fretta, o irrazionalità, o presunzione di prima. Io non voglio dire che tutti saremo improvvisamente guariti dalle cattive abitudini mentali, ma della natura ho un opinione migliore che credere che un uomo, di qualsiasi grado sociale, che sia giunto ad essere consapevole di tale sua condizione, possa rinnegare il suo buon senso, e continuare a giudicare ed agire come prima. E sebbene questa autodisciplina debba continuare sino alla fine della vita a fornire un senso di deficienza piuttosto che di risultato raggiunto, tuttavia c’è uno stimolo abbondante per istigare qualsiasi uomo a perseverare. Ciò che ha perduto sono cose immaginarie, non reali, ciò che guadagna sono ricchezze prima sconosciute, ma inestimabili; e per quanto egli possa avere un’umile opinione della sua condizione, troverà ad ogni gradino di cui progredisce che è più ricercato di prima, che gli sono affidate maggiori responsabilità e che è mantenuto in una posizione preminente dai suoi pari, e maggiormente apprezzato da coloro che egli stesso giudica degni di approvazione.

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Ed ora poche parole sui rapporti reciproci fra le due classi, cioè coloro che rifiutano di educare il proprio discernimento sulle questioni sulle quali devono decidere, e coloro che, con l’autoeducazione, si sono sforzati di migliorare se stessi; e sulla rimarchevole e in certo modo irragionevole maniera in cui questi ultimi sono rimproverati, e talvolta derisi, dai primi. Chi fa asserzioni o trae conclusioni su un determinato argomento, dovrebbe avere in esso una certa competenza. Egli non ha diritto di scaricare l’onere sugli altri, dichiarando che è loro dovere di dimostrare che ha ragione o torto. È suo dovere dimostrare la verità di ciò che asserisce o smettere di asserirlo. Gli uomini cui fa appello perché riflettano e giudichino hanno già abbastanza da fare ad esaminare, correggere e verificare le proprie opinioni. Il mondo non sa quante delle idee e delle teorie che sono passate nella mente di uno scienziato siano state annientate silenziosamente e in segreto dalle sue stesse critiche severe e dalle ricerche sfavorevoli; che nel caso più favorevole nemmeno un decimo delle proposte, delle speranze, dei desideri, delle conclusioni preliminari si sono realizzate. Ed un uomo così occupato, lo si può distogliere dalla sua ricerca della verità lungo il sentiero che egli spera porti a raggiungerla, e fargli sciupare il suo tempo con nient’altro che un’asserzione infondata?
Chi asserisce qualcosa di nuovo non ha diritto né di reclamare una risposta sotto forma di un si o un no; né di pensare che, poiché non ha avuto risposta, si debba ritenere che la sua asserzione è confermata. Anche l’uomo più sapiente ignora tante cose che spesso può non avere una risposta: molto spesso ciò avviene perché l’argomento si libra nella regione delle ipotesi, e non in quella dei fatti. In entrambi i casi egli ha il diritto di rifiutarsi di parlare. Io non posso dire se i fluidi elettrici siano due o nessuno. Io non ho nessun obbligo di spiegare come un tavolino balli più di quanto ne abbia di indicare come, sotto le mani del prestigiatore, appaia una torta in un cappello. Il modo in cui ciò avviene mi è ignoto. Sono convinto che i risultati, per quanto possano sembrare strani, concordano con ciò che è ben conosciuto, e che se fossero studiati accuratamente comproverebbero le leggi naturali accertate, ma poiché la durata della vita è limitata, non sono disposto ad impiegare il tempo che ho a disposizione nello studio di argomenti che, per quanto ne so, non offrono alcuna ragionevole prospettiva di utili progressi, anzi nient’altro che risultati negativi. Neghiamo agli altri il diritto di appellarsi a noi perché rispondiamo alle loro congetture « se possiamo », mentre ne abbiamo da sviluppare e correggere tante delle nostre; e reclamiamo il diritto di riserbarci sia le nostre conclusioni sia i loro motivi, senza minimamente ammettere che non si possa controbattere le loro affermazioni. Non siamo neanche in dovere di dare una risposta « per quanto ne sappiamo », né costretti ad ammettere un’asserzione infondata perché non conosciamo nulla in contrario. Nessuno è in diritto di esigere il nostro assenso alla generazione spontanea degli insetti, perché non possiamo spiegare circostanziatamente come un acaro o l’uovo di un acaro possa essere entrato in una determinata bottiglia. Coloro che sostengono le eccezioni alle leggi naturali generali, o coloro che in base all’affermazione ne accettano i risultati si costruiscono da sé le loro prove sperimentali. In questo caso ciò è stato fatto da Schulze (10) ed il risultato è negativo; ma come sono pochi, fra i tanti che fanno o ripetono una asserzione, coloro che avrebbero l’abnegazione richiesta, il discernimento adatto, la perseveranza e la precisione, che sono state dimostrate in questa ricerca !
Quando qualcuno, che è stato più o meno segnalato per i suoi progressi, è condotto dalle circostanze ad esprimere un’opinione contraria a qualche nozione popolare, od alle asserzioni di un sanguigno inventore, nulla è più usuale che il tentativo di neutralizzare la forza di tale opinione citando gli errori che simili uomini colti hanno fatto; e si ricordano i loro casuali errori di giudizio e le loro conclusioni erronee, come se essi fossero meno competenti degli altri ad esprimere la loro opinione, e squalificati a giudicare anche su argomenti analoghi a quelli che sono inclusi nel loro campo di ricerche dal fatto stesso che esercitano su di essi i loro sforzi intellettuali. Quante volte non è stata l’opinione attribuita a Davy, sull’impossibilità dell’illuminazione a gas su grande scala, ricordata da speculatori impegnati ad attirare uomini danarosi in qualche società, o nelle pagine dei giornali occupati dalle fantasie popolari del giorno; come se da ciò si potessero trarre argomenti a favore di qualche speciale oggetto da raccomandare ! Perché non ci si dovrebbe attendere che gli uomini, che hanno un discernimento più educato di quello del loro prossimo, errino talvolta, se l’educazione in cui hanno progredito può solo terminare colla loro vita? Cosa c’è in essi, derivato da questa educazione, che faccia sorgere l’ombra di una pretesa alla perfezione? Questi uomini non possono imparare tutto, e possono ignorare molte cose. In effetti il progresso che la scienza fa tra di essi come un tutto è una continua correzione dell’ignoranza, cioè di uno stato che è di ignoranza, in rapporto al futuro, ma di saggezza e conoscenza in rapporto al passato. Nel 1823 Wollaston scoprì quella bella sostanza che egli chiamò titanio, credendo che fosse un metallo semplice; e come tale fu accettato da tutti i naturalisti. Eppure questo era un errore, perché Wohler (11), nel 1850, dimostrò che la sostanza era in realtà un corpo composto. Questo non è un rimprovero per Wollaston o per coloro che ebbero fiducia in lui; egli fece un passo nella metallurgia che portò avanti le nostre cognizioni, e forse noi potremo in futuro, grazie a lui, imparare che i metalli sono corpi composti. Chi, allora, ha il diritto di citare il suo errore come un rimprovero per lui? Chi può correggerlo se non persone educate intellettualmente come lui? Chi non comprende che questa ricerca rimane come una gemma luccicante nell’anello, che la memoria offre in suo onore?
Se dobbiamo valutare l’utilità dell’educazione del discernimento, non dobbiamo fare attenzione solo agli errori degli scienziati, che sono stati corretti da altri educati nella stessa diligente scuola, ma guardare a quello che essi, nel complesso, hanno prodotto, in confronto a ciò che è stato prodotto da coloro che li rimproverano. Quali sono i trionfi e le verità assodate da coloro che fanno dondolare gli anelli, ballare i tavolini, parlare le tavole? Quale risultato nelle numerose suddivisioni della scienza o delle sue applicazioni può esser fatto risalire ai loro sforzi? Quali sono gli studi portati a termine, cosicché, come nel caso dell’illuminazione a gas, ognuno possa ammettere che i princìpi sono stati confermati e che si è ottenuto un buon risultato, senza l’ombra del dubbio?
Se consideriamo l’elettricità, vediamo che essa, nelle mani dello studioso diligente, ha progredito verso i risultati più straordinari; si avvicina al movimento della sua mano, sprizza dal metallo, scende dall’atmosfera, circonda il globo, parla, scrive, registra, gli appare (per quanto cauto possa aver imparato a divenire) come uno spirito universale della natura. Se consideriamo la fotografia, che è nata proprio nei nostri giorni, e guardiamo cosa essa è diventata nelle mani dei suoi scopritori e dei loro successori, quali meravigliosi risultati ! Si è fatto in modo che la luce lasci impressioni sul morto argento o sulla ruvida carta, belle come quelle che produce sulla viva e sensibile retina; la sua più transitoria impressione è resa durevole per anni; si è fatto in modo che essa lasci una traccia visibile o invisibile, che dia un risultato che può essere visto subito o fra un anno, che dipinga tutte le forme naturali ed anche i colori; serve per la guerra, per la pace, per l’arte, per la scienza, per l’economia: essa sostituisce persino la mente dell’uomo in alcune delle sue funzioni più semplici; con una piccola lampada alla canfora messa lì ed abbandonata a se stessa, si può fare in modo che essa assolva il compito di sorvegliare le variazioni del magnetismo, del calore e di altre forze naturali, e che registri i risultati in vivide curve, che danno una durevole documentazione delle loro azioni più transitorie.
Cosa hanno fatto la chiaroveggenza, o il mesmerismo, o i colpi dei tavolini che possa confrontarsi a questi risultati! Cosa ci hanno detto le lumache di Parigi sulle lumache di New York? Cosa ha fatto una qualsiasi di queste intelligenze per collaborare a tali sviluppi? Perché non ci hanno informato sulla possibilità della fotografia? o, quando essa fu conosciuta, perché non ci hanno aiutato con istruzioni per migliorarla? Tutti costoro pretendono di trattare potenze di carattere molto più elevato della corrente elettrica o di un raggio luce; trattano anche le forze meccaniche; impiegano sia gli organi corporali che quelli mentali: sostengono di poter sollevare un tavolino, far girare un cappello, vedere in una scatola, o nella stanza accanto, o nella città vicina; perché non potrebbero far muovere una bilancia, e darci così gli elementi di una nuova forza meccanica? prender conoscenza di una bottiglia e del suo contenuto, e dirci come reagirà su quello della bottiglia vicina? guardare o sentire un cristallo, e dirci di che cosa è composto? Perché non hanno aggiunto un solo metallo ai cinquanta noti all’umanità, o un solo pianeta al loro numero che cresce di giorno in giorno sotto l’occhio osservatore dell’astronomo? Perché non hanno corretto uno solo degli errori dei filosofi? Senza dubbio ce ne sono molti che avrebbero bisogno di correzione. C’è stato tempo sufficiente per lo sviluppo e la maturazione di alcune delle tante pretese popolari che sono sorte in relazione a queste supposte potenze; come avviene che nemmeno una sola nuova forza sia stata aggiunta ai mezzi di indagine usati dai filosofi o una sola valida applicazione utile offerta alla società?
Concludendo, ammetterò francamente che tutti gli argomenti che ho addotti concernenti l’estrema scarsezza di giudizio dimostrata dalla società nel suo insieme, e l’alto valore di qualsiasi mezzo tendente a supplire a tale deficienza sono stati già affermati e sviluppati in numerose occasioni da persone di autorità ben superiore alla mia. La deficienza è riconosciuta in modo ipotetico, ma dubito che lo sia in realtà; il singolo individuo ammette tale stato di cose nei riguardi degli altri, ma ne è incosciente per quanto personalmente lo riguarda. Per quanto riguarda il mondo nel suo insieme il fenomeno è accettato come un male necessario; e pertanto non se ne parla, resta quasi ignorato.
Io penso che il termine educazione in senso lato debba applicarsi a questo stato di cose, e che la società, benché possa far poco nella trasmissione dell’esperienza, possa far molto dichiarando il male che esiste e che è di carattere rimediabile, mantenendo vivo il senso della deficienza cui si deve por rimedio, e dirigendo la mente degli uomini alla pratica e all’ampliamento di quella autoeducazione che ciascuno più o meno persegue, ma che, sorretta dalla convinzione e dal metodo, produrrebbe risultati dieci volte migliori. So che la moltitudine sarà sempre in ritardo in questa educazione e in molto maggior misura che nei riguardi di quella derivante dallo studio sui libri. Qualsiasi progresso fatto coi libri resta acquisito ; ma ogni nuovo essere arriva sul palcoscenico della vita con lo stesso carico medio di presunzione, desideri e passioni dei suoi predecessori e, per quanto riguarda l’autoeducazione ha tutto da imparare. La circostanza che possiamo far poco di più oltre a proclamare la necessità dell’istruzione può forse giustificare l’ignoranza, o il nostro silenzio, o rendere meno urgente la nostra esigenza di questo genere di istruzione? Non dovrebbe al contrario acquistare impeto dal fatto che tutti più o meno ne abbisognano! Io vorrei che ammettessimo che, come gruppo, siamo universalmente deficienti nel giudicare. Non intendo dire che siamo completamente ignoranti, ma che abbiamo fatto solo brevi passi sulla via dell’educazione richiesta in rapporto a quanto sarebbe nelle nostre possibilità. Se la necessità dell’educazione del discernimento fosse nel pubblico un’idea familiare ed abituale ciò fornirebbe spesso una risposta adeguata alle asserzioni delle persone male informate o incompetenti; se citata per richiamare ai suo ricordo la necessità di aver la mente istruita su un certo argomento e abituata a bilanciare le prove, potrebbe spesso essere una risposta all’individuo stesso. Un’influenza avversa potrebbe nascere da parte dello sbadato, del fiducioso, del presuntuoso, del frettoloso e del dilazionatore; forse un’opposizione estrema. Ma io penso che il semplice riconoscimento e la proclamazione dell’ignoranza da parte della società nel suo insieme, riuscirebbe, per la sua influenza morale, a distruggere l’opposizione, e ad esercitare una potente spinta al raggiungimento del fine desiderato, perché se null’altro sarà fatto che spingere costoro a riflettere sulle cose, si sarà compiuto un passo verso la meta; se saranno in qualche grado convinti si otterrà un importante progresso; se soltanto impareranno a sospendere il loro giudizio il miglioramento ottenuto sarà più prezioso di qualsiasi prezzo.
È straordinario come l’uomo dotato di una mente così meravigliosa, che nulla esiste altrove che possa uguagliarla nell’intero creato, la lasci inselvatichire rispetto ai suoi elementi e qualità più spiccati. Egli possiede facoltà di confronto e di giudizio colle quali risolve e guida tutti gli atti del suo materiale comportamento che lo distinguono dai bruti: — dovrebbe egli omettere di educare e migliorare queste facoltà quando l’educazione può far tanto? Dovrebbe sentirsi indifferente proprio verso i principi e i privilegi che lo distinguono dalle altre creature? Per essere interna la sua educazione non è meno necessaria; né è maggior dovere di un uomo curare che sia istruito il suo figliolo che istruire se stesso. — L’indolenza può tentarlo a trascurare l’introspezione e l’esperienza che sono la sua scuola, e la stanchezza può portarlo a eludere le pratiche necessarie; ma, certamente, il pensiero del premio dovrebbe bastare a stimolarlo allo sforzo necessario: e al volto di coloro che riflettono alle lunghe ore dedicate dagli amatori di dolci concerti per raggiungere una modesta abilità su uno strumento solo meccanico, dovrebbe salire il rossore della vergogna, sentendosi colpevoli di aver trascurato il bello strumento vivente sul quale intonare tutte le facoltà della mente.
Conchiudendo dirò: credetemi se dico di aver parlato con assoluta convinzione. Non ho ritenuta questa un’occasione nella quale cercare parole suadenti per adulare la nostra comune natura; se così fosse, avrei sentito di mancare alla fiducia riposta in me, ho perciò parlato per esperienza. Nel mio pensiero risuona la voce che mi giudica in base ai precetti che ho esposto. So di mancare frequentemente proprio nell’esercitare il giudizio al quale richiamo gli altri; e ho abbondanti ragioni di credere che molto frequentemente appaio a quelli che mi circondano come uno che erra senza che il saperlo lo corregga. Avrei volentieri evitato di parlarvi di questo argomento e posso con fondamento pensare che il consentirvi sia stato un errore; avendovi consentito, il mio pensiero è riandato agli avvenimenti e alle riflessioni della mia vita passata, finché non ho trovato nulla altro che un’aperta dichiarazione, quasi una confessione, quale mezzo di adempiere all’impegno dovuto all’argomento e a voi.

Michael Faraday
 

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Note

(1) Vedi Claparède: Account of Alternating Generation and the Metamorphoses of Inferior Animals, Bibl. Univ., March 1854, p. 229.
(2) Ad illustrazione dello stato attuale dell’argomento, citerò una fra le molte lettere analoghe che ho ricevuto:

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…, 5 aprile 1854
Signore, sono uno degli ecclesiastici di questa parrocchia, e la questione sul movimento dei tavolini è stato portata a mia conoscenza da alcuni dei miei giovani parrocchiani; ne ho dato la vostra soluzione come sufficiente spiegazione del mistero. Mi è stato risposto che da allora avete avuto ragione di cambiare opinione. Vorreste avere la cortesia di informarmi se è vero? Con molte scuso per il disturbo,
il vostro ubbidiente servitore, …
(3) Athenaeum, 2 luglio 1853.

(4) I. Newton: Opere, edizione di Horsley, 1783, IV, p. 438; ossia Terza lettera a Bentley.
(5) Vedi: Chambers’s Journal, 15 febb. 1891, p. 106. 
(6) Experimental Researches in Electricity, paragrafi 2657-2681.
(7) « Ed essa disse, ho udito vecchie volpi saccenti dire che i pazzi usan le scommesse come argomenti. »
(8) Annales de Chimie, 28, 325.
(9) Philosophical Transactions, p. 146 (1832).
(10) Muller: Physiology, oppure Poggendorff’s Annalen, 39, 487 (1836).
(11) Annales de Chimie, 29, 166.



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