Non credo che i lettori di questo sito abbiano bisogno di ulteriori spiegazioni e commenti. Ho trovato queste pagine nel sito del Vaticano, ispirato a Giovanni Paolo II, www.totustuus.it/ . Sono riportate anche in altri siti di cattolici, come nell’indirizzo che segue. Non avevo mai letto molto sull’argomento, qui, finalmente, vi è tutta la teologia cattolica della verginità. A me sembra che solo degli infermi con gravi problemi di equilibrio psichico, possono aver esaltato una cosa come questa per secoli. Evidentemente la spiegazione di Sant’Agostino (uno dei dottori della Chiesa) di tale verginità non ha convinto le alte sfere. Tale verginità ha bisogno di essere definita, come leggerete, e il fatto che Gesù sarebbe nato da un orecchio di Maria risolveva solo la verginità nel parto. Ma prima ? E qui nasce tutta questa serie di disquisizioni che, a mio giudizio, sono da persone con delle gravi turbe da repressione sessuale acuta. Comunque, di seguito c’è il documento, leggete e fatevi la vostra opinione.
R.R.
…A modo di Prefazione. Introduzione. Limiti dell’argomento. Maria Santissima perfetta Vergine e perfetta Madre. Il concetto preciso della Verginità in genere. La formula ternaria della Verginità di Maria. Divisione della trattazione….
LA VERGINITA’ DI MARIA, OGGI
A MODO DI PREFAZIONE
Ha scritto San Pietro Canisio, Dottore della Chiesa; “Come Abramo viene appellato Padre, perché è sopra tutti i padri; come Paolo viene appellato l’Apostolo, perché è sopra tutti gli apostoli; così Maria viene appellata, fra tutte, la Vergine, e viene predicata dalla Chiesa “Vergine tra le vergini” (“Virgo virginum”) ” (De Maria Virgine incomparabili et Dei Genitrice sacrosanta, L, II, Praef, presso Bourassé, Summa aurea, t. VIII, col. 792). Ella fu sempre, “Vergine di corpo, vergine di anima, vergine di professione “: ” Virgo carne, virgo mente, virgo professione ” (ibid. col. 794). Ella fu ” il modello più completo della vergine “: ” absolutum exemplar virginis ” (ibid.), la ” sola vergine insieme e madre “: ” Madre di Cristo e Vergine di Cristo “; sola mater simul et virgo, Mater Christi et Virgo Christi ” (ibid.).
Dopo questi elogi il S. Dottore fa una riflessione .” Satana – dice – ” turpissimo e impurissimo principe delle tenebre “, non solo ” non dorme “, ” ma cerca tutti i modi per aggredire e per distruggere la somma purità di Maria e la verginità della medesima “. ” Sotto la guida di un tale duce “, molti – dice il Santo Dottore – ” si scagliano per impedire che il mondo riconosca costantemente e la Chiesa predichi che la Madre del Signore è rimasta incorrotta prima del parto, nel parto e dopo il parto” (ibid., col. 795). Questa amarissima constatazione del Santo Dottore, se era vera e opportuna per i suoi tempi, appare particolarmente vera e opportuna per i nostri tempi. Allora infatti erano i nemici della Chiesa coloro dei quali si serviva l’immondo serpente infernale per combattere la perpetua verginità di corpo e di anima di Maria; oggi invece sono gli stessi cattolici coloro dei quali si serve Satana per lo stesso turpissimo scopo. Come si può ancora parlare, infatti, di verginità di corpo se si ammette (come è stato ammesso da alcuni che pur si dicono cattolici) che Gesù è il frutto non già dello Spirito Santo in Maria, ma delle sue relazioni sessuali con San Giuseppe? e che Gesù è nato da Maria come tutti gli altri bambini, ledendo la verginità corporale di sua Madre?… Come si può ancora parlare di verginità di mente, se si ammette che Maria, prima dell’annunziazione, non solo non ebbe il fermo proposito o voto di consacrarsi tutta (anima e corpo) a Dio, ma ebbe intenzione di consumare, come qualsiasi altra sposa, il suo matrimonio con San Giuseppe?… Tacere, dinanzi a simili aberrazioni che intaccano il dogma della perpetua verginità (di corpo e di anima) della Madre di Dio, equivarrebbe a un delitto. E’ perciò dovere di ogni vero cattolico difendere con San Pietro Canisio la perpetua verginità di Maria ” contro i nemici della Chiesa e contro i corruttori della parola di Dio ” (ibid., col. 796).
Ci rendiamo pienamente conto della singolare delicatezza dell’argomento.
Nel luglio passato, ebbi l’agio di compiere una visita dettagliata all’incantevole Duomo di Siena, dedicato all’Assunzione. Mi colpì molto l’iscrizione posta proprio all’ingresso del Tempio:
” Castissimum Virginis templum caste ingredi memento “
Questo invito ad entrare ” nel castissimo Tempio della Vergine ” ” in modo casto “, vale, in modo tutto particolare, per la questione sulla perpetua verginità di Maria. E’ necessario parlare della ” Vergine ” per antonomasia con parole verginali. ” L’uomo – ammonisce San Bonaventura – deve aver monde labbra nel trattare questa materia ” (1). Labbra monde e, soprattutto, cuore mondo, verginizzato, poiché le parole riflettono il cuore.
Ce lo conceda l’Onnipotente, Mediatrice la sua Vergine-Madre!…
Roma, 25 marzo 1970
P. GABRIELE M. ROSCHINI O.S.M.
Professore della Pontificia Università Lateranense
Editrice “Cor unum ” Figlie della Chiesa, Roma 1970
INTRODUZIONE
1. LIMITI DELL’ARGOMENTO
L’argomento preciso del nostro studio è stato formulato in questi termini:
La verginità di Maria, oggi. Non si tratta perciò di tutta la verginità di Maria in tutta la sua estensione, ma solo dinanzi agli errori di oggi. Si hanno negazioni o dubbi in tutte e tre le fasi della verginità di Maria: prima del parto (concepimento verginale di Cristo), nel parto (parto verginale) e dopo il parto (vita verginale). E ciò non solo da parte di acattolici, ma anche – non si vede con quale coerenza – da parte di alcuni cattolici.
Questo discredito della verginità mariana non è che una logica conseguenza del discredito della verginità in genere, proprio dei nostri tempi. Quanto più è apprezzata da Dio, tanto più è disprezzata dall’uomo.
2. MARIA SANTISSIMA PERFETTA VERGINE E PERFETTA MADRE
Maria SS. è la Vergine-Madre: perfetta vergine e perfetta madre, Verginità e Maternità: sono due termini esprimenti due realtà le quali, naturalmente, si escludono a vicenda, come il fiore esclude il frutto e il frutto esclude il fiore. Se si accentua troppo il concetto di verginità, si corre il rischio di compromettere il concetto di maternità; se, al contrario, si accentua troppo il concetto di maternità, si corre il rischio di compromettere il concetto di verginità. L’abbinamento e l’armonioso incontro di queste due grandi realtà (verginità perfetta e maternità perfetta) nella persona di Maria, per un miracoloso intervento divino, costituiscono appunto il mistero che l’ha resa, simultaneamente, vergine e madre, perfetta vergine e perfetta madre, come c’insegna la fede. ” Buona parte – ha detto S. Bernardino da Siena – è a essere maritata e vivere nel santo matrimonio. Migliore parte è a vivere nella santa verginità! Ma l’ottima qual è? E’ quella di Maria la quale elesse l’una e l’altra, d’essere vergine e madre… ” (Prediche volgari, ed. L. Bianchi, 1880-1888, II, p. 406).
Il problema di armonizzare queste due grandi realtà è stato percepito in tutti i venti secoli dell’era cristiana. Nessuna meraviglia perciò se alcuni, per salvare la perfetta verginità, hanno negato la realtà della maternità (per es. gli Gnostici i quali negavano la realtà umana di Cristo: cfr. S. IRENEO, Adv. haer. I. 24, 2; 30, 12); e se altri, al contrario, per salvare la perfetta maternità, han negato la realtà della verginità (per es. gli Ebioniti, i quali soppressero, nel loro Vangelo, il cosiddetto ” Vangelo dell’infanzia ” ove si parla esplicitamente della verginità di Maria (cfr. S. IRENEO, Adv. haer. I, 26, 1).
3. IL CONCETTO PRECISO DELLA VERGINITÀ IN GENERE
La verginità teologicamente considerata perciò si può distinguere in verginità corporale e verginità spirituale: 1) la verginità corporale (o materiale) importa l’integrità del corpo e l’immunità del medesimo dalla soddisfazione venerea liberamente ammessa; 2) la verginità spirituale, invece, importa l’integrità dello spirito, ossia il fermo proposito di astenersi dalla soddisfazione venerea anche lecita, come si ha nel matrimonio.
Ciò premesso si può dare il caso che una donna sia vergine spiritualmente, non già corporalmente (per es. a causa di una operazione chirurgica che distrugga l’integrità corporale); e, al contrario, può anche darsi il caso che una donna sia corporalmente vergine, ma non lo sia più spiritualmente (peccando, per es., in diversi modi, contro la castità).
Secondo il Mitterer e i suoi seguaci, invece, la verginità comprenderebbe i seguenti quattro elementi, due psichici e due somatici:
a) l’astensione affettiva (la volontà di astenersi) dalla soddisfazione venerea;
b) l’astensione effettiva dalla soddisfazione venerea;
c) l’astensione da ogni atto sessuale con tutte le funzioni psicologiche che l’accompagnano;
d) che il germe vitale femminile non abbia alcun contatto col germe vitale maschile (cfr. A. MITTERER, Dogme und Biologie der heiligen Familiè nach dem Weltbild des hl. Thomas von Aquin und dem der Gegenwart, Wien, Herder, 1948, p. 106).
Secondo questa nuova teoria della verginità (fondata sui soli dati biologici, prescindendo dal Ministero e dalla Tradizione della Chiesa) la integrità corporale (la verginità corporale) non sarebbe necessaria per avere il concetto ed il fatto della verginità, per cui si potrebbe sostenere una verginità perfetta senza l’integrità corporale. Un tale concetto essi l’applicano a Maria SS., la quale, per loro, sarebbe sempre vergine, pur non avendo, a causa del parto, la verginità del corpo (ma solo quella dello spirito). Costoro, evidentemente, si mettono contro il Magistero e la Tradizione della Chiesa. Non è già la fede (la verità rivelata) che si deve conformare alla scienza, ma è la scienza che si deve conformare alla Fede, nel caso che Fede e scienza fossero in conflitto.
4. LA FORMOLA TERNARIA DELLA VERGINITÀ DI MARIA
II fatto (rivelato) della perpetua verginità di Maria è stato espresso dalla Chiesa (a cominciare dalla Costituzione ” Cum quorundam ” di Paolo IV, del 1555) con la formola ternaria chiara e popolare: Maria fu vergine prima del parto, nel parto e dopo il parto.
Questa triplice divisione – è bene rilevarlo subito – anziché una divisione scientifica, è piuttosto una divisione pratica, ordinata ad esprimere, in modo facile e popolare, la realtà della verginità o integrità, corporale e morale, di Maria in tutte le fasi della sua vita. Il fondamento, il perno di una tale divisione è la nascita di Cristo, la quale – secondo il concetto tradizionale – fu verginale, ossia, avvenne senza compromettere l’integrità corporale della Madre. Ciascuna delle tre parti della divisione – è bene rilevarlo – ha un suo proprio significato, parzialmente diverso da quello delle altre. Siccome l’espressione ” sempre vergine ” è generica, per questo è stata poi specificata dalla suddetta formola ternaria. Se non vi fosse qualcosa di intermedio tra la verginità prima del parto e dopo il parto, inutilmente si sarebbe introdotto un membro intermedio (la verginità ” nel parto “) (2).
5. DIVISIONE DELLA TRATTAZIONE
Ciò premesso, di ciascuna delle tre fasi della verginità di Maria SS. (prima del parto, nel parto e dopo il parto) esporremo tre cose:
I Il concetto preciso
II Gli errori di oggi
III La loro confutazione.
Note alla prima parte
(1) “Homo habere debet munda labia in hac materia” (S, BONAVENTURA, in Sent. III,
d. 4, a. 3, q. 1, ad 2; ed. Quaracchi, III, p. 1136).
(2) L’iconografia-bizantina suole esprimere le tre fasi della verginità di Maria dipingendo tre stelle sul capo e sulle spalle della Vergine col Bambino. Ciascuna di queste tre stelle ha il suo particolare splendore.
..Parte Prima. “Concepito di Spirito Santo”. La Verginità di Maria “Prima del parto”. Il concetto preciso e completo della Verginità “prima del parto”. Il dogma della verginità di Maria “prima del parto” si riferisce, direttamente, alla verginità nell’atto del concepimento di Cristo, che è miracoloso; suppone però, evidentemente (poiché, in caso diverso, non si potrebbe neppure parlare di verginità nel concepimento) la verginità anteriore ad un tale atto….
LA VERGINITA’ DI MARIA, OGGI
PARTE PRIMA
“CONCEPITO DI SPIRITO SANTO “
LA VERGINITÀ’ DI MARIA ” PRIMA DEL PARTO “
1. IL CONCETTO PRECISO E COMPLETO DELLA VERGINITÀ ” PRIMA DEL PARTO “
Per la chiarezza di idee, è necessario distinguere bene tra il concetto che ne hanno il volgo e i biologi, e il concetto che ne hanno i Teologi.
Secondo il volgo, ed anche secondo i biologi, la verginità è una qualità puramente fisiologica o organica, consistente nell’integrità corporale (la quale viene ordinariamente compromessa dall’atto coniugale).
Secondo i teologi, invece, la verginità è una virtù morale, e perciò risiede formalmente nell’anima, quantunque dica relazione all’integrità corporale. La verginità teologicamente considerata, perciò, si divide in tre elementi di valore distinto e diverso: I) l’integrità corporale (elemento accessorio rispetto alla virtù morale in quanto tale); II) l’immunità dalla piena soddisfazione venerea liberamente ammessa (elemento materiale); III) il fermo proposito di astenersi per sempre dal detto piacere carnale (elemento formale della virtù morale della verginità).
Il dogma della verginità di Maria “prima del parto” si riferisce, direttamente, alla verginità nell’atto del concepimento di Cristo, che è miracoloso (3); suppone però, evidentemente (poiché, in caso diverso, non si potrebbe neppure parlare di verginità nel concepimento) la verginità anteriore ad un tale atto. Si tratta perciò di una maternità singolare, che non ha esempio.
Il concetto completo del concepimento verginale di Cristo da parte di Maria, contiene cinque elementi (cfr. DOMINGUEZ O., O.M.J., Virginidad antes del parto, in “Est. Mar” 21 1960 p. 211 ss.):
1) Maria SS. non concepì Cristo per opera d’uomo, 2) o mediante il germe di qualche uomo; 3) ma per opera dello Spirito Santo, 4) senza ombra di concupiscenza, 5) come persona già consacrata a Dio.
1. Maria SS. non concepì, in primo luogo, per opera d’uomo: cosa affermata formalmente e categoricamente – come vedremo – dai Vangeli dell’infanzia (Matteo e Luca). Il seme virile, infatti, non avrebbe potuto, in un istante, dar piena formazione all’organismo umano; e un intervento di padre umano sarebbe stato ordinato intrinsecamente all’esistenza di una persona umana (mentre la persona di Cristo è divina).
2. Maria SS. non concepì, in secondo luogo, mediante il germe umano (di San Giuseppe) introdotto miracolosamente nel seno di Lei. Così han ritenuto, recentemente, Corbatò (Vindicaciones josephinas, n. 109 e 123) e Petrone (La paternità di San Giuseppe, in ” Divus Thomas ” Plac., 1928, p. 29-49), strenui difensori della paternità verginale di San Giuseppe. Lo Spirito Santo – secondo il Corbatò – col suo intervento, avrebbe unito i due germi immacolati (quello di Maria e quello di Giuseppe) per produrre Gesù. Però il libro del Corbatò fu messo all’Indice; e l’articolo di Petrone fu riprovato dal S. Uffizio. San Matteo e San Luca – come vedremo – attribuiscono tutto il concepimento di Cristo all’opera dello Spirito Santo, ed escludono così, implicitamente, qualunque cooperazione di uomo, sia prossima che remota. Inoltre, l’angoscioso imbarazzo di San Giuseppe dinanzi alla gravidanza di Maria, nell’ipotesi di una tale cooperazione, non si spiega. E l’Angelo nello svelargli il mistero, gli avrebbe sicuramente svelato – se ancora non lo avesse saputo – la cooperazione di lui al concepimento di Cristo.
3. Maria concepì per opera dello Spirito Santo. Sia San Matteo sia San Luca – come vedremo – asseriscono categoricamente una tale verità. Lo Spirito Santo supplisce l’assenza dell’agente umano. Ebbe perciò un’azione fecondante e verginizzante.
4. Maria SS. concepì Cristo senza ombra di concupiscenza.
Maria SS. Immacolata” infatti, appunto perché Immacolata, aveva il dono preternaturale dell’integrità consistente nel pieno assoggettamento dell’appetito inferiore (dei sensi) alla ragione, per cui non ebbe mai alcun movimento disordinato dei sensi, sia pure involontario. Dalla Vergine si deve quindi escludere non solo il consenso al piacere causato dai movimenti disordinati, dal fomite della concupiscenza, ma lo stesso piacere, gli stessi movimenti disordinati, lo stesso fomite della concupiscenza; e questo durante tutta la sua vita. Si ebbe dunque, in Maria, un concepimento immune da qualsiasi ombra di sensualità (a differenza dei concepimenti ordinari). Grazie al divino intervento dello Spirito Santo, il concepimento verginale – come si è espresso S. Agostino – si operò ” non concupiscentia carnis urente, sed fìdei caritate fervente ” (Serm. 214, 6, PL 38, 1069). Ai piaceri della carne vengono sostituite le ineffabili e caste delizie dello spirito, a causa della nuova ineffabile unione con Dio che, incominciando ad essere suo figlio, stringeva con Lei una relazione del tutto nuova, del tutto singolare.
La moderna biologia esclude, nel concepimento (ossia, nell’atto della fecondazione) qualsiasi impressione o commozione sensuale, sia pure minima o indeliberata.
5. Maria SS. concepì Cristo come persona già consacrata a Dio. La verginità, come virtù morale, ha le sue radici nella volontà, ossia, nella ferma determinazione di astenersi totalmente e perennemente dai piaceri sensuali ” per amore del Regno dei cieli ” (Mt 19, 12). Presa in questo senso, la verginità comporta una vera consacrazione dell’anima e del corpo a Dio, suggellata o con voto o, per lo meno, con un fermo proposito: ” la vergine è tutta sollecita delle cose del Signore, affin di essere santa di corpo e di spirito ” (1 Cor., 7, 32). Che Maria, prima dell’incarnazione del Verbo, fosse consacrata a Dio, appare chiaramente dalla domanda da Lei opposta alla proposta dell’Angelo: ” Come avverrà ciò, dal momento che io non conosco uomo? ” (Lc. 1, 34). Non avrebbe pronunziato queste parole se non fosse stata di già consacrata a Dio. Questa sua consacrazione a Dio è parte integrante e principale del dogma della sua verginità. In tal modo la Vergine, prima di aprire al Verbo il suo seno, gli aveva aperto il suo cuore verginale, in modo totalitario e perenne.
Tale è la verginità di Maria nei vari elementi che la compongono, nella pienezza del suo significato. I primi tre elementi riguardano la verginità fisiologica del corpo; il quarto riguarda la verginità del senso; il quinto riguarda la verginità dell’anima. Essi costituiscono il concetto integrale della verginità ” prima del parto “.
Note alla prima parte
(3) I naturalisti hanno riconosciuto alcuni casi di partenogenesi animale. Non si conosce però, fino ad oggi, un solo caso di partenogenesi umana, sufficientemente provato, per cui sì ammette comunemente che una tale partenogenesi sarebbe un vero miracolo. Vi è però chi ritiene che un tale fatto sia scientificamente del tutto improbabile, ma non già impossibile (così ritiene il P. Bosio S.J,, in “Civiltà Cattolica” 15-6-1957). I biologi affermano concordemente che, se si desse una partenogenesi umana naturale, il frutto di essa sarebbe necessariamente un essere umano di sesso femminile, pel fatto che la madre è priva di cromosomo Y, caratteristico dell’uomo. Secondo i dati della scienza, poi, risulta fisicamente impossibile l’ipotesi di un concepimento verginale che produca un essere umano di sesso maschile.
…Parte Prima. “Concepito di Spirito Santo”. La Verginità di Maria “Prima del parto”. Gli errori e i dubbi di oggi. Sentenze di modernisti e protestanti. Influsso degli acattolici sui cattolici. Il “Nuovo Catechismo Olandese”. Echi delle controversie in Italia. Alla radice dei vari errori. Errori vecchi presentati come… nuovi….
LA VERGINITA’ DI MARIA, OGGI
PARTE PRIMA
“CONCEPITO DI SPIRITO SANTO “
LA VERGINITÀ’ DI MARIA ” PRIMA DEL PARTO “
II. GLI ERRORI E I DUBBI DI OGGI
1. SENTENZE DI MODERNISTI E PROTESTANTI
Secondo i Modernisti la verginità di Maria ” prima del parto ” (ossia il concepimento verginale) dev’essere negata, perché sarebbe stata introdotta nella Chiesa nel secolo II, sotto l’influsso dei Doceti, i quali negavano la realtà dell’umanità di Cristo (così p. es. il TURMEL o ps. HERZOG, La Sainte Vierge dans l’histoire, Parigi, 1908); oppure perché, anziché un fatto storico, non sarebbe altro che un ” mito “, del quale han cura di indicare persino i vari stadi che avrebbe percorso (così p. es. H. KOCH, Virgo Eva-Virgo Maria, Berlin Leipzig, 1917; Idem, Adhuc Virgo; Tùbingen 1929).
La teologia liberale o razionalistica, nega il concepimento verginale di Cristo non già per motivi di scienza biblica, ma unicamente perché ritiene impossibile qualsiasi prodigio. Per spiegare poi in che modo, per quale via, un tale concepimento verginale è penetrato nei Libri sacri del Nuovo Testamento, ha proposto due soluzioni: 1) esso è sorto – dicono – nell’ambiente palestinese, sotto l’influsso di Isaia, 7, 14: ” Ecco che una vergine concepisce e partorisce un figlio… “;
2) esso è sorto sotto l’influsso della mitologia pagana. La prima soluzione è stata sostenuta da Adolfo Harnack. S. Matteo infatti (1, 22) si rifà esplicitamente al celebre testo di Isaia del quale vede una realizzazione della nascita di Gesù. San Luca (1, 31) poi allude allo stesso testo di Isaia. È ben noto però come nell’Antico Testamento il testo di Isaia non fu affatto interpretato nel senso di un concepimento e di un parto verginale; una tale idea era del tutto estranea al giudaismo, e perciò non poteva venire dal giudaismo. Per S. Matteo infatti non è il testo di Isaia che lo guida alla comprensione della realizzazione del parto verginale, ma è la realizzazione del parto verginale che lo guida alla comprensione del testo di Isaia, il quale solo per ispirazione profetica divina (non già da miti orientali preesistenti) potè avere l’idea di un concepimento e di un parto verginale (secondo un’indagine di G. DALLING, Theologisches Worterbuch, V, 824-835, Is. 7, 14, è la testimonianza certa più antica di una tale idea).
Altri razionalisti, messa da parte questa prima soluzione, danno la seconda, ossia, ritengono che il concepimento verginale sia stato originato da idee mitologiche pagane (ossia, dalla mitologia babilonese, egiziana, persiana, e, specialmente, greca). La storia delle religioni pagane, infatti, ci parla del mito dell’unione di qualche dio con qualche donna, dalla quale unione sono nati gli uomini grandi, divini (filosofi, re, imperatori, eroi, ecc.). Di qui l’idea mitica delle dee-madri. Così, per esempio, secondo il mito, sarebbero nati Platone, Pitagora, Alessandro, Augusto, ecc. Essi sarebbero figli di un padre celeste e di una madre terrena. Ciò posto, i cristiani di formazione ellenistica provenienti dal paganesimo – secondo i razionalisti – avrebbero ammesso una simile origine divina, una origine verginale anche per Cristo.
Tra i Protestanti di oggi han negato in modo radicale il concepimento verginale H. von Campenhausen e M. Dibelius, luterani, nonché il razionalista Bultmann. Tutti e tre hanno influenzato alcuni cattolici.
H. VON CAMPENHAUSEN (Die Jungfrauengeburt in der Theologie der Alten Kirche [ Sitzungsbericht Heidelberger Akad. Wiss. phil.-hist. Klasse, 3] 1962) ha presentato un breve studio critico secondo il quale il concepimento verginale non sarebbe altro che uno sviluppo leggendario, estraneo a Paolo e a due degli Evangelisti (Marco e Giovanni), tardivamente sviluppato dagli altri due (Matteo e Luca) partendo da elementi che, all’inizio, erano differentemente orientali. Egli sottolinea il relativo silenzio dei primi Padri e ciò che potrebbe limitare le loro affermazioni, cercando tutte le vie per minimizzarle.
MARTIN DIBELIUS (che ha influito non poco – come vedremo – su alcuni cattolici ” progressisti “) ha cercato di spiegare la primitiva fede cristiana nel concepimento verginale di Cristo da parte di Maria come uno sviluppo normale e una rielaborazione progressiva delle idee veterotestamentarie e giudaiche intorno all’origine di alcuni insigni personaggi della Storia Sacra, origine dovuta ad uno speciale intervento di Dio (Isacco, Sansone, Samuele, ecc.). Il giudaismo palestinese – dice Dibelius – afferma una tale idea, ma non arrivò fino all’esclusione dell’opera dell’uomo. Il giudaismo ellenista, invece, sotto l’influsso della versione del versetto 14 del capo VII di Isaia fatta dai Settanta e sotto l’influsso delle idee elleniche (sopra esposte), arrivò all’idea di un concepimento meraviglioso, per opera dello Spirito Santo di Dio nel seno di una Vergine, senza parlare di un padre umano. Un esempio di ciò il protestante Dibelius lo trova in San Paolo allorché descrive, nella lettera ai Galati, la doppia maternità di Sarà (moglie di Abramo): costei ebbe un figlio ” secondo la carne “, Ismaele; e un figlio ” secondo lo spirito “, Isacco. Certo – dice Dibelius – San Paolo sapeva che Isacco era figlio naturale di Abramo; non per questo però esclude l’idea che un eletto da Dio venga generato in modo meraviglioso in quanto che, in luogo del padre umano, entra in azione la forza dello spirito di Dio. Anche in Filone – rileva inoltre Dibelius – si incontra, in forma allegorica, l’idea che alcune insigni donne ottengono la fecondità mediante il meraviglioso intervento divino, senza intervento di alcun mortale. L’esempio di Paolo e di Filone – secondo Dibelius – giustificano la conclusione che il giudaismo ellenico conosceva l’idea del concepimento miracoloso di uomini santi sotto l’azione di Dio, con esclusione di padre umano. Ciò posto, qual è – si chiede Dibelius – il senso di tale affermazione? Con essa – dice Dibelius – non si intendeva affermare un fatto storico, ma si intendeva affermare un’idea teologica: il dominio assoluto di Dio, il quale dispone della vita dell’uomo e dirige provvidenzialmente l’apparizione degli uomini grandi predestinati a qualche missione. All’avvento del Cristianesimo – prosegue Dibelius – era quasi inevitabile che venisse applicata a Cristo una simile teoria, cioè: essere ” generato secondo lo spirito “. In tal modo fin dai primi anni del Cristianesimo, l’idea della origine verginale di Cristo (” secondo lo spirito “) fu creduta e predicata come un ” teologumenon ” cristiano, prima di passare ad essere descritta, sensibilizzata e sceneggiata da S. Luca in una narrazione (“leggenda”), quale la possediamo oggi. Con l’espressione ” teologumenon ” si intende dire che i cristiani primitivi non sapevano in modo fisso come venne al mondo Gesù e che a loro neppure interessava saperlo. Con l’espressione: concepito ” secondo lo Spirito “, essi intendevano esprimere questa idea teologica: il supremo dominio di Dio sopra tutte le circostanze concrete che hanno accompagnato la venuta del Messia in questo mondo (cfr. DIBELIUS M., Jungfrauensohn und Krippenkind: Untersuchungen zur Geburtsgeschichte Jesu in Lukas-Evangelium: Botschaft und Geschichte, Gesammelte, Autsatze von Martin Dibelius, 1° vol., p. 1-78. J.C.B. Mohr-Tubingen, 1953, p. 18 ss., 25-35, 35-38, 36-39. Fu pubblicato per la prima volta nel 1932, nella collezione ” Sitzungsberichte der Heidelberg Akademie der Steinmetzer Fr. X: Klasse Abh. 4 “).
Una discreta eco ha avuto anche fra i cattolici ” progressisti “, la cosiddetta ” demitizzazione ” proclamata dal protestante evangelico RUDOLF BULTMANN negli articoli pubblicati nel fascicolo VII dei Beitràge zur Evangelischen Theologie del 1941. Nel secondo di questi articoli (Neues Testament una Mythologie, ripubblicato nel volume Kerigma und Mythos, vol. I, Hamburg, 1954), Bultmann, parte dalla constatazione che una delle maggiori fonti di difficoltà incontrate dall’uomo contemporaneo (formatosi alla scuola della scienza e della tecnica) è dovuta al fatto che le varie confessioni religiose gli impongono una specie di ” sacrificio dell’intelletto ” (sacrificium intellectus) che, in realtà, non è affatto necessario, poiché il Nuovo Testamento espone il Kerigma divino in forma di mito, ossia, quel modo di rappresentare il divino come umano, l’al di là come l’al di qua (op, cit., p. 23, 1). ,
I miracoli, secondo lui” non sono affatto qualcosa di eccezionale…: sono” elementi mitologici, i quali non possono essere credibili per l’uomo d’oggi. Conseguentemente, la predicazione del Nuovo Testamento, presentata in forma mitica, se si vuole che sia valida per l’uomo d’oggi, dev’essere “demitizzata “, attraverso l’interpretazione esistenzialistica del mito. Tra questi ” miti ” vi è anche, ovviamente, il prodigio del concepimento verginale di Cristo. Anche questo ” mito ” perciò dovrebbe essere sottoposto al trattamento della demitizzazione: un tale prodigioso concepimento non esprimerebbe altro che la trascendenza del Figlio (la sua origine dal Padre) e la perfetta santità della Madre (la sua purezza morale totale), dimenticando – evidentemente – di riflettere che un tale concepimento verginale è un’esigenza sia della trascendenza del Figlio, sia della perfetta santità della Madre.
2. INFLUSSO DEGLI ACATTOLICI SUI CATTOLICI
Le idee espresse da Campenhausen, da Dibelius e da Bultmann hanno esercitato un influsso nefasto sopra alcuni cattolici “progressisti “. Per questo la S. Congregazione per la Dottrina della Fede, in una Lettera in data 14 luglio 1966, tra i punti ai quali chiedeva alle Conferenze Episcopali delle varie nazioni una risposta intorno agli ” errori ” che circolano nei vari paesi, elencava anche quello della ” concezione verginale ” di Cristo, ridotta – secondo la suddetta Lettera – a ” fatto puramente naturale “. È nota la risposta data a tale domanda dall’Episcopato Olandese:
” Per quanto concerne la concezione verginale di Cristo da Maria si deve stabilire anzitutto che tutti coloro che accettano il significato singolare e unico di salvezza di Gesù, ne vedono un’espressione nei racconti dell’Annunciazione di Luca 1 e Matteo 1. Questi difatti devono essere valutati anzitutto come una confessione di Cristo da parte della novella Chiesa, come anche l’articolo del simbolo apostolico “che è concepito dallo Spirito Santo, nato da Maria Vergine”.
” Ora però c’è diversità di idee sulla questione se si tratti di un racconto oppure di un avvenimento nel corpo di Maria; in altre parole cioè se questo racconto e l’articolo di fede corrispondente debba essere compreso metaforicamente o letteralmente.
” Benché sia significativo che i racconti così differenti di Mt. e Lc. sull’infanzia descrivono ciascuno nel proprio modo la nascita verginale di Cristo, questa tradizione non sembra però farsi strada in tutto il Nuovo Testamento. In favore di una interpretazione letterale dei racconti si ha il fatto che le genealogie di Gesù evitano di nominare Giuseppe padre di Gesù (Mt. 1, 16; Le. 3, 23); contro di essa si sa che la paternità di Giuseppe è espressa altrove senza riserva anche se sempre sulla bocca di altri e non dell’evangelista (Le. 2, 48; 4, 22 contro Mc. 6, 3; Gv. 1, 45; 6, 42). Ciò che restava indeciso dentro la tradizione biblica e non del tutto deciso anche nella tradizione post-biblica. È vero che nei testi liturgici e dogmatici Maria viene quasi sempre designata come vergine e spesse volte come “sempre vergine” ma mai è stato definito con la pienezza del Magistero se questo termine “vergine” debba essere compreso letteralmente. Certo, il Concilio Lateranense del 649 si è pronunciato in questo senso (Denz. Schon. 503. Denz. 256), ma questo era un Concilio provinciale, non universale. Anche in una bolla di Papa Paolo IV del 1555 (Denz. Schòn. 1880; Denz. 993) il senso letterale, insieme ad altri punti dottrinali, viene difeso contro gli Unitari, ma questo è detto di passaggio, non nella forma di una risposta diretta ad una controversia. Ovviamente non si può trascurare il magistero ordinario, ma si richiede uno studio più preciso per sapere se esso si pronunzi anche in modo diretto in favore della interpretazione letterale della concezione verginale ” (cfr. “Il Regno”, Documentazione Cattolica 1968, n. 6, p. 105).
3. IL ” NUOVO CATECHISMO OLANDESE “
Secondo gli autori gli questo ” Nuovo Catechismo ” la verginità di Maria, come è stata espressa fino ad oggi dalla Chiesa, dev’essere riveduta e corretta. Le parole del Simbolo della fede ” Nato dalla Vergine Maria ” applicate a Gesù – secondo costoro – non sarebbero altro che un’espressione poetica, usata per significare che Egli è venuto al mondo come un singolare ” dono ” della grazia di Dio. Gli autori del famoso ” Nuova Catechismo Olandese “, sono arrivati a dire che gli Evangelisti Matteo e Luca, asserendo che Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo, non già per opera d’uomo, han voluto significare che Gesù è ” nel più alto grado, il frutto di una promessa “, frutto ” superiore a tutte le possibilità dell’uomo “, il ” dono ” di Dio all’uomo. Questo – secondo gli autori del Catechismo – sarebbe il significato ” profondo ” delle asserzioni dei due Evangelisti. ” Dei grandi uomini dell’Antico Testamento – dice il ” Nuovo Catechismo Olandese ” – si narra come furono impetrati da Dio “. E dopo aver nominato alcuni Patriarchi (Isacco, Giacobbe, Sansone, Samuele, il bambino della casa reale di Acaz e S. Giovanni Battista), prosegue rilevando che ” di tutti i figli della promessa di Israele, Gesù è il punto più alto “. Gesù perciò viene messo nella stessa linea di tutti gli altri (generati in modo ordinario) e questo sarebbe ciò che esprimono gli Evangelisti Matteo e Luca quando annunciano che Gesù non procedette dalla volontà di uomo. Questo sarebbe il senso ” profondo ” dell’articolo di fede: ” nato da Maria Vergine “. Questo fatto non avrebbe altro che una significazione ” simbolica ” esprimente la somma gratuità del ” dono ” fattoci da Dio.
Ecco il testo completo del ” Nuovo Catechismo olandese ” : ” Contemporaneamente all’origine umana di Gesù, i Vangeli riferiscono anche la sua origine da Dio. ” Dei grandi personaggi del Vecchio Testamento si racconta spesso che furono implorati da Dio. Dopo invocazioni e preghiere e dopo la promessa di Dio, l’intimità coniugale di sposi che non avevano ancora avuto figli diveniva finalmente feconda. Fu così per i Patriarchi di Israele, Isacco e Giacobbe, così per Sansone e Samuele e il figlio della casata di Achaz, segno della fedeltà di Dio in tempi travagliati. Così fu per Giovanni il Battista. In quei racconti emerge in modo eccezionale ciò che palpita in ogni paternità e maternità: un nuovo essere umano (sempre ogni volta unico) è, in ultima analisi, un dono di Dio,
Si usa dire che i genitori “hanno avuto” un bambino, più che non lo abbiano “fatto”.
” Fra tanti figli della promessa di Israele, Gesù è il più eccelso. Quando venne al mondo, era stato implorato da tutto un popolo, promesso da tutta una storia. Figlio di promessa come nessun altro, Oggetto del più profondo desiderio di tutta l’umanità. Nacque per pura grazia, per sola promessa, “concepito di Spirito Santo”. Il dono di Dio all’umanità.
” Gli evangelisti Matteo e Luca sottolineano tutto ciò quando affermano che Gesù non è nato per volontà di un uomo. Essi dicono che questa nascita, ben più della nascita di qualsiasi altra creatura umana, non sta in relazione alcuna con le capacità puramente umane. Appunto questo è il senso profondo dell’articolo di fede che dice: “nacque da Maria Vergine”. Nulla esiste in seno all’umanità, nulla nell’umana fecondità, che possa generarlo. Lui dal quale dipende ogni fecondità umana, la formazione tutta del nostro genere umano: in Lui, infatti, tutto è creato.
” In ultima analisi il genere umano deve la venuta di questo Promesso allo Spirito Santo. La sua origine non è ne dal sangue ne dalla volontà della carne, ne dalla volontà di un uomo, ma da Dio: da tanta altezza, da tanto lontano “. (Il Nuovo Catechismo Olandese, Torino, ed. Elle di ci, pag. 92).
II testo – come si vede – è per lo meno equivoco : sotto la cortina fumogena delle parole, si viene a negare velatamente il dogma.
Con ragione perciò la ” Commissione Cardinalizia ” nominata dal S.P. Paolo VI per l’esame del ” Nuovo Catechismo Olandese “, dichiarava, fra l’altro:
” 3. Circa la concezione di Gesù da Maria in modo verginale.
– La Commissione dei Cardinali ha chiesto che il “Catechismo” proclami apertamente che la Madre Santissima del Verbo Incarnato ha sempre goduto dell’onore della verginità, e che affermi chiaramente il fatto stesso della concezione verginale di Gesù, che quantomai conveniva al mistero dell’Incarnazione; e che perciò non si dia alcuna ansa per abbandonare la realtà di questo fatto, contenuto nella tradizione della Chiesa fondata sulla Sacra Scrittura, conservandone soltanto una sua significazione simbolica, per esempio la somma gratuità del dono, che Dio ci ha fatto del Figlio Suo “. [92. 95. 96. 188] (cfr. A.A.S. 60 [1968] p. 688). Per questo il S.P. Paolo VI, nella Lettera del 30 marzo 1967 al Card. Alfrink, Primate d’Olanda, chiedeva che fosse evitata qualsiasi ambiguità, trattandosi di un dogma di fede (cfr. Il Dossier del Catechismo Olandese, p. 146, 148).
Il concepimento verginale di Cristo da Maria, negato velatamente o, per lo meno, esposto in modo equivoco, ambiguo nel ” Nuovo Catechismo Olandese “, è stato negato apertamente da alcuni teologi olandesi che hanno collaborato alla composizione del medesimo.
1) II P. PIET SCHOONENBERG S.J.. in una intervista radiofonica, osservava che per una retta interpretazione del cosiddetto ” Vangelo dell’Infanzia ” (Mt. 1, Le. 1-2) andava tenuto presente il “genere letterario “. ” Basandoci – diceva – su questa nuova (…) comprensione (del Vangelo), possiamo domandarci se il racconto dell’annunciazione tramandatoci da Luca (1, 26-38) e da Matteo (1, 20-25) debba intendersi in senso letterale (proprio) o figurato ” (cfr. I grandi temi del Catechismo Olandese, Brescia, Queriniana, 1968, p. 131-136).
Secondo Schoonenberg, la verginità corporale di Maria non è da ritenersi come dogma, ma come ” questione aperta “. ” II Nuovo Testamento – secondo lui – nel suo insieme, da l’impressione che la nascita verginale (di Gesù) sia un modo di parlare poetico ” (cfr. ” De Tijd “, 17 dic. 1966).
2) Anche il P. VAN KILSDONK S.J. (collega del P. Schoonenberg ) dopo aver negato apertamente la verginità corporale di Maria, dichiara: ” II titolo di “Vergine”, per Maria, non è altro che un’aggiunta della poesia religiosa del Nuovo Testamento “. Per il P. Van Kilsdonk, ” il concepimento di Gesù nel seno di sua madre, senza l’intervento di un uomo ” dev’essere rigettato (cfr. ” Confrontatie “, 8 nov. 1966, pagina 29 s.), ove viene riportata una trasmissione fatta dal P. Van Kilsdonk alla radio cattolica olandese (K.R.O.) l’11ottobre 1966.
3) Anche il Cappellano olandese GROENENDIJK, ha negato recisamente il concepimento verginale come fatto biologico alla televisione olandese il 14 luglio 1966, ponendola sullo stesso piano dei sette giorni della creazione i quali – evidentemente – non van presi in senso storico, letterale (cfr, la protesta di P. Van Doornik M.S.C, su ” De Tijd ” del 20 luglio 1966).
4) II tedesco UBERTO ABEAS, facendo eco ai suddetti olandesi ha negato anche lui recisamente la verginità’ di Maria ” prima del parto ” nel concepimento di Cristo (cfr. Fundamental Katecketik, Dùsseldorf, 1968, p. 200 ss.). È stato però riprovato dalla Gerarchia cattolica tedesca (cfr. Herder-Korresp.; Heft 1, del 1969, pag. 15-18).
4. ECHI DELLE CONTROVERSIE IN ITALIA
Recentemente, poi, anche in Italia, in un opuscolo indirizzato ” ai cristiani adulti di oggi ” (H. MOURITZ, I grandi temi del Catechismo Olandese, edito dalla Queriniana di Brescia) si affermava che, per i cattolici, la questione della verginità fisica o soltanto morale di Maria nel concepimento di Cristo, era una questione tuttora ” aperta ” e perciò discutibile! Questo infame opuscolo viene presentato, dalla Editrice Queriniana (Cattolica!…) come una ” sintesi completa e precisa ” del famigerato Catechismo Olandese. Vi si dice: ” II sorgere di nuove opinioni sulla nascita verginale è stato influenzato dal progresso [o regresso?…] dell’esegesi e da una migliore comprensione della Scrittura [meglio si direbbe: da un nuovo travisamento della Scrittura]. Basandoci su questa nuova comprensione, possiamo domandarci se il racconto dell’annunciazione tramandatoci da Luca (1, 26-38) e da Matteo (1, 13-25) debba intendersi in senso letterale o figurato.
… Il punto cruciale è questo: che cosa hanno inteso dire i due evangelisti con la loro narrazione, considerata come un tutto unico? Intendono descrivere un avvenimento biologico e fisico, o vogliono invece servirsi di un genere letterario per dirci che Gesù è il Figlio unigenito fin dall’origine? In altri termini: Matteo e Luca ci danno un’interpretazione teologica sotto forma di racconto, o vogliono darci invece un documento storico? ” (p. 132 s.). Il Mouritz propende verso la prima parte del dilemma. Poco importa a lui che ” la suprema autorità della Chiesa ” (alla quale sola appartiene l’autentica interpretazione della S. Scrittura) si sia pronunziata in senso contrario, perché la questione – secondo lui – come si presenta oggi, non è stata mai definita ” in modo esplicito “. E più oltre, a p. 113, aggiunge che ci possiamo chiedere se questa autorità (della Chiesa) difenda l’aspetto fisico della nascita verginale a causa della fede, o, forse per altri motivi, per esempio a causa di una minore valorizzazione della sessualità. E conclude, con la più grande disinvoltura: ” Anche se Maria ha concepito Cristo in modo fisico ordinario [non verginalmente, ossia, per opera d’uomo], Essa resta pur sempre Vergine Madre [è lui che sottolinea] per la dedizione di tutta se stessa a Dio. È a Lui infatti che ha dato tutto il suo cuore ” (p. 135). Sarebbe quindi una Vergine Madre solo di nome, non già di fatto. E aggiunge ancora (quantunque non ve ne sia bisogno): ” Giustamente il Catechismo Olandese si ispira a queste verità [meglio avrebbe detto: ” a queste falsità]. Se ci atteniamo a questo significato essenziale dell’evento salvifico, possiamo considerare ancora aperta la questione se la concezione di Cristo sia stata fisica o meno ” (p. 136). La nostra fede – secondo il Mouritz – è… ” una fede di ricerca ” (ibid.), ossia, una fede in fieri!… (4).
5. ALLA RADICE DEI VARI ERRORI
Alla base di questa odierna contestazione della verginità di Maria ” prima del parto “, stanno le seguenti ragioni:
1 ) vi è la difficoltà di riconoscere il miracolo, ossia, un intervento miracoloso di Dio, al quale ” nulla è impossibile ” (Lc. 1, 37) nell’ordine della natura corporea: per questa gente il ” mito ” si identifica col ” miracolo “;
2) vi è la tendenza a rendere l’incarnazione più umana, a sottolineare in modo particolare, in Cristo, l’uomo, l’umanità, onde renderlo il più vicino possibile agli uomini, ossia, più umano: un Cristo infatti concepito come tutti gli altri uomini, sarebbe un Cristo più vicino all’umanità; ma costoro finiscono con lasciare nell’ombra la divinità di Cristo, o col negarla;
3) vi è la tendenza a svalutare la verginità, a valorizzare la sessualità, ad esaltare esageratamente l’unione coniugale da parte dell’uomo d’oggi; il quale – a differenza dell’uomo di ieri – vede nel matrimonio un istituto ingiustamente abbassato per elevare lo stato verginale: per il fatto stesso – dicono – che Cristo è il frutto del matrimonio e della procreazione umana, si ha un’esaltazione dello stato matrimoniale.
Questi sono i tre principali motivi per cui non pochi hanno negato il carattere verginale e perciò miracoloso del concepimento di Cristo da parte di Maria, e l’hanno ritenuta frutto di un rivestimento poetico, mitologico. Essi dimenticano che il concepimento verginale di Cristo è ordinato a rivelare la sua natura di Figlio di Dio che, in una nuova creazione, viene ad inserirsi, per salvarlo, nel mondo (cfr. DANIELI G., Origini della tradizione sinottica sulla concezione verginale, in ” Divus Thomas ” [Plac.], 72 [1969] pag. 312-331).
6. ERRORI VECCHI PRESENTATI COME… NUOVI
Secondo questi negatori o contestatori di oggi, il concepimento verginale di Cristo (l’espressione ” nato dalla Vergine “), comporterebbe un rivestimento poetico d’ordine prodigioso (mitico) dato ad una realtà più semplice, questa: Gesù è nato in virtù di un ” dono speciale ” di Dio, il dono supremo della grazia divina, perciò la sua nascita si trova al vertice delle nascite degli uomini insigni dell’Antico Testamento, nascite che ci vengono presentate dalla Bibbia come provenienti da un sovrano intervento di Dio, quantunque siano frutto dell’unione coniugale. Questa l’idea o realtà primitiva. Per accentuare poi meglio una tale idea o realtà primitiva, la comunità cristiana l’avrebbe rivestita dell’idea prodigiosa (mitica), ossia, di un’origine o concepimento verginale. Si veniva ad esprimere così, in modo materiale, biologico, ciò che era soltanto spirituale (un figlio venuto eccezionalmente dall’alto).
Dinanzi a questa pretesa mitizzazione dell’idea o realtà primitiva, s’impone – dicono costoro – una purificazione, una demitizzazione, ossia, una liquidazione pura e semplice del rivestimento portentoso dal concepimento verginale. In tal modo – dicono – il dogma del concepimento verginale di Cristo, non verrebbe negato, ma verrebbe purificato, verrebbe inteso nel suo vero significato. Questa demitizzazione indubbiamente, – lo riconoscono – va contro la tradizione cristiana e contro l’insegnamento della Chiesa (le definizioni infallibili dei Concili e dei Papi); però – dicono i demitizzatori – se all’origine della tradizione cristiana vi si trova un mito, ne segue che la formulazione (il genere letterario) che vi si appoggia deve essere presa in funzione dello sviluppo mitologico che essa suppone, per cui tutte le porte che si vorrebbero chiudere alla demitizzazione dovranno invece essere aperte. Orbene questi odierni paladini della cosiddetta ” demitizzazione “, pur pretendendo di dire qualcosa di nuovo, in realtà non fanno altro che ripetere ne più ne meno un errore proposto già verso la metà del secolo II e confutato egregiamente, fin da quel tempo, da San Giustino Martire (c. 110- c. 165). Discutendo col rabbino giudeo Trifone sulla verginità di Maria, San Giustino faceva appello alla celebre profezia di Isaia (7, 15) sul concepimento e sul parto verginale della Madre dell’Emanuele. ” Isaia – diceva S. Giustino a Trifone – ispirato dallo Spirito Santo, preannunzia, come vi ho esposto, un vero prodigio… ” (Dial. cum Triphone, 14, n. 84, PG 6, 674), Ma Trifone – si noti bene!… – precedendo di quasi 19 secoli i demitizzatori di oggi, invitò S. Giustino a demitizzare il concepimento e la nascita verginale di Cristo: ” Nei miti di coloro che si chiamano Greci – asseriva Trifone – si dice che Perseo nacque da Danae la quale era vergine, dopo che colui, il quale presso di loro viene appellato Zeus, si era effuso su di essa sotto forma di oro. Voi – diceva – dovreste arrossire di raccontare le stesse cose, e sarebbe meglio dire che Gesù fu un uomo tra gli uomini… Ma non arrischiatevi a parlare di prodigi onde evitare di esser presi per scemi, come i Greci ” (ibid., 67, 1-2, ediz. G. Archambault, Parigi 1909, I, p. 319-321).
Ciò dunque che per Trifone era un ” mito “, per S. Giustino era un ” mistero “, un ” prodigio “. E come Trifone invitava S. Giustino a ” demitizzare “, in nome della ragione, un tale ” mistero “, un tale ” prodigio ” così questi novelli Trifoni (regressisti, non già progressisti) invitano oggi la Chiesa (dinanzi alla quale osano impancarsi a maestri, anziché mostrarsi docili discepoli) a ” demitizzare ” il prodigioso ” mistero ” del concepimento verginale di Cristo.
Ciò premesso, in base all’insegnamento del Magistero Ecclesiastico, della Sacra Scrittura e della Tradizione primitiva, noi confuteremo gli esposti errori dimostrando come il concepimento verginale di Cristo (la verginità di Maria SS. ” prima del parto “) sia una verità di fede definita, una ” questione chiusa ” e non già – come si vorrebbe – una ” questione aperta “, un ” mistero ” da credersi, non già da discutersi. Passiamo perciò al terzo punto, ossia, alla confutazione degli errori.
Note alla prima parte
(4) Anche il P. Carl Rahner ha negato la storicità del cosiddetto ” Vangelo dell’Infanzia ” (Matteo 1, 13-25 e Luca 1, 26-38) in cui si parla del concepimento verginale di Cristo per opera dello Spirito Santo. Un tale Vangelo, pel Rahner, non era parte del ” Kerigma apostolico della salvezza “, ma è ” una vera teologia cristiana della rivelazione e del messaggio di salvezza ” (RAHNER C., Saggi di Cristologia e di Mariologia, Ediz. Paoline, 1965, p. 389-390). Ciò che viene raccontato perciò nel cosiddetto ” Vangelo dell’Infanzia ” (incluso il concepimento verginale), non sarebbe storia tramandata, ma teologia, ossia, un ripensamento personale di Matteo e Luca.
Magistero Ecclesiastico. Testimonianze bibliche. La Tradizione….
LA VERGINITA’ DI MARIA, OGGI
PARTE PRIMA
“CONCEPITO DI SPIRITO SANTO “
LA VERGINITÀ’ DI MARIA ” PRIMA DEL PARTO “
III. LA CONFUTAZIONE DEGLI ERRORI E DEI DUBBI
1. L’INSEGNAMENTO DEL MAGISTERO ECCLESIASTICO
(attraverso l’antichissima ” Regola della Fede “, attraverso i vari ” simboli della fede “, attraverso i Concili Ecumenici, attraverso l’insegnamento dei Papi e attraverso le testimonianze della Sacra Liturgia).
1 ) La ” Regola della fede ” e il concepimento verginale. L’esistenza di una ” Regola della fede ” è testimoniata fin dall’inizio del secolo II. È infatti questa ” Regola della fede ” che S. Ignazio d’Antiochia (+ 107 – 110) opponeva ai Doceti allorché enunziava ” in formole già stereotipate e fissate dall’uso liturgico ” (cfr. CAMELOT TH., O.P., in Ignace d’Antiochie, Lettres, ed. ” Sources Chrétiennes “, 10, 27; cfr. p. 118, n. 2), la generazione verginale, la morte e la resurrezione di Cristo: ” Nostro Signore – diceva nella lettera agli Smirnesi (1, 2) – è veramente della stirpe di David secondo la carne, figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, veramente nato da una vergine “. Si tratta, in forza del contesto, di una verità di fede, di una verità cioè della quale i cristiani dovevano essere ” fermamente convinti “. Parlando poi contro gli stessi Doceti, e asserendo che Dio è nato ” veramente ” (ossia, corporalmente, non già apparentemente) ” da una vergine “, S. Ignazio parla, evidentemente, di una verginità corporale (cfr. JOUASSARD G., Marie à travers la patristique, in Maria del P. H. Manoir, I, Paris 1949, 73, n. 6).
Secondo S. IRENEO (+ 202 c.) la fede della Chiesa universale, ricevuta dagli Apostoli e dai loro discepoli, aveva per oggetto, in modo particolare, ” la generazione di Cristo dalla (ek) vergine “, nonché la sua passione, la sua risurrezione, la sua ascensione e la sua parusia (Her. 1, 10, s.; ed. Harvey, I, p. 91). Ed aggiunge immediatamente: ” Avendo ricevuto questo Kerigma e questa fede, come noi abbiamo già detto, la Chiesa, quantunque sparsa in tutto il mondo, lo custodisce con cura, come se essa non avesse che una sola dimora; ed ella vi crede come se non avesse che un’anima sola e un cuor solo, ella la predica unanimemente, la insegna e la trasmette, come se essa non avesse che una sola bocca ” (Her. 1, 10, 2; ed. Harvey, I, 92). Per S. Ireneo, una tale verità è da aversi ” come regola della fede, da credersi da tutti ” (5).
Altrettanto ripete TERTULLIANO (+ 222-223 c.) appellandosi anche lui alla ” Regola della fede “: ” La regola di fede – dice – è del tutto una, sola, immutabile e irreformabile: è necessario credere in un Dio unico onnipotente, creatore del mondo, e nel suo figlio Gesù Cristo, nato dalla Vergine Maria, crocifisso sotto Ponzio Filato, risuscitato dai morti il terzo giorno, ricevuto nei cieli, assise ora alla destra del Padre, e che verrà a giudicare i vivi e i morti per la risurrezione della carne ” (De virg. vel., 1,3; C.S.E.L. 2, p. 1209). Tertulliano sottolinea la continuità di questa ” Regola della fede “; essa viene da Cristo, ed ” ha iniziato il suo corso fin dal principio del Vangelo ” (De praescript. haer., 13, 3: C.S.E.L. 1, p. 197).
2) I ” Simboli della fede ” propriamente detti sono sorti un po’ più tardi della ” Regola della fede “. Il concepimento verginale viene ricordato nel Simbolo Apostolico, sia nella forma occidentale (tanto in quella antica che in quella più recente) sia nella forma orientale, nel Simbolo di Epifanie (lo formola più lunga).
La più antica formola di ” Simbolo Apostolico ” può farsi risalire agli ultimi decenni del secolo II, o agli inizi del secolo III. Tale è il Simbolo Apostolico secondo la forma occidentale più antica (detta ” Romana “) in cui si dice: ” Credo… in Gesù Cristo… nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo ” (cfr. DENZINGER, 2).
Nel Simbolo di Epifania, secondo la forma più lunga (del sec. IV) si dice: ” Crediamo in Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito… il quale per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e s’incarnò, cioè, perfettamente generato da Maria sempre Vergine per opera dello Spirito Santo, si è fatto uomo ” (Denzinger, 13). Questa formula di Epifanio va più in là del concepimento verginale: enunzia la verginità perfetta. È un’esplicitazione della formula primitiva ” nato dalla Vergine “. Il termine ” la Vergine “, infatti, sembra indicare una verginità senza restrizioni, senza limiti di tempo. Era, evidentemente, una risposta a coloro che, pur ammettendo che Maria era stata vergine nel concepire Gesù (vergine ” prima del parto “) non lo sarebbe poi stata in seguito.
Dalle testimonianze unanimi e costanti della ” Regola della fede ” e dei vari ” Simboli della fede ” si può legittimamente concludere che il concepimento verginale di Cristo da Maria, per opera dello Spirito Santo (non già per opera d’uomo) appartenga alla fede della Chiesa. Si tratta di una verginità fisica, corporale, come fisico, corporale fu il concepimento di Cristo; viene perciò esclusa qualsiasi interpretazione ” morale ” o ” spirituale “, ossia, l’idea di un dono supremo della grazia (di cui il concepimento verginale non sarebbe altro che un rivestimento poetico). Un tale significato non sarebbe ” un’interpretazione “, ma un’aperta negazione di quanto viene asserito dalla ” Regola della Fede ” e dai ” Simboli della Fede “. Non può perciò esser proposta neppure come ipotesi (a fortiori come tesi).
3) I Concili Ecumenici e il concepimento verginale, a) II Concilio Lateranense, del 649, sotto S. Martino I, nel canone terzo parla della verginità di Maria, e dice che Maria ” senza seme umano per opera dello Spirito Santo ha concepito propriamente e veramente lo stesso Verbo di Dio generato dal Padre da tutta l’eternità ” (DENZINGER, 256).
Si tratta – come dimostreremo quando tratteremo della verginità nel parto – di una definizione dogmatica, poiché una tale verità viene imposta sotto pena di scomunica e il Papa S. Martino I intendeva definire la perpetua verginità di Maria.
b) II Concilio Ecumenico Lateranense IV del 1215 definiva: ” II Figlio unico di Dio Gesù Cristo… (fu) concepito da Maria sempre vergine con la cooperazione dello Spirito Santo ” (DENZINGER, 801).
c) Il II Concilio Ecumenico di Lione del 1274, nella professione di fede di Michele Paleologo diceva: ” Noi crediamo al Figlio di Dio, verbo di Dio… nato temporalmente dallo Spirito Santo e da Maria sempre vergine” (DENZINGER, 852).
Si tratta perciò di una verità di fede definita.
4) Le affermazioni dei Papi. Vari Sommi Pontefici hanno insegnato, come verità di fede, il concepimento verginale.
S. LEONE MAGNO (440-461), nella Lettera dogmatica ” Lectis dilectionis tuae ” (del 13 giugno 449) a Flaviano Patriarca di Costantinopoli, insegnava che Cristo ” fu concepito di Spirito Santo nel seno della Madre Vergine ” e che una tale dottrina è contenuta ” nella fonte purissima della fede ” che è il ” Simbolo degli Apostoli ” (” nato da Maria Vergine “). (Epistola ad flavianum, 5, PL 54, 759).
S. ORMISDA (514-529), nella Lettera ” Inter ea ” all’Imperatore Giustino, asseriva che Dio aveva ” operato un concepimento senza seme ” (Epist. 79, PL 63, 513-516).
S. LEONE III (795-816), nell’811, approvava una professione di fede secondo la quale ” la vergine aveva generato in modo soprannaturale ed ineffabile ” (cfr. DENZINGER, 3029).
PAOLO IV, nella Costituzione ” Cum quorundam ” del 1555, condannava coloro i quali credevano che Gesù fosse stato concepito non già ” per opera dello Spirito Santo “, ” ma dal seme di Giuseppe, come gli altri uomini ” (DENZINGER, 993).
5) Le testimonianze della Sacra Liturgia. Nessuna verità, come la verginità di Maria, è attestata con maggiore insistenza nella Sacra Liturgia.
A) Nella Liturgia Romana. I testi che si incontrano su tale argomento nell’arco di tutto l’anno liturgico, nelle Messe e nell’Ufficio divino, sono innumerevoli, tanti da formare un volume (cfr. GARRIDO M., O.S.B., La virginidad de Maria en la Liturgia, in ” Est. Mar. ” 21 [1960] p. 183-208). Ci limiteremo perciò ad alcuni soltanto, ai più espressivi.
Nel Prefazio della prima festa della Madonna che veniva celebrata, nella Liturgia Romana, il primo di gennaio, si diceva: ” non conobbe uomo ed è Madre, e dopo aver avuto un figlio è vergine. Godette infatti di un duplice dono: si meraviglia di aver concepito rimanendo vergine, e si rallegra per aver dato alla luce il Redentore… ” (6). Anche nel Prefazio della Messa della Madonna e nelle nuove ” Preci Eucastistiche ” (nella II e nella IV) si ricorda che il Verbo ” si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo “.
Nell’Ufficio divino, in una delle antifone maggiori, ” l’Alma Redemptoris Mater “, la Madonna, viene detta ” vergine sia prima sia dopo ” l’annunzio dell’Angelo; ” Virgo prius ac posterius Gabrielis ab ore “.
Nel responsorio III del II notturno dell’Ufficio dell’Ottava di Natale si dice: ” Benedetta e degna di venerazione sei tu, o Vergine Maria, che senza offesa della tua purezza, sei diventata madre del Salvatore ” (7).
Negli inni poi è frequentissima l’esaltazione della verginità di Maria nel concepimento di Cristo: ” Rimanendo vergine generasti il Dio-uomo ” (8).
B) Nella liturgia bizantina. Presenta innumerevoli perle preziose sul concepimento verginale.
In un ” tropario ” dell’Ufficio della domenica dopo Natale, vi è questo grazioso invito rivolto a San Giuseppe: ” O Giuseppe, annunzia a David che tu hai veduto una vergine incinta… ” (cfr. SALAVILLE S., Maria dans la Liturgie Byzantine ou Greco-slave, in Maria del P.H. du Manoir, vol. I, p. 256), E in un ” tropario ” dell’ “Orthros ” del 1° gennaio, si dice: ” Chi potrà celebrare degnamente il mistero soprannaturale della concezione operata nel vostro seno? ” (ibid.). Nel celebre inno liturgico ” Akathistos “, riferita la domanda della Vergine all’Angelo e la risposta dell’Angelo alla Vergine, si dice: ” La virtù dell’Altissimo – adombrò e rese madre – la Vergine ignara di nozze: – quel seno, fecondo dall’alto, – divenne quel campo ubertoso per tutti, – che voglion coglier salvezza… ” (cfr. TONIOLO E., O.S.M., Akathistos. Inno alla Madre di Dio, Catania, Ediz. Paoline, 1968, p. 14).
Nella nona Ode dell’ “Othros ” del Sabato Santo vengono poste sulle labbra del Figlio queste parole: ” Non vi lamentate su di me, o Madre mia, nel vedere nella tomba il Figlio che voi avete verginalmente concepito nel vostro seno… ” (cfr. Maria del P.H. du Manoir, I, p. 268). In un ” Theotokion ” si dice: ” Dio si è degnato incarnarsi in voi, o Madre di Dio, senza padre umano, onde restaurare, nell’uomo, la sua immagine, che era stata corrotta dal peccato… ” (ibid., p. 299). Viene applicato alla Vergine il simbolo del Mar Rosso:
” Israele attraversò a piede secco l’abisso marino; la Vergine ora ha generato il Cristo per opera dello Spirito Santo ” (ibid., p. 299). In un ” Theotokion “, la Vergine viene praticamente paragonata ad una ” terra divinamente feconda per produrre senza coltura la spiga che assicura la salvezza al mondo”. E conclude: “Rendetemi degno di essere salvato, io che la mangio ” (ibid., p. 322).
C) Nella Liturgia Siro-Maronita (derivata dalla Chiesa Antiochiana), si asserisce che Maria è diventata Madre di Dio per un ” miracolo ineffabile “, senza opera d’uomo (ibid., p. 337). Ella è la ” lettera sigillata “, la ” porta chiusa “, il ” giardino chiuso ” (p. 337).
D) Nella Liturgia Caldea. In un inno di Giorgio Warda (secolo XIII) si canta: ” Si è mai veduta una figlia vergine – perpetuare il nome di vergine – e avere un figlio, senza unione? – O prodigio che trascende qualsiasi espressione! ” (ibid., p. 345). Ella è “la roccia senza fessura – dalla quale è sgorgata una sorgente ” (ibid., p. 346).
E) Nella Liturgia Armena. In un Inno dell’ “Hymnodium ” (Venezia 1898, p. 99) si afferma la perpetua verginità di Maria in questi termini; ” Tre misteri formidabili si sono manifestati in voi, o Madre di Dio: la concezione verginale, il parto immacolato, la verginità dopo il parto ” (ibid., p. 558). I cantori armeni paragonano il concepimento
verginale alla ” pietra ” staccata dalla roccia del monte senza l’aiuto delle mani dell’uomo, al ” vello di Gedeone ” ecc…
F) Nella Liturgia Etiopica. In un ” saluto ” (Salam) per la natività del Signore, viene così esaltato il concepimento verginale: ” Salve, alla tua natività, o Dio Altissimo – la quale (ebbe luogo) dalla Vergine senza unione carnale, senza seme… La terra produsse l’erba verde, come tu avevi comandato, – senza che la pioggia cadesse e senza che la rugiada l’irrorasse ” (ibid., p. 407).
2. TESTIMONIANZE BIBLICHE
Secondo gli avversari del concepimento verginale di Cristo, alla base della credenza costante e universale della Chiesa, in una tale verità, vi sarebbe una errata interpretazione del dato scritturistico, di modo che questa errata interpretazione iniziale della Sacra Scrittura avrebbe viziato in radice tutta la credenza tradizionale. La Chiesa – si dice – non avrebbe tenuto nel debito conto il genere letterario dei Vangeli dell’Infanzia. Ciò che gli Evangelisti dicono in senso poetico, improprio, la Chiesa – dicono – l’ha inteso in senso proprio. Il falso punto di partenza, perciò, avrebbe fatto camminare la Chiesa su di una via falsa, verso una meta falsa.
Ma questa pretesa opposizione tra la dottrina della Chiesa e la S. Scrittura intorno al verginale concepimento di Cristo appare del tutto chimerica; e ciò in base, precisamente, ai cosiddetti ” Vangeli dell’Infanzia “: Matteo (1, 18-25) e Luca (1, 26-38) (9).
Checché ne sia del ” genere letterario ” dell’annunzio a Giuseppe (riferito da San Matteo) e dell’annunzio a Maria (riferito da Luca), è necessario riconoscere che questi due racconti comportano una chiara affermazione del fatto storico del concepimento verginale di Cristo da parte di Maria, per opera dello Spirito Santo. Nelle due narrazioni, infatti, viene chiaramente escluso un concepimento di Cristo dovuto a relazioni coniugali, e viene chiaramente ammesso un concepimento dovuto all’azione prodigiosa dello Spirito Santo. Si tratta di due racconti diversi (quello di Matteo e quello di Luca), indipendenti l’uno dall’altro, e provenienti da fonti diverse: Giuseppe (per Matteo) e Maria (per Luca).
Si tratta, in primo luogo, di due racconti diversi, poiché descrivono due situazioni del tutto diverse. Il racconto di Matteo infatti ci riferisce l’angoscioso imbarazzo di Giuseppe dinanzi alla evidente gravidanza di Maria, imbarazzo dal quale venne poi liberato dalla rivelazione fattagli dall’Angelo, il quale l’assicurò che il bambino atteso da Maria era stato ” generato per opera dello Spirito Santo “. Il racconto di Luca invece ci riferisce il dialogo svoltosi tra Maria e l’Angelo, ossia, la domanda di Maria: ” Come avverrà ciò (che io avrò un figlio) dal momento che non conosco uomo? “, e la risposta dell’Angelo:
” lo Spirito Santo scenderà sopra di te… “. Si tratta perciò di due situazioni diverse, non già parallele; ciò nonostante vi è in esse un accordo fondamentale sul concepimento verginale di Cristo, ” per opera dello Spirito Santo “. Abbiamo qui semplici narrazioni storiche, non già esposizioni dottrinali.
Si tratta, in secondo luogo, di due racconti indipendenti: descrivendo infatti due situazioni diverse, ne segue che una di esse non abbia potuto influire o riflettersi sull’altra, per cui si hanno qui due testimonianze indipendenti del concepimento verginale, tutte e due di una notevole sobrietà, senza fare alcuna benché minima parte alla fantasia, all’immaginazione. Né è ammissibile, in queste due testimonianze, un influsso di racconti di maternità prodigiose veterotestamentarie sulla maternità verginale di Maria. È necessario infatti tener presente che le suddette maternità prodigiose veterotestamentarie vengono tutte presentate come frutto di relazioni matrimoniali, mentre la verginale maternità di Maria viene presentata come frutto dell’azione dello Spirito Santo. Ne è verosimile che la profezia di Isaia (7, 74) abbia provocato l’idea e il racconto della generazione verginale di Gesù. San Matteo non ha fatto altro che rilevare l’adempimento, in Cristo, della profezia di Isaia (l’adduce perciò a conferma del fatto); S. Luca invece sembra semplicemente alludervi (” Ecco che concepirai e partorirai un figlio… “). La profezia di Isaia non può spiegare il contenuto dell’annunzio dell’Angelo a Giuseppe: non si è potuto trovare alcun testo di rabbino che abbia interpretato Isaia nel senso di annunzio di un concepimento verginale. Inoltre, l’avveramento della profezia oltrepassa la profezia stessa, poiché introduce la venuta e l’opera dello Spirito Santo (non contenute nella profezia di Isaia). Infine, se i racconti di Matteo e di Luca fossero il risultato di una loro riflessione sulla profezia di Isaia, questa profezia, nel racconto, avrebbe dovuto apparire in primo piano, non già in secondo piano (come avveramento di quanto era stato predetto). In conclusione: i due racconti dipendono unicamente dalla realtà dei fatti tramandati dalla primitiva tradizione cristiana.
Ma oltreché diversi ed indipendenti, i due racconti (quello di Matteo e quello di Luca) hanno fonti diverse: la storia dell’infanzia infatti (e la stessa genealogia di Gesù) è ben diversa nel Vangelo di San Matteo e in quello di San Luca; ne segue perciò che essi dovettero servirsi di fonti diverse.
Si può infine rilevare che non si tratta – come vorrebbe il P. Schoonenberg – di una ” nuova interpretazione ” del racconto evangelico fatto da S. Matteo e da S. Luca, ma si tratta, in definitiva, di una ” nuova negazione ” di ciò che è stato narrato da S. Matteo e da S. Luca, di ciò che è stato sempre creduto ed insegnato nella Chiesa (asserire infatti che Cristo è stato concepito per opera d’uomo, equivale a negare che è stato concepito senza opera d’uomo, per opera dello Spirito Santo). Questa ” negazione ” non ha neppure – come ho già rilevato – il pregio della novità, essendo la ripetizione di una negazione (con la conseguente “demitizzazione”) fatta già verso la metà del secolo II dall’ebreo Trifone, per cui anziché di progressismo, si deve parlare, più propriamente, di regressismo.
Riguardo poi al preteso influsso dei ” miti ” pagani delle cosiddette ” vergini-madri ” sulla Vergine-Madre Maria, è necessario rilevare alcune differenze essenziali tra questi miti e la narrazione evangelica sulla “Vergine-Madre “. I pagani, infatti, riconoscevano apertamente un carattere ” mitico ” all’idea della dee-madri ed ai grandi, (agli) eroi da esse generati (espressioni di servilismo e dell’adulazione dei rètori di corte); i cristiani, invece, all’idea di Vergine-Madre riconoscevano un carattere ” storico “: cosa inspiegabile, se avessero desunto l’idea di concepimento verginale dai miti del paganesimo. Nei ” miti ” ellenici, inoltre, le cosiddette ” vergini-madri ” entravano in relazioni sessuali con gli dei sotto forma umana corporea, di modo che gli eroi che ne risultavano erano il frutto di tali relazioni; erano quindi vergini-madri solo di nome, non già di fatto; nella narrazione evangelica, invece, vengono esplicitamente escluse relazioni di tale genere.
È perciò impossibile passare dai suddetti ” miti ” ellenici al concepimento verginale di Cristo narrato dagli evangelisti. Si tratta di un’opera puramente spirituale, attribuita allo Spirito Santo il quale copre Maria con la sua ombra. Tanto più che lo Spirito Santo, nella sua forma primitiva ebraica (la lingua in cui fu redatto il testo originale) è di genere femminile: ruah. Non può perciò essere una specie di principio maschile.
Anche il Genesi (1, 2) riferisce che ” sopra le acque aleggiava il soffio (lo Spirito Santo) di Dio “, per realizzare l’opera meravigliosa della creazione. La formazione del Verbo Incarnato nel seno purissimo di Maria era una nuova creazione, più meravigliosa della prima, poiché con essa Dio riformava in modo ancora più mirabile ciò che aveva formato in modo mirabile: ” humanae sustantiae dignitatem mirabiliter condidisti et mirabilius reformasti “.
Si può davvero ripetere con l’autore del celebre Inno ” Akathistos “: ” per Te vengono meno autori di miti ” (cfr. TONIOLO E., O.S.M.; Akathistos, Inno della Madre di Dio. Catania, ediz. Paoline, 1968, p. 27).
Quello che i demitizzatori chiamavano un ” mito “, è, in realtà, un “mistero ” (un fatto storico pieno di mistero); e il mistero trascende qualsiasi umana esperienza, e sfugge da ogni parte alle normali esigenze della critica storica.
Il mistero del concepimento, essendosi verificato in Maria (attraverso il fatto storico di essersi trovata madre senza opera d’uomo, per opera di Dio) è stato da Lei stessa reso noto alla primitiva comunità cristiana e, attraverso questa, agli Evangelisti (il Vangelo vissuto, che servì di base a quello scritto).
L’origine cristiano-palestinese del Vangelo dell’Infanzia, e perciò del racconto del concepimento verginale, è innegabile; ne è prova abbastanza evidente il Vangelo dell’Infanzia di San Luca: il colorito semitico dei primi due capitoli, lo stile ritmico proprio dei semiti, l’ambiente culturale che sta alla base di tutta la narrazione, rivelano uno scrittore cristiano-palestinese (il quale scrisse in aramaico o in ebraico), e non già un cristiano ellenista (come era San Luca). Ben presto, un tale racconto primitivo dovette essere tradotto in greco, onde facilitargli la diffusione. San Luca poi dovette incorporarlo, con lievi ritocchi, nel suo Vangelo. Ciò posto, viene da chiedersi: quale fonte utilizzò quel cristiano-palestinese nella sua redazione (aramaica o ebraica) del Vangelo dell’Infanzia, ove si parla del concepimento verginale?… La risposta sembra ovvia: l’unico testimonio immediato e autorizzato non poteva essere altri che Maria, nella quale un tale concepimento verginale si era realizzato. La Vergine, forse, rivelò un tale mistero in una cerchia molto intima di pie donne, oppure a San Giovanni, o anche allo stesso Evangelista San Luca. Scrive infatti P. A. Vaccari: ” Luca, oltre l’essersi servito di fonti scritte, ha interrogato anche le fonti orali più accreditate, cioè, i testimoni oculari, specialmente gli Apostoli e la Vergine ” (La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali con note a cura del Pont. Ist. Biblico di Roma, Ed. Salani, 1961, p. 1871, note 1-4). S. Efrem, fin dal secolo IV, riferiva questa opinione dicendo: ” Maria ammirava, si dice, la nascita di Lui e il concepimento di Lui, ed Ella raccontava agli altri in che modo aveva concepito o in che modo Ella aveva dato alla luce (Cristo), e l’ammirazione che suscitavano le parole di Lei, rinvigoriva coloro che avevano dubitato “. (cfr. ÉPHREM DE NISIBE, Commentaire de l’Evangile Concordant, ou Diatessaron, traduit du syriaque et de l’arméniem par L. Laloir, Paris, 1966, p. 75).
Si obietta da alcuni (per es. Campenhausen), contro il concepimento verginale di Cristo, il silenzio sul medesimo degli altri due Evangelisti (S. Marco e S. Giovanni). Ma si può rispondere che non manca, anche negli altri due Evangelisti (S. Marco e S. Giovanni) un accenno al concepimento verginale di Cristo. SAN MARCO infatti, evita di appellare Gesù ” figlio di Giuseppe “; mentre l’appella ” figlio di Maria ” (Mc. 6,3); espressione che, in quei tempi, equivaleva, implicitamente, ad un concepimento privo di padre umano. ” II fatto di dover ritenere criticamente ” figlio di Maria ” – dice P. B. Rigaux – e le tradizioni che han dato origine ai Vangeli dell’Infanzia in Mt. e Lc., sono argomenti validi in favore della fede dei cristiani nella nascita verginale ” (Sens et portée de Me 3,31-35 dans la Mafiologie neotestamentaire, in ” Maria in S. Scriptura “, vol. IV, Roma 1967, pp. 534-535).
SAN GIOVANNI è più esplicito di San Marco. Egli parla del concepimento verginale nel versetto 13 del prologo del suo Vangelo (secondo la lettura al singolare – non già al plurale) – che è, criticamente, la più attendibile): ” lui (Gesù) che non è nato dal sangue, né da voglia di carne, né da volontà d’uomo, ma da Dio ” (cfr. GALOT J., Etre né de Dieu (Ju 1,13), in ” Analecta biblica ” 37 [1969]). Le tre negazioni esprimono con vigore le condizioni di una nascita ordinaria, comune a tutti gli altri uomini, ma non già a Gesù. Maria non è nominata, ma è evidentemente supposta (essendo Gesù nato da Maria).
3. LA TRADIZIONE
Ci limitiamo a tre Padri dei primi due secoli: S. Ignazio, S. Giustino e S. Ireneo. Dopo di loro le testimonianze abbondano.
1) S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, nella sua Lettera agli Efesini (scritta verso l’a. 110), scrivendo contro i Doceti e opponendo loro la ” Regola della fede “, asseriva che Cristo era ” nato da una Vergine ” (SMYRN. 1,1, PG 5,707-708), non già ” da una donna ” qualunque (come avrebbe dovuto dire). E’ perciò falso asserire che il concepimento verginale sia sorto nella Chiesa sotto l’influsso dei Doceti, poiché S. Ignazio (un Padre Apostolico della fine del I secolo) era un antidoceta.
Altrettanto hanno insegnato i Padri greci del secolo II contro gli errori nascenti degli Ebioniti e degli Gnostici (S. Giustino M., S. Ireneo).
2) S. GIUSTINO usava tutti gli argomenti possibili per sostenere energicamente come verità di fede il concepimento verginale (contro gli Ebioniti e gli Gnostici i quali ritenevano che Gesù fosse figlio di Giuseppe) nell’Apologia ad Antonino Pio (dal 150 al 154) e nel Dialogo con Trifone (tra il 155 e il 161). Egli insegna che sono stati i demoni ad inventare il ” mito ” del concepimento verginale presso i pagani, onde fare scacco, scimmiottandolo, al ” mistero ” del concepimento verginale di Cristo (Apol, 5,54, PG 6,407-12). Il concepimento di Cristo si è realizzato ” senza operazione carnale ” o ” senza seme umano ” (Apol, I, 21,32,33, PG 6,359-60, 379-80, 381-82; Dial. 54,63 PG 6, 593-94, 619-20). Anche S. Giustino, come S. Ignazio di Antiochia, considera questo punto di dottrina come una verità intangibile, trasmessa dalla catechesi ufficiale corrente e dalla Tradizione primitiva.
3) S. IRENEO, Vescovo di Lione (t e. 202), sviluppa in modo più ricco il tema del concepimento verginale, ch’egli considera verità di fede (Adv. haer. Ili, 12,7, PG 7, 900-901; I, 10,1, PG 7, 549-52; III, 4,2, PG 7, 855-56). Per lui è un fatto basato sopra un complesso imponente di testi biblici, e sull’insegnamento della Chiesa universale ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli (Adv. haer. I, 10, 1-2, PG 7, 549-52). Anche se i Libri sacri non ci avessero trasmesso il concepimento verginale, sarebbe stata sufficiente, per ammetterla, la Tradizione Apostolica. Questa conclusione è ammessa anche da alcuni teologi protestanti, per es. da MACHEN J.G., The Virgin Birth of Christ, 3 London (1958), XI, pp. 2-43 e da ED. WARDS D., Thè Virgin Birth in History and Faith, London 1943, pp. 27-44. (cfr. GAUTHIER R., C.S.C., La verginité de Marie ” ante partum ” selon la Tradition primitive, in “Maria in Sacra Scriptura”, vol. IV, Romae 1967, pp. 475-492).
Note alla prima parte
(5) “Ut regula fidei ab omnibus credendo” (S. IRENEO, Adv. haer., 3, 19, 1-8;
21, 10; 22, 4).
(6) O magna clementia deitatis quae virum non cognovit et mater est et post filium virgo est. Duobus enim gavisa est muneribus, miratur quod virgo concepit, laetatur quod edidit redemptorem ” (cfr. CHAVASSE A., Le Sacramentaire Gélasien, Desclée, Belgio, 1957, p.656).
(7) ” Benedicta et venerabilis es, Virgo Maria, quae sine tactu pudoris, inventa es mater salvatoris “.
(8) ” Dum Virgo, Deum et hominem genuisti ” (Respons. del III notturno del mattutino della festa della Purificazione).
(9) Ha scritto Max Thurian: ” Le chiare precisazioni di S. Matteo (1, 18-25) e di S. Luca (1, 27, 34-35) ed anche la versione (= lezione) apparentemente più coerente di Giovanni (1, 13), obbligano la fede cristiana autentica a confessare la verginità di Maria prima della nascita di Cristo. La negazione di questa verginità di Maria procede il più delle volte da motivi non teologici, ed i teologi protestanti, che talora hanno messo in dubbio la verginità di Maria nel concepimento di Gesù, possono difficilmente invocare la tradizionale fedeltà riformata alla Sacra Scrittura ” (MAX THURIAN, Maria Madre del Signore, Immagine della Chiesa. Trad. di E. Marini, Morcelliana, 1964, p. 41).
…Parte Seconda. “Nato da Maria Vergine”. La Verginità di Maria “nel parto”. Le negazioni e i dubbi di oggi: Prof. Sac. Albert Mitterer; P. Jean Galot S.J.; Carlo Davis; P. Enrico Schillebeeckx O.P.; P. Carlo Rahner S.J.; Clifford E.L. Henry, M.D.; W. Zauner; Il ” Nuovo Catechismo Olandese “; Vecchi errori presentati come nuove conquiste….
…Parte Seconda. “Nato da Maria Vergine”. La Verginità di Maria “Nel parto”. Il concetto preciso di Verginità nel parto. Ha scritto S. Agostino: “Una vergine ha concepito: meravigliatevi! Una vergine ha partorito: meravigliatevi ancora di più!”…
LA VERGINITA’ DI MARIA, OGGI
PARTE SECONDA
“NATO DA MARIA VERGINE”
LA VERGINITÀ DI MARIA “NEL PARTO”
Ha scritto S. Agostino: “Una vergine ha concepito: meravigliatevi! Una vergine ha partorito: meravigliatevi ancora di più!” (1). Il parto verginale è ancora più mirabile del concepimento verginale. Per questo è stato ed è, anche oggi, tanto contestato.
I. IL CONCETTO PRECISO DI VERGINITÀ NEL PARTO
Secondo il Mitterer e seguaci, la verginità di Maria ” nel parto ” si identifica con la verginità ” prima del parto “, e perciò non importa alcun nuovo elemento. Viene così completamente svuotata. Che dire? Siccome si tratta di una verginità concreta – quella della Madre di Cristo – e non già di una verginità astratta, il concetto preciso di una tale verginità nel parto va determinato secondo i dati forniti dalla teologia (non già – come ha fatto il Mitterer – con i dati forniti dalla biologia). E’ la scienza che si deve adattare alla fede, non già la fede alla scienza. Non si tratta, infatti, di una maternità qualunque, ma di una maternità speciale (di una maternità divina) la quale esige condizioni e prerogative speciali, e alla quale non si possono applicate le leggi ordinarie della biologia (2).
Prima perciò di applicare tali leggi al mistero della maternità verginale di Maria, è necessario mettere in chiaro il significato preciso che, secondo la Rivelazione, ha un tale dogma.
1) L’integrità fisica della verginità ” nel parto “. Ciò posto, secondo i dati forniti dalla Rivelazione (secondo l’insegnamento del Magistero e della Tradizione della Chiesa) la verginità nel parto, oltre all’aspetto Spirituale o morale (che è essenziale) richiede anche l’aspetto materiale o fisico (che è accidentale) consistente nell’integrità fisica, corporale. La tradizione dogmatica attesta, nel parto di Maria SS., anche questo aspetto fisico, ossia, l’integrità corporale. Ciò si comprende bene se si tiene presente l’unione sostanziale (non già accidentale) dell’anima col corpo. Il corpo infatti non è già un vestito o una prigione dell’anima, ma è l’organo vivente e trasparente dell’anima.
La verginità corporale di Maria ” nel parto ” perciò non è altro che un’irradiazione della sua verginità morale. In forza dell’unione sostanziale dell’anima Col corpo, come vi è relazione vitale, inscindibile, tra l’anima e il corpo, così vi è una specie di relazione vitale, inscindibile, tra la verginità morale e la verginità corporale: due realtà che costituiscono la verginità integrale, perfetta.
La verginità integrale, perfetta di Maria SS. ” nel parto “, conseguentemente, esclude due cose: esclude, in primo luogo, che il parto abbia compromesso l’integrità della sua verginità corporale; ed esclude, in secondo luogo, conseguentemente, tutti quei fenomeni fisiologici che accompagnano un parto ordinario (lesioni somatiche, dolori, ecc.).
Viene esclusa perciò nella Vergine, nel dare alla luce Gesù, qualsiasi attività capace di compromettere la sua integrità fisica, non già qualsiasi attività materna. Tutto ciò suppone, evidentemente, nella nascita del Salvatore (come pure nel concepimento di Lui) un intervento miracoloso di Dio, ossia, un parto miracoloso (oltreché un concepimento miracoloso).
Contrariamente a quanto ritiene – come diremo – il Mitterer, i fenomeni fisiologici che accompagnano il parto ordinario (lesioni somatiche, dolori, ecc.) non sono essenziali al concetto di vera maternità. Maria fu vera madre di Gesù, come tutte le madri lo sono dei loro figli; ma non lo fu come le altre madri: oltreché nel concepimento verginale, Ella fu diversa da esse anche nel parto verginale. Madre, infatti, è colei che concepisce e dà alla luce un figlio: questo, scientificamente, è il concetto di madre. Il modo poi di concepirlo e di darlo alla luce non appartiene all’essenza della maternità. Se il modo di dare alla luce un figlio fosse essenziale alla maternità, ne seguirebbe che la madre la quale da alla luce un figlio non già nel modo ordinario, ma mediante un taglio chirurgico (parto cesareo), non sarebbe vera madre o pienamente madre di quel figlio: cosa dinanzi alla quale lo stesso buon senso si ribella. Tanto meno poi può dirsi parte essenziale della maternità il dolore del parto, dal momento che nello stato di giustizia originale (prima del peccato) le madri avrebbero dato alla luce i propri figli senza dolore, e anche oggi si parla di parto indolore.
2) La particolare importanza e le funzioni di una tale integrità.
Per il fatto poi che la integrità corporale (la verginità materiale), è soltanto un elemento accidentale della verginità (S. Th., II, II, a. 152, a. 1), non ne segue affatto che essa sia una cosa di ben poca importanza e non abbia le sue funzioni: essa ha la sua particolare importanza ed ha le sue alte funzioni.
Ha, in primo luogo, la sua particolare importanza, ossia, è importante in se stessa. Anche l’integrità corporale (la verginità materiale) infatti, è, indubbiamente, una perfezione, e perciò ha la sua reale, positiva importanza, in se stessa. Il fatto che il Cristo abbia voluto rispettarla, nascendo, nella Madre sua, dimostra la squisita delicatezza del suo amore per la propria madre, alla quale non volle togliere, nel nascere da Lei, una tale perfezione. Cristo perciò volle che la Madre sua fosse una vergine perfetta, e perciò vergine non solo moralmente ma anche corporalmente, non solo in ciò che è essenziale alla verginità ma anche in ciò che è accidentale. Negare la verginità corporale e ammettere in Maria SS. soltanto la verginità morale, equivale a negarle la perfetta verginità.
Dice P. Galot che nessuno dirà che una operazione chirurgica possa togliere ad una giovane la sua verginità (art. cit., p. 464). Certo: un’operazione chirurgica non le potrà togliere ciò che è essenziale alla verginità; non si può negare però che le tolga ciò che è accidentale alla verginità, e che, pur essendo accidentale, rimane sempre una perfezione positiva d’ordine fisico, con funzione di ” segno ” (attestante l’assenza di relazioni sessuali) per cui un medico coscienzioso solo per motivi proporzionati si decide a compiere tali operazioni chirurgiche.
Oltre ad avere una sua particolare importanza, l’integrità corporale (la verginità materiale) ha anche, in Maria SS., una funzione speciale di ” segno “, anzi ha una triplice funzione di ” segno “: verso il Verbo incarnato, verso Maria stessa e verso la Chiesa.
L’integrità corporale nel parto ha una funzione di ” segno “, in primo luogo, verso il Verbo incarnato: il parto verginale è anzi più un appannaggio del Figlio che un privilegio per la Madre. Come il Verbo, nascendo dal seno del Padre, non lese minimamente la natura di Lui, così nascendo dal seno della Madre, non lese minimamente la perfetta verginità di Lei. E’ un rilievo, questo, non infrequente presso i Padri e gli Scrittori Ecclesiastici. ” A Dio – ha detto scultoreamente S. Ambrogio – conveniva un tale parto ” (quello verginale); ” Talis decet partus Deum ” (Hymnus, IV, PL 16, 1474). E S. Agostino: ” Deus sic nasci oportuit ” (Serm. 181, in Nativ. Dom. n.s., PL 38,999).
L’integrità corporale ” nel parto ” ha una funzione di ” segno “, in secondo luogo, verso Maria SS.: la verginità materiale esterna (l’incorrotto sigillo della verginità) è ” segno ” della sua perfetta ed inviolata verginità interna; l’incorruzione esterna del corpo è ” segno ” dell’incorruzione interna dell’anima. Anche questa funzione della verginità materiale è stata sottolineata da vari Padri e Scrittori Ecclesiastici. Tanto più che Maria doveva essere l’esemplare, il prototipo della verginità, la Regina delle vergini, e una verginità soltanto morale, non già anche corporale, sarebbe stata una verginità imperfetta, e perciò l’avrebbe resa imperfetta nell’ordine del ” segno “.
L’integrità corporale ” nel parto ” ha una funzione di ” segno “, in terzo luogo, verso la Chiesa; Maria infatti è il prototipo della Chiesa nel dare alla luce il Capo e perciò l’incorrotta verginità di Maria è ” segno ” dell’incorrotta verginità della Chiesa nel dare alla luce i membri di quel Capo (3).
In breve: senza una tale verginità materiale, corporale, Maria non potrebbe essere un ” segno ” perfetto sia della divinità di Colui che è nato da Lei, sia della sua perfetta incorruttibilità verginale, sia della perfetta incorruttibilità verginale della Chiesa.
3) La distinzione tra il ” fatto ” e il ” modo ” dell’integrità fisica nel parto verginale. Il P. Rahner, nell’intento di svalutare i vari documenti del Magistero Ecclesiastico e della Tradizione sulla verginità fisica di Maria SS. ” nel parto “, ha asserito che ” se la si vuole vedere espressa (una tale dottrina) nel ” semper virgo ” della tradizione e anche in molte espressioni dell’insegnamento del Magistero della Chiesa, allora bisogna specialmente far notare che il contenuto più preciso della ” virginitas in partu ” forse in esso incluso rimane ancora completamente aperto [non determinato, non precisato] ” (op. cit., p. 368).
Ma è necessario osservare subito che qui il chiarissimo P. Rahner gioca di equivoco sul termine ” contenuto ” (sul ” contenuto ” della ” virginitas in partu “). E’ necessario infatti tener presente che il termine generico ” contenuto ” può essere preso in due sensi, vale a dire: in quanto esprime il fatto (cioè la non frattura dell’integrità fisica) e in quanto significa il modo (cioè, in che modo si è realizzata la non-frattura dell’integrità fisica). Orbene, l’indeterminatezza del Magistero Ecclesiastico e dei documenti della Tradizione riguarda soltanto il modo (cioè, in che modo si è realizzata la non-frattura della integrità fisica), non già il fatto stesso (cioè, la non-frattura dell’integrità fisica). P. Rahner, invece, fa ricadere sul fatto l’indeterminatezza del ” contenuto ” (il quale riguarda soltanto il modo), che ha avuto ed ha diverse spiegazioni.
Un esempio analogo a quello della verginità ” nel parto “, lo troviamo nel dogma dell’Assunzione corporea di Maria SS. alla gloria del cielo. Il fatto dell’Assunzione (che il corpo della Vergine, unito all’anima, si trovi incorrotto in cielo) è certo, di fede; il modo dell’Assunzione, invece (se cioè il corpo della Vergine fu preservato dalla morte oppure risuscitato dopo la morte) è stato lasciato indeterminato dalla definizione dogmatica dell’Assunzione.
L’indeterminatezza del ” contenuto ” perciò, sia riguardo alla verginità nel parto sia riguardo all’Assunzione psico-somatica al cielo, riguarda non già il fatto (an sit) ma solo il modo (quomodo sit).
Note alla seconda parte
(1) ” Virgo concepit, miramini. Virgo peperit, plus miramini ” (S. AGOSTINO, Sermo 196, 1, n. 1, PL 38, 1019).
(2) Lo stesso Mitterer, del resto, si è domandato se, trattandosi di una maternità speciale, soprannaturale, le si debbano attribuire condizioni, prerogative speciali, soprannaturali. Invece però di rispondere a questa sua legittima domanda, egli lascia la risposta (come se non fosse stata già data) agli storici dei dogmi e ai dogmatici ” coi quali sta pienamente d’accordo in ciò che concerne le verità rivelate ” (Dogme und Biologie der heiligen Familien nach dem Weltbild des hl. Thomas von Aquin und dem der Gegenwart; Wien, Herder, 1952, p. 128).
Egli si limita a proporre alcune osservazioni che tendono a svalutare gli argomenti che sogliono addursi per provare la verginità fisica di Maria ” nel parto ” (p. 125-126, 128-129). Riguardo all’argomento di Tradizione, il Mitterer fa questa osservazione: i Santi Padri, quando parlano di una tale prerogativa, parlano come testimoni di una verità rivelata ricevuta per eredità, o parlano come teologi che tirano le condizioni guidati dalle proprie speculazioni? Si dà, in realtà, l’unanimità che si richiede perché costituiscano un criterio teologico?… “.
(3) Si ha quindi una triplice nascita del Verbo: Egli nasce spiritualmente dal Padre, nell’eternità. Egli nasce corporalmente da Maria Vergine, nel tempo; Egli nasce misticamente, nella Chiesa e in ogni membro della Chiesa (mistico corpo di Lui) mediante la fede e il Battesimo. La prima nascita (quella dal Padre) ha valore di segno relativamente alle altre due (da Maria e dalla Chiesa): la seconda (la nascita temporale) è l’affermazione e la replica della prima (la nascita eterna del Verbo) nonché pegno e modello della terza (la nascita spirituale, mistica nella Chiesa e nelle anime). Ciò posto. Dio ha fatto sì che la seconda nascita del Verbo (quella corporale da Maria) partecipasse della condizione soprannaturale e spirituale delle altre due nascite, ossia, fosse una nascita verginale (sia all’inizio, nel concepimento, sia alla fine, nel parto). Una tale nascita verginale ci attesta che Colui il quale nacque nell’eternità è quello stesso che nasce nel tempo, corporalmente (da Maria) e spiritualmente (in noi).
LA VERGINITA’ DI MARIA, OGGI
PARTE SECONDA
“NATO DA MARIA VERGINE”
LA VERGINITÀ DI MARIA “NEL PARTO”
II. LE NEGAZIONI E I DUBBI DI OGGI
“Fra tutti i punti della dottrina mariana – ha rilevato giustamente il Prof. Laurentin – questo è il più misconosciuto” [Court Traité de Théologie mariale, P. II, nota 5). Questo misconoscimento è stato ed è fonte di errori e di dubbi. La verginità di Maria ” nel parto ” infatti è, oggi, la più bersagliata.
1) II Prof. Sac. ALBERT MITTERER, specializzato nel campo delle scienze biologiche, nel 1952 pubblicava un’opera dal titolo: Dogme und Biologie der heiligen Familien nach dem Weltbild des hl. Thomas von Aquin und dem der Gegenwart (“Wien, Herder, 1952, pp. 224).
Quest’opera consta di una introduzione e di quattro libri. Nel primo libro tratta dell’Immacolata Concezione di Gesù e di Maria (Gesù fu concepito senza macchia di peccato originale perché Maria, Madre sua, fu concepita, a sua volta, senza una tale colpa); nel secondo libro parla dell’Incarnazione del Verbo nel seno di Maria; nel terzo parla della divina maternità di Maria; e nel quarto, infine, tratta della soprannaturale paternità di San Giuseppe.
Parlando, nel terzo libro, della divina maternità di Maria, il Mitterer, contro l’opinione comune (di S. Tommaso e di altri) ammette in Maria sia la frattura dell’integrità fisica (dell’imene) nel parto, sia i dolori del parto per la semplice ragione che – secondo lui – la frattura dell’integrità fisica e i dolori del parto, mentre non si richiedono per la perfetta verginità, si richiedono invece per la perfetta maternità. La frattura dell’integrità fisica (dell’imene) – secondo il Mitterer – non va per se stessa contro la perfetta verginità se non quando è conseguenza dell’atto sessuale (non già quando è conseguenza del parto) (op. cit., p. 106).
Si tratterebbe perciò di integrità morale, non già di integrità fisica.
L’integrità fisica è soltanto un segno (e neppure sicuro) della perfetta verginità.
L’integrità fisica – secondo il Mitterer – va contro la perfetta maternità. La frattura dell’integrità fisica a causa del parto – dice Mitterer – è invece uno dei segni della perfetta maternità. Se per la perfetta verginità si esige il segno della verginità (l’integrità fisica), con lo stesso diritto – dice il Mitterer – per la perfetta maternità si potrà esigere il segno della maternità (la frattura dell’integrità fisica).
Segno per segno. Alla perfetta verginità – dice – appartiene che l’integrità fisica non sia violata da un atto sessuale. Alla perfetta maternità appartiene che l’integrità fisica sia violata dal bambino che nasce o dall’atto del parto (op. cit., p. 116) (4). L’integrità fisica o corporale – secondo lui – non rientra nel concetto di verginità, di modo che il parto che avviene nel modo ordinario non toglierebbe la verginità. Egli è costretto a coniare questo nuovo concetto della verginità (del tutto contrario a quello tradizionale) per salvare la perpetua verginità di Maria. Ma… la salva realmente?… Egli non salva la perfetta verginità di Maria (che è morale insieme e corporale). Conseguentemente se egli salva la verginità prima del parto, non salva, anzi distrugge, la verginità (l’integrità fisica) nel parto, ossia, la svuota del suo contenuto. L’effato tradizionale (verginità ” prima ” del parto, ” nel ” parto e ” dopo ” il parto) esprime una verità rivelata con un contenuto specifico proprio. Se il parto di Maria SS. si realizzò come quello di qualsiasi altra donna, l’espressione ” vergine nel parto ” non avrebbe più nessun proprio contenuto. Sarebbe verginale solo perché sussegue il concepimento verginale, e perciò si identificherebbe col concepimento verginale (con la verginità ” prima del parto “).
Il concetto di ” verginità ” va stabilito partendo dai dati forniti dalla rivelazione e dalla tradizione, non già dai dati della scienza biologica moderna (come ha fatto il Mitterer, onde accusare i Padri e i Teologi di aver attribuito alla verginità una cosa – l’integrità fisica – che non le appartiene).
Non omette poi il Mitterer di svuotare le prove che si è soliti addurre in favore della verginità di Maria nel parto.
Riguardo all’argomento desunto dalla tradizione, il Mitterer si chiede: i Santi Padri, allorché parlano di una tale prerogativa, parlano come testimoni di una verità rivelata ricevuta per eredità, oppure parlano come teologi i quali tirano le loro conclusioni guidati dalle proprie speculazioni? Si dà, in realtà, la unanimità che si richiede perché costituiscano un criterio teologico? Il Mitterer lascia la risposta agli specializzati nella teologia positiva (come se la risposta non fosse stata già data). Si domanda, inoltre: perché insistere nella piena maternità meno tenacemente che nella verginità (prima del parto, nel parto e dopo il parto) dal momento che la sua maternità appartiene ad un ordine superiore a quello della sua verginità. E risponde dicendo che ciò dipende forse dal fatto che nei tempi passati era più conveniente mettere in risalto la verginità ed era meno urgente che ai nostri tempi insistere di più sull’aspetto della maternità!…
Questa nuova teoria del Mitterer ha suscitato le simpatie di Padre Jean Galot S. ., di Carlo Davis, di P. Schillebeeckx, di P. Carlo Rahner S.J., di Clifford E.L. Henry, ecc.
2) Il P. JEAN GALOT S.J., si è lasciato impressionare dalla Opera del Prof. A. Mitterer, e ha ritenuto suo dovere tendergli una mano, sforzandosi di dimostrare che la teoria del Professore viennese non si oppone alla tradizione (cfr. La virginité de Marie et la naissance de Jésus, in ” Nouv. Rev. Théol. “, 82, 1960, pp. 449-725). Egli presenta la questione della ” verginità nel parto ” come un ” problema teologico delicatissimo ” (mentre in realtà si tratta non già di un ” problema ” ma di una verità rivelata da Dio, proposta dalla Chiesa per lo mero col suo Magistero ordinario e universale, infallibile come quello straordinario).
P. Galot ritiene che ” l’idea di una nascita miracolosa ” pare che non sia richiesta dalla verginità corporale considerata in se stessa, ma che è stata spesso affermata dopo il sec. V, dagli scrittori ecclesiastici “.
Il Mitterer – dice P. Galot – ha preso di fronte il problema, e si è sforzato di dimostrare che la verginità, non solo non esigeva in Maria che la nascita di Gesù avvenisse in modo miracoloso, ma anche che la maternità corporale, per essere vera e completa, supponeva una nascita in condizione normale, col dolore che vi è ordinariamente unito.
Secondo il P. Galot, la tradizione patristica, fino alla fine del sec. IV, ossia, fino a S. Ambrogio, avrebbe affermato che Gesù è nato da Maria SS. come tutti gli altri uomini. A partire poi da S. Ambrogio, si sarebbe cominciato a parlare, contro Gioviniano, di un parto prodigioso, verginale. S. Ambrogio sarebbe poi stato seguito in ciò da Sant’Agostino, dal Papa S. Ormisda, da S. Gregorio M. e da molti altri. Secondo il P. Galot, sarebbero stati gli apocrifi (l’Ascensione di Isaia, della fine del sec. I; le Odi di Salomone, dell’inizio del sec. II; il Protovangelo di Giacomo, della metà del sec. II) a parlare, per primi, di un parto prodigioso, verginale. Ciò nonostante la verginità di Maria – secondo il P. Galot – ” non si opporrebbe minimamente ad una nascita (di Cristo) in modo normale ” (art. cit., p. 465). Una nascita prodigiosa – si domanda P. Galot – ” sarebbe ancora una vera nascita? ” (ibid.). E risponde: ” Se si ammette un parto prodigioso, si ha pena a darne una rappresentazione possibile e intelligibile, e si rischia di sfociare in un certo docetismo ” (ibid., p. 466). E conclude asserendo che sarebbe erroneo pensare che per un tale parto (anche normale, ordinario), la maternità di Maria abolirebbe il segno della verginità. Se un segno deve rimanere scolpito nel corpo di Maria, e persistere attualmente nel suo corpo glorioso, è quello della sua maternità verginale; questo segno è quello dell’apertura, da parte di Gesù, del seno materno, seno chiuso agli uomini, e che non ha lasciato il passaggio altro che di Dio ” (art. cit., p, 467). Al ” segno ” della verginità (proprio di Maria), P. Galot preferisce, evidentemente, il ” segno ” della maternità (comune a Maria e a tutte le altre donne!…).
P. Galot, ammette anche che il parto della Vergine è stato accompagnato da dolori. E termina il suo articolo asserendo che un tale parto normale, anziché diminuire l’onore della Vergine, sembra che l’aumenti (p. 469). Va anzi più in là, e arriva ad asserire che, con l’abbassamento di Maria al livello di tutte le altre madri, ” la dignità di tutte le madri viene rialzata ” !… (ibid.).
Ci troviamo perciò dinanzi ad un parto ordinario (uguale a quello di tutte le altre madri). Questo parto, tuttavia, si deve dire verginale, ma solo perché il concepimento del divin Bambino è stato verginale, per opera cioè dello Spirito Santo, e perciò la verginità ” nel parto ” viene identificata con la verginità ” prima del parto “.
Queste stesse idee, il P. Galot l’ha ripetute, recentemente, nell’articolo: Nato dalla Vergine Maria, in ” Civiltà Cattolica ” 120 (1969) p. 134-144. Egli ha cercato di appoggiare la sua tesi con argomenti presi dal Magistero Ecclesiastico, dalla S. Scrittura, dalla Tradizione e dalla convenienza; ma invano, come vedremo. Nel surriferito articolo, dopo aver difeso il concepimento verginale di Cristo (la verginità ” ante partum “), P. Galot passa a parlare della verginità ” nel parto “, e dice: ” Tuttavia, è necessario aggiungere che nella dottrina della verginità perpetua, un problema non ha ancora ricevuto una definitiva soluzione; concerne la verginità di Maria nel parto “. E lo prova appellandosi alla primitiva tradizione patristica. ” Fin verso la fine del IV secolo [asserisce con impressionante sicumera] i Padri non vedevano alcuna difficoltà ad affermare, per Gesù, un modo di nascere uguale a quello degli altri bambini ” (p. 137). E adduce le testimonianze di Origene, di S. Ireneo e di S. Epifanio (nelle quali si asserisce che Gesù ” aprì il seno ” della madre). Però – aggiunge – ” Fin dalla fine del IV secolo, ha cominciato a prevalere un’altra rappresentazione della nascita: si è legata l’idea della nascita verginale a quella d’un parto miracoloso. Questa rappresentazione è diventata tradizionale e si è spesso paragonata al raggio di sole che attraversa il cristallo senza lederlo” (ibid.). Dopo questa candida ammissione, P. Galot passa a parlare di alcuni i quali, recentemente, han negato una tale interpretazione. ” Recentemente – dice – alcuni autori hanno proposto un modo di intendere il parto verginale che, in effetti, si ricollega a quello dei primi secoli [cioè, alle pretese asserzioni dei Padri fin verso la fine del secolo IV]: il bambino Gesù sarebbe nato come nascono gli altri bambini e non avrebbe tolto nulla alla verginità, anche fisica, di sua madre, perché la verginità corporale consiste nella preservazione del corpo non nei riguardi di qualsiasi azione fisica, ma nei riguardi delle relazioni sessuali [si noti qui, di passaggio, la deplorevole confusione tra verginità corporale e verginità morale).
Un parto non potrebbe togliere, per se stesso, la verginità [quella morale: toglie però quella corporale] e d’altra parte è logico che Maria, perché sia veramente e pienamente madre, abbia veramente partorito il suo bambino [ come se il modo o processo ordinario della nascita sia essenziale alla maternità, mentre è evidente che il modo della nascita non appartiene all’essenza. Se un bambino, per esempio, nasce per parto chirurgico, ossia, cesareo, non per questo la madre di lui cessa di essergli ” veramente e pienamente ” madre].
Secondo questo modo di vedere, Maria porterebbe nel suo corpo, in seguito al parto, il segno della sua maternità verginale [ma non già – si può e si deve aggiungere – il segno del parto verginale], e questo segno risponderebbe all’intenzione fondamentale della verginità che è apertura a Dio [ma è anche consacrazione totale, anima e corpo, a Dio]… Bisogna tuttavia stare attenti a non identificare l’affermazione della nascita verginale [ma può dirsi ” verginale ” una nascita ordinaria?! ] con la rappresentazione di un parto miracoloso [se il parto è ” verginale “, non ordinario, non è forse necessariamente miracoloso?] (art. cit., p. 137-138). ” Questa rappresentazione – conclude P. Galot – non è implicata nella fede [eppure la Tradizione e il Magistero Ecclesiastico han parlato – come vedremo – ripetutamente di parto verginale, mirabile, miracoloso!…]. E non è necessariamente legata all’affermazione della verginità di Maria [è però legata all’affermazione della verginità corporale). E’ necessario dunque distinguere bene tra la certezza di fede e il valore da attribuire ad una rappresentazione, che pur avendo una lunga tradizione [dunque, per tanti secoli, la Chiesa avrebbe creduto ad una “rappresentazione” falsa] non si impone come una verità da credere [e allora quale verità è da credere?!] ” (art. cit., p. 138).
3) CARLO DAVIS (recentemente, apostata dal sacerdozio e dalla fede), dopo aver riferito sinteticamente la sentenza del Mitterer, si è limitato a dire; ” In molti modi le idee del Mitterer sono molto attrattive: al giorno d’oggi noi troviamo particolarmente difficile vedere la rilevanza della verginità in par fu come è abitualmente esposta. Similmente, la reinterpretazione della tradizione coinvolge, al momento, un augurio non tollerato ” (cfr. ” Clergy Review ” 41, 1956,p. 543).
4) II P. ENRICO SCHILLEBEECKX O.P., in una lettera (o ” Memorandum “) inviata all’Episcopato Olandese nonché ai Provinciali e agli Abati dei monasteri di quella nazione, metteva in dubbio la verginità fisica della Madonna.
5) II P. CARLO RAHNER S.J., nella rivista ” Zeitschrift fur Katholische Theologie ” 75, 1953, p. 500 s., ammetteva che gli argomenti addotti dal Mitterer sono forti e si impongono all’attenzione dei teologi positivi. Nei ” Saggi di Cristologia e di Mariologia ” (Roma, Ediz. Paoline, II ediz., 1967), nel capitolo ” Virginitas in partu “, un contributo al problema dello sviluppo e della tradizione del dogma (p. 361-411), ha precisato meglio il suo pensiero sulla teoria del Mitterer. Pur riconoscendo in lui un errore fondamentale di metodo, e pur allontanandosi da lui in cose più o meno accidentali, dimostra come la verginità nel parto, praticamente sia senza solido fondamento. Dopo aver sintetizzato il pensiero del Mitterer e dopo aver riferito, brevemente, il giudizio di alcuni teologi intorno al medesimo, P. Rahner si limita ad aggiungere ” alcune osservazioni a questo nuovo problema “(p. 365).
P. Rahner rileva, innanzitutto, ” nella più recente teologia cattolica “, ” una maggiore riservatezza nella qualificazione teologica e (soprattutto) nella determinazione del suo contenuto “: cosa falsa, come vedremo.
Riguardo poi al ” contenuto ” della verginità nel parto (come pure riguardo alla definizione della medesima) ” è consigliabile – dice P. Rahner – prudenza e riservatezza ” (p. 368). Non sappiamo però quanta ” prudenza e riservatezza ” abbia usato egli stesso quando asseriva: ” se si vuole vedere espressa ” (la ” virginitas in partu “) ” nel semper virgo ” della tradizione e anche in molte espressioni dell’insegnamento del Magistero della Chiesa, allora non bisogna soltanto chiedersi se il magistero con un tale titolo (” semper virgo “) col quale caratterizza Maria, voglia già definire il contenuto del titolo stesso, ma bisogna specialmente far notare che il contenuto più preciso della ” virginitas “in partu” forse in esso incluso rimane ancora completamente aperto ” (Le., p. 368), ossia, completamente indeterminato. Dopo aver Svuotato i vari documenti del Magistero Ecclesiastico sulla verginità nel parto, P. Rahner conclude: ” Tenendo presente la posizione del Magistero quindi, è perfettamente comprensibile questa maggiore riservatezza nella recente teologia per quanto riguarda la qualifica e la definizione del contenuto della dottrina… ” (l.c. p. 372-3). Bisogna… far rilevare… che il problema della più esatta definizione del contenuto non è ancora risolto… Infatti attraverso un’accurata storia della dottrina si potrebbe mostrare che la definizione del suo contenuto non è stata sempre unitaria, chiara e non sempre priva di elementi sospetti, per cui non si può dire semplicemente: la prudente, un po’ indefinita e globale affermazione della ” virginitas in partu ” nel magistero ordinario, nelle posizioni prese finora dal magistero straordinario e nella normale predicazione della fede intende proprio e sempre quello che viene espresso rigorosamente e in particolare dai Padri e dai Teologi (e in qualche scritto edificante) ” (l.c., p. 373).
Passa quindi a dimostrare come la ” virginitas in partu ” non si possa provare con certezza né per via storico-critica (dimostrando cioè che risale al tempo degli apostoli) (p. 376-390) né per via dogmatica (dimostrando che è implicita in verità rivelate dagli apostoli) (pagine 390-395). “Non dobbiamo considerare come dogma e verità vincolante tutto quello che al riguardo (nella “virginitas in partu”) la tradizione dice ” (p. 409).
Dopo aver proposto varie riflessioni sopra ” difficoltà e su questi problemi insoluti “, P. Rahner conclude: ” Non possiamo certo dire che ci troviamo con evidenza di fronte alla necessità o di poter dedurre e di dedurre questi elementi concreti (“esenzione dal dolore, permanenza dell’imene, il ” sine sordibus “, che i Padri identificano anzitutto con la placenta”), dal nostro punto di partenza, oppure di abbandonarlo come insufficiente e non conforme alla tradizione. Noi perciò non diciamo (come Mitterer): questi elementi concreti non ci sono stati. Diciamo soltanto: la dottrina della Chiesa dice con il vero nocciolo della Tradizione: il parto attivo di Maria – visto da parte del bambino e di sua madre – considerato nell’insieme della realtà è come atto integralmente umano di questa “Vergine”, è anche in sé (e non soltanto in virtù della fecondazione, come per Mitterer) corrispondente a questa madre e perciò unico, misterioso, “verginale”, senza che da questa proposizione (se in sé però è comprensibile) abbiamo la possibilità di dedurre, in maniera sicura e obbligante per tutti [é P. Rahner che sottolinea] delle osservazioni circa le particolarità concrete di questo processo ” (p. 411) (5).
Anche P. Rahner perciò tende a svuotare completamente la verginità di Maria ” nel parto “, ossia, ad identificarla con la verginità ” prima del parto ” (col concepimento verginale), ammettendo in Maria SS. la sola incorruzione morale, non già quella corporale.
6) CLIFFORD E.L. HENRY, M.D., considera il parto verginale (preso in senso stretto, astraendo dal concepimento verginale) come qualcosa che in se stessa è in pieno accordo con le leggi comuni della natura, e come miracoloso soltanto in causa, vale a dire, ” per mezzo della concezione ” (A Doctor considers the Birth of Jesus, in ” The Homiletic and Pastoral Review “, 54, 1953, p. 219-223) (6).
Il retto insegnamento sulla verginità fisica ” nel parto ” viene riferito, dall’Henry, come una mera “congettura” (art. cit., p. 222-223).
7) P. Rahner ci fa sapere che è stata presentata all’Università di Innsbruck una tesi di laurea (non pubblicata) nella quale W. ZAUNER (Untersuchungen zum Begriff der Virginitas in partu, Innsbruck 1955) avrebbe confermato, ” cautamente “, usando un metodo del tutto diverso, più storico-dogmatico e speculativo, la teoria del Mitterer.
8) II ” Nuovo Catechismo Olandese ” non ha neppure un accenno alla verginità ” nel parto “. Dopo aver messo in discussione il concepimento verginale, era logico evitare di prendere in considerazione il parto verginale (7).
9) VECCHI ERRORI PRESENTATI COME NUOVE CONQUISTE
Anche tutti questi odierni contestatari della Verginità di Maria ” nel parto ” non hanno neppure il pregio della novità, poiché non han fatto altro che ripetere un errore già proposto nei secoli III e IV. Tertulliano, nel secolo III, nella sua lotta contro gli Gnostici e i Doceti (i quali ritenevano che il corpo di Cristo non era reale, ma apparente), nell’intento dì provare la realtà del corpo di Cristo, negò la verginità di Maria nel parto (De carne Christi, c. 23, PL 2, 790). Negò perciò il prodigioso parto di Maria, e ammise un parto comune a tutti gli uomini, con lesione dell’integrità fisica. Conseguentemente, insegnò che la Madonna ” fu vergine riguardo all’uomo, non già riguardo al parto ” (il quale non può essere, per se stesso, verginale) (8).
Altrettanto ripeteva a Roma, nel 392, con le stesse parole di Tertulliano, l’eretico Gioviniano, il quale poneva sullo stesso piano la donna vergine e la donna maritata. La Madonna, secondo Gioviniano, ” fu vergine riguardo all’uomo, non già riguardo al parto “. Gioviniano – riferisce S. Agostino – impugnava la dottrina cattolica del parto verginale, perché per lui dire che Cristo era nato dalla madre lasciando incorrotta la sua verginità equivaleva a credere, coi Manichei, che Cristo era un fantasma (9).
Roma – riferisce San Girolamo – ” non potè tollerare la scelleraggine di questa asserzione ” (10), per cui Gioviniano fu condannato, prima nel Sinodo Romano sotto il Papa S. Siricio (a. 393) e poi, nello stesso anno (393) dal Sinodo di Milano sotto Sant’Ambrogio. ” Dalla loro aberrazione – riferisce S. Ambrogio nella sua Lettera al Papa Silicio – sono indotti ad affermare: concepì vergine, ma non partorì vergine. Una vergine dunque avrebbe potuto concepire, pur restando vergine, ma non avrebbe potuto partorire, pur restando vergine, per la semplice ragione che il concepimento precede il parto? In tal caso, se non si vuole prestar fede agli insegnamenti dei sacerdoti, si creda almeno alle profezie riguardanti Cristo; si creda agli avvertimenti degli angeli, i quali dicono che nulla è impossibile a Dio. Si dovrebbe accettare in pieno il simbolo di fede degli apostoli, che la Chiesa romana ha sempre conservato intatto e ha sempre difeso ” (11).
La negazione della verginità di Maria nel parto (a causa della condizione del medesimo) fatta nel sec. IV dall’eretico Gioviniano, fece inorridire, nel sec. V, persino l’eretico Giuliano, Vescovo di Belano, negatore, a sua volta, del peccato originale. Giuliano, in polemica con S. Agostino, gli opponeva che Egli, Agostino, con la sua teoria sulla universalità del peccato originale, cadeva in un’eresia ancora più detestabile di quella di Gioviniano: mentre infatti Gioviniano negava, ” per la condizione del parto “, l’integrità del corpo di Maria, Egli, Agostino, negava invece, in Maria, ” per la condizione della nascita “, l’integrità dello spirito (ancora più nobile) ” assoggettandola al demonio ” (facendola cioè nascere con la colpa originale) (12).
Anche nel sec. XI – come ci riferisce Radberto Pascasio – alcuni negavano il parto verginale di Cristo, perché, ” se non fosse nato come nascono tutti gli altri bambini, non si avrebbe una vera nascita ” (RADBERTO, De partu virginis, 1, PL 96, 208 A).
Si tratta perciò di ripetizione di errori antichi, già regressi, e perciò, si tratta di regressismo, non già di progressismo.
E qui è necessario rilevare che questi negatori della verginità di Maria ” nel parto “, per difendere se stessi, si sono sentiti costretti persino a difendere gli eretici (Tertulliano, Gioviniano) asserendo che costoro non hanno errato negando la verginità fisica di Maria ” nel parto “. Essi suppongono perciò che, fino ad oggi, ingiustamente, sarebbero stati considerati ” eretici ” perché non hanno combattuto la verginità ” nel parto “. Avrebbero ammesso la verginità morale (a viro) non già quella corporale (a partu). Così, per esempio, P. Rahner ha scritto: ” Tertulliano non combatte propriamente la ” virginità in partu”, ma semplicemente premette come ovvio il contrario… ” (l.c., p, 387).
Eppure Tertulliano – come pure Gioviniano – era pienamente consapevole di aver negato la verginità nel parto, a causa della perdita dell’integrità fisica. Coloro che lo difendono, invece, non se ne vogliono rendere consapevoli. Per salvare quindi, per lo meno a parole, la verginità di Maria ” nel parto “, si vedono costretti a dire che la Madre di Dio è ” vergine “: corporalmente però non è più vergine e perciò non è più integralmente vergine (sia spiritualmente sia corporalmente).
Sembra perciò che abbiano fatto causa comune con gli eretici…
Note alla seconda parte
(4) II Mitterer travisa qui – a proprio comodo- il concetto stesso di verginità.
(5) Anche qui bisogna distinguere tra la realtà concreta del fatto (la non-frattura dell’integrità fisica) e la realtà concreta del modo (in che modo si è verificata la non-frattura dell’integrità fisica).
(6) L’Henry è stato confutato da MONS. JOSEPH C. FENTON (Our Lady’s virginity in partu, in ” American Ecclesiastical Review “, 130, 1953, p. 46-55) e dal P. J.B. CAROL O.F.M, (Mary’s virginity in partu, in ” The Homiletic and Pastoral Review “, 54, 1954, p. 446-447).
(7) Secondo il P. Galot, avrebbero accolto con simpatia la teoria del Mitterer, O. SEMMELROTH S.J. (in ” Scholastik “, 28, 1953, p. 310), R. VALKANOVER O.F.M. (in ” Antonianum “, 39, 1955, p. 71-74), H, DOMS (Ein Kapitel aus der gegenwàrtigen Beziehung zwischen Theologie und Biologie, in ” Theologische Revue ” 48, 1952, p. 201 e 212), W. DETTLOFF O.F.M. (Virgo-Mater; Kirchenvàter und moderne Biologie zur jungfraulichen Mutterschaft Mariens, in ” Wissenschaft und Weisheit”, 20, 1957, p. 221 e 226), D. RYAN (Perpetual virginity in K.M. Mc Namara, Mother of the Redeemer, Dublin, 1959, p. 119, n. 53). L. OTT menziona le idee di Mitterer, senza disapprovarle, nell’opera Grundriss der Katholischen Dogmatik, Freiburg, II ed., 1957, vers. it. Marietti, Torino.
(8) Ecco le parole di Tertulliano: ” Peperit (Maria) et non peperit; virgo (fuit) et non virgo. Peperit enim, quae ex sua carne; et non peperit, quae non ex viri semine. Et virgo, quantum a viro; non virgo, quantum a partu ” (TERTULLIANO, De carne Christi, 23, 2; C.S.E.L. 2, 914). Secondo il Mitterer e compagni, Tertulliano non avrebbe negato la verginità ” nel parto “.
(9) ” Tamquam Christum cum Manichaeis phantasma crederemus, si Matris incorrupta virginitate diceremus exortum ” (S. AGOSTINO, Contra lulianum pelagianum, 1, 2, 4, PL 44, 643). È degna di nota la risposta data dallo stesso S. Agostino a Gioviniano: ” (Catholici) nec sanctam Mariam pariendo fuisse corruptam, nec Dominum phantasmam fuisse crediderunt; sed et illam virginem mansisse post partum, et ex illa tamen verum Christi corpus exortum ” (ibid.).
(10) ” Si idipsum virgo putatur et nupta, cur piaculum vocis huius Roma audire non potuit? Virgo a viro, non vir a virgine generatur ” (S. GIROLAMO, Apologeticum ad Pammachium, 2, PL 22, 494 a).
(11) “De via perversitatis produntur dicere: Virgo concepit, sed non virgo generavit. Potuit ergo virgo concipere, non potuit virgo generare, cum semper conceptus praecedat, partus sequatur? Sed si doctrinis non creditur sacerdotum, credatur oraculis Christi; credatur monitis angelorum dicentium: quia non est impossibile Deo omne verbum; credatur Symbolo apostolorum, quod Ecclesia Romana intemeratum semper custodit et servat ” (S. AMBROGIO, Epist. 42, PL 16, 1173-1174).
(12) ” Ille (lovinianus) virginitatem Mariae partus conditione dissolvit; tu (Augustine) ipsam Mariam diabolo nascendi conditione transcribis… ” (S. AGOSTINO, Opus imperfectum contra lulianum, VI, 122, PL 45, 1417).
…Sintesi dogmatica. Un dogma mai definito solennemente: Magistero, Scrittura, Patristica…
La perpetua verginità di Maria
- Maria fu vergine prima, durante e dopo il parto. De fide.
Il Concilio Lateranense del 649, presieduto da Papa Martino I, pone in risalto i tre momenti della verginità di Maria, insegnando che “la santa Madre di Dio sempre vergine immacolata Maria… ha concepito senza, seme per opera dello Spirito Santo e ha partorito senza corruzione, permanendo indissolubile anche dopo parto la sua verginità” (D. 256 [DS. 503]). Paolo IV dichiarò (1555): Beatissimam Virginem Mariam… pestitisse semper in virginitatis integritate, ante partum scilicet, in partu et perpetuo post partum (D. 993 [DS 1880]).
La verginità di Maria comprende la “virginitas mentis” cioè il costante proposito della verginità, la “virginitas sensus” cioè l’immunità dagli impulsi disordinati della concupiscenza sessuale, e la “virginitas corporis” cioè l’integrità fisica. Il dogma della Chiesa si riferisce in primo luogo all’integrità fisica.
l. Verginità prima del parto.
· Maria concepì senza cooperazione di uomo per virtù dello Spirito Santo. De fide.
Avversari della concezione verginale furono nell’antichità i giudei ed i pagani (Celso, Giuliano l’Apostata), Cerinto e gli ebioniti, nell’epoca moderna i razionalisti, i quali cercano di far derivare la fede nella verginità della concezione o dal passo di Is. 7, 14 o dalla mitologia pagana.
La fede della Chiesa nella concezione verginale (attiva) di Maria è espressa in tutti i simboli della fede. Quello apostolico professa: Qui conceptus est de Spiritu Sancto. Cfr. D. 86, 256, 993 (DS. 150, 503, 1880).
Che Maria, fino al momento della concezione attiva, sia stata vergine è attestato da Lc. 1, 26-27: “L’angelo Gabriele fu da Dio mandato… a una vergine… e la vergine si chiamava Maria”.
La concezione verginale fu già predetta nel Vecchio Testamento da Isaia nelle sue celebri profezie dell’Emmanuele (Is. 7, 14): “Ebbene il Signore stesso vi darà un segno. Ecco la vergine che concepisce e partorisce un Figlio, e gli porrà nome Emmanuele (= Dio con noi)”.
Il giudaismo non ha inteso il passo in senso messianico. Il cristianesimo sin dall’inizio lo ha invece riferito a Cristo, poichè vide che il segno era compiuto. Cfr. Mt. 1, 22. Poichè l’Emmanuele, secondo quanto dice in seguito il profeta (Is. 9 ss.), è il Messia, è chiaro che per ‘alma non si può intendere né la moglie del re Achaz; né quella dello stesso profeta, ma la madre del Messia. L’obbiezione mossa da parte ebraica che i Settanta avrebbero reso male ‘alma con “la vergine”, invece di “la ragazza, la donzella” (così Aquila, Teodozione, Simmaco), non è giustificata poiché quel termine nell’uso biblico designa la ragazza da marito, ancora vergine. Cfr. Gen. 24, 43 con Gen. 24, 16; Es. 2, 8; Sal. 67, 26; Cant. 1, 2 (M. 1, 3); 6, 7 (M. 6, 8). Inoltre il contesto parla di segno, cioè di carattere miracoloso della nascita del Messia; ma di prodigio in quest’annunzio di una concezione e nascita non ci può essere se non ch’esse, avvengono senza scapito della verginità della Madre.
Matteo 1, 18 ss. e Luca 1, 26 ss. narrano il compimento della profezia di Isaia. Mt. 1, 18: “La madre di lui, Maria, essendo fidanzata a Giuseppe, prima, che venissero a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo“. Lc. 1, 34-35: “Disse Maria all’angelo: Come avverrà questo, poichè io non conosco: uomo? E l’angelo le rispose: Lo Spirito Santo verrà sopra di te, e la potenza dell’Altissimo ti ricoprirà“. Poiché Maria visse in legittimo matrimonio con Giuseppe, questi era il padre legale di Gesù. Lc. 3, 23: “Il figlio, come si credeva, di Giuseppe”. Cfr. Lc. 2, 23. 48.
Le obiezioni della critica razionalistica contro l’autenticità di Lc. 1, 34-35 derivano esclusivamente dal pregiudizio filosofico della impossibilità del soprannaturale. La forma del tutto isolata che la versione siriaca sinaitica ci dà di Mt. 1, 16: “Giacobbe generò Giuseppe; Giuseppe cui era fidanzata la Vergine Maria, generò Gesù“, non può, per mancanza di testimonianze, esser ritenuta come primitiva. A quanto pare l’antico traduttore siriaco intese la paternità di Giuseppe nel senso legale, non naturale, poiché in seguito (I, 18 ss.) in perfetta armonia con tutte le altre testimonianze testuali, narra la concezione verginale ad opera dello Spirito Santo. La singolare versione sarebbe nata dal fatto che il traduttore notando che “generò” nella genealogia è sempre attribuita all’uomo, continuò sino alla fine la prima formulazione, stimando che l’inciso “cui era fidanzata la Vergine Maria” manifestasse abbastanza il suo pensiero. Il testo che servì traduttore conteneva la seconda forma di Mt. 1, 16 testimoniata da numerosi testi principalmente occidentali, che così risulta: “Giacobbe generò Giuseppe, cui (era) fidanzata Maria Vergine (la quale) generò Gesù detto il Cristo”.
I Padri attestano in pieno accordo la concezione verginale di Maria. Cfr. IGNAZIO di ANTIOCHIA, Smirn. I, I: “Nato realmente da una vergine“; Trall. 9, 1; Ef. 7, 2; 18, 2; 19, i. Essi difendono, a cominciare da Giustino, il significato messianico di Is. 7, 14 e fanno osservare che le parole vanno intese nel senso che la Madre dell’Emmanuele concepisse e partorisse come vergine (in sensu composito, non in sensu diviso). Cfr. GIUSTINO, Dial. 43; 66-68; Apol. 1, 33; IRENEO, Adv. haer. 111, 21; ORIGENE, Contra Celsum 1, 34-35; S. th. 111, 28, 1.
2. Verginità durante il parto.
Maria partorì senza lesione della sua integrità verginale. De fide.
La verginità di Maria nel parto fu negata nell’antichità da TERTULLIANO (De carne Christi 23) e particolarmente da GIOVINIANO, avversario dell’ideale cristiano della verginità, e nel tempo moderno dal razionalismo. A. Harnack, ad es., ritiene che sia un’invenzione dello gnosticismo.
La dottrina di Gioviniano (Virgo concepit, sed non virgo generavit) fu respinta in un sinodo di Milano (390) presieduto da SANT’AMBROGIO (cfr. Ep. 42), in cui si fece appello al simbolo apostolico: natus ex Maria virgine. La verginità nel parto è inclusa nel titolo onorifico di “sempre vergine” è espressamente insegnata da Papa LEONE I nell’Epistola dogmatica ad Flavianum (Ep. 28, 2), dal Concilio Lateranense del 649 e da Papa Paolo IV nel 1555 (D. 256, 993 [DS. 503, 1880]). Nell’Enciclica Mystici corporis PIO XII scrive: “Lei con un parto ammirabile dette alla luce Cristo Signore” (mirando partu edidit; l. C., P. 247).
La fede generale della Chiesa risulta anche dalla liturgia. Cfr. il Prefazio delle feste della Madonna (virginitatis gloria permanente) ed i responsori della 5a lezione della festa del Natale (cuius viscera intacta permanent) e della 8a lezione della festa della Circoncisione (peperit sine dolore).
Is. 7, 14 annuncia che la vergine (come vergine) partorirà. Al parto verginale i Padri riferiscono in senso tipico anche le parole del profeta Ezechiele sulla porta chiusa (Ez. 44, 2; cfr. AMBROGIO, Ep. 42, 6; GEROLAMO, EP. 49, 21), quelle del profeta Isaia sul parto senza dolori (Is. 66, 7; cfr. IRENEO, Epid. 54; GIOVANNI DI DAMASCO, De fide orth. IV, 14) e quelle del Cantico dei Cantici sul giardino chiuso e della fonte sigillata (4, 12; cfr. GEROLAMO, Adv. Iov. 1, 31; EP. 49, 21).
IGNAZIO DI ANTIOCHIA definisce non solo la verginità di Maria ma anche il suo parto come “un mistero strepitoso” (Ef. 19, 1). La nascita verginale di Cristo è attestata con certezza da scritti apocrifi del II secolo (Odi di Salomone 19, 7 SS.; Protovangelo di Giacomo 19-2o; Ascensione di Isaia 11, 7 ss.) e da scrittori della Chiesa, come IRENEO (Epid. 54; Adv. haer. III, 21, 4-6). CLEMENTE ALESSANDRINO (Strom. VII, 16, 93), ORIGENE (In Lev. hom. 8, 2; diversamente In Luc. hom. 14). Contro Gioviniano la dottrina tradizionale della Chiesa fu difesa da S. AMBROGIO (Ep. 42, 4-7), da S. GEROLAMO (Adv. Iovinian. 1 31; Ep. 49, 21) e da S. AGOSTINO (Enchir. 34). Per illustrare il mistero i Padri, e con loro i teologi, si servono di diverse analogie: l’uscita di Cristo dal sepolcro sigillato, il suo passaggio attraverso le porte chiuse, la penetrazione dei raggi solari attraverso il vetro, la nascita del Logos dal seno del Padre, la nascita del pensiero umano dall’intelletto.
Il dogma afferma che l’integrità fisica di Maria non fu lesa all’atto dei parto. Come nel concepire, così anche nel partorire la sua integrità verginale rimase intatta. Il modo in cui partorì ebbe quindi un carattere straordinario. La spiegazione precisa, in che consista sotto l’aspetto fisiologico l’integrità verginale nel parto, non rientra nella fede della Chiesa. Tuttavia, in base alle dichiarazioni del magistero ecclesiastico ed in base alle testimonianze della tradizione si deve ritenere che la verginità nel parto è diversa dalla verginità nel concepimento, cui si aggiunge come un nuovo elemento.
La spiegazione teologica mette l’integrità fisica nel parto in rapporto con l’immunità dalla concupiscenza, la quale aveva come conseguenza un singolare dominio delle forze spirituali sugli organi e processi fisici. Ne risulta che Maria, nel partorire Gesù, si comportò in modo del tutto attivo, come indica anche la Scrittura (Lc. 2, 7). In tal modo si può spiegare la mancanza del dolore fisico e soprattutto di moti sessuali. L’integrità fisica è l’elemento materiale della verginità nel parto, mentre la mancanza di moti sessuali è l’elemento formale.
3. Verginità dopo il parto.
Maria visse vergine anche dopo la nascita di Gesù. De fide.
Quest’aspetto della verginità di Maria fu negato in antico da Tertulliano (De monog. 8), Eunomio, Gioviniano, Elvidio, Bonoso di Sardica e dagli Antidicomarianiti. Al presente viene contestato dalla maggior parte dei protestanti, sia liberali sia conservatori.
Papa Siricio (392) respinse la dottrina di Bonoso (D. 91). Il V Concilio ecumenico di Costantinopoli (553) attribuisce a Maria il titolo onorifico di “sempre vergine” D. 214, 218, 227 [DS 422, 427, 437]). Cfr. le dichiarazioni del Concilio Lateranense del 649 e di Paolo IV (D. 256, 993 [DS- 503, 1880]). Anche la liturgia celebra Maria “sempre vergine”. Cfr. la preghiera Communicantes nel canone della Messa. La Chiesa prega: post partum, Virgo, inviolata permansisti.
La Scrittura attesta solo indirettamente la verginità di Maria dopo il parto. Il fatto che il Salvatore morente affidi sua madre alla protezione di Giovanni (Gv. 19, 26: “Donna, ecco tuo figlio”), presuppone che Maria non avesse altri figli oltre Gesù. Cfr. ORIGENE, in Ioan. 1, 4 (6), 23.
L’interpretazione tradizionale di Lc. 1, 34, dalla risposta di Maria: “Come avverrà questo, poichè io non conosco uomo?” arguisce il suo proposito di verginità perpetua, fatta per una particolare illuminazione divina. Agostino suppone, persino un voto formale di verginità. Secondo una moderna interpretazione Maria, che concepiva il matrimonio e la maternità alla luce del Vecchio Testamento, contrasse matrimonio con un’intenzione normale. Quando l’angelo le annunziò il concepimento come un fatto imminente, obiettò che ciò non era possibile, perché, prima di essere accolta in casa del marito, non aveva con esso rapporti coniugali.
Per coloro che la Scrittura chiama parecchie volte “fratelli di Gesù”, mai però “figli di Maria”, si devono intendere parenti prossimi di Gesù. Cfr. Mt. 13, 55 con Mt. 27, 56, Gv. 19, 25 e Gal. 1, 19. Dal passo Lc. 2, 7: “E diede alla luce il suo figlio primogenito” (cfr. Mt. 1, 25 sec. la Volgata) non si può inferire che Maria dopo Cristo abbia dato alla luce altri figli, poichè nel giudaismo anche il figlio unico e designato con il nome di primogenito. Un epitaffio giudaico scoperto ultimamente in Egitto chiama primogenito il figlio d’una donna morta al suo primo parto. Il titolo di primogenito portava con sè particolari diritti e doveri. Cfr. Ebr. 1, 6, dove l’unico figlio di Dio viene detto primogenito. I passi Mt. 1, 18: “prima che venissero a stare insieme” e Mt. 1, 25, “egli non la conobbe finchè non ebbe partorito un figlio” non significano che Giuseppe l’abbia conosciuta in seguito, ma solo che nessun rapporto coniugale intervenne tra lui Maria prima del parto. Meglio quindi tradurre Mt. 1, 25 così: ” senza che egli la conoscesse, ella partorì un figlio”. Cfr. Gen. 8, 7; 2 Sam. 6, 23; Mt. 28, 20.
Tra i Padri emergono come difensori della verginità Maria dopo il parto ORIGENE (In Lc. hom. 7), AMBROGIO (De inst. virg. et S. Mariae virginitate perpetua), GEROLAMO (De perpetua virginitate B. Mariae adv. Helvidium), AGOSTINO (De haeresibus 56, 84), EPIFANIO (Haer. 78; contro gli antidicomarianiti). BASILIO osserva: “Gli amici di Cristo non tollerano di udire che la madre di Dio cessò di essere vergine” (Hom. in s. Christi generationem, n. 5). Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, De fide orth. 14. S. th. 111, 28, 3.
Dal IV secolo in poi i Padri, quali S. ZENO DI VERO (Tract. I, 5, 3; II, 8, 2), AGOSTINO (Sermo 196, 1, 1; De carud. 22, 40), PIETRO CRISOLOGO (Sermo 117) esprimono i tre momenti della verginità di Maria in formule come: Virgo concepit, virgo peperit, virgo permansit (AGOSTINO, Sermo 51, 11, 18).
Sulla verginità di Maria
(ed altro sul culto mariano)
Roberto Renzetti Capisco che il quesito è straordinario e che mi si potrebbe con ragione rispondere: fatti gli affari tuoi! Me ne occupo solo perché su questo mito si è costruita l’esegesi di Maria nella Chiesa cattolica. Allora quella domanda che va ad indagare una vicenda che per il cattolico è di fede, è legittima per chi è laico e vuole capire come stanno le cose dai pochi (ma chiari) documenti esistenti. E’ che la Chiesa ha manipolato tutto ed inventato tante di quelle cose (i misteri) che lo svelare qualche imbroglio è gratificante. Io non ho, naturalmente le competenze per indagare tale cosa. Ma vi è uno studioso tedesco, Karlheinz Deschener, che sono vari decenni che indaga la storia della Chiesa ed ha scritto molti libri sull’argomento. Mi riferisco ad uno di questi (Il gallo cantò ancora. Storia critica della Chiesa, Massari, Bolsena 1998; pagg. 312-322), uno dei pochi che ha visto la luce in Italia, anche se con ritardo, per merito di un coraggioso editore. Occorre iniziare proprio dal Nuovo Testamento (NT) per rintracciare i cenni a Maria (perché Maria è citata pochissimo, ad esempio, nei Vangeli. Un Vangelo che parlava di lei, della sua giovinezza ed educazione al Tempio, la Chiesa lo ha definito apocrifo e quindi, anche se la cosa non è corretta, non ne parlo qui). In Luca (Lc. 2,7) si dice che Gesù cresce con 4 fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda e almeno tre sorelle (della cosa si parla qua e là anche in Mc. 6,3; 3,32; Mt, 12,46; 13,55; Atti 1,14; Gal. 1,19; 1Cor. 9,5). Il N.T. fu poi modificato nei luoghi opportuni, soprattutto nelle traduzioni, in modo da far passare tali fratelli come fratellastri, in quanto figli precedenti di Giuseppe, o come cugini. Aiuta in questo la rappresentazione di Giuseppe come un vecchio novantenne. La versione cugini nasce dal fatto che in Aramaico ed in Ebraico vi è un solo termine che indica, indistintamente il cugino ed il fratello (acha in aramaico e ach in ebraico). Più in dettaglio: nella traduzione greca, quando il NT chiama questi cugini suoi fratelli (adelfoi) si tratterebbe di un errore di traduzione. Si dà però il caso che nel NT adelphoi non significa mai cugini ma solo fratelli. Quando si vuole dire cugini si usa il termine appropriato anepsioi (Col. 4,10). Tutto questo voler continuare a rappresentare Maria come madre del solo Gesù, concepito virtualmente, discende da una errata traduzione di Isaia (7,14) e Matteo (1.23). In questi testi, riferendosi a Maria si dice alma Maria. Ed è vero che alma significa vergine, ma solo come uno dei significati della parola. Il maggior uso ed il contesto prevede per alma il significato di fanciulla (il significato di vergine nasce per estensione: fanciulla e dunque vergine. Se si fosse voluto dire vergine vi sarebbe stato il termine ebraico molto più preciso: betula). Il NT ha solo dei riferimenti di Matteo e Luca sulla nascita verginale di Gesù (Mt. 1,18 segg.; Lc. 1,26 segg.). Svariati studiosi ritengono verginale l’aggettivo interpolato successivamente. Vi sono poi dei manoscritti antichissimi in cui il passo di Matteo e quello di Luca suonano diversamente. In un manoscritto biblico siriaco (Nestle – Novum testamentum graece et germanice) il brano di Matteo suona così: “A Giuseppe, al quale la fanciulla era fidanzata, essa generò Gesù“. Riguardo a Luca il palinsesto siriaco chiama Maria non fidanzata ma moglie. Secondo Marco e Paolo Maria è trattata come una donna normale. Giovanni tace sulla vicenda, allo stesso modo della Lettera agli Ebrei e degli Atti degli Apostoli. Nessun ebreo ha mai creduto a questa cosa almeno fino al 3° secolo.. Fa fede il fatto che la prima chiesa a Maria venne eretta a Roma nel 4° secolo ed a Gerusalemme solo nel 6° secolo. Vi è poi una vicenda strana nei Vangeli, una contraddizione di tutti gli evangelisti. Da una parte la nascita di Gesù viene annunciata a Maria e Giuseppe (Mt. 1,20; Lc. 1,26; 1,46; 2,8; 2,19; Mt. 2,1). Dall’altra Maria e Giuseppe si stupiscono del fatto che Gesù venga esaltato da Simeone al tempio ((Lc. 2,33) e che sembrano spesso non capire alcune affermazioni di sua divinità che Gesù fa ((Lc. 2,49). Quando Gesù predica, Maria lo va a riprendere per riportarlo a casa con la forza prendendolo per matto. Insomma, Maria sembra non sapere che è Madre di un prodigio. E la cosa non sembra in accordo con una sua verginità dopo il parto, vi sarebbe stato un prodigio ben più clamoroso. Un altro episodio mostra la non considerazione di Gesù della sua madre, almeno nel senso della santità che le viene attribuita. In Luca (Lc. 11,27 e segg.) a Gesù viene detto “Beato il corpo che ti ha portato e le mammelle che ti hanno nutrito“. Egli rifiuta però il riferimento alla madre e risponde: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono!“. Inoltre quella madre viene da lui rimproverata: “Donna, che ti importa di quel che faccio ?“. E questo donna si ripeterà nei Vangeli, dove Maria non viene mai chiamata madre.
Nessun cenno a Maria Vergine fino al III secolo.
Il NT si riferisce abitualmente ai sette fratelli di Gesù, definisce Giuseppe, senza riserve, suo Padre e Gesù primo figlio di Maria (Lc, Mt, Jh). Inoltre in Matteo si dice che Giuseppe non conobbe Maria, finché non ebbe partorito un figlio (Mt. 1,25). E conoscere, nel linguaggio biblico, vuol dire intimità sessuale (1 Mos. 4,1). Quindi si concede un qualche intervento sul primogenito Gesù ma si parla poi di normale vita coniugale (della stessa opinione furono Ireneo, Dottore della Chiesa, Tertulliano e tutti i Padri della Chiesa fino alla metà del IV secolo). Vari vescovi dichiararono apertamente che Maria aveva avuto altri figli dopo Gesù.
Fu solo nel tardo IV secolo che Gerolamo ed Ambrogio, influenzati da religioni orientali, introdussero il concetto di Verginità di Maria. Il nuovo dogma venne proclamato, in Oriente, nel Concilio di Efeso del 431 ed, in Occidente, nel Concilio Laterano del 649. Fu Basilio che fondò il dogma, equiparando Maria agli avvoltoi che per lo più generano prole senza accoppiarsi. Altri trovarono la cosa un poco ridicola e, poiché l’abate Radberto nell’831 proclamò drasticamente che la nascita di Gesù ebbe luogo con l’utero clauso di Maria, altri si sentirono in dovere di individuare in un orecchio il luogo della fuoriuscita di Gesù dal corpo della madre (una osservazione a margine che non ho mai trovato altrove. Tutti sanno oggi che nella nascita di un bambino, non solo soffre la madre ma anche il piccolo e moltissimo. Il Gesù che si fa uomo, a mio giudizio, risulta incompleto senza l’esperienza del parto e della sofferenza insieme alla madre). Da questo momento tutti coloro che parlano dei fratelli di Gesù vengono duramente insultati e tra poco vedranno torture e rogo.
Dove nasce il culto della divinità vergine
La generazione di una divinità da una vergine era ben nota già in Egitto, a Babilonia, in India, in Persia, in Grecia, a Roma. Questo miracolo è un vero mostro biologico ed il fatto che abbia tanto credito e seguito mostra il livello di credulità dell’uomo ed il suo amore per l’orrido ed il biologicamente straordinario.
Già 3000 anni avanti Cristo Amon-Rê, il dio egiziano del Sole, assumeva le sembianze del re per accoppiarsi con sua moglie dalla quale ebbe un figlio che avrebbe salvato il mondo.
Nel 2850 avanti Cristo, a Babilonia, il re Sargon di Akkad, per farsi passare come Dio, millantava di essere nato da una madre vergine.
In India Buddha era ritenuto figlio della regina vergine Maya.
In Persia Zarathustra fu venerato come figlio di una vergine.
Una leggenda sulla verginità riguarda anche Platone. Anch’egli era ritenuto figlio di una vergine.
Poiché quasi tutti gli dei dell’antichità nascevano da vergini, pareva impossibile non prevedere una nascita analoga per Gesù, cosa che regolarmente fece la Patristica (Sant’Agostino, Civ. Dei. 12,24; 12,27; 17,6; …).
Il filosofo ebreo Filone (20 a.C. – 50 d.C.), che ebbe grande influenza sul Cristianesimo nascente, narra di quattro donne della storia biblica che ebbero il dono di generare nella verginità: Sara, Rebecca, Lea e Zippora. La storia di Zippora è la più vicina a quella di Maria. Mosè la trovò incinta, ma non ad opera di uomo mortale. Si trtattava di una concezione ebraico-ellenistica che naturalmente fu adattata ed adottata dai cristiani.
Ma il vero modello della nascita di Gesù da una vergine fu Iside.
Iside, il modello di Maria
[Da qui in avanti è quasi fedelmente riportato il testo della bibliografia fornita ad inizio del lavoro da pag. 317. Per la bibliografia da cui sono ripresi gli episodi riportati si rimanda a quella esaustiva del medesimo testo].
La dea più rinomata d’Egitto, già verso la metà del 2° millennio a Cristo, aveva inglobato in sé ogni culto di altre divinità femminili.. Dal VI secolo al IV secolo a.C. la sua influenza si estese nel mondo greco, in Asia Minore, ad Atene, in Sicilia, a Pompei ed a Roma dove in breve tempo conquistò i ceti più ricchi della città (in: Tiberio, Tacito, Svetonio, Flavio Giuseppe). La sua massima espansione in Occidente si ebbe nel II secolo a.C.
La religione di Iside aveva tutte quelle cose che poi saranno del Cristianesimo: rivelazione, sacre scritture, tradizione, organizzazione ecclesiale, , gerarchia interna, , si recitavano litanie, si tenevano processioni, digiuni, devozione particolare, esercizi spirituali, non esistevano differenze sociali, nazionali o di razza.
Iside, da cui promanava la medesima serenità come poi da Maria, è piena di grazia materna e di misericordia, promette aiuto e dispensa consolazione, e le preghiere a lei dedicate, assai simili a quelle per Maria, testimoniano d’una fede ardente. Invocavano in ogni caso di bisogno la madre di dio soprattutto donne e fanciulle , ed essa procurava salvezza anche in occasioni le più disperate, guarendo ciechi e paralitici e restituendo la salute a chi era già stato abbandonato dai medici. La grande riconoscenza dei fedeli è attestata da epigrafi, tavole, ex voto, amuleti e doni votivi di ogni genere .
Assai prima di Maria, la madonna pagana veniva venerata quale «signora amorevole», «madre misericordiosa», «dea assisa in trono», «regina dei cieli», «regina dei mari», «dispensatrice di grazie», «immacolata»,«sancta regina». Iside – si pensi all’inno cattolico «Maria, regina di maggio» – era «la madre dell’erba verdeggiante e della fioritura» già in epoca egizia. Come si celebrava Iside quale «signora della guerra», così ben presto venne festeggiata Maria, quale protettrice delle guerre. La madre di Gesù divenne la «madre del dolore» come già Iside era stata mater dolorosa. E inoltre l’idea della mater dolorosa del Redentore, la quale piange il figlio defunto, era da tempo immemorabile corrente nella mitologia pagana.
Come Maria, anche Iside partorì Vergine e in viaggio; altri figli di vergini vennero spesso al mondo durante una fuga o un viaggio, come pure il consorte della vergine-madre fu spesso un falegname o, più genericamente, un artigiano.
Anche Iside tiene in braccio il figlio divino – in questo caso Harpocrate (la forma grecizzata dell’egiziano Har-pe-chrot), detto anche Horus – o gli porge il seno. Queste statuine col lattante erano assai diffuse e nell’Egitto del tempo erano oggetto di produzione quasi industriale (notiamo di passaggio che dall’Egitto la Chiesa trasse, ad esempio, anche la venerazione di reliquie, la tonsura, l’uso dell’acqua santa, dell’aspersorio ecc.). Harpocrate fu chiamato quasi sempre figlio di Iside, non di Osiride, come Gesù viene perlopiù definito figlio di Maria, non di Giuseppe.
Già nell’antico Egitto, Iside portava il titolo di «Madre di Dio», com’è spesso attestato in lingua egizia, appellativo gradualmente trasferito a Maria dal III secolo in poi, significativamente dapprima proprio in Egitto, da Origene; nel IV secolo poi tale definizione cominciò a diventare usuale anche altrove. E nel secolo V, dopo una interminabile polemica dottrinale e dogmatica, il titolo di Iside di «Madre di Dio» (deipara, theotokos) passò definitivamente alla madre di Gesù nel Concilio di Efeso del 431.
Alla definizione del dogma della maternità divina di Maria proprio in Efeso dovette aver contribuito anche il fatto che la città era un centro assai popolare del culto di Iside e sede centrale della dea-madre pagana Artemide, la quale, degnata da Giove dell’eterna verginità, veniva chiamata «colei che ascolta le preghiere» e «salvatrice», e il mese di maggio, come poi nel culto mariano, avevano luogo particolari festeggiamenti in suo onore. Anche le immagini dell’Artemide Efesina cadute dal cielo passeranno alla Chiesa nella fede nelle immagini di Maria anch’esse cadute dall’alto.
Così la dea di Efeso tanto adorata finì col fondersi con Maria: la massa dei cristiani voleva avere una madre di Dio anche nella nuova religione, come aveva del pari necessità d’un «dio» da poter gustare sacramentalmente secondo le usanze pagane.
La polemica intorno al dogma definito in Efeso fu anche decisa da un’incredibile opera di corruzione con danaro, infilato dal patriarca di Alessandria nelle tasche di tutte le persone interessate, a cominciare dagli alti funzionari statali fino alla moglie del prefetto dei pretoriani e agli influenti eunuchi e camerieri particolari; in questo lavoro esaurì le proprie risorse, benché assai ricco, tanto che fu costretto a un prestito di 100.000 pezzi d’oro, che tuttavia non fu sufficiente.
Anche l’atto del concepimento di Maria fu posto dalla Chiesa, in base a un calcolo evinto da una leggenda presente in Luca, nella medesima stagione in cui ebbe luogo il concepimento di Iside, le date della cui gravidanza erano state registrate nei fasti egizii con straordinaria esattezza. Il suo manto blu cosparso di stelle passò poi nelle raffigurazioni artistiche della «Madonna», insieme alla mezzaluna e alla stella, attributi propri di Iside. In tutta quanta l’arte protocristiana non v’è un tema che non possegga un preciso riferimento pagano. Poiché un tempo esistevano anche immagini nere di Iside – in Etiopia Iside era naturalmente diventata una negra – anche il colorito di Maria fu talvolta scurito fino a divenir nero, e queste madonne nere guadagnarono poi fama di particolare sacralità a Napoli, a Chestokowa, a Barcellona e soprattutto in Russia. Per altro un vescovo negro cattolico a New York, nel 1924, sostenne davanti a seimila afro-americani che Gesù e sua madre avevano la pelle nera.
In un dizionario religioso «scientifico» con tanto di imprimatur, sotto la voce singolarmente breve di «Iside» si evita accuratamente anche soltanto di nominare Maria.
Gli esordi del culto mariano
Osservato sotto il profilo storico, il culto di Maria offre una vista, con cui si abbraccia tutta la miseria dell’umanità. E’ una storia della superstizione più infantile, delle più temerarie falsificazioni, dei distorcimenti, delle interpretazioni capziose, delle fantasie e dei trucchi, cuciti insieme dalla miseria e dai bisogni umani, dall’astuzia gesuitica e dalla volontà di potere della Chiesa; uno spettacolo parimenti adatto a suscitar riso e pianto: l’autentica commedia divina.
(Arthur Drews, Die Marienmythe)
L’incedere trionfale di Maria attraverso i secoli fu così grandioso, che a volte nella coscienza popolare cacciò in secondo piano persino suo figlio. Anche molti Padri della Chiesa le attribuirono l’opera della redenzione e a lei trasferirono tutta una serie di attributi, che il NT riserva a Gesù. «E’ difficile diventar santi mediante Cristo, ma facile mediante Maria» – dichiarò nel XVIII secolo anche il redentorista Alfonso de’ Liguori, le cui opere, a giudizio dello storiografo cattolico della Chiesa, Ignaz Dóllinger, sono «un deposito di errori e di menzogne», ma che tuttavia fu elevato al rango di Doctor Ecclesiae (onorificenza non più conferita a un cattolico dal Concilio di Trento del XVI secolo) da un decreto del Papa Pio IX nel 1871.
Per altro gli abitanti di Nazareth non trovarono nulla di eccezionale nella mamma di Dio (Mc. 6, 3). Nei Vangeli, Maria resta completamente in secondo piano, gli Atti la citano una sola volta (Atti, 1,14), e per tutto il NT se ne parla rarissimamente e senza una particolare reverenza. Né nulla appare della sua mancanza di colpa; Tertulliano le rinfaccia di non aver creduto al Cristo (Tert., carne Chr. 7), e i Padri della Chiesa del III secolo fra l’altro le rimproverarono per sovrapprezzo presunzione e superbia .
Ma già un trattato della fine del II secolo, assai letto nella Chiesa antica e intitolato nei manoscritti più vecchi Racconto storico, narrava che Maria poté camminare già a sei mesi, che dai tre anni in avanti mangiò nel tempio direttamente dalle mani di un angelo e che a sedici anni restò incinta per opera dello Spirito Santo. Una donna chiamata Salomè, che nutrì un qualche dubbio sulla verginità di Maria e tentò un’ispezione vaginale del suo stato «con l’impiego di un dito», perse d’un colpo la mano, ricresciuta rapidamente dopo che ebbe recato in braccio il bambin divino dietro ragguaglio d’un angelo .
I Padri della Chiesa Clemente Alessandrino e Zeno di Verona propagarono poi il dogma della perenne verginità di Maria, richiamandosi a questa «notizia storica» (Clem. Al., strom. 7,16. Zeno di Verona 2,8).
A partire dal III secolo nacquero i ritratti di Maria, e i cristiani chiamarono con lo stesso nome le proprie figlie; nel secolo successivo, più precisamente nella seconda metà, sorse la prima Chiesa mariana sotto Papa Liberio a Roma, dove oggi sono circa un’ottantina. Ma fino ad allora non vi esisteva alcuna forma di culto della madre di Dio e venivano piuttosto venerati più di lei i martiri più popolari. Solo alla fine del IV secolo venne equiparata agli altri santi, e al V risale la più antica preghiera mariana della Chiesa, quando si cominciarono a celebrare anche festività in onore di Maria, ma solo in Oriente, dove tale culto era stato particolarmente coltivato grazie a Cirillo di Alessandria, il quale introdusse la prima celebrazione in onore della Santa Vergine, forse l’Annunciazione, tenuta lo stesso giorno delle Hilarie, le feste della pagana mater deorum.
Inoltre Cirillo diede inizio a quella che diventerà la festa dell’Ascensione, fissandola per il 15 agosto, giorno in cui i Pagani festeggiavano l’ascensione in cielo di Astrea, dea della Giustizia, nonché una festività in onore di Iside; una festa analoga, il navigium Isidis, viene celebrata ancor oggi nel meridione della Francia .
[Osservo en passant che Cirillo è quello che incitò la folla dei cristiani contro la biblioteca di Alessandria che fu data alle fiamme e distrutta. La sua direttrice, Ipazia, una grandissima matematica, fu fatta letteralmente a pezzi, n.d.r.]
Nel V secolo il problema della sua venerazione penetra nella teologia: Agostino dichiara Maria senza peccato (a partire dall’apparizione dell’Angelo Gabriele) e la esclude anche dal peccato originale (De natura et gratia, 36;42), ma ancora ai suoi tempi in Africa non si celebravano festività mariane; in occidente iniziarono solo dal VII secolo in poi.
Dal VI secolo si esibiscono reliquie di Maria; una delle più antiche fu la pietra sulla quale aveva riposato durante il viaggio a Betlemme, individuata intorno al 530 da un pellegrino nella Chiesa del Sepolcro di Gerusalemme, dove fungeva da altare; mezzo secolo dopo, tuttavia, un altro pio viaggiatore la trovò nel posto d’origine, adornata d’una fontanella d’acqua sorgiva dal sapore indescrivibilmente gradevole . Verso il 570 nella Basilica di Costantino sul Golgota vennero indicati alcuni accessori del guardaroba mariano, una cintura e un nastro per capelli. Poi nel 1509, ad esempio, la chiesa del castello di Wittenberg era in possesso «del latte della vergine Maria, tre particele», «dei capelli di Maria, 4 frammenti; della camicia di Maria, 3 parti» ecc. . A Gaming, nel Medioevo, si venerava un pezzo «della pietra, sulla quale era scorso un po’ del latte della santissima Vergine», un po’ «dei suoi capelli, della sua camicia, delle sue scarpe» ecc..
Le apparizioni mariane ebbero inizio, a quanto pare, nel V secolo: durante la notte nella chiesa di Anastasia di Costantinopoli, Maria si mostrava ai malati e li guariva; in seguito comparve sempre più sovente e anche in atteggiamenti non sempre innocenti: Fulberto di Chartres sostenne d’averne assaggiato il latte dal seno, da lei personalmente portogli; e in seguito questa fortuna toccò a molti altri, come, per esempio, nel XII secolo a S. Bernardo di Chiaravalle, considerato da Schiller e da Goethe «un intelligente manigoldo, pratico delle cose del mondo».
Anche in tempi recenti e recentissimi Maria apparve spesso, e molte delle sue visite sono state «riconosciute» dal Vaticano: la sua comparsa a La Salette (1846), a Lourdes (1858) dove, detto en passant, per il centenario del 1958 cinque milioni di pellegrini recarono le loro offerte – e l’anno dopo il vescovo del luogo ottenne la grande croce al merito della repubblica – e a Fatima (1917) : come si vede la madre di Dio ha una speciale preferenza per i paesi cattolico-romani. Il Vaticano fa opera di promozione ora d’un luogo ora d’un altro, perché lo straordinario affaire non assopisca né si irrigidisca troppo.
E così Pio XII, il 30 ottobre 1950 verso le ore 16, durante la sua passeggiata per i giardini vaticani, vide in cielo «il miracolo della valle di Fatima», e l’apparizione si ripetè anche nei due giorni seguenti .
Si potrebbe sorridere degli ingenui cattolici, che affermano che la madre di Dio di Altótting è più soccorrevole della Maria di Eich; ma che cosa si dovrebbe pensare quando lo stesso papa Benedetto XV, poco prima della sua morte, raccomandò che si pregasse per lui la Madonna di Pompei? .
La concorrenza delle madonne è davvero notevole e prima veniva condotta in modo ancor più primitivo. La chiesa mariana di Zwickau (Sassonia) possiede una madonna medievale, attraverso il cui capo, dal retro, due fori conducono fino agli occhi, sì che versandovi dell’acqua Maria piange copiosamente. Anche i pagani conobbero statue piangenti, e come le madonne talvolta vanno a spasso da sole – per esempio, un’immagine di Maria sottratta a Soest ritornò tutta sola soletta al suo posto a Weri, in Westfalia – così già si muovevano i simulacri degli dèi: una statua della mater deorum, ad esempio, che andò a farsi un bagno di mare, oppure un’immagine di Serapide, che s’imbarcò da sola sulla nave, che avrebbe dovuto ricondurla in Alessandria.
[Ricordo qui un solo dato agghiacciante in mio possesso: in Spagna si conoscono e si venerano 55 000 (cinquantacinquemila) madonne, tutte catalogate. n.d.r.]
Anche sotto questo aspetto la Chiesa generalmente non fa che ripetere cose già viste. Nei luoghi di devozione pagani non soltanto esisteva una vera e propria industria di souvenirs, ma anche cassette per le elemosine governate automaticamente e, ovviamente, dappertutto prezzi fissi; infatti, senza denaro le antiche statuine miracolose, come quelle cristiane, non avrebbero potuto esistere. L’organizzazione relativa dei luoghi pagani di devozione ritorna nel Cristianesimo fin nei minimi particolari. Dal V secolo in avanti i doni votivi riempiono le chiese, come mille anni prima riempivano i templi; grazie ai miracoli della sola Iside gli artigiani ricevevano tante ordinazioni, che si arricchivano nel giro di poco tempo
Il dogma dell’Immacolata Concezione
La festa dell’immacolata concezione di Maria fece la sua comparsa nelI’VIII secolo; il suo presupposto consiste nel fatto che anche Maria sarebbe stata concepita e partorita dalla madre «immacolata», cioè senza il peccato originale.
I grandi luminari della Chiesa, come Bernardo di Chiaravalle, Bonaventura, Alessandro di Hales, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, richiamandosi all’autorità nientemeno che di Agostino, combatterono come superstizione codesta festività dell’Immacolata Concezione di Maria! Il domenicano Vincent Bandelli menzionò non meno di 260 dotti cattolici per dimostrare eretica questa dottrina, propagandata e difesa soprattutto dai francescani. Anche Tommaso d’Aquino era un domenicano, ed è evidente che in questa polemica, condotta dai francescani anche col richiamo agli apocrifi e a falsi letterari, svolgeva un ruolo di rilievo la rivalità sempre presente fra i due ordini religiosi. Papa Sisto IV, ex francescano, nel 1482 vietò che si condannasse la fede nell’immacolata concezione, ma nel 1568 Pio V proibì di nuovo tale festa. Tuttavia il popolo, che divinizzava Maria, la voleva anche completamente pura; e poiché anche altri ordini si adoperarono ardentemente a favore della nuova dottrina, specialmente i Cistercensi, il cui primo abate Robert di Molesme (morto nel 1108) ebbe persino una «relazione segreta» con Maria, e infine anche i gesuiti, i Domenicani dovettero soccombere. Nel 1848 il gesuita Peronne dimostrò la concezione immacolata sulla base dell’esegesi biblica, fondandosi, fra l’altro, sui versi del Cantico dei Cantici «Come un giglio fra le spine, così è la mia anima fra le fanciulle»; «Sì, tu sei bella, amica mia, sei bella, tutto è in te bello, amica mia, e nessuna macchia è in te»!
La cosa era ormai chiara. Sei anni dopo, 1’8 dicembre 1854, Pio IX proclamò con la Bolla Ineffabilis Deus che la dottrina della immaculata conceptio della santissima vergine Maria era stata «rivelata (!) da Dio e perciò doveva essere saldamente e costantemente creduta da tutti i fedeli». Prima della proclamazione del dogma, per altro, il papa aveva interrogato i vescovi, dei quali 536 si pronunciarono a favore della nuova dottrina, 4 contro e 36 espressero dubbi sull’opportunità di una siffatta dogmatizzazione.
Fu una lunga battaglia che lo Spirito Santo combatté con se stesso. Ma 1’ultimo dogma mariano mancava ancora all’appello: vi provvide Pio XII, che nel 1950, con la Bolla Munificentissimus Deus, definì la dottrina della sua assunzione in cielo in corpo e anima. Autore della Bolla fu il gesuita Giuseppe Filograssi.
Il dogma dell’assunzione in cielo di Maria in corpo e anima
Dal 1861 sembra che in Vaticano giungessero, naturalmente con il suo assenso, un mare di petizioni sottoscritte da otto milioni di firme di persone che, con formule di totale dedizione (tipo «distesi ai piedi di Sua Santità») imploravano il dogma dell’ascensione fisica in cielo dell’Assunta. Molti teologi cattolici, particolarmente i propugnatori del dogma, se ne ripromettevano esiti inimmaginabili: non solo una fiorente era mariana, ma anche una «prosperità materiale per tutti» e il ritorno degli eretici nell’«ovile di Cristo».
Naturalmente il NT tace del tutto su tale dottrina, come tacciono anche tutti quanti i Padri della Chiesa fino al VI secolo! Eppure da parte di alcuni di loro, come Efrem e Ambrogio, era stato escogitato di tutto a lode della Santa Vergine, e nessuno avrebbe sottaciuto il suo viaggio in cielo in corpo e anima se solo ne avesse avuto sentore. Epifanio poi scrive esplicitamente che a suo tempo nessuno aveva saputo nulla della fine di Maria.
Soltanto nel secolo VII i teologi Giovanni di Tessalonica e Modesto, arcivescovo di Gerusalemme, e nell’VIII Andrea di Creta, Giovanni di Damasco, Germano di Costantinopoli e altri costruirono la nuova dottrina, fondandosi su un romanzo del V secolo, la cosiddetta Leggenda del transito, il cui primo teste conosciuto è, per altro, un «eretico», lo gnostico Leucio. La forma più antica della narrazione si limita a parlare solo di una misteriosa scomparsa del cadavere di Maria, senza accennare a un’assunzione in cielo. Inoltre, la Leggenda del transito venne condannata aspramente dal Decretum Gelasianum, il più antico Index Librorum Prohibitorum romano, con un decreto sinodale passato poi al diritto chiesastico medioevale come decisione papale. Anzi, il breviario della Chiesa cattolica contenne per secoli sezioni che ponevano energicamente in guardia contro l’accettazione di un’ascensione in cielo di Maria in corpo e anima. Tali ammonimenti proclamati annualmente nella festa dell’ascensione di Maria vennero cassate dalla liturgia cattolica solo nel XVI secolo da Pio V, in Francia addirittura alla fine del XVII secolo.
Nessuna meraviglia, dunque, se anche noti teologi cattolici si opposero alla dogmatizzazione dell’idea dell’assunzione; e molti lo fecero con ragioni talmente solide da porre da parte ogni possibilità stessa di discussione. Ma anche l’opera cattolica canonica La mort et l’Assomption de la Sainte Vierge di Padre Martin Jugie del 1944, stampato in Vaticano e dedicato al Papa sei anni prima della proclamazione del dogma, nella sezione storica afferma recisamente che il valore delle più antiche testimonianze di un’assunzione in cielo in corpo e anima contenute nella Leggenda del transito sarebbe stato «assolutamente nullo… da un punto di vista storico» (ibid.). Il padre assunzionista analizza anche tutte le affermazioni sulla morte di Maria dei Padri della Chiesa dei primi cinque secoli, col risultato che fino al VI secolo «nessuno sa quale sia stata la fine terrena della madre di Dio» (ibid.). Tuttavia il Padre sollecita la proclamazione del dogma, perché gli pare «assai opportuna», moltiplicherebbe la gloria della madre di Dio, tutti i veri cristiani lo saluterebbero con giubilo, non avrebbe urtato la suscettibilità degli Ortodossi (che pure credono nell’assunzione fisica di Maria, senza averne tuttavia fatto un dogma), ma non si sarebbe comunque dovuto contare su un ritorno in massa dei Protestanti.
Il dogma dell’assumptio corporalis di Maria poggia, dunque, quasi esclusivamente sul consensus ecclesiae, vale a dire sulla pietosa opinione del Medioevo. Con esso la Chiesa fabbricò una verità di fede, che non solo non ha nulla a che fare con le credenze della cristianità primitiva, ma nemmeno con quelle di tutti i Padri della Chiesa dei primi sei secoli.
E allora per i cattolici né il silenzio della Bibbia né la totale assenza di una tradizione apostolica o postapostolica contano alcunché; la «prima linea direttrice» è per loro «nient’affatto la Sacra Scrittura, bensì la coscienza viva della fede della Chiesa di Cristo oggi (!) vigente».
La Chiesa cattolica, dunque, può in ogni tempo rifornire di dogmi i propri fedeli «dalla coscienza viva della fede», dogmi del tutto estranei alla cristianità antica; cosa mai crederanno (o non crederanno più) i cattolici del 3000, nel caso che la loro Chiesa sussista ancora fino a quell’epoca?
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