Per discutere in breve il pensiero del conte Tommaso d’Aquino, occorre fare riferimento alla sua epoca, il XIII secolo, 1800 anni dopo Aristotele.
XIII secolo
E’ questa un epoca in cui, dal punto di vista politico, si assiste al declino dei due massimi istituti medioevali: la Chiesa e l’Impero. Dal punto di vista economico si assiste alla prima avanzata della borghesia commerciale che accumula sempre maggiori ricchezze, acquista fiducia in se stessa e quindi inizia a proporsi per il potere (i Comuni).
Dal punto di vista religioso si creano nuovi ordini monastici, i francescani ed i domenicani che soppiantano i benedettini relegati per lo più in zone poco popolate. Si diffondono inoltre vari movimenti eretici contro i quali la Chiesa scatenerà repressioni sanguinarie.
Al centro del dibattito culturale vi è sempre il problema del rapporto tra il sapere umano (quello filosofico) e la rivelazione cristiana.
Nonostante già si conoscessero alcune opere di Aristotele, l’intero corpo dei suoi lavori, che rende ben conto della complessità, globalità e sistematicità del suo pensiero, viene conosciuto nel corso del XII secolo. È il primo sistema che abbraccia nel suo complesso tute le branche del pensiero e della conoscenza. Il fascino che l’aristotelismo iniziò ad esercitare fu enorme. Anche tra i cristiani (particolarmente quando gli ‘scolastici’ conobbero la Metafisica di Aristotele) sorse un forte moto di ammirazione: il sistema aristotelico poteva rappresentare il complemento filosofico, ciò che la Chiesa aveva sempre cercato, al Cristianesimo stesso, un corpo di dottrine che avrebbe finalmente nobilitato culturalmente il Cristianesimo (che fino ad allora oltre alla povera ed “incolta” Bibbia, si era affidato alle pie ma parziali visioni di Platone e dei neoplatonici). Sfortunatamente in Aristotele, più che in Platone, mancava l’idea di Dio. Questo fu il motivo per cui l’aristotelismo ebbe alterne vicende durante il 1200. Intanto già nel 1169, il Concilio di Tours aveva vietato ai monaci di leggere i pericolosi testi di fisica. Nel 1210, il Concilio provinciale di Parigi vieta l’insegnamento delle dottrine aristoteliche. In generale sono i francescani ad opporsi fermamente all’ateismo aristotelico. E non è che queste cose non avessero peso. Ormai le Università non erano più le libere Università del loro nascere; vista la loro crescente importanza queste, con il beneplacito ed il sostegno delle varie case regnanti, erano ormai passate tutte sotto il controllo diretto della Chiesa (principalmente francescani e domenicani erano tra i gestori di queste istituzioni): I divieti di insegnamento o le condanne avevano effetti immediati sulla diffusione, ai livelli culturali più elevati, delle dottrine di Aristotele e degli aristotelici. Inoltre, proprio all’inizio del XIII secolo cominciarono a diffondersi per l’Europa svariati movimenti religiosi giudicati eretici dalla Chiesa. Tra questi i principali erano: i Catari (Albigesi, Manichei, Patarini, …) ed i Valdesi. Nel 1209 una ‘crociata’ contro gli Albigesi si era conclusa con orrendi massacri. Ma l’aspetto più importante di ciò è che nel 1233 Gregorio IX fondò il Tribunale dell’Inquisizione che nel 1235 venne affidato come ‘privilegio’ ai domenicani e poi esteso ai francescani. Si iniziò subito con la pratica della tortura che fu ufficialmente autorizzata e riconfermata da Innocenzo IV (1252), Alessandro IV (1259), Clemente IV (1265). Ebbene, in questo clima, si susseguirono altre condanne ad Aristotele: dapprima si espresse in proposito il Concilio lateranense del 1215 (con Innocenzo III), quindi la cosa fu riaffermata da Onorio III e da Gregorio IX (1231), infine, qualche anno dopo, da Urbano IV. Ancora nel 1277 sia il vescovo di Parigi E. Tempier che quello di Canterbury condannarono ben 219 proposizioni tratte dall’opera di Aristotele e dagli aristotelici (essenzialmente Averroè). Il contrasto tra aristotelismo e Cristianesimo (insignificanza del posto di Dio, eternità del mondo con conseguente negazione della Creazione, inesistenza del libero arbitrio in un mondo dominato dal movimento delle sfere celesti, la non immortalità dell’anima, il rigido determinismo, …) fu appianato da S. Tommaso, un domenicano.
SAN TOMMASO (1221 – 1274)
Discepolo di Alberto Magno (circa 1200 – 1280), completò la sua opera che consistette principalmente nell’armonizzare Aristotele con il Cristianesimo (a quest’opera contribuì anche Roberto di Lincoln o Grossatesta (1175-1273). È il culmine della tradizione aristotelica con l’introduzione di qualcosa che è meno nobile della terra e sta quindi ad un livello più basso, l’Inferno, e di qualcosa che è più nobile dell’etere e sta quindi ad un livello più alto, il Paradiso. È Dio che comprende in sé tutto l’universo ed è Dio che trasmette il moto ad esso. In altri punti dove vi era contrasto tra Aristotele e Chiesa, semplicemente si affermò che Aristotele aveva sbagliato. Con questo artificio

molte accuse di materialismo e meccanicismo che venivano mosse ad Aristotele, piano piano andarono cadendo. A partire dal 1278 la sua dottrina divenne quella ufficiale dell’ordine dei domenicani (i “cani da guardia” dell’ortodossia). È interessante osservare una delle questioni che Tommaso pone nella sua Summa Theologica (Parte III, Quaest. XXVII – LIX), il fatto cioè che sembra impossibile che il corpo di Gesù sia asceso al cielo in quanto:1) non si intravedono fori nelle sfere celesti; 2) perché i corpi che sono in stato di perfezione sono immobili e quindi non era appropriato al corpo di Gesù il movimento; 3) perché al di là dell’ultima sfera non vi è spazio ed il corpo di Gesù occupa spazio. L’astronomia verrà strettamente legata alla teologia (si veda l’intera opera di Dante). Secondo Tommaso, poiché non é possibile che vi siano verità contraddittorie, religione e fede debbono andare d’accordo. Egli incita quindi a studiare la scienza perché ciò serve a consolidare la formazione religiosa ed a sradicare errori e superstizioni. La scienza a cui si fa riferimento è una scienza fondamentalmente empirica perché il modo che noi abbiamo di conoscere è fondamentalmente legato ai nostri sensi, all’esperienza che loro fanno durante la nostra vita. Tommaso limiterà drasticamente la regola benedettina affermando che coloro che sono sacerdoti debbono essere esonerati dal lavoro manuale. Nel 1567, in piena Controriforma, Papa Pio V lo dichiarò Dottore della Chiesa affiancandolo ad Ambrogio, Agostino, Gerolamo e Gregorio Magno. Da questo momento le dottrine tomistico-aristoteliche diventarono ufficialmente leggi della Chiesa. Fu così che Aristotele iniziò ad essere considerato addirittura un ‘precursore di Cristo nelle cose naturali’ e quindi ad essere considerato una indiscutibile autorità nelle cose filosofiche, scientifiche e teologiche.
A partire dal 1879 un’ordinanza di Papa Leone XIII rese obbligatorio l’insegnamento del suo sistema (quello “vero”) in tutte le scuole cattoliche.
Nonostante le aperture di Tommaso verso la scienza, questa non decollava per svariati motivi. In primo luogo egli e gli altri pensatori erano a livelli culturali lontanissimi da quelli della gente; in secondo luogo l’insegnamento medioevale era centrato quasi esclusivamente sullo studio dei classici che ispiravano timore e rispetto per la loro autorità; In terzo luogo l’illimitata venerazione di cui godeva Aristotele non permetteva passi in avanti sostanziali; infine, e questo è un aspetto molto importante, da una parte non si disponeva di una adeguata conoscenza della matematica (si conquisterà solo nel Cinquecento) e dall’altro nessuno pensava ad intersecare processi di misura con la conoscenza della natura (non è la quantità che ci permette di conoscere l’essenza delle cose, aveva affermato Aristotele): In queste condizioni la scienza non poteva essere altra cosa che una descrizione e classificazione qualitativa alla quale l’unica dimostrazione necessaria era il ragionamento (che aiuta nella classificazione) e quindi il sillogismo (si noti che per Aristotele anche una dimostrazione geometrica è una classificazione). Inoltre la stessa organizzazione oligarchica dello stato può essere vista come giusta in quanto gerarchizzata e quindi costruita ad immagine della natura (ciò faceva molto piacere ad ogni potente).
Roberto RenzettiPS. Riporto di seguito una discussione più approfondita della filosofia di Tommaso d’Aquino con, immediatamente dopo, il rasoio di Ockam e la sua funzione critica rispetto alla filosofia per la sua immediata attinenza con alcune questioni sollevate da Tommaso.Osservo che Giovanni Paolo II, nell’enciclica Fides et Ratio, ripropone tutto il pensiero di Tommaso senza alcun sostanziale cambiamento. Il fatto che siano passati 800 anni sembrerebbe deporre a favore del non relativismo della Chiesa. Purtroppo, i furbastri delle gerarchie dimenticano il relativismo quando hanno a che fare con l’embrione. Secondo Tommaso, Dio insuffla l’anima al feto (che così diventa persona) intorno al 4° mese di gravidanza. Ed a quel momento l’embrione è sparito da circa 4 mesi. Interrogati su questo i sofisti fondamentalisti cattolici affermano che Tommaso diceva queste cose in un’altra epoca. Ma la Chiesa è maestra d’imbrogli. Anche sulla santificazione, essa stessa si era data la norma dei 5 anni per iniziarne a discutere. Il campione dell’antirelativismo, Papocchio Ratzinger, ha invece detto che per Giovanni Paolo II occorre eccepire. Il santo subito di Piazza San Pietro è più importante di ogni norma. Ed allora la santità diventa populista, oltreché relativista, ed affermata per alzata di mano come avevo annunciato qualche mese fa.
In altra pagina del sito riporto invece il pensiero di Tommaso come è discusso dagli integralisti ed ignorantelli di alleanza cattolica.
http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Tommaso.html
SAN TOMMASO d’AQUINO
(1221-1274)Tommaso d’Aquino fu l’esponente più eminente della scolastica di derivazione aristotelica: il Cristianesimo si era da secoli diffuso in tutta Europa e Tommaso fu il principale interprete del suo apogeo grazie alla riscoperta del pensiero di Aristotele, fino allora poco considerato dalla teologia prevalentemente indirizzata verso il neoplatonismo.
Tommaso nacque nella famiglia dei conti di Aquino, la madre si chiamava Teodora e il padre Landolfo. Da piccolo studiò presso i monaci benedettini di Montecassino, finché nel 1239, in seguito alla decisione presa da Federico II di fare dell’abbazia una fortezza militare, si iscrisse all’Università di Napoli, frequentando la facoltà delle arti dal 1239 al 1243.Nel 1244, affascinato dall’ordine dei predicatori, decise di farsi domenicano, nonostante la decisa opposizione della famiglia. Nel 1245 si trasferì quindi a Parigi dove studiò teologia sotto la guida di Alberto Magno. In seguito al trasferimenti di questi a Colonia, Tommaso decise di seguire il maestro nella città germanica.Tornato a Parigi nel 1252, cominciò la carriera dell’insegnamento, dapprima come baccelliere e poi come come maestro reggente di teologia a Parigi. Nel biennio 1272-1273 è maestro di teologia presso l’università di Napoli.Nel 1274 parte per Lione per partecipare alla commissione del concilio ecumenico, ma dopo alcuni giorni di viaggio muore nell’abbazia di Fossanova.Le sue più importanti opere sono: le Questioni disputate (1259), il Trattato contro i Gentili (1269-1273) e il Trattato di teologia (o Somma teologica), lasciato incompiuto. Altre opere da ricordare sono il Commento alle “sentenze”, L’ente e l’essenza, L’unità dell’intelletto contro gli averroisti, L’eternità del mondo contro i mormoranti. Da aggiungere a questi vari commenti attorno alle opere di Aristotele e ai passi della Bibbia.
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Sommario
1. La collaborazione tra fede e ragione
3. Le cinque prove dell’esistenza di Dio
4. Essenza ed esistenza, forma e materia
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1. La collaborazione tra fede e ragioneL’idea centrale della filosofia di Tommaso e di tutta la scolastica è l’intenzione di provare le verità divine per via razionale. La religione impone verità di fede indiscutibili, alle quali nemmeno la ragione può appellarsi, in quanto essa non può nulla contro la verità annunciata agli uomini da Dio.
Come è possibile allora conciliare le esigenze della conoscenza scientifica (considerata aristotelicamente) con i dogmi indiscutibili imposti dalla fede? L’indagine del mondo naturale, infatti, può entrare in conflitto con le verità di fede: qualora l’evidenza di un fenomeno contrasti con le Sacre Scritture, quali parti prendere? Possibile che Dio abbia creato un mondo che entri talvolta in contrasto con le sue stesse leggi?Tommaso ritiene che Dio non possa essere così malevolo da produrre il contrasto tra l’indagine naturale e la verità divina, ovvero il contrasto tra ragione e fede. Tra filosofia e teologia non vi è dunque opposizione, seppure quest’ultima sia superiore alla prima perché portatrice di verità annunciate agli uomini direttamente da Dio. Egli non ha creato l’uomo per dotarlo di una logica ingannatrice e falsa, se una verità naturale appare talvolta in contrasto con le verità di fede, questo contrasto non è dovuto a un errore di Dio, ma piuttosto a un errore umano. Di fronte ad una contraddizione evidente tra fede e ragione, l’uomo deve quindi imparare a vedere la questione in un diverso aspetto, partendo dal presupposto che l’errore è dovuto ad un insufficiente approfondimento del problema.In altri termini la natura creata da Dio non può essere in contrasto ma solamente in accordo con le verità da Egli stesso trasmesse agli uomini. Ogni presunta discrepanza tra le due dimensioni consiste in un errore umano.Detto questo il metodo privilegiato per indagare la realtà è rappresentato dalla ragione, la quale ha pieno diritto di indagine naturale ed ontologica, ma solo nell’ambito ed entro i confini tracciati dalle verità di fede (i dogmi).
Tommaso afferma che la ragione deve venire in aiuto della fede in tre modi:
1. Dimostrando le verità dogmatiche, come ad esempio la Trinità e l’unicità del principio divino;2. Spiegando per immagini e similitudini i misteri della fede;3. Ribattendo le obiezioni degli atei.
2. Dio come vero fondamentoIl progetto di Tommaso di servirsi della logica aristotelica pone la necessità di utilizzare il sillogismo come metodo di indagine. Come abbiamo già visto per Aristotele (si veda il Capitolo 9 della sua scheda) il sillogismo presenta però un problema fondamentale: la veridicità delle premesse. Il sillogismo, infatti, per sua natura, abbisogna di provare continuamente le verità sulle quali poggia il processo delle deduzioni. In forza di questo, il sillogismo necessita a monte di una premessa vera e dimostrata per la sua semplice evidenza (evidenza che Aristotele riscontrerà nei fenomeni empirici).
Come può Tommaso allora dare avvio alla catena delle deduzioni proprie del sillogismo fondandola su premesse non evidenti quali l’esistenza di Dio e dei principi di fede?Tommaso sostiene nella Somma teologica che la scienza rispecchia le verità teologiche, in quanto l’intera Creazione di Dio è soggetta alle leggi della natura fondate da Egli stesso. La scienza è quindi la legge divina che determina il funzionamento dei processi naturali. “[…] poiché essa [la scienza] procede dai principi conosciuti con la luce di Dio e dei beati. Pertanto, allo stesso modo che la musica accetta come buoni i principii che le sono trasmessi dalla matematica, così la sacra dottrina accetta i principii che le sono rivelati da Dio” (Summa Teologica).Per fondare comunque il sillogismo sulla verità del principio divino, Tommaso si affida alla tripartizione neoplatonica della realtà: in principio vi è Dio, da Dio deriva la creazione, al termine di tale processo vi è un ritorno di tutto al Principio Primo (si veda l’escatologia di Eriugena).Ecco che allora “Poiché lo scopo principale di questa sacra dottrina è di comunicare la conoscenza di Dio, e non solo per quel che Dio è in sé, ma anche in quanto è principio e fine della realtà, e specialmente della creatura razionale, intendendo esporre questa dottrina tratteremo prima di Dio, in secondo luogo del cammino a Dio della creatura razionale, in terzo luogo di Cristo, perché in quanto uomo, Cristo è per noi la via che porta a Dio” (Somma teologica).Dunque Dio si pone al principio di ogni cosa come creatore, la creazione è sua “creatura razionale” in quanto risponde a leggi razionali create da Egli stesso, infine ogni cosa, alla fine dei tempi (annunciati da Cristo con la Lieta Novella) è destinata a ritornare a Dio risolvendosi nella beatitudine eterna.
Ovviamente, la dottrina di Tommaso non fa riferimento al neoplatonismo classico: Dio non crea il mondo per emanazione ma secondo un atto volontario, come il ritorno dell’uomo a Dio non è praticato per via puramente mistica ma dettato da necessità teologiche legate a veri e propri annunci divini (la verità del compimento del mondo nella fine dei tempi è annunciata dai Vangeli).Da tutto questo discorso deriva che Dio si pone come fondamento della logica, che è sua stessa creazione, Dio si pone come premessa prima di ogni processo sillogistico. Tale priorità assoluta è dimostrata dalle verità teologiche annunciate dalla sua stessa parola. L’intero edificio filosofico tomista (e scolastico) poggerà allora sulle verità rivelate, l’indagine razionale si svolgerà nell’alveo tracciato da tali verità, la ragione non potrà che essere in accordo con le rivelazioni divine in quanto essa stessa creazione e strumento di Dio.
3. Le cinque prove dell’esistenza di DioNella Summa teologica Tommaso indica cinque prove dell’esistenza di Dio per via razionale. Il procedimento utilizzato da Tommaso si appoggia sulle considerazioni aristoteliche relative al motore immobile e costituiscono degli argomenti “a posteriori”, ossia partono dai dati empirici dell’esperienza per giungere all’affermazione della necessità di un Primo Principio.
Alla base di queste considerazioni vi è l’affermazione di Tommaso che L’uomo è limitato e può percepire solo le cose sensibili, non può penetrare i segreti della sostanza divina. Per indagare il divino egli può far riferimento solamente alla ragione, un metodo però indiretto e limitato, ma pur sempre giustificato dal fatto che la ragione è creazione divina e quindi metodo validissimo.
1° prova: Il movimento (il motore immobile). “Omne quod movetur ab alio movetur” (come si è già visto per Aristotele). Questo significa che Tommaso accetta il significato del divenire e del mutamento allo stesso modo di Aristotele, ovvero come passaggio da potenza ad atto. Questo passaggio abbisogna di un qualcosa che permetta alle cose di muoversi. Vi è quindi un mosso (qualcosa che muta dalla potenza all’atto) e un movente (qualcosa che genera il mosso, che genera il passaggio e che muove). Se per ogni sostanza naturale vi è alle spalle un movente, non è possibile che esista una catena infinita di moventi, le cose sarebbero un nulla. Ecco allora che è necessario un movente che non muove, un motore immobile, che è Dio.L’impossibilità di spiegare ogni movimento con una serie infinita di movimenti è infatti contrario al principio di non-contraddizione. Se ogni cosa fosse mossa all’infinito, mosso e movente coinciderebbero.2° prova: Il rapporto causa/effetto (la causa incausata). Tutte le cose possiedono una causa efficiente che le produce (che le rendono effettive). A sua volta la causa che produce una cosa ha alle spalle un’altra causa e così via. Questo rapporto causale evidentemente non può essere infinito, deve esistere una Causa Incausata, una causa priva di un’altra causa alle sue spalle che dia inizio alla catena ininterrotta delle cause e degli effetti, ovvero Dio.3° prova: La contingenza (l’essere necessario). Il mondo è fatto di cose possibili, ovvero di cose che nascono e finiscono, che passano da uno stato di essere a non essere più (sono contingenti, ovvero sono fintanto che sono). Ciò comporta la possibilità che tutto ciò che esiste possa essere stato un giorno un puro nulla. Ammettere la possibilità che qualcosa fosse un nulla significherebbe dire che non potesse esistere questa cosa anche in seguito, visto che dal nulla non si genera il nulla (ex nihilo nihil, ovvero “ciò che esce dal nulla, rimane un nulla” perché il nulla non esiste). Ecco allora la necessità di un essere assolutamente necessario, ovvero qualcosa che non può non esistere, la base stabile nelle quali le cose prendono forma, ovvero Dio.4° prova: I diversi gradi di perfezione (l’essere perfettissimo). Le cose del mondo hanno tutte diversi gradi di perfezione, una cosa può essere più o meno bella, più o meno vera, più o meno giusta. Tutte hanno in se la possibilità di migliorare e comunque lasciano aperta la possibilità di una perfettibilità. Se ogni cosa potesse migliorarsi all’infinito, il concetto stesso di perfezione ne risulterebbe svuotato, poiché mai niente sarebbe veramente perfetto. Ecco perché secondo Tommaso deve per forza di cosa esistere un essere perfettissimo, che è già perfezione e contiene al massimo grado tutte le determinazioni finite degli enti finiti (contenga quindi il bello, il vero, il giusto come concetti puri e assoluti). Questo essere perfettissimo è Dio.5° prova: il fine (l’intelligenza ordinatrice). Tutti le cose naturali tendono a un fine, ogni cosa naturale ha un ordine. Tuttavia tutte le cose naturali inorganiche e organiche non possiedono una coscienza del proprio fine, non sono coscienti di ciò a cui tendono e dell’ordine entro il quale sono stati creati. Ecco che allora è necessario che dietro a questa loro mancanza di coscienza dei fini vi sia un’intelligenza cosciente e ordinatrice, una coscienza che attribuisca per ciascuna cosa vivente il fine per cui è stata creata: questa intelligenza ordinatrice è Dio.Tali cinque dimostrazioni non vogliono essere sostitutive alle verità di fede, esse costituiscono dei preamboli alla conoscenza di Dio. Dio rimane un essere inconoscibile alle capacità limitate degli uomini, tuttavia queste cinque prove intendono dimostrare come anche attraverso la ragione, opera divina, l’uomo riesce a pervenire ad un’affermazione della sua esistenza. Ecco che la ragione non è un male e nemmeno entra in contrasto con la Rivelazione, la ragione è parte integrante del creato e rispecchia la volontà divina.
4. Essenza ed esistenza, forma e materiaLa distinzione tra ente ed essenza riveste particolare importanza nell’ambito della teologia tomista.Per ente si intende ogni cosa che è, che ha la qualità di esistere (un’esistenza). Le cose esistenti non sono solo quelle che si manifestano nel mondo naturale e sensibile, tutto il mondo divino degli angeli, del Paradiso e Dio stesso sono forme di esistenza non manifeste nel modo in cui si manifestano gli oggetti naturali. Tuttavia questi enti esistono, ovvero non sono un niente.L’essenza delle cose è invece la determinazione che rende un essere ciò che è e non un altra cosa. L’essenza può essere allora considerata la definizione dell’ente, ovvero ciò che a ciascun ente permette di essere una certa cosa. Tommaso la chiama anche “quiddità” (quidditas, dal latino quid=”che cosa?”).L’essenza esprime allora la potenza dell’ente, l’essenza che si unisce all’ente (alla pura esistenza) genera la sostanza determinata, in atto. Il passaggio tra essenza (in potenza) ed esistenza (l’atto dell’essenza) può realizzarsi solamente per mezzo di Dio, Egli è colui che si incarica di creare le cose nella realtà in ragione della loro essenza. Solo Dio è allo stesso tempo essenza ed esistenza, in quanto essere puro, necessario e perfettissimo.Da questi concetti derivano anche quelli di forma e materia, sostanzialmente ripresi da Aristotele.
La forma è il principio per cui la materia assume un determinato aspetto e va a formare una determinata sostanza. La sostanza delle cose è infatti un composto (un sinolo) di forma e materia. La forma è quindi ciò che crea in atto una sostanza servendosi della materia, ovvero servendosi di un sostrato di esistenza necessario alla forma per plasmarlo secondo una qualsiasi essenza (la materia indeterminata accoglie la forma in potenza, ovvero avendo già in sé le qualità potenziali di diventare un ente determinato). La forma si configura così come l’essenza di ogni cosa secondo l’ordine e le qualità volute da Dio.
5. L’analogicità dell’essereNella teologia medievale particolare importanza riveste il problema di definire se la sostanza divina sia o meno la stessa di quella umana. Il problema è legato al fatto di dimostrare quale sia il reale rapporto tra Creatore e Creazione, se il primo è assolutamente trascendente alla seconda o se le due dimensioni condividono la stessa sostanza (tesi del panteismo, di Plotino, dei neoplatonici e di Spinoza, ad esempio).Tommaso sostiene l’analogicità tra l’essere divino e quello umano. L’essere dell’uomo non è identico a quello di Dio ma è solo simile all’essere divino (Dio infatti, secondo le Sacre Scritture, ha creato l’uomo a sua “immagine e somiglianza”). L’essere degli uomini e della natura creata costituisce una sostanza analoga ma imperfetta rispetto a quella divina. L’essere degli uomini è infatti soggetto a corrompersi e a distruggersi, mentre l’essere divino è eterno e immutabile.Tale distinzione permette anche di ribadire la supremazia della teologia sulla filosofia: La teologia studia l’essere puro e assoluto, l’essere divino, mentre la filosofia si interessa di conoscere l’essere proprio della Creazione, analogo ma imperfetto rispetto a quello del Creatore. Ecco perché per l’uomo è impossibile conoscere in senso assoluto e definitivo la natura divina, l’uomo è infatti immerso nell’imperfezione limitante generata dal suo essere qualitativamente inferiore.
http://www.nemesi.net/ockam.htm
Il rasoio di Ockam
(e la sua funzione critica rispetto alla filosofia)Nel Medioevo la filosofia non rappresentava più uno strumento di interpretazione primaria del mondo, né un orientamento di vita. Entrambe queste funzioni, caratteristiche della filosofia antica, erano state sostituite dalla religione cristiana: la concezione del Dio creatore dava all’uomo la base per comprendere sé stesso e la natura; la morale cristiana dettava le regole dell’azione eticamente corretta.
La filosofia aristotelica sosteneva che l’universo fosse una sfera completamente piena di materia in ogni parte del suo volume e che fosse impossibile uno spazio vuoto poiché ogni attività richiedeva un contatto fisico diretto o indiretto tra la forza agente ed il corpo mosso. La prima dimostrazione dell’esistenza di Dio data da San Tommaso D’Aquino era che i movimenti delle sfere celesti richiedevano un Primo Motore, ossia Dio. Tuttavia, l’attività di Dio non si manifestava direttamente nelle sfere celesti: i movimenti dei corpi celesti erano mediati dalle gerarchie di esseri angelici postulate dallo Pseudo Dionigi nel V secolo d.C.
Questo era lo schema generalmente accettato dell’universo. Tuttavia, un importante movimento critico cominciò a manifestarsi ad Oxford con Guglielmo Ockam (1295?- 1349), il quale negò la validità della prima dimostrazione dell’esistenza di Dio. Un corpo in movimento – argomentava – non richiede necessariamente il contatto fisico di un motore; se ne ha un esempio nel caso del magnete, che può muovere un pezzo di ferro senza toccarlo. Questo esempio di azione a distanza, presumibilmente poteva aver luogo attraverso il vuoto. Pertanto, siccome lo spazio, per trasmettere effetti fisici, non doveva necessariamente essere pieno di materia (almeno non materia visibile) era possibile l’esistenza del vuoto. D’altra parte, negare l’esistenza del vuoto significava anche negare l’onnipotenza divina: se Dio infatti avesse voluto, avrebbe potuto produrre il vuoto.
Ockam, con i suoi scritti teologici e filosofici suscitò le ire del papa Giovanni XXII. Nel 1324, Ockam – in seguito alle accuse di eresia imputategli da Oxford – fu chiamato e poi praticamente segregato ad Avignone dove la sua opera venne condannata dopo tre anni di esame (dei 51 articoli incriminati 7 furono dichiarati eretici, 34 falsi, 4 temerari o ambigui, 3 non censurati). Nel maggio 1328, fuggì dalla città papale per rifugiarsi a Pisa, dove venne raggiunto dalla scomunica. Da allora, si dedicò alla scrittura di opere polemiche di ecclesiologia e politica. Grazie all’ospitalità di Ludovico il Bavaro, rimase a Monaco di Baviera sino alla morte, polemizzando ancora con Giovanni XXII, e con i suoi successori Benedetto XII e Clemente VI.
Al di là delle questioni teologiche (riassumibili sostanzialmente nell’idea che ragione e fede sono nettamente separate: la prima è rivolta alle cose sensibili e naturali, la seconda alle realtà soprannaturali), Ockam è noto per il cosiddetto “rasoio di Ockam”…
«entia non sunt multiplicanda prater necessitatem» (gli enti non devono essere moltiplicati oltre il necessario):questo criterio è stato poi sintetizzato come regola del “rasoio”, secondo la quale bisogna “tagliare” tutto ciò che è superfluo (principio di economia delle cause).
La regola del rasoio è piuttosto trascurata dai testi di filosofia della scienza in quanto ha solo valore orientativo: può essere considerata come una regola della conoscenza associata al minimo sforzo di comprensione, oppure alla minima complicazione dei ragionamenti da sviluppare. In altre parole la si può riassumere in un “criterio di semplicità”; tuttavia, come vedremo, per evitare ambiguità è preferibile parlare di “criterio del rasoio”.
Una clamorosa applicazione del rasoio di Ockam è dovuta a Martin Lutero (1483-1546), secondo il quale la consustanziazione (presenza nell’ostia del solo spirito divino) dell’Eucarestia è preferibile alla transustanziazione in quanto richiede meno miracoli superflui.
La dottrina e pratica più blasfema della Chiesa Cattolica è quella della transustanziazione e del sacrificio della messa. La transustanziazione (fatta dogma dal concilio Lateranense IV nel 1215, elaborata in seguito da Tommaso d’Aquino e sancita definitivamente dal Concilio di Trento) insegna che: il pane e il vino, al momento della consacrazione vengono dal sacerdote cambiati nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo (ogni giorno quindi vengono all’esistenza migliaia e migliaia di nuovi Gesù). La Scrittura insegna che nella cena c’è solo la presenza spirituale di Gesù (Luca 22:19-20; Giovanni 6:63; 1 Corinzi 11:26). Inoltre, nell’adorazione dell’ostia, la Chiesa di Roma adora un dio fatto dalle mani di uomini. Questo è il colmo dell’idolatria, ed è completamente contrario allo spirito del Vangelo che richiede di adorare Dio in spirito e verità (Giovanni 4:23-24).
Carlo Fumagalli ex prete ed antropologo
La semplicità della natura
Una interpretazione moderna del rasoio di Ockam suggerisce che “tra varie spiegazioni possibili di una data osservazione, quella più semplice ha maggiori possibilità di essere vera”.
Le teorie fisiche sono caratterizzate da un’esigenza di semplicità. Ritenere che la natura sia semplice è rassicurante e facile, porta a spiegazioni di minimo sforzo di comprensione e conseguentemente ha maggiori possibilità di soddisfare il principio del consenso collettivo e di estetica (v. avanti).
Inversamente, una spiegazione è generalmente “semplice” (ma non necessariamente vera), quando presenta almeno una delle seguenti caratteristiche:
- consenso collettivo: tra varie spiegazioni possibili di un’osservazione, la spiegazione più semplice è più facilmente accettata dalla maggioranza delle persone. D’altra parte, la spiegazione più accettata non necessariamente è quella che riflette con maggior efficacia la realtà.
L’argomento del “consenso collettivo” non è un criterio scientifico: per molte persone, fino a Magellano (che ne diede la inconfutabile prova sperimentale) la Terra era piatta, idea evidentemente più facile da accettare rispetto ad una Terra sferica! - principio estetico: ciò che piace alla maggioranza è facilmente accettato.
Per esempio, la concezione dell’atomo secondo il modello planetario rispondeva a criteri di semplicità. Tuttavia, l’indagine sperimentale ha dimostrato che la struttura atomica non è affatto semplice, bensì è molto più complessa e non è assolutamente rappresentabile con un simile modello.
Nella costruzione di una teoria fisica si dovrebbe accettare la possibilità che la natura possa essere apparentemente semplice e apparentemente complicata, considerando equanimi (ovverosia con egual forza persuasiva) le due possibilità, senza sottostare tout court al “rasoio di Ockam”. Questa disposizione alla complicatezza della natura aiuta a ridurre il contributo di soggettività della logica umana, ed aumenta la considerazione oggettiva della logica della natura.
Come ha dimostrato Galilei, la sinergica combinazione del principio estetico con quello del consenso collettivo riscuote un fascino che può essere vinto solo da prove sperimentali inequivocabili.
Questo significa che un sistema della fisica le cui teorie siano il risultato dialettico di tale unione non può, e non deve essere vinto soggettivamente con puri ragionamenti (per non sostituire un ragionamento apparentemente soddisfacente con uno migliore), ma può essere sconfitto oggettivamente con esperimenti.
Per esempio, la complessa teoria degli epicicli di Tolomeo, che rispondeva a criteri collettivi (la Terra al centro dell’Universo) ed estetici (orbite perfettamente circolari), fu sostituita dalla più semplice teoria di Copernico solo grazie all’evidenza di prove sperimentali.
Non è superfluo aggiungere che per applicare il rasoio di Ockam, le premesse (osservazioni sperimentali) devono essere le stesse. Per esempio, la teoria della Terra Vuota spiega la costanza della velocità della luce (assunta invece come postulato dalla Relatività), ma questa teoria non è confrontabile con quella della Relatività in quanto i presupposti (le osservazioni sperimentali effettuate) sono del tutto differenti.
In sostanza, il “rasoio di Ockam” tende a semplificare l’indagine della natura. Tuttavia, non è la natura ad essere semplice o ripetitiva, bensì è il metodo scientifico che è semplice e ripetitivo. Semplice, perché la sua metodologia è standardizzata e quindi ripetitiva. Ora, come sosteneva Bertrand Russell, questo lascerebbe implicitamente supporre una uniformità della natura, ma non è così. E’ il metodo scientifico che è uniforme ed autocorrettivo.
E’ uniforme in quanto si tende ad applicare gli stessi modelli matematici che si sono dimostrati adeguati in situazioni simili. Per esempio, se studiamo il moto di una stella binaria appena scoperta, applichiamo la legge di gravitazione universale (universale nel senso che fin quando le previsioni che derivano dalla sua applicazione sono adeguate a descrivere gli eventi osservati, non c’è ragione di cercare una legge differente). E’ autocorrettivo in quanto qualora le previsioni fatte in base ad un certo collaudato modello matematico si rivelassero inadeguate, dovremmo cercare un nuovo modello.
l’applicazione del rasoio
La scienza, in quanto scientia experimentalis, è intuizione e descrizione; non può essere deduzione, poiché quest’ultima riguardando solo il rapporto fra le parole conduce sempre ad una tautologia (cioè nel predicato viene ripetuto ciò che è già stato detto nel soggetto). Da tutto ciò si capisce che la conoscenza, secondo Ockam, può avvenire solo tramite l’osservazione e l’esperienza.
E’ bene non introdurre più enti di quelli sufficienti a spiegare una ipotesi. In questo caso, il modello diventa troppo complicato e difficile da analizzare. Per esempio, per studiare il moto di un proiettile, si trascura in prima approssimazione la resistenza dell’aria, il vento e la geometria del proiettile. E’ solo dopo aver stabilito un modello matematico di prima approssimazione che si provvederà ad introdurre i necessari fattori correttivi per rendere il modello più aderente alla realtà.
Per esempio, Galilei fu obbligato ad abiurare l’idea che la Terra fosse in movimento relegandola a semplice ipotesi. Dio è creatore delle leggi di Natura e può modificarle a suo giudizio e piacimento. Come si vede, Dio piuttosto che “creare” il vuoto aveva preferito costruire un sistema cosmologico schizofrenico!
«chi vorrà credere che la natura (che pur, per comune consenso, non opera con l’intervento di molte cose quel che può fare col mezzo di poche) abbia eletto far muovere un numero infinito di corpi vastissimi e con velocità inestimabile per conseguire quello che col movimento mediocre di uno solo intorno al proprio corpo centro poteva ottenersi».
(dal Dialogo dei Massimi Sistemi)
La regola del rasoio – secondo Ockam – doveva agire da arbitro tra il mondo del linguaggio, forgiato dall’uomo, ed il mondo reale, creato da Dio, impedendo il passaggio di concetti mentali dal mondo linguistico a quello reale, e garantendone la distinzione. Per Ockam, non si può infatti sottrarre il mondo reale al dominio di Dio, sottoponendolo alle regole imposte dal linguaggio. In ossequio a questo principio, nella descrizione del mondo non bisogna andare oltre ciò che si percepisce con i sensi.
Secondo la “regola del rasoio”, nella conoscenza non bisogna pretendere di andare oltre ciò che l’anima percepisce: l’uomo, per comunicare ciò che con essa ha percepito, si serve delle parole, che quindi sono specchio non del mondo, ma del pensiero, non delle cose, ma dell’anima, che di per sé non parla alcuna lingua storica.
Le scienze non sono altro che il resoconto di tutto ciò che l’anima, creatura di Dio, raccoglie; non sono quindi esplicative, ma solo descrittive. E questo, come abbiamo visto, è un criterio sul quale la moderna epistemologia concorda. Non è compito della scienza fornire le risposte ai perché, bensì ridurre le incertezze fornendo le possibili spiegazioni di come avvengono le cose o perché non è possibile fornire risposte.
In realtà, può sembrare che la scienza fornisca le riposte, ma questo è vero in generale solo per questioni semplici. Per esempio, sappiamo perché l’acqua bolle ad una certa temperatura, e conosciamo anche la forza con cui le varie molecole d’acqua si attraggono tra loro, ma non sappiamo perché il valore di queste forze è quello che misuriamo. Per rispondere a questa domanda, si può ricorrere al principio antropico (in estrema sintesi: le costanti fisiche e chimiche del nostro universo hanno proprio i valori adatti per permettere la vita), ma questo è un modo per reintrodurre la religione nella scienza.
Il “rasoio di Ockam”, va usato con sistematicità, tagliando dal testo tutti gli argomenti e le considerazioni che non servono ad impostare ed esaminare il problema specifico o a svolgere il proprio ragionamento. Detto diversamente scegliendo il metodo d’indagine più efficace.
Il processo di costruzione di una teoria fisica dovrebbe partire, piuttosto che dal “rasoio”, dalla constatazione che la logica della natura non è logica umana. Il campo di dominio incontrastato della logica umana è il linguaggio delle teorie fisiche con le quali rappresentiamo la natura. Tale linguaggio è necessariamente quantitativo, ma è bene sottolineare che sulle formule di volta in volta utilizzate, non c’è scritto il loro significato; piuttosto, siamo noi che facciamo qualcosa con esse (è per questa ragione che abbiamo gli isomorfismi).
Compito della logica umana non può dunque essere il “radere” ma l’adeguare o cercare di adeguare, mediante il linguaggio, le caratteristiche logiche delle entità misurate con le caratteristiche logiche della matematica con cui la teoria le descrive. Per fare una semplice metafora, la traduzione in lingua italiana di un romanzo scritto in inglese è solo un’analogia italiana di un romanzo inglese. Fuor di metafora, la descrizione del mondo nel linguaggio matematico può essere abbastanza diversa da quello che è la realtà.
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