SCUOLA: DIECI ANNI DOPO L’INIZIO DELLE RIFORME LIBERISTE

Roberto Renzetti

(Pubblicato su Giornale di storia contemporanea, Anno XI, n° 2, pp. 69-97, dicembre 2008)

“La lezione che si può ricavare per quanto riguarda l’educazione è chiaramente questa, che i nostri rivali stranieri sono decisi a mantenersi all’avanguardia nel settore dell’istruzione  e non solo in quelle istituzioni  in cui si coltivano le branche più elevate dell’istruzione scientifica. Essi sono convinti che la nazione che ha le migliori scuole è la più preparata per la grande battaglia industriale che ci sta davanti e nessuna somma sembra quindi sprecata per la costruzione, l’equipaggiamento e il mantenimento di scuole ad ogni livello e specialmente di laboratori scientifici”.

Rapporto della Commissione dell’istruzione tecnica inglese sulle scuole tedesche (1897)

        Le vicende della scuola sono balzate sulle prime pagine della cronaca dal 1° settembre 2008 irrompendo nelle cattive coscienze sia dalla cosiddetta sinistra che dalla cosiddetta destra. Il cosiddetto è d’obbligo in un Paese in cui la sinistra è liberista e la destra non ha nulla che vedere con il libero mercato. E questa considerazione non è inutile perché servirà per capire quali sono state le politiche che, in prima approssimazione, si possono assegnare alle due formazioni che, con maggiore o minore consapevolezza, hanno tentato interventi sulla scuola senza preoccuparsi di scelte condivise. Di scuola si sa molto poco. I luoghi comuni e le sciocchezze che si sono sentite in questi giorni fanno davvero cadere le braccia, soprattutto se provengono da una classe politica che o ha governato o sta governando(1). Naturalmente non è possibile fare una storia, neanche molto parziale, di ogni provvedimento sulla scuola almeno dalla Liberazione ad oggi. Cercherò molto in breve di dire da dove si partiva e quali sono stati i più importanti eventi almeno fino all’inizio dei gravi problemi che hanno portato a questa situazione di protesta generalizzata con sante motivazioni che purtroppo, proprio per la non conoscenza dei problemi, arrivano speriamo non troppo tardi. Tutto ciò è indispensabile per capire ciò che accade oggi in modo diverso da una cronaca sull’apparente.

FINO AL 1968

        Fino al fatidico 1968 la scuola viveva una sua vita separata scossa da ben pochi eventi. Dalla Liberazione vi era stato un unico momento molto qualificante, l’introduzione della Scuola Media Unica nel 1962/1963 con l’eliminazione dell’avviamento professionale che moltissimi ragazzi dovevano scegliere (per ragioni di censo) dopo la quinta elementare.

        Il resto restava immutato con una struttura essenzialmente piramidale della scuola che vedeva al vertice il Liceo Classico. Gli studi erano molto faticosi e per pochi (anche qui il censo era causa di precoce ‘mortalità’). In compenso chi arrivava alla fine di essi era quasi sempre gratificato con un sicuro sbocco professionale.

        Gli anni ’60 sono ricordati come quelli del ‘boom’ economico: un benessere sempre maggiore riguardava il tessuto sociale del Paese (anche se profondi squilibri continuavano ad esistere). La chiusa e rigida struttura della scuola non si adattava più ad una richiesta maggiore di scolarizzazione. Il malcontento, il disagio, le difficoltà di accesso per nuovi soggetti, ciò che si chiama comunemente diritto allo studio, … tutto questo dette il via alle vicende del 1968 (che poi proseguirono su strade che non è questa la sede per indagare).

        La risposta politica e quindi normativa alle possenti manifestazioni di piazza fu populista, piccola negli intenti, priva di prospettive, cialtrona nella sostanza. Si confusero cause con effetti e si credette di risolvere e tacitare il malcontento generalizzato con quella riforma sulle uscite (quindi sugli esami) piuttosto che prevedere una rimessa in discussione dell’intero impianto scolastico (impianto che autorevolmente discendeva dalla riforma Gentile del 1923, che era stata preparata dal fior fiore della pedagogia prefascista tra cui Croce, Salvemini, Mondolfo, Lombardo Radice, Codignola).

        Questa pseudoriforma, che doveva essere solo un inizio di un qualcosa che non si è mai visto, prevedeva tre fatti estremamente importanti: semplificazione degli esami finali e liberalizzazione degli sbocchi universitari (1969); gestione collegiale della scuola (1974).

        Si può capire che cambiare l’esame senza cambiare il tipo di corso di studi è, a parte ogni altro giudizio, profondamente errato didatticamente: una prova di valutazione deve essere funzionale ad un qualche obiettivo che ci si prefigge. Dato che qui non venivano esplicitati obiettivi, c’è da dedurne che l’unico obiettivo era politico e cioè quello di calmare la protesta con un contentino che, alla lunga, è stato esiziale per la scuola. A lato di ciò vi erano altre spinte che confluivano nella stessa direzione: gli atteggiamenti protettivi di certe filosofie che vedevano lo studente come una sorta di vaso di cristallo che non poteva essere toccato senza il rischio di romperlo.

        Con il passare del tempo si è avuta la verifica che con interesse si voleva accreditare: scuola di massa è sinonimo di scuola dequalificata. Gli studenti hanno imparato subito che si potevano ottenere promozioni con il minimo sforzo. Gli insegnanti hanno cambiato connotazione sociologica: colui che aveva scelto la scuola come professione è stato soppiantato da chi la sceglieva perché, attraverso l’elasticità dei suoi orari, gli permetteva un secondo lavoro che, nella maggior parte dei casi, era quello di moglie/madre. I genitori infine, con il passare del tempo e con il misurare la mancanza sempre maggiore di promozione sociale offerta dalla scuola, da interessati all’educazione dei loro figli, sono passati ad essere complici delle loro trascuratezze, svogliatezze e disinteresse.

        In tutto questo la scuola privata, che in Italia è prevalentemente confessionale, non giocava e non gioca alcun ruolo. Non è mai esistita, in Italia, una tradizione di scuola privata. Si è sempre trattato o di scuole per l’infanzia ed elementari o di diplomifici o di esclusive residenze per ricchi, di oasi di apparente tranquillità in un mondo che espone i ragazzi a vari pericoli.

        Un ulteriore colpo alla scuola ci fu nel 1994 con il Ministro D’Onofrio del governo Berlusconi 1 che ebbe l’estemporanea idea di eliminare quell’ultimo momento che garantiva un minimo di serietà ed impegno, gli esami di riparazione(2). Il resto è stato: circolari, direttive, contratti collettivi di lavoro e, soprattutto, un continuo taglio ai finanziamenti che si associava ad un reclutamento degli insegnanti che non si occupava più della loro preparazione.

        Una ottima iniziativa legislativa si era invece avuta tra il 1990 ed il 1991 con l’introduzione nella Scuola Elementare del modulo in luogo del maestro unico, come vedremo, ma anche con l’introduzione di un laurea per accedere all’insegnamento elementare.

        Intanto l’URSS era implosa e si apriva il mondo alla globalizzazione con industriali ed economisti che iniziavano a fare piani di spartizione della gigantesca torta rappresentata dal mercato dell’istruzione(3). Si trattava e si tratta, in modo neppure nascosto, di privatizzare la scuola prendendo da essa il massimo profitto e lasciando allo Stato alcune incombenze ancora obbligate. E per privatizzare, come d’uso, si è iniziato a dequalificare.

          Non è però facile affrontare un tema così complesso se l’istituzione che si vuole privatizzare ha ancora credito e fiducia da parte della maggioranza dei cittadini. Qui si può discutere se nelle intenzioni dei primi riformatori vi fosse o no l’intenzione di portare al degrado la scuola pubblica. Certamente vi era l’intenzione di rispondere alle esigenze espresse da vari documenti della UE che, in sintonia con l’OCSE, parlavano di scuola che deve essere funzionale al mondo produttivo. Che il mondo produttivo deve essere flessibile e che la scuola deve non più preparare in modo rigido ma persone in grado di adattarsi a cambiamenti addirittura per tutta la vita con una educazione che deve, anch’essa, funzionare per tutta la vita(4).

LE RIFORME DEL CENTROSINISTRA

         La prima riforma nel senso auspicato dagli industriali e dalla finanza viene fatta dal primo centrosinistra, con Bassanini e Berlinguer. L’autonomia scolastica, che offre un maggior margine di manovra per adattarsi non solo alle aspettative dei mezzi economici ma anche a quelle della società e dei genitori, nasce con la Legge Bassanini(Legge 59/97, D.P.R. 233/8 ed il D.I. 44/01). Ho discusso in dettaglio questa riforma e quella Moratti che è seguita in un altro lavoro(5) ora voglio solo evidenziare i punti di quanto realizzato da Bassanini e Berlinguer (ma anche De Mauro e Zecchino) particolarmente significativi ai fini della mia tesi.

        Nelle Linee guida della riforma leggiamo che la capacità di apprendimento deve essere potenziata e sviluppata per favorire la crescita di autonomie individuali capaci di riconversione professionale e di apertura alle evoluzioni dei saperi nel corso dell’intera vita.

         Ed uno dei pedagogisti della scuola del centrosinistra, Vertecchi(6), dice di più: Per una larga parte della popolazione, la triade che per un lungo periodo di sviluppo della scuola ha rappresentato un riferimento sicuro (leggere, scrivere, far di conto) non è più così importante: non si scrivono lettere ma si telefona, non si legge il giornale ma si ascoltano i notiziari alla radio o alla televisione, non si eseguono operazioni ma si usa un piccolo apparecchio per il calcolo. A chi sostiene ciò vale la pena ricordare che mai, nella storia dell’educazione, si è rincorsa la novità tecnica per tralasciare valori e abilità costanti. L’avvento della macchina da scrivere e del telefono non ha riscontri nella Riforma Gentile. Se si pensa all’elettricità o all’automobile che mai sono entrati all’interno di una qualche valenza nei piani di studio, ci si rende conto che alcune affermazioni non hanno riscontri in alcuna posizione epistemologica. Vi è invece un dato drammatico che nega tali affermazioni: quasi sei milioni di italiani, il 12% della nostra popolazione, sono analfabeti e senza alcun titolo di studio come emerge da un’inchiesta del 2005 sull’arretratezza e gli squilibri educativi nell’Italia di oggi(7). Queste obiezioni contano però poco se gli stimoli sono forti e rispondono perfettamente al mercato guidato dalla grande industria europea. Infatti l’Italia non è sola a muoversi sulla strada dell’autonomia. Il carattere internazionale di questo movimento di liberazione del tessuto scolastico è sottolineato dalla rete d’informazione della UE, Eurydice(8):

Le riforme apportate all’amministrazione generale del sistema scolastico, si riassumono principalmente in un movimento progressivo di decentralizzazione e delega dei poteri verso la società. Praticamente, tutti i paesi interessati hanno introdotti nuove regolamentazioni che dislocano il potere decisionale dallo stato centrale alle autorità regionali, locali, comunali e, da queste, ai singoli centri di insegnamento. E, sempre secondo la UE (Libro bianco 1995), i sistemi più decentralizzati sono anche i più flessibili, quelli che si adattano più rapidamente e che consentono lo sviluppo di nuove forme di partenariato con le imprese.

        E la riforma del centrosinistra del Titolo V della Costituzione inizia proprio a decentralizzare la scuola.

         Vediamo cosa dice la legge istitutiva dell’Autonomia. Il paragrafo 8 dell’articolo 21 della legge 59/97 così recita:

L’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali, fermi restando i giorni di attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione dell’attività didattica in non meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere assolti invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di un’apposita programmazione plurisettimanale.

        Si tratta di una destrutturazione completa della scuola che, come si dice altrove, dovrà servirsi di criteri di flessibilità, di lavoro incentivato, di criteri di valutazione dai quali dipenderà il finanziamento delle singole scuole. Per far fronte a questa rivoluzione occorre un vero e proprio manager che assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio ed al quale spettano autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare il dirigente scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali. Tali manager saranno reclutati con un corso-concorso selettivo (sic) nazionale e diventeranno dirigenti scolastici (DL 59/98). Il fatto che tale concorso nascerà riservato a coloro che facevano i Presidi ed i Direttori Didattici e che tutti coloro che erano in attività risulteranno promossi, la dice lunga sulla serietà dell’intera operazione che di fatto è rimasta in mano a burocrati diventati dirigenti ope legis. Inoltre, a lato di norme che in un contesto di scelte comunicate e condivise potrebbero avere un loro significato, vi sono le prime rotture democratiche che aprono sfacciatamente alla privatizzazione. Si dice infatti che il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti. Ed a questa norma si salderà fermamente quanto sta facendo oggi la Gelmini.

        Non è tutto perché Bassanini, come accaduto in tutti i governi precedenti e seguenti, prevede la riduzione del personale scolastico di un 3% in un anno(21.000 nel solo 1998; DPR 233/98) per poi passare alla parte dolente che è quella dei finanziamenti, sempre annunciati e mai arrivati (DI 44/01)(9).

Vi è poi il Regolamento applicativo (DPR 233/98) della Legge 59. In esso vi sono norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti che, anche qui, prefigura quanto sarà fatto recentemente dal centrodestra: per assicurare l’ottimale impiego delle risorse gli istituti d’istruzione devono avere di norma tra i 500 ed i 900 alunni con l’eccezione delle piccole isole e dei comuni montani dove si può arrivare a 300 ma solo se istituti comprensivi.

        A queste norme seguono varie eccezioni minuziosamente spiegate, la possibilità per la “conferenza delle province” di chiudere, accorpando orizzontalmente o verticalmente, determinate scuole e, soprattutto, la conseguenza di definire l’organico di insegnanti e personale amministrativo (chiamato risorse umane) nonché i finanziamenti. Se si riferiscono queste norme alle centinaia di realtà italiane sparse per piccoli comuni facenti magari capo ad una cittadina grande ma distante e non collegata si capisce che o si soprassiede a queste norme o si rinuncia all’istruzione pubblica.

        La parte didattica prevede la fine dei programmi nazionali di studio con l’istituzione di un Piano Offerta Formativa (POF) che ogni scuola deve preparare anno per anno per offrirlo ai suoi clienti al fine di accaparrarne il più possibile battendo la concorrenza della scuola vicina (più clienti più soldi ed uno dei motivi per cui le bocciature sono sparite). I POF ed i percorsi individuali degli studenti (ciascuno studente si prepara un percorso di studio in cui artificiosamente mette insieme pezzi stravaganti di tutte le discipline cercando di costruire un discorso unitario da presentare agli esami e nel quale non si è mai vista entrare la matematica), uniti all’abbandono dei programmi nazionali, hanno rappresentato la fine di ogni approccio serio allo studio. Di fronte alla rinuncia di impegno e metodo nei riguardi degli studenti (alla quale si affiancava un loro statuto, DPR 249/98), si perdeva ogni riguardo verso gli insegnanti che, per buon peso, per la loro funzione completamente svalutata dovevano essere valutati.

        E qui è d’obbligo un definitivo chiarimento. Questa valutazione, che era addirittura sistemata all’interno del Contratto di Lavoro 1998, ha assunto il nome di concorsone(Articolo 29 del CCNL, Comparto Scuola 1998-2001 e DM 317/99). Era pensato come una tantum per assegnare all’incirca 120 euro lordi in più al mese non già a tutti coloro che lo avessero superato ma solo ad una percentuale al 20% del personale di ruolo della scuola (e se la prova è superata dal 30% del personale a chi si dà l’aumento?). Inoltre, ed è la cosa più grave, ma in accordo con la destrutturazione della scuola che non deve inseguire saperi specifici, la prova di concorso sarebbe stata un test con quesiti a risposta multipla preparato non già da esperti nelle singole discipline ma da psicopedagogisti, come si usa per le assunzioni in fabbrica (La prova sarà articolata in sezioni comuni ai vari ordini e gradi dell’istruzione e in settori specifici, strutturati in modo da consentire l’accertamento sia delle competenze pedagogiche metodologico-didattiche, dell’aggiornamento professionale nelle discipline di insegnamento). Il concorsone decadde per le dure proteste degli insegnanti innanzitutto contro il sindacato (!).

        Altro aspetto non trascurabile dell’intero progetto del centrosinistra è il rapporto della scuola pubblica e dello Stato con l’autorità ecclesiastica. Qui i cedimenti, finalizzati a riconoscimenti politici, sono stati moltissimi ed estremamente dannosi alla separazione costituzionale tra Stato e Chiesa. La cosa più grave è stata l’imbroglio della riforma del Titolo V della Costituzione. Nell’articolo 55 della “nuova” Costituzione si legge: La Repubblica Italiana è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Regioni, dallo Stato. Quindi lo Stato sarebbe una parte della Repubblica. In pratica se i soldi provengono dalle Regioni e non dallo Stato il finanziamento pubblico diventa lecito se poi i soldi si danno alle famiglie non si finanzia la scuolaLa conseguenza è che si è saltato bellamente l’articolo 33 della Costituzione che riconosceva le scuole private ma ne vietava il finanziamento sotto qualsiasi forma da parte, appunto, dello Stato. Con la nuova dizione questa porta era e resta spalancata. Inoltre a Berlinguer si deve la Legge (62/2000) di parità scolasticacon la scuola privata e i primi due decreti che finanziavano tale scuola(10) attraverso il finanziamento alle famiglie. Vi è poi la vicenda degli Insegnanti di Religione Cattolica (IRC) che non iniziarono ad entrare in ruolo, con un progetto di legge già pronto (e poi ripreso da Moratti), solo perché scadeva la legislatura. Si è fatto però in tempo, come coronamento dell’intera operazione, a togliere al Ministero dell’Istruzione, il fondamentale aggettivo Pubblica (Legge 300/99).

        Si è invece mantenuta l’abolizione degli esami di riparazione di D’Onofrio e gli esami di maturità (ora di Stato) sono diventati ancora più semplici con commissioni costituite a metà da insegnanti interni alla scuola(11). Anche le norme con cui si accede agli esami cambiano. Si introduce il sistema commerciale dei debiti e dei crediti e si parla di prodotto educativo (Direttiva 307/97). Il debito formativo consiste in una o più materie insufficienti in sede di scrutinio e non recuperate all’inizio dell’anno seguente. I debiti ricevono ormai un condono perenne (anche all’università) e rendono l’insegnante debole e completamente indifeso nei riguardi degli studenti, con perdita di credibilità. Durante gli ultimi anni di scuola secondaria si accumulano invece dei crediti a seconda delle medie conseguite, fino ad un 20% della votazione finale; attività fatte dai ragazzi esternamente alla scuola, opportunamente certificate ed in qualche modo attinenti al corso di studi (?), apportano crediti; aspetto importante è che gli studenti vengono all’esame con quel percorso di cui ho detto e sono loro a dirigere l’esame. La situazione viene aggravata dall’abolizione dell’ammissione agli esami finali. Neppure questo minimo filtro viene mantenuto. Quando oggi si dice che le alte percentuali dei promossi sono le stesse che si avevano con il vecchio esame non si dice il vero. Nel caso del vecchio esame, non si teneva conto di quanti non erano stati ammessi. Naturalmente il tutto sarà accompagnato da popolareegualitarionon selettivodemocratico, … una serie di aggettivi che continuano a ipnotizzare i militanti dei vari apparati, che non aiutano mai a ridiscutere i termini di fondo dei problemi. Di ciò gli insegnanti hanno pagato un duro scotto perché sono diventati degli emanuensi che, oltre ad avere a che fare con la sciocchezza dei crediti, devono passare ore ed ore al giorno a riempire moduli e cartuccelle in cui si parli di: obiettivi, modalità di valutazione, relazioni, griglie, test, verifiche, tipologie, giudizi, verbali, …. Ed hanno anche perso il loro diritto di eleggere il vicepreside che da ora verrà scelto dal Dirigente Scolastico ope legis. Riguardo ad un  altro punto dolente, quello del reclutamento, il comportamento del centrosinistra è stato schizofrenico: da una parte si è avviato meritoriamente un sistema di reclutamento permanente degli insegnanti, leScuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario o SSIS (a costi esorbitanti a carico degli iscritti); dall’altra sono state fatte abilitazioni e passaggi di cattedra a fine legislatura (2001), aprendo così una nuova guerra tra poveri per la difficoltà di accordare coloro che escono dalle SSIS con i neoabilitati in un’unica graduatoria.

LA SCUOLA ELEMENTARE

        Precedente al tentativo di riforma Berlinguer, quella dei Cicli mai andata in porto, è la riforma della scuola elementare risalente al 1990-1991 (Legge 148/1990), quella che introdusse il modulo in luogo del maestro unico. I punti salienti di tale legge prevedono che gli insegnanti siano utilizzati secondo moduli organizzativi costituiti da tre insegnanti su due classi (o da quattro insegnanti su tre classi). Si prevede un insegnante di sostegno ogni 4 alunni portatori di handicap. Parte rilevante dell’operazione è la programmazione degli insegnanti da farsi durante le due ore eccedenti le 22 ore di didattica frontale. Nell’attività didattica degli insegnanti rientra anche l’assistenza educativa alla mensa. Nei primi due anni della scuola elementare siprocederà mantenendo una maggiore presenza temporale di un singolo insegnante in ognuna delle classi. L’orario scolastico è di 27 ore settimanali che diventano 30 con l’introduzione della lingua straniera. La scuola elementare parificata ha l’obbligo di adottare per i programmi e gli orari, l’ordinamento delle scuole elementari statali.

        La scuola elementare viene così pensata come un servizio che deve rispondere alle nuove esigenze di una società profondamente cambiata rispetto agli anni del dopoguerra. Un solo insegnante non può più fare un lavoro complesso come quello richiesto tenendo soprattutto conto del fatto che l’esigenza di tempo pieno (che nasce addirittura, con caratteristiche di doposcuola, nel 1971 con la Legge ex 820 e che acquisisce in seguito una continuità didattica e metodologica) diventa sempre più estesa in relazione alla necessità nelle famiglie del lavoro di ambedue i coniugi (la scuola, anche con le insegnanti mogli e mamme, ha sempre sopperito all’assenza di welfare). Tempo pieno e non doposcuola o tempo prolungato, essendo i due concetti profondamente differenti. In questa legge si prevede che sia il modulo che si occupa della classe sia al mattino che al pomeriggio, compreso l’importante momento della mensa. Non sarà più un’altra persona che, quando il maestro unico ha terminato il suo orario mattutino, prende i ragazzi per intrattenerli qualche ora con una chiara separazione di ruoli che vede il maestro del mattino più importante dell’intrattenitore pomeridiano. E’ un progetto di grande rilievo perché comprende e definisce ampiamente, oltre all’introduzione dell’insegnamento della lingua, la cura dei portatori di handicap e l’inserimento di piccoli extracomunitari o comunque stranieri. Va sottolineato che tutto avviene con il medesimo orario degli insegnanti che sono chiamati ad un confronto con altri insegnanti in quella fase fondamentale di programmazione.

        Riguardo alla parte didattica si trattava di individuare delle aree disciplinari in cui i singoli insegnanti si dedicassero di più acquisendo maggiori competenze, anche attraverso aggiornamenti mirati e non fatti solo da pedagogisti, ma questo aspetto della legge è venuto meno per la netta opposizione della CISL.

        La Riforma dei cicli di Berlinguer(12) che, come accennato, non è andata in porto, avrebbe previsto che le attuali elementari e medie, che costituiscono due cicli di complessivi 8 anni, diventassero un unico ciclo di 7 anni (alla fine dei due cicli gli studenti avrebbero fatto in complesso un anno in meno: 7 + 5 invece del precedente 5 + 3 + 5). Il Regolamento(13) che era stato predisposto in proposito prevedeva che per i primi due anni le cose andassero come nella elementare tradizionale con moduli, con l’unica differenza dell’inizio anticipato di un anno. Per altre questioni (orari dei ragazzi, degli insegnanti, ecc.) si rimandava a successive disposizioni (deleghe al governo) che non sono poi venute per la fine della legislatura. Nei vari documenti prodotti si affermava che l’orario scolastico deve, a seconda delle esigenze e possibilità, oscillare tra le 35 e 40 ore settimanali su 5 giorni. Ciò avrebbe implicato il mantenimento del tempo pieno e quindi la non messa in discussione dei moduli introdotti nel 1990 ma, poiché ora il ciclo sarebbe diventato unico con la durata di 7 anni, restava da capire cosa sarebbe accaduto dei moduli e da che momento. Risulta invece che i tempi scuola si sarebbero ridotti poiché la scuola primaria avrebbe perso un anno e l’insieme della scuola avrebbe avuto riduzioni di orario in tutti gli ordini, come si sarebbero ridotti i programmi e il numero delle materie.

L’UNIVERSITA’ DEL 3 + 2

     In contemporanea con le varie riforme Bassanini e Berlinguer-De Mauro per le scuole, viene avanzata (anche con Zecchino), sempre in nome dell’Autonomia, la Riforma dell’Università, quella riforma che introdurrà il sistema di laurea noto come 3 + 2.

    E’ del novembre 1999 la Legge che modifica radicalmente l’Università(14). Le linee guida sono di Berlinguer. Qui, come altrove, si reclama la necessità di metterci al passo con l’Europa come numero di laureati con l’operazione di ridurre la laurea, detta semplicemente Laurea o di primo livello, a tre anni e di sommare a questi altri due anni per ottenere una Laurea specialistica o di secondo livello (che Moratti chiamerà poi Laurea Magistrale). L’effetto è stato perverso perché questa riforma si è sommata alla scarsa preparazione offerta dalla scuola secondaria che subiva la Riforma dell’autonomia con i suoi POF ed i suoi percorsi. I livelli di preparazione degli studenti che si iscrivono all’Università risultano notevolmente più bassi di quelli della pre-riforma. Le facoltà scientifiche della Sapienza per un quinquennio hanno fatto test a cinquemila studenti degli ultimi anni delle superiori che intendevano iscriversi a uno dei tanti corsi per conseguire la laurea di primo livello: solo il 5% aveva una conoscenza di base della geometria, appena il 12,7% sapeva rispondere a 8 domande facili su 10, su 100 studenti appena 15 erano in grado di centrare risposte sul lessico, e poco più di 27 sapevano di ortografia, sfiorava il 17% la quota di studenti che riusciva a completare correttamente le frasi con il verbo giusto, … Ciò vuol dire che il primo anno di università se ne va per alfabettizzare gli studenti che in maggioranza mostrano lacune, queste si, alla base del gran numero di abbandoni. La laurea triennale diventa quindi una sorta di super liceo con l’aggravante del sistema dei crediti, mediante i quali è possibile saltare qualche esame o renderlo molto più semplice, che ha introdotto elementi clientelari nel sistema universitario degli esami.

         L’idea di questa riforma nasce, su sollecitazione OCSE, a Parigi nel 1998 tra Francia, Germania, Gran Bretagna ed Italia con seguito in un incontro dei Ministri dell’Istruzione a Bologna nel giugno 1999 (questi Paesi forti, hanno aggregato gli altri e Berlinguer prese spunto da questo per promuovere la riforma). Il corso di studi di uno studente è stato calcolato in ore annuali di impegno che sono risultate 1500 per lo studio (studio individuale, lezioni, laboratori, stage). Queste ore sono state suddivise per i crediti formativi (CFU) ai quali ogni studente ha diritto e 1500 ore corrispondono a 60 CFU. Con ulteriore calcolo si è stabilito che un CFU corrisponde a 25 ore di impegno, delle quali ore almeno la metà deve essere di studio individuale. Ogni esame universitario, a seconda della sua mole, dell’impegno richiesto ecc., dà diritto ad un certo numero di CFU. Superato un numero di esami che fanno cumulare 180 CFU, si è laureati (primo livello). Se si aggiungono altri 120 CFU si è laureati (secondo livello). Vi sono poi ulteriori traguardi raggiungibili con altri CFU (i Master, ad esempio, che durano un anno, valgono altri 60 CFU, ecc.).

        Per ottenere la laurea sono riconosciuti esami all’estero o in altre università, attività lavorative precedenti o in corso, periodi di apprendistato, stage, partecipazione a congressi, seminari o qualunque altra attività che lo studente possa dimostrare. E si può ben capire a quali abusi si presti un tale sistema. Inoltre un dato esame corrisponde ad un certo numero prefissato di crediti e, di conseguenza, tale esame deve essere predeterminato per numero di pagine da studiare o per ore di frequenza di un laboratorio o ciò che volete. Ciò vuol dire che sono impossibili approfondimenti e questo proprio all’Università che non risulta più luogo istituzionale in cui ci si forma ed erudisce andando a fondo su ogni questione. Ma vi sono cose più perverse. Il sistema ha permesso che un certo esame, non riducibile ad un numero esiguo di pagine, sia stato spezzettato in più esami da commissioni di docenti che si sono suddiviso il bottino della moltiplicazione dei corsi da attivare. Qui nasce lo scandalo dell’università che cresce a dismisura e che viene denunciato da novelli apprendisti stregoni che non si capisce bene dove erano quando si creavano tali scempi. Suddividere, spezzare, creare moduli da attivare, … è stata la somma occupazione di moltissimi docenti nei primi anni della riforma. Data poi l’autonomia, ogni università deve allettare la clientela con qualcosa di più accattivante, più gradevole di ciò che offre l’università concorrente, ad esempio con nuove professioni da inventare mettendo insieme un certo blocco di discipline che aumentano ancora i corsi di laurea e le cattedre creando spesso, oltre al fatto in sé, grossi danni agli studenti per la loro vacuità e stravaganza rispetto al mercato. Ed in questa rincorsa alla cattedra, a parte vicende da codice penale in genere da assegnare alle facoltà di medicina, vi è la proliferazione dei massimi cantori di queste riforme liberiste, i pedagogisti. Costoro hanno instaurato una sorta di perverso sistema epistemologico senza verifiche, potendo cambiare i loro postulati in corso d’opera al fine di essere graditi dal governo in carica. Costoro, con questi meriti, si sono costruiti infiniti feudi nelle facoltà di Scienze dell’Educazione e/o della Formazione inventandosi cattedre fantasiose di ogni tipo. Se un gruppo sociale ti permette di giustificare risparmi e lavora per il consenso, merita di essere premiato.

         Anche qui la scuola diventa azienda cambiando radicalmente la sua natura. Rinforzare la linea gerarchica, procurare che le funzioni logistiche prendano il sopravvento e controllino le funzioni dei professionisti, è una strategia che è necessario chiamare, con ragione, aberrante dal punto di vista stesso della gestione aziendale. Il controsenso sull’atto pedagogico, negato nella sua complessità, non può che provocare una perdita della ricercata efficacia.

         Colui che in tutto questo ci rimette di più è lo studente sistemato non più in un progetto educativo ma nell’economia aziendale, dove ciò che conta è solo l’accumulo dei crediti. Ed i crediti hanno anche snaturato lo studente che oggi vede in ogni sua attività una possibilità di reclamarla a credito o, peggio, che si dedica solo ad attività che producono crediti. Conta solo il raggiungimento del 180 dopo di che sono tutti felici a cominciare dalle statistiche che danno un laureato in più indipendentemente dalla sua preparazione. 

         Anche i docenti, quelli non miracolati, hanno problemi con questo sistema per il carico burocratico (gestionale, amministrativo, organizzativo, …) che è ricaduto nelle loro attività, analogo a quello accennato nella Scuola Secondaria. E l’analogia si estende anche al discredito sociale conseguente.

         Ma si è raggiunto il fine di immettere nel mercato del lavoro dei tecnici laureati intermedi ? Sono diminuiti i fuoricorso ma senza aperture del mercato del lavoro. E ciò ha fatto sì che la laurea triennale è diventato un nuovo parcheggio per disoccupati. I dati sono desolanti e varie indagini di Almalaurea (e di altre istituzioni come Cilea) parlano di una percentuale elevatissima (oltre il 75%) di laureati al primo livello che proseguono nel secondo per tentare migliori prospettive occupazionali. Questa tendenza del mondo produttivo a non assumere laureati ad ogni livello non è un fatto congiunturale in Italia dove si è sempre preferito il perito all’ingegnere, il geometra all’architetto ed il capomastro al geometra.

 SCUOLE TECNICHE E PROFESSIONALI

        La discussione del come saranno organizzate queste scuole passa sempre in secondo piano ma è la più importante per le implicazioni sociali e per le ricadute di giudizio sull’intera scuola.

        Le scuole tecniche ed industriali (gli ITIS) hanno avuto, in un certo tempo, grande prestigio venuto meno per i soliti ed endemici ritardi politici nel cambiamento di norme e gestione. Qui, più che altrove, sarebbe servita una gestione manageriale in grado di cogliere i cambiamenti produttivi, le nuove tecnologie ed i nuovi strumenti da inserire nei piani di studio. La rigidità dei programmi ha reso obsoleto lo studio in molte di tali scuole.

         Le scuole professionali invece sono da sempre uno scandalo per la loro gestione. Da quando esistono, sono le Regioni che dovrebbero occuparsene proprio perché più legate al territorio ed alle sue necessità. Le Regioni hanno però delegato la loro funzione sia ad ordini religiosi che a sindacati, con la Confindustria che vuole entrare in tale affare chiedendo che i finanziamenti di tale operazione vadano direttamente alle imprese che hanno studenti ed apprendisti. Confindustria vorrebbe, ancora oggi con Gelmini, Consigli di Amministrazione gestiti in massima parte da esterni (aziende, professioni), rappresentanti aziendali nelle commissioni d’esame e insiste soprattutto nella assunzione del personale docente e dei tecnici di laboratorio al di fuori di ogni graduatoria e a esclusiva chiamata diretta da parte delle scuole. Nell’attuale gestione il clientelismo è davvero impressionante come la difficoltà di sapere cosa accade davvero all’interno di tali centri che hanno un costo elevatissimo, sostenuto anche dalla UE, e forniscono una bassissima preparazione a chi frequenta. Queste scuole dovrebbero avere un ruolo importante ma in Italia, contrariamente al resto d’Europa dove assolvono il ruolo di educazione permanente e di riqualificazione come ammortizzatore sociale, assumono un ruolo di recupero per l’insuccesso scolastico ed il disagio sociale. E comunque non garantiscono sbocchi professionali. C’è solo da aggiungere che i pedagogisti di Berlinguer e di Moratti, oltre alla responsabile scuola della Margherita, Fiorella Farinelli, in un Progetto Buonsenso per la scuola (settembre 2003), vorrebbero affidare alle Regioni tutte le scuole, nonostante la minaccia del Federalismo. E Ranieri, responsabile scuola dei DS, si mostrava d’accordo insieme alla Fondazione Italiani Europei in cui opera con D’Alema ed all’associazione confindustriale Treellle in cui lavora con De Mauro.

         La legge 30 sul riordino dei cicli si era occupata anche della formazione professionale. In essa non c’era differenza tra istruzione e formazione, ma sembrava chiaro che il concetto di formazione coincideva con “la formazione professionale”. Molte delle cose previste erano affidate alla Conferenza Stato Regioni, sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro e del Ministero dell’Istruzione, che si era già riunita più volte in proposito(15). Ma la cosa non ha prodotto esiti per la fine della legislatura.

         Un’osservazione prima di concludere. Una rigida formazione non fa al caso di un mercato del lavoro estremamente flessibile. Occorrerebbe una scuola altrettanto flessibile. Con sommo dispiacere degli ex ministri e di quelli in carica occorre dire che le scuole professionali, confessionali o no, e gli istituti tecnici industriali, brillano per la loro rigidità. Una volta obsolete le abilità per cui i giovani sono stati preparati, da quella parte sembra impossibile riacquistare la flessibilità che pur si richiede. Ma la flessibilità che si richiede non è quella che si ottiene con piani di studio flessibili ma quella che si ottiene con studi molto seri che forniscano agilità mentale. Capisco che si parla di cose difficili ma con un piccolo sforzo anche gli ex ministri possono capire cosa dico. 

LE RIFORME DEL CENTRODESTRA

        Da Berlinguer-De Mauro e centrosinistra si è passati a Moratti e centrodestra.

        Se si escludono interventi solo definibili come rispondenti a bassa conservazione, cambiamenti di fondo, di linea strategica, non vi sono stati. Si può dire in prima approssimazione che la conoscenza della scuola è risultata molto inferiore e quindi molto inferiore la capacità di danneggiarla. Quanto leggeremo più oltre non deve far intendere che le cose peggiorino, anche se le intenzioni di sbarazzarsi della scuola pubblica sono più evidenti e rozze, ma solo che vengono dette in modo più brutale, analogamente a quanto accadrà con Gelmini.

         Il centrodestra si avvicina al potere sbandierando, nel suo documento Scuola libera! Appunti per la nascita di un movimento(16), libertà ed efficienza ma anche abolizione del valore legale del titolo di studio ed un finanziamento più sostanzioso alle scuole private (confessionali). E’ sostenuto apertamente da Confindustria che promuove anche iniziative di studio (come Treellle che raccoglie tutto il gotha del pensiero bipartizan della Repubblica). Sembrerebbe cha la formazione professionale debba diventare il grimaldello per superare l’abbandono scolastico.

         Il progetto della scuola Moratti viene presentato da un pedagogista cattolico di Bergamo, Giuseppe Bertagna (DM 672/01), al quale si sono subito affiancati i pedagogisti e le organizzazioni collaterali di Berlinguer ed anche la responsabile scuola della Margherita, la citata Farinelli, al fine di costruire un’ipotesi di attuazione delle riforme di sistema della scuola che vada oltre gli schieramenti partitici o ideologici, proprio perché il progetto è dichiaratamente lo stesso nella sostanza, anche se Bertagna ci ha messo di suo spruzzate metafisiche e l’eliminazione dell’evoluzionismo dai programmi scolastici. Dopo aver ripreso pedissequamente i documenti della UE auspicanti la privatizzazione  della scuola, come aveva già fatto Berlinguer, Bertagna presenta le sue proposte. Le novità salienti (alcune non andate in porto ma riprese da Gelmini oggi), gran parte di esse in finanziaria dove Tremonti ha iniziato l’opera che sta proseguendo con Gelmini, sono: sparizione dell’obbligo scolastico sostituito dal fumoso  diritto-dovere all’istruzione; fine della distinzione tra scuola pubblica e privata, con quest’ultima che  avrà maggiori finanziamenti; esami finali fatti da sole commissioni interne con un presidente esterno per un intero istituto; le ore che dovranno essere fatte da qualsiasi ordine di scuola non potrà superare le 25 settimanali e ciò comporta l’eliminazione di alcune materie ritenute non necessarie: musica ed educazione fisica dovrebbero sparire, la matematica dovrebbe sparire nel classico mentre il latino nello scientifico; fine del tempo pieno e di quello prolungato; fine dei moduli nelle elementari; chiunque volesse sviluppare le discipline eliminate può farlo a pagamento in ore extra; le pulizie scolastiche e l’amministrazione dovranno essere fatte da imprese esterne alla scuola; sparirebbero così i bidelli e la segreteria; si lasciano inalterati i cicli delle elementari e medie; si riduce di un anno la scuola secondaria; si reintroduce tra i 12 ed i 13 anni l’odioso avviamento professionale eliminato nel 1963; via gli organi collegiali e creazione di un consiglio di amministrazione in cui compare il politico e il rappresentante dell’Ente proprietario dell’edificio; la valutazione della scuola spetterà ad agenzie esterne, entità discusse per la poca trasparenza nell’assunzione degli operatori, il CEDE e la Biblioteca Pedagogica di Firenze (come previsto da Berlinguer); non si potrà più assumere personale a qualsiasi titolo con la previsione di una riduzione di 40000 unità; e, dulcis in fundo, consulente per la scuola della Moratti sarà chi, come Muccioli, si occupa di tossicodipendenti.

         Il progetto diventa riforma (Legge 53/03) e per leggerla occorre rifarsi alla finanziaria 2003(17) che taglia i fondi dell’Istruzione di un 19% e che ha introdotto  l’esternalizzazione di tutti i servizi scolastici. Quindi via, in due anni, 56000 insegnanti di ruolo; via 60000 precari e supplenti, non più nominabili; via 20000 tra bidelli e personale di segreteria; via 11000 insegnanti di madrelingua dei laboratori linguistici. Le cattedre passeranno ad un minimo di 18 ore (fino alle 24 ore) e le classi, ogni anno, saranno riaccorpate in modo da avere almeno 25 alunni. E’ facile capire che con 24 ore si moltiplicano compiti in classe, lezioni da preparare, consigli di classe, ricevimenti genitori (ed ora come in passato ed in futuro il miglioramento salariale semplicemente non esiste). La qualità scende. I rapporti con i singoli studenti pure. Andremo al trionfo dei quiz ed alla sparizione delle interrogazioni, ciò che serve per essere bravi alle prove PISA. A lato di ciò vi è la fine di ogni programmazione didattica per non dire di sperimentazioni e simili. Gli esami finali affidati a commissioni interne sono un gravissimo attacco al valore legale del titolo di studio e la molla più potente per scardinare la qualificazione della scuola pubblica: i professori dell’ultimo anno che non volessero lavorare dovrebbero solo garantire la promozione a tutti. Si ottengono due perfidi risultati: tutti promossi con livelli indecenti di preparazione; degli insegnanti nullafacenti.

La cosa più grave è però la scelta a 12 anni (inizio della seconda media) tra licealizzazione e professionalizzazione. E’ detto che saranno possibili dei passaggi orizzontali (come le passerelle di Berlinguer), ma ciò è impossibile perché nessuno, dopo due anni di programmi così divaricati, potrà passare da una parte all’altra. E’ vero invece che si fornisce giovane manodopera alle varie imprese, poiché tale manodopera gratuita sarà poi un titolo di merito agli esami finali.

        E, per finire, una legge che ha al suo interno un insopportabile e continuo riferimento alla morale, allo spirituale, al religioso, non poteva non preoccuparsi delle regalie alle scuole private (che tra l’altro godranno di lauti finanziamenti: 90 milioni in tre anni per le famiglie che iscriveranno i figli nelle scuole private). Tutto il caos che verrà indotto nelle scuole di Stato convincerà molti a dirottare i propri figli verso le scuole private che non hanno i vincoli delle scuole pubbliche. I diplomifici potranno funzionare a pieno ritmo, infatti, essendo stata abolita l’ammissione agli esami finali, ed essendo possibile che una scuola privata faccia gli esami ai suoi alunni, sarà possibile qualunque cosa.

        L’intervento di Moratti sull’università è con il DM 270/04, gli articoli 1-ter e 2 della Legge omnibus 43/05,  la Legge 230/05 e Dlgs 164/06. Il DM 270/04 (che sostituisce il DM 509/99 di Berlinguer) riafferma la riforma del 3 + 2 ed introduce alcuni nuovi regolamenti didattici al fine, si dice, di incrementare il numero dei laureati, di ridurre il fenomeno degli abbandoni e di favorire la mobilità degli studenti. Di rilievo la riduzione del numero degli esami a 20 per la laurea di primo livello ed a 12 per quella di secondo livello. Il finanziamento deriverebbe dal fatto che ciascun professore piuttosto che tenere un solo corso di lezioni ne dovrà tenere due, con un evidente dimezzamento delle necessità di organico e, quindi, con il conseguente risparmio economico ma anche con tempo sottratto alla ricerca. Nella legge 43 si stabilisce che le università dovranno stabilire: quali corsi istituire e quali sopprimere in relazione alle risorse umane ed economiche; che ricerca vogliono fare; che azioni vogliono svolgere a favore degli studenti; che fabbisogno hanno di docenti e di ricorso alla mobilità; come vogliono internazionalizzare la loro ricerca. Questi piani dovranno essere inviati al Ministero che, servendosi del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu) e del neonato Comitato per la valutazione della ricerca, (Civr), li valuterà triennalmente per l’assegnazione dei fondi. La legge 230 ed il Dlgs 164 (di fine legislatura) stabiliscono che il reclutamento dei professori e dei ricercatori avvenga non più per concorsi banditi dalle università (come realizzato da Berlinguer) ma attraverso una farraginosa idoneità nazionale dalla quale le singole università potranno attingere. Si introduce la stravaganza del ricercatore a tempo determinato e la possibilità di chiamata diretta da parte delle università dei cervelli fuggiti (cosa miseramente fallita). Tutta la riforma Moratti aspettava l’emanazione mai avvenuta di regolamenti. Per essere infine conseguenti con la richiesta di prestigio della ricerca si sistemano persone discutibili e discusse a capo di importanti enti.

        Riguardo ai finanziamenti, né Berlinguer né Moratti hanno modificato quanto stabilito dall’articolo 5 della Legge 537/93 (ministro Lombardi del governo Ciampi). I fondi di finanziamenti ordinari (FFO) per le università dovrebbero essere assegnati secondo le seguenti percentuali: 30% in base al numero degli iscritti (quota fissa, contrariamente alle altre tre); 30% in rapporto agli esami superati dagli studenti; 30% in rapporto alla qualità della ricerca scientifica; 10% come fondo incentivante per i cambiamenti. Nella pratica ciascun ministro venuto dopo ha assegnato i fondi secondo cammini difficilmente studiabili.

        Nelle riforme Moratti l’impianto di Berlinguer è toccato solo marginalmente e comunque la riforma risulta accettabile al centrosinistra con obiezioni di rilievo solo al ricercatore a tempo determinato. Tutto si ispira all’autonomia, all’efficienza, all’efficacia, alla managerialità, ai risparmi, alle valutazioni dei docenti, all’esternalizzazione dei servizi … alla privatizzazione. E quanto dico non è una boutade perché quando nel 2006 è ritornato al potere il centrosinistra, non ha operato neppure un cambiamento di rilievo.

LE VALUTAZIONI INTERNAZIONALI P.I.S.A.

         Nella nota 3 ho accennato a quali interessi ubbidisce l’indagine triennale P.I.S.A. fatta sui nostri giovani quindicenni. Per capire meglio è utile leggere alcune frasi di un documento OCSE, Esami delle politiche nazionali dell’Istruzione/Italia (Armando Editore 1997), scritto proprio a ridosso delle legge Bassanini e Berlinguer (che pare lo abbiano seguito alla lettera). Si suggerisce, anche in modo perentorio, come orientare gli studenti italiani per superare l’elevato tasso di disoccupazione giovanile:

Noi riteniamo che l’impegno per un apprendimento lungo tutto l’arco della vita esiga che si presti maggiore attenzione ai risultati degli studenti e che quanto i giovani hanno appreso possa essere registrato in modo tale da poter essere portato all’attenzione dei potenziali datori di lavoro. In un siffatto contesto, si suggerisce di approfondire lo studio delle competenze di base perché tutti i giovani acquisiscano un determinato livello di abilità di lavoro generalizzate[…] Quando il sistema di istruzione e di formazione avanza mano nella mano insieme con le industrie che costituiscono la base economica del paese, si sviluppano quelle sinergie che permettono ad entrambe le parti di trarre vigore l’una dall’altra, così assicurando il miglioramento di tutte e due. I benefici sociali e le opportunità individuali offerte da un sistema basato sulla cooperazione farà sì che l’Italia possa occupare il suo posto come uno dei paesi di maggior successo nell’Unione Europea.

        I pedagogisti, oltre a negare se stessi quando concedono una qualche credibilità a prove fatte al di fuori di una data programmazione, sono stati capaci di rivestire di significati scientifici queste esigenze padronali. Riguardo all’aspetto strettamente pedagogico, il buon Gattullo avrebbe spiegato loro che una qualunque prova è sempre funzionale ad un determinato percorso. Sembrano innocue le prove PISA ma non lo sono perché rispondono proprio a misurare l’acquisizione di quelle capacità che interessano al mondo del lavoro e che escludono gli apprendimenti scolastici finalizzati alla crescita dell’individuo: nozioni separate e non integrate in un piano organico che darà i suoi frutti a fine percorso. Se si volesse insistere sulla validità di tali prove sarebbe da rinfacciare ai berlingueriani ed ai morattiani perché quei quindicenni che falliscono sono figli delle loro penose scuole. Chiunque si occupi di scuola sa che i nostri studenti sanno inserirsi con successo in ogni sistema scolastico mentre il viceversa non è mai vero. E questo la dice lunga sulle abilità dei nostri studenti e fa capire che i problemi dell’insuccesso risiedono altrove. Ed a tale proposito occorre fare  una considerazione molto generale: la libertà di insegnamento vuole anche dire libertà di valutazione proprio perché la valutazione è un momento fondamentale della didattica per quella cosa che va sotto il nome di feed back. Dico questo perché con la intrusiva presenza dei docimologi si è in pratica obbligati a valutazioni fantastiche che non servono a fini educativi. Invece l’ex ministro Moratti, a fine 2005, insisteva sul fatto che occorre cambiare gli insegnamenti finalizzandoli ad una buona riuscita delle prove PISA(18), come al solito l’esatto inverso di un corretto comportamento didattico.

ANCORA CENTROSINISTRA: FIORONI, BASTICO E MUSSI

         Il ritorno al governo del centrosinistra è all’insegna del mantenimento di tutto quanto fatto insieme negli anni precedenti da Berlinguer e Moratti. I litigi sono in pubblico ma la sostanza vede d’accordo i due presunti fronti. Al Ministero dell’Istruzione va il quasi teodem Fioroni che si affida a Commissioni che dovrebbero fare i miracoli richiesti. La principale la fa gestire ad altro quasi teodem, Ceruti, estimatore di Morin(19), il sociologo esoterico da cui una scuola pubblica dovrebbe tenersi lontana. In tali pensatoi svettano i soliti pedagogisti, esponenti di Comunione e Liberazione ed esponenti dell’Università LUMSA (Libera Università di Maria Santissima Immacolata). C’è anche la presenza di personaggi prestigiosi che però si prestano a coprire queste operazioni.

         Non vi sono novità di rilievo perché l’andazzo è sempre il solito, con un maggior peso, se possibile, alla vertente cattolica della scuola, con gravi cedimenti alle scuole confessionali (fondi assegnati con lettere speciali e riservate ai Gestori e Coordinatori di esse dello stesso ministro). Una piccola modifica alla Legge Moratti la si ha nella Legge 40/07 sugli istituti tecnici professionali che dovranno essere risistemati in regolamenti da fare (e mai fatti). Oltre a ciò, si continuano a tagliare i fondi in modo intollerabile, si immette in ruolo qualcuno solo perché vi è un esodo dall’insegnamento (e comunque gli immessi in ruolo sono molti meno di coloro che vanno in pensione se si sono fino a quel momento perse circa 40 mila cattedre a fronte dell’aumento del numero di alunni). Si chiudono e si accorpano scuole. Si tagliano tutti i sostegni all’handicap (se si tiene conto che le scuole confessionali non vogliono handicappati, si capisce il disinteresse per questi drammi). A fronte di tutto ciò vi sono ancora gli intollerabili privilegi dei professori di religione, che sono 25.679, dei quali 14.670 passati di ruolo (a scapito degli altri, magari mamme di quella famiglia che al family day non è rappresentata), grazie a una rapida e ridicola serie di concorsi di massa inaugurati dal governo Berlusconi nel 2004 e proseguita dal governo Prodi.  Costoro, scelti dal Vescovo al di fuori di ogni graduatoria, hanno stipendi più alti degli insegnanti ordinari anche se possono avere un solo alunno per classe e non perderanno mai il posto perché una legge vergognosa permette loro di passare ad altro insegnamento. La cosa è anticostituzionale ed i nostri politici l’accettano come voto di scambio.

         Insomma una vera delusione su tutti i fronti.

         E lo stesso si può dire per quanto accaduto con il Ministero dell’Università, gestito da Mussi. Si sono dapprima reintrodotti i concorsi locali e si è poi lavorato un anno e mezzo su qualcosa che sostituisse  i concorsi universitari o li garantisse e si è arrivati alla creazione dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) un ente esterno all’Università che avrebbe dovuto reclutare professori e ricercatori con un meccanismo che avrebbe dovuto mettere insieme la didattica e la ricerca. Ma primo atto della Gelmini è stato proprio la cancellazione di questo ente ed il ripristino dei concorsi tanto discussi perché manipolabili (a proposito di serietà !). Anche i circa 400 milioni promessi per i centri universitari più virtuosi sono andati in gran parte a ripianare i debiti Alitalia.

ULTIMO ATTO: GELMINI-TREMONTI ALL’ISTRUZIONE

         Sembra una boutade il parlare di Gelmini-Tremonti ma è la verità. D’altra parte anche il governo di centrodestra precedente aveva visto la finanziaria di Tremonti dare le linee guida alla Moratti. Ora la cosa è più accentuata per ragioni di necessità urgenti di cassa per dover rientrare dall’improvvida promessa elettorale del taglio dell’ICI sulla prima casa.

         Questa verità chiude anche in modo molto semplice la vicenda della scuola in questo sfortunato Paese. Ormai sappiamo già tutto. Ogni volta che servono soldi per qualsiasi cosa si rapinano i settori più deboli o creduti tali: sanità, pensioni, scuola, … Con la differenza che questa volta qualche conto non torna e neanche a dire che non torni perché la sinistra avrebbe fatto opposizione: essa è invece stata assente (anzi, collaborante) e chi protesta in piazza non ha alcun riferimento alla sinistra ufficiale (e men che meno alla destra). Si è solo capito il processo degenerativo della scuola e la comprensione è discesa dalla politica di chi credeva di poter operare scempi di tal fatta senza neppure pensare ad una qualche opposizione.

         Pur essendo dentro una prassi comune a tutti i governi ed all’interno di una politica liberista più cara alla sinistra che alla destra (quella politica liberista che ci ha portato a questa crisi violenta che, al solito, sarà pagata dai più deboli), passo a descrivere i provvedimenti di questo governo a partire dalla finanziaria da 9 minuti e mezzo, DL 112/08(20). La parte di nostro interesse di tale finanziaria è l’articolo 64, Disposizioni in materia di organizzazione scolastica in cui, con il fine di razionalizzare, si parla di: ridefinire i curricoli scolastici per accorpare le classi di concorso per una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti al fine di mettere mano a corsi ed orari (l’attenzione dovrebbe essere rivolta, come sempre e vedremo in che modo, soprattutto ai tecnici e professionali) ma anche di rivedere il modo con sui si formano le classi e ad essa sono assegnati gli insegnati (riferimento particolare alle elementari); riduzione degli organici di insegnanti ed ATA;  risistemazione dei corsi serali per adulti.

Più oltre si dice che il 30% di quanto risparmiato servirà ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola a decorrere dall’anno 2010.

Immediatamente dopo arriva prima lo Schema di Piano Programmatico del MIUR (Gelmini) e quindi il DL 137 dell’1 settembre 2008, quello che sarà approvato come Legge 169 del 30 ottobre 2008 e che recepisce le volontà di Tremonti.

SCUOLA PRIMARIA E SECONDARIA

         Nella premessa si dice che la scuola italiana non funziona, per quanto mostrano i risultati nazionali (?) e le prove internazionali (PISA). Resta comunque valido il sistema vigente basato su: autonomia, efficienza, percorsi formativi, dalle conoscenze alle competenze, valutazione. Con l’aggiunta di forme integrative della retribuzione di base [dei docenti], legate al riconoscimento del merito. Occorre quindi spendere meglio i soldi ridimensionando il tutto e procedendo alla revisione degli ordinamenti scolastici, dei piani di studio e dei quadri orari, all’attivazione di politiche del territorio efficaci, alla definizione e al riordino del sistema di istruzione professionale. Occorre inoltre incrementare di un punto il rapporto alunni/docenti, a ridurre del 17% la consistenza del personale ATA e rivedere i curricoli del I e II ciclo. Si dovranno ridurre le ore di insegnamento nei licei e nelle scuole tecniche mentre alcune scuole professionali confluiranno in quelle tecniche di simile indirizzo. Si dice poi letteralmente che:

Nella scuola dell’infanzia l’orario obbligatorio delle attività educative, nell’ottica di una progressiva generalizzazione e tenendo conto delle diversificate esigenze rappresentate dalle famiglie, si svolge anche solamente nella fascia antimeridiana. […] Nella scuola primaria va privilegiata ai sensi del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, l’attivazioni di classi affidate ad un unico docente e funzionanti per un orario di 24 ore settimanali. Tale modello didattico e organizzativo, infatti, appare più funzionale “all’innalzamento” degli obiettivi di apprendimento, con particolare riguardo all’acquisizione dei saperi di base, favorisce l’unitarietà dell’insegnamento soprattutto nelle classi iniziali, rappresenta un elemento di rinforzo del rapporto educativo tra docente e alunno, semplifica e valorizza la relazione fra scuola e famiglia. Nell’arco di vita intercorrente dai sei ai dieci anni si avverte il bisogno di una figura unica di riferimento con cui l’alunno possa avere un rapporto continuo e diretto

(viene da chiedersi da quale manuale di pedagogia ha tirato fuori tali motivazioni ridicole la Gelmini). La lingua inglese sarà affidata ai maestri in servizio che potranno farlo dopo aver frequentato un corso di 150/200 ore (ma ci si rende conto ?). Si richiama a questo punto la Legge Bassanini che stabiliva il numero di alunni necessari per mantenere un plesso scolastico chiedendo che sia finalmente applicata con la chiusura di 850 di essi e la verifica di legittimità su altri 1050 (con una chiusura stimata del 20 % circa dei plessi esistenti). Tutto ciò ha anche un’altra fantastica giustificazione pedagogica: la polverizzazione sul territorio di piccole scuole non risulta funzionale al conseguimento degli obiettivi didattico-pedagogici, in quanto non consente l’inserimento dei giovani in comunità educative culturalmente adeguate a stimolarne le capacità di apprendimento e di socializzazione. Ci si chiede chi è che ha mandato la povera Gelmini a fare queste figure.Oltre a ciò il rapporto alunni-classe si eleverà di uno 0,20 con riferimento all’a.s. 2009/2010 e di uno 0,10 in ciascuno dei due anni scolastici successivi. L’innalzamento sarà riferito ai livelli massimi di alunni per classe attualmente vigenti per i vari gradi di istruzione, tenendo altresì conto della presenza di alunni disabili. E così fatte le classi ne conseguirà l’organico che evidentemente scenderà. Dovrà sparire anche la compresenza, anche con gli insegnanti di laboratorio (chi farà lezione ? ndr).  Bisogna sviluppare l’istruzione a distanza.  Il personale ATA viene ridotto in prima istanza del 17%.

            Il complesso degli interventi entro il 2012 prevede 87341 posti di insegnanti in meno e 44500 ATA in  meno.           

         Fin qui gli interventi annunciati a livello scolastico. Ci si chiede cosa c’entri con questi tagli una scuola che sia migliore e recuperi quanto le indagini PISA mostrerebbero. Ci si chiede soprattutto perché si reclamano miglioramenti per l’insieme della scuola italiana e si inizia a demolire quella che eccelle in tutte le indagini internazionali, la scuola elementare. Ma ognuno valuterà per conto suo.

            Nella Legge 169/08 approvata il 30 ottobre 2008 vi sono altre cose alle quali dedicare un cenno perché qui c’è la competenza didattica della Gelmini: nei primi due cicli si studierà la Costituzione (con la speranza che ci si soffermi sull’articolo 33) oltre agli statuti regionali; si valuterà il comportamento degli alunni con un voto numerico in decimi e se tale voto è inferiore a 6 l’alunno non potrà iscriversi all’anno seguente. Poiché ciò sembra troppo,  sopravviene nel DL 137 una norma italica: in luogo dell’unanime introduce: con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe e ciò nella scuola media vuol dire che si è promossi avendo gravi insufficienze in italiano, storia, geografia, matematica, scienze, discipline insegnate da due insegnanti che vanno facilmente in minoranza con il resto del consiglio costituito da insegnanti con una materia a testa (educazione fisica, religione, lingua, …) ed il dirigente sempre dalla parte di chi assolve. Si tenga conto di questo quando si continua a reclamare serietà. Osservo che questi cedimenti iniziano quel cammino poco virtuoso che rende la scuola ridicola.

            Gli insegnanti di scuola primaria, come detto, faranno il loro servizio di insegnamento su 24 ore settimanali. Si verrà incontro alle esigenze delle famiglie per prolungare il tempo scuola con ore aggiuntive fatte al maestro unico e pagate dal fondo d’istituto (quello che già ora si rivolge ai genitori per avere carta igienica, carta per fare disegni, penne e matite colorate, …).

ISTITUTI TECNICI

            A questo punto vi è da fare un solo cenno a cosa si vuol fare degli Istituti Tecnici e la cosa è stata discussa in un incontro-seminario a porte chiuse tenutosi a Sanremo l’8 novembre tra Gelmini e rappresentanti di Confindustria tra cui Marcegaglia (i giornalisti sono stati allontanati). Risultato del convegno, come accennato, è l’inizio di un processo di ristrutturazione chiamato Action Plan e la stesura di un documento, Linee di intervento per il riordino degli Istituti Tecnici. Nell’Action Plan Confindustria suggerisce:

–  di istituire, solo negli istituti tecnici, un Consiglio di amministrazione in cui vi sia una presenza significativa di soggetti esterni alla scuola: espressione del mondo della produzione e/o servizi,in relazione agli indirizzi di studio, con poteri effettivi di governance con i presidi, per avere mano libera sulla nomina dei docenti tecnici di loro fiducia. A proposito dei soggetti esterni si dice: I docenti interni non possono essere né in maggioranza numerica né designati dal Collegio Docenti, per evitare logiche politiche o sindacali anziché la valutazione delle loro competenze. La scelta va affidata al Dirigente su criteri indicati dal Consiglio di amministrazione. […] A tali soggetti esterni debbono poter essere affidate anche attività didattiche curricolari, cioè facenti parte dei quadri orario, e non solo insegnamenti aggiuntivi o opzionali;

– l’eliminazione degli insegnanti tecnico pratici, che propone di sostituire con personale di provata esperienza lavorativaGli istituti tecnici devono poter scegliere, in autonomia, gli insegnanti di materie tecniche, tecnici di laboratorio, ufficio tecnico. Questo personale deve essere svincolato dalle classi di concorso e dall’assegnazione centralizzata. […] Va eliminato il doppione costituito dall’insegnante tecnico pratico, che è quasi sempre un generico diplomato privo di esperienze concrete;

– l’inserimento nelle commissioni degli Esami di Stato di un rappresentante designato dalle realtà economiche e produttive del territorio;

– l’insegnamento di una sola lingua straniera (inglese), bollando come non realistico l’insegnamento di una seconda lingua straniera;

– la possibilità di insegnare una diversa disciplina in lingua inglese corrente.

        Il ruolo di Confindustria in Italia si qualifica così e questo modo di operare qualifica anche il governo che si dispone ad accettare queste proposte senza sentire in alcun modo le parti sociali. In pratica si dice: lo Stato metta i soldi, al resto pensiamo noi.

UNIVERSITA’

            Il 10 novembre 2008 è stato approvato il Decreto Legislativo (180/08) riguardante l’Università, decreto nato anche su suggerimenti degli economisti Perotti e Giavazzi dell’Università privata Bocconi. Perotti ha scritto un libro, L’università truccata, in perfetta sintonia con il governo, del quale è l’unico fondamento teorico. Egli, con una operazione spregiudicata in cui utilizza numeri che stimano la produzione del sistema di ricerca italiano ma non la sua produttività, tende a screditare il nostro sistema di ricerca manipolando i numeri tanto da sembrare lo sprovveduto che non è. Il solo modo di operare sui dati della ricerca è stato quello di  Ugo Amaldi che con aritmetica elementare ha mostrato che l’operazione di Perotti è funzionale come solo sostegno ideologico al governo (il suo libro è uscito per la casa editrice Einaudi del Presidente del Consiglio il 30 settembre)(21). Giavazzi, l’editorialista del Corriere della Sera, ha invece suggerito con estrema chiarezza a Gelmini e Tremonti il DL 180 dalle pagine di quel giornale il 3 e 5 novembre(22)  affermando che tutti i concorsi sono truccati (meno quello che lo ha riguardato). Garavaglia, ministro ombra del PD per la scuola, e Modica, responsabile università del PD, in un articolo sullo stesso Corriere del 5 novembre, Concorsi, sì a nuove regole. Bene i segnali del governo(23), mostrando apprezzamento per le indicazioni di Giavazzi, gli hanno fornito alcuni consigli tecnici dei quali è stato fatto un uso parziale.

        Nel Decreto 180 ci si rifà ancora ad una delle leggi Bassanini (449/97) per non permettere più assunzioni e non assegnare più fondi a quelle Università che eccedano per spese fisse il 90% di quanto gli assegna lo Stato (nessun riferimento alla qualità). E’ opportuno osservare che con i tagli ai finanziamenti e con questa norma sempre presente, presto molte università, anche se al momento virtuose, rischieranno la chiusura. Si fissano alcune norme per i concorsi universitari e per la valutazione per il reclutamento dei ricercatori che mantengono le cose come stanno in termini di possibilità di pilotare i concorsi da parte delle deprecate baronie. Giuliano Cazzola del Pdl ha detto che: Si complicano le procedure senza mutarne la sostanza. A partire dall’anno 2009 il 7% dei fondi assegnati all’Università andrà per sostenere l’efficacia e l’efficienza della ricerca e dell’offerta formativa con criteri che la Gelmini fisserà entro il 2008. Si stanziano dei fondi per il diritto allo studio. Ma si individua un nemico nell’università, il povero studente fuoricorso. Vi è nelle Linee Guida il progetto di aumentare loro le tasse universitarie e la cosa sarà realizzata in un disegno di legge organico di riforma. In una Italia dove nel 2006 il 66% dei 271.115 laureati era fuori corso, dove da almeno dieci anni non si hanno agevolazioni per gli studenti lavoratori, dove il lavoro giovanile è precario e al nero, dove lo studente fuori sede ha spese ingenti e dove il diritto allo studio non è mai realmente esistito, Gelmini individua i nemici nei fuoricorso, in quegli studenti che hanno scambiato l’università per un parcheggio. Stessa opinione dovrà avere per i precari che, pur avendo titoli maturati da anni e concorsi già vinti, chissà perché, vengono considerati come dei postulanti e comunque tali da non essere neppure presi in considerazione.

            Questo è l’ultimo decreto ma l’Università resta colpita dall’articolo citato della finanziaria che la riguarda il quale prevede chedall’attuazione […] del presente articolo, devono derivare per il bilancio dello Stato economie lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per l’anno 2009, a 1.650 milioni di euro per l’anno 2010, a 2.538 milioni di euro per l’anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012. Un totale cioè di 7 miliardi ed 832 milioni di euro dei quali, in modo ancora non definito, 1 miliardo e 800 milioni saranno a carico dell’Università (lo sanno i legislatori che in Italia la ricerca è quasi tutta fatta nell’Università e che se si tagliano i fondi a quest’ultima si uccide la ricerca ? Forse si, ma la cosa non li interessa). I provvedimenti del governo, rintracciabili negli articoli 16 e 66 della finanziaria (Legge 133/08), con l’assenso del ministro ombra del PD, la teodem Garavaglia che, dopo aver sostenuto su AprileOnLine.info del 4 novembre(24) che al PD le Fondazioni vanno bene a patto che si diano loro adeguati finanziamenti statali (sic), incontratasi con Gelmini, ha dato l’OK del PD, prevedono il blocco del turn over, il taglio dei finanziamenti, la trasformazione degli atenei in fondazioni private (con la conseguente sottrazione degli atenei alle regole del diritto pubblico) come dall’articolo 16 della 133 scritto dall’ex diessino ed oggi democratico Nicola Rossi. Ma il PD, tramite Garavaglia, ha difeso sia l’attacco di Gelmini all’autonomia dell’università che allo stato giuridico dei docenti, affermando sul Sole 24 ORE (24 luglio) che le proposte Gelmini sono insufficienti perché non bastano le fondazioni per sbarazzarsi degli organi accademici. E, con l’accordo del PD, sparisce circa il 25% del FFO entro il 2012  ma, in compenso, anche in finanziaria spuntano conflitti d’interesse, infatti al fine di sbaragliare tutti i favoritismi e le clientele, vengono trasferite  risorse alla fondazione IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova il cui presidente è dal dicembre 2005 Vittorio Grilli che dalla stessa data è anche direttore generale del Tesoro, al ministero  dell’Economia e della Finanze. Ricordo che questo ITT nacque su spinta Moratti per accogliere i cervelli fuggiti e che nonostante la montagna di soldi che gli è arrivata non risulta abbia messo in piedi qualche ricerca di rilievo. Di fondi per la ricerca neanche a parlarne. Solo tagli sul già da molti anni tagliato. La formazione di un ricercatore costa allo Stato 250 milioni. Noi li formiamo e li facciamo emigrare (solo il CNRS, l’analogo francese del CNR, ha in ruolo il 50% di ricercatori italiani). Geniale !

Chiunque sappia di ricerca sa che questi tagli suonano come la fine dell’università e della ricerca pubbliche. Se la cosa si realizzasse occorrerebbe passare a finanziamenti privati (fondazioni) con contributi pubblici (alle fondazioni). E chi sta operando per realizzare questo fine mostra totale ignoranza delle dinamiche che fanno crescere la sana economia, lo sviluppo e la conoscenza. Al solito, in questo Paese, usiamo bistrattare i Galileo, i Fermi, i Dulbecco, le Montalcini, gli Ippolito, i Marotta, i Maiani. Mentre abbiamo persone senza pubblicazioni a capo di enti di ricerca e predicatori laici, nominati vicepresidenti dell’Euratom, che arricchirebbero l’uranio  “Just a bit”.

DUE PAROLE DI CONCLUSIONE

         La situazione sta a questo punto ma si capirebbe male se non si dicesse che quanto sta accadendo non è solo l’opera di alcuni dissennati ma rappresenta la volontà congiunta ed assestatasi in almeno 10 anni tra PD e Pdl. Basterebbe leggersi i giudizi di democratici ex diessini sulla pubblicazione Come cambia la scuola de Il Sole 24 ORE del novembre 2008. Tra tutti almeno due, l’ex ministro Berlinguer e l’ex diessino (oggi democratico) Franco Debenedetti.

         Quest’ultimo addirittura sprona il suo partito ed il governo a darsi da fare: la maggioranza deve chiedersi se vuole usare l’eccezionale situazione parlamentare per sopravvivere navigando nella crisi economica, o se vuole lasciare il segno di una riforma che incida alla radice su una delle cause strutturali dei modesti risultati di crescita del prodotto e della produttività dell’ultimo decennio. Proprio quello a gestione Berlinguer e Moratti, dico io.

         Berlinguer invece riesce sempre a stupire perché afferma che la scuola italiana deve essere cambiata radicalmente. E come ? Ma ritornando ai cicli scolastici ed in ogni caso senza dare alcun giudizio sulle operazioni Tremonti-Gelmini.

         Non è questo il solo documento che qualifica l’atteggiamento del PD e quindi dell’opposizione sulla scuola. Ad ottobre è uscita una monografia dei Quaderni Italianieuropei (Supplemento al n° 4/2008 della rivista bimestrale) dedicata alla Scuola. Vi è un’editoriale di D’Alema ed una serie di interventi dei soliti personaggi cantori dell’autonomia e dello status quo (davvero preoccupa questo andare avanti con i paraocchi come se nulla fosse accaduto). Spiccano i pedagogisti di ambedue le forze maggiori della politica. Spazio anche all’ex leader dell’associazione nazionale presidi (ANP), Giorgio Rembado. C’è poi il CIDI e fiancheggiatori vari delle riforme del centrosinistra all’origine della scuola liberista. Qualche autocritica ? Nessuna. Anzi il tutto è aperto da D’Alema che sprona ad andare avanti con la scuola dell’autonomia per tutti quei motivi che altri hanno detto, affermando che indietro non si torna e chi ci pensa è, come no, un conservatore. La scuola non deve essere vista solo come costo ma come valore d’investimento e qui siamo d’accordo. Quando poi D’Alema parla della efficienza ed efficacia del momento educativo, non lo siamo più perché la scuola non è una merce, la bottega sotto casa.

         Basta infine leggersi tutti di documenti del PD che hanno a che fare con la scuola per capire che c’è una unità d’intenti con le scelte di questo governo.

***

         Siamo dunque in una situazione grave perché non vi sono forze politiche che offrano alternative vere, complete e ragionate. Ma forse il problema risiede nella necessità di ricambio nel personale politico che oggi non sembra all’altezza (soprattutto culturale) di questo compito sommamente difficile. Vi è da dire, ad evitare i soliti guardoni del dito e non della Luna, che l’università va riformata ma proprio e solo là dove vi sono abusi. E gli abusi non sono certo di precari, ricercatori, associati eccetera che sono invece i più colpiti anche con una pesante riduzione salariale. I concorsi, il proliferare di cattedre inutili, di facoltà di comodo, gli sprechi, i nepotismi, … tutto ciò che non va deve essere cambiato anche con durezza. Ma solo questi devono essere gli obiettivi e non, utilizzandoli come alibi, l’attacco generalizzato al fine, neppure nascosto, di privatizzare. Se si legge con attenzione il Decreto 180 si scopre che si intende operare in modo opposto a quanto annunciato: non si toccano i baroni ma si accresce il loro potere rendendo difficili gli avanzamenti di carriera degli altri ed impedendo l’ingresso di nuovi ricercatori. Ai Perotti e Giavazzi, ad esempio, occorrerebbe ricordare che in Europa vi sono facoltà pubbliche di economia molto più prestigiose della privata Bocconi.

Chi sta giustamente protestando, se non si fa parte propositiva di norme e regole senza perdersi d’animo di fronte ai muri di gomma bipartizan, rischia un gigantesco gioco dell’oca che non conviene a nessuno. Sul diritto allo studio, sul caro libri e sulle mense nacque il 68. Poi vi furono varie provocazioni, poi si capì che l’allora opposizione non era un riferimento, poi l’allora opposizione divenne acerrima nemica, poi il movimento cambiò natura. E da lì tutto ciò che chi ha vissuto quegli anni può raccontare in un diario ancora non scritto e che per molti versi non vorrebbe vedere ripetersi gli episodi delle sue fasi finali.

Roberto Renzetti    (20 novembre 2008)   


NOTE

(1) Grembiule, costo libri, quasi tutti i fondi servono per pagare gli stipendi, bocciatura con un voto di condotta … Di queste cose non parlo perché i provvedimenti presi e le critiche fatte mostrano la non conoscenza della scuola.

A proposito della proliferazione di università e sedi distaccate, il senatore del neonato Regno d’Italia, il fisico Carlo Matteucci al quale si deve l’adozione di un unico regolamento universitario e l’unificazione dei programmi d’esame nelle varie università italiane del 1862, presentò nel 1861 un progetto di legge per far piazza pulita di molti centri universitari «creati in ogni Stato della penisola in concorrenza gli uni con gli altri, con la conseguente dispersione degli uomini migliori, e nella ricerca di originalità nelle forme di organizzazione, il difetto principale delle istituzioni universitarie italiane». Naturalmente non vi riuscì e sconsolatamente Correnti, uno dei successori di Matteucci, commentò che in Italia è stato infinitamente più facile sopprimere capitali che traslocare una università. Quando infine si dice che il numero di studenti frequentanti un dato corso o un dato istituto o una data facoltà che determinerebbe la sua ulteriore esistenza o no, ricordo solo che nel 1926, quando Fermi vinse la cattedra a Roma, l’Istituto di fisica di Via Panisperna aveva 12 studenti sui 4 anni di corso. Non si deve mai confondere la qualità con la quantità come meschini bottegai. 

(2) art. 193-bis del DL 297/1974. http://www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/tu10.html Dal sito http://www.edscuola.it/archivio/riforme.html  , salvo avviso contrario, ho tratto tutte le leggi che citerò.

(3) Ho trattato questo argomento, insieme a tutte le implicazioni internazionali, in un precedente articolo: Le mani sulla scuola, pubblicato su il Giornale di Storia Contemporanea, VII, n°2, dicembre 2004. Nel seguito lo avrò come riferimento continuo perché vi è tutta la storia che documenta gli interessi economici privati che hanno iniziato a costruirsi sul possibile grande affare scuola: 2000 miliardi di dollari l’investimento per la scuola nel mondo; 1000 miliardi negli Stati membri con circa 4 milioni di insegnanti, 80 milioni di studenti, 315 mila istituti e 5 mila università (indagine OCSE 1998). Su questi affari si sono mossi gli imprenditori che hanno attivato i referenti politici a livello UE. Dal 1986 l’affare ha assunto aspetti mondiali con la nascita del World Trade Organization (WTO) che ha inglobato GATT e OCSE (Organisation for Economic Cooperation and Development) ed ha creato il General Agreement on Trade in Services (Gats) proprio al fine di acquisire ai privati ogni servizio pubblico (sanità, acqua, scuole, …). Il Gats è il più grande pericolo per la democrazia e per ogni conquista sociale. L’OCSE oggi lavora per il Gats, per il WTO e per la Banca Mondiale. Negli scopi dell’OCSE vi è la promozione del commercio e per i propri scopi ha bisogno di creare nei vari Paesi industrializzati del mondo il migliore ed uniforme clima perché vi possano operare le varie multinazionali in clima di flessibilità che dovrebbe loro permettere l’abbandono di un Paese quando esso non sia più vantaggioso economicamente ed il trasferimento in un altro equivalente per strutture e servizi (tra cui primeggia la scuola). Ed è l’OCSE che fa le indagini P.I.S.A. (Programme for International Students Assessment) delle quali parlerò nel testo.

Ultimo cenno va fatto alla Conferenza di Lisbona 2000. E’ lì che i Paesi della UE si danno i tempi per liberalizzare la Scuola ed avviarla alla privatizzazione. A tal fine si può vedere: Nico Hirt, L’Europa, la scuola, il profitto, Educazione e Scuola, http://www.fisicamente.net/SCUOLA/index-449.htm . Si tenga infine conto che la prima ricaduta di Lisbona 2000 è stata la Direttiva Bolkestein, approvata all’unanimità dalla Commissione Europea sotto la Presidenza Prodi il 13 gennaio 2004, che mira a rendere operativo l’articolo 50 del Trattato istitutivo della UE e cioè rendere privatizzabili “tutti i servizi che rappresentano un’attività economica”, dalla sanità all’istruzione, dalla gestione dei rifiuti alla distribuzione dell’acqua, escludendo solo quelli erogati dallo Stato gratuitamente e in regime di monopolio (le poche tasse pagate per la scuola e la legge di parità scolastica rendono la scuola privatizzabile).

(4) Nel libro bianco della UE del 1995 si legge:

Il rapporto della Tavola Rotonda Europea degli industriali ha insistito sulla necessità di una formazione continua polivalente (…) incitando ad imparare ad imparare nel corso di tutta la vita [long life learning] …[e quindi] una iniziazione generalizzata alle tecnologie dell’informazione è diventata una necessità. Mentre l’OCSE (OCDE) scrive: l’apprendimento continuo […] riposa sull’idea che la preparazione alla vita attiva non può più essere considerata come definitiva e che i lavoratori devono seguire una formazione continua durante la vita professionale per poter restare produttivi e impiegabili con l’avvertenza però che l’apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere assicurato da ‘prestatori di servizi educativi’ con la coscienza che occorrerà portarsi dietro, fino alla loro estinzione, gli insegnanti residuali (sic). [OCDE, Politiques du marché du travail: nouveaux défis. Apprendre à tout âge pour rester employable durant toute la vie. Réunion du Comité de l’emploi, du travail et des affaires sociales au Château de la Muette, Paris, 14-15 octobre 1997, OCDE/GD(97)162] e che serve un maggiore impegno da parte  degli studenti nel finanziamento di gran parte dei costi della propria istruzione [OCSE, Internationalisation of Higher Education, Paris, 1996]. Ed aggiunge: il sistema scolastico deve sforzarsi per ridurre i propri tempi di risposta utilizzando formule  più flessibili della funzione pubblica, per creare o chiudere sezioni tecniche o professionali, utilizzare personale competente, o disporre delle strutture necessarie [OCDE, Analyse des politiques d’éducation, 1998]

(5) Appunti per una storia critica della scuola. Parte 3: Dalla Riforma liberista di Berlinguer alla gestione Moratti pubblicato in http://www.fisicamente.net/SCUOLA/index-891.htm

(6) Il laboratorio della Riforma: Autonomia, Competenze, Curricoli, Convegno di Frascati, 1999. http://www.annaliistruzione.it/riviste/annali/pdf/DOSAPI1.pdf 

(7) Università di Castel Sant’Angelo dell’Unla (Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo) http://www.larena.it/storico/20051115/nazionale/F.htm

(8) Dix années de réformes  au niveau de l’enseignement obligatoire dans l’union europénne (1984-1994)Bruxelles, EURYDICE, 1997.

(9) La UIL scuola ha fatto uno studio sulla decrescita costante dei finanziamenti alla scuola che si può trovare in: http://www.uilscuola.it/uilscuola/web/notizie/ricerche/ricerca_2004/scheda_08_2004.pdf

(10) DM 261/98 e DM 279/99.  http://www.pubblica.istruzione.it/news/1999/ddm261_279_99.shtml

(11) Legge 425/1997.  http://www.parlamento.it/leggi/97425l.htm

(12) Legge 30/2000. DM 15 giugno 2000  per la nomina di una Commissione, costituita da personalità dei due schieramenti politici, per riordinare i cicli. Documento Riforma Cicli 09/00, un vero compendio del pedagogese inutile, paralizzante, presuntuoso di conoscere tutte le discipline e quindi distruttivo. Documento di Sintesi dei gruppi di lavoro 11/00. Nuovi curricoli per la scuola dell’infanzia e di base 02/01. DM 18/07/01, DM 08/08/01, DM 31/08/01.

(13) Regolamento, recante norme in materia di curricoli della scuola di base, ai sensi dell’articolo 8 del Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275.

(14) DM 509/99. Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei. http://www.miur.it/0006Menu_C/0012Docume/0098Normat/2088Regola.htm . Questa riforma non è stata mai discussa in Parlamento ed è stata approvata di soppiatto tra le maglie della finanziaria 1998. Il precedente più importante di tale riforma fu la legge 341 del 1990 del ministro socialista Ruberti (seguita dalla 537/93), Riforma degli ordinamenti didattici universitari, che introdusse i diplomi universitari, la progressiva riduzione dei fondi statali per il funzionamento degli atenei, il principio della competizione fra corsi di laurea per la sopravvivenza e lo sviluppo del proprio patrimonio didattico e di ricerca ed aprì la strada all’autonomia didattica degli atenei ed all’introduzione del numero chiuso. Fu contro questa riforma che nacque (ed ebbe vita breve) il movimento studentesco della Pantera.

(15) Per iniziare ad orientarsi in questo dedalo di norme mai troppo chiare si può iniziare da: Legge 196/77; Legge 845/78; Dlgs 281/97, art. 8; DM 250/97; Legge 144/99; D.P.R 275/99; Dlgs 300/99, art. 88; Legge 40/07. Si sono poi avute varie Conferenze Stato Regioni tra le quali merita attenzione  quella del 18 febbraio 2000.

(16) http://www.fisicamente.net/SCUOLA/index-88.htm

(17) Legge 290/02. http://www.parlamento.it/leggi/02290l.htm  

(18) Si veda: In dieci punti la strategia del MIUR dopo l’indagine PISA-OCSE che vede gli studenti italiani agli ultimi posti nelle competenze di base, in http://www.fisicamente.net/SCUOLA/index-900.htm . A questo indirizzo vi è anche il capitolo del libro Esami delle politiche nazionali dell’Istruzione/Italia (Armando Editore 1997), in cui vi è il documento OCSE citato all’inizio del paragrafo che si occupa delle prove PISA.

(19) Riporto alcune perle del sociologo Morin per giustificare il mio giudizio. Per Morin

 l’universo iniziò con una catastrofe iniziale e questo solo fatto scalza dalle fondamenta l’antica visione deterministica del mondo, che era di ghiaccio e non di fuoco. Questa spiegazione del mondo viene illustrata così: All’origine generatrice della cosmogenesi si trova il disordine nella sua forma di evento, di rottura – la catastrofe – e nella sua forma energetica – il calore. In seguito i disordini si sono moltiplicati, nel e per mezzo del disordine delle trasformazioni, e le trasformazioni del disordine, nella e per mezzo dell’ineguaglianza dello sviluppo: il disordine  dei disordini è diventato cosmogenico. […] Occorre cambiare il mondo. L’universo ereditato da Keplero, Galileo, Copernico, Newton, Laplace era un universo freddo, gelato, di sfere celesti, di movimenti perpetui, d’ordine impeccabile, di misura, d’equilibrio. Dobbiamo barattarlo con un universo caldo, composto da una nube ardente, da sfere di fuoco, da movimenti irreversibili, da ordine mischiato al disordine, da spesa, spreco, squilibrio (…). Il nuovo universo non è razionale, ma il vecchio lo era di meno. (…) Come non aver capito che l’ordine puro è la peggiore follia che esista, quella dell’astrazione, e la peggiore morte che esista, quella che non ha mai conosciuto la vita ? […] Galileo, nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, non fornisce una parola di spiegazione su ciò che intende per sistema.

E quest’ultima frase spiega come mai Morin sia un’icona di Ceruti e  Fioroni (con il centrosinistra silente).

(20) Dlgs 112/08 http://www.camera.it/parlam/leggi/decreti/08112d.htm. Tale Decreto è stato convertito nella Legge 133/08.

(21) Il lavoro di Ugo Amaldi, La ricerca italiana di punta produce risultati più citati internazionalmente di quella americana, francese, tedesca e giapponese, si può trovare nel sito dei precari dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) http://www.buconero.eu/2008/11/il-prof-ugo-amaldi-sulla-ricerca-italiana/. Si tratta di un documento in cui Amaldi cita e commenta un lungo articolo di Sir David King, consigliere scientifico di BlairThe scientific impact of Nations  (Vol. 430, 311-316; 2004), pubblicato su una delle riviste scientifiche più autorevoli al mondo, Nature. Riporto la sostanza del lavoro:

In questo periodo la ricerca italiana è denigrata da (quasi) tutti senza tener alcun conto del fatto che i finanziamenti annuali e il numero di ricercatori sono in Italia molto inferiori a quelli degli altri paesi sviluppati. [Dall’articolo] si deduce – con semplici operazioni di divisione – che questi (pre)giudizi non hanno alcun fondamento. La Tabella 3 [per vedere le tabelle, andare al link proposto] di questo articolo mostra che l’Italia ha la metà dei ricercatori della Francia e del Regno Unito, nonostante le popolazioni siano uguali. Il numero di dottorati di ricerca è addirittura tre volte inferiore. La novità dell’articolo sta nella Tabella 1, che contiene il numero degli articoli scientifici che sono stati più citati negli anni 1997-2001. Il criterio scelto per definire i lavori “più citati” è molto restrittivo: si tratta della fascia che contiene soltanto l’1% degli articoli che hanno ricevuto citazioni in ogni campo sia di scienza che di ingegneria considerato separatamente. Non si privilegia così alcun settore della ricerca. Questa valutazione è stata fatta dal Thomson Institue for Scientific Information analizzando 8000 riviste pubblicate in 36 lingue. I risultati, riportati nella Tabella 1, mostrano che, per numero di articoli scientifici molto citati, l’Italia sta al settimo posto dopo gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania, il Giappone, la Francia e il Canada. Ma il confronto non è corretto, perché non soltanto l’Italia ha molti meno ricercatori per milione di abitanti; anche l’investimento per ricerca e sviluppo, come tutti sanno, è l’1% del Prodotto Nazionale Lordo, mentre la Francia e la Germania investono quasi tre volte di più. Bisogna invece dividere i numeri della Tabella 1 per quelli della Tabella 3. Cosí si vede che l’Italia della scienza e dell’ingegneria di punta supera, nell’ordine, gli Stati Uniti, la Francia, la Germania e il Giappone. In conclusione, i nostri pochi fondi sono bene investiti e i caposcuola esistono.

Ginevra, 30 ottobre 2008

Ugo Amaldi

Perotti evita di parlare di rapporto tra risultati e soldi investiti nella ricerca.
Egli fornisce più volte dei valori che stimano la produzione del sistema di ricerca italiano, ma mai la produttività. Si occupa cioè del valori assoluti prescindendo dai finanziamenti e del numero di ricercatori. Eppure bastava una divisione. Ma questo non è l’unico errore di Perotti nel suo pamphlet. Quello più importante è comunque più generale e legato alla filosofia di fondo degli economisti liberisti che confondono la quantità della spesa con la sua qualità arrivando a crisi di sistema come quelle che viviamo e per le quali non sono neppure pentiti.

(22) L’articolo di Francesco Gavazzi del 3 novembre, Tre segnali da dare in una settimana, si può leggere in http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2008/11/03SIP1319.PDF .

Quello del 5 novembre  Ma il Pd ora si impegni per favorire un rinvio, in
 http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2008/11/05SIP3005.PDF

Si può riassumere in breve nel modo seguente: già vi sono dei concorsi banditi con le regole attualmente in vigore. Giavazzi chiedeva (e non ha ottenuto dal DL 180) che vengano annullati e rifatti con nuove regole. Modica e Garavaglia osservavano amichevolmente che un fatto così si sarebbe prestato ad un infinito contenzioso. Giavazzi ha insistito con il seguente articolo ed è stato ubbidito. Il fatto è che i concorsi a ricercatore vanno così dal 1980 e quelli ad ordinario ed associato dal 1997 e sono stati sponsorizzati anche da colleghi di Giavazzi. E’ possibile accorgersi di tale supposto scempio dopo tanti anni ? E dopo che lo scempio del 1997 era stato esaltato sullo stesso Corriere da: Di Rienzo, Eco, Panebianco, Schiavone, Pera ? 

(23) Si veda http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2008/11/05SIP3004.PDF

(24) http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=9717 . Quanto sostiene Garavaglia è in linea con il programma elettorale del PD che si può leggere in http://www.expobg.it/modules/mylinks/visit.php?cid=1&lid=274



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