LEONARDO DA VINCI TECNICO,  INGEGNERE, SCIENZIATO 1

Roberto Renzetti

(Marzo 2009)

PARTE I: VITA DI LEONARDO

Acquista cose nella tua gioventù, che ristori il danno della tua vecchiezza. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoprati in tal modo in gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento.

Leonardo

PAGINE DELLA VITA DI LEONARDO

I PRIMI ANNI A FIRENZE

        Leonardo da Vinci (1452-1519) è un  personaggio troppo noto per la sua universalità e poliedricità. Pretendere di dire qualcosa di nuovo è davvero troppo, ma forse è possibile indagare la parte meno trattata del suo lavoro, quella un poco più specialistica di tecnico, ingegnere e scienziato cercando, dove possibile, le fonti delle sue creazioni. Non mi occuperò di Leonardo pittore, scultore, architetto, anatomista, letterato e musicista perché non ne ho le competenze e perché, credo, è la parte più trattata della sua opera e comunque la più disponibile nelle più diverse pubblicazioni.

Casa natale di Leonardo

       Leonardo di Ser Piero da Vinci, notaio, nacque illegittimo ad Anchiano frazione di Vinci, un paese vicino Firenze, nel 1452. Le poche notizie che abbiamo della giovinezza di Leonardo provengono dal catasto di Vinci, da vari documenti dell’epoca, da una biografia, non sempre attendibile, che l’architetto e storico dell’arte toscano Giorgio Vasari (1511-1574) scrisse nelle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri e da altra biografia, anch’essa senza troppi riscontri, Anonimo Gaddiano (o Magliabechiano) del 1542. Quando Leonardo aveva poco più di 10 anni fu portato dal padre a Firenze al fine di far vedere dei suoi disegni all’amico Andrea del Verrocchio, che aveva una bottega, con enorme prestigio pari solo a quella del Pollaiolo, nella quale erano passati personaggi come Botticelli, Ghirlandaio e Perugino. Nel 1468, quando Leonardo aveva 17 anni ereditò, insieme ad altri familiari, i beni del nonno Antonio, anch’egli notaio. Nel 1469, quando da poco Lorenzo il Magnifico (1449-1492) era diventato  Signore di Firenze, il padre di Leonardo, Piero, andò ad esercitare la professione di notaio a Firenze  ed a quell’anno risale l’inizio dell’apprendistato di Leonardo presso il Verrocchio nella bottega del quale resterà fino al 1476. Il suo nome compare per la prima volta in un libro dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze in cui si dice che è debitore delle quote da pagare per l’iscrizione alla Compagnia dei pittori di San Luca: Lyonardo di ser Piero da Vinci dipintore de’ dare per tutto giugnio 1472 sol. sei per la gratia fatta di ogni suo debito avessi coll’Arte per insino a dì primo di luglio 1472 […] e de’ dare per tutto novembre 1472 sol. 5 per la sua posta fatta a dì 18 octobre 1472.

        Qualunque altro studio Leonardo possa aver fatto, la formazione nella bottega delle arti meccaniche(1) fu fondamentale. Le botteghe artigiane come quella del Verrocchio ebbero il ruolo di motori razionalizzatori di ogni attività e conoscenza tecnico scientifica che si era accumulata fino al momento. In quell’ambiente non si lavorava solo nelle arti in senso classico come la pittura e la scultura. Si effettuavano lavorazioni di metalli, con ogni pratica connessa come la fusione e la laminatura. Si facevano lavori di oreficeria, di incisione, si lavoravano il cuoio con la sua concia, il legno, le pietre preziose, si preparavano colori e vernici, … Per entrare in qualunque attività della bottega occorreva avere conoscenze teoriche, anche elementari, di meccanica e di chimica. Da un poco di tempo, con l’introduzione della prospettiva nel disegno, nella pittura e nella progettazione architettonica, era entrata con prepotenza anche la geometria, un elemento scientifico che richiedeva studi teorici più impegnativi e che introduceva nella rappresentazione prospettica dei corpi uno studio approfondito delle proporzioni unito a quello dell’anatomia. L’ammissione quindi in tali botteghe era il riconoscimento delle capacità necessarie per poter affrontare un complesso di problemi per loro natura completamente interdisciplinari.

        La sua prima produzione artistica nota è un disegno del 1473 (una veduta dall’alto della Valle dell’Arno) ed il suo primo incarico pubblico per dipingere una pala nella cappella di San Bernardo nel Palazzo della Signoria è del 1478, ma tale tipo di produzione fu scarsa (almeno rispetto alla produzione di altri artisti)  perché Leonardo era molto più affascinato da attività di tipo tecnico. Le due opere più famose (ed incompiute) di questo periodo fiorentino di Leonardo sono l’Adorazione dei Magi (1480) ed il San Girolamo (1481). Sappiamo di un suo primo lavoro di ingegneria nel 1478: egli si offrì di sollevare, senza che andasse distrutta, la chiesa ottagonale di San Giovanni in Firenze, il battistero, al fine di aggiungersi un basamento a gradini. Sappiamo comunque poco di lui fino al 1482. Immaginiamo e conosciamo da quanto lasciato scritto da Leonardo e per ciò che sappiamo realizzato da lui in epoca posteriore che deve aver letto e studiato con la massima curiosità ed attenzione molte opere che, in quell’epoca in cui la stampa iniziava a dare i suoi frutti, venivano pubblicate: il De re militari di Roberto Valturio del 1472, la Naturalis historia di Plinio il Vecchio edita a Firenze nel 1476, il De omnibus agriculturae partibus et de plantarum et animalium generibus dell’agronomo Pietro de’ Crescenzi pubblicato a Firenze nel 1478, la Sfera di Sacrobosco pubblicata a Ferrara nel 1472, il  De aquaeductibus di Frontino stampato a Roma nel 1480.

L’adorazione dei Magi (Uffizi)

San Girolamo (Musei Vaticani)

        Insieme a queste pubblicazioni vi era una fioritura di altre opere, quelle classiche, provenienti da Costantinopoli. Oltre quelle che erano arrivate a partire dalla metà del Trecento, ne arrivarono in numero maggiore nel Quattrocento. Racconta Lucio Russo che solo il mercante Giovanni Aurispa portò 238 manoscritti nel 1423. Il mercato era sempre più lucroso e si realizzarono appositi viaggi per trafficare in manoscritti dell’età classica. Russo aggiunge poi:

Gli intellettuali rinascimentali non erano in grado di capire le teorie scientifiche ellenistiche, ma, come bambini intelligenti e curiosi che entrano per la prima volta in una biblioteca, erano attratti da singoli risultati e in particolare da quelli illustrati nei manoscritti con disegni, come le dissezioni anatomiche, la prospettiva, gli ingranaggi, le macchine pneumatiche, la fusione di grosse opere in bronzo, le macchine belliche, l’idraulica, gli automi, la ritrattistica “psicologica”, la costruzione di strumenti musicali.
Il più famoso tra gli intellettuali attratti da tutte queste “novità” è Leonardo da Vinci, che non solo si interessò a tutti gli argomenti prima elencati, ma ne fu anche indotto a tentare (senza successo, per la verità) lo studio delle opere di Archimede. Risultati molto migliori egli li ebbe mettendo in pratica alcune delle idee contenute nelle antiche opere, soprattutto quando poteva usare le sue straordinarie doti di osservatore e pittore: ad esempio tentando di recuperare l’anatomia con la dissezione di cadaveri e compiendo osservazioni nel campo dell’idraulica. 
Da tempo Leonardo non ci appare più isolato, ma si è riusciti a inquadrarlo come il più rilevante esponente di un ambiente in cui da tempo si condividevano gli stessi interessi, si guardavano gli stessi libri e si realizzavano disegni analoghi. Molti degli interessi tecnologici di Leonardo erano stati condivisi, nella prima metà del secolo XV, da Mariano Taccola, molto interessato, in particolare, alle opere di pneumatica e tecnologia militare di Filone di Bisanzio. Alla stessa epoca risale quella che probabilmente è la prima traduzione di un’opera scientifica in una lingua europea moderna: la traduzione italiana della Pneumatica di Filone di Bisanzio contenuta nella prima parte del manoscritto anonimo Macchine idrauliche, di guerra, etc. Alla seconda metà del secolo risale il Trattato di architettura, ingegneria e arte militare di Francesco di Giorgio Martini, nel quale si possono vedere disegni di ruote idrauliche alimentate da condotte forzate, pompe aspiranti e prementi, viti senza fine, meccanismi a cremagliera, molti altri elementi della tecnologia ellenistica e anche un carro dotato di sterzo.

        Su questi argomenti tornerò più oltre, quando andremo a vedere l’ambiente culturale della fine del Quattrocento e degli inizi del Cinquecento, proseguiamo ora  a delineare gli episodi salienti della vita di Leonardo che, nel 1482, troviamo a Milano. Sul finire del 1481, infatti, il Verrocchio aveva chiuso la sua bottega in Firenze per aver avuto già dal 1479, una grande commessa dal Senato della Repubblica di Venezia, la statua equestre di Bartolomeo Colleoni. Anche gli altri due discepoli di gran riguardo, Botticelli e Perugino, se ne erano andati da Firenze perché assunti a Roma da Papa Sisto IV per decorare la Cappella Sistina.

GLI ANNI MILANESI

        Secondo Anonimo Gaddiano, Leonardo si era recato in quella città su mandato dell’alleato Lorenzo il Magnifico per donare al Duca di Milano, il tredicenne Gian Galeazzo Maria Sforza (con Ludovico Sforza, detto il Moro per l’albero di gelsi che aveva nello stemma, come reggente), uno strumento musicale particolare, una lira a 24 corde in argento ed a forma di teschio di cavallo, da lui stesso disegnata e realizzata e che solo lui sapeva suonare. L’andar via da Firenze gli pesò molto anche se non si sa bene perché lo fece, probabilmente perché, dal 1480 non conviveva più con il padre che lo manteneva, perché era sorto qualche problema con le opere pittoriche che gli commissionavano e che non portava a termine, per non essere troppo ben visto dal Magnifico per il suo non apprezzare troppo le arti pittoriche. In seguito ebbe modo di dire che li Medici mi creorono e mi destrussero. Ma sulla sua avversione per le lettere e le vacue arti ci sono cose importanti da dire seguendo un’indagine molto accurata di Eugenio Garin.

        Firenze era una città dove la cultura era molto diffusa. La città era piena di dotti e di sapienti, saturi di una cultura raffinatissima (parlerò oltre dei Ficino dei Poliziano ed altri) esibita dovunque. Leonardo, che amava mettere le mani, sporcarsele, interveniva con disdegno ed umiltà porgendo una cultura differente, l’inizio del superamento dell’Umanesimo. L’uomo di Leonardo è l’artista che è innanzitutto artigiano. E’ meccanico prima che uomo di cultura. Eppure questo artista ha di fronte dotti di scuole di pensiero e raffinati dicitori di corte. L’arte avanza nella società come sviluppo di tecniche e questa parte fatica a trovare spazi colti, ad affermarsi con la sua pari dignità. Leonardo è uno di coloro che tentano di divincolarsi da questa stretta parteggiando, lui che poteva egregiamente, verso la parte più sacrificata tentando di mostrarne tutte le potenzialità. E’ una sorta di protesta pratica contro le disquisizioni scolastiche che l’Umanesimo aveva inserito nei suoi dibattiti colti, ancorché laici. Garin scrive in proposito:

Di continuo Leonardo batte sul senso, sull’esperienza, sulla .mano, sull’opera, sulla macchina, sull’artifizio, contro le parole vane, i discorsi vuoti, i ragionamenti astratti, i libri pieni di vento, le pseudoscienze, le pseudofilosofie, e il gridare, quel clamore delle dispute senza fine che non raggiungono mai la pace silenziosa delle conclusioni vere. «E veramente accade che sempre dove manca la ragione suppliscono le grida, la qual cosa non accade nelle cose certe. Per questo diremo che dove si grida non è vera scienza, perché la verità ha un sol termine, il quale essendo pubblicato, il litigio resta in eterno distrutto, e s’esso litigio resurge, ella è bugiarda e confusa scienza, e non certezza rinata».
C’è qui in Leonardo una sfida aperta e dura a tutto un mondo, che aveva in qualche modo fatto centro nella disputa, nelle questioni, nei dibattiti di parole; dove la vittoria era, non nella prova sperimentale e matematica, ma nella maestria dialettica. «Le vere scienze son quelle che la sperienza ha fatto penetrare fra i sensi, e posto silenzio alla lingua de litiganti, e che non pasce di sogni i suoi investigatori, ma sempre sopra i primi veri e noti principi procede successivamente e con vere seguenze insino al fine, come si dimostra nelle prime matematiche cioè numero e misura, dette aritmetica e geometria, che trattano con somma verità della quantità discontinua e continua. Qui non si arguirà che due tre facciano più o men che sei né che un triangolo abbia i suoi angoli minori di due angoli retti, ma con eterno silenzio resta distrutta ogni arguizione, e con pace sono finite dal loro devoti, il che far non possono le bugiarde scienze mentali» (Trattata di pittura, 29).
Ma alla ribellione contro le scienze mentali contro un filosofare fatto di grandi questioni, «come dell’essenzia di Dio e dell’anima e simili, per le quali sempre si disputa e si contende», fra devoti di opposte parole, Leonardo unisce un’altra protesta: quella contro il sapere contemplante che non si sporca le mani, che non unisce l’opera al pensiero, e non verifica il concetto con la cosa e con il lavoro che muta le cose. «E se tu dirai – grida al suo ideale interlocutore – tali scienze vere e note essere specie di meccaniche perché non si possono finire se non manualmente …. a me pare che quelle scienze sieno vane e piene di errori le quali non sono nate dall’esperienza, madre di ogni certezza, e che non terminano in nota esperienza cioè che la loro origine, o mezzo, o fine, non passa per ciascuno del cinque sensi». La mente è mediatrice strumento mirabile, se s’accompagna all’occhio e alle mani; se dalla corposa realtà, con strumenti matematici, riporta a nuova realtà che le mani dell’uomo hanno riplasmato. Ma se si isola, se si stacca, se pretende di gareggiare con Dio in solitaria contemplazione, resta sterile ed alimenta solo vuote discussioni verbali: eterno gridore.

        Pare molto chiaro ciò che Leonardo sostiene, quella dialettica mani cervello che il platonismo, ottimo arnese che giustificava e giustifica il vivere ozioso e vociante dei potenti, rifiutava. E’ la lotta per l’affermazione dell’uomo nuovo del Rinascimento, l’uomo che fabbrica con le sue mani gli oggetti che ha elaborato con la sua mente. E’ il rifiuto dei chiacchieroni che da secoli hanno riempito corti e sagrestie preoccupandosi solo del loro benessere. La richiesta di molto maggiori prodotti artigiani, in conseguenza delle mutate condizioni economiche a seguito della maggiore produzione agricola, l’estendersi degli scambi e dei commerci faceva emergere questo nuovo uomo che era artista-scienziato. Non sarà facile per questi personaggi acquistare posti importanti nel tessuto sociale se solo si riflette a quante traversie dovranno superare costoro per affermare almeno i loro prodotti al fine del loro semplice mantenimento. Soprattutto in Italia dove il potere ecclesiastico poteva mantenere solo chi lo contornava di lussi e splendori rinunciando a pensare ad alta voce. Prosegue Garin:

In quel cadere del secolo XV e in quell’alba del XVI, era una specie di luogo comune la celebrazione dell’uomo e della sua dignità. L’universo si raccoglie nella mente centro ideale dell’essere. C’era chi era andato più in là, e in pagine di eloquenza smagliante aveva detto che l’uomo è divino perché è libero artefice di sé, perché non è condizionato da una necessità naturale; perché la sua natura è frutto delle sue azioni. Leonardo va ancora oltre ma non si contenta di una affermazione generale – e in questo non contentarsi definisce finalmente il significato dell’attività umana e il carattere della sua opera. L’uomo insomma non si realizza né si plasma attraverso un’attività spirituale, morale. Da solo l’atto spirituale, mentale, è sterile e vano.

         A Milano Leonardo si recò accompagnato dal musicista Atalante Migliorotti e da un meccanico, Tommaso Masino di Peretola, che resterà con lui per vari anni per aiutarlo nella costruzione di macchine. Qui fu assunto da Ludovico il Moro come scultore e fonditore. Esiste in proposito una lettera di Leonardo a Ludovico il Moro sul Codice Atlantico in cui il primo si offriva al servizio del secondo per le sue differenti abilità, in massima parte di ingegnere militare e di ideatore e fabbricante di armi, quindi di ingegnere civile ed infine di scultore e fonditore:

        Avendo, Signor mio Illustrissimo, visto e considerato oramai ad sufficientia le prove di tutti quelli che si reputano maestri e compositori de instrumenti bellici, et che le inventione e operatione di dicti instrumenti non sono niente alieni dal commune uso: mi exforzerò, non derogando a nessuno altro, farmi intender da Vostra Excellentia, aprendo a quella li secreti mei, e appresso offerendoli ad omni suo piacimento in tempi opportuni operare cum effecto circa tutte quelle cose che sub brevità in parte saranno qui di sotto notate.

1. Ho modi di ponti leggierissimi e forti, e atti a portare facilissimamente, e con quelli seguire e alcuna volta fuggire li inimici, e altri securi e inoffensibili da foco e battaglia, facili e commodi da levare e ponere; e modi de ardere e disfare quelli del’ inimico.

2. So in la obsidione [assedio, ndr] di una terra toglier via l’acqua de’ fossi, e fare infiniti ponti, gatti e scale, e altri instrumenti pertinenti ad dicta espeditione.

3. Item se per altezza de argine o per fortezza di loco e di sito, non si potesse in la obsidione di una terra usare l’officio de le bombarde, ho modi di ruinare omni rocca o altra fortezza, se già non fusse fondata in su el sasso ecc.

4. Ho ancora modi de bombarde commodissime e facile a portare, e cum quelle buttare minuti saxi ad similitudine quasi di tempesta, e con il fumo di quella dando grande spavento al’inimico con grave suo danno e confusione ecc.

5. E quando accadesse essere in mare, ho modi di molti instrumenti attissimi da offender e defender, e navili che faranno resistentia al trarre de omni grossissima bombarda, e polvere e fiumi.

6. Item ho modi per cave e vie segrete e di storte, fatte sanza alcuno strepito, per venire ad uno certo e designato [luogo] ancor che bisogniasse passare sotto fossi o alcuno fiume.

7. Item farò carri coperti, securi e inoffensibili, e quali entrando intra li inimici cum sue artiglierie, non è sì grande multitudine di gente d’arme che non rompessino. E dietro a questi poteranno seguire fanterie assai, illesi e senza alcuno impedimento.

8. Item, occurrendo di bisogno, farò bombarde, mortari e passavolanti di bellissime e utili forme, fora del comune uso.

9. Dove mancassi la operatione delle bombarde, componerò briccole, mangani, trabuchi e altri instrumenti di mirabile efficacia e fora dell’usato, e insomma, secondo la varietà de’ casi, componerò varie e infinite cose da offender e di[fendere].

10. In tempo di pace credo satisfare benissimo a paragone de omni altro in architettura, in compositione di edifitii e publici e privati, e in conducer acqua da uno loco ad un altro.
Item conducerò in scultura di marmore, di bronzo e di terra, similiter in pictura, ciò che si possa fare a paragone de omni altro, e sia chi vole.
Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale e eterno onore de la felice memoria del Signor vostro padre e de la inclita Casa Sforzesca.
E se alcuna de le sopradicte cose a alcuno paressino impossibili e infactibili, me offero paratissimo a farne experimento in el parco vostro, o in qual loco piacerà a Vostr’Excellentia, a la quale umilmente quanto più posso me recomando ecc.

e studi, schizzi, abbozzi delle sue idee di questo periodo sono riportati nei fogli di Leonardo del periodo milanese. E’ una varietà molto grande di oggetti e progetti così ricordata da Bulferetti:

Accanto a «scorpioni» per lanciar sassi, «murici over triboli» [arnesi metallici a quattro o cinque punte che venivano sparsi al suolo in quantità per evitare l’avanzata dei cavalli, ndr], «cortaldi» o cannoni corti, e «serpentine», bombarde e altre artiglierie (talune anche a vapore) e modi di fonderle e leghe di metalli adatti, «zepate» o zattere per incendiare navi, barche di vimini e pelle con fondo mobile per scaricare rapidamente ghiaia sul fondo del fiume da guadare, pelli da gonfiare a fianco delle cavalcature e altri espedienti per il guado, abiti da salvataggio per tempeste marittime e per naufragio simili a giubbotti pneumatici con respiratori, modi di sentire lontano per terra e per acqua, navigli adatti a sfondare le navi con spuntoni, fuochi greci, rimedi contro il mal di mare, casse o cassoni per vuotare i porti, mezzi per desalinizzare l’acqua marina, sveglie ad acqua, legni incurvabili per umidità (cioè il legno compensato), fortificazioni e altri mezzi di difesa e di offesa «per mantenere il dono principal di natura, cioè libertà»

        Insomma, la potenza emergente del Ducato di Milano, evidente anche dall’imponente Castello Sforzesco, sembrava richiedesse armi. Le artiglierie erano diventate più potenti e questo richiedeva il cambiamento dei sistemi di difesa delle fortezze. Leonardo quindi, oltre agli strumenti di offesa più diversi (dei quali non resta documentazione scritta, a parte alcuni schizzi e disegni non spiegati, perché Leonardo li riteneva segreti militari), studiò strumenti di difesa molto articolati (camminamenti sotterranei, sistemi di scale dove il comandante potesse muoversi senza essere a tiro nemico, bastioni più resistenti, …). La maggiore difficoltà delle questioni poste imponeva che si affrontassero problemi teorici nuovi, più astratti e complessi e per ciò stesso con carattere che si distanziava sempre più da manipolazioni empiriche, pur evolute, avvicinandosi sempre più a pratiche di tipo scientifico. Basti pensare alle sollecitazioni che i fattori di scala ponevano alla statica. Raddoppiare un peso su un sostegno non sempre richiede il raddoppio del sostegno, come studierà Galileo nei Discorsi, se un cavallo raddoppiasse di dimensioni non è pensabile un cavallo che raddoppi semplicemente la ossatura. E la statica era fortemente sollecitata in ogni nuova costruzione progettata, negli archi, nel come e dove scaricano i pesi, nel come muri sostengano la terra con la complicazione della terra che si bagna, del sostegno di travi, del come debbano essere progettati a seconda che debbano lavorare in orizzontale o in verticale. E mentre Leonardo, da tecnico, progettava congegni complessi atti a sollevare pesi con carrucole, argani o gru, realizzava scale meccaniche, studiava macchine che trasportassero e scaricassero automaticamente il materiale, il Leonardo scienziato, con le letture di Aristotele e di Erone, costruiva una statica lavorando in progetti di carrucole mobili, sugli effetti dell’attrito, sulla forma delle travi, sulla loro sezione, altezza, sul materiale con cui erano fatte, dedicandosi a sperimentazioni per capire se esisteva una qualche relazione che legasse la pressione con la resistenza.

        Queste cose faceva, studiava e pensava Leonardo quando iniziò a lavorare per gli Sforza, lavoro che lo occupò per circa 20 anni, fino al 1499. Ed il primo incarico che ebbe fu una celebre pala che probabilmente, in disegno, doveva essersi portata da Firenze. Nel 1483 realizzò la Vergine delle rocce, parte centrale di un trittico destinato alla chiesa di San Francesco Grande. Il lavoro non fu pagato e dopo complicate vicende fu venduto, in epoca successiva, a Luigi XII, Re di Francia. Per la chiesa Leonardo dipinse una copia che per altre vicende andò a finire a Londra. A lato di questa sua nota attività, Leonardo lavorò facendo praticamente il factotum per Ludovico il Moro. Fu impegnato come pittore, scultore, architetto, inventore di macchine da guerra, ingegnere, idraulico, bonificatore, decoratore, organizzatore di feste e spettacoli, musico, attore, arredatore della camera del lutto per la morte della giovane moglie del Duca, Beatrice d’Este, …

La Vergine delle Rocce (Louvre)

La Vergine delle Rocce (National Gallery, Londra)

        A queste molteplici attività Leonardo aggiunse quella di urbanista a partire dal 1484 quando fu molto colpito dall’epidemia di peste che colpì la città a proposito della quale aveva scritto deplorando «tanta congregazione di popolo che a similitudine di capre l’uno addosso all’altro stanno, empiendo ogni parte di fetore … semenza di pestilente morte». Fu Leonardo per tentare risolvere tale degrado a progettare strade, a consigliare di costruire servizi pubblici e addirittura le cucine delle case.  In questo multiforme incarico spesso lavorò insieme al grande Bramante, l’architetto di Urbino, come collaboratore, amico e poi continuatore.

L’ultima cena o cenacolo (Chiesa di Santa Maria delle Grazie, Milano)       

         Ludovico fu molto grato a Leonardo per tutto ciò che aveva fatto, a cui  si era aggiunto l’affresco del Cenacolo (realizzato tra il 1495 ed il 1498)(2), e nell’aprile 1499 donava «a Leonardo vincio fiorentino pictori celeherrimo» una vigna a Porta Vercellina, vigna della quale Leonardo già godeva da anni, e gli assegnò anche una lauta pensione oltre al titolo di ingegnere camerale. Leonardo non era per nulla contento perché doveva avere molto denaro arretrato dal Duca tanto che ad un certo punto se ne era andato da Milano per un breve ritorno a Firenze. Il Duca lo richiamò perché terminasse vari lavori in sospeso. Leonardo gli scrisse (abbiamo alcune minute nel Codice Atlantico) dicendo: «Assai mi rincresce che l’avere a guadagnare il vitto m’abbi a interrompere il seguitare l’opera che già Vostra Signoria mi commise, ma spero in breve aver guadagnato tanto che potrò sadisfare ad animo riposato a Vostra Eccellenza, alla quale mi raccomando». Ritornò a Milano nel 1498 anche per la paura che altri terminassero i lavori che aveva lasciato in sospeso e rapidamente terminò il Cenacolo che aveva iniziato probabilmente nel 1495. Vi fu un’opera sempre in bilico, spesso iniziata e mai finita con grave cruccio e dispendio di denaro ed energie: il cavallo che doveva essere il basamento della statua equestre a Francesco Sforza. Fu un incarico che Ludovico dette a Leonardo ritenendolo l’unico in grado di portarlo a termine. Allo scopo Ludovico dotò Leonardo di un grande laboratorio nella Corte Vecchia con abitazione annessa. Nella parte bassa del laboratorio si sarebbe preparato il cavallo da fondere mentre in alto avrebbe potuto continuare ciò che all’epoca lo interessava di più, la macchina per volare. Comunque il cavallo era sentito  come un’incombenza ineliminabile alla quale dover far fronte. Del cavallo discuteva con Luca Pacioli, il matematico, conosciuto nel 1497, chiamato da Ludovico ad insegnare nello Studio milanese. Luca Pacioli è il matematico per la divina proportione, la sezione aurea, che Leonardo aveva imparato ad apprezzare dal 1494 quando uscì a Venezia il suo libro Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni e Proportionalità che Leonardo aveva comprato subito per 119 soldi e dal quale aveva imparato molta matematica. Leonardo stimava Pacioli e qualche anno dopo, nel 1509, illustrerà con suoi disegni di gran pregio l’altro lavoro di Pacioli,  De divina proportione un plagio quasi completo del lavoro di Piero della Francesca De quinque corporibus regularis.

Alcuni disegni di Leonardo che illustrano la Divina Proportione di Pacioli

        Con Pacioli Leonardo discusse del come applicare la divina proporzione al cavallo poiché il problema non era semplice su una mole come quella. Il cavallo infatti sarebbe dovuto essere alto 7 metri e per fonderlo sarebbero servite circa 7 tonnellate di bronzo. Elaborò disegni, pensò, cambiò, sostituì ma non veniva fuori nulla di pratico, mentre il Duca spingeva in continuazione tanto che, nel 1489, cinque anni dopo che Leonardo aveva avuto quell’incarico, scrisse a Lorenzo il Magnifico per chiedere se aveva qualcun altro a cui far fare il monumento. Questo smacco spinse Leonardo a riprendere il lavoro tralasciando le idee di perfezione. Il proposito è dell’aprile 1490 ma arrivò una nuova distrazione, dei fossili che gli portarono e che lo assorbirono completamente in studi di paleontologia. Nel 1493 era stato realizzato poco più che il modello per la fusione. Abbiamo degli schizzi nel Codice Atlantico di una probabile armatura con la quale trasportare il modello del cavallo alla fonderia, già pronto nella Corte Vecchia intorno al 1493. Nella Biblioteca di Windsor sono conservati i disegni da cui fu ricavato il modello insieme ad altri disegni in cui erano indicati i vari dettagli tecnici per effettuare la fusione (cosa non semplice). A questo punto si poteva forse partire per l’impresa ma iniziarono i problemi economici di Ludovico che restò quasi paralizzato da quanto sarebbe costato il tutto. Inoltre gli chiedevano da più parti di utilizzare quel bronzo per fare cannoni da usare contro i francesi … La titubanza di Ludovico si protrasse fino alla sua caduta ed i francesi non si mostrarono per nulla interessati a seguire nell’opera tanto che i balestrieri guasconi entrati a Milano con Luigi XII si divertirono a distruggere il modello.

        Questo periodo milanese, che fu quello centrale della vita di Leonardo, fu pieno di lavori ed elaborazioni tecniche e scientifiche di Leonardo. Di questi argomenti mi occuperò oltre in un paragrafo a parte. Devo invece qui completare per un aspetto quanto fin qui detto. Il 29 gennaio del 1494 abbiamo, da un appunto del medesimo Leonardo, notizia della sua conoscenza di un giovane, Jachomo, d’età d’anni 10. Questo giovane che dovrebbe essere Gian Giacomo dei Caprotti, soprannominato Salaì, sarà un discepolo ed accompagnatore di Leonardo fino ai suoi ultimi giorni e sarà ricordato da Leonardo nel testamento. Sull’inizio di questo rapporto, scriveva Vasari: Prese in Milano Salaì milanese per suo creato, il qual era vaghissimo di grazia e di bellezza, avendo begli capegli ricci et inanellati, de’ quali Lionardo si dilettò molto, et a lui insegnò molte cose dell’arte; e certi lavori che in Milano si dicono essere di Salaì, furono ritocchi da Lionardo.

        Vi sono molte storie raccontate sulla vita sessuale di Leonardo a cominciare da una denuncia che, insieme ad altri, ebbe a Firenze nel 1476 e lo dico qui perché su Salaì se ne sono dette come su Francesco Melzi che incontreremo oltre. Non me ne occupo.

A MANTOVA E VENEZIA

        Il 1499 fu un anno che segnò vari cambiamenti che interessarono Leonardo a seguito di un susseguirsi di eventi politici e che lo portarono ad errare in giro per l’Italia per circa 13 anni. Nell’ottobre del 1499, quando i francesi di Luigi XII conquistarono Milano, Ludovico fu costretto a fuggire e Leonardo passò per brevissimo tempo al servizio di Luigi di Lussemburgo, conte di Ligny, come ingegnere. Ebbe l’incarico di fare un rapporto sullo stato della difesa militare della Toscana. Intanto Ludovico, che era riparato in Austria, tentò di riprendere il possesso della città ma fu catturato dai francesi ed imprigionato. Come accade sempre vi furono le esecuzioni dei sostenitori degli Sforza ed anche un architetto e scienziato, Giacomo Andrea da Ferrara, fu giustiziato. Questa vicenda convinse Leonardo ad andarsene in fretta e lo fece insieme a Luca Pacioli. Dapprima passò per la Mantova di Gian Francesco Gonzaga II e della sposa Isabella d’Este (sorella di Beatrice, la defunta moglie di Ludovico). Isabella era un’ammiratrice di Leonardo ed era persona colta che aveva attratto presso la sua corte poeti ed artisti famosi, tra cui Mantegna. Nella vasta collezione di opere d’arte che Isabella possedeva voleva aggiungere un suo ritratto fatto da Leonardo. Insisté tanto che Leonardo, per ricambiare della regale accoglienza le fece un disegno dove era ritratta di profilo a mezza figura. Le fece anche un secondo disegno che portò con sé impegnandosi di fare successivamente un dipinto. Questa promessa fece sì che Isabella più volte fece chiedere a Leonardo di inviarle il dipinto ed abbiamo costanza dell’ultima richiesta fatta a fine 1504.

        Poco tempo Leonardo restò a Mantova. Era arrivato sul finire del 1499 e già a marzo del 1500 era a Venezia. La città già la conosceva perché aveva lavorato con il suo maestro Verrocchio a quella statua equestre di Colleoni ma non poteva non essere di nuovo attirato da essa, dalla gran varietà di mestieri e professioni tra cui il porto, le navi, …, con le tecniche connesse, che avrebbe trovato in una delle città più avanzate e ricche d’Europa. Una delle prime cose che osservò e di cui scrisse fu la marea, molto più evidente in questa città che non a Genova (il frusso e refrusso non è generale, perché in reviera di Genova non fa niente, a Venezia due braccia). La Repubblica era stata sconfitta a Lepanto nel 1499 ed i turchi avevano invaso via terra il Friuli, erano arrivati al Tagliamento e minacciavano di attraversare l’Isonzo per arrivare in città. La minaccia di attacco imminente turco era grande e Venezia decideva di assumere Leonardo per la fama che aveva acquistato come ingegnere di difese (e non solo) militari (altra possibilità è che Leonardo si offrisse alla Repubblica per tentare la soluzione del problema). Leonardo progettò un sistema di dighe per innalzare il livello del fiume Isonzo in modo da poter avere una grande riserva d’acqua con la quale allagare l’intera regione che dava accesso via terra alla città di Venezia. A Venezia comunque restò poco (due o tre mesi) e non sappiamo se la Signoria prese in qualche modo in considerazione il progetto di Leonardo né se tale progetto sia mai pervenuto.

A FIRENZE ED IN ROMAGNA

         Forse preso da nostalgia e comunque per necessità economiche che pensava di risolvere, Leonardo tornò a Firenze (aprile 1500) dove però non trovò occupazione anche perché nel Granducato vi erano stati grandi rivolgimenti politici. Nel 1492 era morto Lorenzo de’ Medici ed il Papa Innocenzo VIII, con l’elezione a Papa di Alessandro VI Borgia, il padre di Cesare, Lucrezia ed altri due figlioli. Sul finire del 1494 era stato cacciato il successore del Magnifico, l’imbelle ed incapace Piero de’ Medici, ed era stata instaurata una Repubblica teocratica retta da un Gonfaloniere e da 8 priori, con la forte influenza del domenicano Girolamo Savonarola che aveva imposto tutti i reggenti la Repubblica. In un clima di cambiamenti di alleanze, di eserciti francesi che intervengono, di intromissioni papali, il partito che sosteneva i Medici riprese il potere nel 1498. Savonarola fu arrestato con l’accusa di eresia sostenuta dal Papa e prima impiccato poi bruciato in Piazza della Signoria. La Repubblica era però vacillante, debole ed incerta. Fu dato allora incarico al Gonfaloniere Pier Soderini (altro personaggio imbelle trattato molto male dal Machiavelli che scrisse:  La notte che morì Pier Soderini/ l’alma n’andò dell’Inferno alla bocca:/ E Pluto la gridò: Anima sciocca,/ Che Inferno? Và nel Limbo dei bambini), che governava in precedenza con gli 8 priori, di restare al governo della città diventata Repubblica laica, avviando il tentativo di farla diventare come la Repubblica di Venezia, guidata da un Doge.

        Isabella d’Este, saputo che Leonardo era precario a Firenze, lo richiese a Mantova come pittore. Leonardo rispose che non poteva perché aveva a disgusto la pittura da quando aveva appreso matematica. Poté riprendere l’occupazione di architetto militare ed ingegnere tra il 1502 ed il 1503, quando passò al servizio di Cesare Borgia con tale mansione (nello stesso periodo in cui fu assunto da Borgia anche Niccolò Machiavelli).

        Cesare Borgia, il personaggio che ispirò Machiavelli nel Principe, nel 1492 era stato fatto Arcivescovo di Valencia dal padre appena eletto Papa (anche se non era mai stato ordinato sacerdote). Cesare non prese mai possesso dell’Arcivescovado anche perché nel 1493 il padre lo fece Cardinale e nel 1495 Governatore generale e Legato di Orvieto. Questa vita non faceva però per lui e nel 1497 abbandonò la porpora cardinalizia, dopo aver ammazzato il fratello Juan. Era più attratto dalla vita militare e da intrighi ed ambasciate. Quest’ultimo incarico lo vide subito all’opera quando portò personalmente a Luigi XII di Francia l’annullamento del matrimonio concesso amorosamente dal Papa-padre. Luigi XII ricambiò facendolo Duca di Valentinois, provincia situata tra Borgogna e Provenza. Da questo titolo seguì per Cesare Borgia il nome di Duca Valentino.

        A partire dal 1499 il Valentino era impegnato a reprimere con ferocia le ribellioni delle città romagnole. Cadute Rimini, Ravenna, Faenza, Cervia, Pesaro, nel 1502 egli diresse le sue mire verso i Ducati di Urbino e Camerino. Era spietato Cesare ed ammazzava con piacere chiunque gli si opponesse. Iniziarono diversi malcontenti, anche tra i suoi generali che temettero di essere pian piano divorati. Iniziò una prima sconfitta a Calmazzo per merito anche di civili rivoltosi che salvò Urbino. Ma il Valentino non si scoraggiò per questa sconfitta che ritenne marginale, presa ormai l’intera Romagna che governava incontrastato, pensò di dirigere le sue truppe contro Siena, Pisa e Lucca. Fu il padre-Papa che tradì il figlio, morendo nel 1503. Senza quel sostegno iniziò il tracollo. Ad Alessandro VI seguì un inutile e meteorico Pio III al quale immediatamente successe un Papa nemico dei Borgia, Giulio II. Accadeva questo mentre Cesare era impegnato contro le città toscane e molti soldati e lui stesso erano in preda a febbri malariche. Appena eletto Giulio II gli fu tolto il governo della Romagna, fu fatto arrestare e condurre a Castel Sant’Angelo. Evase nel 1506, cercò rifugio nel Regno di Navarra dove morì in battaglia nel 1507.

        Questo criminale aveva conosciuto Leonardo alla corte di Ludovico il Moro nel 1499 quando Ludovico stava per cadere e si era ricordato di lui proprio mentre attaccava la Toscana. Leonardo si ricordava di quell’ufficiale che stava vicino al Re Luigi XII ed anche Cesare ricordava quel personaggio che gli era stato presentato come grande ingegnere militare. Lo volle con sé mentre assediava Piombino nel maggio 1502. Gli procurò un passi illimitato per ispezionare e dirigere le sue truppe, per pianificare e costruire ciò che si ritenesse utile nelle zone da lui controllate. I contributi che Leonardo dette al Valentino possono essere riassunti in breve visti i tempi ridottissimi che ebbe Leonardo. Innanzitutto era la cartografia che Cesare necessitava e Leonardo realizzò carte geografiche e topografiche in breve tempo. Negli appunti che Leonardo si portava dietro vi erano anche artifici per migliorare la balistica dei cannoni e la potenza delle esplosioni delle polveri. Ma quella era epoca di eroi che volevano mostrare il valore in campo e non nascondersi dietro una cannonata: vi fu l’opposizione ai cannoni da parte dei capitani di ventura al soldo di Cesare: Orsini, Vitelli, Braccio. Gli esplosivi furono invece bene accetti e con essi si riuscì a prendere la fortezza di Arezzo. La cosa fu ben accetta dagli aretini perché dal 1394 erano sudditi di Firenze senza averlo mai voluto. Erano stati letteralmente venduti a Firenze dal condottiero francese Coucy che l’aveva occupata chiamato dalla famiglia retina dei Tartati. Leonardo entrò in città e la prima cosa che fece fu andare a vedere gli affreschi delle Storie della Vera Crocedi Piero della Francesca nella Cappella Maggiore della chiesa di San Francesco, affreschi terminati da poco, nel 1466, e nei quali trionfava la prospettiva ed un verismo sconosciuto all’epoca. Ci teneva molto perché di Piero della Francesca, l’opera matematica del quale era stata in parte copiata da Luca Pacioli, aveva sentito parlare con gran fervore proprio da Pacioli.

        Vi furono rapidi e concitati spostamenti in quel breve periodo. Passò per Siena a giugno ed a luglio era ad Urbino dove conobbe Niccolò Machiavelli che, all’epoca, era inviato della Repubblica fiorentina presso il Borgia. Sembra che i due simpatizzassero e che Niccolò fornì a Leonardo notizie sulla Battaglia d’Anghiari che gli servirono per buttare giù lo schizzo della battaglia che gli serviva come base per lo sfortunato affresco di cui dirò più oltre. Ma Leonardo non amava né politica né religione, egli era mosso come affamato dalla sete di sapere. Aveva avuto notizia che nella biblioteca del Duca di Montefeltro, ad Urbino, vi era un codice di Archimede ed a quello puntò. Scoprì che non era così ed annotò: Archimenjde è intero appresso il fratel di monsignore di Santa Giusta in Roma; disse di averlo dato al fratello che sta in Sardegna; era prima nella libreria del duca d’Urbino; fu tolto al tempo del duca Valentino.

        Da Urbino, in agosto, passò prima a Pesaro per una visita in biblioteca, e poi a Rimini. Il suo incarico era quello di fare carte e di studiare difese ed esplosivi per abbatterne. Evidentemente il suo lavoro fu molto efficace e gradito dal Valentino che il 18 agosto 1502 gli consegnò il seguente documento lasciapassare:

«Ad tutti nostri Locotenenti, Castellani, Capitani, Conductieri, officiali, soldati e subditi, a li quali de questa perverrà notizia, commettemo e  comandiamo che al nostro prestante e dilettissimo Familiare Architetto e Ingegnere generale Leonardo Vinci d’essa estensore, el quale de nostra commissione ha da considerare li lochi e fortezze de li Stati nostri, a ciò che secundo la loro esigentia e suo judicio possiamo provederli, debiano dare per tutto passo libero da qualunque publico pagamento, per sé e li soi amichevole recepto, e lassarli vedere mesurare e bene extimare quanto vorrà. E a questo effetto comandare homini a sua requisizione e prestarli qualunque adiuto assistenza e favore recercarà. Volendo che dell’opera da fare ne li nostri Domini qualunque Ingegneri sia astretto conferire con lui e con el parere suo conformarse. Né da questa presuma alcuno fare lo contrario per quanto li sia caro non incorrere in la nostra indignazione».

        Probabilmente, nelle varie città della Romagna, Leonardo lavorò a strade e canali ma non abbiamo certezza dai disegni del Codice Atlantico, se le opere lì disegnate e progettate furono quelle lombarde o quelle romagnole. La più importante tra esse, il porto canale di Cesena, è anch’essa in dubbio, anche se, data la complessità ed ingegnosità di essa si tende a dire che sia di Leonardo. Oltre a queste scarne notizie sui contributi di Leonardo al Valentino, scarne perché Leonardo non ne fa cenno, sappiamo con certezza che a lui si deve una carta topografica di Imola, la prima che sia stata fatta di una città.

        Poco prima della caduta di Cesare Borgia e poco dopo essere stato assunto, Leonardo chiese licenza per potersi recare a Firenze (sembra che fosse rimasto sconvolto da una strage – male nature degli uomini – che aveva organizzato il Borgia a Sinigaglia (oggi Senigallia) facendo ammazzare l’intera delegazione dei comandanti degli eserciti nemici che erano venuti a trattare con lui). A marzo 1503 Leonardo era a Firenze mentre gli eventi per Cesare Borgia precipitavano. Il 18 agosto moriva il padre-Papa; il 2 settembre gli riuscì di far eleggere Pio III come Papa e la cosa lo salvava; a fine settembre Pio III moriva; il 1° novembre veniva eletto Papa il suo nemico Giulio II che subito gli tolse ogni potere in Romagna. Era la fine di ogni possibilità di ulteriore collaborazione e di nuovo Leonardo si trovava senza occupazione.

DI NUOVO A FIRENZE E DINTORNI

        Come detto a marzo 1503 Leonardo tornò a Firenze insieme al suo amico Pacioli. Firenze era appena passata, come visto, dalla Repubblica teocratica a quella laica diretta dal Gonfaloniere Pier Soderini.  Nonostante la fama che ormai gli era riconosciuta non fu subito assunto come sperava in pianta stabile come ingegnere anche perché vi erano già degli ingegneri al servizio della Repubblica, i Sangallo. Per guadagnare denaro accettò di dipingere anche se la cosa non gli piaceva perché all’epoca interessato in questioni di anatomia ed allo studio delle lunule. Ebbe l’incarico da Soderini di decorare con un grandissimo affresco (17 x 7) una parete del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. La parete di fronte fu assegnata a Michelangelo e così questi due giganti dell’arte si trovarono ad operare l’uno di fronte all’altro per anni. Michelangelo doveva commemorare la Battaglia di Cascina mentre Leonardo doveva illustrare la Battaglia di Anghiari. Nessuno dei due completò l’opera, Michelangelo perché chiamato a Roma da Papa Giulio II restò con un bozzetto su cartone mentre Leonardo, che aveva preparato il cartone del lavoro nell’ottobre 1503, provò una tecnica nuova di affresco(3), chiamata encausto, che fece disastrosamente venir giù l’intero lavoro (1505). E’ l’Anonimo  Gaddiano che ci informa di ciò che accadde:

 Lionardo da Vinci fu nel tempo di Michele Agnolo: et di Plinio cavò quello stucco con il quale coloriva, ma non l’intese bene: et la prima volta lo provò in uno quadro nella Sala del Papa che in tal luogo lavorava, et davanti a esso, che l’haveva appoggiato al muro, accese un gran fuoco, dove per il gran calore di detti carboni rasciughò et secchò detta materia: et di poi la volse mettere in opera nella Sala, dove giù basso il fuoco agiunse et seccholla: ma lassù alto, per la distantia grande non vi aggiunse il calore et colò.

        Ancora da Soderini, nel luglio dello stesso anno, ebbe finalmente un incarico come ingegnere militare. Nella guerra che Firenze aveva con Pisa, ebbe l’incarico si studiare il terreno. L’idea era quella di deviare l’Arno per portare alla rovina Pisa perché Firenze sarebbe diventata la città con rapido collegamento al mare oscurando Pisa che con i traffici marini si era arricchita. Leonardo illustrò i progetti che prevedevano, oltre alla bonifica dell’intera Toscana, grandi sviluppi e nuove costruzioni sulle rive dell’Arno deviato (tali progetti sono oggi conservati nel Castello di Windsor) ed i mercanti ne furono entusiasti ma non se ne fece nulla perché i costi sembrarono proibitivi. E così Leonardo si dedicò a quell’affresco della Battaglia di Anghiari di cui ho detto che lo tenne occupato fino all’estate del 2005. Il dolore del disastro accaduto alla sua opera lo fece ritirare a meditare e studiare cose nuove a Fiesole. Intanto, nel luglio 1504 era morto suo padre e così scriveva Leonardo:  Addì 9 di luglio 1504 in mercoledì a ore 7 morì Piero da Vinci notaio al Palagio del Podestà, mio padre, a ore 7. Era d’età d’anni 80. Lasciò 10 figlioli maschi e due femmine. Ebbe accese discussioni con la famiglia che lo lasciò diseredato in quanto illegittimo.  Il 12 luglio 1505, secondo quanto egli stesso raccontava, iniziò a scrivere un qualcosa che per la prima ed unica volta aveva l’ordine di una libro da pubblicare e che non fu pubblicato. Questo scritto, con un titolo presumibilmente provvisorio: de strasfomazione d’un corpo ‘n un altro sanza diminuzione o accrescimento di materia, lo troviamo nel primo dei tre Codicetti Forster(4) (Victoria e Albert Museum, Londra) ed occupa 40 pagine. Si tratta di studi geometrici di stereometria, cioè di trasformazione dei corpi in figure diverse ma di eguale volume ed evidentemente questo lavoro doveva essere stato realizzato sotto la guida di Pacioli. Probabilmente a Fiesole approfondì gli studi sul volo degli uccelli che aveva iniziato a Firenze nel 1503. Il suo continuo interesse per il volo umano lo portò a concentrarsi ancora su questo problema ed a progettare una macchina volante, una sorta di aliante, che in linea di principio si sarebbe dovuta sperimentare lanciandosi dal vicino Monte Ceceri per planare su Firenze (su questo volo alla Icaro, che alcuni danno per fatto con fallimento, vi sono le più differenti opinioni). Ancora negli anni che vanno da 1504 al 1506, passati tra Firenze e Fiesole, Leonardo si occupò a fondo di idraulica e scrisse in proposito (Codice Leister) una sorta di trattato che comprendeva tutte le sue conoscenze, osservazioni ed intuizioni sul moto delle acque nei canali, nei fiumi e sul come le acque agiscono sulla superficie della Terra. Ancora in questi anni, tra il 1503 ed il 1506, sembra che egli abbia realizzato la Gioconda.

RITORNO IN LOMBARDIA ED ANCORA FIRENZE

        Nei primi mesi del 1506 Leonardo chiese il permesso alla Signoria di Firenze di potersi recare a Milano. La Signoria era rimasta non soddisfatta del lavoro di Leonardo alla Sala del Consiglio: quell’affresco così menomato non corrispondeva a ciò che era stato pagato (anche se Leonardo, per parte sua, si riteneva completamente svincolato da quell’impegno). Il 30 maggio gli fu concesso un permesso provvisorio di 3 mesi con la cauzione di 150 fiorini d’oro depositati presso il conto di cui Leonardo era titolare presso il Banco di Santa Maria Nova a Firenze.

        L’interesse di Leonardo per Milano era doppio: da una parte doveva sistemare alcune questioni legate alla proprietà della vigna che gli aveva donato Ludovico il Moro. Quando Ludovico era stato cacciato dai francesi, questi ultimi avevano sequestrato quella vigna. La seconda questione era un pressante invito da parte del Governatore della Lombardia francese, Carlo di Chaumont duca di Amboise, che era un suo fervente ammiratore ed estimatore:

«Da poi che qua l’havemo maneggiato, et cum experientia provato le virtute sue, vedemo veramente che il nome suo, celebrato per pictura, è obscuro a quello che meritaria esser laudato in le altre parte che sono in lui de grandissima virtute; et volemo confessare che in le prove facte de lui de qualche cosa che li havemo domandato, de disegni et architettura et altre cose pertinenti alla condictione nostra ha satisfatto cum tale modo che non solo siamo restati satisfatti de lui, ma ne havemo preheso admiratione».

        Leonardo trascorse i tre mesi concessi a Milano. Alla fine dei quali il Gonfaloniere Pier Soderini lo richiamò a Firenze per quel suo debito lamentandosene (Leonardo aveva preso una buona somma di denaro e dato un piccolo principio a una opera grande che doveva fare). Fu lo stesso duca di Amboise a chiedere pazienza altri due mesi perché Leonardo non aveva terminato ciò che stava facendo a Milano. Passati i due mesi vi fu nuovo sollecito e nuova richiesta di proroga, finché Pier Soderini divenne irremovibile, tanto irremovibile che nel gennaio 1507 dovette intervenire lo stesso Re di Francia, Luigi XII, a richiedere la permanenza di Leonardo a Milano. La richiesta del Re non poteva essere trascurata per la grande sua autorità e per essere un potente alleato. Pier Soderini concesse a Leonardo di starsene tranquillo dove voleva perché non si sarebbe neppure utilizzata la cauzione che aveva lasciato presso la sua banca a Firenze. Con questo atto si tranquillizzarono le acque e la soddisfazione del duca di Amboise fu tale che nell’aprile del 1507 non solo dette ordine che a Leonardo fosse ridata la vigna di Porta Vercellina che gli era stata sequestrata (ridare al magistro Lionardo fiorentino … nel pieno stato, com’esso era de la vigna inante che la gli fosse tolta per la camera, e non gli farete ch’el ne abbia patire spesa pur de  un soldo), ma lo nominò pittore ed ingegnere del Re (paintre et ingenieur ordinaire) con uno stipendio fisso (390 soldi e 200 franchi) mantenuto per circa un anno. Occorre ora ricordare che Leonardo aveva una causa pendente a Milano per quella vicenda della Vergine delle rocce che non gli era stata pagata dalla Confraternita di San Francesco, ebbene, mediante intercessione del Duca presso i frati, questi si impegnarono a pagarlo entro un anno (ed infatti lo fecero a maggio del 1508).

        Nel mese di maggio di quel 1507, il Re di Francia venne in visita a Milano e fu accolto da fastose accoglienze che sembra abbia organizzato Leonardo. Si conobbero con il Re e questi ebbe grande simpatia per il nostro tanto che gli fu concesso un grande privilegio, la deviazione di una certa quantità d’acqua del Naviglio per irrigare la sua vigna e, poiché l’acqua era superiore alle necessità, Leonardo poté vendere l’eccedenza alle vigne confinanti.

        Nel settembre del 1507 Leonardo ebbe un’altra spiacevole vicenda familiare. Era morto suo zio Francesco che aveva una vigna ed una villa nel paese natale, Vinci. Questo zio, legato affettuosamente al nipote e colpito dalla sua viva intelligenza, aveva dato parte dell’eredità a Leonardo con, di nuovo, l’opposizione di tutto il resto della famiglia. Per risolvere la questione Leonardo si dovette recare a Firenze e per farlo chiese il permesso alle autorità francesi di Milano. Ottenne il permesso ed una richiesta alla Signoria al fine di facilitare ed accelerare il procedimento legale. Per buon peso vi fu anche una lettera di raccomandazione del Cardinale Ippolito d’Este. Arrivato a Firenze fu ospite, insieme allo scultore Giovan Francesco Rustici, in casa di Piero di Baccio Martelli, uomo coltissimo e conoscitore di lingue. Sembra nascesse un’amicizia con Rustici il quale, all’epoca, stava occupandosi di realizzare le tre statue in bronzo che sono davanti al Battistero, alle quali, secondo il Vasari, collaborò fattivamente Leonardo.

Lionardo … nella statuaria fece pruove nelle tre figure di bronzo che sono sopra la porta di San Giovanni da la parte di tramontana, fatte da Giovan Francesco Rustici ma ordinate col consiglio di Lionardo, le quali sono il più bel getto e di disegno e di perfezzione, che modernamente si sia ancor visto. Da Lionardo abbiamo la notomia de’ cavalli e quella degli uomini assai più perfetta [Vasari – VITA DI LIONARDO DA VINCI]

Non volle Giovanfrancesco, mentre conduceva di terra quest’opera, altri atorno che Lionardo da Vinci, il quale nel fare le forme, armarle di ferri, et insomma sempre, insino a che non furono gettate le statue, non l’abbandonò mai; onde credono alcuni, ma però non ne sanno altro, che Lionardo vi lavorasse di sua mano, o almeno aiutasse Giovanfrancesco col consiglio e buon giudizio suo. Queste statue, le quali sono le più perfette e meglio intese che siano state mai fatte di bronzo da maestro moderno, furono gettate in tre volte e rinette nella detta casa dove abitava Giovanfrancesco nella via de’ Martelli, … [Vasari – VITA DI GIOVAN FRANCESCO RUSTICHI ]

        Oltre a questo impegno che deve averlo interessato molto, abbiamo notizia che Leonardo avesse realizzato in questo periodo due dipinti, anche se non sappiamo quali (alcuni studiosi ritengono si tratti del San Giovanni Battista, e della Leda ed il cigno).

Giovanni Battista (Louvre)

Leda ed il cigno (Chatsworth, Duke of Devonshire’s Collection). E’ un disegno perché l’opera o non è stata realizzata o è andata perduta. Ispirandosi al lavoro di Leonardo furono realizzate molte copie.

        Certamente, tra un’udienza e l’altra presso il Tribunale, Leonardo iniziò ad ordinare i suoi appunti di meccanica elaborati nel suo primo soggiorno milanese, che aveva scritto su piccoli quaderni. Lo sappiamo dalla sua penna:

Cominciato in Firenze in casa Piero di Baccio Martelli addì 22 di marzo 1508. E questo fia un raccolto sanza ordine tratto di molte carte, le quale io ho qui copiate, sperando poi di metterle per ordine alli lochi loro, secondo le materie di che esse tratteranno; e credo che avanti ch’io sia al fine di questo, io ci arò a riplicare una medesima cosa più volte; sicché, lettore, non mi biasimare, perché le cose son molte e la memoria non le po’ riservare e dire: questa non voglio scrivere, perché dinanzi la scrissi. E s’io non volessi cadere in tale errore, sarebbe necessario che per ogni caso ch’io ci volessi copiare su, che per non repricarlo, io avessi sempre a rileggere tutto il passato, e massime stando con lunghi intervalli di tempo allo scrivere da una volta a un’altra

        Questi appunti di Leonardo sono oggi all’interno del Codice Arundel conservato a Windsor.

        La contesa con la famiglia terminò a giugno del 1508 ed in quello stesso mese Leonardo era di nuovo a Milano. Su questo periodo si sa poco oltre al fatto che si occupò di architettura. Progettò una villa piena di tutti gli artifici, macchine, decorazioni, giardini e giuochi d’acqua che la fantasia di Leonardo sapeva realizzare. Non si sa però se fu mai realizzata. Altri lavori che lo trovarono occupato furono quelli per la sistemazione del fiume Adda, che doveva essere reso navigabile eliminando le rapide, e la sistemazione del canale della Martesana. Gli studi di queste opere, di chiuse ed anche dell’idraulica necessaria iniziarono nel 1507 prima che Leonardo si recasse a Firenze e proseguirono fino al 1511. Durante le visite che fece ai luoghi da sistemare conobbe, nel comune di Vaprio sul naviglio della Martesana, la famiglia di Girolamo Melzi con cui fece amicizia e della quale fu ospite (nella casa Melzi dipinse la Santa Anna che oggi si trova a Londra). Il figlio di Girolamo, Francesco, amante dell’arte ed ammiratore entusiasta di Leonardo divenne discepolo e compagno fino alla morte di Leonardo.

Santa Anna (National Gallery, Londra)

        Iniziò in questo periodo la redazione del Codice F della Biblioteca dell’Istiuto di Francia, contenente studi matematici tra cui il complesso problema della quadratura delle lunule citato in un appunto dell’aprile 1509. La situazione politica e militare volgeva comunque al brutto minacciando di nuovo la quiete di Leonardo. Racconto in breve le vicende di quei mesi servendomi di quanto scrive Severi.

“La Lega di Cambrai, conclusasi nel dicembre 1508 contro Venezia, fra il dinamico Papa Giulio II, il re di Francia e l’imperatore Ferdinando il Cattolico, aveva portato all’invasione del territorio veneto dopo la vittoria di Agnadello (14 giugno 1509). Leonardo, che seguiva in questa campagna Luigi XII, aveva forse contribuito tecnicamente alle operazioni militari pel passaggio dell’Adda. Taluni dei ricordi di lui, ora nella biblioteca del castello di Windsor, lo lasciano supporre.
La pace seguita alla vittoria di Agnadello, durò poco più di due anni. Giulio II, al grido di “fuori i barbari” e Ferdinando il Cattolico, si unirono a Venezia contro gli alleati di ieri per scacciare i francesi dal lombardo-veneto.
Era frattanto morto, nel marzo 1511, Carlo d’Amboise, duca di Chaumont, grande amico e protettore di Leonardo. Il nuovo governatore di Milano, Gastone de Foix, duca di Nemours, cugino del re Luigi XII, era troppo impegnato nei preparativi militari per badare a Leonardo, del quale probabilmente non conosceva le capacità.
Grande capitano, egli affrontò l’11 aprile 1512, presso Ravenna, le fanterie spagnole, ritenute le prime del mondo, e le sbaragliò ma lasciò la vita sul campo.
Lo stesso legato pontificio, cardinale Giovanni dei Medici, futuro papa Leone X, secondogenito di Lorenzo il Magnifico, bandito dalla repubblica fiorentina, che combatteva a fianco dei francesi, cadde prigioniero, ma riuscì a fuggire nella traversata del Po.
La morte di Gastone de Foix, fu, a malgrado della vittoria, funesta pei francesi e per l’alleata repubblica fiorentina. Giulio II incitò infatti e protesse il ritorno dei Medici a Firenze, donde Pier Soderini riuscì a fuggire per riparare a Ragusa e il 1° settembre 1512, Giuliano dei Medici, terzogenito del Magnifico, poté riaccompagnare a Firenze il nipote Lorenzo, cui era stato riconosciuto dal Papa il diritto al governo della città.
A Milano, con l’aiuto degli svizzeri, il 12 dicembre 1512 tornò (ma per poco tempo) Massimiliano Sforza, figlio del Moro, che dovette cedere a chi lo aiutò la Valtellina, Bellinzona, Locarno e Lugano. Il presidio francese, restato isolato nel Castello di Milano, vi resisté fino al 24 settembre del 1513.
Leonardo era troppo compromesso coi dominatori caduti per poter restare a Milano; non fu molestato, ma tuttavia stimò prudente di allontanarsi dalla Lombardia, dopo aver goduto dell’ospitalità dei Melzi, a Vaprio, per buona parte del 1513″.

        Leonardo aveva 61 anni ma ne mostrava di più. Di nuovo si trovava senza riferimenti e non gradiva molto i continui spostamenti. A Roma, intanto, il 15 maggio 1513 veniva eletto Papa uno dei figli di Lorenzo il Magnifico, Giovanni de’ Medici, con il nome di Leone X (un vero malfattore, corrotto fino al midollo(5)). Dopo l’elezione al soglio pontificio, con Giovanni, si stabilì in Roma suo fratello Giuliano che era un grande estimatore di Leonardo e lo chiamò a Roma perché diventasse suo protetto entrando al suo servizio. Leonardo accettò ed il 23 settembre 1513 partì da Vaprio per Milano ed il 24 da Milano per raggiungere Roma.

A ROMA

        Probabilmente Leonardo era stato chiamato per realizzare la bonifica degli ampi territori del papato al sud di Roma (paludi pontine) ma vi sono anche molti elementi che lasciano pensare che Giuliano fosse interessato ad essere messo al corrente di pratiche di occultismo che qualcuno aveva assegnato a Leonardo.

        Lungo il viaggio passò a Firenze per depositare gli ultimi guadagni milanesi presso la sua banca e quindi subito verso Roma dove arrivò a dicembre 1513. In questa città trovò il fior fiore degli artisti, ingegneri, poeti e letterati rinascimentali italiani: Bramante, Raffaello, Michelangelo, Castiglione, Sodoma, Bembo, Sangallo, Ariosto, Pacioli. Alcuni di questi erano già conosciuti da Leonardo. Pacioli era suo amico ed ora insegnava allo Studio della Sapienza, Michelangelo lo aveva conosciuto in occasione della decorazione della Sala del Consiglio a Firenze, quella della Battaglia di Anghiari finita male. Ora Michelangelo stava terminando gli affreschi della Cappella Sistina e si accingeva a scolpire il monumento funebre a Papa Giulio II cioè il Mosè. Raffaello, della cui abilità aveva sentito parlare Leonardo e che ricambiava con venerazione, stava dipingendo le Stanze vaticane, le 4 stanze che erano state scelte da Giulio II come suoi appartamenti. In una delle stanze, nell’affresco Scuola d’Atene, il personaggio centrale, Platone, aveva le sembianze di Leonardo mentre Eraclito aveva quelle di Michelangelo. Bramante lavorava invece alla Basilica di San Pietro. Leonardo invece non aveva compiti precisi. Gli era stata assegnata una pensione e l’alloggio nella palazzina del Belvedere che era appartenuta a Giulio II. Poté quindi dedicarsi a studiare questioni tecnico-scientifiche, in questo aiutato dalla passione per le stesse questioni di Giuliano de’ Medici. Gli furono assegnati due meccanici tedeschi che risultarono due nullafacenti. Comunque Leonardo si occupò di specchi parabolici e di tornio. Inoltre portò avanti studi di ottica, aeronautica, idraulica, anatomia, botanica, geologia, geometria (ancora con lo studio delle lunule). Inoltre scrisse gran parte del suo Trattato della pittura e parte di un Trattato di anatomia che anticipava di mezzo secolo quello del fiammingo Andrea Vesalio, noto come il fondatore dell’anatomia moderna. Quest’ultima occupazione, quella di praticante di anatomia, gli procurò la denuncia di uno dei suoi due meccanici tedeschi che non ebbe conseguenze penali ma pratiche perché da quel momento gli fu impedito l’ingresso nella sala di anatomia dell’Ospedale Santo Spirito e di praticare dissezioni.

Particolare della Scuola d’Atene  di Raffaello in cui Platone è raffigurato da Leonardo

Particolare della Scuola d’Atene  di Raffaello in cui Eraclito è raffigurato da Michelangelo

        Il precocemente vecchio fu amareggiato da questo ma si rifece con le piante e gli animali.

Autoritratto di Leonardo (Torino, Biblioteca reale). L’Anonimo Gaddiano dice del suo aspetto fisico: di bella persona, proporzionata e graziata … che portava sempre un pitocco rosato, corto sino al ginocchio, mentre allora s’usavano i vestiti lunghi, ed aveva al mezzo in petto una bella capellaia e inanellata e ben composta. Ed il Vasari dice invece: Egli con lo splendor dell’aria sua, che bellissima era, rasserenava ogni animo mesto, e con le parole volgeva al sì e al no ogni indurata intenzione. Egli con le forze sue riteneva ogni violenta furia, e con la destra torceva un ferro d’una campanella di muraglia et un ferro di cavallo come s’e’ fusse piombo. Con la liberalità sua raccoglieva e pasceva ogni amico povero e ricco, pur che egli avesse ingegno e virtù.

        Anche se soffriva di una qualche gelosia nei riguardi soprattutto di Michelangelo e Raffaello. Si sentiva trascurato, come messo da parte. Tutti gli altri lavoravano ed egli non aveva ancora nulla e ciò creava malumori reciproci. Poi arrivarono incarichi da parte di Giuliano che Leonardo portò a termine con la solita abilità: organizzò la Stalla del Magnifico, cioè le ampie scuderie di Giuliano de’ Medici; realizzò uno strumento per il conio di moneta presso la zecca; progettò fortificazioni per Parma e Piacenza  (città della quale Giuliano era stato fatto Duca); progettò la sistemazione del Porto di Civitavecchia; progettò i lavori di bonifica delle Paludi Pontine (territorio che Giuliano aveva assunto per sé).

        Altri eventi si preparavano che avrebbero di nuovo costretto Leonardo a muoversi. Il Re di Francia, Luigi XII, si era riconciliato con il Papa e per suggellare l’evento si era organizzato il matrimonio tra la nipote, Filiberta di Savoia, con Giuliano de’ Medici. Il matrimonio doveva aver luogo nel mese di gennaio del 1915 a Parigi e Giuliano il 9 stava mettendosi in viaggio da Roma, quando giunse notizia che il 1° gennaio era morto Luigi XII. A Luigi successe il nipote Francesco di Valois con il nome di Francesco I. Il nuovo Re si preoccupò subito di attaccare la Lombardia ed in breve tempo (settembre 1515) realizzò la sua conquista. Subito dopo, nell’ottobre 1515, vi fu, a Bologna, un incontro di amicizia tra Francesco I e Leone X al quale partecipò Giuliano. Qualche mese dopo, il 16 marzo 1516, Giuliano morì a Fiesole. Con lui se ne andava il protettore di Leonardo a Roma e, senza che nessuno lo mandasse via, fu lo stesso Leonardo a prendere in considerazione i consigli e gli inviti che da più parti gli venivano, perché accettasse di recarsi in Francia come aveva insistito lo stesso Re Francesco I. Restò molto amareggiato per il fatto che il Papa Medici non gli chiedesse di restare a Roma e, mestamente, data l’età e gli acciacchi, si accinse all’ultimo trasferimento. Volle prima rivedere Milano dove aveva passato indimenticabili 20 anni. Si congedò da Salaì lasciandogli parte della Vigna Vercellina con facoltà di costruirvi una casa e partì da Milano accompagnato solo dall’ultimo suo allievo, il giovane Francesco Melzi ed il domestico Giovanni Battista de Villanis (altre fonti affermano che anche Salaì seguì Leonardo in Francia). Prima che l’inverno rendesse impraticabili i passi alpini il grande vecchio (aveva circa 65 anni ma ne mostrava oltre 70), malato di gotta, si diresse verso la Francia.

L’ULTIMA DIMORA IN FRANCIA

        Dopo un lunghissimo viaggio di tre mesi allietato solo dagli splendidi paesaggi alpini, Leonardo arrivò nel luogo che gli era stato assegnato come dimora, il castelletto di Cloux (oggi Clos-Lucé) sulla Loira, dependance del castello di Amboise residenza del Re e della corte (Leonardo trasformò, subito dopo il suo arrivo, questa residenza reale da fortezza ad elegante dimora dotata di giardini all’italiana).

Il Castello di Amboise sulla Loira.

Il castelletto di Cloux

        Era stato assunto da Francesco I, suo fervente ammiratore, come premier peintre, architecte, et mecanicien du roi e con una pensione molto ricca (a seconda delle diverse fonti va dai 700 ai 5000 scudi l’anno). Aveva portato con sé varie carte, appunti e lavori tra cui la Gioconda. Francesco I gli comprò varie cose e tra queste la Gioconda  pagandola  una vera fortuna per l’epoca, 4000    scudi d’oro(6).

La Gioconda (Louvre)

        E’ probabile che Leonardo fosse ricordato per aver  organizzato e fatto da scenografo con macchine mirabolanti alle feste di Ludovico il Moro e a quelle di Luigi XII e per questo utilizzato anche a corte per allietare ogni frequente avvenimento mondano (nascite, nozze, battesimi, …). Vasari racconta che in una festa del settembre 1517 Leonardo avrebbe realizzato un leone meccanico d’oro che avrebbe stupito tutti e la cui fama corse per mezza Europa. Nell’ottobre ricevette la visita del Cardinale Luigi d’Aragona, rappresentante di spicco della corte di papa Leone X, e, dal diario scritto dal suo segretario Antonio de Beatis (Relazione del viaggio del cardinale Luigi d’Aragona), apprendiamo, oltre al fatto che Leonardo era stato colpito da una paralisi alla mano destra,  che:

In uno de li borghi el Signore [cioè il Cardinale] con noi altri andò a vedere messer Lunardo Vinci fiorentino, vecchio de più de 70 anni [aveva 65 anni, ndr], pictore in la età nostra excellentissimo quale mostrò ad S. Ill.ma  tre quadri, uno di certa donna Fiorentina [probabilmente il quadro della Gioconda prima che fosse acquistato dal Re, ndr] facta di naturale ad istantia del quondam mag.co Juliano de Medici, l’altro de San Joane Bap.ta giovane et uno de la Madona et del figliolo che stan posti in grembo di S.ta Anna tucti perfectissimi, et del vero che da lui per esserli venuta certa paralesi ne la dextra, non se ne può expectare più bona cosa. Ha ben facto un creato Milanese [il Melzi] chi lavora assai bene, et benché il p.to M. Lunardo non possa colorir con quella dulceza che solea, pur serve a far disegni et insegnar ad altri. Questo gentilhomo ha composto de notomia tanto particularmente con la demonstratione de la pictura sì de membri come de muscoli, nervi, vene, giunture, d’intestini tanto di corpi de homini che de done, de modo non è stato mai facto anchora da altra persona Il che abbiamo visto oculatamente et già lui disse haver facta notomia de più de 30 corpi tra mascoli et femmine di ogni età. Ha anche composto la natura de l’acque, de diverse machine et altre cose, secondo ha riferito lui, infinità di volumi et tucti in lingua vulgare, quali se vengono in luce saranno proficui et molto dilectevoli

        Le occupazioni presso la corte restarono marginali per Leonardo che in realtà non aveva alcun obbligo e poteva disporre a piacimento del suo tempo. Ed egli continuò, come anche possiamo leggere dal diario del segretario del Cardinale, a fare schizzi, disegni, impostare lavori, progetti idraulici, di canali, di dighe, di bonifiche. Fece un progetto di bonifica imponente con la realizzazione di un canale (quello di Romorantin, un borgo vicino ad Amboise) che avrebbe liberato da paludi una estensione  di 470 mila ettari, nella regione di Sologne, fra Orléans e Romorantin (oggi Romorantin-Lanthenay). Il progetto era ambiziosissimo perché il canale avrebbe collegato il Rodano con la Loira e quindi il Mediterraneo con l’Atlantico. Il progetto è del 1418 e non andò a termine per la scomparsa di Leonardo l’anno successivo. Fu ripreso e realizzato in seguito. A lato del canale, il progetto era molto più ampio e prevedeva una completa ristrutturazione di Romorantin con la costruzione di una reggia che il Re voleva regalare alla Regina Madre, Luisa di Savoia, e che prefigurava quella di Versailles. E’ il progetto di una residenza che comprende in sé la città, con un sistema di canalizzazioni delle acque che dovevano alimentare fontane decorative di giardini, giochi d’acqua ed una grande vasca per realizzare tornei d’acqua. Così scriveva Leonardo nel Codice Atlantico:

Un disegno del progetto della reggia di Romorantin

El fiume di mezzo non riceva acqua torbida, ma tale acqua vada per li fossi di fori della terra, con quattro molina dell’entrata e quattro all’uscita […] il fiume di Villafranca sia condotto a Romolontino, e il simile sia fatto del suo popolo […] se il fiume mn [ Bonne Heure ], ramo del fiume Era [ Loira ] si manda nel fiume di Romolontino, colle sue acque torbide esso grasserà le campagne sopra le quali esso adacquerà, e renderà il paese fertile

        Un altro fondamentale lavoro che Leonardo aveva in mente era il mettere ordine a tutte le sue carte, per ordine, alli lochi loro, secondo la materia di che esse tratteranno, al fine di poter pubblicare qualcosa. Alcune cose le realizzò, come il trattato d’idraulica ed il De voce sul linguaggio, ma la gran mole dei suoi lavori furono lasciati sotto forma di appunti (si calcolano 5000 fogli), disordinati, o meglio, ordinati secondo suoi criteri ed in gran parte poco facilmente leggibili da un pubblico non esperto.

        Alla vigilia di Pasqua del 1519, il 23 aprile, convocò il notaio del Re, Guglielmo Boreau e gli dettò le sue ultime volontà. Parte del denaro andava per le sue esequie che volle fossero presso la vicina Chiesa di San Florentin (aveva nostalgia della sua Firenze ed anche il nome della Chiesa pare indicarlo), parte per i poveri del luogo, al domestico andava parte della Vigna Vercelliana (l’altra parte era stata già donata a Salaì), alla domestica Maturina assunta in loco fece dono della quantità d’acqua d’irrigazione che il Re gli aveva concesso. Ai fratelli indegni lasciò tutti i suoi averi presso la sua banca a Firenze e la parte di eredità che aveva avuto dallo zio Francesco. Tutti i suoi libri, appunti, strumenti, disegni e quadri andavano a Francesco Melzi, suo discepolo e fedele amico con il desiderio di ricompensarlo per le fatiche affrontate nel prendersi cura di lui (tutti i beni materiali di Leonardo furono riportati da Francesco Melzi a Villa Melzi l’anno successivo dove resteranno custoditi fino al 1570). Dopo la morte del Melzi passarono allo scultore Pompeo Leoni che li suddivise in diversi gruppi, che non rispecchiavano l’ordine originale, per poterli vendere più facilmente. Raccolti durante il Seicento dal conte milanese Galeazzo Arconati, furono donati alla Biblioteca Ambrosiana di Milano dalla quale furono trasferiti nel 1796 a Parigi. Solo il Codice Atlantico fu riportato a Milano dopo la caduta di Napoleone, gli altri Codici, Fogli e Quaderni, quelli che non erano già andati in Gran Bretagna, rimasero all’Institut de France, per un errore nella restituzione che fece l’austriaco che se ne occupava.
Oggi esistono oltre 8000 fogli (recto e verso) di appunti con molte decine di migliaia di disegni lasciati da Leonardo, ma si ritiene che siano solo una piccola parte di ciò che ha scritto e disegnato. Alcuni pensano che abbia scritto 60000, forse 100000 pagine, ormai perdute. Ma forse qualcosa ancora esiste, sepolta in qualche antico archivio; nel 1966 per esempio, sono stati trovati due nuovi codici a Madrid.

        Il 2 maggio 1519 Leonardo si spegneva. Il 2 giugno 1919 Francesco Melzi comunicava la morte di Leonardo ai fratelli:

Credo siate certificati della morte di Maestro Lionardo, fratello vostro, e mio quanto ottimo padre, per la cui morte sarebbe impossibile ch’io potessi esprimere il dolore che io ho preso; e in mentre che queste mie membra si sosterranno insieme, io possederò una perpetua infelicità, e meritatamente perché sviscerato ed ardentissimo amore mi portava giornalmente. È dolto ad ognuno la perdita di tal uomo, qual non è più in potestà della natura. Adesso Iddio onnipotente gli conceda eterna quiete. Esso passò dalla presente vita adì 2 di maggio con tutti li ordini della Santa Madre Chiesa e ben disposto

        Il 4 maggio ebbero luogo i funerali secondo le sue volontà.


NOTE

 
(1) Bulferetti, opportunamente, fornisce una spiegazione che il termine arte aveva all’epoca di Leonardo:

Il termine «arti» aveva, ai tempi di Leonardo, numerosi significati. Anzitutto, sul piano culturale, le arti potevano essere «liberali» (nella tradizione scolastica si distinguevano in quelle del trivio, cioè grammatica, retorica, dialettica, e in quelle del quadrivio, cioè aritmetica, geometria, musica, astronomia) in quanto degne dell’uomo libero, e in «meccaniche», richiedenti, oltre all’attività della mente, quella del braccio, o, comunque, meno vicine alla teoresi, in quanto con finalità pratiche evidenti: secondo una radicata tradizione comprendevano o erano ad esse accostabili l’armatura, la medicina, la venatio (arte della caccia), il lanificium, la navigatio, la agricoltura, la theatrica. Ma già sul campanile di Giotto si aggiungevano ad esse, nelle rappresentazioni plastiche, l’architettura e la pittura. Una lunga serie di enumerazioni troviamo nel Poliziano, di soli due anni più giovane di Leonardo …. Il disegno, che serviva tanto ad arti liberali del quadrivio quanto ad arti meccaniche, e in particolare a quelle di recente aggregazione, appariva al centro di nuovi interessi culturali-economici e si comprende come la compagnia di San Luca acquistasse, almeno di tatto, crescente importanza sinché il Vasari scriverà delle «arti del disegno» (1550) e del disegno come padre comune delle arti; nel 1563 sarà istituita a Firenze l’Accademia delle arti del disegno.
Sul piano giuridico-economico-sociale le «arti» erano le organizzazioni corporative che raggruppavano i membri dei diversi settori economici o ad essi assimilabili, e costituivano la base dell’ordinamento comunale. Nel 1282 avevano conquistato il potere nel comune di Firenze le arti «maggiori», ossia oltre ai giudici e ai notai, l’arte di calimala [dei mercanti, dal nome della strada in cui si trovava la corporazione, ndr], del cambio, della lana, della seta, i medici e speziali (ai quali erano aggregati i pittori e possiamo dire gli «intellettuali» o «letterati»), i vaiai [il vaio è la pelliccia di lupo, ndr] e pellicciai. L’importanza economica e culturale stava alla base della qualifica di «maggiore» e l’apparentamento di talune di esse con quelle liberali è evidente, come pure la maggiore affinità con quelle «meccaniche» di talune delle arti «minori». Queste erano 14: beccai [macellai, pescivendoli, gestori di taverne ed osterie, ndr], calzolai, fabbri, maestri di pietre e di legname, cuoiai e galigai [commercianti e conciatori di pelli, ndr], vinattieri, fornai, oliandoli e pizzicagnoli, chiavaiuoli, linaiuoli e rigattieri, legnaiuoli, corazzai e spadai, correggiai [fabbricanti di cinture, ndr], albergatori. In circa mezzo secolo di lotte le arti minori erano riuscite ad aggiungersi a quelle «maggiori» nel reggimento del Comune. Nel 1378 si erano organizzate altre arti minori: tintori, farsettai [sarti specializzati nella confezione dei farsetti, ndr], ciompi [i salariati a livello più basso addetti a mansioni non specializzate nell’Arte della Lana, ndr]. Ma la lotta tra l’aristocrazia economica e le forze più popolari perse politicamente d’importanza nel secolo XV, di fronte all’ascesa dei Medici, che riuscirono prima a dominare indirettamente le magistrature comunali e poi a trasformarle, quando Leonardo era adolescente.

(2) In questo periodo, tra il 1488 ed il 1490, Leonardo realizzò un altro dipinto famoso, la Dama con l’ermellino. Vi è la convinzione che la donna raffigurata fosse Cecilia Gallerani, una delle amanti di Ludovico il Moro. Il quadro si trova ora al Czartoryski Muzeum  di Cracovia.

Dama con l’Ermellino (Cracovia)

(3) L’affresco è una tecnica che richiede rapidità di esecuzione e non era certo adatta ai continui ripensamenti di Leonardo. Pensò allora di utilizzare una tecnica, della quale parlava Plinio il Vecchio, che fissava i colori tramite una fonte di calore. Lì però si lavorava su un affresco enorme e vi fu una gestione errata dei bracieri che erano le fonti di calore. Furono posti in basso e se asciugavano i colori in basso, scioglievano quelli in alto che iniziarono a colare rovinando l’intera opera. Qualcosa si recuperò e restò nel Salone per anni. Rubens, nei primi anni del Seicento, ebbe modo di vederla e da essa trasse dei suoi quadri. Sul finire del Cinquecento l’intero Palazzo fu ristrutturato dal vasari che cambiò radicalmente la suddivisione delle stanze e le decorazioni. Da allora non si sa più nulla della Battaglia di Anghiari che, secondo qualcuno, potrebbe esistere ancora coperta da un qualche tramezzo eretto per la ristrutturazione.

Battaglia di Anghiari di Rubens (Louvre)

(4) Presso l’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze si possono trovare e consultare molti manoscritti di Leonardo.

(5) Leone X, papa a 37 anni, fece strage di ogni elementare diritto soprattutto se degli ultimi emarginati. Stilò una lista di indulgenze a pagamento che copriva ogni bestialità ed obbrobrio umano facendo anche gli sconti se invece di un stupro se ne facevano due con ulteriori sconti nel caso di quei reati se ne facessero tre. Da questa lista di Leone X, la obbrobriosa Taxa Camarae che non sarebbe mai venuta in mente al peggiore bandito e delinquente mai esistito sulla faccia della Terra, partirono le 95 Tesi di Martin Lutero che dette inizio alla Riforma.

(6) Il Vasari ebbe  a scrivere a proposito di questo quadro:

Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di mona Lisa sua moglie; e quattro anni penatovi, lo lasciò imperfetto: la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò. Nella qual testa, chi voleva vedere quanto l’arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere, perché quivi erano contrafatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere: avvegnaché gli occhi avevano que’ lustri e quelle acquitrine che di continuo si veggono nel vivo, et intorno a essi erano tutti que’ rossigni lividi e i peli, che non senza grandissima sottigliezza si possono fare; le ciglia, per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali; il naso, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo; la bocca con quella sua sfenditura, con le sue fini unite dal rosso della bocca con l’incarnazione del viso, che non colori ma carne pareva veramente; nella fontanella della gola, chi intentissimamente la guardava, vedeva battere i polsi: e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d’una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice, e sia qual si vuole. Usovvi ancora questa arte, che essendo mona Lisa bellissima, teneva mentre che la ritraeva chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra per levar via quel malinconico che suol dar spesso la pittura a’ ritratti che si fanno: et in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa maravigliosa per non essere il vivo altrimenti.

        Questa è, appunto la versione del Vasari. Non entro nel merito delle infinite successive versioni che hanno tentato di capire chi fosse la persona ritratta nella Gioconda.


BIBLIOGRAFIA

(1) Lucio Russo – La rivoluzione dimenticata – Feltrinelli 2001

(2) Leonardo da Vinci – Il codice atlantico in 20 volumi (a cura di Augusto Marinoni) – Giunti 2006

(3) Eugenio Garin – Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano – Laterza 1965

(4) Luigi Bulferetti – Leonardo, l’uomo e lo scienziato – ERI 1966

(5) Francesco Severi – Leonardo – Editrice Studium-Roma 1954

(6) Bertrand Gille – Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento – Frltrinelli 1972

(7) Serge Bramly – Leonardo da Vinci – Mondadori 2005

(8) Adelelmo Campana – Leonardo – Accademia 1973

(9) Richard Friedenthal – Leonardo da Vinci – Salvat, Barcelona 1986

(10) C. Zammattio, A. Marinoni, A.M. Brizio – Leonardo scienziato – Giunti Barbèra 1981

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(13) Jean Paul Richter – The notebooks of Leonardo da Vinci – Dover, New York 1970

(14) Charles Gibbs-Smith – Le invenzioni di Leonardo da Vinci – Mazzotta 1979

(15) Aldo Mieli – Leonardo da Vinci sabio – Espasa-Calpe, Madrid 1968

(16) Aldo Mieli – La eclosión del Renacimiento – Espasa-Calpe, Madrid 1967

(17) Eugenio Garin – La cultura filosofica del Rinascimento italiano – Sansoni 1992

(18) Paolo Rossi – La nascita della scienza moderna in Europa – Laterza 2000

(19) Domenico Laurenza – Leonardo – Le Scienze giugno 1999

(20) E.J. Dijksterhuis – Il meccanicismo e l’immagine del mondo – Feltrinelli  1971

(21) – U. Forti – Storia della scienza – Dall’Oglio 1968

(22) – René Taton (diretta da) – Storia generale delle scienze –  Casini 1964

(23) – Nicola Abbagnano (a cura di) – Storia delle scienze – UTET 1965



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