Caso Galileo. I gesuiti non assolvono il papa

Per il vice del cardinale Ratzinger il caso è chiuso. Ma i gesuiti della Specola vaticana dicono di no. Per loro, lo stesso Giovanni Paolo II ha fatto poco e male

di Sandro Magister 

Monsignor Angelo Amato, segretario della congregazione vaticana per la dottrina della fede ed erede degli inquisitori che nel 1616 e poi nel 1633 condannarono Galileo Galilei ad abiurare che la terra gira attorno al sole, è tornato sul caso che per quasi quattro secoli ha visto ai ferri corti la scienza e la fede.

Amato ha detto che il caso Galileo è “oggi finalmente tutto risolto”. Che in realtà “fra i cardinali romani dell’epoca egli riscosse un grande successo”. E che “a contrapporsi a lui, più che i teologi, furono i filosofi, e specialmente quelli della scuola peripatetica di Pisa, che si rifacevano ad Aristotele e che a un certo punto cominciarono a tirare in ballo la Sacra Scrittura”.

L’ha detto in un’intervista al diffuso settimanale “Famiglia Cristiana”. Che di suo ha aggiunto: “Sempre nuove prove testimoniano quanto fossero false le accuse al pontefice dell’epoca e al tribunale dell’inquisizione che giudicò lo scienziato”.

Ma in Vaticano non tutti la pensano così. Anzi. Giudizi diametralmente opposti arrivano proprio da coloro che sono i più esperti in materia: i gesuiti della Specola, l’osservatorio astronomico del Vaticano.

Stando a tali giudizi, il caso Galileo non è affatto risolto. E non lo è perché sia Giovanni Paolo II che il cardinale da lui incaricato, il francese Paul Poupard, quando hanno voluto chiudere la questione hanno finito col coprire il ruolo dei vertici vaticani dell’epoca, in particolare dei papi Paolo V e Urbano VIII, con l’addossare le responsabilità del tutto a un gruppo di teologi – che Amato ora scagiona prendendosela piuttosto con i filosofi peripatetici di Pisa – e con l’incolpare ancora una volta Galileo della “tragica reciproca incomprensione”.

Giovanni Paolo II e Poupard hanno preso posizione sul caso Galileo con due discorsi pronunciati il 31 ottobre 1992 alla Pontificia accademia delle scienze, dopo aver fatto lavorare per anni una commissione di teologi, di storici e di uomini di scienza. Uno di questi esperti era il gesuita americano George V. Coyne, attuale direttore della Specola vaticana.

Ma proprio la Specola ha pubblicato nel 2002, nella sua collana “Studi Galileiani”, una stroncatura spietata dei discorsi del papa e di Poupard, sotto il titolo: “Galileo and the Catholic Church. A Critique of the ‘Closure’ of the Galileo Commission’s Work”. Autore della recensione è Annibale Fantoli, storico e filosofo della scienza, professore per un ventennio nell’università dei gesuiti di Tokyo, oggi residente in Canada, a Victoria. A tradurla in inglese è stato lo stesso p. Coyne.

Il quale firma anche l’entusiastica presentazione di un libro di Fantoli che è uscito questa estate in Italia, per i tipi di Rizzoli, col titolo: “Il caso Galileo. Dalla condanna alla ‘riabilitazione’ . Una questione chiusa?”. Il libro condensa per un pubblico non specialista un più ponderoso volume dello stesso Fantoli stampato nel 1993 dalla Libreria Editrice Vaticana: “Galileo. Per il copernicanesimo e per la Chiesa”, tradotto in varie lingue tra cui il giapponese. E nel suo ultimo capitolo riproduce l’essenziale della recensione-stroncatura sopra citata.

In essa i passaggi chiave dei discorsi del papa e di Poupard sono confutati punto per punto. Di entrambi Fantoli scrive:

“Non possono non lasciare delusi quanti si aspettavano una conclusione ufficiale dei lavori della commissione che fosse in linea con il desiderio espresso dallo stesso Giovanni Paolo II nel 1979, di un leale riconoscimento dei ‘torti da qualunque parte essi vengano’. La delusione è tanto più forte in quanto la maggioranza degli studi pubblicati a cura della commissione appare orientata nel senso di tale desiderio e aperta a una franca ammissione degli errori della Chiesa, anche ai massimi livelli della gerarchia ecclesiastica”.

Una qualche ammissione c’è stata, concede Fantoli, ma “assai guardinga e sotto molti aspetti insoddisfacente”.

Tutto perché, sottolinea p. Coyne nella presentazione, è prevalsa nel vertice attuale della Chiesa “la preoccupazione di salvare il proprio buon nome e di tenere in ombra o non riconoscere che in forma velata le proprie responsabilità”.



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