Roberto Renzetti
E’ utile offrire documentazione su cialtronerie, malafede ed ignoranza. Tanto per non fa sembrare che io mi occupi solo di Zichichi. (R.R.)
Intervista a cura di Cosimo Baldaro e Cosimo Galasso
Cristianità n. 299 (2000)
Giordano Bruno “martire della scienza”?
Il 16 febbraio 2000, presso il Liceo Classico Antonio Calamo di Ostuni, in provincia di Brindisi, in collaborazione con il preside, professor Francesco Masciopinto, Alleanza Cattolica ha organizzato una conferenza — con annuncio e con eco sui mass media locali — sul tema Giordano Bruno e la scienza medioevale: continuità o frattura?, relatore il professor Stanley L. Jaki O.S.B., cosmologo e storico della scienza, insignito nel 1970 del premio Lecomte du Nouy e nel 1987 del premio Templeton per la Religione.
Nato a Gyâr, in Ungheria, il 17 agosto del 1924, all’età di diciotto anni entra nell’ordine benedettino e nel giorno anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima, il 13 maggio 1944, fa la professione religiosa. Il 29 giugno 1948 viene ordinato sacerdote. Nel 1950 ottiene il dottorato in Teologia presso il Pontificio Istituto Sant’Anselmo di Roma. Trasferitosi negli Stati Uniti d’America — ne acquisterà la cittadinanza —, consegue la laurea in Scienze e nel 1957 il dottorato in Fisica con una tesi realizzata sotto la direzione del fisico austriaco professor Victor Franz Hess (1883-1964), lo scopritore dei raggi cosmici, premio Nobel per la Fisica nel 1936. Nel 1956 la prestigiosa casa editrice Herder pubblica un’ampia versione della sua tesi di laurea in Teologia, Les tendences nouvelles de l’ecclésiologie, ristampata nel 1963 grazie al rinnovato interesse per l’argomento dovuto al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) allora in pieno svolgimento. Fra i suoi numerosi titoli accademici sono da menzionare lauree honoris causa in Filosofia, in Matematica e in Lettere.
Attualmente è professore emerito della Seton Hall University, nello Stato del South Orange, negli Stati Uniti d’America, membro onorario della Pontificia Accademia delle Scienze e di un’altra decina fra accademie e fondazioni culturali: fra esse la Olbers Gesellschaft di Brema, in Germania, e la società ellenica per gli studi umanistici di Atene. Ha pubblicato quarantasei volumi e centinaia di articoli su temi riguardanti prevalentemente la storia e la filosofia della scienza. Sono leggibili in traduzione italiana Le strade della scienza e le vie verso Dio (Jaca Book, Milano 1988), Dio e i cosmologi (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991; su cui cfr. Luciano Benassi, Fede, scienza e falsi miti nella cosmologia contemporanea, in Cristianità, anno XXI, n. 224, dicembre 1993, pp. 17-25), Il Salvatore della scienza (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992), e Lo scopo di tutto. Scienza, filosofia & teologia si interrogano sulla finalità (Ares, Milano 1994).
Nella sua consistente bibliografia si trova anche un buon numero di pubblicazioni teologiche, fra le quali meritano una speciale menzione uno scritto sul primato di Pietro, And on this rock: the Witness of One Land and Two Covenants, in terza edizione riveduta (Christendom Press, Front Royal [Virginia] 1997); un commento ai salmi, Praying the salms. A Commentary (Wm. B. Eerdmans, Grand Rapids [Michigan] 2000); e un’opera, in seconda edizione riveduta e ampliata, sulle implicazioni scientifiche, teologiche e storiche del primo capitolo della Genesi, Genesis 1 trough the ages (Thomas More Press, Londra 1992).
In occasione della sua presenza in Italia, come già precedentemente — cfr. Fede e ragione fra scienza e scientismo, intervista a cura di L. Benassi e Maurizio Brunetti, in Cristianità, anno XXIII, n. 239, marzo 1995, pp. 15-20 —, abbiamo intervistato lo studioso benedettino su alcuni argomenti collegati alla conferenza.
Mia premessa
Sono 35 anni che faccio lo storico della scienza e non mi sono mai imbattuto in questo personaggio. Se qualcuno sa dirmi di più lo faccia scrivendo al sito. Leggendo dove ha pubblicato si trovano case editrice vaticane che non fanno testo in questioni scientifiche e case editrici di Comunione e Liberazione che, dal punto di vista della credibilità scientifica valgono come quelle vaticane. Insegna in una università cattolica più piccola di un liceo italiano ed ha titoli spendibili in ambito ecclesiastico.
Dico questo dopo aver letto ciò che scrive che dimostra la sua completa ignoranza delle cose che racconta sia su Bruno, sia su Copernico, sia su Galileo, sia su Newton, sia su Halley. E’ più semplice dire: su tutti coloro che ha citato. Provo a fare qualche correzioncina:
– i nomi di scienziati-filosofi citati non sono “italianizzati” come atto tipico degli statunitensi o degli ispanici, quasi una forzatura di una volontà di imporre la propria lingua. In realtà erano gli stessi personaggi citati che si “latinizzavano” firmando le loro opere. Così Descartes si firmava Cartesius, Kepler si firmava Keplerus e così via. Il fatto è che l’Italia, all’epoca era il centro mondiale della ricerca scientifica finché non intervenne la mannaia della Chiesa che, nell’arco di qualche anno riuscì a spostare il baricentro della ricerca nel Nord Europa. Da allora (condanna di Galileo) in Italia vi sono stati 300 anni di buio (fino ad Enrico Fermi ed alla sua scuola).
– il mondo per Galileo non era finito ma interminato.
– il mondo di Copernico era una grandissima confusione di mescolanze tra concezioni aristoteliche e vere novità. Tale mondo non poteva esistere. Iniziò a farlo con Galileo.
– così, secondo lo storico, una persona che non sa sostituire tutto un impianto nuovo al vecchio che pur ordinato crolla, non ha diritto di parola? Caspita ! E che visione viene proposta ? quella di Bellarmino che era certamente ordinata? Certo è deprecabile, come dice carognescamente Jaki, che Bruno sia finito al rogo, ma l’astio profondo, l’odio nei suoi riguardi non cessa se tutto è incentrato su quella sola “piccola parte” (la parte scientifica) di contributo di Bruno che pur viene ammessa dallo stesso “storico”. L’astio è ancora legato a quella montagna di eresia, grandissima parte del suo pensiero, che gli viene di nuovo rinfacciata e per quella si mescola indegnamente nella parte scientifica. Così Jaki può concludere che comunque qualcuno lo avrebbe ammazzato per giustificazione non benedettina ma gesuita.
– gli studiosi di Oxford sono passati alla storia per le loro controversie di tipo aristotelico, controversie dalle quali Bruno è sempre rifuggito inorridito. Esempi di controversia aristotelica (si badi bene: aristotelica, non di Aristotele): il cioccolato è un cibo liquido o un cibo solido ? Che utilità potrebbe avere per l’uomo avere un dito in più o un dito in meno ? Visto che occorre tagliarsi le unghie è conveniente iniziare dalla mano destra o dalla sinistra ? Ma poi, nonostante estenuanti ricerche, nulla risulta del contributo di sì raffinati critici alla nascita della scienza moderna. Ingiurie? Molto poco in un’accolita di aristotelici!
– Bruno distrugge perché il mondo di Aristotele i cui rappresentanti sono Papa, Cardinali e gerarchie ecclesiastiche era ed è marcio era finito e chiuso su ogni novità prorompente da tutte le parti. La stessa accusa di magia a Bruno, mostra completa ignoranza dello svolgersi degli avvenimenti e particolarmente della Chiesa. Fu la Chiesa che si innamorò della magia e fu il Papa Borgia che ne divenne sostenitore con una apposita Bolla, Bolla che Pico della Mirandola pubblicò nei frontespizi delle sue opere “magiche”. Quella Chiesa che oggi ha Milingo ed esorcisti vari, quella Chiesa che negli USA ha pedofili in quantità industriale (è fuori tema come sono fuori tema molte osservazioni dello “storico” su Bruno). La magia all’epoca si suddivideva in due rami principali che erano: quella naturale e quella nera. La seconda è quella che ancora oggi conosciamo come magia. La prima era invece lo studio della natura ed in nuce aveva in sé le caratteristiche di quelli che quasi contemporaneamente saranno conosciuti come filosofi naturali.
– Perché organizzare un convegno su “Giordano Bruno e la nuova scienza”? Quando si organizzano convegni, Jaki, le tesi finali non sono date a priori come accade nelle riunioni dogmatiche ecclesiastiche. Alla fine di un tale convegno, si potrebbe anche concludere che Bruno con la nuova scienza non c’entra nulla. Non risulta a tale storico questo modo di procedere? Ma qui si misura anche il grado di ignoranza di Jaki. Nonsa neppure cosa vuol dire “nuova scienza” o “scienza nuova”. Non conosce neppure Vico il nostro storico, non conosce il valore epistemologico di Scienza Nuova nel ‘500 italiano, che non è come dire nel ‘500 russo.
– Bruno non conosceva la geometria che utilizzava Copernico? Possibilissimo ma ciò cosa vuol dire? Chi non conosce tale geometria non può discutere delle conclusioni copernicane? Chi lo avrebbe potuto fare ? il noto geometra Bellarmino ? o il noto forcaiolo Papa Barberini ? Ha provato lo storico Jaki a leggersi i “Principia Mathematica” di Newton con il metodo delle flussioni, una sorta di analisi matematica costruita come una geometria ? Lo faccia e si accorgerà che non ci riesce! Mi scriva e gli darò una mano. A proposito, che ne dice Jaki dei metodi “geometrici” di Tolomeo? Quelli li conosce?
– Che c’entra la massa totale dell’universo con la sua finitezza o infinità? Che confusione Jaki! La massa può essere finita in un mondo finito o infinito! Ma poi si rilegga (se lo ha mai fatto) Einstein e si accorge che lei continua ad errare gravemente. La fisica non è né fede né dogma. Non è vero che, una volta stabilito che la massa è finita è indifferente che lo spazio sia finito o infinito. Non ha mai sentito parlare del continuo spazio temporale ? Che lo spazio assoluto ed indifferente alla Newton non c’è più, pur avendo assolto un ruolo importantissimo?
– “la legge del moto inerziale formulata dai filosofi e teologi scolastici francesi Jean Buridan, italianizzato in Giovanni Buridano (1300 ca.-1360 ca.), e Nicole d’Oresme (1323-1382), fatto di grande aiuto per Copernico” Questo passo che riporto è esemplificativo dell’ignoranza di Jaki. Il moto inerziale formulato dagli scolastici ? Certo qui non vi sono alternative alle seguenti: o Jaki è un imbroglione o è un ignorantone. Insisto le scuole di Oxford e di Parigi, generalmente di francescani, hanno avuto un qualche rilievo da pochi anni quando storici seri si sono accaniti a ricercare i loro contributi. Ma qualunque studioso serio, non solo della scienza, sa che tutti i contributi che non sono stati riconosciuti e non hanno avuto ricadute sono uguali a zero, dal punto di vista dell’influenza sull’evoluzione del pensiero. L’esempio italiano che si può fare è quello di Leonardo. Non ha avuto scuole, scriveva in modo che si capiva da solo, inutile ricercarne una scuola, una influenza se non in ambiti pubblici come la pittura, pur infelice dal punto di vista della tecnica, almeno degli affreschi.
– facciamo analogo esame di competenze, chessò, … a Zichichi?
– Beh, leggetevi questo pezzo di ignoranza e capirete certamente da soli.
– Dopo di questo, tratto da Cristianità (che caspita vuol dire?), ne proporrò un altro, addirittura più becero, tratto da Studi Cattolici. In comune hanno il profondo astio verso una delle più grandi menti del ‘500 che la Chiesa ha ammazzato (insieme ad altre migliaia) senza spargimento di sangue, così come recita la loro formula ipocrita e crudele.
Roberto Renzetti
D. Padre Jaki, quest’anno ricorre il quarto centenario del rogo di Giordano Bruno, il filosofo e frate domenicano nato nel 1548 a Nola, nel Napoletano, e morto eretico impenitente a Roma, in Campo dei Fiori, il 17 febbraio 1600. Com’era prevedibile, i mass media hanno fatto un gran clamore, accusando la Chiesa di oscurantismo ed esaltando la figura del pensatore nolano, definito di volta in volta “martire della scienza”, “apostolo della modernità”, “precursore dell’illuminismo” e così via.
Lei che, trent’anni fa, ha tradotto in inglese di questo autore La cena de le Ceneri. Descritta in cinque dialogi, per quattro interlocutori, con tre considerazioni, circa doi suggetti (The Ash Wednesday Supper, Mouton, L’Aia 1975), il primo scritto sull’opera del canonico e matematico polacco Mikolas Kopernik, italianizzato in Nicolò Copernico (1473-1543), può dirci qualcosa sul pensiero di Bruno?
R. Per prima cosa voglio dire che Bruno non ha nulla a che vedere con la scienza. Trent’anni fa, quando decisi di tradurre il suo saggio La cena de le Ceneri, del 1584, dall’italiano-napoletano in inglese, avevo un’opinione diversa. A quel tempo pensavo che, siccome si trattava della prima opera pubblicata su Copernico, dovesse necessariamente contenere concezioni interessanti, sia su Copernico che sulla scienza copernicana. Fui completamente deluso, non solo perché in tale saggio non vi era alcuna traccia di scienza, ma addirittura il suo contenuto rappresentava un insulto a Copernico e alle sue concezioni. Purtroppo, perfino gente con un elevato grado di cultura crede ancora che Bruno abbia serie credenziali scientifiche. Altrimenti, per esempio, perché organizzare, presso l’università La Sapienza di Roma, un convegno internazionale dal titolo Giordano Bruno e la nuova scienza, al quale, il giorno 18 febbraio 2000, sono stato invitato come relatore?
D. Nell’opera Giordano Bruno: A Martyr of science? (Real View Books, Royal Oak [Michigan] 2000) Lei scrive che “Bruno usò Copernico per promuovere fini non copernicani”. Sembra un paradosso. Può precisare la sua argomentazione?
R. Per Bruno, Copernico è solo un ariete, sicché un edificio ordinato come la visione del mondo aristotelico-tolemaica è distrutta in modo tale che la confusione, producendo rovine, diviene la regola suprema. Bruno non vuole sostituire queste rovine con la precisione dell’universo copernicano e del suo strumento, la geometria. Bruno distrugge, affinché la confusione e l’imprecisione possano regnare.
D. Dunque, da parte di Bruno non si tratta di adesione alle teorie scientifiche di Copernico, ma semplicemente di un procedimento tattico?
R. Sì, una tale tattica è chiaramente quella di un megalomane che, come tutti i megalomani, si mette una benda davanti agli occhi. Questo non gli permette di vedere i contorni definiti delle cose e lo induce a credere che anche tutti gli altri uomini possano chiudere i loro occhi davanti alla chiara evidenza. Perciò dovrebbe essere palese che, nell’usare Copernico, a Bruno sfugge il fatto che la sua tattica si rivelava immediatamente come qualcosa di chiaramente irrazionale. È sempre irrazionale usare la ragione contro la ragione. Una cosa era celebrare Copernico come il grande distruttore del mondo chiuso di Aristotele (384-322 a. C.), un’altra era affermare che, una volta distrutti i confini limitati di quel mondo, rimaneva solo un’enorme entità, un “animale” — secondo un’espressione dello stesso Bruno — comprendente tutto quanto non poteva essere descritto con gli strumenti della geometria nel suo futuro corso d’azione. Una tale entità non ha confini, nessun ordine specifico e nessuna coerenza razionale.
D. Uno dei luoghi comuni della cultura contemporanea vuole che Bruno sia andato al rogo per le sue idee sulla scienza. Bruno può essere considerato un “martire della scienza e/o del libero pensiero”?
R. Bruno non è certamente un martire della scienza e neppure del libero pensiero, a meno che per “libero pensiero” non s’intenda “pensiero a ruota libera”. Infatti, La cena de le Ceneri è una denuncia diretta e indiretta delle caratteristiche fondamentali della geometria: la precisione e la chiarezza.
Lo scopo di Bruno consisteva nel promuovere una visione del mondo impregnata di misticismo occultista e magico. Invece, dall’inizio alla fine l’opera di Copernico De revolutionibus orbium caelestium libri VI, del 1543, è caratterizzata da un cospicuo uso della geometria e da una fervente ammirazione per la sua efficacia. Bruno rifiutava quell’esattezza che la geometria rappresentava. Non si cura neppure di studiare la complessità della geometria. Gli studiosi dell’università di Oxford, proprio durante il primo dibattito sul sistema copernicano, nel 1584, si rendono perfettamente conto che, a questo riguardo, Bruno non aveva compreso i punti nodali del sistema copernicano. Alle loro argomentazioni egli non replica con controargomenti, ma con aspre ingiurie. Gli studiosi di Oxford affermavano semplicemente che Bruno non conosceva realmente Copernico. Il suo interesse per la teoria copernicana aveva soltanto lo scopo di promuovere la visione di un nuovo ordine del mondo basato sull’occultismo.
D. Come fondare questa affermazione?
R. L’asserzione di Teofilo — il personaggio che ne La cena de le Ceneri espone il pensiero di Bruno — secondo cui, fra tutti gli uomini, solo lui può interpretare Copernico, dovrebbe suonare molto strana sulle labbra di uno che molto probabilmente non ha mai letto tutte le pagine del De revolutionibus orbium caelestium, ma solo una parte esigua di esse. D’altronde Bruno non ama la geometria, che ovunque conferma gli argomenti di Copernico, e con ogni evidenza non ha nessuna preparazione relativa al tipo di geometria necessaria per capire e per assimilare i ragionamenti copernicani. Perfino nelle traduzioni moderne il De revolutionibus orbium caelestium rimane un testo ostico da seguire per chiunque non sia preparato in quella che più tardi verrà conosciuta come geometria differenziale.
D. Vi sono altre ragioni che rendono discutibile la qualifica di Bruno quale “martire della scienza”?
R. Bruno non può essere considerato un martire della scienza anche perché, esaminando gli elenchi dei suoi errori compilati dai tribunali dell’inquisizione di Venezia e di Roma, si può notare come, fra le accuse, l’eliocentrismo costituisca solo una piccola parte. In realtà, Bruno è un eretico a tutto tondo: non vi è dogma della fede cristiana che egli non abbia negato, almeno implicitamente. Certamente è deprecabile che sia stato messo al rogo, ma rimane il fatto che il distacco di Bruno dall’ortodossia cristiana era così ampio e profondo, che lo stesso destino gli sarebbe stato riservato sia nella “repubblica teocratica” costruita nell’elvetica Ginevra da Jean Cauvin — italianizzato in Giovanni Calvino (1509-1564) — che nell’Inghilterra di Elisabetta I Tudor (1533-1603), se fosse rimasto in entrambe per lo stesso lasso di tempo. A Ginevra viene scomunicato dal Concistoro calvinista, e sarebbe stato immediatamente arrestato, se non fosse sfuggito alla presa della teocrazia calvinista il più velocemente possibile.
D. Normalmente Bruno è considerato il filosofo dell’infinito. Già il canonico e filologo inglese Richard Bentley (1662-1742), scrivendo al matematico e fisico, pure inglese, Isaac Newton (1642-1727), intravede, fra l’altro, che l’idea di un universo omogeneo e infinito avrebbe potuto servire da copertura per l’ateismo. Alla luce della teoria della relatività Bruno, con il suo infinito, precorre la scienza moderna?
R. Nell’opera De l’infinito universo et mondi, del 1584, Bruno scrive: “Ci sono soli innumerevoli e un numero infinito di terre orbita attorno a quei soli, così come i sette che noi possiamo osservare orbitanti attorno al sole che è vicino a noi”. Tali e simili affermazioni sono state invariabilmente addotte dagli ammiratori di Bruno, che lo considerano un profeta della moderna visione scientifica del mondo.
Quella dell’infinità era una pretesa curiosa già nel contesto dei suoi tempi, ed è un’assurdità dal punto di vista della scienza moderna. Infatti l’universo di Copernico è rigorosamente finito. L’astronomo e matematico tedesco Johannes Kepler, italianizzato in Giovanni Keplero (1571-1630), sostiene con forza che le stelle sono contenute in un ristretto guscio sferico di 2000 leghe tedesche, un’antica unità di misura, variabile a seconda delle nazioni fra i 4 e i 5,5 chilometri, in Germania pari a circa 10 mila chilometri. In verità, egli fa questa affermazione avendo presente, per oppositionem, la convinzione di Bruno che le stelle siano omogeneamente distribuite in un universo infinito. Inoltre, il fisico e matematico italiano Galileo Galilei (1564-1642) sostiene la finitezza dell’universo, senza tuttavia specificare l’ampiezza del guscio nel quale le stelle sono collocate. Newton non sostiene mai l’idea di un universo infinito e mai rigetta un suo saggio giovanile nel quale esplicitamente sosteneva la finitezza dell’universo.
L’idea di un universo newtoniano infinito, che appare sporadicamente durante il secolo XVIII, diviene largamente diffusa soltanto nel secolo XIX, sebbene non tanto fra gli scienziati, quanto fra alcuni filosofi e scrittori di scienza. Gli scienziati sapevano bene che un universo infinito, nel quale le stelle siano omogeneamente distribuite, sarebbe colpito da due paradossi: quello ottico e quello gravitazionale. Com’è ben noto, la soluzione del medico e astronomo tedesco Whilelm Olbers (1758-1842) al paradosso ottico era sbagliata: infatti si basava sull’asserto che una parte della luce delle stelle fosse assorbita dall’etere interstellare e conseguentemente il cielo apparisse scuro di notte; ma la soluzione sarebbe stata valida solo se l’etere, o qualsiasi altro mezzo interstellare, non si fosse a sua volta surriscaldato assorbendo luce e riemettendola all’esterno, come di fatto avviene per effetto delle leggi della termodinamica. Durante gli ultimi decenni del secolo XIX, e per la maggior parte dei primi tre decenni del secolo XX, gli astronomi credevano che l’universo visibile o investigabile fosse rigorosamente finito, e che la parte infinita fosse situata al di là di quella finita, e pertanto non avesse alcuna influenza fisica, sia gravitazionale che ottica, su quest’ultima. Nello stesso periodo l’astrofisico tedesco Johann Carl Friedrich Zöllner (1834-1882) e altri asserivano che, per evitare il paradosso gravitazionale, bisognava postulare che la massa totale dell’universo fosse finita e che tale massa doveva essere contenuta entro una sfera quadridimensionale non euclidea. Comunque, dopo la pubblicazione, nel 1917, della quinta memoria del fisico tedesco, naturalizzato svizzero, Albert Einstein (1879-1955) sulla relatività generale, che tratta delle sue conseguenze cosmologiche, la finitezza della massa totale dell’universo è divenuta una pietra angolare delle maggiori cosmologie scientifiche. Alla luce delle implicazioni cosmologiche della teoria generale della relatività anche il filosofo e fisico tedesco Moritz Schlick (1882-1936), fondatore del positivismo logico, ammette che “l’infinità spaziale del cosmo deve essere rifiutata”.
D. Se le asserzioni di Bruno devono essere considerate anti-scientifiche nei confronti della scienza moderna, che cosa dire di esse in relazione alla scienza medieovale?
R. Bruno rifiutava qualsiasi sistema definito, sosteneva una visione del mondo per la quale ogni cosa si trasformava perpetuamente in ogni altra: agli occhi di Bruno nulla ha un carattere permanente, ogni oggetto può divenire qualsiasi altro. Nella sua visione delle cose non vi è differenza alcuna fra le stelle e i pianeti: è come se la nostra Terra si trasformasse in una stella simile al sole e viceversa. Diversamente, durante il Medioevo, uno dei versetti biblici citati più spesso era quello tratto dal Libro della Sapienza (11, 20): “Dio ha disposto ogni cosa secondo misura, calcolo e peso”.
Questa citazione sapienziale esprime chiaramente il clima intellettuale che si è venuto a creare in epoca medioevale per la grande considerazione in cui era tenuta la geometria. In tutte le civiltà antiche il mito dell’eterno ritorno è causa di morte prematura della scienza: nell’antico Egitto, in Cina, in India e nella Grecia classica. Solo nel Medioevo cristiano la scienza sfugge alla sindrome della sua inevitabile morte. Allora l’ipotesi dell’eternità dell’universo, presente nella cosmologia greca, viene abbandonata in considerazione del dogma cristiano della creazione ex nihilo et in tempore. Questo mutamento comporta, in particolare, una sostituzione delle leggi aristoteliche del moto con la legge del moto inerziale formulata dai filosofi e teologi scolastici francesi Jean Buridan, italianizzato in Giovanni Buridano (1300 ca.-1360 ca.), e Nicole d’Oresme (1323-1382), fatto di grande aiuto per Copernico e per i suoi primi seguaci. Un altro grande contributo dei medioevali alla scienza newtoniana è l’invenzione dell’ars latitudinis, ovvero dell’uso delle dimensioni geometriche per rappresentare le grandezze fisiche. Essa è basilare per lo sviluppo successivo della geometria analitica da parte del filosofo e matematico francese René Descartes, italianizzato in Renato Cartesio, (1596-1650) e aiuta Galileo nel calcolare che le distanze coperte dai corpi in caduta libera sono proporzionali al quadrato del tempo. Pertanto, se il mondo moderno ha una scienza, lo deve alla cultura della Cristianità medioevale.
D. Ritiene che questa sua affermazione possa essere pacificamente accettata dalla cultura dominante e diffusa nell’Occidentale contemporaneo?
R. Precisamente al contrario, questa verità ai nostri tempi viene misconosciuta in modo sistematico. La società moderna non potrebbe vivere un solo secondo senza l’aiuto della scienza: Internet, computer superveloci, fibre ottiche…
Vi sarà sempre più sviluppo scientifico nella nostra vita. Tuttavia, questa cultura moderna vuole la totale confusione, il totale soggettivismo a livello filosofico. Il liberalismo moderno vuole distruggere tutti i princìpi, tutte le norme accettate e non vuole sostituirle con altre regole specifiche. I princìpi fondamentali del liberalismo moderno possono essere condensati in un unico concetto: l’assoluto permissivismo. In questo modo le politiche e le legislazioni moderne, profondamente ancorate a una sempre maggiore permissività, stanno portando la società occidentale al decadimento. Da questo punto di vista, Bruno deve essere considerato solamente come il perfetto precursore di quei filosofi e sociologi moderni che vogliono abbattere ogni regola e specificità. Siate assolutamente orgogliosi dell’eredità trasmessa dalla cultura cristiana.
a cura di
Cosimo Baldaro
e Cosimo Galasso
Da Studi Cattolici n° 404 dell’ottobre 1994
CHI ERA VERAMENTE GIORDANO BRUNO ?
Rino Cammilleri
(personaggio del sottobosco curiale, che può essere conosciuto dal suo sito web: http://www.rinocammilleri.cjb.net/ n.d.r.)
Il recente volume dello scomparso Luigi Firpo, Il processo di Giordano Bruno (Salerno Editrice, Roma 1993, pp. XXVI – 390, L. 44.000), ha meritato le pagine dei maggiori quotidiani, ai quali non è parso vero – «esperti» alla mano – di riesumare il «grande» pensatore del XVI secolo. Tra gli inserti culturali dedicati all’avvenimento spiccava, per risalto e dimensioni, quello di Repubblica, il cui recensore, Lucio Villari, si poneva l’amletico dilemma: «E, allora, il tribunale dell’Inquisizione chi ha condannato veramente, il filosofo o l’eretico? È qui il nodo storico». C’è da dire che se i nodi storici fossero tutti così, la corda della storia sarebbe inesorabilmente liscia. Fortunatamente Firpo, storico laico ma di grande onestà intellettuale, ha assemblato nel suo volume i documenti raccolti in quarant’anni di ricerche e non vi ha trovato nodi. Infatti in un frate domenicano quale era il Bruno, sarebbe ancor og gi questione di lana caprina il voler distinguere il filosofo dall’eretico. Giordano Bruno, nolano, ebbe la malaugurata idea di mettersi a fare il mago-filosofo-eretico-spia-truffatore in un’epoca in cui ci voleva davvero tutta la pazienza di Santa Madre Chiesa (che di pazienza con lui – e non solo con lui – ne ebbe realmente tanta) per sopportare i guasti arrecati dall’ennesimo eterodosso di turno. Infatti si era in piena Controriforma e le idee eterodosse, a quel tempo, avevano il non trascurabile difetto di far scorrere fiumi di sangue. Dopo anni di peregrinazioni in tutta l’Europa protestante, dopo essersi fatto cacciare da tutti i luoghi dov’era stato, dopo aver causato la morte di parecchi cattolici inglesi con le sue delazioni alla corte di Elisabetta I (come ha dimostrato lo storico inglese John Bossy nel libro Giordano Bruno e il mistero dell’ ambasciata, Garzanti), finì consegnato all ‘ Inquisizione proprio da quella Repubblica di Venezia che gli eretici invece proteggeva. Il Bruno era ospite di un nobile veneziano veneziano cui aveva promesso di insegnare la sua millantata «arte della memoria» e a cui non insegnò proprio niente. Anzi, prendendo continuamente tempo, spillava al suo mentore non solo molti denari ma anche le grazie della di lui moglie. Fu così che il becco e bastonato decise di denunciarlo. E Venezia se ne liberò volentieri, come volentieri si erano liberati di Giordano Bruno e delle sommosse che suscitava quasi tutti gli Stati d’Europa.
Panteism o cosmico
Personaggio ambiguo e sfuggente, proprio come la statua del Ferrari lo raffigura, aveva anche uno stile che sembrava fatto apposta per fargli sguinzagliare dietro i cani da parte dell’uditorio. A Parigi nel 1582 pubblicò De umbris idearum, dove così si esprimeva: «Siamo un’ombra profonda; non chiedetemi perché, o incolti. Una impresa così ardua vuole gente sapiente, non voi». A Oxford, subito dopo, si presentò come il «risvegliatore delle anime dormienti, domatore dell’ignoranza presuntuosa e recalcitrante», per la felicità (si fa per dire, – naturalmente) degli «illusori dottori e celebri maestri» di quell’ateneo. E poi le idee: secondo lui Mosè e Cristo erano dei maghi, la verginità di Maria una sciocchezza (invece la teoria si Sant’Agostino, dottore della Chiesa sulla verginità di Maria sarebbe una cosa seria. Gesù sarebbe nato da una orecchia della Madonna, n.d.r.), la transustanziazione una cosa senza senso, la croce solo un simbolo egiziano. E il panteismo cosmico? Sostenere l’infinità dell’universo (cosa non vera, come la fisica astronomica ci insegna [a chi? gnurant! n.d.r.]) non era altro che una scusa per fare a meno di Dio trascendente. E non si tratta di un’idea da poco, visto che apre la strada all’idealismo di Hegel, al postulato idealistico dell’inconoscibilità del reale e a Kant che si spinge fino a ipotizzare un numero infinito di universi (certo che è un fatto gravissimo! n.d.r.). Le affermazioni del Bruno, proprio quando a Trento si concludeva il Concilio, non potevano certo essere tollerate dalla Chiesa, e in un monaco per giunta. Non solo, ma perfino i protestanti le rigettarono come blasfeme o, come minimo, strampalate. In fondo – ed è il caso di dirlo – Giordano Bruno è passato alla storia non per l’importanza del suo pensiero (che di importanza non ne ebbe nemmeno per i contemporanei), ma come feticcio antipapista tirato di volta in volta in ballo da protestanti, illuministi, massoni [ehi, Cammilleri, ma lei non scrive per Il Giornale, il quotidiano del piduista tessera n° 1816 ], liberali [ehi, Cammilleri, ma lei non scrive per Liberal, il periodico che dice di essere liberale ], eccetera ad esclusivo uso di polemica nei confronti della Chiesa cattolica . E’ noto infatti che il monumento che lo riproduce corrucciato in Campo dei Fiori a Roma, fu voluto da un Crispi indispettito per il rifiuto pontificio di concedere al governo liberal-massonico l’appoggio dei cattolici contro il nascente socialismo. Per quanto riguarda il processo – che culminò nella condanna del 17 febbraio 1600 – di questo «libero pensatore» [certamente non al servizio del padrone come un tal Cammilleri! n.d.r] che non si limitava a «pensare» ma che, al contrario, impensierì tutti i governi dell’epoca a causa delle agitazioni che provocava nel popolo [questo è sempre il peccato più grave! n.d.r], è lo stesso Villari ad ammettere che fu legittimo e persino doveroso. Citando uno studio di Frances Yates del 1964, riconosce che «la Chiesa agì perfettamente secondo i propri diritti includendo gli aspetti filosofici nella sua condanna delle eresie bruniane. Questi ultimi erano infatti del tutto inseparabili dalle eresie». E l’imparziale Firpo: «Nessuno vorrà negare alla Chiesa cattolica che il processo fu condotto secondo il rispetto della più stretta legalità, senza acredine preconcetta, semmai con accenti di tollerante comprensione». E Giordano Bruno, ricordiamolo ancora una volta, era un religioso domenicano, uno che la Chiesa aveva tutto il diritto di richiamare all’ordine. Infatti, conclude Firpo, «i dogmi della Trinità, dell’Incarnazione, dello Spirito Santo, della creazione dell’anima umana, della vita ultraterrena venivano più o meno direttamente invalidati dalla filosofia bruniana».
Un oblio di secoli
Giordano Bruno fu giudicato da nove cardinali, tra cui san Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa; e, come «eretico impenitente, pertinace et ostinato», venne abbandonato al braccio secolare. Il Bruno era perfettamente consapevole della situazione interiore di quei prelati che fecero di tutto, per molto tempo, per cercare di riaccoglierlo, se solo avesse voluto, nell’ovile romano. Infatti gettò loro in faccia un ultimo «forse con maggior timore pronunciate contro di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla» [tanto è vero che ancora oggi, ad oltre 400 anni dal barbaro rogo, comunque in linea con l’agire della Chiesa così come ci dice implicitamente il dotto cronista, n.d.r]. Eppure ci sarebbe stato, malgrado tutto, ancora spazio per il perdono per questo inquieto personaggio che aveva cominciato la sua carriera di eretico ben presto, quando nel 1576 aveva gettato nel Tevere colui che lo aveva accusato d’eresia ed era fuggito [fatto mai provato, ma la cosa si può rimediare con l’apertura degli Archivi vaticani ancora rigorosamente inaccessibili, n.d.r.). Dopo aver errato nei principati italiani, in Francia, in Inghilterra, in Germania, scomunicato dai calvinisti di Ginevra [ a suo sommo onore, n.d.r], dai luterani di Helmstadt [ a suo sommo onore, n.d.r], cacciato da Londra, da Parigi, da Strasburgo [il cronista dimentica che Bruno era ricercato dalle varie corti e che insegnava nelle più prestigiose università d’Europa, n.d.r], pervenne a Venezia. E qui, come sappiamo, fu consegnato all’Inquisizione romana. Nessuno si occupò più di lui, dopo la sua morte, per secoli. Solo in tempi relativamente recenti lo si è esaltato per le sue conoscenze matematiche e astronomiche (in realtà ermetiche e astrologiche), facendone un martire. Ma, paradossalmente, proprio la polemica attorno alla sua figura ha costretto gli studiosi a prendere visione del suo pensiero: ne esce che dall’esame critico delle sue dottrine Bruno non ha proprio niente da guadagnare. In filosofia era confusamente panteista ; ipotesi, quella panteista, non solo conosciuta da gran tempo ma addirittura da gran tempo demolita e non più presa sul serio. Non solo,. ma il Bruno non ha nemmeno il merito di averla esposta con metodo e chiarezza. Bertrando Spaventa, che pur era (per motivi polemici) suo ammiratore, era costretto a confessare che le sue opere esalavano una noia insopportabile, e che erano così oscure e contorte da far sospettare che in certi passi addirittura lo stesso autore non sapesse nemmeno lui bene che cosa stesse dicendo. Gior dano Bruno era praticamente ateo, negava il libero arbitrio e l’immortalità dell’anima. Oggi, dopo la ghigliottina, i Lager, e i Gulag, sappiamo che cosa succede quando a «filosofi» del genere è permesso divulgare nelle piazze (come faceva Bruno) le proprie idee. I nostri padri avevano il buonsenso (che noi abbiamo perduto) di punire i pessimi teorici, più che i criminali comuni, i quali operano un male che è necessariamente circoscritto e limitato.
Rino Cammilleri
Solo due parole intorno a questo cialtrone.
Cosa dire a proposito di questo articolo forcaiolo ? E’ scritto da persona certamente in malafede, è un opuscolo di propaganda clerico-fascista fatto da un papalino alla Pio IX. Mostra che i perdoni richiesti da Gianpaolo sono delle emerite buffonate, che la Chiesa è stata fermata abbastanza dalla Rivoluzione Francese ma non ha perso il suo spirito profondamente reazionario e collaterale ai peggiori padroni. Che occorre tagliarle le unghie e rigettarla nel mondo del puro spirito senza alcuna possibilità di fare danni alle persone in buona fede.
Ciò che più dispiace è il silenzio con cui i supposti cattolici per bene (e ve ne sono!) accettano queste vergogne senza nemmeno degnarsi di sputare in faccia ai Cammilleri di turno.
In qualche dettaglio:
– Bruno ha parlato di infinità di mondi e, anche nell’ipotesi che ciò non fosse, qual è la colpa?
– Bruno era cacciato? No! Bruno non accettava di essere servile e: o era cacciato perché si opponeva o se ne andava! Capisco perfettamente che questa banalità è incomprensibile a Cammilleri.
– Bruno era un mago, un animista, un panteista ? Ed allora ? Il panteismo ha fallito ? E la Chiesa no ?
– Mocenigo sarebbe stato un nobile ? Mocenigo era un commerciante che aveva comprato un titolo nobiliare perché arricchitosi. Era Mocenigo che era andato a cercare Bruno alla Fiera del libro di Francoforte per offrirgli un lavoro a Venezia. Bruno più volte si lamentò del fatto che purtroppo alle capre non è possibile insegnare nulla. L’arte della memoria era solo una tecnica per mantenere cose a memoria. Il fondatore noto è un santo della Chiesa, Raimond Lull, originario delle isole Baleari, ed un cultore di questa arte era il Cardinale Cusano.
– Roberto Bellarmino era santo ? Non serviva riaffermarlo: la Chiesa sa premiare le sue carogne, anche oggi con l’Opus Dei, Escrivà de Balaguer, tutti i boia fascisti della guerra civile spagnola, Pavelic, Stepinac, i Legionari di Cristo noti pedofili, …
– John Bossy è un noto storico ? Possibile che gli storici noti sono solo gli sconosciuti che citate voi chierichetti ? La storiella delle corna di Mocenigo, sarà pure vera ma reclamarla non fa altro che ricordare le origine sicule del Cammilleri (insomma: delitto d’onore fu!)
– Ed alla fine, carognescamente come in tutto questo vergognoso pezzo, il Cammilleri rimpiange i bei tempi dell’Inquisizione quando gli oppositori erano messi a tacere con il rogo. Esaltante e vero esempio di cristianità. Dal mio punto di vista di ateo auspico molti di questi articoli che sono didatticamente utilissimi. Forza Cammilleri!
– Come prova di quanto sostengo a proposito della Chiesa riporto di seguito una recente esternazione di Gianpaolo (8 gennaio 2004) dalla quale si può comprendere la furia reazionaria di tanto Papa:
“Estranea a politiche umane”
Papa Wojtyla: la Chiesa non è democrazia
[le confessioni di uno dei tanti Papi fascisti, n.d.r.]
MARCO POLITI
(Repubblica, 11 gennaio 2004)
CITTA’ DEL VATICANO – La Chiesa non è una democrazia: Va rispettata la sua struttura gerarchica. Passano gli anni e papa Wojtyla non muta il suo pensiero, anche se in vari settori del mondo ecclesiale cresce l’insoddisfazione per l’eccessivo centralismo della Chiesa cattolica.
Ieri, ricevendo in udienza l’assemblea plenaria della Congregazione per il clero, Giovanni Paolo II è tornato a mettere i puntini sulle i. I preti facciano i preti, i laici si concentrino sulle attività loro consone senza voler invadere il campo dei vescovi [mentre la struttura della Chiesa se ne strafotte di questo principio e, servendosi di bestiacce politiche tanto docili quanto ipocrite, invade drammaticamente il campo di un Paese LAICO, n.d.r.].
“La struttura della Chiesa – sottolinea il pontefice con energia – non può essere concepita su modelli politici semplicemente umani”. La struttura gerarchica, ha proseguito, “poggia sul volere di Cristo e come tale fa parte del “deposito della fede”, che dev’essere conservato e trasmesso integralmente nel corso dei secoli”.
Occasione per l’intervento è l’aggiornamento di due strutture partecipative create dal concilio Vaticano II. I consigli pastorali, in cui i fedeli assistono il parroco nelle scelte che riguardano la comunità parrocchiale. E i consigli diocesani, in cui preti e fedeli sono consultati dal vescovo per quanto riguada il governo della diocesi.
Timore del Papa è che con gli anni i laici prendano sempre più spazio e trasformino di fatto questi organismi in parlamentini, che in qualche modo vincolano il parroco o il vescovo. Ed ecco allora che Wojtyla tende a rimettere ognuno al suo posto. I fedeli, che pur “prendono parte attiva alla missione della Chiesa”, sappiano che il loro ruolo “differisce essenzialmente da quello ministeriale o gerarchico”. Cioè dalle funzioni di vescovi e preti. E anche i preti, ne consegue, si concentrino sui loro compiti senza voler condizionare in maniera assembleare il vescovo. “I legittimi pastori (cioè i vescovi) non vanno mai considerati – ribadisce Giovanni Paolo II- come semplici esecutori di decisioni derivanti da opinioni maggioritarie emerse nell’assemblea ecclesiale”; Il pontefice si augura dunque che la riforma degli organismi ecclesiali garantisca un “equilibrato rapporto” tra il ruolo dei laici e quello del vescovo o del parroco.
Nonostante i pronunciamenti papali la questione della democrazia nella Chiesa non è così semplice né è intoccabile. Le comunità cristiane primitive non conoscevano affatto quella struttura rigidamente giuridico-gerarchica che la Chiesa ha assorbito sostanzialmente dall’impero romano prima e dalle monarchie assolutiste poi. In vista del futuro conclave è ormai all’ordine del giorno nelle conversazioni riservate dei cardinali la questione di un alleggerimento del centralismo romano. Sono aperti i problemi della nomina dei vescovi (che, in antico, venivano eletti dal popolo della diocesi) e della partecipazione dell’episcopato mondiale al governo della Chiesa universale. Papa Wojtyla lo sa, ma non deflette dalla sua linea.
Un brevissimo commento.
Signor Wojtyla, abbiamo avuto ed abbiamo tanti problemi come italiani. Non c’era bisogno di lei e non la rimpiangeremo. Supplicheremo il suo Dio che la riprenda con sé al più presto. Siamo stufi di Papi che vivono all’ombra dei fascisti spagnoli, di quelli croati, dello IOR, dell’Opus Dei e dei Legionari di Cristo.
Lei, signore, è un reazionario fascista che merita di andare a braccetto con la gran maggioranza dei suoi predecessori. Vada, vada, ….
R.R. 15 gennaio 2004
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