Dalle prime idee sulla costituzione atomica e sulle forze interatomiche alla struttura dell’atomo e delle molecole secondo la fisica dei quanti.
Roberto Renzetti
PARTE 1: ATOMI
Introduzione
Le nostre osservazioni sul mondo fisico ci hanno permesso di stabilire che la materia costituente quanto ci circonda si presenta a noi almeno in tre stati di aggregazione (non entro qui nelle distinzioni tra cristalli e sostanze amorfe e nella trattazione dei plasmi): gassoso, liquido e solido.
I tre stati di aggregazione sono tra loro sostanzialmente diversi, basti pensare che tutti ci possiamo muovere nei gas senza difficoltà, un poco meno nei liquidi e, se non lo rompiamo, non c’è modo di attraversare un solido.
Fino dall’antichità ci si è preoccupati di spiegare le differenze esistenti tra i diversi stati di aggregazione con varie teorie ma soltanto la teoria atomistica rende subito conto delle principali differenze qualitative cui accennavo (occorrerà aspettare un paio di millenni per avere un certo accordo, anche quantitativo, con le osservazioni microscopiche sperimentali).
L’ipotesi fondamentale che tutta la materia, in qualsiasi forma o stato si trovi, sia costituita da piccole particelle chiamate atomi , ci fornisce subito il modo di comprendere le differenze esistenti tra i diversi stati di aggregazione.
La discontinuità della materia: la teoria atomistica.
Senza fare ricerche sofisticate, è a tutti noto che la prima formulazione atomistica, in chiave esclusivamente speculativa, furono elaborate dai filosofi greci Leucippo e Democrito tra il 5° ed il 4° secolo a. C. Queste elaborazioni furono poi riprese, modificate ed ampliate da Epicuro nel 3° secolo a. C. e dal poeta romano Lucrezio che le riportò nella sua opera De rerum natura (Sulla natura delle cose) del 1° secolo a. C.
Osservando diversi fenomeni, Democrito ne cercava la spiegazione. Ecco per esempio l’acqua: riscaldata si trasforma in un vapore invisibile e si dissolve; come spiegare questo fenomeno? E’ chiaro che tale proprietà dell’acqua deve avere una qualche relazione con la sua struttura interna. O ancora: perché sentiamo l’odore dei fiori a distanza? Perché il fulmine passa attraverso i muri delle case come le voci? Riflettendo su questioni di tale natura ed anche per rispondere ad alcuni quesiti sull’infinito che erano stati posti da Zenone (vedi, nel sito, “Frammenti di storia….“), Democrito giunse alla conclusione che la materia deve essere discontinua e formata da particelle invisibili ed indivisibili da cui il nome atomi.
Secondo Democrito esistono solo gli atomi e lo spazio vuoto, tutto il resto è opinione. Gli atomi hanno dimensioni, sono eterni ed infiniti in numero, diversi tra loro solo per la grandezza, la forma ed il peso; essi si muovono nello spazio infinito per la loro gravità, ed i più grandi e pesanti cadono più velocemente dei più piccoli e leggeri. L’urto ed il rimbalzo producono un continuo turbinio che forma un numero infinito di mondi. Tutte le cose nascono per l’aggregazione degli atomi, muoiono per la loro disgregazione; solo gli atomi, eterni, non nascono né muoiono. Per Democrito gli atomi sono nude forme, schemi o idee, cioè, secondo il significato attribuito a questi termini dai matematici greci, mere entità geometriche, dotate solo di estensione e prive perciò di tutte le qualità che i nostri sensi proiettano nella realtà fisica. Tali qualità, in effetti, sono risposte date dall’occhio, dal naso e dagli altri organi sensibili, quando questi vengono stimolati dagli atomi: ad esempio gli atomi angolosi, a molte code o punte, pungendo il palato, provocano in questo la sensazione dell’acido; quelli sferici, al contrario, solleticano piacevolmente la lingua ed il palato, suscitandovi l’impressione del dolce. La figura seguente ricostruisce alcuni possibili atomi secondo Democrito.

Questo modo di intendere la costituzione della materia, pur avendo notevole successo all’epoca, fu immediatamente soppiantata dalla visione aristotelica che richiedeva una astrazione molto minore e risultava molto più comprensibile. Aristotele (IV° secolo a. C.) liquidava la faccenda con osservazioni del tipo: “Se l’aria ed il fuoco fossero fatti di piccole particelle solide, come potrebbero innalzarsi? Esse si rovescerebbero piuttosto sulla terra come una pioggia di ciottoli!“. Questo ragionamento era molto più legato all’empirismo ingenuo. la spiegazione delle cose con le cose ebbe maggior successo e, piano piano, Democrito fu dimenticato (per dei cenni alla fisica di Aristotele, vedi “Frammenti ….“). Nessuno più parlò di atomi finché, durante il Rinascimento (2000 anni dopo!), non si riscoprirono le cose sostenute da Democrito, più per come erano state raccontate da altri che per le opere originali, tutte praticamente perdute.
Nel 1647, quasi in contemporanea con il processo a Galileo, vi fu uno studioso francese, Pierre Gassendi che negò pubblicamente l’aristotelismo imperante e riportò alla luce il pensiero di Democrito, assumendolo come sistema filosofico. Il sistema di Democrito fu anche modificato da Gassendi che avanzò nell’elaborazione democritea nella parte riguardante gli stati di aggregazione della materia ed i cambiamenti di stato, anche se, naturalmente, siamo ben lontani da una teoria fisica. Egli riteneva che gli atomi dei corpi solidi dovessero possedere dei piccoli ganci (si pensi alle lettiere metalliche) che si attaccavano gli uni agli altri. In tal modo i metalli e le rocce acquistavano durezza e robustezza. Tali ganci mancavano per materiali aeriformi …. Ad un certo punto della sua opera egli propugnò perfino l’esistenza di una forza fisica che agiva sugli atomi facendoli aderire gli uni agli altri come altrettante piccole calamite.
Anche Bacone, Galileo, Hooke, Boyle, pur ritenendo probabile una struttura atomica della materia, non potendo sostenerla sperimentalmente, non fecero alcun tentativo per sviluppare una qualche teoria matematica Devono passare altri 100 anni perché la teoria atomica riacquisti un poco di forza, ad opera del fisico francese Daniel Bernouilli (1738).
Gli atomi entrano in una teoria matematica.
Nel 1662 il chimico britannico Robert Boyle aveva trovato empiricamente la legge che ancora oggi porta il suo nome: in un gas ad una data temperatura il prodotto della pressione per il volume è costante (la pressione ed il volume sono tra loro inversamente proporzionali). E ciò vuol dire che, se si dispone di un gas in un recipiente, raddoppiando la

pressione P su di esso si dimezza il volume V; triplicando la pressione P, il volume si riduce ad un terzo; … In formula:
P.V = K,
dove K è una costante. Ebbene, nel 1738 D. Bernouilli ritrovò la stessa legge per via esclusivamente teorica a partire da ipotesi che avevano al centro la costituzione atomica del gas in considerazione. Cercherò di ricostruire i conti fatti da Bernouilli avvertendo che inserirò elaborazioni e perfezionamenti posteriori, ricavati principalmente da Joule e Maxwell intorno alla metà dell’Ottocento.
Le ipotesi di Bernouilli sono le seguenti:
1) un gas è costituito da atomi in continuo movimento;
2) questi atomi, semplici sferette, sono piccole particelle sferiche il cui volume è trascurabile rispetto al volume totale occupato dal gas;
3) gli atomi non esercitano forze tra loro a distanza;
4) quando un atomo collide con un altro atomo o con la parete del recipiente la collisione è perfettamente elastica (non si perde energia).
Un’idea di quanto Bernouilli pensava discende proprio da una figura che egli stesso riporta:

sono proprio le molte particelle costituenti il gas che, con i loro urti sulla parete superiore del recipiente sostengono il peso P. Ma passiamo ai conti di Bernouilli, semplificando il tutto con un recipiente di forma cubica, di lato d e quindi di volume V = d3:

in esso iniziamo con il sistemare un solo atomo di massa m. Anche qui semplifichiamo e supponiamo che la sua traiettoria sia parallela a quattro facce del cubo e perpendicolare alle altre due, come mostrato in figura. Questo atomo, ad un dato istante, abbia velocità v. Esso urterà su una parete del recipiente e, appena dopo l’urto, la sua velocità sarà rimasta invariata in modulo v, ma avrà verso opposto – v.
Vediamo le cose dal punto di vista della variazione della quantità di moto. Prima dell’urto l’atomo avrà quantità di moto q1 = mv, dopo l’urto questa quantità di moto sarà q2 = – mv. La variazione della quantità di moto Δq in questo urto sarà data da:
Δq = q1 – q2 = mv – (- mv) = 2 mv
L’atomo rimbalzerà alternativamente sulle due facce opposte della scatola. Vediamo quanto tempo t intercorre tra due urti successivi dell’atomo contro la stessa faccia. Si ha:
t = 2d/v.
Ci chiediamo ora: quanti urti n farà su quella faccia il nostro atomo in un dato tempo, mettiamo Dt ? Questo numero n sarà dato dal tempo complessivo Dt, diviso per il tempo t che intercorre tra due urti successivi:
n = Δt/t => n = Δt/(2d/v) = (v/2d).Δt.
Quindi, per ogni urto si ha una variazione di quantità di moto pari a 2d/v; nel tempo Δt si ha il numero di urti ora visto; quale sarà la variazione totale di quantità di moto ΔQ nel tempo Δt? Si ha:

.
Ma una variazione totale di quantità di moto nel tempo non è altro che il secondo principio della dinamica, quello che ci definisce la forza:

In definitiva, quell’atomo che rimbalza su quella superficie del cubo gli trasmette, nel tempo dato, una forza data dalla relazione precedente. Poiché poi questa forza la si esercita su una superficie (S = d2), si avrà a che fare con una pressione che è proprio il rapporto tra forza e superficie (P = F/S):

Occorre ora passare dall’uno all’enorme quantità di atomi che si hanno dentro il recipiente e lo facciamo con un ragionamento, dello stesso tipo di quello di Bernouilli che affrontava questo problema perché i suoi interessi principali erano statistici e probabilistici.
Inizio tornando un poco indietro. Ho iniziato a parlare di una cosa che era una ipotesi semplificativa: il fatto che la traiettoria di quell’atomo fosse parallela a quattro facce e perpendicolare alle altre due. Potrebbe sorgere il dubbio che, il complesso dei ragionamenti sia vincolato a questa ipotesi ed infici le conclusioni. Non è così. Se la traiettoria fosse diretta come vi pare, noi possiamo sempre scomporre il vettore velocità nelle sue tre componenti spaziali parallele agli spigoli del cubo. Allora l’operazione che noi abbiamo fatto corrisponde ad aver studiato una sola delle tre componenti e, identici ragionamenti si possono fare per le altre due componenti, arrivando ad identiche conclusioni. Passo ora al numero degli atomi: essi avranno le traiettorie più varie ed urteranno in modo completamente imprevedibile le facce del cubo oltre ad urtarsi tra loro. Ma, anche qui, possiamo pensare di scomporre i vettori velocità di ogni singolo atomo sempre parallelamente agli spigoli del cubo. Cosa ci si aspetta? Che un terzo di queste componenti avrà una direzione spaziale, un terzo un’altra ed un terzo l’ultima! Insomma, non vi sono motivi per pensare che una direzione dello spazio sia privilegiata rispetto ad altre (in assenza di forze esterne). In tal modo, se il numero degli atomi nel cubo è N, quelli che dovremo considerare sbattere su una faccia (o come tali o come componenti delle loro velocità, il che alla fine è lo stesso), quella che abbiamo preso in considerazione, sarà N/3, cioè un terzo di quelli che abbiamo a disposizione. Ciò vuol dire che l’ultima relazione scritta si completa moltiplicandola per N/3:

Intanto si vede subito che al primo membro abbiamo il prodotto PV pressione per volume del gas. Occorre stabilire che il secondo membro è una costante per ritrovare la legge di Boyle. Ora su Nm/3 non vi sono dubbi (Nm rappresenta la massa totale del gas). Il problema si pone per v2. Questa quantità fu supposta costante ad una data temperatura (l’ipotesi era stata avanzata da Euler nel 1729 e non è scontata: occorreranno i lavori di Joule e Maxwell -1866 -, come accennato, per poter affermare una cosa del genere. In proposito si può vedere l’Appendice 5 al lavoro sulla Relatività pubblicato nel sito, nella sezione Fisica e Storia della Fisica dove si discute delle velocità molecolari). Posso provare a darne una giustificazione che però si serve di risultati posteriori, come la conservazione dell’energia.
L’energia totale di tutti gli atomi costituenti il gas, sarà data, ad un dato istante, dalla somma delle energie cinetiche dei singoli atomi (si suppone naturalmente che tutti gli atomi abbiano la stessa massa m):

Ad un istante successivo, poiché gli urti sono perfettamente elastici, saranno cambiate le singole velocità degli atomi, ma la loro energia cinetica totale sarà ancora data dalla somma delle singole energie cinetiche:

di modo che, per la conservazione dell’energia, dovrà risultare:

e cioè:

Quanto visto mostra che la somma dei quadrati delle velocità degli atomi è sempre costante. La precedente somma la si può allora scrivere:

dove:

rappresenta la media dei quadrati delle velocità dei singoli atomi e, comunemente, si chiama velocità quadratica media. Ciò vuol dire che ogni atomo può essere dotato di una qualunque velocità, ma è più probabile che abbia un valore vicino alla velocità media.
In definitiva, con il lavoro di Bernouilli (e successive integrazioni), a partire dall’ipotesi atomica si ritrova una legge fisica che era stata trovata sperimentalmente. E’ la prima volta quindi che si ha a che fare con una vera e propria teoria fisica e non più con una speculazione filosofica.
Ulteriori scoperte
Un importante passo in avanti nell’affermazione della teoria atomica venne dai lavori di Lavoisier del 1787 ed in particolare nella scoperta della conservazione della massa. La cosa oggi potrebbe sembrare abbastanza scontata ma se si osserva un tronco che arde in un camino credo che ancora qualche dubbio uno possa porselo. Lavoisier, con l’introduzione sistematica dell’uso della bilancia realizzò una serie di esperimenti che risolsero il problema. Se si dispone di una bilancia a bracci uguali e su di un piatto si dispone una candela equilibrata da una data massa sull’altro piatto, si osserverà che, man mano che la candela brucia, la bilancia si squilibrerà dalla parte della massa equilibratrice. Lavoisier pensò di tener conto anche dei fumi che si disperdevano e sistemò sopra la candela una specie di cappello di vetro cosparso di una sostanza che assorbe i fumi. A questo punto nacque una sorpresa: man mano che la candela bruciava la bilancia si squilibrava dalla parte della candela! Lavoisier intuì che la combustione della candela utilizzava qualcosa che era preso dal di fuori del sistema bilancia in equilibrio. Allora isolò in un recipiente abbastanza grande (per la quantità di ossigeno che doveva contenere, come diremmo oggi) la candela che bruciava equilibrata opportunamente sull’altro piatto. Questa volta la candela bruciò restando in continuo equilibrio con la massa equilibratrice.
Il passo successivo, conseguente all’affermazione della conservazione della massa (ora vista), si fece nel capire che la proporzione di due elementi che si combinano tra loro deve essere ben definita e sempre la stessa (legge delle proporzioni definite, Proust 1799), o che al massimo può variare secondo multipli della proporzione minima (legge delle proporzioni multiple). Ciò vuol dire che se 3 granirai di carbonio (C) si possono combinare con 4 grammi di ossigeno (0), per mezzo di una opportuna reazione, in modo da formare ossido di carbonio (CO), disponendo di 30 grammi di carbonio occorreranno necessariamente 40 grammi di ossigeno per ottenere il medesimo composto; nel caso poi la proporzione 3:4 non fosse esattamente rispettata, allora l’elemento che eccedesse non entra in combinazione:
4 g di C + 4 g di O = 7 g di CO + 1 g di C.
Quanto ora detto descrive la legge delle proporzioni definite; tuttavia l’altra legge, quella delle proporzioni multiple, ammette che 3 grammi di carbonio possono combinarsi con 6 grammi di ossigeno per originare anidride carbonica (CO2). Passando ad un altro esempio, si ha che, mentre 1 grammo di azoto reagisce con 0,6 grammi di ossigeno per formare il protossido di azoto (N2O), ci vorranno 10 grammi di azoto da far reagire con 6 grammi di ossigeno per ottenere lo stesso composto. Viceversa, disponendo sempre di un grammo di azoto ma, questa volta, di 1,2 grammi di ossigeno, da questa reazione si formerà ossido di azoto (N2O2); se i grammi di ossigeno diventano 1,8 si originerà anidride nitrosa (N2O3); se i grammi di ossigeno diventane 2,4 si originerà l’ipoazotide (N2O4); se i grammi di ossigeno diventano 3 si originerà anidride nitrica (N2O5). Come si vede si può costruire la seguente proporzione multipla:
0,6 : 1,2 : 1,8 : 2,4 : 3 = 1 : 2 : 3 : 4 : 5
Ebbene, il fatto che lo studio di svariatissime reazioni chimiche continuava a far apparire numeri interi cominciò a far pensare al fatto che questa fosse una manifestazione della natura discontinua o atomica della materia (un atomo può combinarsi con uno o due o tre o … altri atomi, mai con 1/2, 2/3, … di atomo) con l’ammissione, fatta da Dalton (1803), che le proporzioni fisse e multiple rappresentassero proprio i pesi relativi degli atomi.
Fu Dalton che iniziò a trarre alcune conseguente da queste leggi empiriche. Seguiamo un probabile ragionamento del chimico britannico: dallo studio dell’acqua mediante elettrolisi si scopre che essa è composta , in peso, da 8 parti di ossigeno per ogni parte di idrogeno. La legge delle proporzioni definite ci deve far concludere che l’acqua è formata da un grammo di idrogeno per ogni otto grammi di ossigeno. Se la molecola d’acqua fosse formata da un atomo di idrogeno e da uno di ossigeno (HO) allora all’interno di una massa d’acqua dovrebbe aversi un ugual numero di atomi di idrogeno ed ossigeno con la conseguenza che il rapporto 1:8 tra le masse idrogeno-ossigeno lo si dovrebbe ritrovare tra le masse degli atomi di questi due elementi. Ma se la molecola di acqua è formata da due atomi di idrogeno e da uno di ossigeno (come oggi sappiamo), nella massa d’acqua gli atomi di idrogeno dovranno essere in numero doppio di quelli dell’ossigeno ed anche in questo caso si dovrebbe avere un rapporto costante tra le masse dei singoli atomi (non più l:8, come visto prima, ma l:l6). E’ importante capire come stanno le cose perché, se per caso la molecola d’acqua è H2O, la molecola HO sarà una molecola di un composto diverso (e questo per la legge delle proporzioni multiple).
L’acqua ossigenata è un altro composto semplice dell’idrogeno e dell’ossigeno. In che modo possiamo stabilire quanti atomi di idrogeno quanti di ossigeno formano una molecola di acqua ossigenata? Una prova interessante si ha scomponendo un poco di acqua ossigenata e trovando il rapporto delle masse d’idrogeno e di ossigeno. Il risultato è che, facendo un confronto con l’acqua semplice, nell’acqua ossigenata solo metà della quantità di idrogeno, si combina con l’ossigeno. Nell’acqua semplice si trovano 2 grammi di idrogeno ogni 16 grammi di ossigeno e nell’acqua ossigenata si trova solo un grammo di idrogeno ogni 16 grammi di ossigeno. Questo risultato è in accordo con l’idea che le molecole dell’ac qua ossigenata siano del tipo HO e quelle dell’acqua H2O , però esso non costituisce una prova decisiva: le molecole d’acqua potrebbero essere del tipo HO (come suppose Dalton) e quelle di acqua ossigenata HO2. Oppure, se ammettiamo che la molecola d’acqua sia data da H2O, quella dell’acqua ossigenata può essere H2O2.
La chimica sola non basta quindi a definire in modo univoco i rapporti dei pesi atomici e le formule chimiche dei composti. L’ovvia domanda che ci si pone è: quanti atomi di ciascuna specie diversa si combinano per formare la molecola (per ora molecola è la più piccola parte di un composto chimico costituita da atomi di elementi chimici) delle sostanze che conosciamo? In base alla sola chimica possiamo assegnare dei pesi convenzionali ai singoli atomi, ma ciò può farsi in una infinità di modi. Vediamo qualche esempio.
H | C | O |
1 | 6 | 8 |
1 | 9 | 12 |
1 | 12 | 16 |
Nel primo caso l’acqua, l’ossido di carbonio, l’anidride carbonica ed il metano avrebbero formule: HO (in accordo con Dalton), CO, CO2, CH2; nel secondo caso H3O2, CO, CO2, CH3; nel terzo H2O, CO4, CO2, CH4. In base alle nostre conoscenze di chimica elementare vediamo subito che le formule esatte sono H2O (terzo caso), CO2 (primo caso) ed infine CH4 (terzo caso); si vede quindi che l’indeterminazione della formula in base ai soli pesi atomici non è univoco. Questa indeterminazione si può togliere solo se si adotta un altro criterio, oltre a quello ponderale, per valutare i raggruppamenti degli atomi (la molecola).
Prima di proseguire sulla strada della comprensione dei problemi posti, è utile ricordare che Dalton è il fondatore della teoria atomica chimica. Già nel ‘600 si era ripresa la teoria di Democrito con modelli atomici fantasiosi. Tra gli altri, William Petty, propose nel 1674 un modello di atomo che, come la Terra, era dotato di poli magnetici, di rotazione e rivoluzione:

quindi Niklaas Hartsoeker (1696) propose atomi che avrebbero avuto, in piccolo, le stesse proprietà del materiale che andavano a costituire:

così in (a) vi è un metallo refrattario, in (b) un metallo fusibile, in (c) atomi d’oro (pentagoni) mescolati con atomi di mercurio (sferici), … Come si vede siamo ancora sulla strada di Democrito. Andando avanti nel tempo si proposero altre teorie più sofisticate. Non si assegnavano più proprietà al singolo atomo/molecola ma solo un simbolo per tentare, come in un puzzle, di risalire alla costituzione della materia e/o alle sue proprietà. All’inizio di questo processo non si capiva bene cosa fosse atomo e cosa molecola. Così si costruirono tabelle in cui troviamo delle molecole come se fossero atomi:

o addirittura in cui si sistemano le varie sostanze in combinazioni possibili con atomi di calore (il calorico che, sparì dalla circolazione grazie anche alla legge della conservazione della massa di Lavoisier, infatti una sostanza calda ha la stesa massa di quando si raffredda). Con Dalton invece abbiamo una vera e propria teoria atomica che tenta di individuare elementi con cui comporre molecole (come del resto abbiamo visto):
1) la materia è costituita da piccolissime particelle indivisibili dette atomi;
2) l’atomo è la più piccola parte di un elemento;
3) gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali ed hanno tutti lo stesso peso; atomi di elementi differenti non sono uguali ed hanno masse differenti;
4) le reazioni chimiche avvengono tra atomi interi e non tra frazioni di atomi;
5) il più piccolo aggregato di atomi diversi si chiama molecola;
6) gli atomi degli elementi combinati in un composto conservano la loro identità e sono indistruttibili.

All’epoca dei lavori di Dalton, fu trovata sperimentalmente: da Volta e indipendentemente da Gay Lussac e Charles la legge secondo la quale la dilatazione termica è uguale per tutti i gas (a pressione costante il volume occupato da un gas è direttamente proporzionale alla temperatura); da Gay Lussac (1809) ed indipendentemente da altri, la legge dei rapporti volumetrici semplici nelle reazioni gassose (ad una data pressione e temperatura, tutti i gas si combinano tra loro in proporzioni volumetriche semplici ed il rapporto tra il volume di un qualsiasi prodotto gassoso ed il volume di un qualsiasi reagente è espresso da un rapporto di numeri interi. Nel caso dell’acqua: per ogni litro di ossigeno, reagiscono due litri di idrogeno). Gay Lussac osservò che il fatto che tutti i gas si comportano allo stesso modo nei riguardi della legge di Boyle e che hanno tutti lo stesso coefficiente di dilatazione suggerisce l’idea che essi, a parità di volume, pressione e temperatura, contengano lo stesso numero di particelle (la cosa non poteva ancora essere data con certezza: occorreva almeno il principio di equipartizione dell’energia che sarà di Boltzmann).
A questa ipotesi Dalton fece la seria obiezione seguente: un litro di ossigeno O, combinandosi con un litro di azoto (N) per dare ossido di azoto (NO) dovrebbe dare un litro perché le particelle NO sono tante quante sono le particelle N (o le O); al contrario si ottengono due litri di NO. Questa obiezione fece cadere l’ipotesi di Gay Lussac.
L’obiezione di Dalton si elimina invece e tutte le cose si chiariscono immediatamente se si ammette che un atomo possa combinarsi con uno o anche più atomi dello stesso tipo. Da questa affermazione deriva che anche nei gas semplici (composti da atomi dello stesso tipo) si deve distinguere al pari che nei composti tra atomi e molecole. Questa idea fu introdotta per la prima volta da Amedeo Avogadro e permise allo stesso, riprendendo l’ipotesi di Gay Lussac sui volumi di combinazione e alcuni concetti fondamentali della teoria cinetica (Bernouilli e sviluppi), di enunciare la seguente ipotesi (1811): volumi uguali di gas, a parità di temperatura e pressione, contengono sempre lo stesso numero di molecole, ovvero, in altra forma: un certo numero di molecole posto in un dato volume esercita sempre la stessa pressione, a parità di temperatura, qualunque sia il tipo delle molecole. Basta allora ammettere che l’ossigeno e l’azoto abbiano molecole biatomiche per spiegare la legge dei volumi nella reazione citata prima:
N2 + O2 = 2NO
ed è questo il modo che ci fa subito capire come da un litro di N + un litro di O, si ottengono due litri di NO (ammettendo che azoto ed ossigeno esistono in molecole costituite dagli atomi della medesima sostanza).
Ammessa l’ipotesi di Avogadro, le reazioni gassose permettono di ricavare, dai rapporti volumetrici, i rapporti tra numero di molecole e quindi togliere l’indeterminazione nei rapporti tra pesi atomici. Prendiamo ancora come esempio la semplice reazione di sintesi dell’acqua a partire da idrogeno ed ossigeno. Il fatto che si abbia:
2 volumi di H + 1 volume di O = 2 volumi di acqua
e cioè:
2H2 + O2 = 2H2O
significa che due molecole d’acqua sono formate con due molecole di idrogeno ed una di ossigeno; ossia che una molecola d’acqua è formata da una molecola d’idrogeno e mezza di ossigeno, dunque non può aversi HO per sua formula chimica, ma H2O (e le molecole di idrogeno ed ossigeno sono H2 ed O2). Perciò il rapporto di peso atomico tra O ed H è 16 e non 8.
Benché l’ipotesi di Avogadro inquadrasse un grandissimo numero di fatti sperimentali, essa fu per lungo tempo ignorata dai chimici i quali continuarono per quasi 50 anni a scrivere HO. Poi si resero conto che era indispensabile …
Trovato il mezzo per stabilire i rapporti tra i pesi dei diversi atomi, si costruì via via (ad opera principalmente di Berzelius) la tabella dei pesi atomici e quindi dei pesi molecolari (i numeri di questa tabella si possono naturalmente interpretare come misure delle masse atomiche riferite alla massa dell’atomo di idrogeno) prendendo come unità il peso dell’atomo di idrogeno (questo portarsi dietro la parola peso è un errore storico; in realtà si dovrebbe usare massa). Ma le leggi fin qui studiate, leggi chimiche, non ci forniscono il valore in grammi dei pesi degli atomi, non ci danno cioè il rapporto tra il grammo e l’unità che si usa convenzionalmente per il peso atomico, in quanto le leggi raccontate e l’ipotesi di Avogadro non permettono di valutare una costante fondamentale, cioè il numero di molecole contenute in un volume di gas scelto come volume di riferimento ad una certa pressione e temperatura. Questo numero N, detto numero di Avogadro e determinato sperimentalmente da Perrin agli inizi del ‘900, moltiplicato per la massa M di una molecola, ci fornisce il peso del gas contenuto nel volume di riferimento. Quando si conosce il numero di Avogadro, si conosce il peso in grammi di qualunque atomo (molecola), poiché basta dividere il peso atomico (o molecolare) per questo numero. Il numero di Avogadro vale: N = 6,06 . 1023 ed è un numero immenso, difficilmente pensabile.
In ogni caso, quanto fin qui detto certamente non è una dimostrazione dell’esistenza degli atomi. Tuttalpiù lo si può ritenere come un indizio. E questo anche perché, in realtà, la chimica non può dire nulla che a questo proposito sia decisive. Infatti, i supposti atomi della chimica possono essere grandi come pallini da caccia o piccoli come punti matematici (privi di dimensioni): il loro scopo nella chimica lo assolvono ugualmente, sia nell’un caso che nell’altro, senza per questo dover entrare in impegnative disquisizioni di principio. L’atomo che può assumere qualunque dimensione è un atomo che può, nei fatti, sparire o quanto meno restare un mero modello funzionale alle sole leggi della chimica.
Indizi sono dunque il fatto che con l’ipotesi atomica si ritrovano alcune leggi empiriche della fisica (Boyle, Charles, …), il fatto che vi sono proporzioni fisse o multiple nella formazione dei composti, il fatto che si presenti questa costanza del numero N. Ma vi sono degli altri indizi. La scoperta del vuoto che Torricelli fece nel 1644 (vedi l’articolo nel sito) fu di gran sostegno alla teoria atomistica. Atomo vuol dire materia concentrata in una determinata zona ma circondata da vuoto. Altrimenti che senso ha parlare di atomi ? si dovrebbe considerare un tutto continuo. Ebbene la scoperta del vuoto, fatto straordinario in contrapposizione all’ horror vacui aristotelico, fu uno dei più forti indizi sulla via dell’affermazione della teoria atomistica. E poi, in cristallografia, il fatto che l’unità elementare di un cristallo, il reticolo cristallino, debba essere costituito da alcuni atomi o molecole disposte ai vertici di una figura geometrica ha permesso l’elaborazione matematica della cosa. E, secondo la matematica, le possibili forme geometriche che si possono costruire, nell’ipotesi di disporre atomi ai vertici di un reticolo cristallino, sono in un numero limitato, 32. Ebbene sperimentalmente, in mineralogia, tale è il numero delle classi cristalline che si è individuato. E neppure una sola classe cristallina va a mettere in dubbio quanto ricavato teoricamente in base all’ipotesi atomica.
I limiti a cui si può arrivare nel separare la materia.
Frantumando un oggetto in pezzetti, fino a che punto si può arrivare nelle dimensioni dei pezzetti? Se si può dividere all’infinito è inutile pensare agli atomi; viceversa, se ci imbattiamo in un qualche limite, si può aggiungere un indizio all’ipotesi atomica. Vi sono vari fenomeni nei quali si può intravedere il limite di divisibilità della materia. Si può mescolare una sostanza odorosa (il mercaptano) con l’aria ed andare a misurare quale è il livello di diluizione che permette di percepire ancora la sensazione odorosa; si può diluire una sostanza colorante (l’eosina) in acqua per vedere fino a quale grado di diluizione è possibile ancora percepire una colorazione uniforme del miscuglio; si può battere un foglio di metallo (ad esempio: oro) per vedere fino a quale spessore si può arrivare; ma queste sono ancora esperienze abbastanza vaghe, le prime due perché molte soggettive, la terza perché ha un limite nella grossolanità del martello addetto allo scopo (in ogni caso le foglioline d’oro che servono per la doratura delle cornici hanno spessori che si aggirano intorno ai 2.000 Å – leggi angstrom -, laddove 1 Å = 10 – 10 m). Un indizio più certo è quello che si può ricavare dalle bolle di sapone (studiate da Newton). Se disponiamo di una intelaiatura rigida con la quale prelevare una pellicola di sapone da un bicchiere di acqua saponata ed osserviamo attentamente la pellicola stessa, possiamo osservare fenomeni interessanti: la pellicola ha dei colori diversi da zona a zona, manifestazione del diverso spessore che essa ha da zona a zona (a seguito delle diverse proprietà di assorbire e di riflettere la luce da parte di spessori differenti); i colori cambiano poi nel tempo, e ciò vuol dire che gli spessori differenti si spostano sulla superficie della pellicola. Se si guarda con molta attenzione si possono scoprire delle piccole macchioline nere sulla superficie in esame: qui la riflessione della luce è molto debole e quindi lo spessore della pellicola è ancora più sottile. Newton ha scoperto che dentro queste macchioline nere se ne formane altre ancora più nere, quindi spessori ancora più ridotti. Il più piccolo spessore individuato da Newton è di 100 Å, veramente piccolissimo, ma ciò che è più interessante è che lo spessore immediatamente meno sottile che si individua è di 200 Å, esattamente il doppio del precedente. Sembrerebbe qui che si è arrivati ai limiti di divisibilità della materia: lo strato più sottile potrebbe essere uno strato monomolecolare della sostanza; quello immediatamente meno sottile è costituito da due strati sovrapposti (è da notare che non si è mai misurato, ad esempio, uno spessore pari ad uno strato molecolare e mezzo).
Un’esperienza dello stesso tipo, con una evidenza maggiore, è quella detta degli strati molecolari. Poiché è molto istruttiva e facilmente realizzabile in casa, su di essa fornisco qualche dettaglio al fine di rendere possibile la sua realizzazione.
L’idea dell’esperienza è semplice: si tratta di far espandere una piccola quantità di un particolare olio (l’acido oleico) su di una superficie d’acqua e di andare a misurare la superficie coperta dall’olio. La realizzazione deve prevedere qualche accorgimento poiché basta una sola goccia di acido oleico per coprire una intera piscina. Si tratta quindi di disporre di una quantità di acido oleico più piccola di una goccia e di realizzare un qualche meccanismo che ci permetta di visualizzare i limiti di espansione della frazione di goccia.
L’acido oleico ha la proprietà di galleggiare sull’acqua, mentre 1’alcool va a mescolarsi con essa. Si può allora utilizzare questa proprietà preparando una soluzione di acido oleico in alcool; in questo modo una goccia di tale soluzione conterrà solo una percentuale di acido oleico che sarà quella che andrà a formare la pellicola sull’acqua (l’alcool andrà invece a diluirsi nell’acqua). Per misurare la superficie della pellicola così ottenuta ci si può servire di una polvere minutissima da spandere preventivamente sulla superficie dell’acqua (molto adatta è la polvere di licopodio, costituita dalle spore della pianta omonima). Quando la goccia di acido oleico cadrà sull’acqua sistemata in una bacinella di plastica si potrà vedere la superficie che esso disegna per il fatto che la polvere viene spostata fino ai limiti di espansione della pellicola di acido oleico. A questo punto si passa a misurare questa superficie, che è approssimativamente circolare, con un righello (si misura il diametro della circonferenza e quindi si risale alla superficie del cerchio).
Diamo ora qualche numero e vediamo quali conclusioni importanti si possono trarre da questa semplice esperienza.
Il materiale occorrente è una vaschetta di plastica che abbia un diametro di circa 30 cm; un cilindro graduato; due tre bottigline; un righello; una piccola quantità di acido oleico (o acido stearico); una piccola quantità di licopodio (o polvere finissima di gesso); una piccola quantità di alcool; un contagocce.
Si disponga nella vaschetta dell’acqua (almeno per un centimetro di spessore); quindi si spanda su di essa una piccolissima quantità di polvere di licopodio; si passi quindi a preparare la soluzione di acido oleico in alcool, una soluzione allo 0,5 %. Per realizzare questa soluzione si può procedere nel modo seguente: dapprima si mescolano 5 cm3 di acido oleico con 95 cm3 di alcool ed a questo punto si è ottenuta una prima soluzione al 5%; si prendono ora 5 cm3 di questa prima soluzione e si mescolano con altri 45 cm3 di alcool; si è così ottenuta una soluzione allo 0,5 % di acido oleico in alcool. Con il contagocce si preleva una piccola quantità della soluzione ottenuta e si opera in modo da mantenere la goccia sospesa al foro del contagocce medesimo al fine di misurare il diametro della goccia medesima (il diametro risulta di circa 2 mm e conseguentemente il volume della goccia sarà di circa 4 mm3 ). Chiediamoci ora quanto acido oleico vi è in quella goccia. Si trova: 0,5 % di acido oleico in complessivi 4 mm3 di soluzione = 0,02 mm3 = 2.10– 5 cm3 di acido oleico in una goccia di soluzione. A questo punto si può far cadere la goccia sella vaschetta. Si formerà subito una macchia che avrà ai suoi bordi il licopodio spostato dall’espandersi dell’acido oleico presente nella goccia. Il diametro medio di questa macchia è di circa 15 cm e poiché essa è di forma approssimativamente circolare avrà una superficie di 125 cm2. A questo punto non restano che dei semplici ed istruttivi conti. Possiamo subito passare a calcolarci lo spessore della macchia. Noi conosciamo il suo volume che è quello dell’acido oleico presente nella goccia; conosciamo la sua superficie di base; possiamo risalire alla sua altezza con una semplice divisione:

Se confrontiamo questo dato con quanto oggi sappiamo sul diametro medio di un atomo (~ 10 – 8cm) vediamo subito che qui siamo ad una dimensione che è dell’ordine di 10 atomi in fila. Se si tiene poi conto che la molecola dell’acido oleico è una grande e complessa molecola che ha per formula C18H33COOH, ci si rende subito conto che qui siamo arrivati a costruirci uno strato monomolecolare.
Ma c’è di più. Proseguendo nei conti è possibile addirittura arrivare alla determinazione, almeno per ordine di grandezza, del numero di Avogadro.
Supponiamo che lo strato ottenuto sia monomolecolare e che le molecole abbiano forma cubica, il volume di una molecola sarà dato da:
V = (1,6.10 – 7) 3 cm3 = 4.10 – 7 cm3.
La massa di una molecola è data dal suo volume moltiplicato per la densità dell’acido oleico, che vale 0,89 g/cm3:
m = 0,89.4.10-21 = 3,5.10-21 g.
II numero N di Avogadro è dato dal rapporto tra peso molecolare dell’acido oleico (= 282 g) diviso per la massa di una molecola:
N = 282/3,5.10-21= 8.1022.
e questo valore si avvicina a quello ricavato con ben altra precisione con tecniche sperimentali molto sofisticate (N~6.1023).
Un ultimo aspetto e per i nostri fini più interessante di questa esperienza è che ripetendola più volte porta sempre alla stessa superficie dello strato e non solo: se si fanno cadere due gocce si ottiene una superficie doppia, con tre gocce una tripla e così via.
Categorie:Senza categoria
Rispondi