PARTE 1:DA TALETE A DESCARTES
Roberto Renzetti
PRIMI FENOMENI
Alcuni curiosi e divertenti fenomeni elettrici e magnetici erano noti fin dall’antichità. E’ difficile andare a ricavare le prime scoperte in tal senso ma qualcosa si può dire.
Intanto la stessa parola elettricità è di derivazione greca, deriva cioè da ήlektron (1) (leggi: electron) che vuol dire ambra. L’ambra è una resina fossile che mostrava particolari proprietà: se strofinata con un panno attira a sé piccoli corpuscoli posti nelle sue vicinanze.
Fenomeni analoghi erano di particolari minerali ferrosi noti come pietra di Magnesia (ή lίqoV MagnhtiV; leggi: e litos Magnetis, dal nome della città che si trovava alle falde del monte Sipilo, nell’Asia Minore) che presentavano la proprietà di attrarre a sé pezzettini di ferro.
E’ quindi evidente che da ambra e Magnesia discendono i nomi di due branche della fisica che per iniziare ad essere minimamente comprese richiederanno centinaia e centinaia di anni.
Sembra che, nel VI secolo prima di Cristo, sia stato Talete di Mileto (e Mileto era città, anch’essa, dell’Asia Minore al centro di imponenti traffici, anche culturali, tra l’Oriente, l’Egitto e la Grecia) il primo ad occuparsi di elettricità. Egli riteneva che il magnete fosse vivo perchè in grado di far muovere le cose e che avesse un’anima.
Questi primi fenomeni osservati dovettero attendere, a quanto se ne sa, circa 1900 anni prima che si potesse realizzare una qualche applicazione pratica (le possibili prime teorie dei fenomeni elettrici e magnetici avrebbero invece richiesto all’incirca 2400 anni).
LA BUSSOLA
Le notizie che riporto sono in gran parte incerte, vaghe ed a volte contraddittorie, come è sempre quando non si dispone di documenti. Fornisco quindi solo alcuni cenni per seguire alcune tracce della storia della vicenda.
Una delle proprietà che venne scoperta (?) era quella per cui i magneti di forma allungata, barrette o aghi magnetici, se sistemati in condizioni di orientarsi liberamente su di un piano orizzontale si disponevano spontaneamente dirigendo sempre una delle due estremità (per questo chiamata nord dell’ago) verso il nord geografico mentre l’altra risultava diretta verso il sud geografico (sud dell’ago).
Tale proprietà risulta sia stata sfruttata in Cina intorno al IV secolo d. C. con la realizzazione di bussole (dal greco puxiV che in latino diventa buxis e che, nelle due lingue, vuol dire “scatola di legno di bosso“) per orientarsi nella navigazione (fatto che permetteva il superamento del bordeggiare per inoltrarsi in mare aperto anche in condizioni di non visibilità del cielo ma SOLO con mare calmo). Esse erano in genere costituite da un recipiente contenente acqua, sulla quale galleggiava un piccolo oggettino di legno (una canna cava), spesso forgiato artisticamente con la forma di un drago, di un pesce, …, vincolato a ruotare liberamente intorno all’asse verticale centrale del recipiente. All’interno di tale oggetto era disposto un ago magnetico che, orientandosi come accennato, orientava anche l’oggetto, che quindi si disponeva indicando la direzione del nord.
Tale scoperta sembra sia arrivata in Europa, con l’intermediazione araba, tra l’XI ed il XII secolo (occorre però osservare che furono ancora gli stessi arabi a trasferire la bussola europea, da poter usare anche con mare mosso, in Oriente e probabilmente nella stessa Cina)(2). Sull’introduzione della bussola in Europa vi è molta leggenda che occorre ridimensionare ad evitare errori clamorosi. Fu probabilmente nel XVI secolo che tali leggende si affermarono(3) a seguito dell’errata interpretazione di un testo, scritto nel 1543 da Flavio Biondo, storico di Positano, vicino ad Amalfi, secondo il quale sembrava che marinai amalfitani fossero stati i primi a usare e anche a perfezionare la bussola dei Cinesi. La tradizione popolare, con una strana deformazione del nome, attribuì a questo Flavio l’invenzione della bussola.
Una prima notizia certa, e non in ordine cronologico, è che due commentatori della Divina Commedia del XIV secolo, Francesco da Buti e Giovanni da Ferravalle, spiegavano il verso 29 del canto XII del Paradiso in tal modo:
“Hanno li naviganti uno bussolo che in mezzo è imperniato una rotella di carta leggera, la quale gira su detto perno; e la detta rotella ha molte punte, et ad una di quelle che vi è dipinta una stella, è fitta una punta d’ago; la quale punta li naviganti quando vogliono vedere dove sia la tramontana, imbriacano con la calamita”
E’ la prima descrizione nota di una bussola che si avvicina a quella moderna ed in uso in Italia: l’ago magnetico, imperniato al centro della scatola che lo contiene, gira solidale con la rosa dei venti (la sospensione cardanica, che permette che l’ago mantenga sempre il medesimo piano di rotazione, qualunque sia l’oscillazione della nave, sarà introdotta nel XVI secolo)(4).
Altre notizie certe sull’uso della bussola magnetica, nei mari del Nord Europa all’inizio del XII secolo, provengono da Alexander Neckam (1157-1217), un monaco inglese che scrisse varie opere tra cui il De naturis rerum ed il De utensilibus in cui si parla anche della bussola magnetica(5).
Lo scienziato francese Pierre de Maricourt (mago ed alchimista nato in Picardie, Francia settentrionale, ammirato da Ruggero Bacone e sceso in Italia con Carlo D’Angiò), più noto con la sua denominazione latina di Petrus Peregrinus (presumibilmente per essersi recato in pellegrinaggio a Roma), nel 1269 scrisse Epistula ad Sygerum de Foucaucourt militem, de magnete, un compendio di quello che allora si sapeva sul magnetismo in generale e sul magnetismo terrestre in particolare, che, nell’inevitabile forma manoscritta, ebbe subito larga diffusione tra gli scienziati (fu passato a stampa soltanto nel 1558). Nella sua opera viene descritta una bussola ad ago imperniato con le seguenti parole:
«In questo capitolo ti discoprirò la costruzione di una ruota che si muove costantemente in modo meraviglioso… Se vuoi costruire una simile ruota, prendi una coppa d’argento, come quella degli specchi concavi, che sia dotata nell’interno di incisioni e trafori, non solo per motivi di bellezza, ma anche allo scopo di diminuirne il peso; poiché quanto più essa è leggera, tanto più rapidamente può esser posta in movimento. Devi però ben badare che l’occhio dell’inesperto non si accorga di quanto in essa è abilmente predisposto. All’interno della coppa devono essere fissate delle liste di ferro e dei denti di ugual peso, che siano posti in direzione obliqua sull’orlo della coppa, uno dopo l’altro, in modo che la loro distanza non sia maggiore dello spessore di un fagiuolo o di un pisello. La ruota stessa deve avere ugual peso in ogni sua parte. Fissa il centro dell’asse, attorno al quale gira la ruota, in modo che esso resti immobile. Disponi sull’asse un’asta d’argento, alla cui estremità sia fissata, tra due capsule, una pietra magnetica, che deve essere stata preparata nel modo seguente. Quando essa sia stata arrotondata e si siano individuati i suoi poli, come è indicato prima, le si deve dar forma d’uovo. Mentre i poli vengono lasciati come sono, si limiti la parte compresa fra di essi, cosicché venga ridotta ed occupi meno posto. In tal modo essa non toccherà le pareti delle capsule, quando la ruota gira. Quando ciò sia fatto, fissa la pietra sull’asta metallica, cosi come si incastona una pietra preziosa. Si diriga il polo nord verso le liste e i denti della ruota, ma leggermente inclinato, in modo che la forza della pietra non agisca direttamente, ma sotto un certo angolo sui denti di ferro. A seguito di ciò un dente che si avvicini al polo nord e, in virtù del moto della ruota, lo superi, viene ad avvicinarsi al polo sud, dal quale esso è ora più respinto che non attratto, come manifestamente avviene secondo la legge che ho esposto nel precedente capitolo. Un tale dente viene quindi di continuo attratto e respinto. Al fine che più velocemente compia la ruota il suo lavoro, si ponga nella coppa un piccolo peso rotondo di bronzo o argento, di grandezza tale da poter essere facilmente nascosto fra ogni coppia di denti. Quando ora la ruota sale, il piccolo peso cade dalla parte opposta. Poi che però il moto della ruota è sempre di salita per l’una delle due parti, parimenti incessante è il cadere del piccolo peso fra due denti qualsiasi, poiché esso tende per il suo peso al centro della terra. Con ciò esso appoggia il moto dei denti ed impedisce che questi si fermino quando vengono a cadere esattamente davanti alla pietra magnetica. Fa’ di larghezza opportuna lo spazio fra i denti, così che il piccolo peso resti nascosto durante la caduta, come è illustrato dal disegno.

Addio ! Terminato nel campo dell’assedio di Lucera(6) l’8 agosto anno Domini 1269 ».
pietro da maricourt
Ma Pierre de Maricourt, le cui opere sono andate quasi completamente perdute, fece anche importanti studi sul magnetismo: le attrazioni e repulsioni tra poli magnetici, il magnetismo indotto mantenendo un magnete naturale vicino ad un pezzo di ferro, la riproduzione dei magneti allo spezzarli successivamente (se si dispone di una barra magnetica e la si spezza, i due pezzi diventano due magneti indipendenti; continuando a spezzare i magneti si ottengono sempre dei magneti “autonomi”, fatto che mostra che i due poli magnetici risultano inseparabili), come realizzare un buon magnete.

Frontespizio del De Magnete di Pierre de Maricourt, passato a stampa
Una importante scoperta di Pierre de Maricourt è la seguente. Si lavori un pezzo di magnetite (il minerale di ferro che ha le proprietà magnetiche naturali) in modo da dargli la forma di un globo. Si disponga poi un ago magnetico su questo globo e si marchi con una linea la sua posizione. Si prosegua sistemando l’ago in posizioni diverse sull’intero globo. Si scopre che le linee segnate sulla magnetite sono dei cerchi che circondano il minerale allo stesso modo dei meridiani sul globo terrestre, cerchi che hanno due punti da parti opposte in cui tutti i cerchi si incontrano allo stesso modo che i punti di incontro dei meridiani sulla Terra indicano il polo Nord ed il Polo Sud della Terra medesima. Colpito da tale analogia, Pierre de Maricourt propose di chiamare i due punti sulla magnetite, individuati come riassunto, poli del magnete. Tali poli godevano di particolari proprietà poiché l’interazione di due magneti dipende solo dalla posizione dei rispettivi poli come se in essi risiedesse l’intera potenza dei magneti. La scoperta dei poli è alla base degli sviluppi successivi di diverse teorie: essi per moltissimi anni hanno giocato un grande ruolo nella filosofia della natura.
Risalgono a questa epoca le prime teorie sul funzionamento della bussola. Una delle più diffuse partiva dalla constatazione sperimentale che un ago magnetico deviava verso una vicina massa ferrosa e giungeva a spiegare il funzionamento della bussola come dovuto alla presenza di grandi masse di rocce ferrose (si parlava di «montagne di ferro») nella zona del polo nord geografico: una supposizione che ben s’accordava con la nota esistenza di ricche miniere di ferro nella penisola scandinava, all’estremo nord dell’Europa. Fu Ruggero Bacone che confutò una parte di tale teoria: dall’osservazione che l’ago magnetico punta a Nord ma anche verso il basso, la supposta grande massa ferrosa che «attirava» l’ago si sarebbe trovata in una imprecisabile regione delle profondità terrestri, sia pure verso il nord, e non in montagne scandinave. Ma vi erano altri teorie che volevano l’intera Terra come se fosse, essa stessa, un gigantesco magnete. Non mi occuperò della cosa, osservando solo che la circostanza di una Terra “magnetica” fu falsificata da Pierre Curie che mostrò che tutti i magneti perdono le loro proprietà magnetiche al di sopra di una temperatura di circa 760 °C (temperatura di Curie) che è abbondantemente superata immediatamente sotto la crosta terrestre.(7)
IL PRIMO TRATTATO ITALIANO DI MAGNETISMO
Durante il periodo rinascimentale, la magia la faceva da padrona, ed un praticante ed appassionato di ogni fenomeno arcano era il napoletano Giovan Battista DellaPorta. Il magnetismo si prestava in modo eccellente ad

G.B. Della Porta
interpretazioni magiche. E Della Porta andò proprio sulla strada dell’immaginazione, della fantasia, della demonologia, della chiromanzia, dell’astrologia, della magia per discutere di quei fatti straordinari. Al di là dei singoli temi di cui si è detto, è importante ricordare che nelle sue opere Della Porta esalta la magia naturale, considerandola una scienza suprema, il complemento e la parte pratica della filosofia della natura. Il suo compito consiste infatti nel far conoscere le forze occulte del mondo naturale, e nell’insegnare, per mezzo della loro applicazione, a compiere quelle opere che i profani ritengono prodigiose, ma che invece sono soltanto il mezzo attraverso cui l’uomo aiuta il compimento dei processi della natura. Secondo Della Porta, non bisogna confondere la magia naturale con quella “diabolica”, basata su incantesimi ed evocatrice di fantasmi e demoni. Per ciò che ci interessa egli scrisse un libro (al quale collaborò Paolo Sarpi) in quattro tomi e venti libri, Magia naturalis sive de miraculis rerum naturalium (1558). Il settimo libro di quest’opera è il primo trattato italiano di magnetismo o scienza magnetica, che è una mera compilazione di fatti noti con delle integrazioni originali e d’interesse. Tra di esse va ricordata la descrizione che Della Porta diede delle “barbe” che la limatura di ferro costruisce sui poli dei magneti e dei primi spettri magnetici che si originano quando si dispone della limatura di ferro su di un foglio di carta disposto immediatamente al di sopra di un magnete. Di interesse è anche la scoperta della smagnetizzazione che una lastra di ferro subisce se scaldata (la cosa fu studiata e compresa da Pierre Curie sul finire dell’Ottocento, come ho già accennato) e quella di una lastra di ferro che agisce come uno schermo magnetico.
Per completezza occorre dire che l’ultimo capitolo della Magia, il 59°, è pieno delle maggiori sciocchezze tramandate nei secoli sui poteri magici della calamita.
LA PRIMA OPERA ORGANICA SUL MAGNETISMO: WILLIAM GILBERT
Nell’anno 1600 vide la luce a Londra l’opera De magnete magneticisque corporibus et de magno magnete Tellure Physiologia Nova del filosofo naturale inglese William Gilbert (1544-1603), contemporaneo di Giordano Bruno e di circa vent’anni più vecchio di Galileo (1564-1642) e di Francis Bacon (1561-1626). Gilbert era un copernicano a metà, ammetteva cioè la rotazione della Terra su se stessa ma, per il resto, non si esprimeva. E’ uno di quei rappresentanti dell’epoca di transizione, uno di quelli che si fa interprete del mondo della manifattura, delle tecniche che si fanno scienza e che ne racconta in modo non strettamente tecnico e per addetti ai lavori (come nei manuali che si erano succeduti dal Quattrocento), ad un pubblico più vasto. Vi è dietro la conoscenza di tutti i marchingegni che si venivano perfezionando per l’arte della navigazione ma anche le problematiche che nascevano dall’industria dell’estrazione mineraria dei metalli e della loro lavorazione in fonderie. E in Bacon sembra si possa intravedere una certa influenza di Gilbert (culto dell’esperienza pratica, entusiasmo per la ricerca, stile energico e franco, nemico della cultura accademica ufficiale, scarso interesse per la matematica) anche perché vi fu una comune frequentazione (Bruno, Bacon, Gilbert) della corte di Elisabetta a vario titolo (ma Bacon non apprezzava le intemperanze di Gilbert).
La sua disposizione d’animo emerge nella prefazione del De magnete:
«Perché mai io dovrei sottomettere questa nobile filosofia, che per le cose mai dette prima è nuova e quasi inammissibile, al giudizio di uomini che giurano sulle altrui opinioni, agli insulsi corruttori delle arti, ai letterati buffoni, a grammatici, sofisti e declamatori, e alla caparbia plebe, affinché essi la condannino e la colpiscano dei loro vituperi? A voi soli, veri filosofi, uomini sinceri, che cercate il sapere non nei libri soltanto, ma nelle cose stesse, io dedico questi fondamenti della scienza del magnetismo, trattati secondo un nuovo modo di filosofare ».
E qui si sentono addirittura gli influssi di Bruno nell’attacco alla cultura libresca, ampollosa e vuota degli ambienti accademici, cristianamente formati e aristotelicamente conservati, ambienti presenti, a quanto pare, in tutta l’Europa colta. Ma l’influenza del filosofo nolano è ancora più profonda se si legge l’intero corpo delle opere di Gilbert. Valga un solo esempio, riguardante il valore relativo da assegnare alla gravità.
Bruno, nella Cena delle Ceneri (Londra 1584 ) aveva sostenuto:
«Sappi che né la terra, né altro corpo è assolutamente grave o lieve… Queste differenze… convengono a le parti che son divise dal tutto e … si forzano verso il loco della conservazione come il ferro verso la calamità, il quale va a ritrovarla non determinatamente al basso, o sopra, o a destra, ma ovunque sia … Perciò è cosa assurda il chiamar corpo alcuno naturalmente grave, o lieve».
Gilbert scrive nella sua De mundo nostro sublunari Philosophia Nova (pubblicata postuma nel 1651) quanto segue:
«Non è il luogo che agisce o opera nella natura delle cose, giacché esso — in sé — non è né un essere, né una causa efficiente. Sono piuttosto i corpi che, in virtù delle forze ad essi insite, determinano la loro posizione reciproca. Il luogo in sé non è niente: non esiste, e non esercita forza alcuna; ogni forza di natura è, invece, contenuta e radicata negli stessi corpi».

William Gilbert
E fu proprio la capacità di assumere posizioni tanto coraggiose, che possono nascere nel clima più tollerante dell’Inghilterra elisabettiana rispetto alle corti papali, a permettere a Gilbert di comprendere in una sola chiave interpretativa i minuscoli effetti attrattivi dell’ambra strofinata, quelli di un magnete e quelli giganteschi della gravitazione. Oggi si direbbe che la sua è una teoria unificata dei fenomeni elettrici, magnetici e gravitazionali in campi di forza veicolati da un materiale fluido sottile disposto intorno ai corpi in tanti strati concentrici a densità decrescente.
Per poter sostenere queste cose, Gilbert si servì di una gran mole di esperienze (circa 600), guidandosi con le analogie (per ciò che riguarda tutti i fenomeni d’attrazione) che in epoca rinascimentale ebbero grande fortuna(8). L’idea guida era quella che la Terra, nel suo insieme, si comporta come un gigantesco magnete e, per poter sperimentare, si fabbrica un magnete a forma di globo, che egli chiama terrella, come aveva fatto de Maricourt. Agendo con un ago magnetico sulla terrella, si accorge che le proprietà magnetiche di tale oggetto sono le stesse della gran calamita, la Terra. Al di là della eccellente scoperta e dell’ardire di proporla, come osservano Gliozzi e Forti, vi è una sorta di grande balzo in avanti nel modo di conoscere nelle operazioni di Gilbert. Si spezza il mito della separazione aristotelica dei mondi (mondo sublunare e cieli) mostrando che si possono sperimentare sulla Terra fenomeni cosmici e, fatto rivoluzionario, che le leggi trovate qui valgono lì, anche se lì, la gran parte degli eruditi lo affidava alla sola rivelazione. Le cose sono ancora empiriche e l’osservazione è ingenua. Le esperienze sono qualitative non vi compare mai né la misura, né la matematica, né qualcosa della scienza che avanzava con impeto, la meccanica.
Per il resto Gilbert riscrive in forma più accurata i fenomeni magnetici noti come quello del magnete spezzato e ne trova di nuovi: martellando un filo di ferro

Esperienza del magnete spezzato. Illustrazione dal De magnete.
e disponendolo lungo un meridiano magnetico, esso acquista polarità magnetiche; si possono migliorare le “potenze” delle calamite con opportuna lavorazione dei poli (la cosa sarà portata al suo massimo dall’introduzione dell’àncora fatta da Galileo). E fin qui per ciò che riguarda il magnetismo, e non è poco … salvo la conclusione profondamente deludente. Quando si tratta di dare una spiegazione

Una figura che correda il De magnete.
del fenomeno, dopo discussioni incomprensibili, Gilbert ritorna alle posizioni di Talete: i magneti hanno un’anima! e quest’anima ha addirittura proprietà superiori all’anima umana poiché non ha la ventura di essere fuorviata dai sensi agendo costantemente allo stesso modo.

Una figura che correda il De magnete.
Come accennato, nel De Magnete viene anche ripresa l’indagine sulle proprietà dell’ambra che avevamo lasciato 2200 anni prima. E fu proprio Gilbert a parlare per primo di forza elettrica (vis electrica) in relazione ai fenomeni in oggetto (furono poi Thomas Browne nel suo Pseudoxia epidemica del 1646 e quindi Boyle a introdurre il sostantivo electricitas nel 1694). Per sperimentare con deboli fenomeni, appunto, elettrici egli si servì di una specie di elettroscopio (chiamato versorium non magneticum) costituito da un sottilissimo e leggerissimo

Girolamo Fracastoro
ago girevole sopra un sostegno a punta, descritto da Fracastoro (1483-1553) nella sua opera De sympathia et antipathia rerum del 1550:
“Affinché tu possa chiaramente esperimentare come avvenga tale attrazione e quali siano le sostanze che attraggono in tal modo altri corpi, costruisciti un aghetto di metallo qualsiasi, abbastanza leggero, della lunghezza di tre o quattro dita, imperniato come un ago magnetico, sulla punta [di un sostegno]. Il versorio girerà immediatamente su sé stesso, se ad una sua estremità avvicinerai l’ambra, o una pietruzza, leggermente strofinata”.


Una bacchetta avvicinata ad un versorio per cercarne effetti elettrici. Se la bacchetta è elettrizzata l’ago ruoterà.
Come fa notare lo stesso Gilbert, con questo strumento è possibile mettere in evidenza l’attrazione anche per quei corpi, nei quali la virtù elettrica è cosi debole da non essere in grado di sollevare anche leggerissime pagliuzze. Scoprì così che non solo l’ambra gode di proprietà elettriche a seguito di strofinio (triboelettricità) ma anche molte altre sostanze (pietre preziose, salgemma, allume di rocca, vetro, zolfo. varie resine). Non conoscendo ancora nulla delle proprietà di conduzione ed isolamento, gli sembrarono del tutto indifferenti ai fenomeni elettrici sia i metalli che i legni ed alcune pietre. Altre cose di rilievo da assegnare ai lavori di Gilbert sono: l’affermazione che i magneti si respingono quando si avvicinano poli identici e si attraggono avvicinando poli opposti e la scoperta che una sbarra di ferro dolce si magnetizza se si dispone nelle vicinanze di un magnete.

Una figura che correda il De magnete.
Una osservazione di interesse viene fatta da Gilbert: i corpi umidi non si elettrizzano mentre un magnete umido continua ad esercitare i suoi poteri.
Anche la Terra è per Gilbert un oggetto elettrizzabile e, di conseguenza manifesta attrazione rispetto agli altri oggetti. Ma la Terra è anche un magnete e perciò mantiene il suo asse con orientazione costante rispetto alla sfera celeste. La rotazione della Terra intorno al suo asse è poi dovuta ad una azione congiunta di raggi solari e magnetismo. La stessa compattezza della Terra è dovuta al suo magnetismo anche se, in modo che a questo punto stupisce, l’origine della cosa è elettrica. Insomma, in modo certamente confuso, Gilbert tenta di mettere insieme in modo unitario elettricità e magnetismo che in qualche modo sono responsabili della gravitazione e del moto della Terra sul suo asse.
E’ d’interesse accennare anche alla teoria di elettricità e magnetismo che Gilbert sviluppa. Tutti i corpi deriverebbero da due elementi primi, l’acqua e la terra. Gli elementi derivanti dall’acqua hanno proprietà attrattive che discendono da effluvii che come delle braccia distese si protendono dall’acqua ed afferrano il corpo e lo attirano, finché la potenza dell’azione non si illanguidisce fino a sparire. La cosa è specificata meglio nel seguito. Quando l’ambra attrae delle pagliuzze l’azione è univoca, è solo l’ambra che agisce. Nel caso di un magnete ed un pezzo di ferro si ha invece un avvicinarsi reciproco dei due oggetti (una coitio, come la chima Gilbert) ed il magnete sembra creare delle modificazioni nel ferro nelle sue parti più interne di modo che anche il ferro acquista la forza per avvicinarsi al magnete.
La spiegazione, la teoria che Gilbert ne ricava è analoga a quella di molti filosofi naturali del Rinascimento. Vi è uno slancio innovatore di grandissimo spessore ma, nel contempo, vi è una sorta di palude in cui si è impantanati. La mancanza di strumenti accessori ai meri fatti in studio, chiude il tutto in spirali che non escono da spiegazioni che non spiegano. Come ricorda Dijksterhuis, la spiegazione di Gilbert:
Non si deve minimamente pensare [analoga] alla causa formalis della filosofia aristotelica o a concetti come quelli di simpatia, influenza celeste, o qualità occulta. Quando il ferro e la calamita aspirano a unirsi, questa non è un’inclinazione violenta di un corpo verso un altro, né una confluenza accidentale e furiosa, né il risultato di una coercizione, di una lotta, o di una discordia, ma una manifestazione dell’armonia senza la quale il mondo andrebbe in disfacimento, un risultato dell’essenziale identità delle parti col tutto.
Quest’accumulazione di descrizioni inefficaci è tipica della situazione imbarazzante a cui si riduceva un fisico del Cinquecento o del Seicento, se aveva già abbandonato i princìpi esplicativi della scienza aristotelica, ma sentiva ancora quel desiderio di una spiegazione che era stato soddisfatto da tali princìpi nel Medioevo. Una diffusa concezione scolastica dell’attrazione magnetica era stata quella secondo cui la calamita, in virtù di una species magnetica che si diffonde sfericamente, risveglia nel ferro una qualità in virtù della quale quest’ultimo tende a unirsi alla calamita, e questa tendenza produce per accidens un moto locale. In un tempo in cui non si sentisse più parlare di Aristotele, una spiegazione del genere sarebbe stata considerata come un puro giuoco verbale (come effettivamente è); ma la spiegazione che la sostituiva non era molto migliore, né avrebbe potuto esserlo, giacché mirava allo stesso obiettivo irraggiungibile, ossia la conoscenza della natura nascosta delle cose.
Si può facilmente osservare che siamo in completo alto mare: i ragionamenti di tipo aristotelico, infarciti di misticismo, di animismo e di magia sono padroni del campo. Senza una separazione tra queste interpretazione ed i fatti sperimentali sostenuti da misure, non sarà possibile fare passi in avanti, anche se l’ambiente va rapidamente maturando. Non bastava la negazione delle spiegazione attraverso l’autorità dei classici, nella fattispecie Aristotele. Occorreva un cambiamento radicale che doveva prevedere, tra l’altro, l’intersezione di Platone con Aristotele, dei metodi matematici applicati ai fenomeni naturali. Il mero empirismo con spiegazioni nominaliste era arrivato al suo limite, non si poteva andare oltre, ogni ulteriore operazione con i medesimi strumenti non avrebbe fatto che ripetere stancamante l’osservazione di quanto otmai era ben noto.
GALILEO GALILEI
Galileo ammira Gilbert per la rottura con gli schemi aristotelici dell’introduzione al De Magnete, ed i suoi interessi per i problemi connessi al magnetismo sono concomitanti alla pubblicazione, nel 1600, del De Magnete di William Gilbert che esercitò subito una grande influenza. Ma il metodo di Gilbert, il suo rifiuto della matematica non lo convincono ed ha così modo di dire(9):
“quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fosse stato un poco maggior matematico”.
In un’epoca di dotte ed inconcludenti disquisizioni si richiede qualcosa di più preciso di una teoria alla Gilbert. Quest’ultimo certamente ha dei fatti (o, meglio, della analogie) da portare a testimonio, ma nessuna teoria matematica, nessun dato quantitativo (oltre ad una mole smisurata di fatti straordinari, magici e fantastici non riferibili a nessun dato dell’esperienza comune). E qui,credo, esca bene il criterio di scientificità per una teoria fisica che Galileo fornisce: l’osservazione di fatti senza un apparato formale, quantitativo, che li sostenga non può di per sé costituire una teoria fisica. Keplero, nell’Astronomia nova, fondò sul magnetismo la spiegazione fisica dei moti planetari. Per Keplero il Sole era un corpo magnetico e il moto dei pianeti derivava dall’azione del vortice magnetico prodotto dal moto di rotazione del Sole. E perché, allora, Kepler aderisce alla teoria di Gilbert? Ecco, appunto, qui può trovarsi una prima parziale risposta al perché Galileo si rifiutò di prendere in considerazione alcuni risultati di Kepler (ad esempio le orbite ellittiche, ma, più in particolare, la spiegazione delle maree attraverso l’azione della Luna, una prima ‘azione a distanza’ che assumeva agli occhi di Galileo un carattere metafisico riferibile a qualità occulte). Tutta l’elaborazione kepleriana è imbevuta di un tal misticismo che sembra impossibile riuscirne a distinguere il contributo positivo al pensiero scientifico. La metafisica dei solidi regolari incastonati l’uno dentro l’altro, la melodia che i pianeti van suonando (la Terra, ad esempio, suona le note mi, fa, mi, cosicché, osserva Kepler, non possiamo stupirci se su questo pianeta regnino la MIseria, la FAme e la MIseria),… tutt’altra cosa rispetto alla razionale, metodica ed a volte dubbiosa discussione delle cose della natura che si può leggere in Galileo. E neanche a dire che l’adesione di Kepler alla teoria di Gilbert avesse un qualche fine all’interno del suo lavoro : essa risultava un mero accessorio.

Galileo Galilei
Tuttavia, Galileo compì esperienze sugli aghi calamitati, sulla declinazione magnetica e sull’armatura delle calamite, sia durante il periodo padovano (insieme a Paolo Sarpi e a Giovanfrancesco Sagredo), sia dopo il ritorno in Toscana. Testimoniano l’interesse di Galileo per i fenomeni magnetici, le pagine che egli vi dedica nella giornata III del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Alla gran ripugnanza che afferma Simplicio avere nell’ammettere i vari moti della Terra, il Salviati-Galileo argomenta diffusamente, affermando tra l’altro:
SALV. […] ma che dirà il Sig. Simplicio se […] aggiungeremo una mirabile virtù intrinseca del globo terrestre, di riguardar con sue determinate parti verso determinate parti del firmamento ? parlo della virtù magnetica participata costantissimamente da qualsivoglia pezzo di calamita. E se ogni minima particella di tal pietra ha in sé tal virtù, chi vorrà dubitare, la medesima più altamente risedere in tutto questo globo terreno, abbondante di tal materia, e che forse egli stesso, quanto alla sua interna e primaria sustanza, altro non è che un’ immensa mole di calamità ?
SIMP. Adunque voi sete di quelli che aderiscono alla magnetica filosofia di Guglielmo Gilberto ?
SALV. Sono per certo, e credo d’aver per compagni tutti quelli che attentamente avranno letto il suo libro e riscontrate le sue esperienze; né sarei fuor di speranza che quello che è intervenuto a me in questo caso, potesse accadere a voi ancora, tuttavolta che una curiosità simile alla mia ed un conoscere che infinite cose restano in natura incognite a gl’ intelletti umani, con liberarvi dalla schiavitudine di questo o di quel particolare scrittore delle cose naturali, allentasse il freno al vostro discorso e rammorbidisse la contumacia e renitenza del vostro senso, si che ei non negasse tal ora di dare orecchio a voci non più sentite. Ma (siami permesso d’ usar questo termine) la pusillanimità de gl’ ingegni comuni è giunta a segno, che non solamente alla cieca fanno dono, anzi tributo, del proprio assenso a tutto quello che trovano scritto da quelli autori che nella prima infanzia de’ loro studii gli furono accreditati da i lor precettori, ma recusano di ascoltare, non che di esaminare, qual si sia nuova proposizione o problema, benché non solamente non sia stato confutato, ma né pure esaminato né considerato, da i loro autori: de’ quali uno è questo, di investigare qual sia la vera, propria, primaria, interna e general materia e sustanza di questo nostro globo terrestre; che, benché né ad Aristotile né ad altri, prima che al Gilberto, sia caduto in mente di pensare se possa esser calamita, non che né Aristotile né altri abbiano confutata una tale opinione, tuttavia mi son io incontrato in molti che al primo motto di questo, quasi cavallo che adombri, si sono ritirati in dietro e sfuggito di trattarne, spacciando un tal concetto per una vana chimera, anzi per una solenne pazzia: e forse il libro del Gilberto non mi sarebbe venuto nelle mani, se un filosofo peripatetico di gran nome, credo per assicurar la sua libreria dal contagio, non me n’ avesse fatto dono.
Ritroviamo qui, più argomentata, l’invettiva contro il conformismo, la piattezza, l’inerzia, la consuetudine e la piaggeria degli intelletti che usano adeguarsi a qualcuno che ha sostenuto tale cosa, invettiva che era stata di Gilbert nella prefazione al De magnete. L’ultima frase che vuole un filosofo aristotelico “di gran nome” che si disfà del libro di Gilbert perché poteva contaminare la biblioteca è tutto un programma. E Salviati prosegue ad illustrare la filosofia magnetica del Gilberti, dilungandosi in una conversazione con Simplicio(10) della quale merita distaccare un brano. Intanto Galileo mostra qui ancora una volta di non essere disponibile a speculazioni nuove senza disporre di studi specifici. Egli dice infatti che
Delle ragioni che concludentemente provino, de facto, questo nostro globo esser di calamita, io non ve ne ho prodotte nessuna, né questo è tempo di produrle, e massimo che con vostra comodità le potrete vedere nel Gilberto
ed aggiunge:
SALV. Io sommamente laudo ammiro ed invidio questo autore, per essergli caduto in mente concetto tanto stupendo circa a cosa maneggiata da infiniti ingegni sublimi, né da alcuno avvertita; parmi anco degno di grandissima laude per le molte nuove e vere osservazioni fatte da lui, in vergogna di tanti autori mendaci e vani, che scrivono non sol quel che sanno, ma tutto quello che senton dire dal vulgo sciocco, senza cercare di assicurarsene con esperienza, forse per non diminuire i lor libri: quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fusse stato un poco maggior matematico, ed in particolare ben fondato nella geometria, la pratica della quale 1′ avrebbe reso men risoluto nell’ accettare per concludenti dimostrazioni quelle ragioni ch’ ei produce per vere cause delle vere conclusioni da sé osservate; le quali ragioni (liberamente parlando) non annodano e stringono con quella forza che indubitabilmente debbon fare quelle che di conclusioni naturali, necessarie ed eterne, si possono addurre: e io non dubito che co ‘1 progresso del tempo si abbia a perfezionar questa nuova scienza, con altre nuove osservazioni, e più con vere e necessarie dimostrazioni. Né per ciò deve diminuirsi la gloria del primo osservatore.
Galileo continua ad illustrare altre proprietà magnetiche e fenomeni sostenendo, tra l’altro, che:
SALV. Nell’investigar le ragioni delle conclusioni a noi ignote, bisogna aver ventura d’indirizzar da principio il discorso verso la strada del vero; per la quale quando altri si incammina, agevolmente accade che s’incontrino altre ed altre proposizioni conosciute per vere, o per discorsi o per esperienze, dalla certezza delle quali la verità della nostra acquisti forza ed evidenza, come appunto è accaduto a me del presente problema
Alle argomentazioni di Galileo, Simplicio risponde:
SIMP. Parmi veramente che il Sig. Salviati con bel circuito di parole abbia sì chiaramente spiegata la causa di quest’ effetto, che qualsivoglia mediocre ingegno, ancorché non scienziato, ne potrebbe restar capace: ma noi, contenendoci dentro a’ termini dell’ arte, riduchiamo la causa di questi e simili altri effetti naturali alla simpatia, che è certa convenienza e scambievole appetito che nasce tra le cose che sono tra di loro simiglianti di qualità; sì come, all’incontro, quell’odio e inimicizia per la quale altre cose naturalmente si fuggono e si hanno in orrore, noi addimandiamo antipatia.
E qui interviene Sagredo con pesante ironia, dopo aver ascoltato parole come simpatia ed antipatia che sono bandite dal vocabolario scientifico di Salviati-Galileo:
SAGR. E così con questi due nomi si vengono a render ragioni di un numero grande di accidenti ed effetti, che noi veggiamo, non senza maraviglia, prodursi in natura. Ma questo modo di filosofare mi par
che abbia gran simpatia con certa maniera di dipignere che aveva un amico mio, il quale sopra la tela scriveva con gesso : «Qui voglio che sia il fonte, con Diana e sue ninfe; qua, alcuni levrieri: in questo canto voglio che sia un cacciatore, con testa di cervio; il resto, campagna, bosco e collinette»; il rimanente poi lasciava con colori figurare al pittore: e così si persuadeva d’ avere egli stesso dipinto so il caso d’Atteone, non ci avendo messo di suo altro che i nomi.
A parte altre piccole cose, che non investiga, e ad altre di chiaro sapore tecnico (quanto riesce a sollevare un magnete e come realizzare un magnete che abbia maggiore potenza), Galileo termina qui. Ma il fatto che egli avesse una grande fama rese le questioni poste da Gilbert al centro delle future ricerche con il suo metodo di sensate esperienze e dimostrazioni supportate da matematica e geometria.
RENÉ DESCARTES
Sarà Descartes che, in nome del razionalismo, riporterà le cose in un ambito puramente descrittivo, addirittura rifacendosi ai 4 elementi di Aristotele.

René Descartes
Ma prima è utile ripassare brevissimamente la concezione del mondo di Descartes.
La concezione cartesiana del mondo cerca di dare una ragione più compiuta al sistema copernicano per inserirlo in una visione più generale di cui esso stesso risultasse conseguenza. Egli cominciò con il considerare un solo corpuscolo infinitesimo nel vuoto e quindi come il moto di questo primitivo corpuscolo fosse modificato da un secondo corpuscolo (nel far questo Descartes introduce la conservazione della quantità di moto, in forma non del tutto corretta poiché al pensatore francese mancava il concetto di massa, ed il principio d’inerzia, ricavato però da ragioni metafisiche; “Dio è immutabile e, agendo sempre allo stesso modo, produce sempre lo stesso effetto“). In modo induttivo Descartes aggiunse via via altri corpuscoli che si urtavano indefinitamente tra loro. Egli riteneva che le variazioni sensibili del nostro universo fossero originate proprio da questi urti innumerevoli; sono proprio gli scambi di quantità di moto che rendono conto delle diverse azioni meccaniche tra i corpi. Conseguenza di ciò è 1’impossibilità di azione a distanza: ogni azione di un corpo su di un altro avviene per contatto. Nel nostro universo è quindi impossibile l’esistenza di vuoto (e quindi di atomi). Nell’universo cartesiano c’è il tutto pieno eternamente in moto: un primo corpuscolo ne spinge un secondo che, a sua volta, ne spinge un terzo e cosi via finché l’ultimo corpuscolo spinto va a spingere il primo che avevamo preso in considerazione. Ne consegue una struttura a vortici che è alla base dell’intero universo. Ed anche laddove non vi è materia sensibile vi è 1’etere, elemento sottile che riempie di sé tutto lo spazio risultando intimamente mescolato con tutte le sostanze. È proprio un gigantesco vertice di etere quello che pone in circolazione i pianeti intorno al Sole.

I vortici di Descartes. Quello che al centro ha una S è il sistema solare. La linea che s’intrufola tra i vortici è la traiettoria di una cometa (da: Il mondo. L’uomo)
I motivi che portarono Descartes a teorizzare un tutto pieno erano molteplici, di natura filosofica e tali da coinvolgere la sua concezione di materia e spazio. Il vuoto è inammissibile principalmente perché sarebbe una contraddizione completa, un nulla esistente. Lo spazio per conseguenza non può essere un’entità distinta dalla materia che lo riempie. Spazio e materia non sono altro che la medesima cosa.
E veniamo alla concezione magnetica di Descartes. Riporto alcuni passi di Descartes dai suoi Principia Philosophiae del 1644 (Amsterdam). Al paragrafo 133 della parte IV, Descartes inizia con il definire un magnete e la cosa è d’interesse perché la fantasia davvero va per conto suo, costruendo mondi fantastici ritornando, come già accennato, alla teoria aristotelica dei quattro elementi, ormai completamente superata da tutti coloro che si definivano copernicani, come lo stesso Descartes)(11):
133- Spiegazione della natura del magnete
Fin qui ho cercato di spiegare la natura e tutte le principali (proprietà) dell’aria, dell’acqua, delle terre, e del fuoco, (poiché sono i corpi che si trovano più generalmente ovunque) in questa regione (sublunare) che abitiamo, e che sono chiamati i suoi quattro elementi; ma c’è ancora un altro corpo, ossia il magnete, (che si può dire abbia un’estensione maggiore di uno qualsiasi di quei quattro, poiché anche tutta la massa della Terra è un magnete, e non potremmo andare in) nessun luogo dove non se ne noti la virtù. Per questo, desiderando non dimenticare nulla di ciò che c’è di più generale in questa Terra, c’è bisogno ora che io lo spieghi.
Nella Terra, a conseguenza dei vortici con differenti velocità, vi sarebbero dei canali striati (le parti scanalate del primo elemento) in forma elicoidale (a chiocciola). Debbo osservare che questa è la semplificazione di un lunghissimo discorso in gran parte incomprensibile. Ma segue Descartes:
pensiamo che ci siano nella regione media [della Terra] diversi pori (o piccoli condotti) paralleli al suo asse, attraverso i quali le parti scanalate passino liberamente da un polo verso l’altro; e che quei condotti siano in tal modo incavati e adattati alla figura di quelle parti scanalate, che quelli che ricevono le parti provenienti dal polo australe, non potrebbero ricevere quelle provenienti dal polo boreale, e che, reciprocamente, i condotti che ricevono le parti provenienti dal polo settentrionale, non siano adatti a ricevere quelle provenienti dal polo australe, poiché sono girate a vite le une all’inverso delle altre. (Pensiamo anche che) quelle parti scanalate possano bene entrare per un lato nei pori (adatti a riceverle), ma che non possano ritornare dall’altro lato (degli stessi pori), poiché vi sono (dei piccoli peli o) dei rametti sottilissimi, che nelle pieghe di quei condotti sporgono in maniera tale, da non impedire per nulla il corso delle parti scanalate, quando vi vengono dal lato per cui sono solite entrare, ma che si voltano dall’altra parte e raddrizzano (un po’ le loro estremità, quando quelle parti scanalate si presentano per entrarvi dall’altro lato, e) così ostruiscono loro (il passaggio…). Per questo, dopo che hanno attraversato tutta la Terra da una (metà) all’altra, seguendo linee parallele al suo asse, ce ne sono molte che ritornano, attraverso (l’aria) circostante, verso la stessa (metà) di dove erano entrate, e passando così (reciprocamente dalla terra nell’aria, e dall’aria nella terra), ci compongono una specie di vortice ….
Non proseguo anche se Descartes riempie di questa prosa un centinaio di pagine. Quanto riportato mi serviva per dare un’idea della concezione magnetica del nostro. Egli pensa i magneti come solcati da scanalature attraverso le quali passa un flusso di particelle sottilissime che si avvitano in esse (le particelle, in origine, sarebbero state scagliate dal Sole lungo il piano equatoriale dove la forza centrifuga è più intensa). Le particelle, fuoriuscite dal magnete ed entrate nell’aria, ritornano al magnete proprio a causa del loro moto a vortice. Quando queste particelle che fuoriescono dal magnete a forma di cavatappi incontrano un pezzo di ferro penetrano nei suoi pori come appunto dei cavatappi che lo attirano al magnete. Ma, se avete avuto la forza di leggere il brano riportato, vi sarete accorti che le scanalature nei canali possono essere sinistrorse o destrorse. Questa eventualità serve a dar conto di attrazione o repulsioni tra magneti (per medesimi

La Terra-magnete come teorizzata da Descartes. I poli sono situati in corrispondenza delle lettere A (polo australe) e B (polo boreale).
avvitamenti si ha attrazione, altrimenti repulsione). Con questo apparato, lo stesso Descartes ci fornisce il disegno del magnete-Terra che viene descritta nel paragrafo 146 (le piccole sfere I, K, L, M, disegnate intorno alla Terra, stanno per spiegare la diversa inclinazione che subiscono gli aghi magnetici sotto l’azione del magnete Terra, un qualcosa di analogo alle figure che ci aveva fornito Gilbert).
A Descartes si ispirò Padre Grimaldi (1618-1663) che nel suo De lumine (1665) dedicò una trentina di pagine al fenomeno magnetico. La novità rispetto a

Padre Grimaldi
Descartes è l’ammissione di un fluido magnetico unico, in luogo dei due individuati dalla diversa rotazione dei “cavatappi”, e l’assenza di ipotesi sulle presunte particelle che costituirebbero il fluido.
Newton, per parte sua, dedicherà poco spazio al magnetismo e lo farà nella Query n° 22 della sua Optics del 1704. La cosa è insignificante e gli serve per illustrare l’estrema rarefazione del presunto etere. Poche parole ma significative le troviamo invece nei Principia (1687) dove Newton afferma (Libro III, Proposizione VI, Teorema VI, Corollario 5, pag 629):
La forza di gravità è di genere diverso dalla forza magnetica. Infatti l’attrazione magnetica non sta come la quantità di materia attratta. Alcuni corpi sono attratti di più, altri di meno, moltissimi non sono attratti. E la forza magnetica di un medesimo corpo può essere aumentata e diminuita, e talvolta, in relazione alla quantità di materia, è molto più grande della forza di gravità, e nell’allontanarsi dalla calamita decresce non nella proporzione del quadrato dalla distanza, ma quasi nella proporzione del cubo, come potei accorgermi da certe grossolane osservazioni.

Newton in un ritratto del 1702
Altri contributi vennero da alcuni gesuiti come Nicolò Cabeo (1586-1650),

Frontespizio della Philosophia Magnetica (1629) di N. Cabeo
Athanasious Kircher (1602-1680; un personaggio davvero invasato e dedito allo studio di ogni magia) un personaggio e Vincentius Léotaud. Questi personaggi,

Athanasious Kircher
mentre sembravano muoversi sulle orme di Gilbert, si preoccupavano di riportare ogni cosa alla spiegazione aristotelica contestando sul presunto piano delle esperienze lo stesso Gilbert (il Collegio Romano a Roma, quello che contribuì grandemente alla condanna di Galileo, era maestro di tali comportamenti dei gesuiti).
Cabeo, nella sua Philosophia Magnetica (1629), tenta di smontare l’edea di fondo di Gilbert,quella che vuole essere la Terra un gigantesco magnete partendo dalla negazione di una qualche identità tra terrella e Terra. Secondo Cabeo anche i ferri (come i cardini delle porte) disposti verticalmente rispetto al meridiano terrestre si magnetizzano con il sud verso l’alto ed il nord verso il basso. Nel tentativo di screditare Cabeo trova una cosa d’interesse che però non piò ancora capire: non è vero che l’ambra attiri soltanto dei minuscoli corpiccioli infatti, se sistemiamo un pezzo d’ambra strofinato vicino a della segatura, prima questo attira i pezzettini di segatura ma, dopo un poco, questi ultimi schizzano via con un chiarosivo dell’ambra (feace=”Times New Roman” size=”4″> nomeno che oggi sappiamo spiegare con il fenomeno dell’elettrizzazione per contatto e che si sperimenta agilmente con una bacchetta di plastica strofinata ed una pallina di sambuco sospesa ad un filino di nylon).
Una disposizione positiva rispetto ai lavori di Gilbert fu di Padre Benedetto Castelli (1577-1643), l’allievo ed amico di Galileo, che scrisse un Discorso sulla calamita che purtroppo rimase inedito fino al 1883. Egli prese le mosse dalla oggi

Benedetto Castelli
nota esperienza dello spettro magnetico che si ottiene disponendo della limatura di ferro su di un foglio di carta sotto il quale è disposto un magnete. Castelli dispose, anziché limatura di ferro, limatura di un magnete. Da questa esperienza egli costruì una teoria che in pratica prevede che il magnete sia costituito da tanti magneti elementari (come diremmo oggi) che in origine sono disordinati ed in particolari condizioni si orientano tutti in un unico verso dando l’effetto magnetico (si confrontino queste ipotesi teoriche, che possano essere assimilate addirittura all’ipotesi di Ampère sul magnetismo, con le contemporanee teorie di Ewing e di Weiss).
NOTE
(1) La trascrizione delle parole greche risulterà in gran parte priva di accenti e spiriti perché il computer non mi permette queste opzioni.
(2) Si sa per certo che i cinesi, nel VII secolo, abbiano viaggiato da Canton all’Eufrate, viaggio che appare impossibile senza l’uso della bussola. Verso il 1190 Guyot de Provins descrive una bussola (di quelle a galleggiamento dell’ago magnetico) usata dai cinesi nel 1111.
(3) Il fatto che quella di Flavio Gioia fosse una leggenda fu stabilito in un Congresso di Storia che si tenne a Roma nel 1903.
Si noti che non fu data in Italia soverchia importanza alla bussola almeno fino al XV secolo per il fatto straordinario che essa era ritenuta uno strumento della magia nera.
Per parte sua il cardinale di Cusa (Niccolò Cusano) assegnava a questa “azione a distanza” proprietà mistiche che diventavano teologiche. Marsilio Ficino, alla pari di Talete, assegnava un’anima al magnete. Fracastoro individuava una simpatia tra affini. Cardano la rivelazione della vita nell’inerte mondo minerale. Gli occultisti, come Agrippa, individuavano nel magnetismo la presenza di potenze misteriose, di spiriti, …
(4) Anche Brunetto Latini, nel suo Tesoro del 1260/1266, parla della bussola. Osservo che una sospensione alla Cardano era già nota tra i meccanici alessandrini, particolarmente in Filone.
(5) Altri autori che scrissero sulla bussola all’epoca furono: Vincenzo di Beauvais e Alberto Magno. Dall’osservazione che i due scrissero sotto l’influenza di Gherardo da Cremona che era stato uno dei massimi traduttori di scritti dall’arabo tra cui il Libro del tesoro dei mercanti sopra la conoscenza delle pietre (di Baylak al-Qabagaqi del 1292) nel quale vi è la prima descrizione nota della bussola per navigazione (un sughero galleggiante con infilzato un ago di ferro magnetizzato per induzione).
(6) Lucera dei Pagani, in provincia di Foggia.
(7) Tra il secolo XV ed il XVII vi furono molti perfezionamenti legati alla navigazione e particolarmente agli strumenti della navigazione, con particolare riferimento alla bussola.
Già nel viaggio verso le Indie Colombo di rese conto di un fenomeno già osservato in terra da costruttori di meridiane solari (e certamente noto ai marinai che erano molto più interessati alla cosa), la declinazione magnetica (l’angolo formato dal meridiano magnetico con quello geografico nel luogo d’osservazione, angolo che varia proprio da luogo a luogo e rende complessa l’individuazione del Nord). Il fenomeno era certamente noto perché verso la metà del XV sec. a Norimberga venivano fabbricati dei quadranti solari portatili, che si orientavano mediante l’uso di una bussola e sui quali erano segnate le correzioni dovute alla declinazione. Colombo ebbe modo di notare queste variazioni ed addirittura l’inversione delle correzioniche si conoscevano, poiché nella sua rotta aveva attraversato l’Equatore. Gliozzi osserva che la vicenda delle declinazione non fu osservata dall’ottimo sperimentatore Pierre de Maricourt solo perché all’epoca non doveva esistere in Italia. Infatti, e la cosa fu scoperta dopo lunghe osservazioni in un medesimo luogo da Henry Gellibrand nel 1634, la declinazione magnetica varia anche nel tempo in un medesimo luogo. Ignorando quest’ultimo fatto i navigatori credettero fino a tutto il XVIII secolo di aver risolto con la conoscenza della declinazione magnetica in ogni luogo il problema della determinazione della longitudine di quel luogo. Da questa credenza totalmente errata fu elaborata la prima carta magnetica da parte del missionario gesuita Cristoforo Borri e pubblicata nell’opera perduta De arte navigandi. Noi conosciamo tale carta perché riportata da A. Kircher nella sua Magnes sive de Arte Magnetica del 1643. La prima carta magnetica in originale che conosciamo è quella redatta dal famoso astronomo inglese Edmund Halley nel 1701.
G. Hartmann (1544) e poi, più correttamente, R. Norman (The New Attractive, 1576), scoprirono l’inclinazione magnetica, sospendendo un ago magnetico a un asse orizzontale passante per il suo centro di gravità, si accorsero che l’ago punta, con vari angoli, a seconda del luogo, verso il suolo. E’ doveroso notare che questa scoperta richiede osservazioni molto accurate poiché la piccola inclinazione che subisce l’ago in una normale bussola può essere facilmente attribuita ad una dissimmetria della sospensione dell’ago sul suo asse. Per osservare con precisione il fenomeno occorre avere un ago non magnetizzato e sospenderlo sull’asse orizzontale in modo che risulti perfettamente in equilibrio. A questo punto si magnetizza e si osserva l’angolo di inclinazione che è comunque piccolo (intorno ai 10°).
(8) Mary B. Hesse ricorda molte delle analogie cui fa espressamente riferimento Gilbert in apertura del suo lavoro. Non si pensi però di trovare le analogie della fisica ottocentesca. Riporto il brano di Hesse che riporta le analogie di Gilbert:
Gilbert inizia compendiando le opinioni degli antichi e dei suoi predecessori immediati, gli autori del Rinascimento, a proposito delle qualità attrattive dei corpi elettrici e della magnetite. Egli cita varie similitudini per l’attrazione: negli inni orfici si dice che “il ferro è attratto dalla magnetite come dalle braccia dello sposo è attratta la sposa”; Aristotele pensava che la calamita fosse animata; tra gli autori del Rinascimento, Marsilio Ficino, Paracelso e altri attribuiscono il magnetismo al potere delle stelle e in particolare le proprietà della bussola alle stelle che sono in prossimità del polo celeste, “nello stesso modo in cui talune piante seguono il sole, come fa l’eliotropio”; Cornelio Gemma ritiene che la magnetite attragga per mezzo di raggi insensibili, “alla quale opinione egli aggiunge una storia di un pesce succhiatore e un’altra su un’antilope”; Giambattista Porta parla di una lotta, nella magnetite, tra il ferro e la pietra: “il ferro, che potrebbe non essere soggiogato dalla pietra, desidera la forza e la compagnia del ferro, che non essendo in grado di resistere da solo, può riuscire a difendersi se riceve un aiuto maggiore”; cosi la magnetite attrae il ferro o un altro pezzo di magnetite a causa del suo ferro, mentre non attrae le pietre prive di ferro. Cardano spiega l’attrazione dell’ambra come quella di una sostanza secca imbevuta di un umore untuoso, ma Gilbert gli obietta che non c’è un accrescimento nell’ambra né una diminuzione nel corpo attratto. Altri autori parlano semplicemente di un’attrazione derivante dalla “natura essenziale” della magnetite, affermando che essa muove il ferro verso la sua “perfezione” come i corpi si muovono verso la terra, e asserendo che “il ferro è trasportato da una brama miracolosa … a unirsi col proprio principio.” Gilbert ha qualche rispetto per l’opinione di Tommaso d’Aquino, il quale suggerisce che la magnetite dia una certa qualità al ferro. “Col suo divino e chiaro intelletto,” dice Gilbert, “egli ci avrebbe insegnato molto di più se avesse avuto pratica di esperimenti magnetici” [davanti alla fede si perde la ragione, ndr].
Gilbert oppone alla teoria tradizionale dell’attrazione del simile per il simile le obiezioni ovvie. Non è vero che il simile attragga il simile, “come la pietra la pietra, la carne la carne né qualsiasi altra cosa al di fuori della classe del magnetismo e dell’elettricità.” D’altra parte, tutti i tipi di corpi sono attratti dall’ambra. È vero che la magnetite attrae la magnetite e che il ferro eccitato attrae il ferro, ma è erroneo ricorrere a questi fenomeni, come fanno alcuni medici, per dimostrare la validità della teoria di Galeno secondo cui i purganti e i medicamenti usati per tirare fuori i veleni agiscono in virtù della somiglianza tra sostanze. L’azione dei farmaci è del tutto diversa da quella dei corpi magnetici.
Gilbert dedica però la massima attenzione alle spiegazioni meccanicistiche dei Greci. Egli è in disaccordo nei loro confronti ma ritiene che siano degni di una confutazione esplicita, talvolta per mezzo di esperimenti progettati con accuratezza. Egli cita la teoria degli ippocratici secondo cui l’attrazione avrebbe luogo a opera del calore e dimostra sperimentalmente che non ha alcun fondamento. Se ci si limita a riscaldare l’ambra col fuoco, o se addirittura le si fa prender fuoco, essa non attrae pagliuzze, ma le attrae soltanto se viene strofinata. Molti altri corpi non attraggono affatto, né quando vengano riscaldati dal fuoco né quando siano strofinati, benché una fiaccola accesa o un ferro o un carbone incandescenti attraggano e consumino aria. L’attrazione delle coppette mediche non è dovuta al calore ma alla rarefazione dell’aria all’interno di esse. Né il sole attrae umori dalla terra, limitandosi invece a rarefarli e a convertirli in aria, la quale si solleva al di sopra dell’aria circostante, più densa. Inoltre varie teorie atomistiche implicano che le attrazioni elettriche e magnetiche abbiano luogo mediante il moto dell’aria e l’aspirazione che ne risulta. Nel caso del magnetismo, Gilbert rifiuta questa spiegazione dimostrando che nulla di corporeo passa tra il magnete e il ferro; e nel caso dell’attrazione elettrica la confuta ricorrendo a un esperimento con una fiamma di candela, la quale non è disturbata dalla presenza di un pezzo d’ambra dotato di un forte potere attrattivo, come avverrebbe invece se l’ambra producesse una forte corrente d’aria. Plutarco e altri avevano suggerito che l’ambra emette un sottile effluvio che rarefa l’atmosfera nelle sue vicinanze, cosicché altri corpi sono spinti verso di essa dall’aria più densa. Gilbert obietta però che in questo caso ci si dovrebbe attendere il trascorrere di un po’ di tempo prima dell’inizio del moto, e che questo dovrebbe rallentare al diminuire della distanza tra i corpi, che un corpo non sarebbe attratto verso l’alto da questa forza e che il potere di attrarre scomparirebbe ben presto dopo lo strofinamento. Nessuno di questi effetti è stato osservato: il moto comincia subito, è più rapido quanto più i corpi sono reciprocamente vicini e un corpo elettrizzato conserva per molto tempo dopo essere stato strofinato il potere di attrarre corpi leggeri. Infine, egli dice, “lasciamo ai tarli e ai vermi” le opinioni degli aristotelici che attribuiscono il magnetismo “ai quattro elementi e alle qualità prime.”
L’esposizione che Gilbert fa delle teorie dei suoi predecessori indica la varietà di argomentazioni che era corrente all’inizio del secolo, e i suoi propri commenti in proposito sono buoni esempi del metodo di ipotesi e sperimentazione che si sarebbe imposto ben presto. Le teorie da lui suggerite attestano la stessa accurata attenzione all’esperimento e dimostrano ugualmente che non era ancora giunto il tempo di mutamenti radicali nel tipo di ipotesi; egli continua infatti a spiegare l’attrazione elettrica in termini di effluvi e di una tendenza naturale di tutte le cose a unirsi, e il magnetismo in categorie animistiche ancora più antiche.
Dimostrato che l’attrazione elettrica non è dovuta al moto dell’aria, Gilbert asserisce che qualcosa deve nondimeno passare tra i corpi, e parla in proposito di un “respiro” emanante dal corpo che esercita l’attrazione; questo respiro raggiunge un corpo che si [trovi all’interno del raggio d’azione degli effluvi e unisce i due. La tendenza naturale di tutte le cose a unirsi è un principio da lui attribuito a Pitagora, e pare che secondo lui sia questa una spiegazione sufficiente della coesione tra corpi e del moto verso un corpo dotato del potere di attrarre, una volta che i suoi effluvi [vengono percepiti. Ma tra gli effluvi dev’esserci un contatto reale: “Poiché, dal momento che nessuna azione può aver luogo per mezzo di materia se non attraverso un contatto, se questi corpi elettrici non si toccano, è inevitabile che qualcosa passi dall’uno l’altro, qualcosa che possa esercitare uno stretto contatto ed essere l’inizio di tale eccitazione.
(9) E’ solo un mio sospetto ma lo riporto lo stesso. Probabilmente influì in Galileo la conoscenza e l’ammirazione per Bruno di Gilbert. Non occorre dimenticare che Galileo lavorava vicino agli Stati Pontifici in una Italia che viveva già sotto il terrore della repressione dell’Inquisizione.
(10) Si veda l’Edizione Nazionale delle opere di Galileo, pagg. 426-441.
(11) Non farò un discorso lungo, anche se la cosa lo meriterebbe, ma devo almeno accennare allo sciovinismo degli storici francesi che assegnano a Descartes ogni merito nella rivoluzione scientifica dell’età barocca (in proposito rimando ad un mio articolo che si può trovare nel sito: Alcuni elementi di giudizio su Galileo). E’ davvero insopportabile leggere queste cose e vedersi spacciare Descartes come il padre del razionalismo. Io non concordo in alcun modo. A parte il suo essere un bigotto conservatore, Descartes orecchia qua e là (Marsenne) e non ne azzecca una nell’ambito della Filosofia della natura. Si cerchino divagazioni fantasiose come quelle che propongo nel testo in Galileo, si cerchi ad esempio una qualche influenza divina nei fatti naturali. Non si troverà nulla! Ciò che dispiace è che i filosofi che seguirono, in nome di Galileo, tradirono di molto il suo spirito. Solo in Huygens si ritroverà un vero galileiano, lo stesso Newton (anch’egli mago, bigotto ed alchimista) metterà Dio all’interno del mondo a regolare il moto dei pianeti con spintarelle adeguate quando qualcuno di essi ne avesse avuto bisogno.
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