LA FISICA AGLI INIZI DEL NOVECENTO 0: LA NASCITA DELLA RELATIVITÀ DI EINSTEIN.

[La numerazione di figure, formule e note è quella che trovate perché questo articolo è la messa insieme di vari miei articoli precedenti].

Roberto Renzetti

1 – LA FORMAZIONE DI EINSTEIN. I SUOI LAVORI ANTERIORI AL 1905. I LAVORI DEL 1905 SUL MOTO BROWNIANO E SUI QUANTI DI LUCE.

        Albert Einstein (1879-1955) nacque in Germania (Ulm – Würtemberg) dove fece i suoi primi studi (Ginnasio di Monaco). Quindi passò in Svizzera, dove, dopo un anno alla Scuola Cantonale di Aarau, riuscì a conseguire l’iscrizione al Politecnico di Zurigo (1896), nel quale si laureò nel 1900 in Fisica e Matematica. (779)  E’ da distaccare il fatto che tra i suoi docenti vi fu il grande matematico, di origine russa ma di formazione tedesca, H. Minkowski (1864-1909) il quale avrà grande parte nello sviluppo successivo della teoria della relatività.

        I lavori che certamente conosceva, almeno fino al 1905, erano quelli di Helmholtz, di Kirchhoff, di Hertz e di Boitzmann. Egli era certamente a, conoscenza dei lavori di Maxwell i quali lo avevano affascinato. E’ da notare però che il suo professore al Politecnico, H. Weber, non aveva incluso le teorie di Maxwell nel suo corso e, anche se non abbiamo nessuna sicurezza nell’affermarlo, pare probabile che Einstein conoscesse Maxwell, almeno all’inizio, solo attraverso i lavori di Helmholtz e di Hertz. Egli aveva inoltre letto i lavori di Lorentz del 1892 e del 1895, la Chimica generale di Ostwald, la Meccanica nel suo sviluppo storico-critico ed I principi del calore nel loro sviluppo storico-critico, oltre ad altre opere, di Mach, almeno la prima memoria di Abraham del 1902, le memorie di Kaufmann del 1901-1902-1903, la memoria di Planck del 1900 nella quale si introduceva la quantizzazione dell’energia, l’opera La scienza e l’ipotesi di Poincaré. Conosceva bene Kant e Spinoza ed era rimasto molto influenzato dalla critica della meccanica fatta da Mach, (780)  ma ancora di più dalle concezioni filosofiche di D. Hume (in particolare dalla   critica della causalità e dei concetti di spazio e soprattutto di tempo).  (780 bis) Anche Ostwald, come del resto Abraham, aveva esercitato una notevole influenza su di lui; soprattutto là dove Ostwald negava la realtà di tutti quegli enti inosservabili come l’etere e portava avanti una fisica, quella termodinamica, che, come vedremo, rispondeva agli ideali di Einstein. Ben presto però (intorno al 1902) Einstein si distaccò sia da Ostwald sia dal programma elettromagnetico poiché non li trovava più aderenti alle sue esigenze di unità (in particolare il programma elettromagnetico tentava di fondarsi sulle equazioni di Maxwell-Lorentz che, come vedremo, Einstein trovava difettose). Altre sue letture erano poi le opere di Galileo, Kepler, Newton, Darwin e Riemann. Sembra accertato che Einstein non avesse conoscenza dei lavori di Michelson e Morley se non indirettamente, attraverso le memorie di Lorentz. (781)  Allo stesso modo egli non era a conoscenza né del lavoro di Lorentz del 1904, né di quelli di Boltzmann e Gibbs che trattavano del moto browniano e di questioni ad esso connesse come le fluttuazioni (in particolare non conosceva il lavoro di Gibbs del 1902). (78l ter)

         La matematica era ben conosciuta da Einstein. Come egli stesso sostie ne nelle sue Note autobiografiche (1946), già ai 16 anni aveva una buona conoscenza delle nozioni fondamentali della matematica, della geometria analitica, del calcolo differenziale ed integrale. Ciò nonostante non fu la matematica a cui Einstein dedicò il suo maggior impegno nel periodo universitario. Al contrario, gran parte del suo tempo lo passava nei laboratori (ricchissimi di strumenti poiché il Politecnico di Zurigo, attraverso il prof. H. Weber, era una emanazione del già enorme Gruppo Siemens), affascinato dal contatto diretto con l’esperienza (il suo biografo Reiser sostiene che nel periodo universitario Einstein era, dal punto di vista scientifico, un empirista puro). E non che la matematica a lui non piacesse, era soltanto che non si sentiva in grado  di scegliere, tra l’enorme varietà dei suoi rami, verso quale indirizzarsi. Racconta Einsteins   (782)

Certo anche la fisica era divisa in diversi rami … Anche qui la massa di dati sperimentali non sufficientemente collegati tra loro era enorme. Ma in questo campo imparai subito a discernere ciò che poteva condurre ai principi fondamentali da quella moltitudine di cose che confondono la mente e la distolgono dall’essenziale. Il guaio era, naturalmente, che, piacesse o no, bisognava ammucchiare tutta questa roba nella testa per gli esami.”

Quindi la fisica era al centro degli interessi di Einstein. In un primo tempo, fino al 1904, il suo approccio ai problemi in studio fu di tipo meccanicistico. Ma piano piano veniva maturando in lui una concezione diversa. Nelle sue Note autobiografiche, scritte da Einstein tra la fine del 1946 e gli inizi del 1947, così egli racconta:

” Fu Mach a scuotere, nella sua Storia della Meccanica, questa fede dogmatica: il suo libro, quand’ero studente, esercitò una profonda influenza su di me. Oggi riconosco la grandezza di Mach nel suo scetticismo incorruttibile e nella sua indipendenza; ma negli anni della mia giovinezza rimasi influenzato molto profondamente anche dalla sua posizione epistemologica, che oggi mi sembra sostanzialmente insostenibile.” (783)                                                                         

        Prima di passare ad occuparci dei lavori che Einstein portò a termine subito dopo la laurea, è necessario soffermarci su un aspetto che ancora oggi è fuorviante.  Riguarda la disinvoltura con cui molti  storici  o pedagoghi affrontano il tema dei rapporti tra la teoria della relatività e 1’esperienza di Michelson-Morle.y, gli uni nel tentativo di costruire una linearità nella storia delle conoscenze scientifiche, di accreditare il fatto che nella scienza si procede con un meccanismo di accumulazione di conoscenze, gli altri per una pretesa semplificazione didattica. Una testimonianza dello storico R.S. Shankland, riportata da Holton, si riferisce a due successive interviste che ebbe con Einstein nel 1950 e nel 1952 e ad uno scritto del 1952 che lo stesso Shankland richiese ad Einstein, in occasione della commemorazione del centenario della nascita di Michelson. Il racconto che Shankland fa della prima intervista riporta questo brano: (784)

Quando gli chiesi di come aveva avuto notizia dell’esperimento di Michelson-Morley, mi disse che lo aveva conosciuto attraverso gli scritti di H.A. Lorentz, ma che solo dopo il 1905 gli aveva prestato attenzione !, altrimenti disse  lo avrei menzionato nel mio articolo. Continuò dicendo che i risultati sperimentali che maggiore influenza avevano avuto su di lui erano le osservazioni dell’aberrazione stellare e le misure di Fizeau della velocità della luce nell’acqua in movimento. Questo fu sufficiente mi disse.”

Ad una analoga domanda, posta da Shankland nella seconda intervista, Einstein rispose:

Non  è così semplice  dirlo,   non  sono  sicuro  di   quando  venni  a  conoscenza  per la prima volta dell’esperimento di Michelson. Non ero cosciente del fatto che   avesse avuto influenza su di me in modo diretto durante i sette anni in cui la relatività era tutta la mia vita. Credo che semplicemente lo accettai come veritiero

e quindi aggiunse che di quell’esperienza aveva avuto notizia dai lavori di Lorentz. Infine, nello scritto del 1952, Einstein dice:

“L’influenza del famoso esperimento di Michelson-Morley nei miei lavori è stata abbastanza indiretta. Ebbi notizia di esso dalle decisive investigazioni di Lorentz sull’elettrodinamica dei corpi in movimento (1895), che conoscevo bene prima di sviluppare la Teoria Speciale della Relatività.”

In definitiva, va ribadita la non conoscenza da parte di Einstein dell’esperienza di Michelson-Morley. Capiremo più avanti che agli occhi di Einstein, che non si poneva sulla strada di teorie costruttive ma su quelle di teorie dei principi, (785) era in definitiva inessenziale la conoscenza di quella esperienza.

        E veniamo ora ai lavori di Einstein anteriori il 1905.  

        Il primo lavoro è del 1901, un anno dopo la sua laurea ed in una situazione di grossa incertezza economica (non aveva più il modesto assegno mensile che gli forniva il padre, non era riuscito ad avere il posto di assistente al Politecnico,  (786) stava studiando per ottenere un qualche titolo accademico come il dottorato di ricerca). Questo suo primo lavoro venne pubblicato sulla più prestigiosa rivista tedesca, gli Annalen der Physik;  ed Einstein lo utilizzò come referenza per farsi assumere come assistente presso i laboratori di Ostwald a Lipsia e quindi presso quelli del fisico H. Kamerlingh Onnes (l853-1926) a Leida. Questi tentativi non ebbero successo come del resto altri   che seguirono (suoi articoli successivi venivano respinti come tesi per ottenere il dottorato ma venivano accettati dagli Annalen). (787)

        In precarie condizioni economiche, Einstein dovette occuparsi (mediante una raccomandazione!) all’Ufficio Brevetti di Berna (giugno 1902). (788)  E, non ostante questo impegno a tempo pieno, riuscì a portare a compimento l’intera sua produzione scientifica fino al 1909.

        Ma veniamo al contenuto dei primi lavori di Einstein.

        Quello del 1901, il suo primo cui ci siamo già riferiti, ha per titolo Considerazioni sui fenomeni di capillarità.  (789) In esso Einstein tenta di dare alla chimica delle basi meccaniche a partire dall’idea che le forze chimiche, quelle che legano le molecole tra loro sono di tipo meccanico ed in particolare di tipo gravitazionale (forze centrali e azioni a distanza). C’è da notare che la particolare trattazione portata avanti dal nostro coinvolge i principi della termodinamica. Sulla stessa strada si muoverà Einstein nel suo secondo lavoro. Sulla teoria termodinamica della differenza di potenziale tra metalli … (1902).  (790)   Egli tenta qui di estendere la sua teoria delle forze chimiche dai liquidi ai gas e, durante questo tentativo, ebbe modo di familiarizzarsi con i metodi statistici di Boltzmann.

        Dall’insieme di questi due lavori si può ricavare un primo tentativo di Einstein di fornire una teoria unificata delle forze. Questa prima bozza di programma sarà ancora portata avanti dal successivo lavoro, Sulla teoria cinetica dell’equilibrio termico e del secondo principio della termodinamica (1902).  (791) In questo terzo articolo Einstein estende quanto discusso nei primi due alle molecole di un gas utilizzando la teoria cinetica del calore con i metodi di Boltzmann di meccanica statistica. Ma l’interessante è che in questo lavoro egli, indipendentemente, ritrova tutti i risultati che contemporaneamente avevano trovato sia Boltzmann che Gibbs come, ad esempio, il teorema di equipartizione dell’energia e le interpretazioni microscopiche di entropia e temperatura, risultati che, è bene sottolineare, non erano ancora a conoscenza di  Einstein. Per rendere però conto su quale strada si muoveva ancora il nostro,  basti dire che egli si proponeva l’operazione che, a suo giudizio, non era riuscita del tutto a Maxwell e a Boltzmann: la fondazione completa del secondo principio della termodinamica sulla meccanica. La tesi principale dell’articolo è infatti che la seconda legge si prospetta “come una conseguenza necessaria della concezione meccanica della natura.” (7 92 ) Si può certamente osservare che a questo punto in Einstein ancora erano molto forti gli influssi diretti della concezione meccanicistica che era di molti suoi insegnanti al Politecnico. Ma ancora nei suoi ulteriori lavori del 1903, Sulla teoria dei fondamenti della termodinamica,  (793)  e 1904, Sulla teoria molecolare generale del calore, (794) Einstein prosegue nel suo tentativo di portare a termine la fondazione della termodinamica sulla meccanica. Àncora si sviluppa la meccanica statistica (e poiché temperatura ed entropia sono definite per un dato insieme, prima di passare a considerazioni probabilistiche, è più corretto parlare di termodinamica statistica, e questo sia per Einstein che per Gibbs), questa volta su strade non toccate da Gibbs (l’insieme temporale, ad esempio, è utilizzato da Einstein per definire in un nuovo modo lo stato di equilibrio, quello più probabile, di m sistema termodinamico: lo stato macroscopico del dato sistema è quello che esso occupa durante la maggior parte della sua evoluzione temporale), e sistematicamente si inizia lo studio delle fluttuazioni di energia (795) che assume ranno un ruolo fisico centrale nella sua teoria. In particolare Einstein mostrò (1904) che la fluttuazione quadratica media dell’energia dipende dalla costante k di Boltzmann la quale determina quindi la stabilità di un sistema. A questo punto c’è il passo importante di Einstein, soprattutto per gli sviluppi dei due articoli dell’anno seguente sul moto browniano e sui quanti di luce.

Dice Einstein: (796)

L’equazione che abbiamo ricavato permetterebbe una determinazione esatta della costante universale k se fosse possibile determinare la fluttuazione di energia di un sistema; ma, dato il presente stato della nostra conoscenza, non ci troviamo di fronte a questa eventualità. Per di più esiste solo una classe di sistemi fisici nei quali possiamo presumere, per esperienza, che si abbia una fluttuazione di energia. Questo sistema è quello dello spazio vuoto, pieno di radiazione termica.

Einstein inizia così a mettere in relazione la costante k con l’altra costante (l max .T) della  legge  dello  spostamento,  trovata  da  W.  Wien nel  1894  (si  veda il mio articolo La nascita della teoria dei quanti pubblicato nel sito e si ricordi che l max è la lunghezza d’onda cui compete il massimo d’energia irradiata da un corpo nero che si trovi ad una temperatura assoluta T). In questo modo si inizia lo studio del corpo nero mediante le fluttuazioni ed Einstein trova che λ max deve risultare:

 λ max  = 0,42/T

  valore in ottimo accordo con i risultati sperimentali che davano:

λmax = 0,293/T

E’ un risultato di grande rilievo che convince Einstein a proseguire sulla strada dell’applicazione dei principi generali della termodinamica alla pura radiazione elettromagnetica ma lo farà, come vedremo più oltre, cambiando approccio al problema. Per ora basti osservare che certamente Einstein conosce i lavori di Planck sulla quantizzazione dell’energia, tant’è vero che utilizza, la definizione di entropia che Planck fornisce in questi lavori; mentre ancora non ha nulla da aggiungere alla parte propriamente quantistica, tant’è vero che non utilizza, e non dice nulla sulla relazione di Planck per l’emissione e l’assorbimento di radiazione da parte di un corpo nero.

         In definitiva l’elaborazione teorica, la meccanica statistica (legge di Boltzmann che lega entropia a probabilità e teoria delle fluttuazioni), utilizzata indipendentemente da ipotesi riduzioniste ma come un insieme di principi generali, mostrava un’unità tra i fenomeni che si verificavano tra molecole nell’ipotesi meccanica ed i fenomeni elettromagnetici.

         Il percorso seguito da Einstein per arrivare a questo risultato è così descritto da Battimelli: (797)

E’ un modo di affrontare il problema che mostra in modo spiccato le caratteristiche di quelle che Einstein chiama teorie dei principi senza partire da elementi ipotetici si considerano proprietà generali dei fenomeni osservate empiricamente (per esempio la tendenza di un qualsiasi sistema isolato a portarsi verso uno stato finale di equilibrio) e se ne deducono formule matematiche di tipo tale da valere in ogni caso particolare che si presenti. Il comportamento del sistema non viene più dedotto dalle proprietà dinamiche del modello meccanico che lo rappresenta, ma da una struttura formale, la meccanica statistica, autonomamente fondata e svincolata da ogni riferimento ad un modello particolare. Non è quindi più necessario dare il modello meccanico del sistema: i risultati ottenuti sono applicabili in tutta generalità a qualunque caso si presenti, per quanti siano i gradi di libertà del sistema e qualunque sia la sua struttura.”  (798) 

        Occorre osservare a questo punto che negli anni che vanno dal 1902 al 1904 Einstein ebbe un intenso rapporto intellettuale con alcuni suoi amici,

particolarmente M. Grossmann (fisico), K. Habicht (matematico), M. Solovine (filosofo), P. Adler (fisico) e M. Besso (ingegnere) . Con essi ebbe modo di discutere dei fondamenti della fisica, della matematica e della filosofia in quegli anni cruciali che segnarono il cambiamento di posizione epistemologica di Einstein (avvicinamento alle posizioni di Mach).                                                             

         Proprio sul finire del 1904 Einstein si rivolgerà sconfortato al caro amico Besso (l’unico che ringrazierà per l’aiuto fornitogli in occasione del suo lavoro di relatività del 1905) confidandogli le difficoltà che non riusciva a superare in certi suoi lavori (quelli del 1905). Diceva: (799)

E’ inutile che continui. Rinuncerò … Quando si arriva a disperare nulla può servire, né le ore di lavoro, né i successi precedenti, niente. Sparisce ogni senso di sicurezza. E’ finita … tutto è inutile. Non ho ottenuto nessun risultato …

        Soltanto qualche mese dopo (primavera 1905) Einstein scriveva euforico al suo amico Habicht dicendogli che gli avrebbe mandato quattro suoi saggi, aggiungendo “il primo dei quali … è molto rivoluzionario”  (Einstein fa riferimento al suo articolo sui quanti di luce). Le difficoltà erano dunque superate; il risultato erano quattro articoli per gli Annalen der Physik, che vennero pubblicati nel 1905. Ci occuperemo qui dei primi due, Sul moto di piccole particelle sospese in un liquido stazionario, richiesto dalla teoria cinetico-molecolare del calore  (800) e Sull’emissione e trasformazione della luce da un punto di vista euristico  (801) , per gli altri due rimandiamo al prossimo paragrafo.

        Questi due articoli, come del resto gli altri due che discuteremo nel prossimo paragrafo, hanno in comune una definitiva maturazione metodologica ed epistemologica del pensiero di Einstein. Essi rappresentano una vera e propria svolta nel modo di fare scienza, proprio perché vengono ribaltate le antiche premesse metodologiche e si afferma con chiarezza l’esigenza di non andare più ad inseguire spiegazioni di fenomeni particolari ma di fornire la fisica di basi più generali e più produttive, da cui ricavare, come casi di semplice applicazione, i singoli fenomeni. Il brano di Einstein tratto dal suo Tempo, spazio e gravitazione (1948), che abbiamo citato in nota 785, descrive molto lucidamente i caratteri interni della svolta. Ma su questo argomento già Einstein aveva detto qualcosa nelle sue Note autobiografiche (1946). Ricordando le difficoltà che via via incontrava nel portare avanti il suo lavoro scientifico prima del 1905, Einstein dice:  (802)

A poco a poco incominciai a disperare della possibilità di scoprire le vere leggi attraverso tentativi basati su fatti noti. Quanto più a lungo e disperatamente provavo, tanto più mi convincevo che solo la scoperta di un principio formale universale avrebbe potuto portarci a risultati sicuri.”

Quanto qui detto lo si può subito confrontare con quanto Einstein sostiene in apertura del suo articolo sul moto browniano (il primo dei due in oggetto – nota 800). Egli non cerca di spiegare il fenomeno scoperto da Brown, che tra l’altro non conosceva nei dettagli, ma, come lo stesso titolo del lavoro suggerisce, egli tenta di costruire una teoria nella quale sia compresa la descrizione di quelli che sono i possibili movimenti di particelle in sospensione in un liquido, in accordo con la teoria cinetico-molecolare del calore, i quali movimenti   

se   potessero   essere   osservati   (assieme   alle   leggi  che  ci   si   aspetterebbe  di trovare), allora la termodinamica classica non potrebbe più essere considerata applicabile con precisione anche a corpi di dimensioni distinguibili al microscopio: ma determinazione esatta delle effettive dimensioni atomiche sarebbe allora possibile. D’altra parte, se la predizione di questi movimenti risultasse scorretta, si avrebbe una pesante obiezione alla concezione cinetico-molecolare del calore.”   (803)

I principi fondamentali su cui basa il suo lavoro sono quelli che egli ha affinato nei lavori precedenti ed in particolare in quello del 1904: la legge di Boltzmann che lega l’entropia alla probabilità e, soprattutto, le fluttuazioni. Ed in questo lavoro l’idea guida di Einstein è proprio, come sostiene D’Agostino, “la ricerca di fluttuazioni osservabili che potessero essere adoperate per fissare con precisione la scala delle grandezze molecolari.” (804)

        Il ragionamento di Einstein è press’a poco il seguente.

Poiché è impossibile seguire nel tempo i movimenti di una singola particella,   ci si può rifare al suo spostamento quadratico medio   in un tempo t. Ebbene Einstein dimostra che queste due grandezze sono tra loro, a meno di una costante, in un rapporto costante chiamato coefficiente di diffusione D. (805)  In particolare trova:

Per altra via poi egli ricava che questo coefficiente di diffusione è dato anche dalla relazione:

dove R è la costante universale dei gas; T è la temperatura assoluta; h il coefficiente di viscosità del liquido in cui le particelle si trovano in sospensione; r è il raggio delle particelle; N è il numero di Avogadro. Mettendo insieme le due relazioni e tenendo conto che tutte le altre quantità sono misurabili, si può risalire al valore del numero N di Avogadro. (806)

        Partendo quindi da principi generali, Einstein riesce a ricavare una relazione la quale può permettere, su scala macroscopica, una verifica sperimentale della costituzione atomica delle sostanze. E lo stesso Einstein nelle sue Note autobiografiche, riferendosi a questo lavoro, dice:  (807)

Il mio scopo precipuo era di trovare fatti che confermassero, per quanto era possibile, l’esistenza di atomi di determinate dimensioni finite … Il fatto che queste considerazioni concordassero con l’esperienza, unitamente alla determinazione delle vere dimensioni molecolari compiuta da Planck con la legge della radiazione (per alte temperature), convinse gli scettici, a quel tempo molto numerosi (Ostwald, Mach), della realtà degli atomi.”

E’ interessante notare, in queste parole di Einstein, che i fatti sono il trattamento teorico generale da cui discende una particolare deduzione che poi si va a controllare essere o meno d’accordo con l’esperienza, che è un semplice caso particolare che il trattamento teorico generale è in grado di spiegare.                                                                              

         Come già accennato, lo stesso procedimento, dai principi agli effetti particolari, è seguito da Einstein anche nel secondo dei lavori che stiamo discutendo, quello sui quanti di luce (nota 801) . Questo articolo è comunemente indicato come quello dell’effetto fotoelettrico (808)  ma questa denominazione non è propriamente corretta. Anche qui lo scopo di Einstein non è quello di discutere l’effetto fotoelettrico, ma di trovare dei principi generali dai quali, tra l’altro, discenda la spiegazione di questo effetto. C’è comunque un altro elemento, di tipo euristico, che emerge in questo lavoro. Si tratta di sistemare una asimmetria che Einstein individua: identico procedimento a quello che sarà seguito nella memoria sulla relatività che discuteremo nel prossimo paragrafo. L’asimmetria in questione consiste nel fatto che nelle elaborazioni dei fisici si assegna una natura discontinua alla materia ponderabile ed una natura continua alla radiazione elettromagnetica del vuoto. Dice Einstein in apertura del suo lavoro:

Esiste una differenza formale di grande importanza fra le concezioni che sostengono i fisici nei confronti dei gas e degli altri corpi ponderabili e la teoria di Maxwell riguardante i processi elettromagnetici nel cosiddetto vuoto … Secondo la teoria di Maxwell l’energia presente in tutti i fenomeni di carattere esclusivamente elettromagnetico (e quindi anche la luce) è da considerarsi una funzione spaziale continua, mentre i fisici moderni concepiscono l’energia di un corpo ponderabile come risultato di una somma sugli atomi ed elettroni.”

Questa introduzione, che sembra così inoffensiva, pone tutta una serie di problemi. Innanzitutto Einstein non fa riferimento a nessun etere e parla esplicitamente di vuoto. Quindi egli sottolinea la natura elettromagnetica della luce che gli servirà tra un momento per estendere la quantizzazione di Planck ai fenomeni luminosi (e per togliere ad essa il carattere che Planck gli aveva assegnato di mero artificio matematico). Inoltre si fa presente l’insoddisfazione per quel dualismo (continuità dei campi, discontinuità delle particelle), soprattutto presente, anche se non la si cita, nella teoria degli elettroni di Lorentz.  Infine, con Holton, sembra quanto meno strano che, con tutti i problemi che aveva l’elettrodinamica, la critica andasse ad appuntarsi ad una questione di differenza formale. (810)

         Comunque, nella sua introduzione, Einstein dà atto alla teoria ondulatoria della luce di rendere conto di svariati fenomeni ma solo su scala macroscopica, tant’è vero che aggiunge: (811)

Tuttavia, bisogna tener presente che le osservazioni ottiche si riferiscono a valori medi nel tempo e non a valori istantanei.

L’esigenza di fare questa precisazione nasceva in Einstein per il fatto che le equazioni di Maxwell si dimostravano non corrette se applicate a fenomeni microscopici. Era il campo in discussione: la teoria di Maxwell sembra valida solo per fenomeni macroscopici; i fenomeni microscopici debbono trovare la loro spiegazione in un altro principio, i quanti; una trattazione di tipo statistico di questi ultimi deve ridare i fenomeni macroscopici. Quindi, sebbene la teoria ondulatoria della luce spieghi una quantità di fenomeni, è pensabile che essa,

“fondata su funzioni spaziali continue, possa entrare in conflitto con l’esperienza, qualora venga applicata ai fenomeni di emissione e trasformazione della luce. (811)

A quali fenomeni fa riferimento Einstein ?

Mi sembra che le osservazioni compiutesi sulla radiazione di corpo nero, la fotoluminescenza, (812)  l’emissione di raggi catodici tramite luce ultravioletta (813)   ed altri gruppi di fenomeni relativi all’emissione ovvero alla trasformazione della luce, risultino molto più comprensibili se vengono considerate in base all’ipotesi che l’energia sia distribuita nello spazio in modo discontinuo.” (814)

Ed ecco il modo utilizzato da Einstein per eliminare l’asimmetria: si tratta di considerare come discontinua l’energia associata alla radiazione elettromagnetica (e questo per rendere conto di fenomeni come quelli elencati che possono trovare solo una spiegazione microscopica) estendendo l’ipotesi di Planck alla luce mediante i quanti di luce o fotoni (quest’ultimo nome sarà introdotto dal fisico americano A.H. Compton nel 1923). Dice Einstein: (815)

Secondo l’ipotesi che voglio qui proporre, quando un raggio di luce si espande partendo da un punto, l’energia non si distribuisce su volumi sempre più grandi, bensì rimane costituita da un numero finito di quanti di energia localizzati nello spazio e che si muovono senza suddividersi, e che non possono essere assorbiti o emessi parzialmente.

Con questa ipotesi Einstein fa un notevole passo avanti rispetto alla prima quantizzazione di Planck: allora si trattava di un artificio matematico per far concordare l’elaborazione teorica con i dati sperimentali ed inoltre la quantizzazione, ammessa per l’energia degli oscillatori che producevano la radiazione, veniva negata per le onde elettromagnetiche (ammessa in emissione e negata in assorbimento); ora la quantizzazione viene assunta a principio generale, con un preciso significato fisico legato al modo con cui la materia emette od assorbe energia. C’è da aggiungere che si ribadisce ancora, di più l’insoddisfazione nei riguardi della massima elaborazione dell’elettrodinamica, la teoria di Lorentz, la quale non riesce a rendere conto dei fenomeni che Einstein cita. Inoltre alcune difficoltà che egli riscontra nella teoria del corpo nero elaborata da Planck (aumentando il campo di frequenze ammesso per gli oscillatori, l’energia che essi dovrebbero fornire sarebbe, al limite, infinita), vengono da Einstein attribuite ancora ad insufficienze della teoria di Maxwell-Lorentz.

        Nel seguito del lavoro Einstein elabora il problema in  accordo con il suo programma precedente (soprattutto l’articolo del 1904). Rifiuta ipotesi riduzioniste affidandosi solo ai principi generali che gli sono forniti dalla termodinamica.  (816) Egli va quindi a calcolarsi l’entropia di un gas in funzione del volume da esso occupato e l’entropia della radiazione sempre in funzione del volume (quest’ultima la trova a partire dalla legge di distribuzione di Wien, e non di Planck, ben sapendo che i suoi limiti di validità impongono delle restrizioni). I risultati che trova mostrano che

l’entropia di una radiazione monocromatica di densità abbastanza ridotta varia in funzione del volume, seguendo la stessa legge che vale per l’entropia di un gas ideale o di una soluzione diluita.” (817)

In particolare, confrontando le due relazioni, si trova: (818)

 E/βν = n.(R/N)

dove: E è l’energia della radiazione; ν è la sua frequenza; β  è una delle due costanti della formula di Planck-Wien per la quale Einstein fornisce il valore β = 4,866.10-11 °K.sec; (819) n è il numero delle molecole del gas; R è la costante universale dei gas ed N il numero di Avogadro. Da questa relazione si può facilmente ricavare (ponendo R/N = k = costante di Boltzmann):

                                                                             E = nkβν

  mentre per una sola molecola si ha: (820)

ε = kβν                  

Dato che questo risultato lo si è ottenuto uguagliando le due relazioni che forniscono l’entropia per un dato volume, rispettivamente per un gas e per la radiazione, Einstein ne deduce che: (821)

Una radiazione monocromatica di densità ridotta (nei limiti di validità della legge di Wien) si comporta, nell’ambito della termodinamica, come se fosse composta di quanti di energia di grandezza kbn, indipendenti tra loro.”

Il grande passo è fatto: dalle entropie che hanno la stessa forma per gas e radiazione, il nostro conclude che anche la struttura corpuscolare, per gas e radiazione, deve essere la stessa; egli dice infatti: (822)

Se una radiazione monocromatica (di densità sufficientemente ridotta) si comporta, rispetto alla relazione entropia-volume, cosse un mezzo discontinuo, costituito da quanti di energia kbn, dovremo esaminare l’ipotesi che le leggi di emissione e di trasformazione della luce siano costituite anche loro, come se la luce fosse formata da simili quanti di energia.”

E a questo punto, dopo aver stabilito i principi generali, Einstein passa a ricavarne alcune conseguenze ed in particolare fa vedere come sia i fenomeni di fotoluminescenza (regola di Stokes), sia l’emissione di raggi catodici tramite esposizione di corpi solidi, sia infine l’effetto fotoelettrico, possano essere interpretati mediante la sua teoria dei quanti di luce. (823)                                     :

        Vedremo nel prossimo paragrafo che, pur trattando argomenti completamente  diversi, il metodo seguito è lo stesso. E’ la ricerca di principi generali, che  siano semplici ed unificanti, che muove l’intero lavoro di Einstein. (824)     Ma c’è di più. Rispetto al passato, “non è solo una questione di cambiamento di metodo; si tratta di una revisione e, per certi versi, di una ridefinizione radicale di ciò che e’ lecito fare in fisica, di ciò che sia da considerare soddisfacente e cosa irrilevante, di dove vadano cercati i fondamenti dell’operare scientifico.” (825)  

        Per concludere, e per quanto vedremo nel prossimo paragrafo, è interessante notare che con questo articolo praticamente Einstein afferma la non necessità delle onde luminose e conseguentemente del loro sostegno, l’etere.

2 – SULL’ELETTRODINAMICA DEI CORPI IN MOVIMENTO (1905)

        I due lavori di Einstein, sul moto browniano e sui quanti di luce, che abbiamo appena finito di discutere, furono presentati alla rivista Annalen der Physik tra il marzo ed il maggio 1905. Il 30 giugno dello stesso anno un nuovo lavoro doveva aggiungersi ai precedenti: Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento (826) E’ questo l’articolo nel quale Einstein introduce la  relatività. Ad esso se ne aggiungerà ancora un altro, “interessante conseguenza [dei] risultati della precedente ricerca“, nel settembre dello stesso anno: L’inerzia di un corpo è dipendente dal suo contenuto di energia? (827)   In questo lavoro, come elaborazione di quanto ottenuto nel precedente articolo, viene data una prima formulazione del principio di equivalenza tra massa ed energia. (828)

        Cominciamo con il discutere Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento.  

        La prima cosa che va ricordata è che Einstein non conosceva il lavoro di Lorentz del 1904 (si veda la nota 781 bis); occorre però aggiungere che se anche Einstein fosse stato a conoscenza di questo lavoro, nulla sarebbe cambiato nel giudizio di svolta radicale che il suo articolo ha rappresentato.

        Certamente poi non conosceva gli articoli di Poincaré sull’argomento , del 1905-1906 (essi erano stati inviati alle riviste contemporaneamente al suo).

         Infine egli non aveva che una conoscenza indiretta dell’esperienza di Michelson e Morley (attraverso i lavori di Lorentz del 1892 e 1895); ma anche qui vale il giudizio dato precedentemente per Lorentz: anche se avesse conosciuto questa esperienza nei dettagli non sarebbe cambiato nulla rispetto al suo approccio assolutamente originale e per la verità molto ardito.   (829)   

        Occorre poi sottolineare che l’articolo di cui si parla, e che comunemente va sotto il nome di articolo sulla relatività, è in realtà un articolo “sull’elettrodinamica dei corpi in movimento” nel quale si tenta un approccio radicalmente divergo ai problemi dell’elettrodinamica così come si ponevano nell’ultimo articolo di Lorentz sull’argomento (1895) conosciuto da Einstein. Come si ricorderà in quel lavoro ancora ci si muoveva al primo ordine di v/c e si cercava una soluzione del secondo ordine. La diversità radi cale della trattazione einsteniana sta nel tentativo (riuscito) di risolvere le questioni che si ponevano mediante la fisica dei principi. Egli infatti non entra in estenuanti e successive elaborazioni elettrodinamiche; non fa una fisica costruttiva tentando di “formare un quadro dei fenomeni complessi partendo da certi principi relativamente semplici“, da elementi ipotetici, in definitiva, di tipo riduzionista. Einstein cerca invece delle”proprietà generali dei fenomeni osservate empiricamente, principi dai quali vengono dedotte formule matematiche di tipo tale da valere in ogni caso particolare si presenti“. Come più volte ricordato, è lo stesso tipo di approccio che egli ha seguito nei suoi due lavori precedenti del 1905.

        Il problema principale per Einstein è la sua profonda insoddisfazione per le equazioni di Maxwell-Lorentz. (830)    Egli aveva provato più volte a correggerne gli errori mediante un approccio costruttivo, ma, come già detto, tutti i tentativi “fallirono completamente“. Nel caso particolare dell’elettrodinamica, quelle equazioni fornivano, come vedremo, risultati diversi se applicate a sistemi di riferimento diversi. (831) Inoltre, anche qui come nel caso dei quanti di luce, l’asimmetria esistente tra campi continui e cariche discrete è un prodotto della teoria degli elettroni che Einstein non si sente di accettare. Dice Einstein nelle Note autobiografiche:  (832)

Se si considera … la teoria, si resta colpiti dal dualismo insito nel fatto che il punto materiale in senso newtoniano ed il campo come continuo fisico stiano l’uno accanto all’altro come concetti elementari. L’energia cinetica e l’energia di campo appaiono sostanzialmente diverse. La cosa risulta tanto più insoddisfacente in quanto, secondo la teoria di Maxwell, il campo magnetico di una carica elettrica in movimento rappresenta l’inerzia. Ma allora, perché non tutta l’inerzia ? In questo caso rimarrebbe solo l’energia di campo, e la particella sarebbe semplicemente una zona di densità particolarmente elevata dell’energia di campo … ed il fastidioso dualismo sarebbe eliminato.”

          Infine non va dimenticato che le elaborazioni di Lorentz introducevano qua e là delle profonde modificazioni ai concetti fondamentali della meccanica. Ed allora, dato che si  procedeva  in silenzio ad una revisione della meccanica, perché non pagare questo prezzo ma al fine di ottenere dei principi più generali, magari andando ad una revisione più profonda della meccanica stessa ?    (833)

         Ma, a detta dello stesso Einstein, ciò che lo colpiva di più era proprio l’asimmetria che si presentava quando si applicavano le equazioni di Maxwell a differenti sistemi di riferimento. Abbiamo già detto che più volte  Einstein provò a modificare le equazioni di Maxwell-Lorentz. Egli tentava cioè di far rientrare la suddetta asimmetria cercando un apparato teorico, sia per i fenomeni ottici che per quelli elettromagnetici, nel quale solo avesse significato il moto relativo, un apparato teorico cioè che mantenesse immutate le equazioni nel passaggio da un riferimento ad un altro che fosse in moto traslatorio uniforme rispetto al primo. Nel portare avanti queste elaborazioni egli sempre più si era convinto che “né la meccanica, né la termodinamica potevano pretendere ad una validità assoluta“. Lo stesso Einstein ci dice che a poco a poco cominciò a “disperare della possibilità di scoprire le vere leggi attraverso tentativi basati su fatti noti“. Gli servivano dei principi -universali sull’esempio di quelli che governavano la termodinamica. Dove e come trovarli ? Dice Einstein nelle Note autobiografiche:  (834)

Dopo dieci anni di riflessione, un siffatto principio risultò da un paradosso nel quale mi ero imbattuto all’età di 16 anni; se io potessi seguire un raggio di luce a velocità c (la velocità della luce nel vuoto), il raggio di luce mi apparirebbe come un campo elettromagnetico oscillante nello spazio, in stato di quiete. Ma nulla del genere sembra sussistere sulla base dell’esperienza o delle equazioni di Maxwell. Fin dal principio mi sembrò intuitivamente chiaro che, dal punto di vista di un tale ipotetico osservatore, tutto debba accadere secondo le stesse leggi che valgono per un osservatore fermo rispetto alla Terra. Altrimenti, come farebbe il primo osservatore a sapere, cioè come potrebbe stabilire, di essere in uno stato di rapidissimo moto uniforme ?

Che significa il paradosso di Einstein ?

Se uno si muovesse alla velocità della luce, con un’ onda elettromagnetica, dovrebbe descrivere il mondo in un modo differente da chi è in riposo rispetto alla Terra, egli, vedendo solo l’oscillazione di un campo che non si propaga nel tempo, sarebbe in grado di decidere qual è il suo stato di moto rispetto all’etere (si sta muovendo con velocità c) violando in questo modo il principio classico di relatività; inoltre questo fatto non è previsto all’interno delle stesse equazioni di Maxwell. (835) E’ come se si avesse a che fare con la luce immobile e ciò è inammissibile poiché la stessa luce è definita proprio dalla sua frequenza di movimento. Insomma, come molto bene dicono Schwartz e Mc Guinnes, (836) se uno camminasse alla velocità della luce, non  vedendo la propria immagine riflessa in uno specchio (che la sua mano sostiene davanti al viso), sarebbe in grado di capire che cammina alla velocità della luce senza bisogno di guardar fuori; e ciò è negato dal principio classico di relatività di Galileo.

         A questo punto però conviene andare con ordine, prendendo l’articolo di Einstein e seguendolo passo passo.

         L’introduzione del lavoro contiene già tutti gli elementi che abbiamo discusso.

 – INTRODUZIONE

         L’articolo inizia così:   (837)

E’ noto che l’elettrodinamica di Maxwell – come essa attualmente viene d’ordinario concepita – conduce nelle sue applicazioni a corpi in movimento ad asimmetrie che paiono non essere aderenti ai fenomeni.

Ecco dunque che il primo motivo è l’insoddisfazione per la teoria di Maxwell, negli ultimi sviluppi di Lorentz, ed in particolare perché questa teoria origina delle asimmetrie. Di quali asimmetrie si tratta ?  

          Einstein non ricorre ad esemplificazioni sofisticate ma al più semplice dei fenomeni elettrodinamici, che risale a Faraday; il movimento relativo di un magnete e di un conduttore e le azioni elettrodinamiche che si producono tra questi due oggetti. Lo stesso Einstein dice:

Si pensi ad esempio alle interazioni elettrodinamiche tra un magnete ed un conduttore. Il fenomeno osservabile dipende qui solo dal moto relativo fra magnete e conduttore, mentre secondo il consueto modo di vedere sono da tener rigorosamente distinti i due casi che l’uno o l’altro di questi corpi sia quello mosso. Infatti, se si muove il magnete e rimane fisso il conduttore, si produce nell’intorno del magnete un campo elettrico di certi valori di energia il quale provoca una corrente nei luoghi ove si trovano parti del conduttore. Rimane invece fisso il magnete e si muove il conduttore, non si produce nell’intorno del magnete alcun campo elettrico, ma al contrario [si produce] nel conduttore una forza elettromotrice, alla quale non corrisponde per sé alcuna energia, ma che – supposta l’uguaglianza del moto relativo nei due casi considerati – dà occasione al prodursi di correnti elettriche della stessa grandezza e dello stesso percorso, come nel primo caso [avevano dato] le forze elettriche.”

Dicevamo che questa esemplificazione è semplice ma non altrettanto la sua interpretazione teorica, soprattutto in relazione all’asimmetria che essa comporta e di cui parla Einstein. Per cogliere il nocciolo del ragionamento, serviamoci della figura 41.   (838) Innanzitutto osserviamo che da sfondo alle due situazioni, nella teoria cui fa riferimento Einstein

     Figura 41

ed in particolare nella teoria di Lorentz, c’è un etere immobile che funge da sistema a cui riferire i singoli moti. Per cui nel primo caso preso in considerazione (figura 41a)  il conduttore risulta fermo rispetto all’etere mentre il magnete si muove con velocità v, sempre rispetto all’etere. Nel secondo caso (figura 41b) le situazioni, ancora rispetto all’etere, sono invertite. Facendo riferimento alle equazioni di Maxwell, nel primo caso, quando il magnete si sposta, origina una variazione dell’induzione magnetica B in tutto l’etere che circonda il magnete e  nel conduttore. Poiché varia B nell’etere, varia il flusso di B concatenato con il conduttore. Ricordando la terza delle equazioni di Maxwell (la 7 del  paragrafo 5 del capitolo 3) ad una variazione del flusso di B si accompagna un campo elettrico nell’etere che circonda il magnete. Le cariche (gli elettroni), in quiete nel conduttore, sono soggette alla forza originata dal campo elettrico (mentre non sentono alcuna forza magnetica poiché quest’ultima non si esercita su cariche in quiete) ed in definitiva tra i capi A e B del conduttore si  genera una differenza di potenziale. Sempre facendo riferimento alle equazioni di Maxwell, nel secondo caso, poiché il magnete è fisso ed è il conduttore che si sposta, la variazione dell’induzione magnetica B si avrà solo nel filo e non nell’etere circostante il magnete (caso del flusso tagliato). Quindi nell’etere non c’è una variazione del flusso di B e conseguentemente (per la stessa equazione di Maxwell precedentemente citata) non si originerà un campo elettrico nell’etere che circonda il magnete. Anche in questo caso però ai capi AB del conduttore si originerà una differenza di potenziale, ma questa volta di origine magnetica (forza di Lorentz). Questa differenza di potenziale, a parità di altri fattori, ha esattamente lo stesso valore che nel primo caso.  (839)

        Dall’esame di questa situazione,  risultano dei fatti che sono certamente previsti dalla teoria di Maxwell-Lorentz, ma che, altrettanto certamente, sono tali da creare, per Einstein, una inaccettabile asimmetria; anche se gli effetti sono gli stessi (si producono nei due casi differenze di potenziale uguali, a parità di altre condizioni) i fenomeni hanno una spiegazione fisica differente: in un caso la differenza di potenziale è dovuta ad una forza elettrica, nell’altro ad una forza magnetica.

        Poiché ciò che stiamo discutendo rivestiva grande importanza nel pensiero di Einstein  (840) è utile fare un’altra esemplificazione, del tutto simile a quella ora discussa ma più facilmente comprensibile.

        Supponiamo di avere due cariche elettriche q uguali poste ad una distanza r l’una dall’altra (per semplicità supponiamo che una di esse sia vincolata in modo tale che non possa muoversi). Un osservatore T, immobile rispetto al sistema costituito dalle due cariche, calcolerà, secondo le usuali leggi dell’elettrostatica, una forza F che agirà sulla carica mobile e diretta come in figura 42a (cariche dello stesso segno si respingono). Supponiamo ora che l’osservatore

T si sposti, con velocità u, nella direzione mostrata in figura 42b. Secondo il principio galileiano di relatività, tutto va come se T fosse immobile e fossero invece le cariche che si muovono alla stessa velocità di T ma in verso opposto (figura 42c). In questo caso, quindi, T osserverà due correnti parallele (una carica in moto costituisce una corrente elementare). Ora, secondo la legge di Ampère sulle azioni elettrodinamiche tra correnti, alla forza repulsiva F, che si aveva nel caso di azione elettrostatica (figura 42a), si deve sottrarre una forza attrattiva f (dovuta al fatto che correnti concordi si attraggono). In definitiva, un osservatore in moto dovrebbe calcolare (e calcola) una forza repulsiva F – f, minore della forza repulsiva F che lo stesso osservatore calcolerebbe (e calcola) quando è in riposo. E ciò vuol dire che le leggi dell’elettrodinamica danno risultati diversi per osservatori in moto relativo a velocità costante. Questo fatto può essere detto anche così: le leggi dell’elettrodinamica non sono invarianti per una trasformazione di Galileo. (841)

        Come rendere conto di tutto ciò ?

        Oltre a questo tipo di asimmetrie Einstein fa anche un vago riferimento ad altri fenomeni che probabilmente sono: l’aberrazione stellare, l’esperienza di Fizeau relativa alla misura della velocità della luce in due colonne di acqua fluente in versi opposti, (842) l’esperienza di Michelson-Morley, quella di Trouton-Noble. Bice Einstein:

Esempi analoghi, come pure i falliti tentativi di constatare un moto della Terra relativamente al mezzo luminoso, conducono alla presunzione che al concetto di quiete assoluta, non solo nella meccanica, ma anche nell’elettrodinamica, non corrisponda alcuna delle proprietà di ciò che si manifesta, ma che piuttosto, per tutti i sistemi di coordinate per i quali valgono le equazioni della meccanica, (843) debbano anche valere le stesse leggi elettrodinamiche ed ottiche, come appunto è stato dimostrato per le grandezze del primo ordine.

         Einstein inizia a costruire la sua fisica dei principi con l’affermazione che il concetto di riferimento assoluto non ha alcun significato né nella meccanica  né nell’elettrodinamica né nell’ottica. Piuttosto bisogna ammettere che tutte le leggi fisiche abbiano la stessa forma in tutti i sistemi inerziali. Non vi è quindi nessun sistema privilegiato in cui le cose debbano andare in un dato modo; al contrario tutti i sistemi inerziali, tutti quelli in moto relativo uniforme gli uni rispetto agli altri, sono equivalenti; in essi tutte le leggi fisiche devono essere le stesse. A questo punto Einstein dice:

noi vogliamo elevare questa presunzione … a presupposto fondamentale

ed in questo modo introduce il primo dei due principi che sono il fondamento della relatività, quello che va sotto il nome di Principio della relatività di Einstein. (844)   Come si vede, si tratta di una generalizzazione del Principio di relatività di Galileo a tutte le leggi della fisica.

        Subito dopo, a questo principio, Einstein ne aggiunge un altro:

[noi vogliamo] inoltre introdurre il presupposto, solo apparentemente inconciliabile con il precedente, che la luce nello spazio vuoto si propaghi sempre con una velocità determinata e indipendente dalla velocità del corpo emittente.” (845)

Si tratta del principio che va sotto il nome di Principio della costanza della velocità della luce, quello che più ha fatto discutere (si veda, ad esempio, quanto sostiene M. La Rosa – 1923 – in bibl. 186, pagg. 293-306).

        Da dove tira fuori questo principio Einstein ?

        Esso era comunemente accettato in tutte le teorie ondulatorie della luce (Fresnel, Stokes, Maxwell, Lorentz) ma, sempre, come principio applicabile ad un sistema che si trovasse in riposo rispetto all’etere. Probabilmente il fatto che un valore costante di c venisse fuori dalle più disparate misure fatte sulla Terra, non importa in quale direzione rispetto al presunto etere, unitamente al fatto che questo valore si ricavasse da elaborazioni teoriche sulle equazioni che regolano i campi elettromagnetici (si ricordi il lavoro di Weber e Kohlraush), convinsero Einstein ad assumere la costanza di c come principio generale. Inoltre, forse, influì su Einstein proprio la formulazione del primo dei due principi, quello di relatività; se, infatti, la Terra si considera come un sistema inerziale e su di essa le misure di c danno sempre lo stesso valore, e deve avere lo stesso valore per tutti gli altri sistemi inerziali (indipendentemente dallo stato di moto della sorgente per il fatto che anche dalle misure fatte sulla Terra risulta questa indipendenza, infatti c ha lo stesso valore sia quando è misurata da fenomeni astronomici, sia quando è misurata su sorgenti poste sulla Terra, e lo stato di moto di una sorgente sulla Terra è certamente differente dallo stato di moto, ad esempio, di un satellite di Giove).  (846)   Infine, e questo è il fatto più importante, Einstein, nei suoi tentativi di modificare le equazioni di Maxwell-Lorentz perché risultassero invarianti per sistemi di riferimento in moto traslatorio uniforme gli uni rispetto agli altri, deve essersi convinto che la condizione che si richiedeva era la costanza di c.

          Certo che questo principio, così formulato, doveva suonare male e, con Straneo, “forse sarebbe stato meglio porre in rilievo che la teoria dei gruppi imponeva l’adozione di una costante fondamentale e che questa per ragioni fisiche non poteva che essere la velocità della luce.” (847)

        Comunque stiano le cose, Einstein dice che questo secondo Principio appare inconciliabile con il primo. Perché ?  

        Perché, ammesso il Principio di relatività, sembrerebbe che debbano valere le trasformazioni di Galileo e, in particolare, la composizione delle velocità. Supponiamo allora ai accettare contemporaneamente il Principio dell”indipendenza di c dal moto della sorgente e la composizione classica delle velocità: se una sorgente si muove verso un osservatore con velocità v, il tutto equivale a sorgente immobile ed osservatore che si sposta verso di essa con velocità – v; l’osservatore misurerebbe allora una, velocità u = c + v e dalla conoscenza di c egli sarebbe in grado di ricavare v e cioè una velocità assoluta; questo fatto entrerebbe in contraddizione con il supposto Principio di relatività. E l’apparente inconciliabilità sta proprio qui: il Principio di relatività di Einstein non prevede le trasformazioni di Galileo e quindi non prevede quella composizione delle velocità. Assumendo nuove trasformazioni l’inconciliabilità sparisce e la c, oltre ad assumere un valore costante in tutti i sistemi inerziali, diventa una velocità limite, una velocità che non può essere superata in alcun modo. (848) Ciò che si vuol dire è che l’apparente inconciliabilità nasce dalle ordinarie definizioni di spazio e di tempo. Ammessi i due Principi di Einstein, occorre cambiare queste definizioni e conseguentemente le loro equazioni di trasformazione (quelle di Galileo) nel passaggio da un sistema inerziale ad un altro.

               Riassumendo, i due principi che Einstein pone a fondamento della sua elettrodinamica sono:

       1) Principio di Relatività: Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi inerziali animati di un moto rettilineo uniforme gli uni rispetto agli altri. Nessuno di questi sistemi inerziali è privilegiato.

       2) Principio di costanza della velocità della luce: La velocità della luce nel vuoto ha sempre lo stesso valore c in tutti i sistemi inerziali. Essa è indipendente dalla velocità della sorgente o dell’osservatore.

Egli dice?

Questi due presupposti bastano per giungere ad una elettrodinamica dei corpi in movimento semplice e libera da contraddizioni …

      E dell’etere, cosa ne è di questa misteriosa sostanza ?

L’introduzione di un etere luminoso si manifesterà superflua …

      Così, con un solo colpo di penna, Einstein si sbarazza di ciò che da più parti veniva indicato come il tormento della fisica. L’etere se ne va, sparisce il riferimento assoluto e lo spazio assoluto (cosa che d’altra parte era implicita nel primo principio assunto da Einstein).

              A questo punto sono dati i principi generali. Come intende proseguire Einstein ?

              Proprio come indicavamo qualche riga più su a proposito dell’inconciliabilità: a partire da una revisione dei concetti fondamentali della meccanica e, in particolare, della cinematica (si noti: revisione della meccanica e non dell’elettrodinamica). Egli dice:

La teoria da sviluppare si appoggia – come ogni altra elettrodinamica – sulla cinematica del corpo rigido, poiché le affermazioni di ogni teoria del genere riguardano rapporti tra corpi rigidi (sistemi di coordinate), orologi e processi elettromagnetici. Le non sufficienti considerazioni di questa circostanza sono la radice delle difficoltà con le quali l’elettrodinamica dei corpi in moto ha presentemente da lottare.”  

Per costruire una elettrodinamica consistente con i suoi due principi, Einstein parte quindi da una ridefinizione di lunghezze e tempi che sono alla base di qualunque processo di misura, anche di fenomeni elettromagnetici, e che nel passato sono stati dati troppo facilmente per scontati.

           Con ciò termina l’introduzione al suo articolo e passa a discutere, appunto, questioni di cinematica.

3 – LA CINEMATICA E LA DINAMICA RELATIVISTICHE  (918)

 – INTRODUZIONE

         In tutto ciò che seguirà considereremo soltanto sistemi inerziali, sistemi sui quali è valida la meccanica di Newton.

         Scelto un sistema inerziale (con buona approssimazione e per un tempo breve la Terra può essere considerata un tale sistema), tutti quei sistemi in moto rettilineo uniforme rispetto ad esso, saranno anch’essi sistemi  inerziali.

         Il principio galileiano di relatività ci dice che nessuno degli infiniti sistemi inerziali è privilegiato, pertanto nessuno di essi potrà essere considerato come assolutamente in quiete. Al contrario, per semplicità, noi possiamo collocarci su uno qualunque di questi sistemi inerziali e considerarlo come se fosse in quiete relativamente a tutti gli altri che saranno animati di moto rettilineo uniforme rispetto ad esso. Chiameremo con S il sistema (di coordinate Oxyz) considerato in quiete rispetto a noi e con S’ (di coordinate O’x’y’z’) un altro qualunque dei sistemi in moto con velocità v rispetto ad S. Indicheremo poi con T un osservatore che si trovi sul sistema S e con T’ un osservatore che si trovi sul sistema S’. Più in generale, ogni grandezza senza apice sarà relativa a misure effettuate da S, mentre ogni grandezza con apice sarà relativa a misure effettuate da S’.

           I postulati fondamentali che saranno alla base di quanto diremo sono:

          1) PRINCIPIO DI RELATIVITA’: tutte le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi inerziali.

2) PRINCIPIO DI COSTANZA DELLA VELOCITA’ c DELLA LUCE: la velocità della luce nello spazio vuoto ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento risultando indipendente dalla velocità del corpo emittente (per essa daremo il valore approssimato: c  =  300.000 Km/sec   =   3.108 m/sec   =  300 m/msec).

          Per il resto non daremo nulla per scontato: dovremo andare a vedere quali sono le conseguenze che questi due postulati comportano con l’osservazione che a tutt’oggi (1983) non sono mai stati smentiti dall’esperienza. Dovremo quindi ricostruire una fisica che discenda dall’ammissione dei due postulati precedenti, a partire dai concetti base posti tradizionalmente a fondamento della fisica.

         I problemi che in generale dovremo risolvere sono del tipo:

         – Siano dati i due riferimenti inerziali:

                 S in quiete,

                 S’ in moto rettilineo uniforme rispetto ad S.

           Supponiamo di conoscere la posizione (e cioè le coordinate) e la velocità di un oggetto in S, come si può calcolare la posizione (e cioè le coordinate) e la velocità di un oggetto in S’ ?

           Cerchiamo allora delle equazioni che trasformino le grandezze conosciute nelle grandezze cercate.

           Per semplicità ci riferiremo sempre ai due sistemi S ed S’ che si muovono uno relativamente all’altro mantenendo i loro assi rispettivamente paralleli in modo che l’asse O’x’ del sistema S’ scivoli lungo l’asse Ox del sistema S, nel suo verso positivo e con velocità v (problema unidimensionale). Secondo il principio di relatività tutto va come se l’asse Ox del sistema S scivolasse lungo l’asse O’x’ del sistema S’, nel suo verso negativo e con velocità -v.

        L’aver scelto spostamenti del tipo annunciato ci permetterà di porre y = y’ e z = z’.

– COME MISURARE IL TEMPO

        Abbiamo già detto che non dobbiamo dare niente per scontato, almeno per quel che riguarda la definizione dei concetti che sono alla base della fisica.Occorre dunque accordarci su di un metodo che ci permetta di misurare il tempo sia nei sistemi S ed S’, sia dal sistema S al sistema S’, sia dal sistema S’ al sistema S.

        Innanzitutto occorrerà disporre di orologi di assoluta precisione ed assolutamente identici. (919) La lettura diretta dell’orologio permetterà di dare il tempo di un dato luogo in un fissato sistema di riferimento: l’osservatore T di S leggerà direttamente il tempo sull’orologio che ha con sé e questo sarà il tempo del luogo di S in cui si trova T; analogamente per l’osservatore T’, esso opererà allo stesso modo per dare il tempo del luogo di S’ in cui egli si trova.

        E fin qui tutto è addirittura ovvio. L’unica cosa che può disturbare è forse la pignoleria delle specificazioni, lo scopo delle quali, d’altra parte, sarà chiaro più avanti.

        Supponiamo ora di trovarci su un dato riferimento S e di considerare in esso due luoghi A e B, distanti tanto da rendere impossibile il confronto diretto dei due orologi che ivi si trovano. Come si fa a sapere se i due orologi segnano lo stesso tempo? Possiamo pensare di disporre di un sistema televisivo a circuito chiuso: un dato orologio è inquadrato da una telecamera che invia le sue immagini ad un televisore che si trova vicino all’altro orologio; un’altra telecamera inquadrerà quest’ultimo orologio ed invierà le sue immagini ad un televisore posto vicino al primo orologio; già che ci siamo allarghiamo l’inquadratura di questa seconda telecamera in modo che essa riprenda, oltre all’orologio,   anche il televisore posto vicino ad essa (figura 44).

figura 44

         Se l’immagine ripresa dalla telecamera viaggiasse ad una velocità infinita non vi sarebbero problemi per stabilire l’accordo tra i due orologi. Basterebbe confrontare direttamente l’immagine televisiva con  l’orologio per sapere se i due orologi segnano lo stesso tempo. L’immagine viaggia però con una velocità grandissima ma finita, quella delle onde elettromagnetiche e quindi della luce. Ciò comporta che, riferendosi alla figura 44, un osservatore T che si trovi nel luogo A osserverà che i tre orologi che egli vede segnano tempi differenti: l’orologio 1 che egli ha di fronte segnerà un dato tempo; l’immagine 2 dell’orologio che si trova in B segnerà un tempo inferiore; l’immagine 3 dell’orologio che si trova in A, ripresa dalla telecamera B e quindi rinviata in A, segnerà un tempo ancora inferiore. Infatti: il tempo t1  segnato dall’orologio 1 è quello letto all’istante dell’osservazione; il tempo t2  segnato dall’immagine 2 è quello che segnava l’orologio di B quando, alcuni istanti prima (il tempo necessario alla luce per percorrere la distanza esistente tra B ed A), veniva ripresa la sua immagine dalla telecamera B; il tempo t3 segnato dall’immagine 3 è quello che segnava l’orologio in A quando, ancora alcuni istanti prima (il tempo necessario alla luce per percorrere la distanza esistente tra A e B due volte, andata e ritorno), veniva ripresa la sua immagine dalla telecamera A.

        Cosa potrà sostenere, riguardo al tempo, l’osservatore T ?

Che non c’è nessuna regola che permetta di sincronizzare i due orologi A e B, a meno di ammettere che la velocità di propagazione dell’immagine sia la stessa sia nel verso AB che nel verso opposto M, in accordo con il principio di costanza della velocità della luce.

        Ammesso ciò i due orologi A e B segneranno lo stesso tempo quando:

t2 – t1 = t3 – t2

quando cioè l’intervallo t2 – t1 di tempo necessario all’immagine per propagarsi da A a B è uguale all’intervallo t– t2 di tempo necessario alla immagine per tornare da B ad A.

        Ciò vuol dire che i due orologi A e B saranno sincronizzati quando:

   t2 = ½ (t1 + t3)

e cioè quando il tempo tche l’osservatore T legge sull’immagine 2 è la media aritmetica dei tempi letti sull’orologio 1 e sulla immagine 3.

        Questo metodo di sincronizzazione può essere assunto come generale per qualunque luogo di S distinto da A e B.

        Si può aggiungere che:

1) se l’orologio A è sincrono con l’orologio B, anche l’orologio B sarà sincrono con l’orologio A;

2) se l’orologio A e’ sincrono con l’orologio B e con l’orologio C, anche gli orologi B e C saranno sincroni tra loro;

3) quanto detto equivale ad aver ammesso che il rapporto esistente tra l’intero tragitto percorso dall’immagine della telecamera per andare da A a B e tornare da B ad A ed il tempo complessivo t– t1 necessario a coprire questo tragitto ci fornisce la velocità c della luce:

c = 2.AB/(t3 – t1)

        E’ evidente che, per il principio di relatività, le cose che abbiamo detto si applicano esattamente allo stesso modo per la sincronizzazione di due orologi che si trovano in due luoghi A’ e B’ di un sistema S’ in moto relativo uniforme rispetto ad S.

         Ritorniamo al sistema S. Il fatto che in esso si possano sincronizzare due orologi ci permette di dire che è possibile parlare di eventi simultanei in S. Se cioè nei luoghi A e B di S si producono due eventi, essi saranno simultanei, per un osservatore situato nel luogo C (che si trova a metà strada tra A e B), quando egli vede sui suoi televisori l’immagine dell’orologio A e quella dell’orologio B segnare lo stesso tempo.  

         Stiamo parlando di eventi simultanei. La cosiddetta simultaneità sembra un concetto non solo innocuo ma anche ovvio. Eppure si faccia molta attenzione ad esso. Fino ad ora abbiano visto che per un osservatore su S si può parlare di eventi simultanei su S a patto di disporre di orologi sincronizzati.

         Dato il principio di relatività, un osservatore che si trovi in un luogo C’, a metà strada tra due luoghi A’ e B’ di un sistema S’, potrà allo stesso modo parlare di eventi simultanei su S’ (a patto, anche qui, che si disponga di orologi sincronizzati).

         Si osservi che l’analisi che siamo andati sviluppando è quanto si poteva ricavare da semplici conoscenze di meccanica classica: il principio di relatività cinematico e dinamico lo si conosceva dai tempi di Galileo; il fatto che la luce viaggi a velocità finita lo si sapeva dai tempi di Roemer; la costanza di c in tragitti di andata e ritorno era comune alle varie teorie elettromagnetiche nell’ipotesi di trovarsi in sistemi di riferimento in riposo rispetto all’etere. La novità è nello sviluppare concetti che nell’ambito della meccanica non erano mai stati portati a compimento ed in particolare nell’introduzione degli osservatori dentro i fenomeni fisici (prima di Einstein, infatti, per parlare di eventi simultanei in due luoghi distanti A e B si sarebbe semplicemente detto di eventi che hanno luogo quando le lancette degli orologi che si trovano nei due luoghi segnano la stessa ora, senza che qualcuno pensasse di rilevare direttamente questo sincronismo).

– LA RELATIVITA’ DELLA SIMULTANEITA’

        Consideriamo i due riferimenti S ed S’ in moto relativo (rettilineo ed uniforme) l’uno rispetto all’altro. Ammettiamo, al solito, che S sia in quiete rispetto a noi e che S’ si muova con velocità v rispetto ad S. Per fissare le idee, supponiamo che S’ sia un vagone di un treno al cui centro si trovi un osservatore T’, ed S il marciapiede di una stazione su cui si trovi un osservatore T (figura 45). Sia poi: L una lampada che si trovi esattamente al centro del vagone; A’ e B’ le due pareti contrapposte, nel senso della lunghezza del vagone; A e B due lampade poste sul marciapiede della stazione ed equidistanti da T. All’istante t = t’ = 0, in cui iniziamo a considerare la situazione, le

  Figura 45

origini O ed O’ dei due sistemi coincidono come mostra la figura e, appunto in questo istante, si accenda la lampada L e le lampade A e B (queste ultime mediante un interruttore azionato da T).

        Per quanto abbiamo detto a proposito di eventi simultanei, l’osservatore T, che si trova in S, dirà che l’accensione delle lampade A e B è simultanea (la luce emessa da A gli arriverà simultaneamente alla luce emessa da B); l’osservatore T’, che si trova in S’ dirà che la luce proveniente dalla lampada L ha illuminato simultaneamente le pareti A’ e B’ del vagone.

        Fermiamoci a quest’ultimo fenomeno, osservato come simultaneo da T’, e cerchiamo di descrivere come lo stesso fenomeno è osservato da T.

         Per fare ciò occorre introdurre nella sua interezza il principio di costanza della velocità della luce, ricordando che questa, velocità è anche indipendente dalla velocità del corpo emittente (nel nostro caso la lampada L).

        Riferiamoci alla figura 46 che descrive la situazione ad un tempo t ≠ 0 e t’  0.   (920).

 Figura 46

        Per T la luce della lampada L è stata emessa quando occupava la posizione L1 . Data la costanza di c questa luce si propagherà in tutte le direzioni con la stessa velocità indipendentemente dalla velocità della lampada (corpo emittente). Allora T non potrà far altro che osservare l’arrivo di questa luce prima sulla parete A’ del vagone e quindi sulla parete B’.  E questo perché, mentre la parete A’ va incontro alla luce emessa dalla lampada, la parete B’ si fa rincorrere dalla luce emessa dalla stessa lampada.  

        In definitiva, uno stesso fenomeno, percepito come simultaneo dall’osservatore T’, non risulta più simultaneo per un osservatore T. Prima però di trarre una conclusione più generale descriviamo come T’ osserva il fenomeno che T percepiva come simultaneo (l’accensione delle lampade A e B). Per fare ciò applichiamo il principio di relatività considerando il sistema S’ come se fosse in quiete ed il sistema S come se fosse in moto con velocità -v rispetto ad S’.  Riferiamoci alla figura 47 che descrive la situazione ad un tempo  t ≠ 0 e t’ ≠ 0.

     Figura 47

Per T’ le luci delle lampade A e B sono state emesse quando esse occupavano rispettivamente le posizioni A1 e B1. Anche qui, per il principio di costanza di c,  la luce emessa da A e B sarà  indipendente dalle velocità di A e B (corpi emittenti). Allora T’ non potrà far altro che osservare l’arrivo su T della luce emessa da A prima dell’arrivo della luce emessa da B e dovrà quindi concludere che la lampada A si è accesa prima della lampada B. Anche qui, mentre T si avvicina alla luce emessa da A, si va allontanando dalla luce emessa da B.

        Si può allora ancora dire che uno stesso fenomeno percepito come simultaneo dall’osservatore T,  non risulta più  simultaneo per un osservatore T’.

        Più in generale: eventi che risultano simultanei in un dato riferimento, non lo sono più quando sono osservati da un altro riferimento in moto relativo rispetto al primo.

          Ed,  in accordo con il principio di relatività, c’è perfetta reciprocità (se quest’ultima non ci fosse si sarebbe in grado di riconoscere lo stato di moto o di quiete di un dato sistema).

        Quali conseguenze immediate si possono trarre dall’importantissimo risultato della relatività della simultaneità ?

        Quando, ad esempio, vogliamo misurare la lunghezza di un’asta confrontandola con un regolo graduato noi facciamo l’ipotesi implicita ma necessaria che gli estremi del regolo debbano coincidere simultaneamente con gli estremi dell’asta da misurare. Ebbene questa operazione di misura per confronto è possibile eseguirla sempre su un dato riferimento nel quale, come abbiamo visto, ha senso parlare di simultaneità. Quando invece dobbiamo operare una tale misura da un sistema di riferimento S ad un sistema di riferimento S’, poiché ciò che era simultaneo in S non lo è più in S’, le misure dell’asta differiranno da quelle effettuate sull’asta a riposo in un dato riferimento.

        Analoghe considerazioni possono essere fatte per misure di tempo.

        Ma andiamo a vedere tutto ciò con maggiore dettaglio.

– LA RELATIVITA’ DEL TEMPO 

         Cerchiamo di ricavare alcuni risultati come conseguenza diretta di quanto fino ad ora discusso. Più avanti ritorneremo su di essi in un  modo più formale.

         Riferiamoci ancora all’esempio del vagone e del marciapiede e cerchiamo di seguire uno stesso fenomeno (l’emissione della luce da parte di una lampada) sia dal vagone che dal marciapiede. Per comodità grafica ci sarà utile un disegno nel quale le dimensioni del vagone sono modificate rispetto ai disegni precedenti (figura 48).

         Supponiamo che all’istante t = t’ = 0 le origini O ed O’ dei due riferimenti S ed S’ coincidano e che, in questo istante, la lampada L venga accesa. Il fenomeno da misurare è il tempo impiegato dalla luce per andare dalla lampada L all’osservatore T’ che si trova sul treno. Lo stesso fenomeno sarà  misurato e dall’osservatore T’ e dall’osservatore T che si trova sul marciapiede. Vediamo come opera l’osservatore T’ . Egli sa che il tragitto che deve percorrere la luce è d’

                                                              Figura 48

 e sa inoltre che la luce viaggia con velocità c. L’osservatore T’ si fa un rapido conto con le leggi della meccanica che conosce e, molto facilmente, trova:

  Δt’  = d’/c             =>             d’  =  c.  Δt’

Cosa osserverà T ? Per comprenderlo occorre riferirsi alla figura 49.

Figura 49

Quando la lampada viene accesa essa occupa la posizione L1 . Nel tempo Δt che la luce impiega ad andare da L a T’, il vagone si sarà mosso con velocità v avendo percorso il tratto v Δt. In definitiva, per T, è come se la luce avesse percorso il tragitto obliquo d. L’osservatore T sa inoltre che la velocità della luce è c. Egli quindi per Δt troverà:

  Δt  = d/c         ->                    d  =c.Δt

In che relazione stanno   Δ t’ e Δ t ? Basta considerare il triangolo rettangolo di vertici L1, L, T’, per trovare successivamente (teorema di Pitagora):

               (LT’)2 = (L1T’)2 – (L1L)2         

                     d’2  =  d2  – (v Δt)2                

                    (c Δt’)2  =  (c Δt)2  –  (v Δt)2         

                                             Δt’2    =   Δt2 (1 – v2/c2)                     

       (1)                           Δt =  Δt’ (1 – v2/c2)

Per capire cosa ciò significa occorre discutere il fattore (1 – v2/c2) . La quantità che sta sotto radice è nulla quando v=c . In questo caso, qualunque sia il tempo Δt’ che misura T’, l’osservatore  misurerebbe un tempo Δt infinito. La quantità che sta sotto radice à negativa quando v>c. In questo caso avremmo un numero negativo sotto radice quadrata e quindi un numero immaginario (il tempo Δt sarebbe un tempo matematicamente immaginario e fisicamente privo di significato). Si può senz’altro concludere che, stando alle conoscenze attuali, è impossibile avere velocità v che superino quella c della luce. La radice dà per risultato il numero 1 quando v = 0, quando cioè si ha a che fare con due riferimenti in quiete l’uno relativamente all’altro. In questo caso la (1) diventerebbe Δt =  Δt’ e torneremmo al caso delle equazioni di trasformazione di Galileo. Più in generale risulta:

0  <   (1 – v2/c2)  ≤  1

e tanto più è alta v, quanto più dal valore 1 ci si avvicina al valore 0. Allora, cosa significa la (1) ?

Il tempo  Δt  misurato da T risulta maggiore del tempo Δt’ misurato da T’ e ciò vuol dire che il tempo, per l’osservatore T, trascorre più velocemente e, conseguentemente, per l’osservatore T’ più lentamente (dilatazione del tempo).

Di quanto Δt’ è minore di Δt ?

Dipende dalla velocità v con cui S’ si sposta rispetto ad S.

Facciamo un esempio numerico per capire l’ordine di grandezza di questa dilatazione del tempo. Consideriamo varie v:

v1 = 360 Km/h  =  0,1 Km/sec  =>    velocità di un’auto di formula 1

v2 = 3.600 Km/h   =  1 Km/sec  =>     velocità di un aereo supersonico

v3 = 36.000 Km/h  =  10 Km/sec  =>      velocità di una astronave

v4 = 650.000.000 Km/h ≈ 1 80.000 Km/sec =>   velocità dell’ordine di grandezza di quella della luce.

Risulta:

(1 – v12/c2)  ≈  0,99999999999996   =>   Δ t’ = 0,99999999999996  Δ t

(1 – v22/c2)-½ ≈ 0, 999999999996   =>  Δ t’ =  0,999999999996 Δ t

(1 – v32/c2)-½  ≈  0,9999999996   =>  Δ t’ =  0,9999999996 Δ t

(1 – v42/c2)-½ ≈  0,8    =>    Δ t’  =  0,8   Δ t          

Si vede subito che nei primi tre casi considerati la dilatazione, che pure esiste, è cosi piccola da risultare praticamente non rilevabile mediante gli strumenti di cui disponiamo. Viaggiando invece ad una velocità dell’ordine di grandezza di quella della luce, quando T misura 10 sec, T’ misurerà 8 sec.

        E’ importante allora osservare che gli effetti di dilatazione del tempo hanno sensibilmente luogo solo per riferimenti in moto relativo con velocità dell’ordine di grandezza di quella della luce.

        E’ anche importante sottolineare che, per il principio di relatività, vale la reciprocità del fenomeno di dilatazione; poiché l’esempio del vagone e del marciapiede può essere inteso, cose già sappiamo, come vagone in quiete e marciapiede in moto con velocità – v, anche l’osservatore sul vagone vedrà il tempo dilatarsi nel riferimento del marciapiede.

        Avremo modo di tornare a discutere di ciò quando andremo a ritrovare la (1) mediante le trasformazioni di Lorentz e quando ci soffermeremo sul cosiddetto paradosso dei gemelli.

– LA RELATIVITÀ DELLE LUNGHEZZE

        Supponiamo che i nostri due osservatori T e T’ vogliano misurare la lunghezza del vagone su cui si trova T’.

        L’osservatore T’ opererà nel modo seguente:

– si sceglie come riferimento esterno un palo di sostegno dei cavi elettrici;

– misura quanto tempo Δ t’ è necessario affinché le due estremità del vagone passino attraverso il palo-traguardo di  riferimento;

– conoscendo la velocità v del vagone, calcola

  l’  =  v. Δt’

        L’osservatore T opererà nello stesso modo:

– si sceglie anche lui un palo di riferimento;

– misura il tempo Δ t necessario affinché le due estremità del vagone passino attraverso il palo-traguardo di riferimento;

– conoscendo la velocità v del vagone, calcola:

                      l  = v. Δt                         

        Ricordando la (1) e sostituendo il suo valore nella relazione precedente si trova:

  l  = v . Δt’ . (1 – v2/c2)

  e ricordando che   l’  =  v. Δ t’, la lunghezza l del vagone misurata da T sarà:

  (2)                                                  l  =  l’ . (1 – v2/c2)

E ciò vuol dire che misure di lunghezze effettuate da osservatori in moto o in quiete rispetto ad esse forniscono valori differenti. In  particolare un’asta rigida, che abbia una data misura di lunghezza quando è misurata in quiete, risulta contratta quando viene misurata in moto da un osservatore in quiete (la contrazione è nel verso del moto, le altre dimensioni non risultando modificate).

        Anche qui il principio di relatività assicura la perfetta reciprocità della contrazione per misure effettuate da riferimenti in moto relativo.

– LE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ

        Consideriamo, al solito, due riferimenti S ed S’. Questa volta tratteremo il problema in modo unidimensionale, cosi come annunciato nell’introduzione, di modo che senz’altro potremo porre y = y’ e z = z’.

        Riferiamoci alla figura 50.

                                                                Figura 50

All’istante t = t’ = 0 le origini dei due riferimenti coincidano (O  O’) come mostrato in figura 50. A questo istante dall’origine O di S venga emesso un fotone nel verso positivo dell’asse x. Dopo un tempo t  0 questo fotone si troverà in un punto P di ascissa x  = ct.

        Anche nel sistema S’ il fotone risulta emesso al tempo t = 0 e anche in questo sistema, dopo un tempo t’ ≠ 0, esso si troverà in m punto P’ di ascissa x’ = ct’.

        Poiché la velocità della luce è indipendente dalla velocità del corpo emittente (P  P’) possiamo considerare la situazione in figura 51.

                                                              Figura 51

        Come descrivono ciò le trasformazioni di Galileo ?

         Quali sono le formule che ci permettono di passare dalle coordinate di un riferimento alle coordinate di un altro riferimento ?

        Osservando S’ da S e ricordando che nelle trasformazioni di Galileo risulta t = t’, si ha (figura 51 ):

                                                               x’  =  x  –  vt

        Osservando S da S’ si ha (figura 51 ):

                                                           x  =  x’  + vt’

         Le trasformazioni di Galileo non tengono però conto della costanza di c. Dovremo allora considerare delle trasformazioni dello stesso tipo, nelle quali bisognerà  introdurre un fattore k da determinarsi. Si dovrà cioè avere:

                                                               x’  =  k(x – vt)  

(3)

                                                                 x  =  k(x’ + vt’)

          I motivi per cui si sono scelte queste particolari relazioni sono due:

        1) la relazione lineare tra x ed x’, essendo la più semplice, è la più spontanea;

        2) quando k = 1 si riottengono immediatamente le trasformazioni di Galileo»

         A ben guardare questo secondo motivo implica che k deve dipendere dalla velocità in modo tale che, per piccole velocità (v << c), k risulti uguale ad 1. Inoltre, per il principio di relatività, dovrà risultare

                                                            k (v)  =  k (-v)

che vuol dire reciprocità nell’osservazione da un riferimento all’altro, reciprocità che era garantita dalle trasformazioni di Galileo (scambiando in ciascuna delle due trasformazioni x, x’, t, t’, v rispettivamente con x’, x, t’, t, -v, si ottiene ogni volta l’altra equazione).

        Per determinare il valore di k, ferma restando la verifica che dovremo fare sulla garanzia di reciprocità k(v) = k(-v) e sul fatto che si deve avere k = 1 per v << c, sviluppiamo le (3) cominciando con l’introdurre in esse i valori già trovati per x ed x’ (x = ct; x’ = ct’). Si ha:

                                                                  ct’  =  k(ct – vt)

                                                                  ct  =  k(ct’+ vt’)

e cioè:

                                                                  ct’ =  k(c – v)t

                                                                  ct  = k(c + v)t’

Moltiplicando membro a membro, si ottiene successivamente:

                                                      (ct’)(ct)  =  [k(c – v)t][k(c + v)t’]      

                                                              c2t’t = k2t’t(c2 – v2)       

                                                                    1 = k2(1 – v2/c2)    

(4)                                                               k = (1 – v2/c2)-½              (921)

Si può subito vedere che questo valore di k verifica le due condizioni richieste. E’ quindi questo il fattore correttivo da introdurre nelle trasformazioni delle coordinate di Galileo per ottenere le trasformazioni di Lorentz per le coordinate.

        Sostituendo la (4) nelle (3) si trova:

                             x’ = (x – vt).(1 – v2/c2)-½                                 

 (5)

                             x = (x’ + vt’).(1 – v2/c2)-½  

Ritorniamo ora alle (3) e proponiamoci di vedere cosa diventano le trasformazioni di Galileo per il tempo (t = t’ e t’=t). Iniziamo con il sostituire alla x’ che compare nella seconda delle (3) il valore di x’ fornito dalla prima delle (3). Si ha:  

x = k [k(x – vt) + vt’]    =>    

t’ = (x – k2v + k2vt)/kv    =>   

 t’ = k [t – (x/v)(1 – 1/k2)    =>

(osservando che 1 – 1/k2  = 1 – (1 – v2/c2) = v2/c2 , si ha):

  t’ = k [t – (v2/c2)x]               =>

[Si osservi che alla (6) si può arrivare anche risolvendo il sistema (5) rispetto alla variabile  t’]. 

        Con lo stesso procedimento ora visto (ma anche risolvendo il sistema (5) rispetto alla variabile t), sostituendo questa volta alla x che compare nella prima delle (3) il valore fornito dalla seconda delle (3), si trova   

E  questa  è  solo  un’ulteriore  verifica  del  principio  di  relatività.  Per ottenere la (7) bastava infatti sostituire nella (6) ai valori t’, t, x, v, rispettivamente i valori t, t’, x’, -v.

        Si può subito, anche qui, osservare che per piccole v (v << c) si ottiene subito la trasformazione di Galileo per il tempo (t = t’).

        Riassumendo, le trasformazioni di Lorentz possono essere così scritte:

    y’ = y

    z’ = z

                                                                                          (8)

  y’ = y

  z’ = z

        Il primo gruppo delle (8) si riferisce a misure effettuate da S’, il secondo gruppo a misure effettuate da S.

        Useremo ora queste equazioni di trasformazione per ricavare alcuni risultati, a partire da quelli, come la dilatazione dei tempi e la contrazione delle lunghezze, già trovati per altra via.

NOTE

(779) Einstein non ebbe una buona esperienza scolastica se si eccettua, l’anno in cui studiò alla Scuola di Aarau. Era tormentato dalla scuola nozionistica ed autoritaria. La parentesi nella scuola democratica di Aarau, i cui insegnamenti erano impartiti sulla base delle teorie del pedagogo svizzero J.H. Pestalozzi (1746-1827) sarà sempre ricordata da Einstein come estremamente positiva. Su questi aspetti si può vedere il saggio di G. Holton, Su un tentativo di comprensione del genio scientifico, The Anerican Scolar, Vol. 41, inverno 1971-1972 (si veda bibl. 127, pagg. 294-322). Su cosa pensava Einstein della scuola autoritaria e nozionistica si può vedere un discorso che tenne nel 1936 e riportato in bibl. 161, pagg. 78-84. Notizie biografiche su Einstein si possono trovare, ad esempio, su Hoffmann (bibl.162), su Bergia (bibl.163), su Bertin (bibl.164), su Cuny (bibl.165), su Levinger (bibl.166), su Michelmore (bibl.167), su Koutznetsov (bibl. 262), su Highfield e Carter (bibl. 263), su Pais (bibl. 264 e 265), su Pyenson (bibl. 266).Si possono poi vedere le sue importanti Note Autobiografiche nel lavoro, curato da Schlipp, Albert Einstein scienziato e filosofo (bibl. 168).

(780) Si veda il saggio di G. Holton: Mach, Einstein and the Search for Reality,   Daedalus, 97, 649; 1968 (bibl. 127, pagg. 164-203).

(780 bis) Di Hume, molto schematicamente,si può dire che non accettava il concetto di Sostanza che egli sostituiva con un insieme di idee; allo stesso modo, respingeva il concetto di causalità sostenendo che essa aveva il solo significato che un dato evento si era realizzato in connessione con un altro evento, senza che ciò implicasse una relazione né logica né necessaria. Riguardo allo spazio Hume sosteneva che esso non è altro che l’idea di punti visibili o tangibili distribuiti in un certo ordine ed inoltre che noi non possiamo avere idea di nessuna estensione reale senza riempirla con oggetti sensibili. Riguardo al tempo infine, esso è scoperto da noi mediante una qualche successione percepibile di oggetti che cambiano e quindi non avremmo idea del tempo senza un qualcosa che cambia.

(781) Si veda il saggio di G. Holton: Einstein, Michelson and the crucial experiment , Isis, 60, 155; 1969 (bibl. 127, pagg. 204-293).

(781 bis) La rivista olandese, i Proceedings of the Amsterdam Academy (edizione in lingua inglese), era molto difficile da trovarsi e non solo per Einstein che all’epoca era impiegato all’Ufficio Brevetti di Berna, ma anche per coloro che lavoravano in istituzioni scientifiche molto importanti. In particolare M. von Laue, allora assistente presso l’Istituto di Fisica Teorica della più grande e prestigiosa Università del mondo, quella di Berlino, dovette scrivere a Lorentz alla fine di novembre del 1905 per chiedergli una copia del lavoro in oggetto. Nella stessa lettera M. von Laue sosteneva che a Berlino vi era una sola copia di quel lavoro, nella Biblioteca Reale, che prestava riviste solo per un giorno.

(781 ter) J.W. Gibbs: Elementary Principles in Statistical Mechanics, New York and London, 1902.

(782) Bibl. 168, pag. 10.

(783) Ibidem, pag. 12. L’influenza di Mach su Einstein durò fino a circa il 1930. La prima prova scritta del distacco completo di Einstein da Mach e della sua adesione al realismo razionalista, portato avanti dal suo collega ed amico Planck, si ha in uno scritto (l931) inedito di Einstein, che doveva servire da introduzione all’articolo di Planck Positivismo e mondo esterno reale, 1930 (bibl. 153, pagg. 217-241). Si veda allo scopo il saggio di Holton ci tato in nota 760 e riportato in bibl. 127; si veda in particolare la pag.201.

(784) Questo ed i successivi due brani riportati sono tratti dal saggio di Holton citato in nota 781. Si veda bibl. 127, rispettivamente, alle pagg. 233-234; 234; 236.

 (785) Nel 1948, in un suo saggio dal titolo Tempo, spazio e gravitazione (bibl. 161 pagg. 212-216), Einstein scrisse:    

Vi sono due specie di teorie in fisica. La maggior parte di esse è di tipo costruttivo. Esse tentano di formare un quadro dei fenomeni complessi partendo da principi relativamente semplici. La teoria cinetica dei gas, per esempio, tenta di ricondurre al movimento molecolare le proprietà meccaniche, terrmiche e di diffusione dei gas. Quando affermiamo di comprendere un certo gruppo di fenomeni naturali, intendiamo dire che abbiamo trovato una teoria costruttiva che li abbraccia.

In aggiunta a questo gruppo molto vasto di teorie, ve n’è un altro costituito da quelle che io chiamo teorie dei principi. Esse fanno uso del metodo analitico, invece di quello sintetico. Il loro punto di partenza ed il loro fondamento non consistono di elementi ipotetici, ma di proprietà generali dei fenomeni osservate empiricamente, principi dai quali vengono dedotte formule matematiche di tipo tale da valere in ogni caso particolare che si presenti. La termodinamica, per esempio, partendo dal fatto che il moto perpetuo non si verifica mai nell’esperienza ordinaria, tenta di dedurne, mediante processi analitici, una teoria che sarà valida in ogni caso particolare. Il merito delle teorie costruttive sta nella loro generalità, nella loro adattabilità e nella loro chiarezza, il merito delle teorie dei principi sta nella loro perfezione logica e nella saldezza delle loro basi.”

Ovviamente, anche se Einstein non la cita, la teoria di Lorentz era di tipo costruttivo.

(786) A questo posto Einstein teneva molto ma, essendosi inimicato tutti i professori per le continue critiche (ed in particolare H. Weber), essendo poi ebreo e non di nazionalità svizzera (Einstein prenderà la nazionalità svizzera, che mantenne fino alla morte, nel 1901), gli unici due posti disponibili furono assegnati ad altri due studenti. Si noti, incidentalmente, che a quest’epoca risale l’amicizia di Einstein con Friedrich Mier, figlio di Victor, capo della socialdemocrazia austriaca. Da Friedrich, assistente di fisica, Einstein ebbe le prime lezioni sul socialismo rivoluzionario. Si ricordi che Friedrich sarà arrestato nel 1916 per aver ucciso in un attentato il primo ministro austriaco, che riteneva responsabile della politica militarista austriaca (siamo alla I guerra mondiale). Al processo Einstein interverrà testimoniando in favore di Friedrich e contribuendo a far sì che la sua condanna fosse di un solo anno di prigione (Adler sarà amnistiato alla cacciata della monarchia e diventerà deputato e segretario della II Internazionale).

(767) II dottorato presso l’Università di Zurigo sarà ottenuto da Einstein nel 1905.

(788) Quel posto lo ottenne grazie al suo amico e compagno di studi Marcel Grossman. All’Ufficio Brevetti Einstein rimarrà fino al 1909 quando ottenne la nomina a professore straordinario presso l’Università*’ di Zurigo.

(789) Annalen der Paysik, 4, 1902; pagg. 513-523. Se si pensa che questo era il lavoro inviato come referenza ad Ostwald, ci si può rendere conto del perché Einstein non ebbe neanche risposta.

(790) Annalen der Physik, 8; 1902; pagg.798-814. Nel 1907 Einstein, riferendosi ai suoi primi due lavori, li giudicherà  senza importanza.

(791) Annalen der Physik, 9; 1902; pagg.417-433.

(792) Citato da Mc Cormmach, bibl. 129, pag. 45.

(793) Annalen der Physik, 11; 1903; pagg.170-187.

(794) Annalen der Physic, 14; 1904; pagg. 354-362.

(795) Era un argomento delicato. Sia Boltzmann che Gibbs ritenevano che fosse molto difficile evidenziarle. Secondo Gibbs, infatti, “l’esperienza non sarebbe abbastanza estesa nel tempo da abbracciare le divergenze più considerevoli dei valori medi … e non abbastanza fine da distinguere le divergenze ordinarie … [Quindi] sembra futile sperare anche per un tempo piccolissimo in una deviazione osservabile da quei limiti a cui i fenomeni si adeguerebbero nel caso di un numero infinito di molecole” (citato da D’Agostino; bibl.l30, pag.46).

(796) Citato da Kuhn; bibl.l47, pag.210. Per seguire con dettagli gli sviluppi dei lavori di Einstein e di molti altri sul problema del corpo nero e della fisica dei quanti fino al 1912, questo testo lo consiglio vivamente. Si noti che anche l’articolo sul moto browniano dell’anno seguente, è il proseguimento di questo programma: dal calcolo del numero N di Avogadro si può risalire alla costante k di Botzmann.

(797) Bibl. 169, pag. 66.

(798) A questo proposito, afferma Tarsitani (bibl.l70, pag.302, che Einstein, “partendo da proprietà macroscopiche accertate sperimentalmente, tende a dedurne proprietà strutturali del sistema considerato. Questa inversione caratteristica di Einstein esprime probabilmente la maturazione del convincimento che le basi teoriche della fisica contemporanea hanno un carattere insufficiente e provvisorio“. In effetti i metodi della meccanica statistica, a partire dalla Teoria Cinetica, presuppongono la partenza da stati microscopici per arrivare alla comprensione di quelli macroscopici. Qui sta l’inversione di Einstein che rende ben conto del suo voler produrre una fisica dei principi.

(799) Citato in bibl. 164, pag. 40.

(800) Annalen der Physik, 17; 1905; pagg. 549-560.

(80I) Annalen der Physik, 17; 1905; pagg. 132-148. Una traduzione in italiano di questo articolo si trova in bibl. 171. Una traduzione in inglese si trova invece in bibl. 172.

(802) Bibl. 168, pag. 28. Si osservi incidentalmente che l’adesione di Einstein alle teorie di Mach è del tutto particolare. Come vedremo. Mach, nonostante le ripetute adesioni pubbliche di Einstein alla sua fenomenologia, coglierà il distacco completo di Einstein da essa e darà un duro giudizio sulla relatività (1913).

(803) Citato da Tarsitani; bibl.l70; pag.306. Notiamo incidentalmente, anche in relazione alla nota 785, che la termodinamica cui fa riferimento Einstein è la termodinamica fenomenologica di Clausius che, in qualche modo, assiomatizza i risultati precedenti e, dati i due principi, va a ricavarsi tutte le conseguenze particolari.

(804) Bibl. 130, pag. 48.

(805) Nel 1906, ed indipendentemente, una analoga dimostrazione sarà data anche dal fisico polacco M.. Smoluchowski (1872-1917).

(806) La cosa fu sperimentalmente realizzata dal fisico francese J. Perrin (1870-1942) negli anni 1908 e 1909.

(807) Bibl. 168, pagg.25-26. Anche il fisico tedesco M. Born (1882-1970) riconosce quanto qui è sostenuto (bibl. 168, pag. 112).

(808) Si veda in proposito il mio articolo pubblicato nel sito. Si noti che la motivazione ufficiale del Nobel che Einstein ricevette nel 1922 fa esplicito riferimento a questo lavoro. La relatività non è citata, probabilmente perché a quella data vi erano ancora molti scienziati che ne mettevano in dubbio uno dei postulati (quello della costanza di c per tutti gli osservatori in moto traslatorio uniforme).

(809) Si veda la nota 801. Noi ci riferiremo a bibl. 171. Si veda ibidem, pag. 45. Si noti che le questioni euristiche relative alle asimmetrie vengono dopo  che Einstein ha provato a rendere conto di vari fenomeni con tutta la fisica allora nota. Egli stesso, nelle sue Note autobiografiche, dice: “Ma tutti i miei tentativi di adattare le basi teoriche della fisica a queste nuove acquisizioni [effetto fotoelettrico, corpo nero, …] fallirono completamente” (bibl. 168, pag. 25).                           

(810) A meno che, e qui Holton non c’entra, non si parta dalla considerazione che qui si sta proprio cambiando punto di vista: si vanno a ricercare dei principi generali, per trovare i quali non bisogna entrare nel gioco delle ela borazioni fino all’ultima equazione, ma partire da presupposti differenti (anche se discutibili quanto si vuole).

(811) Ibidem, pagg. 45-46.

(812) Fluorescenza (proprietà di alcune sostanze di emettere luce di un colore diverso da quella incidente) o fosforescenza (quando la luce di fluorescenza dura qualche tempo).

(813) E’ l’effetto fotoelettrico.

(814) Ibidem, pag.46. Si noti che in questo modo, microscopicamente, svanisce il campo e conseguentemente il dualismo materia-campo.

(815) Ibidem.

(816) Dice Einstein,”Da qui in avanti considereremo la radiazione di corpo nero in base all’esperienza, senza stabilire nessuna ipotesi teorica nei confronti dell’emissione e della propagazione della radiazione.” (Ibidem, pag.52 )

(817) Ibidem, pag.57. Si veda quanto detto in proposito nella sezione Spettroscopia del paragrafo 2 del precedente capitolo, alla data 1905.

(818) Si noti che questo è un passaggio molto ardito. Si stanno confrontando caratteristiche corpuscolari con caratteristiche ondulatorie ! Si noti ancora che, come dice Einstein, per trovare questi risultati “non si è dovuta formulare alcuna ipotesi sulla legge che regola, il moto delle molecole“, ci si è solo serviti dei “metodi della termodinamica” [statistici]; (ibidem, pag. 61 ]

(819) Si noti che Einstein, dopo il valore numerico non pone unità di misura; queste ultime devono essere quelle date per ragioni dimensionali.

(820) L’identità di kb  con la costante h di Planck sarà riconosciuta da Einstein in un successivo lavoro del 1906.

(821) Ibidem, pag. 63. Si noti che là dove io ho scritto k Einstein continua a porre R/N.

(622)  Ibidem.

(823) Si noti che all’effetto fotoelettrico è dedicata una sola paginetta (su 16), l’ultima. Come osserva Hermann (introduzione a bibl.l71, pag.2l),”la validità della relazione di Einstein trovò assoluta conferma in epoca così tardiva che il fatto influì poco sulle discussioni riguardanti la fisica quantistica.” Le verifiche sperimentali si ebbero ad opera di: O.W. Richardson e C. T. Compton (1912); A.L. Hughes (1913); e soprattutto a R.A. Millikan (l9l6). Per chi volesse seguire lo studio dei lavori quantistici di Einstein ed in particolare i suoi lavori sui calori specifici, può leggere, oltre alla bibliografia già indicata (171, 172 e soprattutto 147), anche il testo 173 dove sono riportati gli articoli originali di Einstein, Debye, Born e Karman.

(824) Fatto degno di nota è che una delle poche citazioni che Einstein fa nel suo articolo è per il fisico tedesco P. Drude (1863-1906), il primo che applicò (1900) i concetti della meccanica statistica alla teoria degli elettroni di Lorentz per rendere conto dei fenomeni di conduzione nei metalli.

(825) Bibl. 169, pag. 66.    

(826) Annalen der Physik, 17; 1905; pagg. 891-921. Una traduzione in italiano di questo lavoro si trova in bibl.174, pagg.479-504. A questa mi riferirò.

(827) Annalen der Physik,18; 1905; pagg. 639-641. Una traduzione in italiano di questo lavoro si trova in bibl. l74 pagg. 505-50 7. A questa mi riferirò.

(828) La famosa relazione E = mc2  sarà ricavata da Einstein in un lavoro del 1907 pubblicato nel Jahrbuch der Radioaktivität.

(829) Una breve considerazione la merita questo aggettivo. Einste in era quel che si dice un. outsider. Egli correva al di fuori degli ippodromi universitari e non doveva rendere conto al suo cattedratico. La parte predominante della sua formazione si era costruita al di fuori dell’Università. Era un autodidatta. Spesso non andava a lezione e si presentava a far esami con i preziosi appunti che gli passava il suo amico Grossmann. Il suo professore H. Weber una volta ebbe a dirgli “Lei è un giovane intelligente, ma ha un difetto. Non consente a nessuno di insegnarle qualcosa“.

      Per altri versi lo stesso Einstein riconobbe l’importanza di non stare dentro l’ambiente accademico; più volte egli sosterrà che la fisica, teorica la può far meglio un fontaniere o un ciabattino che possono dedicarsi a pensare ai problemi importanti senza l’ossessione di dover rendere conto della propria vita attraverso il susseguirsi di tante inutili pubblicazioni (e l’impiego all’Ufficio Brevetti era considerato da Einstein il suo essere ciabattino).

      Allo stesso modo dell’altro outsider, Faraday, Einstein può permettersi di rimettere in discussione i concetti più consolidati nel campo della fisica, e soprattutto gli stessi metodi che presiedono la ricerca. Così come sui quanti di luce, Planck non aveva avuto il coraggio di fare il passo decisivo, allo stesso modo né Lorentz né soprattutto Poincaré l’avevano fatto sul problema relatività. Questi due passi li fece Einstein.

      Si noti a parte che Planck per molto tempo avverserà la soluzione dei quanti di luce di Einstein. Al contrario Planck fu il primo fisico di fama che accettò e lavorò sulla relatività con importanti contributi (già nel 1906 e 1907 usciranno suoi articoli in proposito); tra l’altro, molto probabilmente, si deve a Planck, che stava nella redazione degli Annalen, se il lavoro di Einstein sulla relatività fu pubblicato.

(830) Dice Einstein nelle Note autobiografiche (bibl. l68, pag. 33): “ La teoria della relatività particolare deve la sua origine alle equazioni di Maxwell del campo elettromagnetico.” Ricordiamo che Einstein aveva trovato difettose le equazioni di Maxwell nella spiegazione del problema del corpo nero e dell’effetto fotoelettrico. Inoltre queste equazioni fornivano previsioni non corrette sulla pressione di radiazione.

(83l) Lo psicologo M. Wertheimer, amico di Einstein, scrive (citato da Hirosige; bibl. 124, pag.54): “ Se le equazioni di Maxwell sono valide rispetto ad un sistema, esse non sono valide in un altro. Esse dovrebbero essere cambiate … Per anni Einstein tentò di chiarire il problema studiando e cercando di modificare le equazioni di Maxwell. Non ebbe successo …

(832) Bibl. 168, pag. 20.

(833) Dice Tarsitani (bibl. 170, pag.304) che la situazione nella quale si trovava ad operare Einstein era la seguente: “Elettrodinamica e termodinamica entrano in contraddizione quando si tratta di affrontare il problema della radiazione termica, meccanica e termodinamica, entrano in contraddizione nell’interpretazione statistica della seconda legge …, meccanica ed elettrodinamica si scon trano sul piano del principio di relatività e della dinamica dell’elettrone.

(834) Bibl.168, pag. 28. Nella stessa pagina si trovano anche le citazioni precedenti senza indicazione bibliografica.

(835) Per due obiezioni a questo paradosso si veda bibl. 111,  pag. 350 (nota 8) e bibl.128, pagg. 300-301. Questo paradosso, a ben guardarlo, è un gatto che si morde la coda poiché dà già per scontata una delle affermazioni fondamentali della relatività, la costanza della velocità della luce per tutti gli osservatori.

(836) Si tratta di un bel lavoro a fumetti. Bibl. 175, pag. 191.

(837) Bibl. 174, pag. 479. Tutte le citazioni che seguiranno senza riferimento bibliografico sono tratte, salvo avviso contrario, da questo testo di bibliografia, da pag. 479 a pag. 504.

(838) Una discussione dettagliata dei due casi d’induzione si può trovare su La Fisica di Berkeley (bibl. 176, Vol II, pagg. 265-280).  Si noti però che questa trattazione dà già per scontata le non esistenza dell’etere.

(839) In questo caso la differenza di potenziale tra A e B nasce a seguito della forza di Lorentz (che abbiamo incontrato all’inizio del paragrafo 5 del capitolo 4). Si hanno infatti delle cariche (quelle che sono all’interno del conduttore) che si muovono all’interno di un campo magnetico. Queste cariche saranno soggette alla forza di Lorentz che risulta perpendicolare al piano formato dalla direziono del campo e da quella del suo spostamento. In particolare gli elettroni tenderanno ad accumularsi ad un estremo del circuito (finché non si raggiunga l’equilibrio con il campo elettrostatico che così si genera) dando così origine alla differenza di potenziale in oggetto.  

(840) Sul fatto che l’asimmetria in oggetto rivestisse per lui grande importanza è dimostrato anche da uno scritto inedito di Einstein (datato circa 1919) nel quale, tra l’altro, egli afferma che un’asimmetria dello stesso genere lo condusse alla Relatività Generale. Allo scopo si può vedere G. Holton , The American Scholar, Vol. 41, inverno1971-1972, pagg.  95-100 (bibl. 127, pagg. 306-307) .

(841) Se si osserva che tutto ciò che ci circonda è costituito da particelle cariche ci si rende conto che è impossibile distinguere la dinamica, dall’elettrodinamica. Ed allora, o si mette a posto l’elettrodinaniica, o si rinuncia al principio classico di relatività, o si costruisce una nuova meccanica. La strada che seguirà Einstein sarà, come vedremo, l’ultima.

(642) Nell’intervista scritta di Shankland ad Einstein, già citata, Einstein, oltre all’esperienza di Michelson-Morley di cui aveva una conoscenza indiretta, fa riferimento proprio all’aberrazione ed all’esperienza di Fizeau (bibl.120, pag.35). Si noti che, nella stessa intervista, Einstein sostiene: “Ciò che mi ha condotto più o meno indirettamente alla teoria della relatività era la convinzione che la forza elettromotrice che agisce su un corpo in moto in un campo magnetico non è altro che un campo elettrico.”  In questo modo, l’asimmetria, di cui abbiamo parlato prima, sparisce. Ma per ottenere questo occorreva, appunto, la teoria della relatività.

(843) Si sta parlando di sistema inerziali. E’ interessante osservare che questo concetto, oggi così diffuso e quasi indispensabile, fu introdotto solo nel 1885 dal fisico tedesco L. Lange (l863- ? ) nel suo lavoro Sulla formulazione scientifica della legge d’inerzia di Galileo. Egli propose di riferire la legge d’ inerzia non più ad uno spirituale spazio assoluto ma, appunto, ad un sistema inerziale, ad un sistema di riferimento cioè rispetto al quale quella legge rimane valida (bibl .10, pag. 123).

(844) Si noti che il riferimento che Einstein fa (“… come è stato dimostrato per le grandezze del primo ordine“) mostra la sua conoscenza del lavoro di Lorentz del 1895 senza la parte – l’Appendice – in cui, con l’introduzione dell’ipotesi della contrazione, il fisico olandese mostrava di poter rendere conto dei fenomeni anche al secondo ordine. Si noti ancora che il cosmologo H. Bondi osserva: ” Sarebbe intollerabile che tutti i sistemi inerziali fossero equivalenti da un punto di vista dinamico, ma distinguibili mediante misure ottiche.” Si noti infine che un altro modo di enunciare il principio di relatività di Einstein è il seguente: ” Un osservatore che sia dotato di un moto traslatorio uniforme, non può decidere né con esperienze meccaniche, né con esperienze elettrodinamiche, né con esperienze ottiche, se egli si trovi in stato di quiete o di moto.

(855) Einstein, per la velocità della luce usa il simbolo V. Ho creduto opportuno sostituire questa notazione con quella, c, a noi più famigliare. Allo stesso modo ho operato per altre notazioni da noi oggi poco usate. In particolare, alla traduzione di Straneo di contemporaneità ho sostituito simultaneità. Si noti che, nelle ipotesi di Einstein, la velocità della luce deve essere indipendente sia dalla velocità del corpo emittente sia dalla velocità dell’osservatore, e ciò risulta chiaramente da un altro enunciato che Einstein fornisce per questo Principio nella stessa memoria (bibl  174, pag.482 ; è il punto 2 del secondo paragrafo della memoria in oggetto).

(846) Berkson fa rilevare che forse Einstein si costruì un’immagine dell’etere “come un lago e del sistema in moto come una barca a vela che si sposta in esso. Se ci sporgiamo e colpiamo l’acqua con un remo (sorgente luminosa), si emetteranno delle onde (luce) dal luogo dove abbiamo agitato l’acqua. La velocità delle onde cosi prodotte dipenderà dalla natura e dalla profondità dell’acqua (etere), ma non dalla velocità della barca attraverso l’acqua (velocità della sorgente).

 (847) Bibl. 174, pag.99. Su questo argomento torneremo più oltre, per ora si osservi che nel 1908 il fisico svizzero W. Ritz (1876-1909) elaborò una elettrodinamica fondata sul solo principio einsteniano di relatività, respingendo quindi la costanza di c in tutti i sistemi inerziali. Nella sua teoria (Annalen de Chimie et de Physique, 8; 1908) la luce era costituita da minuscole particelle (i quanti di luce introdotti da Einstein nel 1905) scagliate dalla sorgente in tutte le direzioni (l’analogo della teoria corpuscolare di Newton). Ebbene queste particelle hanno una velocità costante solo rispetto al corpo che emette la luce (e non, come in Einstein, in tutti i riferimenti inerziali). La teoria di Ritz, senza introdurre né tempo locale, né contrazioni, rendeva conto di tutti i fenomeni noti (compresa l’esperienza di Michelson). Solo nel 1939 fu scoperto da H.E. Ives, l’effetto relativistico Doppler trasversale che non si concilia con questa teoria mentre è in accordo con quella di Einstein. Ritz comunque non poté portare a termine il suo programma perché morì prematuramente nel 1909. Una discussione ad alto livello della teoria di Ritz è fatta da Pauli ( bibl, 179, pagg. 10-15).

(848) Avremo modo di soffermarci più oltre delle verifiche sperimentali della Relatività; per ora basti dire che la costanza di c e la sua indipendenza dalla velocità della sorgente o dell’osservatore, risulta con chiarezza da due fenomeni esemplari: la sua misura utilizzando come sorgente le stelle doppie e la sua misura dal decadimento della particella p° (pai zero).

(918) Per quel che riguarda questo paragrafo non darò espliciti riferimenti bibliografici di volta in volta. C’è una letteratura cosi vasta che è praticamente impossibile riportarla tutta. Cercherò, soltanto di dire le cose nel migliore modo  possibile dei modi che sono stati ideati da altri ed in particolare tra i testi di bibliografia che vanno dal 187 al 227 (oltre, naturalmente, quelli già citati e cioè bibl. 91, 92, 94, 178, 180). A livello superiore sono i testi di bibl. dal 228 al 234 (oltre ai già citati 176 e 179). I testi 235 e 236, soprattutto il secondo, sono una utile rassegna dei vari esperimenti a sostegno della relatività, anche se non ne condivido l’impostazione didattica. I testi 239 e 240 si occupano di questioni filosofiche connesse con la relatività, mentre i testi 237 e 238 trattano di svariate verifiche sperimentali della teoria. Infine i testi dal 241 al 250 si occupano di questioni diverse attinenti la relatività.

(919) I migliori orologi attualmente a nostra disposizione sono i cosiddetti orologi atomici il cui principio di funzionamento si basa sull’oscillazione di determinati atomi (cesio) indotta per mezzo di onde elettromagnetiche di frequenza opportunamente scelta (in fase con una delle frequenze proprie dell’atomo stesso in modo da essere in condizione di risonanza). Per una trattazione semplice ed esauriente dell’argomento si veda bibl. 193 e 243. Si noti che disponendo di svariati orologi atomici solo dopo 150.000 anni essi daranno letture differenti in media di un secondo. Questa precisione può essere ulteriormente aumentata costruendo orologi atomici molto più costosi. Si noti infine che quando si parla di orologi identici si sottintende l’espressione quando sono confrontati in quiete.

(920) Quanto scritto non è casuale. Non possiamo infatti dire t =t’  0 poiché non sappiamo nulla sui tempi t e t’ ed in particolare nulla sappiamo sul loro essere o meno uguali. Si ricordi che il criterio di sincronizzazione valeva per un dato riferimento e non per il passaggio da un riferimento ad un altro.

(921) Per la radice abbiamo considerato la sua determinazione positiva perché il segno negativo lascerebbe inalterati i risultati comportando solo una riflessione delle coordinate (un andamento,cioè, simmetrico rispetto all’asse delle velocità v).


Come brevissima appendice, riporto qui una recente notizia sulla “relatività del tempo”, tratta da Le Scienze.

07.10.2003
Il tempo è relativo
Un esperimento con ioni di litio fornisce una nuova conferma alla teoria di Einstein

La relatività del tempo, prevista dalla teoria di Einstein, è stata nuovamente confermata, e con una precisione ancora maggiore che in passato. Il concetto di dilatazione temporale spiega come mai la durata di un periodo misurata da due osservatori con orologi identici differisce se uno dei due viaggia a una velocità V non nulla rispetto all’altro: la dilatazione sarà maggiore quanto più V si avvicina alla velocità della luce.
In un esperimento condotto da Gerald Gwinner, Dirk Schwalm e colleghi del 
Max-Planck-Institut di Fisica Nucleare a Heidelberg, in Germania, gli orologi erano rappresentati da ioni di litio. Gli ioni sono stati bersagliati da raggi laser, provenienti da entrambe le direzioni, che li hanno temporaneamente portati in uno stato eccitato, inducendo fluorescenza. Confrontando le lunghezze d’onda laser di risonanza con quella di transizione di uno ione stazionario, e considerando l’effetto Doppler (l’apparente spostamento della lunghezza d’onda quando la sorgente è in movimento), i ricercatori sono giunti a calcolare il valore della dilatazione temporale.
Nell’esperimento, descritto in un articolo (di Guido Saathoff et al.) pubblicato sulla rivista “Physical Review Letters“, gli ioni di litio si muovevano a una velocità di 19.000 km/sec, circa il 6,4 per cento della velocità della luce (corrispondente a un’energia di 13,3 MeV, il massimo raggiungibile con il locale anello di accumulazione per ioni pesanti). La nuova misura, con un’incertezza di 2,2 x 10-7, è circa quattro volte più precisa dei valori precedenti.

© 1999 – 2003 Le Scienze S.p.A.



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