SULLE ORIGINI DELLA SCIENZA ELETTRICA E MAGNETICA 3

PARTE 3: DA BECCARIA A VOLTA

Roberto Renzetti

GIAMBATTISTA BECCARIA

        Mentre Franklin faceva le sue ricerche negli Stati Uniti, in Italia (Piemonte)lavorava Francesco Beccaria (1716-1781), che assunse il nome di Giambattista quando prese i voti. Egli fu chiamato nel 1748 ad insegnare Fisica Sperimentale a Torino, con il preciso compito di sradicare l’aristotelismo ancora imperante insieme al filosofeggiare inconcludente alla Descartes. Con uno spirito che si può definire illuminista e che segnò la ripresa della ricerca in Italia dopo la cappa caduta con il Processo a Galileo, mise su un corso di fisica in cui entrarono sia Galileo (con la sua cinematica) che Newton (con la meccanica e l’ottica) e che rappresentò una vera rivoluzione alla quale attinsero scienziati del calibro di Lagrange e crearono un clima dal quale sarebbero venute le importanti ricerche dei Volta e dei Galvani.

Giambattista Beccaria

            Gli studi di Beccaria riguardano un poco tutta la scienza elettrica allora conosciuta e molti risultati dei suoi lavori si trovano in un suo trattato del 1753, Dell’elettricismo naturale e artificiale libri due e nei successivi lavori:

Frontespizio della prima opera di Beccaria

Dell’elettricismo (1758), Experimenta atque observationes quibus electricitatis vindex late constituitur atque explicatur (1769), opera nella quale introdusse la teoria dell’elettricità vindice (sibi vindicat locum suum)per spiegare l’elettricità che pareva nuovamente apparire da un isolante caricato precedentemente e scaricato da una lamina metallica, teoria che fu falsificata immediatamente (1769) dal giovane Volta mediante una spiegazione basata sull’induzione, Elettricismo artificiale di G.B. Beccaria (1772), che nel 1774 fu tradotto in inglese, e Dell’elettricità terrestre atmosferica (1775). Beccaria, amico ed estimatore di Franklin, con cui mantenne una relazione epistolare trentennale, fu tra i primi ad affrontare il problema della resistenza che l’elettricità incontra nel passaggio attraverso dei materiali stabilendo che essa è proporzionale alla lunghezza dei conduttori (i metalli comunque più conduttori d’ogni altro corpo apportano pure alcuna resistenza proporzionata alla lunghezza del sentiero che la scintilla dee in essi trascorrere, 1772). Scoprì che i materiali isolanti, se scaldati, diventano conduttori (che sarà problema incomprensibile fino all’introduzione della fisica dei quanti ed alla teoria delle bande di energia negli anni Trenta del secolo scorso). Dedicò vari suoi studi anche ai condensatori, dopo il lavoro di Aepinus del 1756, soffermandosi sulle proprietà degli isolanti interposti tra le armature. Iniziò a mettere in relazione elettricità e magnetismo (si chiede: se non sia il fluido elettrico che con alcuna determinazione universale, impercettibile, perpetua, periodica circolazione … universalmente ogni magnetica direzione producesse e conservasse). Stabilì, sviluppando concetti introdotti da Franklin e Priestley, il fatto notevole che l’elettricità risiede solo nella superficie dei conduttori. A tale proposito realizzò uno strumento per provare l’assunto, il pozzo di Beccaria.  

Pozzo di Beccaria

        Lo strumento consiste in  una sfera cava di ottone poggiata su di un sostegno isolante (es: vetro). Alla sua sommità presenta un’apertura circolare. Caricata la sfera, se con un elettroscopio collegato opportunamente (il saggiatore, costituito da due pezzetti di carta penduli da un piccolo bastoncino di ceralacca) si va ad ispezionare l’interno di essa, si scopre che non vi è carica che invece è tutta sulla superficie esterna (ogni elettricità si riduce alla superficie libera dei corpi, senza diffondersi punto nell’interiore sostanza loro).

L’ELETTROFORO

        Ci avviciniamo alla fine del Settecento. Da più parti ormai si fanno ricerche sull’elettricità e sempre maggiori contributi si hanno. E’ quindi più difficile seguire le varie scoperte in una sorta di successione cronologica. Molte cose si fanno simultaneamente in Paesi diversi o anche nello stesso Paese. Molte ricerche aprono strade apparentemente diverse. Occorre trovare dei momenti che rappresentano un vero balzo conoscitivo che ha avuto poi ricadute sulle osservazioni empiriche, sui dati sperimentali e sulle elaborazioni teoriche.

        In questo senso la realizzazione dell’elettroforo è un momento importante per quanto ha successivamente prodotto e per l’impianto di conoscenze che c’è dietro.

        La realizzazione di questo apparecchio discende da un esperimento che viene descritto da Aepinus nel 1759. Se si avvicina ad una estremità di una barretta metallica il tubo di vetro elettrizzato, la parte del regolo più vicina al vetro si elettrizza di segno contrario a quello del vetro e la parte più lontana dello stesso segno. Era una evidenza dirimente rispetto a quanto si sosteneva e cioè: un corpo avvicinato ad un altro corpo elettrizzato  assumeva l’elettrizzazione del  corpo elettrizzato. Sembrava quasi si dovesse dare ragione ai due fluidi elettrici … Nel 1766 un allievo di Beccaria (Cigna) tentò una spiegazione ed anche lo stesso Beccaria che tentò la teoria vindice, alla quale ho già accennato.

        Contro la teoria di Beccaria si schierò in modo deciso Alessandro Volta (1745-1827) nel suo primo lavoro, De vi attractiva ignis electrici ac phaenomenis inde pendentibus Alexandri Voltae patricii novo-comensis ad Joannem Baptistam Beccariam (1769). Tale lavoro è una sorta di programma di

Frontespizio del primo lavoro di Volta

Volta. In esso si può intravedere l’evolvere del pensiero di Volta negli anni successivi. In particolare, in questo lavoro, si sostiene che la carica elettrica fornita ad un isolante resta localizzata nel luogo dove viene fornita e che i vari fenomeni studiati da Franklin erano tutti facilmente spiegabili con la teoria dell’induzione o influenza elettrostatica. Ma Volta dedicò molte pagine di questo suo lavoro proprio nell’indagine dell’induzione elettrica. Conseguenza di tali studi fu la Lettera al Signor Dottore Giuseppe Priestley del 10 giugno 1775, lettera nella quale annunciava la sua scoperta: 

Io vi presento un corpo che una volta solo elettrizzato per brevissim’ora, né fortemente, non perde mai più l’elettricità sua, conservando ostinatamente la forza vivace de’ segni a dispetto di toccamenti replicati senza fine. Voi tosto indovinate che siffatto corpo vuol essere una lastra isolante vestita e snudata a vicenda della sua armatura …    

Volta passa a descrivere il suo apparecchio, che chiama elettroforo perpetuo, in modo molto esteso. Ed alla fine della lettera, in una Aggiunta spiega in dettaglio il suo funzionamento, servendosi delle seguenti figure:

Elettroforo di Volta 1

Scrive Volta:

ho pensato di far cosa grata esponendo nelle seguenti figure sotto diversi aspetti e combinazioni tutto ciò che compone uno de’ miei comodi apparati portatili, e quanto esso offre su due piedi a vedere di singolare. AA (Fig. 1.) è il Piatto, o sia una lastra d’ottone lavorata al torno con l’orlo ben ritondato prominente nella faccia superiore una mezza linea all’incirca, in cui è contenuta la stiacciata di ceralacca o mastice B, nella inferiore sporgente una buona linea o più pell’uopo che si dirà. CC è lo Scudo di legno dorato o d’ottone cavo, senz’angoli e ben forbito, che si apre a foggia di scatola, e contiene i vari pezzi che hanno da venire ad uso. E è il manico isolante, cioè un bastoncino di vetro intonacato di ceralacca, armato nell’estremità di due cappelletti d’ottone ff (Fig. 2.), uno fatto a vite con cui si ferma a un bottone lavorato per questo nel centro della faccia superiore dello scudo CC, e l’altro che termina in un anello, per cui si regge alzandolo (Fig. 2.,3.). Nella Figura 1. sta il Piatto AA, o meglio il mastice armato del suo Scudo CC ricevendo l’elettricità o sia la carica dalla catena O di una macchina ordinaria: indi se ne eccita la scarica dalla mano A D che tocca congiuntamente il Piatto e lo Scudo.
(Fig. 2.). Una mano alza per mezzo dell’anello f del manico E lo scudo CC; e l’altra mano X ne trae una lunga scintilla: e ciò ognora che si leva lo scudo dopo averlo posato e poi toccato.
La stessa Fig. 2. mostra come elettrizzato una volta un solo apparato, se ne possa avvivar un altro, o quanti altri ne aggrada: dando cioè replicatamente le scintille dello scudo alzato ad un filo od uncino d’ottone K sporgente da un altro scudo, che posa sul suo mastice. Fatto ciò e mutando mano voi potete con questo secondo e collo stesso processo rinvigorir la forza nel primo, e così via via re­ciprocamente.
 

Elettroforo di Volta 2

Le figure che seguono illustrano altre applicazioni della macchina, in combinazione con la Bottiglia di Leida. Aggiungo che l’elettroforo sarà illustrato da Volta, insieme ad altre scoperte, in alcune lettere del 1787 al poeta e scienziato tedesco Georg Christoph Lichtenberg (Lettere sulla metrologia elettrica).

        L’efficienza dell’apparecchio che aveva prestazioni molto migliori dello strofinio per elettrizzare, lo fece presto diffondere in tutta Europa dove si costruirono elettrofori con armatura del diametro di due metri, per spostare la quale servivano addirittura sistemi di carrucole. Nella figura che segue vi è l’elettroforo fatto costruire da Caterina di Russia per l’Accademia delle Scienze di Pietroburgo.

Elettroforo dell’Accademia delle Scienze di Pietroburgo

        La maggiore efficienza di questa macchina è dovuta al fatto che si sfrutta un sistema di elettrizzazione diverso dallo strofinio, l’induzione. Capito questo fatto, si iniziarono a costruire in tutta Europa macchine elettrostatiche ad induzione di vari tipi e mole. Nel 1831 il fisico Giuseppe Belli (1791-1860) realizzò la prima

Giuseppe Belli

 macchina a induzione a disco rotante (duplicatore), ma è solamente nella seconda metà dell’Ottocento che, grazie a fisici quali Wilhelm Holtz (1836-1913), August

Macchina di Holtz

Toepler (1836-1912), James Wimshurst (1832-1903), questo tipo di generatori

Macchina di Toepler

soppiantarono quasi completamente le vecchie macchine a strofinio. Le macchine

Macchina di Wimshurst

elettrostatiche a induzione vennero ampiamente utilizzate, sin dall’inizio del XX secolo, per generare scariche elettriche e per caricare condensatori.

        L’elettroforo è alla base dei lavori di Volta sui condensatori e sulla loro capacità. A lui, tra l’altro, si devono i concetti di capacità e di potenziale (che egli chiamava tensione), la relazione quantitativa tra capacità, carica e tensione di un conduttore isolato, costruì elettrometri sempre più precisi, iniziò a definire unità di tensione di modo che Volta è il fondatore della metrologia elettrica (tutto questo nella Lettera al Signor De Saussure sulla capacità dei conduttori elettrici del 20 agosto 1778 ed in scritti successivi). Questi studi su condensatori e strumenti di misura si conclusero con la realizzazione di uno strumento che assemblava i due oggetti, l’elettroscopio condensatore (Del modo di rendere sensibile la più debole elettricità, sia naturale, sia artificiale, letta alla Royal Society il 14 marzo 1782). Si trattava di un apparato in grado di rilevare anche debolissime cariche elettriche non rilevate dai più sofisticati elettrometri. Volta sostituì alla  pallina metallica, generalmente

Disegno originale dell’elettroscopio condensatore di Volta

Elettroscopio condensatore di Volta

presente sulla sommità di un elettroscopio, un condensatore piano con l’armatura inferiore (sulla quale è sistemato uno strato isolante) a sostituire la pallina e quella superiore mobile dotata di un manico isolante. Con questo arrangiamento la capacità viene enormemente aumentata appoggiando sul piattello fisso il piattello mobile e mettendo quest’ultimo a terra. Si mette ora a contatto dell’armatura inferiore l’oggetto debolmente carico che trasferisce la sua poca carica al sistema condensatore che ha elevata capacità. A questo punto si toglie l’armatura superiore con l’effetto di ridurre di molto la capacità del sistema. La carica elettrica che si trova sull’armatura inferiore si ridistribuisce (diminuisce la capacità del sistema fa aumentare la tensione) e una parte di essa passa alle foglioline dell’elettroscopio che divergono così in modo apprezzabile.

        In questa memoria sul condensatore alla Royal Society, Volta scrisse:

Non vi vuol molto a comprendere, che ivi è maggior capacità, dove una data quantità di elettricità sorge a minor intensità, o che è lo stesso, quando maggior dose di elettricità è richiesta a portare l’azione a un dato grado d’intensità: a dir breve, la capacità e azione o tensione elettrica sono in ragione inversa.
Farò qui osservare sul principio ch’io denoto col termine di tensione (che volentieri sostituisco a quello d’intensità) lo sforzo che fa ciascun punto del corpo elettrizzato per disfarsi della sua elettricità, e comunicarla ad altri corpi: al quale sforzo corrispondono generalmente in energia i segni di attrazione, repulsione, ecc. e particolarmente il grado a cui vien teso l’elettrometro.

che è la ben nota legge che lega carica elettrica, capacità e tensione dei condensatori.

        Su Voltachegiocò un ruolo fondamentale nella nascita della scienza elettrica e nella sua comprensione, tornerò più oltre, dopo aver discusso dei lavori di altri ricercatori.

CHARLES AUGUSTIN COULOMB

         Sul finire del Settecento altri scienziati davano loro contributi alla scienza elettrica ed anche magnetica che sembrava ancora ferma a vaghe formulazioni. Tra questi merita un posto di rilievo il geologo ed astronomo britannico John Michell (1724-1793) che realizzò una speciale bilancia (bilancia di torsione)(1)  che divenne famosa solo dopo che fu inventata di nuovo da Coulomb, per studiare le forze magnetiche (A Treatise of Artificial Magnets, 1750. In questo lavoro vi sono varie accurate osservazioni sul magnetismo ed un metodo facile e celere per realizzare magneti artificiali attraverso il meccanismo dell’induzione magnetica). Michell era un fervente newtoniano e andò a scoprire ciò che voleva scoprire, il fatto cioè che le forze agenti tra poli magnetici vanno come l’inverso del quadrato della distanza, come la legge regina di Newton, quella di gravitazione universale:

Ogni polo magnetico attira o respinge esattamente a distanze uguali in ogni direzione …

Attrazioni o repulsioni diminuiscono in proporzione all’aumento dei quadrati delle distanze dai rispettivi poli.

E’ inutile dire che tale legge non ha retto a successive e rigorose verifiche  sperimentali anche se ha avuto  il pregio di indicare una strada per rendere la scienza elettrica e magnetica quantitativa(2).

        E’ a questo punto che si inseriscono i lavori di Charles-Augustin de Coulomb (1736-1806)(3).

Charles-Augustin de Coulomb
 

        Siamo ad un punto in cui: la strumentazione permette delle misure, si sono scalzati i freni alla scienza rappresentati dall’aristotelismo e dal cartesianesimo, la fenomenologia sperimentale e le elaborazioni teoriche sono consistenti, la fisica newtoniana è entrata con l’Illuminismo in tutta Europa. Fu Coulomb a mettere ordine in tutto ciò che si sapeva di elettricità imponendo in modo definitivo il metodo della misura quantitativa alle analisi qualitative. Come abbiamo visto, già in passato si era tentato di fare qualcosa in tal senso, ma mancava sempre un qualcosa. Ora sembrava che tutto fosse a punto.

        Coulomb inizia ad interessarsi di questioni magnetiche ed elettriche in una memoria  del 1777, Recherches sur la meilleure manière de fabriquer des aiguilles aimantées, nella quale, contrariamente a quanto annunciato dal titolo, non si occupa di questioni pratiche ma della comprensione dei fenomeni che sono alla base dell’orientamento di un ago magnetico sospeso ad un filo sottile. Si pongono qui il problema della torsione del filo e della sua linearità. Nel discutere tale fenomeno Coulomb si sbarazza dei vortici metafisici di Descartes affermando la necessità di introdurre forze attrattive e repulsive della natura di quelle di cui si è obbligati a servirsi per spiegare la pesantezza dei corpi e la fisica celeste. E’ una scelta drastica che getta via Descartes per aderire alla gravitazione universale di Newton.

        Su questa strada diventa importante per Coulomb trovarsi l’equazione del moto di un ago magnetico, sotto l’azione del campo magnetico terrestre, sospeso ad un filo. Nasce qui il problema delle piccole oscillazioni e di come da esse si possa risalire al momentum della forza magnetica. Risolta la questione Coulomb passa a studiarsi il momentum di vari magneti attraverso la misura delle loro oscillazioni. Dalla preoccupazione di Coulomb dell’eventuale errore introdotto dallo studio della torsione, egli moltiplica gli esperimenti, sbarazzandosi dei dubbi e scoprendo che la forza di torsione di un filo dipende dalla sua natura, che è proporzionale all’angolo di torsione ed alla quarta potenza del suo diametro e che risulta inversamente proporzionale alla sua lunghezza..

        In pratica Coulomb sta mettendo a punto la sua bilancia di torsione che è simile concettualmente a quella di Cavendish ma di ben più piccole dimensioni. La

Schema della bilancia di torsione di Coulomb da una memoria di Coulomb del 1785

Bilancia di torsione di Coulomb

misura dell’azione elettrica tra due sferette cariche, una mobile e una fissa, viene eseguita misurando la torsione del filo di sospensione, di seta, al quale è sospeso il giogo della bilancia, terminante da una parte con la sferetta mobile, dall’altra con un contrappeso (l’angolo di torsione è proporzionale al momento della forza torcente). Questi studi si compiranno in una successiva memoria del 1784, Recherches théoriques et expérimentales sur la force de torsion et sur l’elasticité des fils de métal.

        Con lo strumento bilancia di torsione messo a punto e con una sensibilità che inizialmente permetteva di misurare il milionesimo di grammo-peso (sensibilità successivamente migliorata), Coulomb può passare a studiare quantitativamente i fenomeni elettrici sotto la guida del pregiudizio newtoniano e, nel 1785, vede la luce la sua prima memoria (delle sette che scrisse dal 1785 al 1789)(4) nella quale vengono studiati quantitativamente i fenomeni elettrici: Construction et usage d’une balance électrique fondée sur la propriété qu’ont les fils de métal d’avoir une force proportionnelle à l’angle de torsion. Détermination expérimentale de la loi suivant laquelle les éléments des corps électrisés du même genre d’électricité se repoussent mutuellement. A questa memoria ne seguì subito una seconda nella quale Coulomb precisò alcune questioni, estese alcuni risultati ed effettuò altri esperimenti delicati soprattutto per il fatto che, quando si aveva a che fare con cariche di segno opposto, vi era la tendenza all’attrazione ed all’annullarsi delle cariche medesime. E’ da notare che nell’indagare le azioni tra corpi carichi Coulomb presuppone la conservazione della carica.

        In queste due memorie Coulomb stabilì sperimentalmente la prima legge quantitativa tra cariche elettriche. Esse si attraggono o si respingono (a seconda dei loro segni) con una legge del tipo di quella di Newton di gravitazione universale. In particolare con la famosa legge dell’inverso del quadrato della distanza (nel nostro caso: tra le sferette cariche). Va detto, a questo punto,  che egli non provò mai la proporzionalità con il prodotto delle cariche elettriche o delle intensità dei poli magnetici al numeratore della formula che porta oggi il suo nome. Se indichiamo con F la forza (attrattiva o repulsiva), con d la distanza tra le sferette cariche e con K una costante di proporzionalità, si trova:

F = ± K / d 

dove il ± stanno ad indicare attrazione (segno -) o repulsione (segno +). In tale formula Coulomb stabilì il denominatore e non il numeratore (il noto prodotto tra le cariche che oggi conosciamo). Inoltre egli non definì mai l’unità di carica elettrica (parla di una indefinita massa elettrica, ancora in analogia con Newton, e si schiera con la teoria dei due fluidi) o di intensità di polo magnetico. Ma quanto ora detto non deve sembrare una svalutazione dell’opera di Coulomb che resta fondamentale (intanto egli è stato capace di legare grandezze elettriche a grandezze meccaniche note e misurabili, come forze ed angoli). Serve solo per fare giustizia di troppe semplificazioni storiche. Coulomb, anche in tutti i suoi altri lavori elettrici e magnetici, gettò le basi, indicò la strada, suggerì ricerche che negli anni successivi permisero la completa matematizzazione dei fenomeni elettrici (per ora elettrici) a partire da Poisson  (con l’estensione ai fenomeni elettrici della teoria del potenziale che Euler aveva sviluppato -1756 – per la meccanica) per arrivare a Lagrange e quindi a tutti gli altri fisici matematici. E questo è un merito fondamentale.

UNA DISCONTINUITA’ NELLA STORIA DELL’ELETTRICITA’

        Gli accadimenti politici in Francia alla fine del Settecento ebbero grande influenza sullo sviluppo della scienza nell’intera Europa. E’ utile riportare le pagine utilizzate da D’Agostino per discutere dei rivolgimenti che si ebbero nell’intera Europa.

   Quello che avvenne in Francia a cavallo dell’inizio dell’Ottocento avrà profonde ripercussioni sullo sviluppo della scienza ottocentesca non soltanto in Francia, ma, per un verso o per l’altro, anche in Germania ed in Inghilterra. Gli eventi francesi possono sintetizzarsi, com’è noto, nelle due parole: Rivoluzione Francese e opera di Napoleone Bonaparte. Per quanto si riferisce alla Storia delle Scienze un riferimento a questi eventi è indispensabile per comprendere le caratteristiche dell’opera di scienziati come Lagrange, Laplace, Monge, Berthollet, Lavoisier, Couvier, tutti appartenenti alla prima generazione di scienziati che passarono quasi tutti attraverso le vicende della Rivoluzione e dell’Impero, ed anche della seconda generazione degli Ampère, Aragò, Fresnel, Cauchy, Poisson, Fourier, Carnot, Gay Lussac, Dulong e Petit. Nel periodo dell’Impero e durante la Restaurazione, vennero a Parigi e furono a contatto con i colleghi francesi (intorno al 1820) gli scienziati tedeschi Humboldt (naturalista), Justus von Liebig (1803-73) (chimico), Henry Gustav Magnus (1802-1870) (fisico e naturalista), l’inglese Davy, l’italiano Volta, per non menzionare che i principali.
        E’ una tesi di storici recenti che, per quanto riguarda la concezione della scienza e il suo ruolo nella società la Rivoluzione Francese – cioè gli uomini che in essa operarono – aveva, per così dire, due anime, non sempre apparentemente conciliabili. I due aspetti possono riassumersi, in poche parole
    A. Concezione umanitarista associata all’idea di una scienza popolare (che si riallaccia certamente alla tradizione illuminista dell’Enciclopedia).
     B. Concezione razionalista come proiezione nella concezione del mondo e nell’azione umana della Scienza “razionale” (D’Alembert e Lagrange).
        Vediamo di caratterizzare i due punti, compatibilmente con il taglio, e con i limiti che ci siamo proposti.
        La “Enciclopedia o Dizionario ragionato delle Scienze, Arti e Commerci“, compilato dalla Società degli Uomini di Lettere – vi contribuirono Diderot e D’Alembert – si proponeva fra l’altro di elevare il lavoro degli artigiani, di portarlo ad una consapevolezza maggiore. Esso era considerato la base della vera scienza. Per Diderot questo programma rappresentava una ripresa dello spirito baconiano ed egli si vantava di avere insegnato ai francesi a leggere Bacone. L’articolo “Chimica” dell’Enciclopedia fu scritto da Rouelle: egli invocava un nuovo Paracelso, dotato di un acuto senso tecnico per penetrare al di là della fisica – (si ricordi la contrapposizione fra tecnica e scienza ad es. nell’opera dell’occhialaio Dolland), ma con uno spirito ed un’immaginazione uguale a quella dei filosofi pre-newtoniani. Secondo
questo modo di vedere, la chimica aveva dentro di sé la doppia lingua, la popolare e la scientifica; la fisica è superficiale, la chimica profonda, il fisico che nega esistenza ad entità come il giallo (riferimento alla teoria newtoniana dei colori) e il fuoco (riferimento alla nascente teoria cinetica del calore) è semplicemente presuntuoso, egli brutalmente polverizza, incendia, distrugge, il chimico non analizza (il chimico pre-Lavoisier, intende), ma “indovina”.           Nella sua “Interpretazione della Natura“, Diderot richiama l’attenzione su Franklin e il suo metodo che faceva poco ricorso alla matematica: la matematica è più che inumana, è arrogante, “orgogliosa”, la pratica manuale invece dà un potere di divinazione, cioè l’abilità di subodorare come devono andare le cose in natura; l’arma della scienza non è l’astrazione matematica ma la penetrazione morale della natura. Diderot frequenta corsi di chimica, legge il naturalista Buffon, studia la natura solo per conoscere se stesso. Egli capovolge il tema di Descartes di arrivare alla natura partendo dall’io.
Non sorprende che questa componente sfoci nell’anti intellettualismo e nell’opposizione alla scienza ufficiale, la scienza matematizzante, con
larga accezione del termine, contro la scienza newtoniana: l’opposizione arrivò sino alle forme più esasperate nel periodo Giacobino (1792-94). La chiusura dell’Accademia delle Scienze (1793) e l’esecuzione di Lavoisier (1794) non possono attribuirsi solamente a questa componente: l’Accademia era l’espressione del potere reale e del ministro del re, alcuni dei suoi soci erano nobili e Lavoisier oltre ad essere grande scienziato ricopriva anche l’ufficio di esattore delle tasse, inviso al popolo. Ma qualche autore sostiene che quella componente servì, se non a determinare alcuni dì questi passi, quanto meno a cercare di giustificarli nel periodo più tragico del terrore.
        L’atteggiamento della Rivoluzione verso la scienza era, come accennato, ambivalente: se da una parte era anti intellettualista perché sosteneva uno spirito popolare comunitario e temeva l’affermarsi di una élite scientifica, dall’altra esaltava la ragione e la scienza e chiedeva agli scienziati l’aiuto tecnologico necessario alla vittoria nella guerra e allo sviluppo della Repubblica nella pace. E con ciò veniamo alla seconda componente.
        La Rivoluzione nel complesso influenzò profondamente lo stato dell’intellettuale scientifico, gli conferì sia prestigio politico che responsabilità amministrativa innalzandolo con ciò nella considerazione sociale della comunità. Inoltre la Rivoluzione aveva spianato il cammino dell’educazione scientifica per un gran numero di componenti della piccola borghesia.
        Nel settembre 1793 il Comitato di Salute Pubblica nomina la Commissione dei Pesi e delle Misure incaricata di introdurre il sistema decimale, di cui fanno parte Monge, Borda, Lagrange, Laplace, Delambre, Coulomb, Berthollet, Lavoisier.
        Nel 1972 Condorcet, amico di D’Alembert e suo biografo, trasmise all’Assemblea legislativa l’eredità degli enciclopedisti nel famoso rapporto e progetto di decreto per l’organizzazione dell’istruzione pubblica:
“Tutti gli errori di governo e sociali si basano su errori filosofici i quali, a loro volta, derivano da errori nelle scienze naturali”.
“… In generale qualsiasi autorità di qualsiasi natura in qualunque modo acquisita e da chiunque posseduta diventa un nemico naturale dell’istruzione”

        Egli venne bandito dalla Convenzione e si rifugiò in una soffitta di Parigi, dove scrisse il Saggio sul Progresso Intellettuale del Genere Umano, ma pare che il suo rapporto, per quanto per certi aspetti non troppo gradito a Napoleone, divenne un documento base nella ricostruzione del sistema educativo francese intrapreso da Napoleone. Monge (con Fourcroy ) compilò i progetti dell’École Polytechnique, la celebre scuola destinata alla formazione dello stato maggiore dell’esercito e della burocrazia. Monge segue Napoleone nel 1796 nella Campagna d’Italia e Berthollet, Monge, Fourier seguono, assieme ad altri scienziati, Napoleone nella campagna d’Egitto. Al posto dell’Accademia fu fondato l’Institute de France, nella cui prima classe delle scienze erano rappresentati, con Napoleone, tutti i più illustri scienziati di Francia,
        Cuvier, come segretario dell’Institute indirizzò a Napoleone il Rapporto Storico sul progresso delle Scienze Naturali dopo il 1789 e loro stato attuale, Laplace gli dedicò un volume della Meccanica Celeste e il Trattato del Calcolo della Probabilità. Ed infine un cenno alle più importanti fra le istituzioni e scuole scientifiche che furono istituite in Francia in questo periodo. In esse insegnavano gli scienziati e ricevevano in compenso un salario. Ciò comportava un rapporto differente con la ricerca; si può parlare in questo senso di professionalizzazione dell’attività scientifica, avvenuta in Francia (e poi negli altri paesi europei) all’inizio di secolo XIX. La “École Polytechnique”, fu fondata nel 1794, per dare una formazione comune agli ingegneri civili e militari. Monge fu uno dei suoi fondatori. Fra le materie insegnate si dava il nome di “Fìsica”, allo studio della materia, ed era suddivisa in fisica generale e chimica. A quest’ultima veniva dedicata, in numero di ore, lo stesso tempo dedicato alla meccanica, geometria analitica e architettura. Dall’ École Polytechnique si poteva accedere alle scuole specializzate di Artiglierìa, Ingegneria militare, Miniere. Nel 1802 Berthollet vi tenne un corso di chimica teorica applicato all’industria. Vi erano esami di ammissione, su programma di matematica, meccanica etc. gli studenti ricevevano un piccolo salario sino al 1805, anno in cui gli statuti richiedevano un pagamento di 800 franchi. Nel 1804 fu riorganizzata da Napoleone, con una forte militarìzzazione.
        Altre istituzioni: l’École Normale per l’aggiornamento degli ìnsegnanti, il “Boureau des Longìtudes”, il “College de France” fondato nel 1530, la Facoltà di Scienze dell’Università di Parigi. Quest’ultima fu fondata da Napoleone nel 1808, per cercare di centralizzare il sistema scolastico, dall’università alle scuole primarie, modello esportato poi nel Lombardo Veneto ed in Toscana. Altre facoltà dì Scienze dell’Università furono fondate a Bruxelles, Pisa, Torino, Ginevra, Strasbourg, Toulouse etc.
         Napoleone cercò di incoraggiare in vari modi l’agricoltura, la chimica, anche mediante elargizione di notevoli somme in denaro, ad es. all’industria della seta a Lione; alla manifattura dello zucchero, alla ceramica, alla produzione della soda, …….

        In questo nuovo clima, che prevedeva anche la vittoria della ragione sulla metafisica e sulla superstizione, si situano le nuove ricerche in tutti i campi della scienza e, in particolare, nell’elettricità e nel magnetismo.

LA NATURA ANIMALE DELL’ELETTRICITA’: LUIGI GALVANI
 

        Nel 1791 fu pubblicata una memoria del medico anatomista bolognese Luigi

Luigi Galvani

Galvani (1737-1798), De viribus electricitatis in motu musculari commentarius. In tale memoria, che segna la nascita dell’elettrofisiologia, Galvani esponeva la teoria dell’elettricità animale, frutto di una lunga indagine sperimentale iniziata nel 1780 dopo una fortuita osservazione. Così nel 1791, egli racconta l’episodio:

Disseccai una rana, la preparai come indicato nella figura [seguente] e la collocai sopra una tavola sulla quale c’era una

macchina elettrica, dal cui conduttore era completamente separata e collocata a non breve distanza; mentre uno dei miei assistenti toccava per caso leggermente con la punta di uno scalpello gli interni nervi crurali di questa rana, a un tratto furono visti contrarsi tutti i muscoli degli arti come se fossero stati presi dalle più veementi convulsioni tossiche. A un altro dei miei assistenti che mi era più vicino, mentre stavo tentando altre nuove esperienze elettriche, parve di avvertire che il fenomeno succedesse proprio quando si faceva scoccare una scintilla dal conduttore della macchina. Ammirato della novità della cosa, subito avvertì me che ero completamente assorto e meco stesso d’altre cose ragionavo. Mi accese subito un incredibile desiderio di ripetere l’esperienza e di portare in luce ciò che di occulto c’era ancora nel fenomeno.

Galvani ripeté più volte l’esperienza e trovò che, senza dubbio, ogni volta che dalla macchina scoccava una scintilla, i nervi della rana, toccati con un conduttore, si

La contrazione dei muscoli di una rana quando un arco metallico tocca simultaneamente i nervi lombari ed i muscoli della zampa

contraevano (stessi risultati per differenti animali sia a sangue freddo che a sangue caldo e per la macchina elettrostatica sostituita con una bottiglia di Leida). Era l’indizio di una scoperta che poteva rivelarsi importante. Vi era una sorta di rivelatore di elettricità con caratteristiche del tutto diverse da quelli fino ad allora conosciuti (basati su strofinio ed induzione). Galvani si propose di verificare se lo stesso effetto era provocato anche dall’elettricità atmosferica e per farlo fissò, con un gancio di rame, i muscoli delle zampe di una rana ad un lungo conduttore disteso sulla sua terrazza (con una estremità sollevata verso il cielo e con l’altra immersa nell’acqua del pozzo). Ebbe così modo di osservare che quante volte erompeva la folgore tante volte, nello stesso momento, tutti i muscoli erano

Esperienza di Galvani sugli effetti dell’elettricità atmosferica

 presi da veementi e molteplici contrazioni. Galvani osservò molte altre cose nel suo ripetere esperienze in tutti i modi possibili ed in tutte le condizioni (appese

Varie esperienze di Galvani

Altre esperienze di Galvani

molte rane con dei gancetti di rame alla ringhiera di ferro della sua terrazza per osservare gli effetti dei fulmini ma anche del ciel sereno). Una delle sue osservazioni, a posteriori, risulterà estremamente importante: ogni volta che l’arco di scarica toccava simultaneamente i nervi lombari ed i muscoli della coscia si avevano contrazioni ma queste erano molto più accentuate se l’arco di scarica, anziché essere di un solo metallo, era bimetallico (ferro e rame o, meglio, ferro e argento):

se l’arco fosse stato di ferro e di ferro l’uncino, molto spesso le contrazioni mancavano o erano eccezionalmente esigue. Se invece uno di essi fosse stato, per esempio, di ferro e l’altro di rame o, molto meglio d’argento (l’argento infatti ci apparve più idoneo tra gli altri metalli a trasportare l’elettricità animale) si producevano contrazioni assai più evidenti e assai più a lungo.

        Dall’insieme delle sue osservazioni, Galvani ricavò alcune conclusioni in analogia alla scarica di un condensatore: da un lato vi sono le armature del condensatore che nel nostro caso sono il nervo lombare ed il muscolo della rana; l’arco di scarica è il metallo conduttore che ha la proprietà di trasferire il fluido elettrico da un’armatura all’altra provocando la contrazione del muscolo. In questo senso si parla di elettricità animale: è l’animale che fornisce il fluido elettrico che agisce in modo fisiologico.

Questi fatti mi procurarono non lieve ammirazione, e incominciò a sorgermi qualche dubbio circa un’elettricità inerente allo stesso animale. Mi sembrò che, durante il fenomeno, il fluido scorresse dai nervi ai muscoli e si formasse il circuito come in una bottiglia ài Leida.

Dalle cose finora conosciute ed esplorate, stimo che risulti abbastanza chiaramente che risiede negli animali un’elettricità che mi sarà permesso di chiamare con Bertholonio [l’abate Bertholon che scrisse un libro dal titolo L’elettricità del corpo umano, ndr] ed altri col termine generale di elettricità animale(5).

        Galvani passò quindi a mostrare che l’elettricità animale ha le stesse caratteristiche di quella delle macchine elettrostatiche. Sulla cosa tornò in un’altra memoria del 1795 ma pubblicata nel 1797, e redatta in forma di lettera a Spallanzani, ma non aggiunse cose di rilievo.

L’INIZIO DI UNA NUOVA ERA: ALESSANDRO VOLTA

        Alessandro Volta (1745-1827), che abbiamo già incontrato, era venuto a

Alessandro Volta

conoscenza del lavoro di Galvani ma era molto scettico sull’idea dell’elettricità animale. A parte alcuni pesci che, come la torpedine erano dotati di elettricità, l’idea non lo convinceva. Su sollecitazione dei suoi colleghi dell’Università di Pavia, iniziò a ripetere gli esperimenti di Galvani il 24 marzo del 1792. Solo pochi giorni dopo, il 3 aprile, scrisse a Galvani queste parole:

Eccomi convertito, dacché cominciai ad essere testimonio oculare e spettatore io stesso dei miracoli, e passato forse dall’incredulità al fanatismo.

Qualche giorno dopo (5 maggio) in una conferenza all’Università (poi riportata in Memoria prima sull’elettricità animale. Discorso recitato nell’aula dell’Università di Pavia in occasione di una promozione), nell’illustrare le scoperte di Galvani, esaltandole, avanza qualche dubbiolegato principalmente all’insoddisfazione per la mancanza di misure:

che mai può farsi di buono se le cose non si riducono a gradi e misure, in fisica particolarmente ? Come si valuteranno le cause se non si determina la qualità non solo, ma la quantità e l’intensione degli effetti ?

ed a ciò aggiunge una osservazione d’interesse relativa al fatto che le rane possono essere al più degli elettroscopi molto sensibili … con ciò negando di fatto l’assunto di Galvani che assegnava alle rane l’origine del fenomeno elettrico. Sembra quasi che l’osservazione sia nata in Volta mentre pronunciava la conferenza. Sta di fatto che Volta comincia di nuovo a sperimentare soffermandosi su quel particolare importante al quale abbiamo accennato: gli effetti di contrazione delle rane sono molto più evidenti quando l’arco scaricatore è bimetallico. Egli realizza le più varie esperienze mescolando rane e lamine metalliche di diversi materiali e piano piano

Alcuni degli arrangiamenti sperimentali di Volta con rane e lamine metalliche simili e dissimili.  Un filo metallico chiude il circuito

va chiarendosi le idee di un problema che lo assillava:

Quello … di cui non ho potuto ancora trovare una ragione, che mi soddisfi neppur mezzanamente, si è la necessità dette armature dissimili (…) mi nasce talvolta il dubbio, se veramente i conduttori metallici, diversi, od applicati in differente maniera a due luoghi dell’animale altro non facciano dal canto loro, allorché si viene a stabilire fra essi una comunicazione, che prestar la via al fluido elettrico che naturalmente tende a trasportarsi dall’uno all’altro luogo, come pare si debba credere; se in una parola siano meramente passivi, o non anzi agenti positivi che muovano cioè di lor posta il fluido elettrico dell’animale, e da quieto ed equilibrato che era, lo determinano, rompendo essi tal equilibrio, ad entrare quinci in un’armatura di tal foggia, ed a sortire per l’altra di tal altra foggia.

        Qualchegiorno dopo, il 14 maggio,nella sua Memoria seconda sull’elettricità animale Volta stabilisce che la fisiologia dei muscoli non ha nulla a che vedere con la loro contrazioni: il fenomeno avviene come reazione secondariadell’eccitazione dei nerviE, discutendo di queste cose, ci racconta di una esperienza che ha realizzato e che sarà una importante guida per le elaborazioni successive. In qualche modo si è sostituito alla rana. Sistemata in mezzo alla lingua una moneta d’oro o d’argento, ha provato a toccare con la punta della lingua le lamine metalliche di cui dispone e, racconta, di aver percepito un sapore acidulo quando ha fatto arco tra le due parti metalliche con un conduttore. Egli descrive la cosa così: si sente lo stesso sapore che si percepisce quando si avvicina la lingua al tenue fiocco e venticello di un conduttore elettrizzato artificialmente a tale distanza che non iscocchino scintille (è esattamente ciò che accade oggi quando sistemiamo la lingua tra i due poli di una pila per vedere se è carica o meno). Invertendo poi le parti metalliche il sapore da acidulo diventa alcalino. Volta ha in mano un utile strumento rivelatore di elettricità (ma è comunque assai più facile di sentire il sapore acido nella prima maniera, che questo sapore acre ed urente in quest’altra). In ogni caso, i due diversi sapori gli fanno ipotizzare un verso diverso di percorrenza del fluido elettrico, anche se non è in grado di stabilire quando entra e quando esce. La memoria chiude con dei dubbi che Volta si ripropone di risolvere con ulteriori esperienze.

        Nel giugno dello stesso anno, Volta ritorna ancora sull’argomento per sbarazzarsi dell’elettricità animale e per assegnare i fenomeni elettrici ai metalli:

Son dunque i metalli non solo Conduttori perfetti, ma motori dell’elettricità; non solo prestano la via facilissima al passaggio del fluido elettrico, che trovandosi già sbilanciato tende a portarsi dal luogo in cui sovrabbonda a quello che rispettivamente ne scarseggia; ma van producendo essi stessi e provocando un tal quale sbilancio con estrarre di codesto fluido ed introdurne, dove pur trovasi in giusta dose ripartito, non altrimenti che avvieni con lo stropicciamento degli idioelettrici … Ella è questa una nuova virtù de’ metalli, da nessuno ancora sospettata, che le mie sperienze mi hanno condotto ad iscoprire.

         Si intravede nello sbilanciamento di cui parla Volta, quella che noi oggi chiamiamo differenza di potenziale. Ma il principio dello spostamento di fluido elettrico dovuto al contatto di due metalli diversi lo porta subito ad ideare tutta un’altra serie di esperienze con i più diversi materiali arrangiati in modo diverso tra loro. Il fine, per ora, era quello di costruirsi una sorta di graduatoria o scala di coppie di metalli che dessero migliori risultati.

        A queste esperienze Galvani rispose con un’altra del 1794: dissezionata una rana egli la piegò in modo che i nervi crurali toccassero direttamente i muscoli delle cosce (si eliminava l’intermediazione metallica dell’arco scaricatore); ebbene, anche in questo caso vi erano le contrazioni dei muscoli.

        Volta ampliò allora la sua teoria del contatto e dello sbilanciamento: non solo i conduttori metallici ma anche quelli non metallici, presentano lo sbilanciamento. Per fare chiarezza Volta chiamò i primi conduttori di prima classe ed i secondi conduttori di seconda classe. Come osserva Gliozzi, qui vi è una operazione dogmatica di Volta che inverte i termini del problema: egli dice infatti che ogni volta che compare uno sbilancio elettrico, deve esservi il contatto tra conduttori eterogenei. La posizione non sarebbe stata sostenibile se Volta non avesse scoperto qualche tempo dopo la possibilità di avere elettricità di contatto con mezzi puramente fisici, servendosi del duplicatore che William Nicholson (1753-1815) aveva realizzato nel 1788 (che nasceva come macchina elettrostatica ma che era in realtà un sensibilissimo strumento in grado di rilevare piccole quantità di elettricità)(6).

        A questo punto Volta iniziò a concentrarsi sul come rendere più evidente, sul come moltiplicare, il fenomeno elettrico originato dallo sbilancio di due soli metalli (conduttori di prima classe) messi a contatto. Inizia così una lunga serie di esperienze con le catene di conduttori di prima classe, di seconda classe e di prima e seconda classe. Nel 1796-1797 scopre che una catena aperta (quando la catena è costituita da differenti metalli ed ha agli estremi due metalli differenti) di

Varie sistemazioni in catene di conduttori realizzate da Volta e riportate in una sua Lettera al Professore Gren di Halla (1° agosto 1796)

conduttori di prima classe si ha uno sbilanciamento pari a quello che si avrebbe mettendo direttamente in contatto il primo e l’ultimo metallo. Conseguenza di ciò è che in una catena chiusa (quando agli estremi si ha lo stesso metallo) non si ha alcuno sbilanciamento.

 Il contatto di conduttori diversi, soprattutto metallici…, che chiamerei conduttori secchi o di prima classe, con dei conduttori umidi o di seconda classe, risveglia il fluido elettrico e gli imprime un certo impulso o incitamento. Non saprei ancora spiegare in che modo ciò avviene, ma basta che ciò sia un fatto ed un fatto generale. Questo incitamento, sia esso un’attrazione, una repulsione o un impulso qualunque, è diverso e disuguale, sia rispetto alla differenza dei metalli che ai diversi conduttori umidi… Cosi ogni volta che in un cerchio completo di conduttori si pone uno della seconda classe fra due della prima, differenti fra loro, oppure uno della prima classe fra due, anch’essi diversi, della seconda classe, si stabilirà, secondo la forza predominante, a destra o a sinistra, una corrente elettrica, una circolazione di quel fluido che cessa solo rompendo il cerchio e si ristabilisce non appena il cerchio si ricostruisce ogni volta (Lettera a Gren del 1796).

Queste cose risultano insuccessi a Volta perché mostrano che dai conduttori di prima classe non si trae fuori che un piccolo effetto. Nello stesso 1796, il fisico fiorentino Giovanni Fabbroni (1752-1822) scopre un effetto chimico legato all’elettricità: immergendo in acqua due lamine di metalli differenti a contatto tra loro, una di esse si ossida. E’ invece sul finire del 1799 che Volta scopre la sistemazione sperimentale che lo porterà al grande successo: collegando tra loro opportunamente (in un sistema a colonna) delle coppie bimetalliche, ripetute più volte e disposte nello stesso senso, con l’accortezza di disporre tra una coppia bimetallica e la successiva un disco di panno inumidito, lo sbilanciamento agli estremi della colonna è proporzionale al numero di coppie bimetalliche. E’ la pila, è un qualcosa di sensazionale che Volta sa subito rendere oggetto d’uso.

        Il 20 marzo del 1800, proprio a chiusura dell’Ottocento, Volta comunica la sua scoperta con la sua memoria On the Electricity excited by the mere contact of conducting substances of different kind in a letter from Mr. Alexander Volta to the Sir Joseph Banks. Egli proprio in apertura dice:

Dopo un lungo silenzio del quale non cercherò di scusarmi, ho il piacere di comunicarvi, Signore, e, per mezzo vostro, di comunicare alla Royal Society alcuni stupendi risultati ai quali sono arrivato, facendo molte esperienze sull’elettricità eccitata dal semplice mutuo contatto di metalli di differenti tipi ed anche tra quello di altri conduttori, anche differenti tra loro, sia liquidi, sia contenenti un qualche umore, al quale essi devono propriamente il loro potere conduttore. Il principale di questi risultati, e che comprende presso a poco tutti gli altri, è la costruzione di un apparecchio che per gli effetti, cioè per la commozione che è capace di far risentire nelle braccia, ecc. rassomiglia alla bottiglia di Leida e meglio ancora alle batterie elettriche debolmente caricate, che agiscono però senza posa, ossia la cui carica dopo ciascuna esplosione, si ristabilisce da se stessa, in una parola, che fruisce di una carica indefettibile, d’un’azione o impulso perpetuo sul fluido elettrico.

Era nato l’organo elettrico artificiale (o apparato elettromotore o apparato a colonna), come lo chiamò all’inizio volta, la pila come sappiamo noi (con un nome di provenienza francese, pilière, che si rifaceva alla forma del primo modello di pila). La coppia bimetallica era costituita da rame e zinco a contatto diretto; ogni coppia era separata dall’altra da un disco umido di cartone. In questa memoria vi era anche la dimostrazione, mediante l’elettroforo, che una lamina di rame ed una lamina di zinco che siano a contatto, assumono, al loro essere separate, carica negativa il rame e carica positiva lo zinco.

        Nel seguito di questo lavoro farò il panegirico della pila per tutto ciò che ha comportato, paragonabile alla pila di Fermi. Ora propongo alcuni disegni che lo stesso Volta ci presenta nella sua memoria di vari arrangiamenti della sua pila.

Il primo disegno in alto ci presenta una pila a corona di tazze, pila in cui il panno inumidito (per il fatto che facilmente si seccava impedendo il funzionamento dell’apparato) è sostituito da tazze con all’interno il liquido conduttore di seconda specie. Gli altri disegni sono di pile a colonna con qualche tazza.

Particolari dei disegni precedenti

        Abbiamo a questo punto un apparato che, detto in modo moderno, fornisce corrente in modo continuo e non più a scintille episodiche. Nasce qui un enorme campo di ricerca che riguarderà correnti, resistenze, potenziali, differenze di potenziale, circuiti, reti, maglie, leggi, …. Quindi con Oersted si potrà scoprire che il magnetismo è un effetto che può essere prodotto dall’elettricità in moto. E da questo nasceranno asimmetrie che saranno punto di partenza per i lavori di Einstein. Ma anche tutto l’elettromagnetismo, con i lavori di Faraday e Maxwell, con la corrente industriale per illuminazione, con il telegrafo e la radio. E’ proprio un intero mondo che cambia ad una data legata alla Rivoluzione Francese ed all’inizio dell’Ottocento. Ma anche gli schemi dell’Illuminismo erano ormai vecchi, si avanza il Romanticismo, una diversa organizzazione sociale, nasce la classe operaia, le fabbriche, il taylorismo, … E’ un’era che si avvicina di più alla nostra e che vede nella pila  una sorta di spartiacque.


NOTE

(1) Con questa bilancia Henry Cavendish (1731-1810) misurò la densità della Terra e la

Henry Cavendish

Schema della bilancia di torsione

Esperimento di Cavendish

costante di gravitazione universale nel 1798 (H. Cavendish Philosophical Transactions of the Royal Society 17, 469). E’ lo stesso Cavendish che, nell’introduzione al suo lavoro, assegna tutti i meriti della scoperta di tale bilancia a Michell:

Many years ago, the late Rev. John Mitchell of this Society, contrived a method of determining the density of the Earth, by rendering sensible the attraction of small quantities of matter; but, as he was engaged in other pursuits, he did not complete the apparatus till a short time before his death, and did not live to make any experiments with it. After his death, the apparatus came to the Rev. Francis John Hyde Wollaston, Jacksonian professor at Cambridge, who, not having conveniences for making experiments with it, in the manner he could wish, was so good as to give it to me.

Cavendish studiò anche fenomeni elettrici scoprendo varie cose d’interesse ed introducendo con chiarezza il concetto di potenziale elettrico e quello di carica elettrica (in uno scritto del 1771 sulle Philosophical Transactions). Malauguratamente, a parte lo scritto citato, lasciò quasi l’intero complesso delle sue ricerche non pubblicato (tali scritti furono ritrovati da Maxwell che li pubblicò nel 1879). In tali scritti egli aveva stabilito sperimentalmente la legge dell’inverso del quadrato per le azioni elettriche (1772-1773), aveva definito correttamente la capacità elettrica, aveva stabilito che la carica si trova sulla superficie esterna dei conduttori, introdusse il concetto e misurò le costanti dielettriche, confronto delle conduttività elettriche di diversi corpi.

(2) L’intuizione che l’attrazione tra magneti avvenisse con una legge regolata dall’inverso del quadrato della distanza risale addirittura al Cardinale Cusano (1401-1464) che la propose nel 1450.

(3) Le più importanti memorie di Coulomb sull’elettricità e magnetismo saranno pubblicate nel sito.

(4) Le memorie di Coulomb sono raccolte in un tomo (Tome 1) del 1884: Société franaise de Physique. Mémoires relatifs à la Physique, tome 1: Mémoires de Coulomb. Paris: Gauthier-Villars, 1884. Di seguito riporto il frontespizio del tomo e l’indice delle memorie ivi contenute (le prime 5 delle 7 che Coulomb scrisse sui fenomeni elettrici). Le ultime

due memorie sull’argomento pubblicate sul medesimo tomo sono:

Sixième Mémoire. – Suite des recherches sur la distribution du fluide électrique entre plusieurs conducteurs. Détermination de la densité électrique dans les différents points de la surface de ces corps (1788).

Septième Mémoire. – Du magnétisme (1789). (Extrait des Mémoires de l’Académie royale des Sciences).

A queste, le più importanti, seguirono altre memorie che allo stesso modo hanno trovato posto nel tomo di cui sopra:

Détermination théorique et expérimentale des forces qui ramènent différentes aiguilles, aimantées à saturation, à leur méridien magnétique. [Extrait du t. III des Mémoires de l’Institut, an IX (1801).]

Expériences destinées à déterminer la cohérence des fluides et des lois de leur résistance dans les mouvements très lents. [Extrait du t. III des Mémoires de l’Institut, an IX (1801.]

Résultat des différentes méthodes employées pour donner aux lames et aux barreaux d’acier le plus grand degré de magnétisme. [Extrait du t. VI des Mémoires de l’Institut (1806).]

Influence de la température sur le magnétisme de l’acier. (Extrait, d’après Biot, d’un Mémoire inédit).

ADDITION. Sur la distribution à la surface de deux sphères conductrices électrisées, et l’attraction de ces sphères, d’après Poisson et Sir W. Thomson.

Approfitto di questa nota per dire che Coulomb, agli inizi della Rivoluzione Francese, si dimise da tutte le cariche pubbliche che aveva (Soprintendente delle Acque e delle Fontane del Re). Si ritirò nel paesino di Blois e non tornerà a Parigi che agli inizi dell’Ottocento, quando fu nominato Ispettore Generale della Pubblica Istruzione. Da questo posto egli ebbe un ruolo importante nella realizzazione del sistema dei licei di Francia.

(5) Una osservazione è a questo punto utile. Sul Galvani influirono certamente le concezioni del fisiologo svizzero Albert von Haller (1708-1777) secondo il quale nei corpi viventi esiste un fluido o spirito animale  o forza vitale diffusa nel sistema nervoso, da cui, per un’irritazione esterna, può scorrere verso i muscoli. Come sempre la cosa veniva letta in ambienti cristiani come la prova dell’esistenza dell’anima. Quando iniziò la controversia con Volta, sembrò che la cosa diventasse una specie di guerra di religione tra chi riteneva che esistesse (Galvani) e chi no (Volta). Naturalmente tutta questa diatriba era indipendente dagli effettivi credi dei due scienziati.

(6) La polemica tra i sostenitori di Galvani e Volta continuò fino al 1844 quando Carlo Matteucci (1811-1868) dimostrò che esiste una elettricità animale della stessa natura dell’ordinaria elettricità.


BIBLIOGRAFIA

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(20) Jacques Ahrweiller – Franklin – Accademia 1973

(21) Associazione Elettrotecnica Italiana (a cura della) – L’opera di Alessandro Volta nel 1° centenario della morte – Ulrico Hoepli 1927

(22) Salvo D’Agostino – Introduzione alla scienza dell’Ottocento e Elettricità e magnetismo fino all’introduzione del potenziale in Dispense di Storia della Fisica – Istituto di Fisica Università di Roma (a. a. 1973/1974)

(23) Luigi Galvani – Opere scelte – UTET 1967

(24) Alessandro Volta – Opere scelte – UTET 1967



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