LA FISICA DELL’ATMOSFERA DALL’ANTICHITA’ AL NOVECENTO. PARTE II: L’OTTOCENTO

Roberto Renzetti

        Nell’articolo precedente ho avuto modo di accennare ad alcuni scienziati che avevano introdotto il concetto di circolazione complessiva dell’atmosfera. La teoria è notevole perché inizia ad avanzare il concetto di atmosfera come un’entità unica che risente qui di ciò che accade lì. Oltre ai citati scienziati, il personaggio più famoso per la spinta che dette a tali studi fu il giurista inglese, con la passione per la meteorologia, George Hadley (1685-1768) che sull’argomento scrisse un articolo nel 1735(1). Egli dedicò molto tempo a capire da dove avessero origine i venti alisei(2) (Trade Winds, che si può intendere o come sentiero o come venti commerciali), che hanno la caratteristica di essere venti costanti in zona tropicale, diretti verso occidente (da nord-est verso sud-ovest) nel nostro emisfero e verso oriente (da sud-est verso nord-ovest) nell’altro. Era di grande importanza all’epoca dei lavori di Hadley scoprire i meccanismi dei venti per le esigenze della navigazione e particolarmente per chi aveva interessi nelle Americhe. Il lavoro di Hadley era il proseguimento ideale di quello di Halley e di quello di Hooke, che ritenevano fosse la forza centrifuga che nasce dalla rotazione della Terra la causa di tali venti (vedi articolo precedente) senza però indagare ulteriormente.  L’articolo di Hadley ebbe la ventura di passare inosservato per molti anni per due problemi: innanzitutto la difficoltà all’epoca di capire i moti inerziali in un sistema in moto circolare, le combinazioni dei moti di Terra e atmosfera, la confusione del suo nome con quello di Halley e, peggio, con quello dell’astronomo John Hadley (1682-1744). Fu John Dalton (1766-1844), che non era solo il chimico della teoria atomica ma anche un meteorologo, che lo riscoprì e lo ripropose nella seconda edizione del suo Meteorological Observations and Essays(3) (Manchester, 1793; seconda edizione, 1834) tanto che Hadley diventerà noto solo da quella data. C’è comunque da dire che Dalton comunicò i meriti di Hadley anche in una breve lettera al Philosophical Magazine e agli Annalen der Physik del 1837. Hadley individuava la causa degli alisei nella rotazione della Terra intorno al suo asse e nello spostamento di masse d’aria  relativamente alla Terra. Le masse d’aria che si muovono da una latitudine ad un’altra secondo Hadley, sono soggette alla conservazione della quantità di moto ma in realtà le cose non stanno così perché se si considera la Terra come un sistema in rotazione occorre come minimo prendere in considerazione la conservazione del momento angolare. Egli fece comunque delle esperienze con dei palloni lasciati andare in alto in zone equatoriali e scoprì i moti ascendenti e discendenti dell’aria a seguito delle variazioni di temperatura(4), moti che, nel loro insieme formano una circolazione verticale dell’aria. A tale moto in circolo in zona equatoriale si è dato il nome di celle di Hadley (vedi figura).

I venti alisei

        Tornerò più oltre sull’insieme della vicende scientifiche attinenti alla meteorologia che si svilupparono nei primi anni dell’Ottocento. Desidero ora seguire il problema di Hadley, quello dei venti alisei e della spiegazione che si è avuta un anno dopo la seconda edizione del lavoro di Dalton.

LA FORZA DI CORIOLIS ED I SUOI EFFETTI

         Altrove ho già discusso dei grandi progressi che la meccanica teorica (la Meccanica Razionale) ebbe nella Francia dei fisici matematici. I lavori di D’Alembert, Diderot, Laplace, Poisson, e vari altri avevano portato la meccanica ad un livello di sofisticazione che a molti sembrava addirittura esagerato. Chi sosteneva queste ultime cose erano coloro che avevano come riferimento la Gran Bretagna ed i suoi modi più spicci di utilizzare la meccanica per portarla alla produzione industriale. Ma anche la Francia si avviava a su questa strada ed i problemi tecnici che provenivano dalle fabbriche entravano immediatamente nel dibattito teorico. Uno di tali problemi era relativo allo studio, di enorme importanza, dei pezzi in rotazione nelle macchine industriali. E su di esso si applicò l’ingegnere meccanico e fisico-matematico francese, allievo di Poisson, Gaspard-Gustave de Coriolis (1792-1843) pubblicando nel 1735 un articolo di grande importanza: Le equazioni del moto relativo dei sistemi di corpi(5).In esso viene introdotta la forza che porta il suo nome e che è alla base della spiegazione, anche, dei venti alisei. Debbo quindi passare a discutere di questioni di meccanica che possono essere saltate da chi desidera leggere le sole conclusioni.

            L’ordinaria meccanica da noi studiata è sviluppata su un sistema di riferimento supposto (è una autodefinizione) inerziale. Un sistema inerziale è un sistema in quiete rispetto a noi che osserviamo o un sistema in moto rettilineo uniforme, sempre rispetto a noi che osserviamo.

             Se ci poniamo ad osservare una piattaforma ruotante, stando al di fuori di essa, avremo a che fare  con tutta la dinamica del moto rotatorio che conosciamo. Ma se ci poniamo sulla piattaforma ruotante o su di un riferimento dotato di moto accelerato, allora la fisica che conosciamo non risponde più poiché nascono delle strane forze delle quali, con l’ordinaria meccanica dei sistemi inerziali, non si sa rendere conto.

             Se ricordiamo che su un sistema dotato di moto rotatorio uniforme agisce l’accelerazione centripeta, possiamo in generale dire che: in tutti i sistemi di riferimento dotati di accelerazione le leggi della dinamica non hanno la stessa forma che conosciamo. E quanto detto equivale a dire che i sistemi dotati di accelerazione (sia essa tangenziale che centripeta) non sono sistemi inerziali.

             Ebbene, finché guardiamo dall’esterno (stando noi in quiete) un sistema accelerato potremo applicare le ordinarie leggi della dinamica. Quando ci trovassimo su di un sistema dotato di accelerazione, allora dovremmo tener conto di tutte le forze con le quali ci imbattiamo (forze che risulterebbero fittizie guardando dall’esterno un sistema accelerato).

             Mettiamoci quindi su di un sistema accelerato ed, in particolare, su di un sistema ruotante. Già sappiamo che su di un tale sistema dobbiamo tener conto di una forza che non compare nei sistemi inerziali, quella centrifuga. Oltre alla forza centrifuga, ve ne è ancora un’altra da dover considerare, quella, appunto, di Coriolis  o forza centrifuga composta.   Per capire di cosa si tratta riferiamoci alla figura seguente.

In (a) l’osservatore T si trova fuori della piattaforma. Ad un dato istante il signor O, che si trova sulla piattaforma, lancia una palla ad R, anch’esso sulla piattaforma. T vede che, quando la palla è arrivata nel punto che all’istante del lancio occupava R, quest’ultimo occupa una posizione più avanzata, di modo che la palla non raggiunge R. In (b) l’osservatore T si trova sulla piattaforma. La piattaforma in rotazione non modifica le posizioni relative di T, O ed R. Quando O lancia la palla verso R, allo stesso modo di prima, la palla non raggiungerà R; solo che ora R è fermo rispetto a T e T non potrà far altro che concludere che la palla lanciata da O ha seguito la traiettoria indicata in figura.

              La forza di Coriolis, che compare solo su oggetti in moto su sistemi in rotazione, è la forza responsabile della deviazione della traiettoria di un oggetto dalla sua traiettoria inerziale (occorre notare che su oggetti immobili in sistemi in rotazione, per un osservatore su uno di questi sistemi, agisce solo la forza centrifuga). Poiché la traiettoria risultante è un arco di circonferenza, la forza di Coriolis risulta perpendicolare al vettore velocità di un dato oggetto (rispetto al sistema di riferimento in rotazione).

             Per un calcolo semplice del valore di questa forza ci si può servire di figura seguente.

              La velocità angolare ω della piattaforma sia ω = α/t.

             Osservando che l’arco percorso sta alla lunghezza della circonferenza (2pr) come l’angolo a percorso sta a 360°, si trova che:

                                                   s  = α r.

Poiché dall’altra relazione si ricava che α = ω t, risulterà:

                                                  s = ω t r.

Ed s è l’arco che il punto R percorre, per arrivare ad R’, nel tempo t necessario affinché la palla, lanciata da O con velocità percorra il tragitto r (il raggio della piattaforma). Abbiamo quindi anche:

                                                    r = v t.

Sostituendo questa espressione nella precedente, si trova:

s = ω t (vt) = ω v t2  = 1/2 (2 ω v) t2  = 1/2 at2

avendo posto ac = 2 ω v che è l’accelerazione di Coriolis.  

             Possiamo quindi iniziare a concludere che s è la deviazione che l’osservatore T, che si trova sul sistema in rotazione, osserva per l’oggetto che è stato lanciato da O in direziono radiale. Per s si trova un’espressione che fornisce proprio lo spazio percorso in un moto uniformemente accelerato quando si ponga ac = 2 ω v.    

             Per trovare la forza di Coriolis non dobbiamo far altro che utilizzare la definizione di forza dataci dal 2° principio della dinamica:

                 F  = m ac  =  2 m ω v

             Quello che abbiamo fin qui ricavato è valido nel caso semplice in cui la velocità dell’oggetto in moto sul sistema rotante ha una direzione perpendicolare all’asse di rotazione. Più in generale la forza di Coriolis, mentre non dipende dalla distanza a cui l’oggetto si trova rispetto all’asse di rotazione, dipende dalla velocità (valore assoluto e verso) dell’oggetto in moto sul sistema rotante.

             La formula più generale è allora la seguente:

dove: ω e’ la velocità angolare del sistema rotante rispetto ad un sistema inerziale; m è la massa e v è la velocità dell’oggetto in moto rispetto al sistema rotante; il vettore ω è il vettore rotazione definito in modo da essere diretto secondo l’asse di rotazione e tale che, rispetto ad esso, la rotazione avvenga in verso antiorario; a è l’angolo formato tra il vettore rotazione ed il vettore velocità v dell’oggetto in moto; il segno meno sta ad indicare il fatto che la deviazione avviene in verso contrario a quello del moto del sistema rotante.

              Questa forza risulta sempre perpendicolare all’asse di rotazione (al vettore rotazione) ed al verso del moto del nostro oggetto

             Esperienze in tal senso erano state fatte dal fisico tedesco F. Reich (1799-1882) nel 1831(6). Egli faceva cadere delle pietre in un pozzo verticale, profondo 158,5 m, trovando su 106 lanci una deviazione media dalla verticale di 28,3 mm verso est. Confrontando questi risultati di Reich con quanto trovato da Coriolis l’accordo risultò molto buono. Questo fatto bastava per riconoscere la non inerzialità del sistema Terra (si tenga conto che, poiché la Terra è una sfera in rapida rotazione, e non una piattaforma, il fenomeno di deviazione avviene sia per moti che si svolgono sulla superficie della Terra, sia per moti di caduta dei corpi).

        Come accennato questo risultato di Coriolis serviva per perfezionare costruttivamente le parti in rotazione delle macchine industriali, come le ruote idrauliche, argomento principale del suo lavoro, e ci fu chi, come Poisson, utilizzò subito i risultati per dare una mano all’artiglieria nella balistica. Altri iniziarono a comprendere i fenomeni meteorologici come gli alisei ma ci volle molto tempo perché della forza di Coriolis in meteorologia si inizierà a discutere agli inizi del Novecento. Posso solo anticipare che le deviazioni delle masse d’aria, quelle che originano gli alisei, sono dovute alla forza di Coriolis.

        Intanto la conoscenza del lavoro di Hadley aveva spinto altri a studiare il moto delle masse d’aria nell’atmosfera e fu il meteorologo statunitense William Ferrel(1817-1891)(7) che nel 1856 avanzò l’idea dell’esistenza di celle come quelle di Hadley anche a latitudini intermedie a causa dell’aria deflessa dalla forza di Coriolis che crea dei venti prevalenti a tali latitudini (celle di media latitudine o di Ferrel). Da notare che Ferrel corresse l’errore di Hadley relativo al cosa si conserva nel moto delle masse d’aria e, correttamente, mostrò che è il moneto angolare a restare costante e non la quantità di moto.

CLASSIFICAZIONE DI NUBI E VENTI

        Per avere però un quadro completo del cosa accade nell’atmosfera vi sono molte altre cose da capire e che lo furono gradualmente a seconda degli sviluppi di fisica e chimica. Seguiamone le tappe principali, quelle che qui interessano.

        Nel 1802 iniziò lo studio delle nubi da parte del chimico inglese (ed appassionato di meteorologia)  Luke Howard (1772-1864) che scrisse un lavoro dal titolo Sulla modificazione delle nubi(8). In questo lavoro compare la prima classificazione delle nubi utilizzando parole latine: Cumuli, Strati, Cirri, Nembi, Nembocumuli e Cirrostrati. La classificazione era accompagnata da disegni come i seguenti(9):

Cirrus

Cumulus

Cumulus con Cirrus-Stratus

Cumulus stratus

        La classificazione di Howard venne accettata da subito dai meteorologi della comunità scientifica con qualche piccolo termine aggiunto come l’alto ed il medio. Il successo della sua classificazione, già tentata da altri come il naturalista francese Jean Baptiste de  Lamarck (1744-1829) nel 1802, era l’uso del latino che rendeva la sua classificazione analoga a quella di Linneo per il mondo biologico. Era l’inizio di un processo che portò ad altre classificazioni che ebbero il merito di fare chiarezza nelle comunicazioni tra differenti scienziati. Alla classificazione delle nubi di Howard seguì nel 1806 quella dei venti, in base alla loro velocità e quindi ai danni in grado di produrre, da parte del cartografo irlandese Francis Beaufort (1774-1857) che scrisse Wind Force Scale and Weather Notation. La scala era nata descrivendo i tipi di velatura adeguati alle maggiori o minori difficoltà di governare una nave a vela, in funzione della forza del vento, e riferiva delle condizioni del mare e delle vele. Fu provata nel 1831 nel viaggio del Beagle che imbarcava Darwin e fu adottata dal 1838 dall’ammiragliato britannico e quindi da vari altri Paesi.

La Scala della forza dei venti di Beaufort così come fu comunicata al Comandante Fitzroy nel 1831

Le peculiarità a cui la scala era riferita resero necessari successivamente degli adeguamenti alle cambiate condizioni delle navi finché non si capì che non si potevano inseguire i tipi di navi convenendo riferirsi alla forza del vento sulla superficie del mare (International Meteorological Organization, 1939). Inoltre, successivamente furono aggiunti gli effetti sulla terraferma(10).

IL TELEGRAFO

        Nel 1800 Alessandro Volta costruì la pila, il primo generatore in grado di fornire corrente per un dato tempo. La pila permise avanzamenti fondamentali in tutti i campi della scienza e, per quel che ci riguarda e per ora, permise la costruzione del primo telegrafo elettrico che avrà grande importanza nella comunicazione dei dati meteorologici (si pensi ai movimenti di alcune tempeste, come i cicloni) e che ora illustrerò.

         Con il telegrafo, per la prima volta, a grandi distanze si potevano trasmettere dei messaggi, anche superando la curvatura terrestre. I primi telegrafi necessitavano di fili e, per molte utenze, di veri e propri cavi di grande diametro. Una delle grandi imprese di fine Ottocento fu proprio la posa di cavi telegrafici transoceanici. In linea di principio è possibile spiegare con facilità il sistema servendoci della figura:

Da una stazione trasmittente (Estación emisora) si chiude un tasto che fa circolare una corrente lungo una linea che la porta fino alla stazione ricevente (Estación receptora) per poi chiudere il circuito attraverso la terra. All’arrivo alla stazione ricevente la corrente mette in funzione un elettromagnete E che attrae un martelletto metallico A. Questo martelletto spinge una punta S bagnata d’inchiostro su una striscia di carta che scorre. Se dalla stazione trasmittente si tiene spinto il tasto per breve tempo, sulla striscia di carta della stazione ricevente si avrà un punto, se dalla stazione trasmittente si tiene spinto il pulsante per un breve tempo, alla stazione ricevente, sulla striscia di carta vi sarà una linea. Per comunicare tra due stazioni, un sistema identico andava dalla stazione ricevente a quella trasmittente di modo che ambedue potevano trasmettere e ricevere. Ma per capire i messaggi serviva un codice che accoppiasse linee e punti con lettere dell’alfabeto. Si tratta appunto del codice Morse che riporto qui sotto osservando che il famoso

segnale di aiuto SOS proviene proprio da questo codice essendo le lettere S ed O le più semplici da trasmettere (tre punti la S e tre linee la O). Questo apparato fu inventato dallo statunitense Samuel Finley Breese Morse (1791-1872) nel 1838 e il 24 Maggio 1844 fu inaugurata la prima linea telegrafica che collegava Washington con Baltimora. Vi erano ancora da risolvere molti problemi ma la strada era aperta. Tra i problemi vi era l’uso obbligato della corrente di pile ed accumulatori che è corrente continua e questa particolare corrente non è adatta per portare segnali a distanza(11).

L’apparecchio trasmittente costruito ed utilizzato da Morse per l’invio del primo telegramma nel 1844

Il tasto ricevente del telegrafo

        Il passaggio del telegrafo all’uso meteorologico avvenne nel 1849 e fu dovuto all’interessamento del fisico statunitense Joseph Henry (1797-1878) che, all’epoca, era a capo della più importante Accademia scientifica statunitense, la Smithsonian Institution. In breve tempo furono collegate via telegrafo 150 stazioni meteo in tutti gli Stati Uniti (che diventeranno 500 nel 1849). Nello stesso anno, anche la Gran Bretagna si dotava di un sistema che collegava trenta stazioni meteorologiche mediante telegrafo. Mentre la Francia lo farà nel 1856 collegando 13 stazioni. Due anni prima la Gran Bretagnaaveva costituito il suo Meteorological Statist to the Board of Trade sotto la direzione del Comandante Fitzroy, che era l’ufficiale superiore di Beaufort, e con lo scopo di mettere insieme osservazioni meteorologiche relative al mare. Questo ufficio diventerà immediatamente l’ United Kingdom Meteorological Office, il primo ufficio meteorologico di uno Stato al mondo. Da questo momento, prima nelle Colonie dell’impero britannico, quindi in molti altri Paesi si aprirono uffici meteorologici finché, nel 1878, si inaugurò l’International Meteorological Organization (IMO),  che nel 1950 diventerà la World Meteorological Organization (WMO).

        In Italia, nel 1855,  è Padre Secchi a mettere su una rete minima costituita da quattro città: Bologna, Ferrara, Urbino ed Ancona. Vi era un collegamento telegrafico ma la rilevazione era solo una volta al giorno.  Il fisico bolognese, fiorentino e pisano Carlo Matteucci(12) era a conoscenza delle molte stazioni isolate di rilevamento dati meteorologici esistenti in Italia.  Nel 1859, scrisse a Cavour per sollecitarlo a coordinare tutte le iniziative esistenti ma il governo cadde senza che si potesse far nulla. La richiesta fu di nuovo avanzata nel 1860 dal naturalista genovese, prof. Piccone limitata però agli usi della marina. Anche qui, per motivo di costi, non si riuscì a fare nulla. Nel 1862, quando Matteucci diventerà ministro della Pubblica Istruzione, farà passi importanti nella direzione della realizzazione di un Osservatorio Meteorologico Centrale. Nel 1865 viene fondato l’Ufficio Centrale per l’ordinamento del servizio meteorologico nel Regno, sotto la direzione del senatore Matteucci. Da questo momento inizieranno centinaia di problemi burocratici di trasferimenti di differenti sigle, da differenti città, con differenti decreti, con differenti incarichi, … cose che non vale la pena seguire.

LE CONQUISTE DELLA TEORIA CINETICA E DELLA TERMODINAMICA

        L’Ottocento è un secolo nel quale si sono fatti passi eccezionali in vari ambiti scientifici. Cercherò ora di riassumere le conquiste fondamentali della termodinamica e della teoria cinetica che hanno avuto un ruolo determinante nella comprensione delle dinamiche dell’atmosfera. Anche in questo caso non entrerò in dettagli esplicativi perché la maggior parte di questi argomenti li ho trattati in articoli specifici(13). Ricorderò quanto già trattato soffermandomi solo su argomenti che non hanno avuto a suo tempo una trattazione esauriente ai fini delle cose che sto trattando in questo articolo.

        Già nel Settecento si erano avute intuizioni di rilievo delle quali ho già detto. Manca forse almeno un cenno al fatto che nel 1751 il medico Charles Le Roy (1726-1779) aveva capito che la temperatura del punto di rugiada corrisponde al punto di saturazione dell’aria e questo fatto resterà per ora aneddotico anche se presto sarà preso in considerazione.

        Durante tutto l’Ottocento si aprì la strada la concezione atomistica della materia che era stata adombrata da Robert Boyle 1627-1691) e poi trattata da Daniel Bernoulli (1700-1782). Si individuarono delle leggi relative alle grandezze macroscopiche che caratterizzano i gas e nel contempo si trattarono teoricamente i gas con l’ipotesi molecolare ritrovando nel microscopico stesse leggi del macroscopico o motivi per indagare meglio. Una qualunque legge non nasce però, mai, indipendentemente da altri lavori che vengono sviluppati in campi vicini o apparentemente lontani. E’ il clima, lo scambio d’idee, la comunicazione che fa nascere problemi e mette persone a studiarli. Quindi non ci si deve stupire se citerò argomenti che sembrano distanti dal tema.

        Dopo lo studio delle tensioni di vapore fatto da John Dalton (1766-1844) e le leggi dei gas stabilite da Alessandro Volta (1745-1827), Joseph-Louis Gay Lussac (1778-1850) ed Amedeo Avogadro (1776-1856), che mettevano in relazione tra loro pressione, volume e temperatura, oltre alla quantità di molecole presenti in un dato volume, vi fu la determinazione di altre leggi (1919) da parte di Pierre Louis Dulong (1785-1838) e Alexis Thérèse Petit (1791-1820) riguardanti, questa volta, il calore specifico delle sostanze. Seguirono (1820) gli studi sulla teoria cinetica di John Herapath (1790-1868) che però rimasero abbastanza a margine. Stessa sorte, con in più lo scherno, avrà John James Waterston (1811 – 1883) nel 1843. Intanto il calore era diventato un soggetto da studiare con l’analisi matematica da parte di Joseph Fourier (1768-1830) nella sua Theorie Analytique de la Chaleur (1822). Nel 1824 veniva pubblicato il fondamentale lavoro di Sadi Carnot (1837-1894),  Réflexions sur la puissance motrice du feu et sur les machines propres à développer cette puissance, che, nonostante sia basato sulla teoria del calorico, apriva il dibattito su quello che diventerà il Secondo Principio della Termodinamica. Tutta la portata del lavoro di Carnot, sarà compresa a partire dalla trattazione analitica e grafica di  Benoît Paul Émile Clapeyron (1799 – 1864) nella sua Mémoire sur la puissance motrice de la chaleur del 1837. Le cose maturavano pian piano verso l’equivalenza del lavoro meccanico con il calore. Il britannico Joule trovò la relazione che lega le due grandezze ed in particolare l’equivalente meccanico del calore. Alle medesime conclusioni era arrivato il tedesco  Robert Mayer (1814-1878) nella stessa epoca (1843). Finalmente Hermann von Helmholtz (1821-1894) nel 1847 trarrà le fila da questi ed altri studi che si accumulavano, enunciando il Primo Principio della Termodinamica o Principio di conservazione dell’energia. L’anno seguente William Thomson (1824-1907), il futuro Kelvin, introdurrà la scala termometrica assoluta con il relativo zero. Ancora l’anno seguente inizieranno i lavori di William John Macquorn  Rankine (1820-1872) a cominciare dalla sua scoperta della relazione che lega la tensione di vapore saturo con la temperatura (1849); quindi della relazione tra temperatura, pressione e densità dei gas (1850); dell’espressione che fornisce il calore latente di evaporazione di un liquido (1850). Sempre nel 1850 venivano pubblicati i fondamentali lavori di Rudolf Clausius (1822-1888) che definivano in modo articolato e completo la termodinamica con i due enunciati dei suoi principi. Nel 1852 James Prescott Joule (1818-1889) e Kelvin scoprirono l’effetto che porta il loto nome: un gas che si espande rapidamente si raffredda. Sulla base dei lavori di Clausius, che aveva introdotto la grandezza entropia, Rankine la definì analiticamente (1854). Nel 1859 era James Clerk Maxwell (1831-1879) ad aprire la strada ad una branca della fisica che avrà ricadute molto importanti in meteorologia, la meccanica statistica. Pubblicherà infatti una memoria in cui veniva ricavata la legge di distribuzione delle velocità molecolari. Per capire quanto ciò fosse rilevante è utile fare riferimento ad una piccola controversia. Nel 1857 Clausius aveva scritto una memoria dal titolo Sul tipo di movimento che chiamiamo calore nella quale si teorizzava la complessità delle molecole costituenti l’aria, complessità di strutture, di movimenti, di gradi di libertà. Rimanevano in sospeso molte questioni tra cui come fanno queste molecole a dare il loro contributo ai calori specifici ed alla pressione. Su queste problematiche, alle quali si aggiungeva una delle conseguenze della teoria cinetica, cioè l’elevata velocità prevista per le molecole, pesava un’obiezione fatta dal meteorologo olandese Buys Ballot (1817-1890) che studiava la circolazione atmosferica. Chiedeva Buys Ballot: ma se le molecole d’aria sono così veloci come prevede la teoria cinetica ed hanno i complessi comportamenti previsti da Clausius, come mai si impiega tanto tempo a sentire il puzzo di una data sostanza liberata a solo qualche metro ? E come è possibile che il fumo di una pipa resti sospeso in aria per tanto tempo ? A queste pesanti obiezioni, in grado di seppellire una teoria, Clausius rispose con un articolo nel quale si introducevano diversi concetti tra cui la sfera d’azione, la sezione d’urto per collisioni, il cammino libero medio. Era l’indicazione di un cammino ben sapendo che soprattutto sull’ultima questione nessuno era in grado di sapere quanto cammino avrebbe percorso una data molecola ed in quanto tempo a seguito dei molteplici urti. Si davano solo valutazioni grossolane (il camino libero medio inferiore ad un centimetro) non sostenute da una seria teoria. Questi lavori di Clausius erano stati letti da Maxwell che fornì la soluzione al problema con la determinazione del cammino libero medio delle molecole in un gas. Maxwell aggiunse delle osservazioni relative alla viscosità dei gas; era stupito dal fatto che l’attrito per un gas rarefatto agisse come per un gas denso e da qui iniziarono i suoi lavori sulla viscosità dei gas. Su tale memoria di Maxwell si baserà Josef Loschmidt (1821-1895) per stimare il numero delle molecole contenute in un dato volume di gas (numero di Avogadro). Per altri cammini, Gustav Robert Kirchhoff (1824-1876) e Robert Bunsen (1811-1899) introdussero la spettroscopia in ricerche fisiche anche diverse da questioni astronomiche e Kirchhoff definì il problema del corpo nero, problema statistico la cui soluzione sarà data da Max Planck (1858-1947) nel 1900 con l’invenzione dei quanti. Su temi apparentemente diversi, seguendo quel limite dello zero assoluto introdotto da Kelvin, si lavorerà alacremente al raggiungimento di tale traguardo con l’impiego di ingenti mezzi e nuove tecnologie.  Nel 1873 vennero stabilite altre relazioni statistiche come la funzione di distribuzione di Ludwig Boltzmann (1844-1906) e fu elaborata da Johannes Diderik van der Waals (1837-1923) l’equazione di stato per i gas reali introducendo in quella per i gas perfetti grandezze come il volume proprio delle molecole e la loro attrazione reciproca. Nel 1876 Josiah Willard Gibbs (1839-1903) iniziava a pubblicare dei lavori di meccanica statistica in cui venivano definiti concetti e funzioni che troveranno subito applicazioni diverse (equilibrio delle fasi, insieme statistico, energia libera, …).

        Insomma si andavano sviluppando e precisando una gran quantità di conoscenze con cui passare a studiare ad interpretare l’atmosfera con il potente ausilio di strumenti d’indagine e misura molto più evoluti con il raffinamento della tecnologia nella quale era entrata anche la corrente elettrica.

LA TRASMISSIONE DEL CALORE

        Nel discutere di atmosfera, di nubi, di piogge, di masse d’aria in moto, è indispensabile essere più espliciti sulle cose che la termodinamica aveva trovato perché l’insieme dei fenomeni, come poi si capirà, è governato dal calore proveniente dal Sole. Su come il calore si trasmette le cose non furono immediatamente chiare, almeno nel senso del nostro recitare “conduzione, convezione, irraggiamento”. Probabilmente i tre fenomeni erano noti empiricamente ma da qui a capire come si svolgono ci volle del tempo. Riguardo all’atmosfera occorreva ed occorre capire che non vi sono solo spostamenti in orizzontale dell’aria ma anche e soprattutto quelli in verticale. Serve anche una comprensione del come il calore si trasmette in questo sistema a continua variabilità ed è quindi necessario stabilire come accordare l’insieme della variabili dinamiche e termodinamiche in una fisica dei fluidi. Il problema è di una complessità gigante ed ancora oggi le cose non sono completamente risolte, anche con l’uso di potenti elaboratori. Cerchiamo di avvicinarci gradualmente almeno alle questioni di fondo.

        Verso la fine del Settecento (1783-1787), in concomitanza con le esperienze dei fratelli Montgolfier sui palloni aerostatici ad aria calda, lo scienziato Jacques Charles (1746-1823), che era loro assistente, si innalzò alcune volte con dei palloni aerostatici  ad idrogeno sul cielo di Parigi (fino a 550 metri) per misurare la temperatura e la pressione ad una data quota(15). Oltre alle relazioni tra temperatura e volume per i gas che innalzavano i palloni (a pressione costante, a parità di aumento di temperatura il volume di differenti gas aumenta allo stesso modo) e che servirono da dati sperimentali per Gay Lussac (che chiamò di Charles la legge trovata), un fenomeno veniva alla luce con chiarezza: la temperatura varia con l’altezza. Ed anche Gay Lussac nel 1804 fece delle ascensioni per cercare di capire qualcosa sul tempo meteo. I dati raccolti erano tali che Laplace nel 1805 riuscì a sviluppare una legge che legava la pressione dell’aria con l’altezza. Come si può notare si iniziava a tenere conto di fenomeni verticali.

        Fu il meteorologo statunitense James Pollard Espy (1785-1860) che, a partire dal 1836, applicò le conoscenze sui moti convettivi alla comprensione di fenomeni meteorologici come lo spostamento verticale delle masse d’aria che, in determinate condizioni, provocano le tempeste(16).

        Nell’introduzione al suo lavoro del 1841, La filosofia delle tempeste, dove la prima frase dice che Ogni inizio è difficile, Pollard Epsy forniva il sunto del lavoro che seguiva ed in esso si legge:

Quando l’aria vicina alla superficie della terra diventa più calda o più carica di vapore acqueo, che è solo i 5/8 del peso specifico dell’aria costituente l’atmosfera, il suo equilibrio diventa instabile e si formeranno colonne o flussi di vapore ascendenti. Mano a mano che queste colonne salgono, le loro parti superiori si troveranno in zone di minore pressione e quindi l’aria si espanderà; in conseguenza dell’espansione ci sarà un raffreddamento di circa un grado ed un quarto per ogni cento yards [1 Yard = 0.9144 m, ndr] come dimostrato da esperimenti con il nefoscopio. La colonna ascendente trasporterà con sé il vapore acqueo che contiene e, se la sua ascensione è abbastanza elevata, il raffreddamento prodotto dall’espansione a causa dell’abbassamento di pressione farà condensare parte di questo vapore in nuvole […]

Il nefoscopio di Pollard Epsy. E’ uno strumento che serve a determinare la direzione dei venti in altitudine. Quella che segue è la spiegazione dello strumento data da Polard Epsy. Per mezzo della pompa a dell’aria viene forzata dentro il recipiente di vetro b misurando attraverso il barometro c il suo grado di condensazione. Caricato lo strumento di aria compressa, si chiude il rubinetto e si toglie la pompa. Quando la temperatura dell’aria interna è diventata come quella dell’aria esterna si fa una accurata misura con il barometro per accertarsi che l’altezza del mercurio nel ramo esterno del barometro è molto maggiore di quella nel ramo interno. A questo punto si apre il rubinetto per permettere all’aria di sfuggire da b. Quando si è raggiunto l’equilibrio del mercurio allora si richiude il rubinetto. A questo punto l’espansione dell’aria l’ha molto raffreddata facendo salire di nuovo il mercurio del ramo esterno del barometro e discendere quello del ramo interno perché l’aria che è dentro riceve calore da quella che è fuori. Si misura la differenza di livello e quindi si registrerà l’abbassamento della temperatura corrispondente ad una data espansione. Quando nell’esperienza si usa aria secca, la temperatura si riduce circa il doppio di quando si usa aria umida, quantità che va in conto del calorico latente necessario alla formazione della nube.

La figura che accompagna lo scritto di Pollard Epsy

         Seguono altre considerazioni sulla variabilità di tale fenomeno legata alla quantità della massa d’aria scendente, alla quota a cui arriva, alle condizioni di pressione e temperatura. Ma abbiamo per la prima volta una chiara visione del movimento verticale di masse d’aria e di formazione di nubi movimento che è anche alla base delle celle di Hadley e di Ferrel alle quali ho accennato. Si tratta chiaramente di moti convettivi, un fenomeno strettamente connesso alla trasmissione del calore ed alla meccanica statistica per l’enormità delle molecole interessate, il cui studio è diventato di enorme interesse a partire dal 1900(17) quando il fisico francese Henri Bénard (1847-1939) capì l’organizzazione di tali celle in sistemi con un certo ordine (celle di convezione di Bénard)(18). Questa organizzazione in celle dovrebbe risultare estremamente improbabile (numero di stati microscopici che realizzano uno stato macroscopico) eppure si realizza mostrando che a questi fenomeni di non equilibrio non si possono applicare le normali leggi probabilistiche.

Moti convettivi in un fluido riscaldato dentro un recipiente

Moti convettivi di aria nell’atmosfera che si organizzano in celle. Nel caso teorico in cui non vi siano spostamenti d’aria orizzontali.

Quando ai moti ascendenti del fluido si sommano gli effetti del moto orizzontale, in luogo delle cellule esagonali si hanno linee di convezione (il fluido sale lungo una serie di linee e discende nelle aree adiacenti producendo una serie di ondulazioni orientate nella direzione del flusso orizzontale). Si noti che tra duelinee di convezione o si ha salita d’aria o discesa

        Tutto ciò è stato compreso a partire dall’inizio del Novecento ma il lavoro di Pollard Epsy era un ottimo inizio. In definitiva ad una variazione di temperatura con la quota (gradiente di temperatura) corrispondono moti convettivi che portano al raffreddamento di masse d’aria (raffreddamento adiabatico, perché la massa d’aria non scambia calore con altre masse d’aria) all’origine di molteplici fenomeni atmosferici come nubi, temporali, tempeste, …

Aria riscaldata dal suolo, se contenente vapor d’acqua, sollevandosi si raffredda originando le nuvole.

        A questi moti verticali occorre aggiungere i moti orizzontali dell’aria (moti advettivi), i venti, dovuti alle variazioni di pressione orizzontali (un effetto è quello riportato nella penultima figura che precede).

Un disegno molto schematico che serve a calcoli indicativi sulla forza di pressione Fp esercitata da un vento su una determinata superficie. Ogni superficie verticale rappresenta una zona ad uguale pressione (isobara).  Supponiamo di voler calcolare Fp tra P3 e P2.  Si ha:

F = (-1/D). (P– P2)/ AB

dove  D  è  la densità dell’aria  (massa per unità di volume)  e  il  rapporto  (P3-P2)/AB è la variazione di pressione per unità di lunghezza in direzione perpendicolare alle isobare. Il segno meno è conseguenza del passaggio da una pressione più alta ad una più bassa. Se su quel cubo d’aria non agisse altra forza, essa si muoverebbe nella direzione indicata per Fp con una accelerazione data dalla seconda legge di Newton (tenendo conto dell’attrito).

        Si deve tener conto che quelle fornite sono schematizzazioni utili a capire ed a costruire dei modelli di comportamento. In realtà non esistono mai da soli dei moti convettivi puramente verticali come non esistono mai moti advettivi puramente orizzontali. Si ha sempre a che fare con moti obliqui. Le difficoltà che si incontrano nel voler tracciare un quadro che descriva la circolazione atmosferica nascono dalla grandissima quantità di variabili che sono in gioco. Molte delle cose che si sono comprese discendono dall’aver fatto delle medie temporali locali e generali ma, lavorando con le medie, si fanno sempre delle generalizzazioni. Si ricava da questa osservazione la grandissima importanza delle stazioni meteo e la raccolta di dati più frequente possibile.

        Nello stesso 1841 vi fu un’altro studio di notevole interesse, quello del matematico statunitense Elias Loomis (1811-1889). Egli prese in considerazione varie tempeste che si erano avute in differenti parti del mondo sotto osservazione meteo, nel periodo intorno al solstizio del dicembre del 1836. Questo studio era stato sollecitato e sostenuto dal grande astronomo John Herschel in Europa mentre Loomis lo portò avanti negli USA e nel Canada. I risultati delle elaborazioni di Loomis furono letti nel 1840 alla American Philosophical Society at Philadelphia. I dati che furono portati mostrarono, come osservò Franklin nel dibattito che le tempeste (cicloni e tornado) negli USA avevano il verso prevalente da sud est a nord ovest. Brandes aveva invece sostenuto che nei cicloni il vento soffia internamente diretto verso il centro. Ma gli fu osservato che questa conclusione non poteva essere tratta da così pochi eventi. Altri interventi avanzarono teorie diverse. Pollard Epsy si disse d’accordo con Brandes: varie tempeste mostrano un moto centripeto del vento verso un centro se la zona che interessa la tempesta è circolare (come i cicloni) e verso una determinata linea centrale se la regione della tempesta presenta una linea più lunga di un’altra. Egli tentava inoltre di legare queste considerazioni con i moti convettivi da lui studiati a fondo. Il problema principale era solo sfiorato: i venti in un ciclone sono diretti verso il centro di esso o vanno anche essi in circolo ? La teoria di Loomis fu la più completa e convincente ma per elaborarla egli attese i due cicloni del febbraio 1842 per studiarli dove egli non disponeva di dati. I suoi risultati furono comunicati alla Società nel maggio 1843. Egli aveva riportato su una carta geografica degli Stati Uniti una rappresentazione grafica del fenomeno avvenuto nel 1836 con una serie di linee tracciate congiungendo i luoghi dove, ad una data ora, il barometro segnava pressione minima. L’andamento delle linee passando da ora ad ora sulla carta geografica mostrò, anche se ancora in modo imperfetto, come la tempesta era avanzato. L’aggiunta di alcune frecce mostrò anche il comportamento dei venti. Epsy aderì subito a questo modo di presentare i fenomeni meteorologici ed anche lui con la mole di dati del passato a sua disposizione costruì queste mappe con la sovrapposizione di linee a (circa) uguale pressione (o meglio: di uguali deviazioni dalla ordinaria media delle pressioni di un dato luogo). Il metodo fu immediatamente perfezionato stabilendo che le linee isobare  dovevano essere tracciate a predeterminate differenze di pressione sotto la media normale del luogo. Questo modo di operare seguiva i cicloni rapportandoli alle variazioni di pressione. Furono poi aggiunte altre informazioni su queste mappe. Alcune colorazioni rappresentavano le zone in cui il cielo era sereno, dove era coperto, dove pioveva o nevicava. Altre linee rappresentavano i luoghi in cui le temperature era a valori normali e dove scendevano o salivano di 20 o 30 gradi. Delle frecce orientate indicavano versi ed intensità dei venti. Si disponeva così in una visione complessiva ed unica tutte le osservazione per comprendere cosa era accaduto e come sarebbe evoluto il tempo. Loomis aveva creato le prime mappe meteorologiche(19), strumenti insostituibili per le previsioni meteo. Le mappe furono ulteriormente perfezionate nel seguito e nel 1857  Buys Ballot propose la regola per il verso di rotazione dei grandi temporali e degli uragani.

Una delle mappe dell’Ufficio meteorologico degli Stati Uniti (1871).

Una mappa meteo del  Ministero della Guerra USA (1872)

        E’ da notare che Loomis si recò in Europa con il segreto sogno di riuscire a dimostrare un qualche legame tra le tempeste in Europa con quelle negli USA. In relazione a questa sua convinzione sviluppò l’idea di fronti meteorologici che interessavano non zone isolate ma l’intero pianeta (la cosa troverà una dimostrazione da scienziati norvegesi nel dopo Prima Guerra mondiale).

        Le idee di celle che salgono a quote alte e quelle di fronti atmosferici in moto si iniziarono a confrontare con la conservazione dell’energia che era stata ricavata nella metà del secolo ed anche con i principi della termodinamica. Tutti i fenomeni iniziarono ad essere visti in termini di trasferimenti e trasformazioni di energia con aumenti di entropia. La Terra inizia ad essere interpretata nel suo insieme come una macchina termica alla quale il Sole fornisce calore che viene trasformato in varie forme di energia(20). Alla parte termodinamica occorreva aggiungere una parte più propriamente dinamica che creava altre complicazioni. La Terra ruota su se stessa e questa rotazione influisce molto sul movimento delle masse d’aria con forze centrifughe e forza di Coriolis.

        Gli studi dei meteorologi statunitensi furono conosciuti in Europa  e spinsero gli scienziati a fare pressione sui governi per realizzare stazioni meteorologiche con le quali disporre dei dati per costruire le mappe Nel 1854 l’astronomo francese Urbain Leverrier (1811-1877), quello legato alla coperta del pianeta Nettuno, dimostrò che una tempesta iniziata sul Mar Nero aveva percorso l’Europa e sarebbe stata previsibile se si fosse avuta una rete meteo dotata di telegrafo. Iniziarono Gran Bretagna, Francia, Germania a realizzare stazioni meteo molte delle quali si andarono attrezzando con telegrafo. Una spinta in tal senso, come già detto, la fornì il comandante Fitzroy dell’Ufficio Meteorologico degli Stati Uniti che, oltre a spingere per le connessioni telegrafiche anche transatlantiche (impresa che con grande dispendio di mezzi, di denaro e con molti incidenti sarà realizzata nel 1866), realizzò delle tavole meteorologiche sinottiche giornaliere con il dichiarato fine di fornire previsioni del tempo (1860).

        Le questioni che venivano sollevate dalla meteorologia tornavano come problemi di grande peso all’interno del mondo della ricerca fisica tanto che scienziati tra i più prestigiosi iniziarono a dedicare loro impegnativi lavori alla fisica dell’atmosfera, diventata anche un capitolo di quella branca della fisica che va sotto il nome di idrodinamica. Si cercavano con molta lena dei modelli teorici della termodinamica dell’atmosfera. Nel 1873 il fisico statunitense Willard Gibbs dette alle stampe un lavoro sull’argomento, trattando in particolare le trasformazioni adiabatiche di aria secca e di aria umida: Graphical Methods in the Thermodynamics of Fluids. Nel 1884 Heinrich Hertz (1857-1894) pubblicò una memoria(21) nella quale propose un nuovo diagramma termodinamico(22) (anche chiamato adiabatico oppure aerologico) da usare in meteorologia, l’emagramma.

L’emagramma

        Nel 1888 un altro fisico tedesco, Johann Friedrich Wilhelm von Bezold (1837-1907), scrisse una memoria(23) in cui introduceva un concetto nuovo, quello dei processi pseudo-adiabatici (o adiabatico-saturi o adiabatico aria umida). In modo semplice si può parlare di un processo pseudo-adiabatico quando, ad esempio, dell’aria satura di vapore sale fino ad un dato valore finale di pressione che la porta a saturazione (dopo espansione e raffreddamento). Se l’acqua condensata, mano a mano che si forma, precipita (rendendo la trasformazione irreversibile) abbiamo a che fare con un processo pseudo-adiabatico (troviamo la qualifica adiabatico perché  nel processo non c’è scambio di calore tra il sistema aria-acqua gassosa o liquida dell’aria ambiente).

Un diagramma che mostra il variare della temperatura con la quota. La linea tratteggiata mostra l’andamento suddetto per l’aria secca; quella tratto-punteggiata mostra quello per l’aria umida; la linea intermedia mostra i normali andamenti.

        L’anno successivo vi fu un’altra pubblicazione teorica sull’argomento da parte dello stesso von Bezold (la terza parte dell’articolo precedente) ed  Herman von Helmholtz(24).

        Nel suo studio Helmholtz, che già si era occupato di questi problemi che dal 1876 aveva lasciato, considerò l’atmosfera come costituita da un numero di vortici o anelli d’aria ruotanti intorno all’asse terrestre a differenti latitudini. Egli nel 1876 aveva stabilito che l’energia di movimento di questi vortici fa sì che essi abbiano una circolazione meridionale per effetto della differente insolazione tra basse ed alte latitudini. Inoltre, le due forze d’attrito, quella con la superficie della Terra e quella tra medesime masse d’aria, risultano essere necessarie  per mantenere la circolazione meridionale e la velocità costante dei vortici. Helmholtz aveva capito una cosa di grandissima importanza per spiegare i fronti meteorologici, il fatto che risultano fondamentali le superfici di discontinuità nell’atmosfera. Il suo studio si riferiva al fronte polare ed al suo cammino mediante onde lunghe chilometri (quindi da non confondersi con le onde cicloniche del fronte polare) ed egli ricavò l’espressione dell’instabilità del fronte polare come funzione della temperatura e della discontinuità del vento tra le due masse d’aria separate dal fronte. Egli propose, in contrasto con il più famoso meteorologo tedesco Dove, che l’aria equatoriale si solleva al di sopra di quella polare e si raffredda adiabaticamente (qui non si sta parlando dei moti convettivi già discussi, che sono moti verticali, ma di spostamenti orizzontali di masse d’aria, come esemplificherò nel prossimo paragrafo). In corrispondenza dell’aria che sale si crea una depressione che genera venti turbinosi.

Il fronte polare di cui parlava Helmholtz costituisce un’altra cella, oltre alle due già discusse.

        Nel 1888-89 Helmholtz tornò sui problemi dei fronti meteo a seguito di alcune osservazioni casuali del cielo fatte in una vacanza in Svizzera. Si era creata una situazione che potrebbe essere rappresentata da due strati d’aria sovrapposti e divisi da un sottile strato di nuvole a forma di riccioli che ruotavano e si muovevano in una direzione determinata. Un qualcosa di simile di quanto mostro nelle quattro foto seguenti:

        In una immagine di questo tipo Helmholtz rivide i suoi vortici e rafforzò la sua idea dei moti discontinui come fattore fondamentale in meteorologia. La instabile superficie di discontinuità tra due superfici d’aria era proprio quella disegnata dai riccioli in moto (ed Helmholtz, che era anche un fisiologo che si era occupato di acustica, legò questa osservazione agli strati d’aria che si creano all’interno delle canne d’organo). I riccioli ed i vortici, originati dall’attrito,  hanno la funzione di mescolare i due strati d’aria permettendo tramite i venti gli scambi di temperatura e l’equilibrio del loro moto (oggi si direbbe che la discontinuità evolve in un oggetto frattale). I suo lavoro proseguì con la ricerca dell’origine delle cause che provocano le discontinuità ed il discorso oltre a diventare molto complesso (è un problema non lineare), anche perché Helmholtz è molto sintetico,  risulta anche confuso soprattutto per il fatto che spesso vi è una sorta di sovrapposizione tra l’intuizione, dati empirici e deduzioni dinamiche. Nelle sue elaborazioni Helnholtz introdusse il concetto di temperatura potenziale(25) (la temperatura che una massa d’aria avrebbe se trasportata adiabaticamente dalla quota a cui si trova fino al livello del mare. E’ una grandezza utile per l’identificazione della proprietà delle masse d’aria e delle loro trasformazioni e rende più agevole l’esame dell’instabilità connessa allo sviluppo dei temporali convettivi).

        Von Bezold, nel suo lavoro dl 1889, oltre ad usare i processi pseudo-adiabatici che aveva precedentemente introdotto, aggiunse un’altra grandezza termodinamica, il gradiente termico adiabatico. Noi l’abbiamo già incontrato a partire dai moti convettivi dandolo per scontato ma questo gradiente non era stato ancora definito analiticamente in relazione ai fenomeni atmosferici. Si tratta della variazione della temperatura dell’aria con l’altezza che dipende dalla sola pressione atmosferica (non si tiene conto nel suo uso dello scambio di calore con le altre masse d’aria o con dei rilievi montuosi, della condensazione, delle precipitazioni). Qualche anno più tardi, nel 1894, ancora von Bezold introdusse il concetto di temperatura equivalente (che corrisponde alla temperatura effettiva dell’aria in gradi centigradi  aumentata del calore latente di condensazione di tutto il vapore acqueo contenuto nell’aria stessa.        

        Le date che seguono sono di eventi importanti per la meteorologia. Nel 1891 i meteorologi tedeschi Richard Assmann (1845-1918), A. Berson (1859-1942) e R. Süring (1866-1950) costruirono il  primo pallone sonda per la misura simultanea di pressione, temperatura ed umidità. Sotto la guida di Assmann i tre si convinsero che per far avanzare la meteorologia non erano sufficienti le nuove strumentazioni ma erano necessarie osservazioni in quota soprattutto per seguire e registrare le continue fluttuazioni dell’atmosfera, e, non avendo una tradizione con i palloni aerostatici,  si misero a studiare tutte le esperienze francesi e britanniche. Furono Assmann e Gross a fare la prima ascensione con uno psicometro ad aspirazione dallo stesso Assmann realizzato e per questo chiamato psicometro di Assmann. In questo strumento ciascun termometro è sospeso dentro un tubo verticale metallico; il tubo metallico è a sua volta sospeso dentro un secondo tubo metallico di diametro leggermente maggiore. Il doppio tubo serve ad isolare i termometri dal calore radiante del Sole. L’aria è fatta circolare nei tubi con un ventilatorino mosso da un meccanismo ad orologeria.

Psicometro di Assmann

        Era il primo strumento in grado di fornire temperature attendibili lette in palloni ad alta quota, anche per l’isolamento dall radiazione solare. Ed egli, nel 1993, costruì altri strumenti come il barotermoigrometro verntilato che era un assemblaggio di dimensioni ridotte dei singoli strumenti (barometro, termometro ed igrometro) realizzato in modo particolare per essere trasportato sulla navicella di un pallone (sia  nel caso che volasse liberamente che in quello di suo ancoraggio). Per questo motivo Assmann è considerato il padre delle sonde aerologiche, dello studio cioè della meteorologia da palloni sonda. Dopo queste prime scoperte Assmann fece moltissime ascensioni attraverso le quali, nel 1902, condivise la scoperta della stratosfera con il meteorologo francese Léon Teisserenc de Bort (1855-1913) che scoprì anche il fenomeno dell’inversione termica ad alta quota(26).

FRONTI METEOROLOGICI(27)

        Darò ora un cenno ai fronti meteorologici, come annunciato quando mi occupavo di Helmholtz.

        In generale quando dell’aria staziona: piuttosto a lungo sopra una regione avente caratteri fisici e geografici uniformi, essa acquista delle proprietà fisiche, come la temperatura e l’umidità che derivano dai caratteri della regione stessa. Diremo allora che si è formata una massa d’aria. Allorché detta massa si sposta su altre regioni vi produce delle condizioni meteorologiche caratteristiche dipendenti dalle sue originali proprietà fisiche e dalle evoluzioni che queste ultime hanno subito in seguito al suo spostamento. Possiamo dunque dire che, di solito, ai cambiamenti delle masse d’aria sono associati generalmente notevoli variazioni del tempo.

        Quando si incontrano due masse d’aria diverse, per esempio una massa di aria calda (poco densa) originatasi nella zona tropicale e una di aria fredda (più densa) originatasi a latitudini superiori, esse non si mescolano, ma rimangono separate tra loro. Le superfici di separazione tra masse d’aria diverse sono chiamate superfici di discontinuità; a tali superfici sono connesse le maggiori perturbazioni atmosferiche. Vengono poi indicate col nome di fronti le intersezioni delle superfici di discontinuità con la superficie terrestre (o con una superficie da un dato livello); un fronte è perciò una linea che al suolo (o ad una data quota) segna il confine tra due masse d’aria diverse.

        I fronti si distinguono in vari tipi, a ciascuno dei quali sono associati fenomeni di diverso carattere.


Fronte caldo – E’ un fronte lungo il quale una massa di aria calda muove verso una massa di aria più fredda e tende a sostituirsi a questa. L’aria calda, essendo più leggera, si innalza slittando sopra la massa d’aria fredda e si ha di conseguenza la formazione di nubi, generalmente di aspetto stratiforme, molto estese orizzontalmente (cirrostrati, altostrati e nembostrati), spesso accompagnate da precipitazioni diffuse e persistenti.

Fronte freddo – E’ un fronte lungo il quale una massa di aria fredda avanza verso una massa di aria più calda e, essendo più pesante, si incunea al disotto di questa. L’aria più calda nelle immediate vicinanze del fronte freddo viene sollevata in alto, spesso con grande violenza, dando origine a dense nubi di grande sviluppo verticale (cumuli e cumulonembi), per lo più accompagnate da forti precipitazioni e, a volte, da grandine.
 


Fronte occluso od occlusione – Generalmente un fronte caldo è seguito da un fronte freddo, che si sposta più rapidamente e quindi finisce per raggiungerlo; l’aria calda, che prima si trovava tra questi due fronti, viene allora tutta sollevata al disopra del suolo. Si genera così un nuovo tipo di fronte, chiamato fronte occluso od occlusione, in corrispondenza del quale si ha la presenza di tre masse d’aria, con un fronte al suolo ed un fronte in quota. L’occlusione al suolo può avere carattere di fronte caldo (occlusione a carattere caldo), oppure di fronte freddo (occlusione a carattere freddo). Spesso le occlusioni, specie durante lo stadio iniziale, danno luogo a grandi ed estese formazioni nuvolose, con violente precipitazioni anche temporalesche.
 

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         Resta da discutere qualche cosa sui temporali e sui fulmini. Anche se di tutto questo, agli inizi del Novecento si sapeva pochissimo, non essendo state ancora sviluppate delle teorie complete ma solo degli abbozzi piuttosto lacunosi.

         Iniziamo con il dire che il riscaldamento dell’aria al suolo avviene per due fenomeni simultanei: il riscaldamento dovuto propriamente alla superficie della Terra che restituisce quello originato dal Sole ed il riscaldamento diretto del Sole. L’insieme di questi due fenomeni origina instabilità. Questo termine significa che se dell’aria viene spostata da una posizione di riposo, si allontana con moto accelerato. Si ha invece stabilità quando dell’aria spostata dalla sua posizione  e lasciata libera tornerà nella sua posizione iniziale. Quando siamo in condizioni di instabilità fino a quote elevate e l’aria è umida, si sviluppano nubi convettive che procedono a grande velocità (a questo punto occorre tener conto di vari fenomeni collaterali come il particolare riscaldamento in una delimitata zona o la presenza di rilievi che possono produrre molti più cumuli). La salita dell’aria continua e con forza crescente e quindi accelerando (per la differenza di temperatura tra massa ascendente ed aria esterna) fino a che la spinta di Archimede ha ragione di essere. A questo punto, siamo a quote che possono arrivare ai 10-12 mila metri, la massa d’aria in salita è diventata un cumulo congesto che può diventare un cumulo nembo. Il limite superiore del cumulo nembo  è fissato dagli strati più bassi della stratosfera perché sono stabili e quando la nube che ascendeva si trova in zone di stabilità la sua temperatura si abbassa diventando inferiore a quella dell’aria circostante. Ora quella massa d’aria è più pesante dell’aria circostante, è soggetta ad una forza diretta verso il basso e quindi rallenta la sua salita che continua  a seguito della forte spinta iniziale (la quantità di moto che aveva), anche se dopo qualche centinaio di metri si arresta. La situazione è descritta dalla figura seguente.

        La stratosfera è (quasi sempre) il limite superiore dei temporali ed è il livello a partire dal quale la temperatura inizia a crescere al crescere della quota. La linea continua di figura mostra che la temperatura diminuisce al crescere della quota fino alla tropopausa, dopo la quale inizia a crescere. La curva tratteggiata rappresenta il variare della temperatura con la quota per la massa d’aria ascendente. Si vede che questa temperatura è sempre superiore a quella dell’ambiente circostante fino alla tropopausa dove le due curve si intersecano mostrando che l’aria ascendente ha acquistato una temperatura inferiore di quella ambiente. L’altezza della tropopausa varia con la stagione e con la latitudine tra i 10 mila ed i 20 mila metri. Le nubi (osservate coni radar, mezzi sviluppati intorno agli anni Quaranta del Novecento) temporalesche sono situate entro il limite dei 1500 metri sopra la tropopausa. A questo punto entrano le varie teorie sui temporali come la genesi dei vari fenomeni meteorologici violenti (cicloni, uragani, tornado, …) ma esse furono sviluppate intorno agli anni Cinquanta del Novecento (ne discuterò in un prossimo articolo).

L’ELETTRICITA’ ATMOSFERICA

        I fulmini, insieme ai tuoni ed ai lampi, si sviluppano, in genere, in concomitanza di tempeste atmosferiche. Lo studio dei fulmini, è ormai leggendario, iniziò con Benjamin Franklin ed è meno noto che anche in Russia, in simultanea, studi analoghi erano fatti da Mickhail V. Lomonosov (1711-1765) almeno così sostengono in Russia come afferma Battan..

        Benjamin Franklin (1706-1790) fu uno dei primi scienziati americani ed iniziò la sua attività solo nel 1747, due anni dopo la scoperta della Bottiglia di Leida colpito, sembra, dall’analogia della scarica elettrica della bottiglia con quella dei fulmini. Da questo momento la ricerca diventò la sua principale occupazione anche se non abbandonò mai la passione per la libertà e la cultura. Proprio come messo del governo americano a Londra, riuscì a prendere contatti con la Royal Society, contatti che, insieme a quelli con l’Académie di Parigi, gli saranno proficui negli anni.

         Delle analogie con i fulmini Franklin scrisse in una lettera del 1748 dopo aver messo insieme una batteria di bottiglie di Leida. C’è da osservare che correttamente Franklin aveva capito che le armature (fu lui a chiamarle in tal modo) di un condensatore hanno elettricità di due tipi differenti (per capire la cosa occorreva si chiarisse il concetto di induzione) ma che la scossa risiedeva nel vetro. Inoltre fu lo stesso Franklin a costruire il primo condensatore piano che chiamò quadro di Leida (Leyden’s pane o Franklin’s pane). Ma non era solo questa l’analogia che muoveva la curiosità di Franklin. Nella stessa lettera egli parlava anche dell’analogia con medesime proprietà riscontrate nei fulmini e nelle scariche di laboratorio. Ambedue:

  • producono luce del medesimo colore;
  • si muovono velocemente;
  • sono trasportati da metallo, acqua e ghiaccio;
  • fondono piccole masse di metallo ed incendiano sostanze infiammabili;
  • producono odore di zolfo (ora si sa che si tratta della produzione di ozono);
  • magnetizzano degli aghi;
  • i Fuochi di Sant’Elmo (bagliori di natura elettrica che in alcune condizioni si producono su oggetti alti ed appuntiti come campanili, ciminiere alberi  maestri) somigliano al calore rossastro della scarica.

         Insomma Franklin era riuscito a dimostrare che i fulmini hanno quasi tutte le caratteristiche delle scariche elettriche prodotte in un laboratorio.

        Fu Franklin che ipotizzò il trasporto di elettricità da parte delle nubi e la cosa fu provata quando, su suo suggerimento, nel 1752 fu messo in azione il primo parafulmine (un’asta a punta collegata a terra): la scarica di un fulmine e di una bottiglia di Leida erano della stessa natura. In queste sue ricerche egli scoprì il potere delle punte, il meraviglioso effetto dei corpi a punta tanto per attirare che per respingere il fuoco elettrico, e, con opportuno uso di esse, realizzò il parafulmine(28).

L’esperienza di Franklin con l’aquilone che non si sa se sia mai stata fatta.

        Come si può ricavare da tutto questo non c’è nulla o molto poco oltre il fatto fenomenologico. Una cosa va però sottolineata, il fatto che Franklin era riuscito a stabilire la natura elettrica dei fulmini e non è cosa da poco se anche su questo vi erano dispute con chi, ad esempio, pensava ad un’origine chimica dei fulmini. A partire da questo primo approccio si susseguirono vari studi su particolari aspetti del fenomeno in generale chiamato elettricità atmosferica.

        Negli stessi anni altri scienziati studiavano i fulmini realizzando simili o diverse esperienze. Tra questi: il fisico francese Jacques De Romas (1713 – 1776) che nel 1776 pubblicò un lavoro(29) in cui portava prove d’essere stato il primo a fare le esperienze di Franklin con gli aquiloni;  l’astronomo  italiano  Anastasio  Cavallo  o Atanasio Cavalli (1729-1797)(30); il botanico francese Louis-Guillaume Lemonnier (1717-1799)(31) che ripeté l’esperienza dell’aquilone legando al filo che lo tratteneva al suolo delle particolari sferette per verificare il fenomeno dell’attrazione e che, con tale strumento, iniziò a misurare lo stato elettrico dell’aria in particolari condizioni meteorologiche: l’elettrizzazione dell’atmosfera in un giorno sereno e la variazione diurna dell’elettricità atmosferica; il fisico italiano Giambattista Beccaria (1716-1781)(32) che nel 1775 confermò i lavori di Lemonnier stabilendo che la carica dell’atmosfera era positiva nei giorni sereni; il naturalista svizzero Horace-Bénédict de Saussure (1740-1799) nel 1779 misurò la carica posseduta dall’atmosfera attraverso quanta ne veniva indotta su un conduttore (la misura, quella di un angolo, veniva effettuata con uno strumento, precursore dell’elettrometro, costituito da due sferette sospese a due fili paralleli che si attraevano o respingevano; con questo sistema egli scoprì che la distanza tra le sferette non era lineare con la quantità di carica. Era una sorta di elettroscopio a foglie che aveva una scla graduata per misurare gli angoli di divaricazione delle foglie).

        Nel 1784-85 vi furono importanti lavori di Charles Augustin Coulomb (1736-1806), già con strumentazione molto evoluta. Egli osservò che la carica di un oggetto posto nell’aria decadeva lentamente con il tempo e che il decadimento era più rapido con l’aria più umida. Nel 1785 scriveva(33):

L’électricité des deux balles diminue un peu pendant le temps que dure l’experience… si l’air est humide et que l’électricité se perd rapidement…

e ciò lo ha accreditato come colui che aveva scoperto la conducibilità elettrica dell’aria, anche se non sembra chiara la sua comprensione di quanto trovato. Certamente non possedeva le conoscenze per spiegare cosa era accaduto, tanto più che per lui la conducibilità dell’aria era un disturbo sperimentale nella ricerca che portava avanti della legge dell’inverso del quadrato della distanza per l’attrazione e repulsione elettrostatica. Nell’ambito della stessa ricerca egli determinò anche che i gas atmosferici [non ionizzati, ndr], contrariamente a quanto si riteneva all’epoca, sono degli isolanti o dei cattivi conduttori. E’ utile dire che tali ricerche non ebbero alcun seguito e furono ignorate.

        Nel 1804 il fisico tedesco Paul Erman (1764-1811) teorizzò che la Terra fosse carica negativamente e la teoria fu provata sperimentalmente dal fisico francese Jean Charles Athanase  Peltier (1785-1845) nel 1842. Peltier realizzò (1836) per le sue esperienze un misuratore dell’elettricità atmosferica, un elettrometro ad indice orizzontale o elettrometro di Peltier(34). E’ una evoluzione della bilancia di torsione di Coulomb (1784) che si differenzia radicalmente dalla repulsione delle due sferette ideato da Lemonnier.

Bilancia di torsione di Coulomb

Elettrometro di Peltier

Elettrometro di Peltier

        Lo strumento di Peltier fu uno dei primi ad essere pensato per un suo montaggio su alti pali a loro volta sistemati negli osservatori meteorologici. L’ago magnetico orizzontale CABD viene sistemato lungo il meridiano magnetico, allo stesso modo del filo metallico MN che termina con due sferette. Quando si elettrizza lo strumento l’ago viene respinto dalla sferette che hanno acquistato carica elettrica. Misurando l’angolo di spostamento si risale al valore della carica rilevata dallo strumento. L’apparecchio permette misure continue ed ha mostrato che vi è sempre dell’elettricità positiva nell’atmosfera, che essa varia  in continuazione di ora in ora e di stagione in stagione. Queste variazioni sono più evidenti quanto più si solleva lo strumento in aria, meno evidenti in luoghi riparati e nulle sotto i tetti. L’elettricità dell’aria presenta poi due massimi (alle 10 ed alle 22) e due minimi (alle 2 ed alle 14) nel corso del giorno.

        Uno scienziato che si occupò molto di fenomeni elettrici nell’atmosfera, fu Kelvin. Egli a partire dal 1850 stabilì che lo stato elettrico dell’atmosfera deve essere rappresentato da un campo elettrico. Introdusse così il potenziale elettrico dell’atmosfera e le linee di forza perché servissero da aiuto nella spiegazione dei fenomeni elettrici atmosferici. Si adoperò perché si facessero del campo elettrico terrestre presso l’Osservatorio di Kew.

        Nel 1860 Kelvin affrontò il problema della carica presente nell’atmosfera ed avanzò l’idea che erano le cariche elettriche positive presenti in essa a determinare il sereno(35) e, più avanti nel tempo, mostrò che nell’atmosfera esistono campi elettrici servendosi prima di un elettrometro portatile quindi del generatore elettrostatico water-dropping condenser o thunderstorm, che egli stesso aveva realizzato (1867)(36).

        Ancora Loomis nel 1872 presentò un progetto per sfruttare l’elettricità atmosferica illustrandolo con la figura seguente (non mi soffermo ad illustrarlo ma chi è interessato può andare all’articolo originale nel link appena fornito)(37).

Metodo suggerito da Loomis per l’utilizzazione dell’elettricità atmosferica. Egli considerava l’atmosfera come una gigantesca batteria inutilizzata.

        Gli strumenti più perfezionati permettevano misure più sofisticate con le quali era possibile indagare più a fondo alcuni fenomeni. Sul finire del secolo (1887) fu il tedesco W. Linss(38) che, su una strada aperta da Coulomb, scoprì che conduttori isolati elettrizzati perdevano la loro carica a seconda delle condizioni atmosferiche. Inoltre egli aveva capito che la carica elettrica negativa si scaricava a terra e non si capiva bene dove andasse a finire. Ritornava nell’aria elettrizzandola ? o veniva annullata da cariche positive prese da qualche parte ? o si perdeva nel terreno ? L’anno seguente H. H. Hoffert riuscì per la prima volta a fotografare dei fulmini discendenti pubblicando i risultati(39). Intanto, è importante osservarlo, che la fisica aveva iniziato a studiare le scariche nei gas, che si era introdotta la pressione di radiazione, le onde elettromagnetiche, si stavano scoprendo i raggi X, la radioattività e, soprattutto, l’elettrone. Le nuove scoperte fisiche dettero impulso a nuove teorie ed esperienze in meteorologia. Nel 1885 il chimico Julius Elster (1854-1920) ed il fisico Hans F. Geitel (1855-1923), ambedue tedeschi, che avevano avuto esperienze nello studio delle scariche nei gas (emissione termoionica), elaborarono una teoria che spiegava la struttura elettrica dei temporali(40) e nel 1899, con un elettrometro da loro realizzato, scoprirono la radioattività nell’atmosfera ed il fatto importante che la conducibilità elettrica dell’aria è dovuta a degli ioni positivi e negativi sempre presenti in essa(41).

Elettrometro di Elster e Geitel

        Questo risultato sperimentale viene appena un anno dopo la formulazione della teoria degli ioni da parte di J. J. Thomson, elaborata contestualmente alla scoperta dello ione elettrone carico negativamente(42). La teoria prevedeva che la materia fosse costituita da tanti ioni negativi che fossero in equilibrio elettrostatico con altrettanti ioni positivi, in modo che la materia nel suo insieme risultasse elettricamente neutra. Il fatto che l’atmosfera non fosse isolante ma avesse una conducibilità dovuta alla presenza di ioni aiutava a spiegare molte precedenti osservazioni includendo la relazione esistente tra le osservate variazioni diurne del campo elettrico e la frequenza dei temporali. Si apriva inoltre la strada allo sviluppo di teorie riguardanti l’intervento elettrico nei temporali, sul come gli strati d’aria potevano scambiarsi carica, su come le nubi potevano acquistare cariche elettriche e, su come potevano essere originati i fulmini (per il tuono la spiegazione sarebbe stata forse più semplice ma sarebbe dovuta venire dopo). Sotto questa luce verranno studiati, teorizzati, analizzati temporali e fulmini, aiutati anche da  fotografie, che permettevano sempre più di fissare immagini altrimenti esistenti per lassi di tempo brevissimi, e da immagini spettroscopiche. Il secolo si chiudeva con il fisico tedesco Friedrich Carl Alwin Pockels (1865 – 1913) che riuscì a misurare il campo magnetico indotto da un fulmine portandolo all’accurata stima della corrente trasportata da esso e con i fondamentali lavori del fisico, meteorologo britannico e Nobel Charles Thomson Rees Wilson (1869-1959) che avanzò teorie chiarificatrici di molti problemi relativi ai temporali, utilizzando tra l’altro la misura di campi elettrici per stimare la struttura delle cariche contenute nei fulmini, e mostrò per la prima volta che la radiazione X ionizza i gas, introdusse tecniche nuove come la camera a nebbia.

        Come Wilson medesimo racconta nella sua Nobel Lecture la realizzazione di questo strumento, che poi avrà applicazioni imprevedibili come rivelatore di radiazioni nucleari, partì dall’idea che Wilson ebbe nel 1894 di imitare le nubi in laboratorio. L’inizio del proposito fu quello di far espandere aria umida come nelle esperienze indipendenti di P. J. Coulier (1824-1890) del 1875 e J. Aitkin (1839-1919) del 1880, con le quali avevano mostrato che, in una camera ad espansione, i vapori condensano intorno a nuclei di particelle solide sospese in aria (Coulier era stato il primo a fare esperienze ed Aitkin le ripeté spiegandone i risultati). Quelle particelle solide, polveri, hanno un ruolo chiave nella formazione di gocce d’acqua a partire da vapor d’acqua. Il fenomeno fu spiegato con l’ipotesi dei nuclei di condensazione e fu trattato nell’ambito dei cambiamenti di fase, della teoria della nucleazione,  uno dei meccanismi attraverso cui avviene la cristallizzazione (passaggio dallo stato liquido a quello solido). Aitkin scrisse che senza particelle solide nell’atmosfera non ci sarebbe foschia, né nebbia, né nuvole e quindi probabilmente nessuna pioggia. Queste esperienze avevano anche mostrato che, se nella camera ad espansione vengono via via rimosse le particelle dure mediante filtrazione, le nebbie lì dentro formate diventano sempre più sottili e che aria relativamente pulita dovrebbe sostenere una notevole quantità di vapore soprasaturo prima che compaiano goccioline d’acqua. Wilson era partito da quest’ultima esperienza: nessuna nebbia anche quando l’aria umida era in condizioni di notevole soprasaturazione a meno di non superare un certo limite. Per le sue esperienze aveva costruito l’apparato mostrato nella figura seguente in grado di fornire dati quantitativi sull’espansione di aria umida.

        L’apparato permetteva di immettere campioni di aria filtrata in quantità variabili con la possibilità di misurare gli aumenti di volume. In tal modo egli trovò che c’era un valore critico definito per il rapporto di espansione (1,25) corrispondente a circa quattro volte la soprasaturazione. Le goccioline apparivano oltre questo limite ed iniziavano a cadere. I nuclei di condensazione sembrava si rigenerassero nell’aria(43). Ulteriori  esperienze seguirono con modifiche alla strumentazione  per renderla capace di fornire espansioni più rapide ed adiabatiche (vedi figura seguente).

        Wilson trovò che vi era una seconda espansione critica in corrispondenza di circa otto volte il valore della soprasaturazione del vapore. Superato questo limite nella camera si formavano dense nebbie, o meglio delle gocce piuttosto che delle nebbie. I nuclei di condensazione non potevano essere altro che i nuclei duri delle molecole del gas presente nella camera. Vi erano le condizioni per capire meglio  se i nuclei di condensazione fossero degli ioni.

        Altre scoperte andavano ad intersecare queste ricerche. Nel 1895 Röntgen aveva scoperto i raggi X e nel 1896 J.J. Thomson aveva studiato l’aumento di conduttività dell’aria sottoposta a radiazione X. Anche Wilson si mise ad investigare l’effetto dei raggi X sull’aria filtrata contenuta nella sua camera a nebbia e al primo tentativo trovò che se l’espansione era inferiore al primo punto critico l’esposizione ai raggi X non faceva formare gocce, ma se l’espansione era tra i due punti critici si generava una nebbia che impiegava molti minuti a cadere. I raggi X producevano molti nuclei di condensazione dello stesso tipo di quelli prodotti in piccolo numero nelle condizioni di assenza di tale irradiazione(44). Gli esperimenti furono ripetuti con radiazione di altro tipo: ultravioletta e da Uranio (la radioattività naturale era stata appena scoperta da Becquerel nel 1896)(45). I risultati furono gli stessi. La radiazione ionizzava l’aria ed in tali condizioni la condensazione aumentava. Era dimostrato con certezza che erano gli ioni a fare da nuclei di condensazione. Ulteriori esperienze furono fatte per  studiare separatamente la condensazione con ioni positivi e negativi; esse stabilirono che maggiore condensazione si aveva con ioni negativi (il diametro o il volume delle goccioline che formavano la nebbia si poteva ricavare dalla loro velocità di caduta). Inoltre, con lo strumento a disposizione era possibile contare gli ioni e vedere quando si trattava di ione positivo e quando di ione negativo. E questi risultati furono alla base delle ricerche fatte da J.J. Thomson (1897) e, più tardi, da Robert A. Millikan (1868-1953)  per determinare la carica trasportata dagli ioni.

        Alcune tappe successive di interessesono le pubblicazioni nel 1911 di un testo di termodinamica dell’atmosferada parte del tedesco Alfred Wegener(46) e quella del 1919 di un altro testo sull’argomento da parte dell’astronomo statunitense Frank W. Verys (1852-1927) di un altro testo di rilievo(47) che rappresentano il riconoscimento definitivo dello studio dell’atmosfera come un capitolo della termodinamica e che daranno il via ad altre pubblicazioni che però inizieranno solo negli anni Settanta del Novecento. 

        Come si può arguire, da quanto raccontato fino ai lavori di Wilson, si stava capendo molto dei fenomeni elettrici nell’atmosfera ma ancora non si era in grado di spiegare l’origine del fulmine. Si sapeva che era una scarica elettrostatica, un’enorme scintilla o arco fra centri che differiscono per carica elettrica. Quando la differenza di potenziale elettrica fra due regioni di una nube o tra nube e suolo o tra strati di atmosfera e suolo, supera un dato valore (quello della rigidità elettrica che è di circa 10 mila volt/cm) si ha la scarica che trasporta in millesimi di secondo decine di migliaia di ampere. Una delle gravi difficoltà per comprendere il fenomeno risiede in una conoscenza solida dei processi che permettono la creazione di enormi quantità di cariche e della loro distribuzione nelle nuvole oltre ai meccanismi che costruiscono la strada che il fulmine percorre. Fino agli anni Sessanta del Novecento si scoprirà molto poco. Alcuni fatti crearono le condizioni per progredire in questi studi: i pericoli per i voli, la possibilità di voli a quote sempre più alte (fino ai satelliti), l’avanzamento dei computers e varia altra strumentazione (anche con l’introduzione dei semiconduttori) nata dai progressi della tecnologia.

Roberto Renzetti


NOTE

(1) George Hadley, Concerning the cause of the general trade windsPhilosophical Transactions  of the Royal Society, 39, pp. 58-62, 1735.

(2) La parola aliseo non ha una etimologia nota. L’inizio per al potrebbe denotare un’origine araba.

(3) Dalton aveva appreso con stupore dell’esistenza dell’articolo di Hadley quando la prima edizione del suo libro era in stampa nel 1793. In essa egli parlava dei venti alisei sostenendo: L’effetto della rotazione della Terra produce o piuttosto accelera la velocità relativa dei venti, comportandosi come la differenza, o più precisamente, come il seno della latitudine … aumenta avvicinandosi ai poli. Dalton aveva detto che era una vergogna che per tanti anni fosse passata solo la teoria insostenibile di Halley, dimenticando quella di Hadley. Notizie complete sulla vicenda di Hadley si trovano qui.

(4) In modo molto semplice. L’aria che si scalda al suolo sale perché si dilata ed ha un minor peso per unità di volume (minore densità). Ma continuando a salire incontra delle zone fredde che provocano il processo inverso: l’aria discende di nuovo fino a ritrovare zone calde dove si scalda di nuovo. Ciò crea dei movimenti verticali dell’aria chiamati celle ed in particolare celle di Hadley (dal meteorologo tedesco Adolph Sprung nel 1880) in onore di chi le individuò per primo.

(5) Coriolis, G.G., Mémoire sur les équations du mouvement relatif des systèmes de corps. Journal de l’école Polytechnique, Vol 15, pp. 142-154, 1835.
Oltre questa Coriolis scrisse altre memorie e libri di applicazione della meccanica teorica ai problemi delle macchine industriali:

Coriolis, G.G.,  Mémoire sur le principe des forces vives dans les mouvements relatifs des machines. Journal de l’école Polytechnique, Vol 13, pp. 268-302, 1832

Coriolis, G.G., Du calcul de l’effet des machines, ou Considérations sur l’emploi des moteurs et sur leur évaluation, Parigi : Carilian-Goeury, 1829.

Coriolis si occupò anche del moto di un pendolo in un sistema in rotazione e la corretta equazione che descriveva il moto del pendolo di Foucault del 1851 è quella da lui ricavata nel 1831 e pubblicata qualche anno più tardi.

(6) F. Reich, Fallversuche über die Umdrehung der Erde, Pogg. Ann. 29, p. 494, 1833.

La forza di Coriolis è relativamente piccola e se ha grandi effetti sulle masse d’aria è per l’assenza di attriti. Queste esperienze si facevano sull’onda di quella di Guglielmini del 1791 dalla Torre degli Asinelli a Bologna, per mostrare la rotazione della Terra (esperienza simile a quella che viene attribuita scioccamente a Galileo dalla Torre di Pisa).

(7) William Ferrel, An Essay on the Winds and the Currents of the OceanNashville Journal of Medicine and Surgery xi (4): pp. 7–19, 1856.

(8) Luke Howard, Essay on  the Modification of Clouds,  and on the Principles of their Production, Suspension, and Destruction; being the substance of an essay read before the Askesian Society in the session 1802-3, Philosophical Magazine16, pp. 5-11, 1803.

 Luke Howard, The Climate of London deduced from Meteorological Observationes, (3 voll.) London, 1818, 1820 e 1833.

(9) Riporto la descrizione dei principali tipi di nubi (tratta da De Notaristefani) accompagnandola con delle fotografie.

Le nubi sono formate da goccioline o da cristalli di ghiaccio che vengono trasportati dai moti dell’aria i quali determinano continue variazioni della loro forme. Nell’interno di una nube si verificano continui processi di distruzione e ricombinazione delle gocce; queste infatti (come anche i cristalli di ghiaccio) si formano nella parte superiore della nube, là dove la temperatura è più bassa, e scendono lentamente verso il basso evaporando nuovamente di modo che il processo ricomincia.

Le nubi si dividono in quattro famiglie (si tenga conto che ciascun tipo di nube si suddivide poi in tanti sottotipi; mostro un esempio nei:

1) superiori: (altezza 5-12 Km)

a) Cirri (dal latino ricciolo, piuma): nubi isolate, con aspetto filamentoso, che presentano le forme più svariate. Essi sono costituiti da cristalli di ghiaccio e si trovano nell’alta atmosfera (8-12 Km) dove si hanno temperature comprese tra 30° e 50° sotto zero. Sono generati da processi di convezione termica o meccanica e le forme sfilacciate,  incurvate o inanellate, sono dovute al forte vento che domina gli strati superiori della troposfera.

 
b) Cirro strati (stratus in latino vuol dire esteso): che si presentano come fini veli biancastri che danno al cielo un caratteristico aspetto lattiginoso. Il processo di genesi è analogo a quello dei cirri.


c) Cirro cumoli (cumulus in latino vuol dire ammasso): distesa di fiocchi o masse globulari semitrasparenti disposti in gruppo e sovente in file; solitamente si tratta di forme degenerate di cirri o di cirrostrati. Possono anche essere prodotti per scorrimento di masse di aria fredda su strati più caldi con alternanze ondose di ascesa e discesa.



2) Nubi medie (2000 – 6000 m.)

a) Alto cumoli: grande distesa di grossi globuli fortemente ombreggiati disposti in rotoli paralleli oppure distribuiti a “grosse pecorelle”, con uno spessore medio di circa 200 m. Si trovano solitamente a circa 4 Km.



b) Alto strati: velo di nubi striato di colore grigio bluastro, disteso orizzontalmente, avente uno spessore uniforme di circa 300 m, situato ad un’altezza di circa 4 Km.



3) Nubi inferiori: (0 + 2000 m.)

a) Strato cumoli: strati di colore oscuro composti di elementi di forma tondeggiante con talvolta delle interruzioni dalle quali traspare il cielo azzurro, aventi uno spessore di 300 – 400 m. Sono frequenti in inverno e si presentano con preferenza alle alte latitudini; la loro altezza media è di circa 1500 – 2000 m. Sono solitamente originati da convezione termica verticale.



b) Strati: banchi informi di nubi distese in senso orizzontale con uno spessore di circa 300 m. di colore grigiastro che spesse volte originano pioviggine, ma non vera e propria pioggia. Si presentano ad una altezza di 500 – 1000 m. ed hanno, specie d’inverno, un carattere di persistenza.

 

c) Nembo strati (nimbus in latino vuol dire nube piovosa): nubi dense, informi e frastagliate ai contorni, di colore grigio scuro quasi uniforme, aventi uno spessore di circa 600 metri, situate ad una altezza media di 1 km; da esse cade pioggia e neve.



4) Nubi a sviluppo verticale (500 – 12000 m.).

a) Cumoli: sono nubi caratteristiche dei moti ascendenti che in alto si espandono come cupole, o duomi, mentre la base è frequentemente orizzontale. Si tratta di nubi tipicamente estive la cui base ha un’altezza media di circa 1,5 Km. e il cui spessore è assai variabile ma generalmente inferiore ad 1 Km. Sono animati da movimenti incessanti in quanto il loro processo è dovuto a moti verticali di aria calda che salendo si raffredda originando condensazione.

a’Cumulo congesto (congestus in latino vuol dire con protuberanze marcate)


b) Cumulonembi (nube temporalesca): si tratta di immense masse di nubi che si ergono come montagne fino a quote di 3-5 Km, bianche agli orli e scure nelle parti in ombra. Sono sedi di forti e pericolosi moti ascendenti e turbolenti del l’aria ed originano piogge intense, ma di breve durata, grandine e temporali.

Di seguito riporto una figura che riassume quanto visto e gli ulteriori aggettivi che si possono aggiungere per definire meglio il tipo di nube.

Da http://digilander.libero.it/meteocastelverde/nubi.htm

           Aggettivi ulteriori per definire le nubi:

(10) Scala di Beaufort aggiornata:

 (11) Il problema discende dall’effetto Joule, dal riscaldamento cioè dei cavi elettrici al passaggio di corrente. Esso è proporzionale al quadrato della corrente ed è quindi la corrente da rendere minima per evitare perdite importanti di energia. Poiché la corrente continua non è trasformabile si deve utilizzare la corrente alternata che invece gode di tale proprietà. La trasformazione deve elevare di molto la tensione e, di conseguenza, abbassare la corrente.

(12) Carlo Matteucci fu uno dei patrioti del Risorgimento. Fu tra i fondatori de Il Cimento, giornale di fisica, chimica e storia naturale, rivista scientifica che nel 1855 diventò il Nuovo Cimento, organo della Società Italiana di Fisica che nasceva come proseguimento della SIPS, Società Italiana per il Progresso delle Scienze che ebbe un ruolo fondamentale nel coordinamento degli scienziati italiani in epoca preunitaria e fu un covo di rivoluzionari. Matteucci sarà uno dei primi Ministri della Pubblica Istruzione dell’Italia Unita (1862, governo Rattazzi) e farà cose eccellenti. Certo che da Matteucci ai nostri campioni della Pubblica Istruzione vi è un abisso (e Matteucci era un rappresentante della destra storica).

(13) Fornisco i titoli della sequenza degli articoli nei quali ho trattato diffusamente degli sviluppi della termodinamica e della teoria cinetica:

226 – LA FISICA TRA SETTECENTO ED OTTOCENTO. PARTE I: BENJAMIN THOMPSON, CONTE RUMFORD  

227 – LA FISICA TRA SETTECENTO ED OTTOCENTO. PARTE II: LAZARE CARNOT

228 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE I: SADI CARNOT E CLAPEYRON

229 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE II: MAYER E JOULE

230 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE III: HELMHOLTZ  

231 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE IV: KELVIN  

232 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE V: CLAUSIUS  

233 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE VI: MAXWELL

234 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE VII: BOLTZMANN

235 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE VIII: KIRCHHOFF E BUNSEN  

236 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE IX: STEFAN-BOLTZMANN, WIEN

237 – LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE X: RAYLEIGH, PLANCK

247 – LA FISICA DELLE BASSE TEMPERATURE. PARTE I: I PRECEDENTI FINO AL 1900   

(14) Le esperienze dei Mongolfier iniziarono nel dicembre del 1782 senza equipaggio e nel novembre 1783 con equipaggio fatto di due volontari. I Montgolfier innalzarono il loro pallone utilizzando aria calda. Charles, che fece la sua personale ascensione nel dicembre 1783, utilizzò invece un gas che era stato appena scoperto da Henry Cavendish in una reazione dell’acido solforico con ferro, latta e zinco. Fu il sistema di Charles che prevalse e che si impose per i successivi anni fino al 1960.

Il primo volo di Charles

(15) quando il pallone tornò al suolo nei pressi di Parigi, fu distrutto da contadini terrorizzati.

(16) Espy, James P., The Philosophy of Storms, Little Brown, pp. 552, 1841.

(17) I moti convettivi sono stati studiati anche per capire l’origine della vita. In Italia un biofisico che si è occupato di questo è stato Mario Ageno.

(18) Bénard discusse le sue elaborazioni nella tesi di dottorato: Les Tourbillons cellulaires dans une nappe liquide propageant de la chaleur par convection en régime permanent.

(19) Elias Loomis, On the storm which was experienced throughout the United States about the 20th of December, 1836Am. Phil. Soe. Trans., vol. 7, pp. 125-
163. (With three plates.) Eead March, 1840. (Am. Phil. Soe. Proc, vol. 1, pp. 195-198; Am. Jour. (1), vol. 40, pp. 34-37.) 24.

 Elias Loomis, Meteorological sketches. (Eight papers.) Ohio Observer, 184.

 Elias Loomis, Meteorological observations made at Hudson, Ohio, latitude 41° 14′ 0″ north, longitude 5h 25m 47.5» west, during the years 1838, 1839, and 1840. (Barometer; thermometer and hygrometer; winds; rain.) Am. Jour. (1), vol. 41, pp. 310-330. October, 1841.

Elias Loomis, Supplementary observations on the storm which was experienced throughout the United States about the 20th of December, 1836. Am. Phil. Soe. Trans., vol. 8, pp. 305-306. Read May, 1842.

Elias Loomis, On two storms which were experienced throughout the United States in the month of February, 1842Am. Phil. Soc. Trans., vol. 9, pp. 161 184. (With 13 maps.) Read May, 1843. (Am. Phil. Soc. Proc, vol. 3, pp. 50-56).

Elias Loomis, A treatise on meteorology, with a collection of meteorological tables. 8vo, pp. 305. New York, 1868.

Elias Loomis, Results derived from an examination of the United States weather maps for 1872 and 1873. (“With two plates.) Am. Jour. (3), vol. 8, pp. 1-15. Read in N. A. S. April, 1874. (Influence of rainfall upon the course of storms; influence of the wind’s velocity upon the progress of storms; relation between the velocity of the wind and the velocity of a storm’s progress; to determine whether a storm is increasing or diminishing in intensity; form of the isobaric curves; classification of storms; where do the storms which seem to come from the far West originate ?). Lavoro che prosegue in: Am. Jour. (3), vol. 9. pp. 1-14; Am. Jour. (3), vol. 10, pp. 1-14; Am. Jour. (3), vol. 11, pp. 1-17; Am. Jour. (3), vol. 12, pp. 1-16; Am. Jour. (3), vol. 13, pp. 1-19; Am. Jour. (3), vol. 14, pp. 1-21; Am. Jour. (3), vol. 15, pp. 1-21; Am. Jour. (3), vol. 16, pp. 1-21; Am. Jour. (3), vol. 17, pp. 1-25; Am. Jour. (3), vol. 18, pp. 1-16; Am. Jour. (3), vol. 19, pp. 89-109; Am. Jour. (3), vol. 20, pp. 1-21; Am. Jour. (3), vol. 21, pp. 1-20; Am. Jour. (8), vol. 22, pp. 1-18; Am. Jour. (3), vol. 23, pp. 1-25; Am. Jour. (3), vol. 25, pp. 1-18; Am. Jour. (3), vol. 26, pp. 442-461; Am. Jour. (3), vol. 28, pp. 1-17 and 81-93; Am. Jour. (3), vol. 30, pp. 1-16; Nat. Acad. Sei. Mem., vol. S, part 2, pp. 1-66; Am. Jour. (3), vol. 33, pp. 247-262; Nat. Acad. Set. Mem., vol. 4, part 2, pp, 1-77 (with 16 plates); Am. Jour. (3), vol. 37, pp. 243-256;  Nat. Acad. Sei. Mem., vol. 5, part 1.

(20) E’ utile vedere cosa arriva dal Sole sulla Terra, cosa resta e cosa si perde (non si faccia caso a grandezze che non abbiamo ancora introdotto ma solo al totale).

A parte l’energia che ci proviene dal sottosuolo, la massima parte dell’energia di cui la Terra ha disposto e dispone proviene dal Sole. Essa incontrando l’atmosfera in parte viene riflessa nello spazio, in parte viene assorbita dall’atmosfera stessa ed in parte arriva sulla Terra. Quella che arriva sulla Terra in parte viene riflessa ed in parte viene assorbita dalla Terra medesima. Una frazione della parte riflessa torna ad attraversare l’atmosfera per andare a finire nello spazio, l’altra frazione non ce la fa ad uscire e resta intrappolata nell’atmosfera scaldandola (effetto serra). La parte che scalda la Terra è quella che ci interessa per i moti convettivi dei quali ho discusso nel testo. L’aria, a contatto con la Terra, si scalda ed inizia quel processo discusso nel testo. Se i moti convettivi interessano aria umida si ha la formazione di nubi. Con aria secca si ha solo circolazione convettiva.

        La convezione è uno dei modi di trasferimento del calore. Essa ha luogo quando il calore si trasmette con spostamento di materia. Gli altri due modi di trasferimento di calore sono la conduzione, trattata analiticamente da Joseph Fourier nella sua Theorie Analytique de la Chaleur del 1822,  che si ha attraverso materiali conduttori senza spostamento di materia (la cosa interessa molto marginalmente la meteorologia che ha a che fare con masse d’aria e d’acqua che sono poco conduttrici del calore, a parte la convezione) e l’irraggiamento che è il modo con cui il Sole trasferisce il calore alla Terra in assenza di materia.

(21) Hertz, H., Graphische Methode zur Bestimmung der adiabatischen Zustandsanderungen feuchter (The mechanics of the earth’s atmosphere), Luft. Meteor Ztschr, vol. 1, pp. 421-431, 1844.

(22) Il diagramma termodinamico è anche chiamato adiabatico oppure aerologico. Tutti tali diagrammi (sono di 4 tipi) sono simili tra loro e hanno disegnati cinque tipi di linee, le isobare, le isoterme, le adiabatiche secche, le pseudo adiabatiche, le linee di saturazione umida. L’emagramma di Hertz riporta in ascisse la temperatura ed in ordinate la pressione. Le adiabatiche secche che formano un angolo di circa 45° verso la sinistra con le isobare (e quindi di circa 90° con le isoterme), le isoterme sono parallele all’asse delle ordinate, le linee di contorno (quelle che su una mappa collegano punti con uguale altezza sul livello del mare) della saturazione, poiché misurano il rapporto tra la massa di vapor d’acqua e la massa d’aria secca contenute in un volume d’aria, sono verticali e quasi rettilinee.

Linee di contorno in una mappa che diventano linee di mappa

(23)J. F. W. von Bezold, Zur Thermodynamik der Atmosphäre. (The mechanics of the earth’s atmosphere), Sitz. K. Preuss. Akad. Wissensch. Berlin, pp. 485-522, 1189-1206; Gesammelte Abhandlugen, pp. 91-144, 1888. First paper. 1888. Second paper. 1888. Third paper. 1889.  

(24) H. von Helmholtz, On atmospheric motions. First paper. Verhandlungen der Physikalischen Gesellschaft zu Berlin, 1888.
H. von Helmholtz, On atmospheric motions. Second paper. Verhandlungen der Physikalischen Gesellschaft zu Berlin, 1889.
H. von Helmholtz, On the theory of wind and waves. 1889.
H. von Helmholtz, The energy of the billows and the windWiedemanns Annalen, 41, 1890.

Questi lavori di Helmholtz, insieme ai precedenti di von Bezold ed a vari altri in lingua tedesca e francese ma tutti di argomento termodinamica dell’atmosfera, furono tradotti in inglese per una pubblicazione della Smithsonian Institution del 1891.

(25) Temperatura potenziale

La temperatura potenziale è, dal punto di vista dinamico, una grandezza molto più importante di quella reale. Questo perché non risente degli spostamenti verticali associati al moto del fluido in zone turbolente o attorno ad ostacoli. Una particella d’aria che si muove sopra una piccola montagna si espande e raffredda durante la fase di risalita, mentre si riscalda e comprime durante la discesa, ma la temperatura potenziale non cambia se non intervengono altri fattori quali il riscaldamento/raffreddamento dovuto a fattori esterni o l’evaporazione/condensazione (un processo che esclude questi effetti si chiama adiabatico secco). Dal momento che particelle con la stessa temperatura potenziale possono essere spostate senza bisogno di compiere lavoro o fornire calore, le linee di uguale temperatura potenziale (isoentropiche) sono linee naturali di flusso. Nella maggior parte dei casi, la temperatura potenziale aumenta all’aumentare dell’altitudine ed è una grandezza che si conserva per tutti processi adiabatici secchi, per cui risulta molto importante nello strato limite planetario nel quale le condizioni sono molto simili a quelle adiabatiche secche.

(26) La figura che riporto di seguito serve almeno a rendere conto che, agli inizi del Novecento, ancora si sapeva pochissimo sull’atmosfera e sulla sua estensione (la comprensione di molte delle cose che oggi sappiamo è stata possibile con lo sviluppo dell’aeronautica , dei voli spaziali e dei satelliti meteorologici). Si parla di  scoperta della stratosfera e dell’inversione termica che si ha. Nella figura si vede che la stratosfera è in una zona molto bassa. Si vede pure che da quelle parti vi è la fascia di ozono che ancora non si conosceva, i raggi cosmici, …

Tenendo conto che in ordinate vi è la quota ed in ascisse la temperatura, si vede che la temperatura diminuisce nella troposfera, fino ad arrivare a valori dell’ordine di – 60°C. Poi comincia a salire (inversione termica) fino alla stratopausa dove arriva ai circa 0°C. Si ha quindi una nuova inversione fino alla mesopausa da dove inizia una salita di temperatura che può arrivare ai 200-300 km a 400 – 900 °C.

(27) Quanto riportato è tratto dal testo di Fisica Terrestre di De Notaristefani.

(28) B. Franklin, [senza titolo], Phil. Trans., 47:289, 1752. I fulmini sono la causa di migliaia di morti l’anno. Essi sono associati ai parafulmini proprio per il potere delle punte di attirare elettricità. E’ esattamente questo il motivo per cui, in caso di temporale, non bisogna ripararsi sotto alberi isolati in mezzo ad un prato, allo stesso modo che non bisogna restare in mezzo al medesimo prato con un ombrello in mano a godersi lo spettacolo. Il fulmine vede l’albero isolato e noi come se fossimo delle punte. Diverso è il caso di chi si ripara nel bosco, sotto gli alberi. In questo caso il fulmine non vede il singolo albero ma la superficie che le fronde degli alberi disegnano. Altro caso è quello dei fulmini a ciel sereno. Qui, a tutt’oggi, nulla può la fisica. Chi ci crede può provare con la metafisica.

(29) Jacques De Romas, Mémoire sur les moyens de se garantir de la foudre dans les maisons suivi d’une lettre sur l’invention du cerf-volant electrique, avec les  pièces justificatives de cette même lettre, 1776, Chez Bergeret, Paris
 

(30) Atanasio Cavalli, Del fulmine, e della sicura maniera di evitarne gli effetti dialoghi tre di Carlo Viacinna a Matteo Allagia. In Milano, per Federico Agnelli, 1766.

(31) L. G. Lemonnier, Observations sur l’électricité de l’airMëm. Acad. Sci., 2:233, 1752.

(32)  G. Beccaria, Della Elettricità Terrestre Atmosferica a Cielo Sereno, Torino 1775.

(33) C. A. Coulomb, De la quantité d’électricité qu’un corps isolé perd dans un temps donné, soit par le contact de l’air plus o moins humide, soit le long des soutiens plus ou moins idio-électriquesMémoires de l’Académie Royale des Sciences, 1785.

(34) Peltier,  A.,  Récherches  sur  la cause  des  phénomènes électriques  de 
l’atmosphère
Ann.Chim.Phys., 4, 385.

(35) William Thomson, (Kelvin), On atmospheric electricityRoy. Inst. Lect:  Papers on Electrostatics and Mag. 1860.

(36) William Thomson (Kelvin), On a self-acting apparatus for multiplying and maintaining electric charges, with applications to illustrate the voltaic theory, Proceedings of the Royal Society of London, vol. 16, pp. 67-72, 20 June 1867.

        Illustro in breve l’apparato inventato da Kelvin, riportando un disegno che lo rappresenta.

Il water-dropping condenser di Kelvin

        Lo strumento utilizzava delle gocce d’acqua in caduta per generare differenze di potenziale mediante l’induzione elettrostatica che si produce fra sistemi carichi connessi tra loro.

        L’oggetto carico positivamente attira per induzione l’eccesso degli ioni negativi sulla punta della pipetta di modo che ogni goccia che cade trasporta sempre una carica negativa. E’ interessante notare che l’oggetto carico positivamente non perde la sua carica perché l’energia è tutta creata dal lavoro che la gravità fa nel tirare giù le goccioline negative dalla pipetta. Naturalmente si può invertire il segno dell’oggetto carico e si invertirà quello della carica delle goccioline.

         Lo strumento di Kelvin, rappresentato schematicamente nella figura seguente, ha due sgocciolatoi non metallici che fanno passare le gocce attraverso degli anelli metallici carichi di segno opposto (ai quali serve solo fornire una carica all’inizio del processo) collegati a croce con i due recipienti conduttori ma isolati dal suolo che raccolgono le gocce in caduta.

Il water-dropping condenser nel disegno originale di Kelvin. Si noti che i recipienti per raccogliere le cariche sono qui collegati a due bottiglie di Leyden.

        Le gocce d’acqua che cadono saranno cariche (debolmente) di segno opposto e passeranno attraverso gli anelli. Per induzione elettrostatica, uelle che passeranno attraverso l’anello negativo diventeranno ioni H3O+ (ione idrossonio) e quelle che passeranno attraverso l’anello positivo diventeranno ioni OH– (ione ossidrile). Le cariche vanno quindi a finire sull’anello connesso al recipiente opposto attraendo ancora più cariche. Il risultato è una moltiplicazione degli effetti perché gli anelli diventano sempre più carichi mano a mano che cadono le gocce (ciascun raccoglitore di carica è anche induttore di carica per l’altro raccoglitore). Lo strumento usato da Kelvin faceva passare 100 gocce d’acqua per ogni sgocciolatoio in sei secondi e forniva differenze di potenziale tra i due recipienti di raccolta di 20 mila volt (da misurare con un kilovoltmetro ad alta impedenza date le basse correnti in gioco). Il processo continua fino a quando non scocca una scintilla tra i due recipienti di raccolta.

Il collegamento del water droper di Kelvin con un elettrometro di Peltier.

I grafici degli andamenti del campo elettrico terrestre in un giorno di calma atmosferica ed in un giorno di mal tempo (Kew 1863). I dati sono fotografati come Kelvin riuscì ad ottenere.

        La misura della carica atmosferica, come mostrato nella penultima figura, avviene attraverso la misura della carica che l’aria trasferisce al recipiente d’acqua situato sopra il laboratorio. Quest’acqua è inviata ad un water droper che è collegato, come mostra la figura all’elettrometro Peltier.

(37) E’ da notare che ci furono presto coloro che ripresero l’idea di Loomis e pensarono alla possibilità di sfruttare commercialmente l’energia elettrica dell’atmosfera e dei fulmini. Nei primi anni del Novecento lo strano inventore e fisico serbo, poi americano (personaggio che a me non è mai piaciuto), Nikola Tesla (1856-1943) e l’inventore estone Hermann Plauson si associarono. Tesla ebbe l’idea e Plauson progettò la macchina di figura seguente che, si potrà osservare, è la stessa progettata molti anni prima da Loomis (anche qui ne tralascio l’illustrazione).

(38)  W. Linss, Meteorol. Zeitschr., 4. p. 352. 1887.

(39) H. H. Hoffert, Intermittent Lightning-Flashes, Proc. Phys. Soc. London 10 176-180, 1888. Anche su Phil. Mag., 18:106-109, 1889.

(40) J. Elster, H. Geitel, Uber den electrischen Vorgang in den produced homogeneously throughout the particle. Loss is calculated in. Gewitterwolken, Weidemann’s Ann. Phys. Chem. 25, 116. 1885.  

(41) J. Elster, H. Geitel, Über die Existenz elektrischer Ionen in der Atmosphäre, Terrestr. Magazin. 4. 1899. Ed anche  Phys. Zeit. 1, 245, 1899.

(42) J.J. Thomson, On the Masses of the Ions in Gases at Low PressuresPhilosophical Magazine, Series 5, Vol. 48, No. 295, p. 547-567,  December 1899.

(43) C. T. R.Wilson, Proc. Camb. Phil. Soc., 8, 306, May 1895.
C.T.R. Wilson, The Effect of Rontgen’s Rays on Cloudy CondensationProc. R. Soc. Lond., January 1, 59 :338-339; 1895.

(44)  C.T.R. Wilson, Condensation of Water Vapour in the Presence of Dust-Free Air and Other GasesPhilosophical Transactions of the Royal Society of London A 189, 265-307, 1897. [Communicated to the Royal Society in March 1896].

(45) C. T. R. Wilson, On the production of a cloud by the action of ultra-violet light on moist airProceedings of the Cambridge Philosophical Society, 9, pp. 392-393, 1898.
C.T.R. Wilson, On the Condensation Nuclei Produced in Gases by the Action of Rontgen Rays, Uranium Rays, Ultra-Violet Light, and Other Agents, Phil. Trans. Roy. Soc. Lond. A 192:403-453, 1899.
C.T.R. Wilson,On the Comparative Efficiency as Condensation Nuclei of Positively and Negatively Charged Ions, Phil. Trans. R. Soc. Lond., A January 1,  A 193, 289, 1900.

(46) Alfred Wegener, Thermodynamik der Atmosphäre, Leipzig, J. A. Barth, 1911.

(47) Frank W. Verys, The radiant properties of the earth from the standpoint of atmospheric thermodynamics,  Occasional scientific papers of the Westwood Astrophysical Observatory, 1919.


BIBLIOGRAFIA

(1) H. M. Leicester – Storia della chimica – ISEDI 1978.

(2)  F. De Notaristefani – Dispense di fisica terrestre – Università di Roma, a.a. 1968-1969.

(3) Louis J. Battan – Violenze dell’atmosfera. La fisica delle tempeste – Zanichelli 1967.

(4) Guido Visconti – L’atmosfera – Garzanti 1989.

(5) Clyde Orr jr. – Il regno dell’atmosfera – Mondadori 1963.

(6) E. Bernacca – Che tempo farà – Mondadori 1971



Categorie:Fisica

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