QUALCHE INTERVENTO USA

ARGENTINA 1890

Protezione degli interessi di Buenos Aires.

CILE 1891

I marines si scontrano con i ribelli nazionalisti.

HAITI 1891

Sconfitta della rivolta dei lavoratori neri sull’isola Navassa, reclamata dagli USA.

IDAHO 1892

L’esercito reprime lo sciopero dei minatori dell’argento.

HAWAII  1983-(?)

Il regno indipendente è rovesciato e le isole sono annesse.

CHICAGO 1894

Repressione dello sciopero dei ferrovieri, 34 morti.

NICARAGUA 1894

Per un mese viene occupata Bluefields.

CINA 1894-95

Sbarchi dei marines durante la guerra Sino-Giapponese.

COREA 1894-1896

I marines sono di stanza a Seul durante la guerra.

PANAMA 1895
 I marines sbarcano nella provincia colombiana.

NICARAGUA 1896
I marines sbarcano nel porto di Corinto.

CINA 1898-1900
 La rivolta dei Boxer è repressa da eserciti stranieri.

FILIPPINE 1898-1910(?)
 Sottratte agli spagnoli. Uccisi 600.000 filippini.

CUBA 1898-1902(?)
Sottratta agli spagnoli. Insediamento di una base della Marina.

PORTORICO 1898-(?)
 Sottratto agli spagnoli. L’occupazione continua.

GUAM 1898-(?)
 Sottratta agli spagnoli. Ancora usata come base.

MINNESOTA 1898-(?)
 L’esercito si scontra con i Chippewa presso Leech Lake.

NICARAGUA 1898
 I marines sbarcano nel porto di San Juan del Sur.

SAMOA 1899-(?)
 Battaglia per la successione al trono.

NICARAGUA 1899
 I marines sbarcano nel porto di Bluefields.

IDAHO 1899-1901
 L’esercito occupa la regione mineraria di Coeur d’Alene.

OKLAHOMA 1901
 L’esercito si scontra con gli indiani Creek in rivolta.

PANAMA 1901-1914
Separazione dalla Colombia 1903, annessione della zona del canale 1914-1999.

HONDURAS 1903
 I marines intervengono nella rivoluzione.

REPUBBLICA DOMINICANA 1903-1904
 Protezione degli interessi statunitensi durante la rivoluzione.

COREA 1904-1905
 Sbarchi dei marines durante la guerra russo-giapponese.

CUBA 1906-1909
 Sbarchi dei marines durante le elezioni democratiche.

NICARAGUA 1907
 Si installa un protettorato della “Diplomazia del dollaro”.

HONDURAS 1907
 Sbarco dei marines durante la guerra contro il Nicaragua.

PANAMA 1908
 I marines intervengono durante il confronto elettorale.

NICARAGUA 1910
 Sbarco dei marines a Bluefield e Corinto.

HONDURAS 1991
 Protezione degli interessi statunitensi durante la guerra civile.

CINA 1911-1941
 Occupazione e scontri.

CUBA 1912
 Protezione degli intereressi statunitensi all’Havana.

PANAMA 1912
 I marines sbarcano durante un periodo elettorale infuocato.

HONDURAS 1912
 I marines proteggono gli interessi economici statunitensi.

NICARAGUA 1912-1933
 20 anni di occupazione con bombardamenti e contro-guerriglia.

MESSICO 1913
 Evacuazione degli americani durante la rivoluzione.

REPUBBLICA DOMINICANA 1914
 Lotta contro i ribelli per Santo Domingo.

PANAMA 1908
 I marines intervengono durante il confronto elettorale.

NICARAGUA 1910
 Sbarco dei marines a Bluefield e Corinto.

HONDURAS 1991
 Protezione degli interessi statunitensi durante la guerra civile.

CINA 1911-1941
 Occupazione e scontri.

CUBA 1912
 Protezione degli intereressi statunitensi all’Havana.

PANAMA 1912
 I marines sbarcano durante un periodo elettorale infuocato.

HONDURAS 1912
 I marines proteggono gli interessi economici statunitensi.

NICARAGUA 1912-1933
 20 anni di occupazione con bombardamenti e contro-guerriglia.

MESSICO 1913
 Evacuazione degli americani durante la rivoluzione.

REPUBBLICA DOMINICANA 1914
 Lotta contro i ribelli per Santo Domingo.

COLORADO 1914
 Soffocamento dello sciopero dei minatori con l’esercito.

MESSICO 1914-1918
 Serie di interventi contro i nazionalisti.

HAITI 1914-1934
 19 anni di occupazione e bombardamenti in seguito alle rivolte.

REPUBBLICA DOMINICANA 1916-1924
 8 anni d’occupazione dei marines.

CUBA 1917-1933
 Occupazione militare, protettorato economico.

PRIMA GUERRA MONDIALE 1917-1918
 Affondamento di navi (gli Usa inventano il Lusitania), guerra contro la Germania.

RUSSIA 1918-1922
 5 sbarchi per contrastare i bolscevichi

PANAMA  1918-1920
 “Azioni di polizia” durante i disordini post-elettorali.

JUGOSLAVIA 1919
 I marines intervengono a favore dell’Italia contro i serbi in Dalmazia.

HONDURAS 1919
 Sbarco dei marines durante la campagna elettorale.

GUATEMALA 1920
 Intervento di due settimane contro i sindacalisti.

VIRGINIA OCCIDENTALE 1920-1921
 L’esercito interviene contro i minatori ed addirittura bombarda

TURCHIA 1922
 Combattimenti contro i nazionalisti a Smirne (Izmir).

CINA 1922-1927
 Spiegamento di forze durante la rivolta nazionalista.

HONDURAS 1924-1925
 2 sbarchi durante lo scontro elettorale.

PANAMA 1925
 I marines soffocano lo sciopero generale.

CINA 1927-1934
 Marines di stanza in tutto il paese.

EL SALVADOR 1932
 Invio di navi da guerra durante la rivolta di Farabundo Martí.

WASHINGTON 1932
 L’esercito blocca la protesta dei veterani della prima guerra mondiale che reclamano la gratifica straordinaria.

SECONDA GUERRA MONDIALE 1941-1945
Molti studiosi iniziano ad indagare Pearl Harbor come uno strumento per intervenire. prima guerra nucleare.

PORTORICO 1950
Operazione di commando
Repressione della rivolta indipendentista a Ponce.

COREA 1950-1953
minaccia atomica nel 1950, e vs. Cina nel 1953.

IRAN 1953
Operazione di commando
La CIA rovescia la democrazia e installa lo scià.

VIETNAM 1954
 Minaccia nucleare
Vengono offerte alla Francia bombe da usare contro l’assedio.

GUATEMALA 1954
Operazione di commando, bombardamenti, minaccia nucleare
La CIA dirige l’invasione degli esiliati in seguito alla nazionalizzazione di terre di imprese statunitensi da parte del nuovo governo; le basi dei bombardieri sono in Nicaragua.

EGITTO 1956
Minaccia nucleare
Si intima ai sovietici di tenersi fuori dalla crisi del canale di Suez; i marines evacuano gli stranieri

LIBANO 1958
 Occupazione dei marines contro i ribelli.

IRAQ 1958
Minaccia nucleare
Avvertimento all’Iraq perché non invada il Kuwait.

CINA1958

Minaccia nucleare
Si intima alla Cina di non procedere contro Taiwan.

PANAMA 1958
 La protesta delle bandiere sfocia in confronti.

VIETNAM 1960-1975
Invenzione del Tonchino. Guerra contro il Vietnam del Sud e il Vietnam del Nord; 1-2 milioni di morti nella guerra più lunga degli Stati Uniti; minaccia atomica nel 1968 e 1969.

CUBA 1961
Operazione di commando
L’invasione degli esiliati diretta dalla CIA fallisce.

GERMANIA 1961
Minaccia nucleare
Allerta durante la crisi del muro di Berlino.

CUBA 1962
Minaccia nucleare,
Blocco navale durante la crisi dei missili; quasi-guerra con l’URSS.

LAOS 1962
Operazione di commando
Incremento di forze militari durante la guerriglia.

PANAMA 1964
 Alcuni panamensi che sollecitano la restituzione del canale sono uccisi.

INDONESIA 1965
Operazione di commando
Un milione di vittime nel colpo di stato militare assistito dalla CIA.

REPUBBLICA DOMINICANA 1965-1966
Bombardamenti
Sbarco dei marines durante la campagna elettorale.

GUATEMALA 1966-1967
Operazione di commando
I Berretti Verdi intervengono contro i ribelli.

DETROIT 1967
 L’esercito si scontra con la popolazione di colore, 43 vittime.

STATI UNITI 1968
 Dopo l’assassinio di M.L. King; più di 21.000 soldati mantengono l’ordine nelle varie città.

CAMBOGIA 1969-1975
Bombardamenti, truppe, navi
Circa 2 milioni di morti in una decade di bombardamenti, fame, e caos politico.

OMAN 1970
Operazione di commando
Gli USA dirigono l’invasione della marina iraniana.

LAOS 1971-1973
Operazione di commando, bombardamenti
Gli USA dirigono l’invasione sud-vietnamita; bombardamenti a tappeto della campagna.

SUD DAKOTA 1973
Operazione di commando
L’esercito dirige l’assedio di Wounded Knee occupata dagli indiani Lakota.

MEDIORIENTE 1973
Minaccia nucleare. Allerta mondiale durante la guerra mediorientale.

CILE 1973
Operazione di commando
Il colpo di stato spalleggiato dalla CIA depone il presidente  Allende eletto in democratiche elezioni

CAMBOGIA 1975
Bombardamenti
Nave catturata con l’impiego di gas tossici, 28 vittime di un incidente di elicottero.

ANGOLA 1976-1992
Operazione di commando. La CIA aiuta i ribelli appoggiati dal Sud Africa.

IRAN 1980
Minaccia nucleare, tentativo fallito di bombardamento
Raid per liberare gli ostaggi dell’ambasciata; 8 soldati muoiono nell’incidente di elicottero. Minacce all’Unione Sovietica perché non appoggi la rivoluzione.

LIBIA 1981
Navi, aerei
Due jet libici sono abbattuti durante le manovre navali.

EL SALVADOR 1981-1992
Operazione di commando
Consiglieri, controllo aereo in aiuto alla guerra contro i ribelli, soldati coinvolti in un breve scontro con ostaggi.

NICARAGUA 1981-1990
Operazione di commando
La CIA dirige l’invasione degli esiliati (Contras), colloca mine nei porti contro la rivoluzione.

LIBANO 1982-1984
Navi, bombardamenti, truppe
I marines espellono l’OLP e appoggiano i falangisti, la marina bombarda le posizioni musulmane e siriane.

HONDURAS 1983-1989
 Le manovre permettono di costruire basi vicino ai confini.

GRENADA 1983-1984
 Invasione 4 anni dopo la rivoluzione.

IRAN 1984
 Due aerei iraniani sono abbattuti nel Golfo Persico.

LIBIA 1986
Bombardamenti, navi. Attacchi aerei per rovesciare il governo nazionalista.

BOLIVIA 1986
 L’esercito dirige i raids nella regione della cocaina.

IRAN 1987-1988
Navi, bombardamenti
Gli USA intervengono a lato dell’Iraq nella guerra tra i due paesi.

LIBIA 1989
Abbattimento di due aerei libici.

ISOLE VERGINI 1989
 Disordini tra la polazione nera di St. Croix dopo l’uragano: intervento dei marines

FIILIPPINE 1989
 Copertura aerea fornita al governo contro il colpo di stato.

PANAMA 1989-1990
Bombardamenti. Il governo nazionalista è rovesciato da 27.000 soldati, i leaders sono arrestati, le vittime sono più di 2000.

LIBERIA 1990
 Evacuazione degli stranieri durante la guerra civile.

ARABIA SAUDITA 1990-1991
 Offensiva contro l’Iraq in risposta all’invasione del Kuwait; 540,000 soldati di stanza in Oman, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Israele.

IRAQ 1990-?
Bombardamenti, truppe, navi
Blocco navale dei porti iracheni e giordani, attacchi aerei; più di 200.000 morti nell’invasione di Iraq e Kuwait; zona no-fly nel Nord curdo e nel Sud sciita, distruzione in larga-scala della forza militare irachena.

KUWAIT 1991
Navi, bombardamenti, truppe
La famiglia reale kuwaitiana è ristabilita sul trono.

LOS ANGELES 1992
 L’esercito e la marina spiegati contro la rivolta anti-polizia.

SOMALIA 1992-1994
Occupazione delle Nazioni Unite guidate dagli USA durante la guerra civile; raids contro una fazione a Mogadiscio.

YUGOSLAVIA 1992-1994
 Blocco navale della Nato su Serbia e Montenegro.

BOSNIA 1993-95
Aerei, bombardamenti
Pattugliamento della zona no-fly zone durante la guerra civile; abbattimento di aerei, bombardamenti dei serbi.

HAITI 1994-96
Blocco navale contro il governo militare; le truppe riportano in carica il presidente Aristide a tre anni dal colpo di stato.

CROAZIA 1995
Bombardamenti
Attacco agli aereoporti della Krajina serba prima dell’offensiva croata.

ZAIRE (CONGO) 1996-97
 Marines nei campi profughi degli Hutu ruandesi, nella zona dove ha inizio la rivoluzione del Congo.

ALBANIA 1997
 Soldati sotto tiro durante l’evacuazione degli stranieri.

SUDAN 1998
Missili. Attacco di una fabbrica farmaceutica accusata di produrre gas nervino per i terroristi.

AFGANISTAN 1998
Missili. Attacco ad un ex campo di addestramento della CIA usato da gruppi di fondamentalisti islamici accusati di aver attaccato le ambasciate.

IRAQ 1998-?
Bombardamenti, missili
Quattro giorni di attacchi aerei intensivi dopo che gli ispettori per gli armamenti hanno accusato di ostruzionismo gli iracheni.

YUGOSLAVIA 1999-?
Bombardamenti, missili
Pesanti attacchi aerei dopo il rifiuto della Serbia di ritirarsi dal Kossovo.

MACEDONIA 2001

Le truppe della NATO trasferiscono e disarmano parzialmente i ribelli albanesi.

AFGANISTAN 2001
Massiccia mobilitazione degli USA per attaccare i Taliban e Bin Laden. LA guerra potrebbe estendersi all’Iraq, al Sudan e oltre. (I primi bombardamenti sono iniziati il 7 ottobre 2001. Molte città afgane sono sottoposte a attacchi aerei. La storia continua).  

IRAQ 2003


Una breve storia degli interventi degli Stati Uniti, dal 1945 al presente

di William Blum

La macchina della politica estera americana è stata alimentata non da una devozione a qualsivoglia tipo di moralità, ma piuttosto dalla necessità di servire altri imperativi, che possono essere riassunti qui di seguito:
1) rendere il mondo sicuro per le multinazionali americane;
2) abbellire i rendiconti finanziari degli imprenditori della difesa a casa che hanno contribuito generosamente nei confronti di membri del congresso;
3) impedire il sorgere di qualsiasi società che possa fare da esempio riuscito di un modello alternativo a quello capitalista;
4) estendere l’egemonia politica ed economica su di un’area la più ampia possibile, come si addice ad una “grande potenza”.
Tutto questo in nome di combattere una supposta crociata morale contro ciò che freddi guerrieri si sono convinti essere, e hanno convinto il popolo americano, l’esistenza di una malvagia Cospirazione Comunista Internazionale, che in realtà non è mai esistita, malvagia o no.
Gli Stati Uniti sono intervenuti in modo estremamente grave in più di 70 nazioni in questo periodo. Tra queste vi sono le seguenti:
Cina 1945-49: intervenuti in una guerra civile, prendendo le parti di Chiang Kai-shek contro i comunisti, anche se gli ultimi erano stati nella guerra mondiale un alleato degli Stati Uniti più vicino. Gli Stati Uniti si servirono dei soldati giapponesi sconfitti per combattere dalla loro parte. I comunisti costrinsero Chiang a scappare a Taiwan nel 1949.
Usando ogni trucco disponibile, gli USA interferirono nelle elezioni per impedire al Partito Comunista di assumere il potere in modo legale e onesto. Questa perversione della democrazia fu fatta in nome del “salvare la democrazia” in Italia. I Comunisti persero. Per i successivi decenni, la CIA, insieme con le multinazionali americane, continuò ad intervenire nelle elezioni italiane, versando centinaia di milioni di dollari e molta guerra psicologica per bloccare lo spettro che stava tormentando l’Europa.
Grecia 1947-49: intervenuti in una guerra civile, prendendo le parti dei neofascisti contro la sinistra greca che aveva combattuto i nazisti coraggiosamente. I neofascisti vinsero e istituirono un regime molto brutale, per il quale la CIA creò una nuova agenzia di sicurezza interna, KYP. Nel giro di poco, la KYP stava portando a termine ovunque tutte le accattivanti pratiche di polizia segreta, inclusa la tortura sistematica.
Filippine 1945-53: le forze armate USA combatterono contro le forze di sinistra (Huks) anche mentre gli Huks stavano ancora combattendo contro gli invasori giapponesi. Dopo la guerra, gli USA continuarono la loro lotta contro gli Huks, sconfiggendoli, e poi installando una serie di fantocci come presidente, culminando nella dittatura di Ferdinando Marcos.
Corea del Sud 1945-53: dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti soppressero le popolari forze progressiste in favore dei conservatori che avevano collaborato con i giapponesi. Questo portò ad una lunga era di governi corrotti, reazionari e brutali.
Albania 1949-53: gli USA e la Gran Bretagna cercarono di rovesciare il governo comunista e installarne uno nuovo che sarebbe stato pro-occidentale e composto in larga misura da monarchici e collaboratori dei fascisti italiani e dei nazisti.
Germania anni 50: la CIA orchestrò un’ampia campagna di sabotaggio, terrorismo, trucchi sporchi e guerra psicologica contro la Germania dell’Est. Questo fu uno dei fattori che portarono alla costruzione del muro di Berlino nel 1961.
Iran 1953: il Primo Ministro Mossadegh fu destituito in un’operazione congiunta USA e Britannica. Mossadegh era stato eletto da una larga maggioranza del parlamento, ma aveva commesso il fatale errore di guidare il movimento per la nazionalizzazione di una ditta di petrolio di proprietà britannica, la sola industria petrolifera operante in Iran. Il colpo di stato ripristinò a potere assoluto la Shah e iniziò un periodo di 25 anni di repressione e tortura, con l’industria petrolifera restituita a proprietà straniera, come segue: la Gran Bretagna e gli USA, ciascun il 40%, altre nazioni il 20%.
Guatemala 1953- anni 90: un colpo di stato organizzato dalla CIA rovesciò il governo democraticamente eletto e progressista di Jacobo Arbenz, dando inizio a 40 anni di squadroni della morte, torture, sparizioni, esecuzioni di massa, e crudeltà inimmaginabili, per un totale di 100.000 vittime -indiscutibilmente uno dei capitoli più disumani del ventesimo secolo. Arbenz aveva nazionalizzato la ditta USA, United Fruit Company, che aveva legami strettissimi con l’élite di potere americana. Come giustificazione per il colpo di stato, Washington dichiarò che il Guatemala era stato sul punto di essere occupato dai sovietici, quando in realtà i russi avevano così poco interesse per il paese che non avevano neppure mantenuto relazioni diplomatiche. Il vero problema agli occhi di Washington, oltre alla United Fruit, era il pericolo che la democrazia sociale del Guatemala potesse estendersi ad altri paesi dell’America Latina.
Medio Oriente 1956-58: la Dottrina di Eisenhower affermava che gli Stati Uniti “sono pronti ad usare le forze armate per assistere” qualsiasi paese del Medio Oriente “che richieda assistenza contro l’aggressione armata da qualsiasi paese controllato dal comunismo internazionale”. La traduzione inglese di questo era che a nessuno era permesso dominare o avere un’influenza eccessiva sul medio oriente e sui suoi campi di petrolio eccetto agli Stati Uniti e che chiunque ci avesse provato sarebbe stato per definizione “comunista”. Attenendosi a questa politica, gli Stati Uniti cercarono due volte di rovesciare il governo siriano, misero in scena diverse dimostrazioni di forza nel Mediterraneo per intimidire i movimenti oppositori dei governi appoggiati dagli USA in Giordania ed in Libano, fecero atterrare 14.000 truppe in Libano e cospirarono per la destituzione o l’assassinio di Nasser d’Egitto e del suo problematico nazionalismo medio-orientale.
Indonesia 1957-58: Sukarno, come Nasser, era il tipo di leader del Terzo Mondo che gli Stati Uniti non potevano sopportare. Egli prese l’essere neutrale nella guerra fredda seriamente, facendo viaggi in Unione Sovietica e in Cina (sebbene anche alla Casa Bianca). Nazionalizzò molte holding private di olandesi, l’ex potenza coloniale. E si rifiutò di dare un giro di vite al partito comunista indonesiano, che stava percorrendo la strada legale e pacifica e otteneva impressionanti successi elettorali. Tali politiche potevano benissimo dare ad altri leader del Terzo Mondo delle “idee sbagliate”. Quindi fu la CIA che iniziò a gettare denaro nelle elezioni, a tramare l’assassinio di Sukarno, che cercò di ricattarlo con un falso film di sesso, e unì le forze con ufficiali militari dissidenti per muovere una guerra a larga scala contro il governo. Sukarno sopravvisse.
Guyana Britannica/Guyana, 1953-64: Per 11 anni, due delle più vecchie democrazie del mondo, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, arrivarono al punto di impedire ad un leader democraticamente eletto di occupare la sua carica. Cheddi Jagan era un altro leader del Terzo Mondo che cercò di rimanere neutrale e indipendente. Fu eletto tre volte. Sebbene di sinistra – più di Sukarno o Arbenz- le sue politiche in carica non erano rivoluzionarie. Ma ciò nonostante era un uomo marchiato poiché rappresentava la più grande paura di Washington: costruire una società che poteva essere un esempio riuscito di un modello alternativo al capitalismo. Utilizzando un’ampia varietà di tattiche – da scioperi generali e disinformazione a terrorismo e legalismi britannici, gli USA e la Gran Bretagna alla fine si liberarono di Jagan nel 1964. John F.Kennedy dette l’ordine diretto per la sua espulsione, così come, presumibilmente, aveva fatto Eisenhower.
Uno dei paesi più ricchi nella regione sotto Jagan, la Guyana, con gli anni 80, era uno dei più poveri. La sua principale esportazione divennero le persone.
Vietnam, 1950-73: La discesa scoscesa iniziò con lo schierarsi con la Francia, ex colonizzatori e collaboratori dei giapponesi, contro Ho Chi Minh ed i suoi seguaci che avevano lavorato a fianco degli sforzi di guerra degli Alleati e ammiravano tutte le cose americane. Ho Chi Minh era, dopo tutto, un tipo di comunista. Aveva scritto diverse lettere al presidente Truman e al Dipartimento di Stato chiedendo l’aiuto dell’America per vincere l’indipendenza vietnamita dai francesi e trovare una soluzione pacifica per il suo paese. Tutte le sue implorazioni furono ignorate. Perché era un tipo di comunista. Ho Chi Minh modellò la nuova dichiarazione di indipendenza vietnamita sulla base di quella americana, cominciando con “Tutti gli uomini sono creati uguali. Essi sono dotati dal Creatore di …” Ma questo non contava niente a Washington. Ho Chi Minh era un certo tipo di comunista.
Ventitré anni, e più di un milione di morti, gli Stati Uniti ritirarono le proprie forze militari dal Vietnam. La maggioranza delle persone dice che gli USA persero la guerra. Ma distruggendo il Vietnam fino al midollo, e avvelenando la terra e il gruppo genetico, Washington aveva in realtà ottenuto il suo scopo principale: prevenire ciò che poteva essere stato il sorgere di un’alternativa di buon sviluppo per l’Asia. Ho Chi Minh era, dopo tutto, un certo tipo di comunista.
Cambogia 1955-1973: Il principe Sihanouk, un altro leader che non desiderava essere un cliente americano. Dopo molti anni di ostilità verso il suo regime, inclusi piani di assassinio e gli ignobili Nixon/Kissinger “bombardamenti a tappeto” segreti del 1969-70, Washington alla fine destituì Sihanouk in un colpo di stato del 1970. Questo era tutto ciò che era necessario per spingere Pol Pot e le sue forze Khmer rosse ad entrare nella rissa. Cinque anni dopo, presero il potere. Ma cinque anni di bombardamenti americani avevano provocato la sparizione dell’economia tradizionale della Cambogia. La vecchia Cambogia era stata distrutta per sempre.
Incredibilmente, i Khmer rossi dovevano infliggere una miseria anche più grande a questo paese infelice. Per aggiungere dell’ironia, gli Stati Uniti appoggiarono Pol Pot, militarmente e diplomaticamente, dopo la loro seguente sconfitta con i vietnamiti.
Congo/Zaire 1960-65: Nel giugno del 1960, Patrice Lumumba divenne il primo ministro del Congo dopo l’indipendenza dal Belgio. Ma il Belgio trattenne la sua vasta ricchezza mineraria nella provincia di Katanga, ed i prominenti ufficiali dell’amministrazione Eisenhower avevano legami finanziari con la stessa ricchezza e Lumumba, alle cerimonie del giorno dell’indipendenza di fronte ad una massa di dignitari stranieri, richiese l’economia della nazione così come la sua liberazione politica e narrò di una lista di ingiustizie contro i nativi perpetrate dai proprietari bianchi del paese. Il povero uomo era ovviamente condannato.
Undici giorni dopo, la provincia di Katanga si staccò, Lumumba fu destituito a settembre dal presidente su istigazione degli Stati Uniti, e nel gennaio del 1961 fu assassinato su espressa richiesta di Dwight Eisenhower. Seguirono diversi anni di conflitto civile e caos e l’ascesa al potere di Mobutu Sese Seko, un uomo non sconosciuto alla CIA. Mobutu continuò a governare il paese per più di 30 anni, con un livello di corruzione e di crudeltà che sbalordì anche i suoi manovratori della CIA. La popolazione dello Zaire visse in povertà abietta nonostante l’abbondante ricchezza naturale, mentre Mobutu divenne un multimiliardario.
Brasile 1961-64: il Presidente Joao Goulart era colpevole dei soliti crimini: prese una posizione indipendente in politica estera, restaurando rapporti con i paesi socialisti e opponendo le sanzioni contro Cuba; la sua amministrazione passò una legge che limitava l’ammontare dei profitti che le multinazionali potevano inviare al di fuori del paese; una sussidiaria di ITT venne nazionalizzata; egli promosse riforme economiche e sociali. E il procuratore generale Robert Kennedy si trovò a disagio di fronte a Goulard che permetteva ai “comunisti” di occupare posizioni nelle agenzie di governo. Tuttavia l’uomo non era un radicale. Era un proprietario terriero miliardario e un cattolico che indossava una medaglia della Vergine al collo. Ciò, tuttavia, non fu abbastanza a salvarlo. Nel 1964, fu destituito in un colpo di stato militare che aveva un profondo, segreto coinvolgimento americano. La linea ufficiale di Washington fu … sì, è una sfortuna che la democrazia sia stata rovesciata in Brasile… ma, ciò nonostante, il paese è stato salvato dal comunismo.
Per i successivi 15 anni, tutte le caratteristiche della dittatura militare che l’America Latina conobbe e amò furono istituite: il Congresso fu chiuso, l’opposizione politica fu ridotta a estinzione virtuale, l’habeas corpus per “crimini politici” fu sospeso, la critica al presidente fu vietata per legge, gli uomini del governo presero il controllo dei sindacati dei lavoratori, alle crescenti proteste si rispose con la polizia e lo sparare dei militari sulle folle, le case dei contadini furono bruciate, i preti brutalizzati … sparizioni, squadroni delle morte, un livello e una depravazione notevole di tortura… il governo aveva un nome per il suo programma: la “riabilitazione morale” del Brasile.
Washington era molto compiaciuto. Il Brasile ruppe le relazioni con Cuba e divenne uno degli alleati più affidabili degli Stati Uniti in America Latina.
Repubblica Dominicana, 1963-66: Nel febbraio del 1963, Juan Bosch assunse la carica come il primo presidente della Repubblica Dominicana eletto democraticamente dal 1924. Qui finalmente fu l’anticomunismo liberale di John F. Kennedy che contrastò l’accusa che gli USA appoggiavano solo dittature militari. Il governo di Bosch doveva essere la tanto cercata “dimostrazione di democrazia” che avrebbe smentito Fidel Castro. Gli fu dato un grandioso trattamento a Washington poco prima che assumesse la carica.
Bosch era fedele alle sue convinzioni. Egli richiese la riforma terriera; alloggi a basso affitto; modesta nazionalizzazione delle imprese; e investimento straniero purché non sfruttasse eccessivamente il paese; e altre politiche che costituivano il programma di ogni leader liberale del Terzo Mondo serio riguardo al cambiamento sociale. Era inoltre serio riguardo a quella cosa chiamata libertà civili: Comunisti, o quelli etichettati come tali, non dovevano essere perseguitati a meno che non violassero realmente la legge.
Un numero di ufficiali americani e uomini del congresso espressero il loro disagio con i piani di Bosch, e con la sua posizione di indipendenza dagli Stati Uniti. La riforma terriera e la nazionalizzazione sono sempre argomenti sensibili a Washington, roba di cui il “socialismo strisciante” è fatto. Da diverse parti della stampa USA Bosch venne canzonato come “rosso”.
A settembre, gli stivali militari cominciarono a marciare. Bosch era fuori. Gli Stati Uniti, che potrebbero scoraggiare un colpo di stato militare in America Latina con un battito di ciglia, non fecero niente.
Diciannove mesi più tardi, scoppiò una rivolta che prometteva di riportare l’esiliato Bosch al potere. Gli Stati Uniti mandarono 23.000 truppe per aiutare a soffocarla.
Cuba 1959 fino ad oggi: Fidel Castro arrivò al potere all’inizio del 1959. Una riunione del Consiglio di Sicurezza USA del 10 marzo del 1959 incluse nell’agenda la possibilità di portare “al potere a Cuba un altro governo”. Seguirono 40 anni di attacchi terroristici, bombardamenti, invasione militare su piena scala, sanzioni, embarghi, isolamento, assassini … Cuba aveva portato a termine la Rivoluzione Imperdonabile, una minaccia molto grave di stabilire un “buon esempio” in America Latina.
La parte più triste di questo è che il mondo non saprà mai che tipo di società Cuba avrebbe potuto produrre se lasciata sola, se non costantemente sotto tiro e sotto la minaccia dell’invasione, se le fosse stato permesso di rilassare il suo controllo a casa. L’idealismo, la visione, il talento, l’internazionalismo erano tutti lì. Ma non lo sapremo mai. E questa certo era l’idea.
Indonesia 1965: Una serie complessa di eventi, che coinvolgevano un supposto tentativo di colpo di stato, un contro-colpo, e forse un contro-contro-colpo, con le impronte digitali americane visibili in vari punti, risultò nell’espulsione dal potere di Sukarno e la sua sostituzione attraverso un colpo di stato militare con il generale Suharto. Il massacro che iniziò immediatamente – di comunisti, simpatizzanti comunisti, sospetti comunisti, simpatizzanti sospetti comunisti, e nessuno di cui sopra – fu chiamato dal New York Times “uno dei più selvaggi assassini di massa della storia politica moderna”. Le stime del numero di uccisi nel corso di alcuni anni cominciano dal mezzo milione e arrivano ad oltre un milione.
Più tardi si venne a sapere che l’ambasciata USA aveva compilato delle liste di spie “comuniste”, dagli scaglioni alti ai quadri dei villaggi, circa 5.000 nomi, e consegnate al controllo dell’esercito, che in seguito dette la caccia a queste persone e le uccise. Gli americani poi spuntavano dalla lista i nomi di quelli che erano stati uccisi o catturati. “Fu proprio un grande aiuto per l’esercito. Probabilmente uccisero molte persone ed io probabilmente ho molto sangue sulle mie mani”, disse un diplomatico USA. “Ma non è tutto cattivo. C’è un tempo quando in un momento decisivo devi colpire duro “.
Cile, 1964-73: Salvador Allende era il peggiore scenario possibile per un imperialista di Washington. Poteva immaginare solo una cosa peggiore di un marxista al potere-un marxista eletto al potere, che onorava la costituzione e diventava sempre più popolare. Questo scosse le pietre fondanti sopra le quali la torre anticomunista fu costruita: la dottrina, coltivata scrupolosamente per decenni, che i “comunisti” possono prendere il potere solo attraverso la forza e l’inganno, che posso mantenerla solo attraverso il terrorizzare e il lavaggio del cervello della popolazione.
Dopo aver sabotato il tentativo elettorale di Allende nel 1964 e avendo fallito nel 1970, nonostante i loro migliori sforzi, la CIA ed il resto della macchina americana di politica estera non lasciarono nulla di intentato nel tentativo di destabilizzare il governo Allende nei seguenti tre anni, prestando particolare attenzione alla costruzione di un’ostilità militare. Alla fine, nel settembre del 1973, i militari rovesciarono il governo, con Allende che morì nel corso degli eventi.
Fu così che chiusero il paese al mondo esterno per una settimana, mentre i carri armati roteavano e i soldati buttavano giù le porte; gli stadi risuonarono con i suoni delle esecuzioni e i corpi si ammucchiavano lungo le strade e galleggiavano nel fiume; i centri di tortura aprirono per affari; i libri sovversivi furono gettati nei falò; i soldati fendevano i pantaloni delle donne, gridando che “In Cile le donne indossano abiti!”; i poveri ritornarono al loro stato naturale; e gli uomini del mondo a Washington e nelle aule della finanza internazionale aprirono i loro libri di controllo. Alla fine, più di 3.000 furono quelli giustiziati, migliaia ancora torturati o spariti.
Grecia 1964-74: Il colpo di stato militare ebbe luogo nell’aprile del 1967, proprio due giorni prima dell’inizio della campagna per le elezioni nazionali, elezioni che sembrava certo avrebbero riportato il veterano leader liberale George Papandreou alla carica di primo ministro. Papandreou era stato eletto nel febbraio del 1964 con l’unica maggioranza assoluta nella storia delle elezioni delle Grecia moderna. Le riuscite macchinazioni per spodestarlo erano iniziate subito, uno sforzo in comune della Royal Court, le forze militari greche e quelle americane insieme alla CIA di stazione in Grecia. Il colpo di stato del 1967 fu seguito immediatamente dalla tradizionale legge marziale, la censura, gli arresti, i pestaggi, la tortura e le uccisioni, un totale di 8.000 vittime nel primo mese. Questo fu accompagnato dall’ugualmente tradizionale dichiarazione che tutto ciò veniva fatto per salvare la nazione da una “presa di potere comunista”. Le influenze travianti e sovversive nella vita greca dovevano essere rimosse. Tra queste c’erano le minigonne, i capelli lunghi e i giornali stranieri; il frequentare la chiesa per i giovani era obbligatorio.
Fu, tuttavia, la tortura a marchiare più indelebilmente i sette anni di incubo greco. James Becket, un avvocato americano mandato in Grecia da Amnesty International, scrisse nel dicembre del 1969 che “una stima conservatrice porrebbe a non meno di duemila” il numero delle persone torturate, solitamente nei modi più raccapriccianti, spesso con equipaggiamento fornito dagli Stati Uniti.
Becket riportò ciò che segue:
Centinaia di prigionieri hanno ascoltato il piccolo discorso dell’ispettore Basil Lambrou, che siede dietro la sua scrivania su cui si trova il simbolo rosso, bianco e blu della mano stretta dell’aiuto americano. Egli cerca di dimostrare al prigioniero l’assoluta futilità della resistenza: “Ti rendi ridicolo pensando di fare qualcosa. Il mondo è diviso in due. Da quella parte ci sono i comunisti e da questa il mondo libero. I Russi e gli Americani, nessun altro. Che cosa siamo noi? Americani. Dietro a me c’è il governo, dietro il governo la NATO, dietro la NATO gli USA. Non puoi combatterci, siamo americani.”
George Papandreou non era un radicale. Egli era un tipo liberale anticomunista. Ma suo figlio Andreas, erede in linea diretta, quando era ancora piccolo alla sinistra del padre non aveva mascherato il suo desiderio di portare la Grecia fuori dalla guerra fredda e aveva messo in questione il rimanere nella NATO, o almeno come satellite degli Stati Uniti.
Timor Est, 1975 fino al presente: nel dicembre del 1975, l’Indonesia invase Timor Est, che si trova al confine est dell’arcipelago indonesiano e che aveva proclamato la propria indipendenza dopo che il Portogallo aveva abbandonato il controllo. L’invasione fu lanciata il giorno dopo che il presidente USA Gerald Ford ed il segretario di stato Henry Kissinger avevano lasciato l’Indonesia dopo avere dato a Suharto il permesso di usare armi americane, che, sotto la legge USA, non potevano essere usate per aggredire. L’Indonesia era lo strumento di maggior valore per Washington nell’Asia sudorientale.
Amnesty International stimò che al 1989, le truppe indonesiane, con lo scopo di annettere con la forza Timor Est, avevano ucciso 200.000 persone su di una popolazione tra i 600.000 e 700.000. Gli Stati Uniti appoggiarono consistentemente la pretesa dell’Indonesia su Timor Est (a differenza dell’ONU e dell’UE), e minimizzarono notevolmente il massacro, allo stesso tempo rifornendo l’Indonesia con armamenti militari e la formazione necessaria per eseguire il lavoro.
Nicaragua 1978-89: quando i Sandinisti rovesciarono la dittatura di Somoza nel 1978, era chiaro a Washington che essi potevano benissimo essere quella bestia tanto temuta -“un’altra Cuba”. Sotto il presidente Carter, i tentativi di sabotare la rivoluzione presero forme diplomatiche ed economiche. Sotto Reagan, la violenza fu il metodo prescelto. Per otto lunghi terribili anni, la popolazione del Nicaragua fu sotto l’attacco dell’esercito per procura di Washington, i Contras, formato dalle spietate Guardie Nazionali di Somoza e da altri sostenitori del dittatore. Era una guerra al massimo, che mirava a distruggere i programmi sociali ed economici progressisti del governo, bruciando scuole e cliniche mediche, violentando, torturando, minando i porti, bombardando e mitragliando a bassa quota. Questi erano i “combattenti per la libertà” di Ronal Reagan. Non ci sarebbe stata nessuna rivoluzione in Nicaragua.
Grenada 1979-84: che cosa porterebbe la nazione più potente del mondo ad invadere un paese di 110 mila abitanti? Maurice Bishop ed i suoi seguaci avevano assunto il potere in un colpo di stato del 1979, e sebbene le loro politiche effettive non erano rivoluzionarie come quelle di Castro, Washington era guidata ancora dalla sua paura di un'”altra Cuba”, in particolare quando le apparizioni pubbliche dei leader di Grenada in altri paesi della regione incontravano grande entusiasmo.
Le tattiche di destabilizzazione degli USA contro il governo di Bishop cominciarono ben presto dopo il colpo di stato e continuarono fino al 1983, distinguendosi per numerosi atti di disinformazione e di sporchi trucchi. L’invasione americana nell’ottobre del 1983 incontrò una resistenza minima, sebbene gli USA subirono la perdita di 135 persone tra morti e feriti; ci furono inoltre circa 400 vittime tra i grenadini e 84 tra i cubani, perlopiù lavoratori edili. Per quale concepibile scopo umano queste persone persero la loro vita non è stato rivelato.
Alla fine del 1984, si tennero delle elezioni discutibili appoggiate dall’amministrazione Reagan. Un anno più tardi, l’organizzazione per i diritti umani, Council on Hemispheric Affairs, riportò che la nuova forza di polizia di Grenada formata dagli USA e le forze anti-sommossa avevano acquisito una reputazione per la brutalità, gli arresti arbitrari e l’abuso d’autorità e stavano erodendo i diritti civili.
Nell’aprile del 1989, il governo pubblicò una lista di più di 80 libri la cui importazione veniva proibita. Quattro mesi dopo, il primo ministro sospese il parlamento per anticipare un minacciato voto di sfiducia, risultante da ciò che i suoi critici chiamarono “uno stile sempre più autoritario”.
Libia 1981-89: la Libia rifiutò di essere uno stato cliente appropriato di Washington nel Medio Oriente. Il suo leader, Muammar al-Qaddafi, era arrogante. Doveva essere punito. Aerei USA abbatterono due aerei libici in quello che la Libia riteneva il suo spazio aereo. Gli USA inoltre sganciarono bombe sul paese, uccidendo almeno 40 persone, inclusa la figlia di Qaddafi. Ci furono altri tentativi di uccidere l’uomo, operazioni per destituirlo, una grande campagna di disinformazione, sanzioni economiche e l’accusa alla Libia di essere dietro il bombardamento del Pan Am 103 senza nessuna valida prova.
Panama, 1989: i bombardieri pazzi di Washington colpiscono ancora. Dicembre 1989, una grande casa popolare a Panama City annientata, 15.000 persone rimaste senza casa. Contando diversi giorni di combattimento a terra contro le forze panamensi, qualcosa come 500 morti fu il conteggio ufficiale dei corpi, ciò che gli USA ed il nuovo governo panamense installato dagli USA ammisero; altre fonti, con le stesse prove, insistettero sulla morte di migliaia; qualcosa come 3.000 feriti. Ventitré americani morti, 324 feriti.
Domanda del giornalista: “Valeva davvero la pena di mandare delle persone a morire per questo? Per prendere Noriega?”
Gergo Bush: “Ogni vita umana è preziosa, e tuttavia io devo rispondere, sì, ne è valsa la pena.”
Manuel Noriega era stato un alleato ed un informatore americano per anni fino a che non sopravvisse alla sua utilità. Ma prenderlo non fu l’unico motivo dell’attacco. Bush voleva mandare un chiaro messaggio al popolo del Nicaragua, con le elezioni in programma nel giro di due mesi, ovvero che questo poteva essere il loro destino nel caso avessero rieletto i Sandinisti. Bush voleva inoltre flettere qualche muscolo militare per illustrare al Congresso il bisogno di una forza pronta a combattere anche dopo la recente dissoluzione della “minaccia sovietica”. La spiegazione ufficiale per l’espulsione americana fu il commercio di droga di Noriega, di cui Washington aveva saputo per anni e di cui non si era preoccupato affatto.
Iraq anni 90: bombardamento implacabile per più di 40 giorni e notti, contro una delle nazioni più avanzate del Medio Oriente, devastando la sua antica e moderna capitale; 177 milioni di libbre di bombe che cadono sulla popolazione dell’Iraq, il più concentrato assalto aereo nella storia del mondo; armi all’uranio impoverito che inceneriscono persone, causando cancro; distruzione di depositi d’armi chimiche e biologiche e attrezzature petrolifere; avvelenamento dell’atmosfera ad un livello tale forse mai raggiunto altrove; seppellimento di soldati vivi, deliberatamente; infrastruttura distrutta con un effetto terribile sulla salute; sanzioni che continuano fino ad oggi moltiplicando i problemi di salute; forse un milione di bambini morti fino ad oggi a causa di tutte queste cose, ancora di più adulti.
L’Iraq era la potenza militare più forte tra gli stati arabi. Questo poteva essere stato il loro crimine. Naom Chomsky ha scritto: e’ stata una preminente, trainante dottrina della politica estera degli USA fin dagli anni 40 quella secondo la quale le vaste e ineguagliabili risorse energetiche della regione del Golfo verranno effettivamente dominate dagli Stati Uniti e dai suoi clienti, e, crucialmente, che a nessuna forza indipendente, indigena sarà permesso avere una sostanziale influenza sull’amministrazione della produzione di petrolio e sul suo prezzo.
Afghanistan 1979-92: tutti sanno della incredibile repressione delle donne in Afghanistan, portata avanti dai fondamentalisti islamici, anche prima dei Talebani. Ma quante persone sanno che durante gli ultimi anni 70 e gran parte degli 80, l’Afghanistan aveva un governo impegnato nel portare il paese incredibilmente arretrato nel 20 secolo, inclusi diritti uguali per le donne? Tuttavia ciò che accadde è che gli Stati Uniti versarono miliardi di dollari nel muovere una guerra terribile contro questo governo, semplicemente perché era appoggiato dall’Unione Sovietica. Prima di ciò, le operazioni della CIA avevano di proposito aumentato le probabilità di un intervento sovietico, e così accadde. Alla fine, gli Stati Uniti vinsero e le donne, ed il resto dell’Afghanistan, persero. Più di un milione di morti, tre milioni di disabili, cinque milioni di rifugiati, in totale circa la metà della popolazione.
El Salvador, 1980-82: i dissidenti del Salvador cercarono di lavorare entro il sistema. Ma con l’appoggio USA, il governo lo rese impossibile, usando frodi elettorali ripetute e uccidendo centinaia di protestanti e scioperanti. Nel 1980, i dissidenti presero le armi, e guerra civile.
Ufficialmente, la presenza militare USA nel Salvador era limitata ad una capacità consultiva. In realtà, i militari e il personale della CIA giocarono un ruolo più attivo su base continuata. Circa 20 americani vennero uccisi o feriti in incidenti aerei mentre facevano voli di ricognizione o altre missioni sopra aree da combattimento, ed emerse anche una considerevole prova di un ruolo USA nel combattimento di terra. La guerra si concluse ufficialmente nel 1992; 75.000 morti civili e il Ministero del Tesoro americano impoverito di miliardi. Un significativo cambiamento sociale è stato ampiamente ostacolato. Una manciata di ricchi ancora possiedono il paese, i poveri rimangono tali come mai, e i dissidenti ancora temono gli squadroni della morte di destra.
Haiti, 1987-94: gli USA appoggiarono la dittatura della famiglia Duvalier per 30 anni, poi opposero il prete riformista, Jean-Bertrand Aristide. Nel frattempo, la CIA stava lavorando intimamente con gli squadroni della morte, i torturatori e i trafficanti di droga. Con questo come sfondo, la Casa Bianca di Clinton si trovò nell’imbarazzante situazione di dover fingere-a causa di tutta la loro retorica sulla “democrazia”-che essa appoggiava il rientro al potere d’Aristide a Haiti dopo che era stato spodestato in un colpo militare del 1999. Dopo aver ritardato il suo ritorno per più di due anni, Washington finalmente aveva fatto ridare dai suoi militari l’incarico ad Aristide, ma solo dopo aver obbligato il prete a garantire che non avrebbe aiutato i poveri a spese dei ricchi, e che si sarebbe attenuto strettamente ad un’economia di libero mercato. Questo significò che Haiti avrebbe continuato ad essere la pianta di montaggio dell’emisfero occidentale, con i suoi lavoratori che ricevevano salari letteralmente da fame.
Yugoslavia, 1999: gli Stati Uniti stanno bombardando il paese riportandolo ad un’era preindustriale. Vorrebbero che il mondo credesse che il loro intervento è motivato solo da impulsi “umanitari”. Forse la storia di cui sopra degli interventi USA, può aiutare a decidere quanto peso dare a questa pretesa.


  Nel dossier iracheno l’elenco di chi ha fornito armi vietate
In Yemen fermata nave carica di missili Scud

Gli Usa pronti a usare il nucleare contro l’Iraq

dal nostro corrispondente ARTURO ZAMPAGLIONE

NEW YORK – L’opzione nucleare torna prepotentemente sulla scena già tesissima del braccio di ferro fra gli Stati Uniti e l’Iraq. Con un documento di sei pagine che sarà diffuso oggi, la Casa Bianca aggiorna la propria strategia in fatto di prevenzione e risposta da attacchi con armi di distruzione di massa, e riafferma il diritto a rispondere in caso di attacco.

“Gli Stati Uniti – si legge nel documento – continueranno a mettere in chiaro che si riservano il diritto di rispondere con forza soverchiante, compreso il ricorso a tutte le opzioni a nostra disposizione, all’impiego di armi di sterminio contro gli Stati Unti, contro le nostre forze oltreoceano e contro i nostri amici e alleati”. E’ la prima volta che il documento che regola la strategia americana contro gli attacchi chimici o biologici viene rivisto dal 1993: e una fonte dell’amministrazione Usa ha rivelato all’agenzia France Presse che l’Iraq è il primo destinatario di questo ammonimento.

A far crescere la tensione fra Washington e Bagdad nelle ultime ore ha contribuito anche la scoperta di una nave proveniente dalla Corea del Nord con a bordo almeno dodici missili Scud a largo delle coste dello Yemen. L’imbarcazione era sotto il controllo dei servizi segreti americani da quando aveva lasciato la Corea del Nord, ma è stata fermata da navi spagnole in pattugliamento nella zona. Secondo alcune fonti, i missili avrebbero dovuto essere scaricati in Yemen, ma la destinazione della nave non è ancora del tutto chiara: gli analisti militari americani hanno immediatamente sottolineato che erano proprio missili Scud quelli che durante la Guerra del Golfo Saddam lanciò contro Israele e l’Arabia Saudita.

Mentre i venti di guerra si facevano sentire con forza a Washington, da New York si propagava la piccola vendetta di Saddam Hussein: nella dichiarazione ufficiale di Bagdad sulle armi di sterminio, su cui lavorano non-stop gli ispettori dell’Onu e soprattutto gli 007 della Cia, e su cui infuriano le polemiche al Palazzo di vetro, gli iracheni, infatti, hanno elencato nome e indirizzo di centinaia di industrie occidentali che, in cambio di petrodollari, fornirono al governo di Bagdad gli strumenti per sviluppare armi chimiche e batteriologiche, nucleari e missilistiche.

La lista, che è ancora top secret, rischia di mettere in imbarazzo molte imprese americane ed europee, anche se alla fine degli anni ottanta, al momento delle grandi. Grazie a un colpo di mano dei diplomatici gli americani, stigmatizzato non solo da Bagdad, ma anche dalla pacifica Norvegia, gli unici ad avere in mano il dossier iracheno in versione integrale oltre all’Onu e alla Iaea di Vienna sono i cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna). Gli altri dieci membri riceveranno presto una versione epurata.

Nella serata di ieri, infatti, il capo degli ispettori Hans Blix ha detto che la sua squadra conta di produrre entro lunedì una “versione di lavoro” della dichiarazione trasmessa dall’Iraq alle Nazioni Unite e di poter dare “una prima valutazione” al Consiglio di Sicurezza giovedì 19 dicembre. “Per quanto ci riguarda ha detto ieri il portavoce della Casa Bianca Ari Fleischer stiamo studiando il materiale con molta attenzione e con l’aiuto di vari team di traduttori, analisti, membri dell’intelligence, esperti militari. Ci vorrà un po’ di tempo per arrivare a una conclusione”.

Secondo Saddam Hussein, non è vero: George W. Bush ha già deciso di attaccare l’Iraq e cerca di solo manipolare il dossier iracheno. Anche i russi sono perplessi sulla posizione americana: “Accetteremo solo le conclusioni degli ispettori dell’Onu, sui quali nessuno deve fare pressioni indebite”, ha tuonato ieri il ministro degli Esteri Igor Ivanov.

Intanto continuano i preparativi bellici e le manifestazioni pacifiste, i raid anglo-americani al sud dell’Iraq (ieri il quarto dall’inizio del mese) e le ispezioni dell’Onu nelle industrie irachene. Ieri ci sono stati cortei in centinaia di città americane per protestare contro la “guerra di Bush”. Ma la realtà è che l’opinione pubblica americana è favorevole alla guerra (58 per cento, secondo un sondaggio della Gallupp), la ritiene inevitabile (74 per cento), anche se preferirebbe che ci fosse la benedizione dell’Onu (64 per cento).

(11 dicembre 2002)


Storia dell’Iraq


Breve sintesi che ripercorre le vicende storiche dell’Iraq dalla Prima Guerra Mondiale alla guerra Iran-Iraq. Da dove risulta chiara la costante intromissione delle grandi potenze (soprattutto USA e Regno Unito) sui destini di questo Paese. REDS. Ottobre 2002.


Dall’antichità sino alla Prima Guerra Mondiale

L’Iraq si estende in gran parte sulla Mesopotamia (dal greco “tra i fiumi”), un territorio pianeggiante sul quale scorrono prima di congiungersi i fiumi Tigri ed Eufrate. E’ una terra che ha ospitato le più antiche civiltà: sumeriassiribabilonesi. Data la sua posizione strategica e il fatto di non essere delimitata, se non in qualche misura a Nord, da confini naturali, è stata successivamente, innumerevoli volte, terra di conquista : persianimacedoni… quindi arena di scontro tra romani e parti.

L’espansione arabo-islamica nel VII secolo (un cui lascito è anche la lingua araba parlata da gran parte della popolazione della pianura, ma non dai curdi che abitano le montagne, vedi Mappa dell’insediamento sciita in Iraq e dell’insediamento curdo in Iraq, Iran, Turchia, Siria-1992) portava all’occupazione di un enorme territorio, tra cui la Mesopotamia. Anche la Persia, che confinava ad est con la Mesopotamia, venne islamizzata ma espresse le proprie aspirazioni nazionali attraverso la dissidenza religiosa sciita che divise il mondo musulmano in due blocchi (l’altro, molto più vasto, sarà chiamato sunnita, vedi Mappa della presenza sciita in Medio Oriente e Iran-1986). La Mesopotamia si trovò tra questi due blocchi e divenne dunque di nuovo area di scontro tra le due frazioni islamiche, il cui lascito è ancora oggi una popolazione araba divisa tra sciiti e sunniti (Mappa etnico-religiosa dell’Iraq-1992)mentre i curdi sono quasi tutti sunniti.

Con la conquista araba la Mesopotamia divenne centro di un enorme impero. Nel 750 la dinastia Abbaside sostituì quella degli Omayadi e il nuovo califfo al-Mansur fondò la città di Baghdad sulle rive del Tigri (spostando la capitale da Damasco). Baghdad crebbe sino a divenire la più grande città del suo tempo. Dopo aver raggiunto il suo apice l’impero arabo-islamico nel corso dei secoli successivi non cessò mai di indebolirsi con sempre nuovi territori che si autonomizzavano dal potere centrale, ed esponendosi così alle mire di altri popoli. Tra questi i mongoli che invasero la Mesopotamia distruggendone le infrastrutture agricole e conquistandone nel 1258 Baghdad, e radendola al suolo. Da questo colpo la regione non si riprese e Baghdad nel 1392 venne nuovamente saccheggiata dalle truppe di Tamerlano. Dopo la caduta del suo impero l’attuale Iraq venne inglobato per un breve periodo nella Persia (1509) e quindi conquistato dagli ottomani del cui impero entrò a far parte nel 1535.

L’Impero Ottomano esercitava il suo potere attraverso dignitari locali (pascià) dotati di una certa autonomia sui propri territori. L’attuale Iraq era distribuito su tre province: Baghdad, Bassora e Mosul (vedi L’Impero Ottomano nel 1915 nel Medio Oriente, e i confini degli stati dopo il Trattato di Losanna-1923). Nella parte araba della Mesopotamia ottomana gli sciiti erano maggioranza e stentavano a riconoscere la legittimità del potere di Costantinopoli, che sosteneva il sunnismo in chiave antipersiana.

La caduta dell’Impero Ottomano

Durante la Prima Guerra Mondiale l’Impero Ottomano si schierò con gli Imperi Centrali e dunque contro la Gran Bretagna. Questa già da anni premeva sulla regione e colse subito l’occasione che le si offriva: sostenne la rivolta araba antiottomana promossa dal giugno 1916 da Husain ibn Ali, sceriffo della Mecca. Questi aveva intrapreso negoziati segreti con gli inglesi che gli avevano promesso l’istituzione di un ampio dominio arabo, indipendente (vedi Mappa dell’intesa Husain-McMahon-1915) Un esercito arabo costituito da decine di migliaia di uomini comandati da uno dei figli di Husain, Faysal, con denaro e assistenza inglese, avanzò verso nord conquistando Damasco nell’ottobre del 1918. Nel territorio oggi occupato dall’Iraq però le cose andarono diversamente. La popolazione sostenuta dagli ulema sciiti si alleò contro gli inglesi in una jihad in difesa dello “stato musulmano” che dette qualche filo da torcere agli inglesi. Dal 1914 al 1917 l’attuale Iraq venne comunque progressivamente occupato dalle truppe angloindiane (nel 1915 cadde Bassora e nel 1917 Baghdad). Gli inglesi si insediarono dunque in un clima estremamente ostile, anche perché i settori arabo-nazionalisti che ambivano all’emancipazione dal dominio ottomano, senza per questo cadere in quello inglese, trovarono ancor più forti motivi di frustrazione. I bolscevichi all’indomani della rivoluzione d’Ottobre avevano reso pubblici tutti i trattati segreti e tra questi anche quello Sykes-Picot del maggio 1916 che non prevedeva alcuna indipendenza per le terre arabe, ma la loro spartizione tra Francia e Gran Bretagna (vedi Mappa dell’intesa Husain-McMahon-1915). A ciò si aggiunse la dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 che schierava la Gran Bretagna a fianco del sionismo.

Una delle conseguenze dirette dell’accordo franco-inglese fu che i francesi entrarono in Damasco nel 1920 cacciando senza tanti complimenti Faysal, che, fidando negli inglesi, si era già proclamato “re degli arabi” e aveva governato la “Grande Siria” per due anni, dopo la sconfitta degli ottomani. L’attribuzione alla Gran Bretagna da parte della Società delle Nazioni del “mandato” (una sorta di “affidamento” politico) sull’Iraq nell’aprile 1920, catalizzò il malcontento che culminò in una sommossa generale chiamata in Iraq “rivoluzione del 1920” e che vide coinvolti tutti gli strati della popolazione irachena. Gli scontri durarono mesi e gli inglesi riuscirono a ristabilire il controllo solo in novembre.

Il dominio inglese

Sir Percy Cox, il rappresentante inglese a Baghdad, proclamò il primo governo iracheno il 23 ottobre 1920. Una volta repressa la ribellione però gli inglesi si resero conto che non potevano governare direttamente e puntarono a creare un apparato statale che sostanzialmente dipendesse da loro, ma dietro le quinte. Un esercito nazionale che affiancava le truppe inglesi fu creato nel 1921 e nel marzo venne imposta la monarchia costituzionale di re Faysal I, lo stesso cacciato in malo modo dai francesi e che così gli inglesi trovavano il modo di “compensare”. Il 10 ottobre 1922 un trattato anglo-iracheno regolava la tutela inglese sul nuovo stato. Fu il primo di una serie che rispondeva sempre al fine di gestire una dipendenza neppure tanto mascherata. Il 3 ottobre 1932 il Paese otteneva un’indipendenza che era decisamente formale, visto che in ogni aspetto strategico la Gran Bretagna esercitava il proprio controllo. Gli inglesi piazzarono un loro uomo di fiducia (Nuri Sad) a capo dell’esercito. E per tutelare i propri interessi ricorsero a questo personaggio per vari decenni.

In Iraq vigeva formalmente una certa libertà politica, ma la vera autorità era l’ambasciatore britannico: i partiti, che non avevano alcun radicamento di massa, venivano sciolti se minacciavano anche vagamente l’ordine costituito. Gli inglesi riuscirono a marginalizzare i religiosi sciiti, e lo stato, soprattutto l’esercito, venne affidato a elite arabe sunnite (in continuità con quanto già accadeva sotto gli ottomani). L’esercito iracheno trovò presto materia per “allenarsi”: nel 1933 attuò un massacro della minoranza assira, e nel 35-36 represse una rivolta lungo l’Eufrate.

Dal 1925 si aggiunse alla già complessa realtà irachena anche la questione curda: la Società delle Nazioni decretò, nonostante appelli e manifestazioni contrarie dei curdi, che il vilayet (termine che indicava le province ottomane) di Mosul fosse unito all’Iraq, che si definiva stato arabo.

La base sociale sulla quale nasceva lo stato iracheno dunque era assai debole. Dipendente dalpotere inglese, strutturalmente diviso da due pesa”questioni nazionali”: quella curda e quella sciita. Per questo ben presto l’attore principale della scena politica divenne l’esercito, la struttura più solida e con più risorse. Dal 1936 cominciarono una serie di colpi di stato ad opera di diversi gruppi di ufficiali, ma senza che venisse messa in discussione la continuità della monarchia e gli interessi inglesi. Nel 1933 moriva Faysal I e gli succedeva il figlio Ghazi: il nuovo re mostrava una qualche simpatia nazionalista ma morì “provvidenzialmente” in un incidente d’auto nel 1939. Salì al trono il figlio Faysal II che assumeva i poteri effettivi solo nel 1953 dato che alla morte del padre aveva solo quattro anni.

Nel 1936 il colpo di stato del generale Bakr Sidqi al Askari (di origine curda) impose un governo di impronta vagamente nazionalista-kemalista con a capo Hykmet Suleiman (di orgine turca). Cominciava ad esprimersi in settori ancora limitati della società irachena (nascente borghesia, circoli intellettuali, settori dell’esercito) una certa spinta modernizzante. L’esperimento comunque durò poco: nell’agosto 1937 Bakr Sidqi venne assassinato e il governo cadde. Seguì un periodo di forte instabilità (7 colpi di stato) accompagnato da una crescente attività a livello di massa, che vedeva spesso come controparte la Gran Bretagna e la sua politica filosionista.

Nel 1941 un altro colpo di stato portò all’insediamento di un governo militare con a capo Rashid Ali al-Gaylani, nazionalista e panarabo, che per spirito antibritannico e non certo per simpatie filonaziste ricercò l’alleanza di Italia e Germania. L’Asse fece ben poco per Rashid, in compenso la Gran Bretagna intervenne subito con le sue truppe e in un paio di mesi riuscì a ristabilire il controllo sul Paese. Nuri Said venne fatto primo ministro e nel 1943 l’Iraq dichiarava guerra all’Asse. Solo il trattato di Portsmouth nel 1948 restituì una limitata sovranità all’Iraq.

Mentre l’esito della guerra rafforzò gli inglesi la società irachena aderiva con sempre maggior trasporto a idee nazionaliste o comuniste. Il Partito Comunista Iracheno (PCI), formatosi nei fatti con la costituzione dell’Associazione Contro l’Imperialismo (1935), nonostante fosse più radicato nella borghesa e nella classe media che tra i contadini e gli operai, si trasformò ben presto nel partito comunista più forte del mondo arabo. Le pressioni di Gran Bretagna e USA però (gli USA si andavano affiancando alla Gran Bretagna nell’esercizio del dominio di quel Paese) portarono a un’ondata persecutoria contro i comunisti che raggiunse il suo culmine nel ’47-’48 quando fu impiccato il suo massimo leader (Yusuf Salman Yusuf detto Fahd) con quasi l’intera direzione del partito.

Anche i curdi fecero sentire la loro voce e nel 1944 fu fondato il Partito Democratico del Kurdstan (PDK) unione di transughi di varie associazioni curde, di comunisti e dell’ala sinistra del primo partito curdo, Hewa Ya Kurd, fondato nel 1910. Il nuovo partito si era chiamato in un primo momento Partito della Liberazione Curda, ma dopo la fuoriuscita dei comunisti (tornati al PCI) adotterà il nome che lo caratterizzerà nei decenni successivi.

Nel dopoguerra Nuri Said e la monarchia proseguirono in una politica seccamente filoccidentale che portò alla rottura delle relazioni con l’URSS (1954) e alla firla del Patto di Baghdad: nel 1954 l’Iraq siglava con la Turchia un accordo in funzione antinazionalista e antisovietica, al quale poi avrebbero aderito la Gran Bretagna, il Pakistan e l’Iran, che suscitò malcontento nei sempre più agguerriti circoli nazionalisti. Il regime cercò di frenare l’effervescenza sociale chiudendo nel ’54 giornali e riviste e vietando i partiti politici. Nel novembre 1956 durante l’aggressione di Francia, Gran Bretagna e Israele contro l’Egitto di Nasser ci furono violente manifestazioni in tutto il Paese, duramente represse.

I nazionalisti al potere

Nel 1952 un colpo di stato aveva portato al potere in Egitto i “giovani ufficiali”, un movimento di cui Gamal Abd en Nasser fu il maggior esponente, e che abolì l’anno dopo la monarchia. Nasser nazionalizzò poi il Canale di Suez (che era in mani inglesi) e sposò la causa del panarabismo, movimento teso a riunire sotto un unico edificio statale la nazione araba divisa da confini imposti dalle grandi potenze: nel febbraio 1958 come primo passo l’Egitto promosse la costituzione della RAU, l’unione con la Siria. Nuri Said rispose proclamando il 14 febbraio l’Unione iracheno-giordana e assumendo la carica di primo ministro federale. I due stati erano monarchie “sorelle”: la Giordania era retta dal re Huseyn Talal e quella dell’Iraq da Faysal Ghazi, cugini di primo grado (nipoti del sopramenzionato sceriffo della Mecca Husain ibn Ali), entrambi hascemiti (discendenti cioé da Maometto). Truppe irachene furono inviate verso il confine giordano in vista dell’unificazione dei due eserciti. Lo scopo di Nuri Said, in linea con i desiderata delle grandi potenze, era di organizzare un possibile intervento in Libano e Siria in funzione anti-egiziana. Nel tragitto, alcuni reparti che si trovavano sotto il comando di Abdel Karim Qassem dovevano passare la notte tra il 13 e il 14 luglio a Baghdad.

Il 14 luglio 1958 però le truppe di Qassem con il sostegno attivo della popolazione assaltavano il palazzo reale e le sedi del governo, mentre la radio occupata trasmetteva la Marsigliese. Re Faysal e altri membri della sua famiglia venivano giustiziati sul posto. Nuri Said in un primo momento riusciva a fuggire, travestito da donna, ma venne riconosciuto da alcuni soldati e subito fucilato. L’odio popolare era tale verso questo personaggio che, quando la sua tomba venne identificata, una folla ne trascinò il cadavere per le vie di Baghdad.

Nasceva dunque la repubblica. Qassem varò le prime leggi contro il latifondo, ridusse i profitti della Iraq Petroleum Company (nei fatti sotto il controllo inglese), cercò di riconciliarsi con i curdi, impose agli inglesi (che non avevano mai lasciato il territorio iracheno) di sgomberare la base di al-Habbaniyya.Infine, denunciò il Patto di Baghdad (24 marzo 1959).

Qassem avviò la collaborazione con le forze progressiste che influenzavano le stesse masse che sostenevano il nuovo regime. Anche il PCI venne chiamato a collaborare. Ma tra queste forze non vi era unità di vedute. Da un lato i nazionalisti (Baath e nasseriani) premevano perché anche l’Iraq prendesse parte alla RAU (l’unione tra Egitto e Siria). Dall’altro comunisti, curdi e sciiti si opponevano agli unionisti. In filigrana si può leggere una contrapposizione dettata dalla irrisolta questione nazionale irachena. L’Egitto e la Siria infatti sono a grandissima maggioranza sunniti, e l’identità sciita è da un lato araba, ma dall’altra sente il richiamo della più forte concentrazione di sciiti: l’Iran persiano; gli sciiti del resto sono maggioranza in Iraq ma nella RAU si sarebbero trovati minoranza. I curdi del resto all’interno dell’Iraq sono una consistente minoranza (intorno al 20%), ma all’interno della RAU si sarebbero ridotti ad una trascurabile minoranza con ancor più difficoltà, in uno stato arabo forte ed esteso, di potersi autonomizzare e in prospettiva unificare con il resto dei curdi sparsi tra Turchia, Siria e Iran. Questo conflitto prese nel corso dei mesi l’aspetto di una guerra civile strisciante.

Il clima di effervescenza sociale allarmò Qassem che nel luglio del 1959 sciolse tutti i partiti. Le agitazioni e gli scioperi furono repressi. Ripresero le persecuzioni nei confronti dei comunisti e gli scontri armati con i curdi.

Nel 1961 il Kuwait diventava indipendente. Si trattava di un territorio semidisabitato che non era è mai stato separato, prima del mandato inglese, dalla provincia di Bassora. Gli inglesi però trovarono tutto l’interesse a farne uno stato a sé, debole e inconsistente, per poterne controllare meglio le enormi potenzialità petrolifere. Qassem dunque si servì della tradizionale rivendicazione irachena su quel territorio anche per affrontare la fase difficile che attraversava il regime, le cui basi di consenso andavano restringendosi. Qassem, così, mosse l’esercito in direzione del Kuwait non riconoscendone l’indipendenza. Intervenne subito la Gran Bretagna che riuscì ad ottenere dalla Lega Araba, allora dominata dall’Egitto, il via libera all’invio di truppe a protezione del’emirato, insieme a un corpo di interposizione araba, con l’appoggio anche di Arabia Saudita e Giordania. Pur essendo nazionalista arabo, in Nasser prevalse in quel momento la preoccupazione di non vedere aumentare troppo la potenza del suo “rivale” Iraq.

Il logoramento del regime portò l’8 febbraio 1963 a un colpo di stato guidato dal colonnello Abdel Salam Aref che era stato deposto da Qassem, rappresentante dei settori più panarabi (nasseriani e baassisti) dell’esercito. Qassem venne ucciso e il Baath si rese protagonista di vere e proprie stragi le cui vittime erano comunisti ed ex seguaci di Qassem. Abdel in novembre cacciò il Baath orientando la propria azione in direzione di un panarabismo moderato.

Il nuovo regime a parole era più vicino a Nasser e proseguì sul terreno della modernizzazione: vennero nazionalizzate imprese straniere, si difese il petrolio come arma politica nella “lotta contro l’imperialismo e il sionismo” salvaguardandone i prezzi e il consolidamento dell’OPEC (l’organizzazione nata per tutelare gli interessi dei Paesi produttori di petrolio, sino ad allora defraudati dalle compagnie petrolifere occidentali). Venne decretata la riforma agraria e varati piani di sviluppo. Ma non si autorizzò la ripresa dell’attività politica, e continuò la repressione dei comunisti.

Il 10 febbraio 1964 si arrivò a un accordo di cessate il fuoco tra il regime e i curdi, che però su questo si divisero. Il leader storico Barzani aveva accettato l’accordo in vista di una promessa autonomia, ma la fazione di Jalal Talabani non credeva alle promesse irachene. L’URSS, desiderosa di stringere i contatti con l’Iraq, appoggiava la linea Barzani. Questa non fece però molta strada: il regime non fece alcun passo concreto verso i curdi e portò lo stesso Barzani a ricredersi.

Il 13 aprile 1966 Aref morì in un misterioso incidente aereo e il fratello Abdel Rahman Aref, più moderato, salì al potere. Questi tentò un qualche riavvicinamento con l’Occidente, ma l’anno successivo la guerra arabo-israeliana provocò enormi proteste popolari che costinsero il regime a rompere i rapporti con USA e Gran Bretagna.

Segno della radicalizzazione in corso, il 17 luglio 1968 un altro colpo di stato riportava al potere il partito Baath con a capo il generale Ahmed Hassan al-Bakr. Ma il Baath era profondamente cambiato: la componente sciita era uscita, ed erano rimasti in prevalenza militari originari di Takrit. Uno di essi era il generale Ahmed Hassan al-Bakr e un altro era un civile, ma pure originario di Takrit e imparentato con lui: Saddam Hussein, condannato a morte nel 1959 per un fallito attentato contro Qassem. Era quest’ultimo, pur ricoprendo il ruolo di vicepresidente, a esercitare un potere sempre maggiore: progressivamente epurò l’esercito per renderlo sempre più fedele al Baath, ossia al clan Takrit. Il nuovo regime comunque lanciò un intenso programma di trasformazioni economiche (accelerazione dell’industrializzazione, moltiplicazione delle aree coltivabili) e sociali di stampo nazionalista e sul piano internazionale contrastò frontalmente la politica statunitense, sostenendo le oranizzazioni palestinesi. Anche negli anni successivi l’Iraq si sarebbe mantenuto sempre fermo oppositore di Israele e nel 1978 avrebbe ospitato a Baghdad il summit della Lega Araba che condannava gli accordi di Camp David tra Egitto e Israele (che mettevano fine all’occupazione del Sinai, ma a costo del riconoscimento dello Stato di Israele e della completa smilitarizzazione dello stesso Sinai). L’Iraq era esponente di quello che venne chiamato “fronte del rifiuto” insieme a Libia, Siria, Algeria, Yemen del Sud e OLP. Nel marzo 1972 l’Iraq firmava un “trattato di amicizia e cooperazione” con l’URSS e dal 1° luglio dava il via a una graduale nazionalizzazione della Iraq Petroleum Company. Ruppe con la Gran Bretagna nello stesso anno, accusata di complicità con l’Iran per l’occupazione delle isole di Abu Musa e della picocla e grande Tomb nel Golfo Persico.

Nel luglio 1973 il Partito Comunista Iracheno e il Partito Democratico del Kurdistan accettarono di integrare con il Baath un “Fronte Nazionale Progressista”. Il Baath dimostrò una certa intelligenza tattica nell’inglobare parte dei curdi e il PCI in un unico fronte: pur disponendo del totale controllo delle leve statali depotenziava in questo modo le uniche due forze che potenzialmente avrebbero potuto insidiarlo. Nello stesso tempo il Baath ristrutturava le forze armate in modo da renderle impermeabili alla propaganda politica degli altri autorizzando il solo Baath al reclutamento tra gli ufficiali. Da parte del PCI fu una politica completamente fallimentare e autolesionista, spiegabile solo con le pressioni esercitate dall’URSS che voleva consolidare i rapporti statali con l’Iraq, anche a costo del “sacrificio” dei comunisti iracheni.

L’11 marzo 1970 il regime aveva raggiunto un accordo con Barzani del PDK per la concessione entro quattro anni dell’autonomia al Kurdistan (senza la zona petrolifera di Kirkuk) e il riconoscimento del curdo come seconda lingua ufficiale. In realtà la questione curda si deteriorò assai presto: i curdi si divisero e una parte continuò a combattere anche se l’11 marzo 1974 viene proclamata ufficialmente la regione autonoma curda con capitale Erbil. Il retroterra delle azioni curde era l’Iran che aveva tutto l’interesse a ridimensionare anche su mandato statunitense le ambizioni di un Iraq percepito ormai come nemico dell’Occidente. Il 6 marzo 1975 Saddam Hussein e lo scià Reza Pahlevi durante il vertice dell’OPEC, firmarono un trattato dove si riconoscevano le richieste iraniane sullo Shatt-el-Arab (il confine tra i due stati sarebbe corso sulla linea mediana del fiume). La questione prima dell’accordo era regolamentata da un trattato del 1937 che prevedeva il diritto da parte dell’Iraq di controllare il transito navale; questo privilegio era stato patrocinato dalla Gran Bretagna che all’epoca manteneva il controllo sul Paese; negli ultimi tempi però era ignorato dall’Iran che faceva navigare barche con bandiera iraniana approfittando della superiore potenza militare. In cambio l’Iran cessava ogni appoggio alla guerriglia curda. Per Mustafa Barzani si trattava di una cocente sconfitta che lo costrinse all’esilio in USA dove morirà nel 1979. Nel Kurdistan entravano in funzione le istituzioni della regione autonoma con la partecipazione di un’altra ala del PDK e con l’Unione Patriottica del Kurdistan di Jalal Talabani.

Il 16 luglio 1979 Saddam costrinse il presidente Hassan al-Bakr a dimettersi e assunse anche formalmente nelle proprie mani tutti i poteri. Vennero passati per le armi tutti i dirigenti del Baath che avevano disapprovato la destituzione del presidente e fu dato il benservito al PCI, che così fu costretto a passare alla clandestinità mentre i suoi membri venivano perseguitati e uccisi.

La prima guerra del Golfo

Dalla fine del 1979 Saddam lancia una escalation propagandistica contro l’Iran. In quel Paese una rivoluzione popolare dai caratteri fortemente antimperialisti e antiUSA ha rovesciato la monarchia. Tutte le componenti della variegata opposizione vi partecipano, ma è la componente komeinista (fondamentalismo sciita) ad acquisirne il controllo. Saddam si propone allora ai regimi arabi reazionari e ai Paesi occidentali come un baluardo contro il possibile dilagare del komeinismo. E’ mosso in questo da una serie di fattori. Innanzitutto la presenza in Iraq di una maggioranza sciita potenzialmente influenzabile dai successi dei fratelli vicini. Una guerra con l’Iran avrebbe consentito un clima di unità nazionale contro il nemico a scapito dell’identità sciita e impedito a questa componente sempre esclusa dalla gestione della società sin dai tempi degli ottomani, di rialzare la testa. In secondo luogo c’era un calcolo geopolitico: Saddam immaginava che l’indebolimento della struttura militare iraniana causata dalla rivoluzione gli avrebbe consentito di acquisire un rapido vantaggio con il vicino rivale che sino ad allora non aveva mai potuto permettersi. Conseguenze di questa strategia è un riavvicinamento all’Egitto e ai Paesi arabi reazionari (Arabia Saudita in primo luogo), l’allentamento dei rapporti con l’URSS (di cui condanna l’invasione in Afghanistan), e un avvicinamento ai Paesi occidentali. Dopo una serie di incidenti di frontiera il 22 settembre le truppe irachene varcano il confine e invadono il territorio iraniano.  


Dodici anni fa.

La guerra del Golfo


Storia della guerra contro l’Iraq condotta nel 1991 da una coalizione internazionale guidata dagli USA sotto le bandiere dell’ONU: gli avvenimenti, i protagonisti e le ragioni profonde che la causarono. Se ne traggono utili indicazioni per comprendere i tratti della nuova guerra del Golfo che sta per scoppiare. Di Ilario Salucci. Ottobre 2002.


da http://www.ecn.org/reds/guerra/iraq.html 

La guerra è un’esplosione di contraddizioni storiche acutizzatesi al punto che non esiste altro mezzo per la loro soluzione, perché in una società di classe non ci sono giudici che possano decidere con strumenti giuridici o morali sui conflitti che saranno risolti con le armi in guerra. La guerra Ë un fenomeno politico, e non giuridico, morale o penale. La guerra non Ë condotta per punire un nemico per colpe reali o supposte, ma per spezzare la sua resistenza al fine di perseguire i propri interessi. La guerra non è una cosa in sé, con un proprio obiettivo: è la parte organica di una politica ai cui presupposti rimane legata e alle cui necessità deve adattare i propri successi.
Franz Mehring, Vom Wesen des Krieges, Die Neue Zeit, 20.11.1914,
cit. in: E. Mandel, The Meaning of the Second World War, London, 1986, pag. 56.

Gli avvenimenti
Il 2 agosto 1990 l’esercito iracheno varca il confine con il Kuwait e procede a occupare il piccolo emirato. Non vi Ë praticamente resistenza. L’emiro, la sua famiglia e tutta la classe dirigente kuwaitiana si rifugiano all’estero. Il Kuwait rimane sotto occupazione irachena circa sette mesi, durante i quali vengono giustiziate alcune centinaia di persone.
La reazione internazionale Ë immediata. Due giorni dopo l’invasione del Kuwait Washington decide di inviare delle truppe in Arabia Saudita, e il 6 agosto il Consiglio di Sicurezza dell’ONU decreta l’embargo nei confronti dell’Iraq. A fine agosto il Consiglio di Sicurezza autorizza l’uso della forza per imporre l’embargo. Da settembre inizia a formarsi l’alleanza politica e militare attorno agli Stati Uniti, a partire dall’Unione Sovietica sotto la direzione Gorbacev. Il 29 novembre il Consiglio di Sicurezza autorizza líuso della forza per obbligare l’Iraq a lasciare il Kuwait, e fissa un ultimatum per il 15 gennaio 1991: le truppe schierate in Arabia Saudita raggiungono a gennaio il numero di 670.000 persone, di cui mezzo milione statunitensi. Il ritiro dell’Iraq dal Kuwait per l’alleanza costruita sotto l’egida degli Usa dev’essere incondizionato, e per questo motivo vengono respinte ? tra agosto e gennaio ? numerose proposte di mediazione provenienti da Baghdad.
Il 16 gennaio iniziano i bombardamenti su Iraq e Kuwait: Ë il piš pesante raid aereo della storia, senza paragoni sia con la guerra vietnamita, sia con i successivi bombardamenti su Serbia e Kossovo nel 1999 e sull’Afghanistan nel 2001. Il 24 febbraio, dopo cinque settimane di bombardamenti, inizia l’offensiva terrestre della coalizione in Kuwait e Iraq: il giorno successivo Baghdad ordina il ritiro delle proprie truppe dal Kuwait, che vengono massacrate dall’aviazione statunitense sull’autostrada che collega Kuwait City a Bassora. Il 28 febbraio Baghdad capitola, accettando tutte le condizioni. Viene firmato il cessate il fuoco.
Secondo fonti statunitensi l’esercito iracheno avrebbe sofferto 100.000 morti, mentre secondo fonti irachene i civili iracheni uccisi sarebbero stati 35.000. Gli Stati Uniti hanno contato 300 vittime nelle proprio esercito (di cui per la metà lontano dai teatri di guerra, per incidenti d’ogni genere e specie). Nel corso di questi ultimi dodici anni sono morti 7.800 ex soldati statunitensi, per malattie contratte durante la guerra del Golfo (la cosiddetta sindrome del Golfo), a causa dell’uso di munizioni all’uranio, dei bombardamenti alleati dei pozzi petroliferi e di fabbriche chimiche, e cosÏ via.
Fin dal 27 febbraio il sud dell’Iraq insorge contro Baghdad, e molti soldati iracheni in fuga dal Kuwait si uniscono alla popolazione sciita che si rivolta contro Saddam Hussein. Nel giro di due settimane tutto il sud iracheno Ë controllato dai ribelli, ma Baghdad ? con il consenso degli Stati Uniti ? riesce a organizzare un’offensiva e a riprendere il controllo del territorio. La repressione Ë feroce e centinaia di migliaia di persone si rifugiano in Iran o si nascondono nelle paludi. Alcune sporadiche rivolte si registrano nel cuore dell’Iraq, ma Ë nel Kurdistan iracheno, a nord, che scoppia una insurrezione di massa contro Saddam Hussein, a partire dal 7 marzo. Le truppe irachene dopo aver schiacciato la rivolta a sud riescono a reprimere anche quella kurda a nord, sempre con il benevolo consenso di Washington: tra fine marzo e i primi di aprile del 1991 più di due milioni di kurdi si rifugiano ? in condizioni umanitarie terribili ? in Turchia e in Iran. Solo dopo molti tentennamenti il Consiglio di Sicurezza dell’Onu adotta una risoluzione in aprile perché si crei una zona nell’Iraq del nord dove i kurdi possano essere rimpatriati al riparo dalla repressione di Baghdad: su questa base inizia il rientro dei profughi kurdi, e l’avvio, il 19 aprile, di negoziati tra Saddam Hussein e i leader kurdi. A giugno viene formata una zona autonoma kurda nel nord dell’Iraq, e a ottobre, dopo il fallimento dei negoziati, Baghdad ordina come rappresaglia il ritiro di tutto il proprio personale dal Kurdistan iracheno (ad eccezione del territorio di Kirkuk, ricco in petrolio, che rimane sotto il controllo di Baghdad) e un embargo totale. Da allora esiste un territorio autonomo, di fatto indipendente, del Kurdistan iracheno, con proprie istituzioni.
L’emiro del Kuwait rientra nel suo paese il 14 marzo 1991. Provvede all’espulsione degli immigrati palestinesi (400.000 persone) e fa giustiziare alcune centinaia di persone. L’unico giornale vagamente critico del suo operato viene immediatamente fatto chiudere.

I motivi dell’invasione del Kuwait
Saddam Hussein era salito al potere in Iraq nel 1968, con un colpo di stato il cui primo obiettivo era di schiacciare un ìfuocoî guerrigliero di ispirazione guevarista nel sud del paese, a cui si stava unendo una scissione di sinistra del Partito Comunista iracheno. Nel corso dei successivi dieci anni Saddam Hussein ha represso in modo feroce qualsiasi tipo di opposizione alla sua dittatura personale: la ribellione kurda del 1974, i comunisti di tutte le tendenze, anche frazioni del proprio stesso partito (il Partito della resurrezione araba socialista – Baath), sono stati tutti annegati nel sangue. Ogni gruppo o ogni individuo recalcitrante Ë stato liquidato o neutralizzato. L’irresistibile ascesa di Saddam Hussein Ë culminata nel 1980, con la concentrazione di tutti i poteri nelle sue mani, e da allora Ë iniziato un grottesco culto ufficiale della sua personalità. La dittatura di Saddam Hussein si basa su una burocrazia borghese civile, militare e poliziesca, a cerchi concentrici, largamente determinati dall’appartenenza alla famiglia, al clan o alla provincia (Takrit) del tiranno. I privilegi di questa burocrazia sono assicurati dalla rendita petrolifera dello stato iracheno.
Nel settembre 1980 l’Iraq attacca l’Iran, dove l’anno precedente una vittoriosa rivoluzione era riuscita a cacciare il regime dello Scià: l’obiettivo iracheno era di appropriarsi dei campi petroliferi dell’Arabistan iraniano (la principale regione petrolifera iraniana) ed affermarsi così come potenza regionale dominante. La guerra dura più di otto anni, e dalla sola parte irachena i morti sono 300.000. A queste vittime devono essere aggiunti almeno 100.000 kurdi (alcune fonti kurde arrivano alla cifra di 180.000 vittime) massacrati dall’esercito nel nord dell’Iraq dal 1987 al 1989, con l’operazione denominata Anfal, con largo uso di armi chimiche, che portò alla distruzione della maggioranza dei villaggi del kurdistan iracheno (il caso-simbolo di questa repressione, grazie alla disponibilità di documenti fotografici, Ë stato lo sterminio il 16 marzo 1988 di tutti gli abitanti del villaggio di Halabdja, circa 5.000 persone, con iprite e gas sarin, mentre i sopravvissuti vennero spianati con i bulldozer). Il cessate il fuoco con l’Iran venne firmato nel 1988, senza che la frontiera esistente prima del conflitto fosse modificata.
Le distruzioni materiali provocate dalla guerra con l’Iran furono enormi (stimate a 150 miliardi di dollari), e Baghdad uscì dalla guerra con un indebitamento di 60 miliardi di dollari, oltre a ritrovarsi con un esercito totalmente sproporzionato rispetto alle dimensioni (un milione di persone mobilitate) che può mantenere. La crisi finanziaria del Paese dopo la guerra del Golfo del 1980-1988 non fece che aumentare, e i vari paesi arabi ed emirati che avevano sostenuto l’Iraq nella guerra contro l’Iran non accettavano di continuare a sovvenzionarlo. Eí in questa situazione che matura la decisione di occupare il Kuwait (uno stato artificiale creato dall’imperialismo britannico delineando un confine attorno ai pozzi petroliferi, proprietà personale dell’emiro e della sua famiglia, dove nessun minimo diritto democratico era garantito): un’occupazione permanente e l’annessione del Kuwait all’Iraq avrebbe risolto tutti i suoi problemi finanziari grazie alla rendita petrolifera aggiuntiva, mentre un accordo di mediazione (in cambio del ritiro dal Kuwait) avrebbe comunque portato risorse aggiuntive.
Baghdad non si aspettava una reazione statunitense e internazionale cosÏ determinata e inflessibile (numerosi altri casi simili nel passato non avevano provocato reazioni significative a livello internazionale, per Israele, per l’Iran, il Marocco, la Turchia, l’Indonesia, ecc.) contando piuttosto che la fine della guerra fredda avrebbe consentito un maggior margine di manovra rispetto al passato per un paese come il suo, lasciando comunque spazi per mediazioni vantaggiose. Una volta resosi conto che così non era, il regime di Saddam Hussein non poté ritirarsi senza passare attraverso la guerra del 16 gennaio ? 28 febbraio 1991 (il cui esito, vista la sproporzione nel numero delle vittime, era scontato), in quanto la legittimazione del suo regime ne sarebbe uscita a pezzi.

I motivi della guerra del Golfo: la sindrome vietnamita
Gli Stati Uniti erano rimasti profondamente segnati dalla sporca guerra che avevano condotto in Vietnam, con una delegittimazione interna ed internazionale in materia di operazioni militari all’estero che doveva accompagnarli per decenni. Il tentativo (timido) di effettuare un intervento militare all’estero da parte del “falco” Reagan era terminato in modo catastrofico: nel 1983 gli Usa si ritiravano dal Libano dopo aver subito in due attentati 305 perdite. L’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein offrì un’occasione ideale a Bush per tentare di superare l’inibizione statunitense in fatto di guerra ? ritornare ad una situazione di “normalità” in base alla quale la maggior potenza militare del mondo potesse essere in grado di sfruttare la propria superiorità. Nel 1990-1991 l’argomentazione-chiave fu il “rispetto del diritto internazionale”, mentre successivamente venne invocata la “difesa della democrazia” (Haiti), la “guerra umanitaria” (Somalia, Bosnia e Serbia), ed oggi la “guerra al terrorismo” (Afghanistan). La grande variabilità delle argomentazioni ideologiche per dare legittimità alle guerre e alle offensive militari scatenate in varie parti del mondo traducono la debolezza intrinseca di ciascuna di queste argomentazioni (riassumibili tutte nel fatto che i “buoni motivi” sono sempre selettivi) e la difficoltà persistente a ritrovare una legittimità ? in primo luogo interna ? alle azioni dell’imperialismo statunitense. Da questo punto di vista la situazione odierna è ancora ben lungi dall’essere paragonabile a quella dei 25-30 anni seguiti alla fine della seconda guerra mondiale, passati sotto il segno della “lotta al comunismo” (e di un miglioramento nelle condizioni di vita grazie al boom economico). Un segnale inequivocabile fu la poco gloriosa ritirata statunitense dalla Somalia nel 1994.
Oggi “Bush il piccolo” riprende tutta la retorica degli “stati canaglia” inaugurata da suo padre all’inizio degli anni ’90, ma come questa retorica aveva mostrato tutti i suoi limiti nel corso degli anni ’90 (i continui bombardamenti condotti sull’Iraq da Usa e Gran Bretagna sono sempre stati condotti nel più totale isolamento internazionale, e sottoposti a critiche sempre più ampie all’interno degli stessi Stati Uniti; l’isolamento dell’Iran è fallito proprio grazie ai più fedeli alleati degli Usa, in primo luogo l’Arabia Saudita; e così via), così costituisce oggi una argomentazione ben più debole, visto che i cosiddetti “stati canaglia” non fanno nulla per essere considerati tali. La guerra del Golfo di dodici anni fa fece credere ai dirigenti di Washington di aver girato definitivamente pagina dopo i “giorni bui” del 1974 (quando gli Usa furono costretti a ridurre in modo decisivo la propria presenza in Indocina, con la conseguente caduta l’anno successivo dello stato fantoccio del Vietnam del Sud) ma ancora oggi questi dirigenti si ritrovano con lo stesso problema: il fantasma sempre presente della contestazione di massa contro il bellicismo Usa che fece affondare l’impresa vietnamita. Il consenso interno per ogni azione militare dev’essere conquistato volta per volta e non può essere mai considerato definitivamente acquisito: per questo l’insistenza odierna sulle “guerre lampo”, su un numero di (proprie) vittime limitato e sullo sviluppo tecnologico in materia di armamenti (i tre quarti delle spese mondiali per ricerca e sviluppo in campo militare sono effettuati negli Usa), in grado di compensare la debolezza del “fattore umano”.

I motivi della guerra del Golfo: assicurare i flussi di capitali
La motivazione fondamentale che spinse gli Stati Uniti alla guerra del Golfo fu quella di garantirsi un flusso di capitali in entrata. Nel 1990 (e molto piš oggi) il capitalismo statunitense Ë dipendente dal fatto che un flusso costante di capitali provenienti da tutto il mondo entri in patria. Uno di questi flussi, non quantificabile ma estremamente importante, era ed Ë quello proveniente dai vari paesi che godono di una “rendita petrolifera”, che viene investita da questi paesi nelle azioni e nei titoli di stato Usa, o viene spesa per l’acquisto (sovrapprezzo!) di armamenti sempre provenienti dagli Usa. Nel 1990 gli Stati Uniti conoscevano una recessione economica (come oggi) che rendeva il capitale ancora più sensibile a questo fattore: una modificazione degli equilibri nel golfo persico, dove sono concentrati questi “stati che hanno una rendita” (la “banda dei quattro”: Kuwait, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti) metteva pericolosamente in discussione questi vitali flussi di capitali, e richiedeva un intervento per ristabilire lo status quo ante. La creazione di un regime in Iraq, al posto di quello di Saddam Hussein, che garantisse un flusso aggiuntivo di questi capitali era certamente un obiettivo ben gradito a Washington, ma gli Stati Uniti si scontrarono con l’assenza di una “carta di ricambio” che cercarono inutilmente nei più alti vertici dell’esercito iracheno. Lo scoppio di rivolte e insurrezioni contro il regime di Baghdad nel marzo 1991 venne visto come un grave pericolo poiché poteva portare esattamente all’opposto di quello che veniva ricercato: un Iraq democratico, federale, concentrato sulla propria ricostruzione. Sarebbe stato l’evento più distruttivo per tutta la regione, dove esistono solo regimi autocratici terrorizzati dalla possibilità di movimenti rivoluzionari al proprio interno. Per questo concesse tutto quanto era necessario al regime di Saddam Hussein per poter schiacciare queste rivolte.
In questo groviglio di interessi Washington non poteva permettersi di “marciare su Baghdad” nel febbraio 1991. Come ironicamente raccontava “il buon soldato Schveik” più di ottant’anni or sono,

“non è mica una cosa così semplice penetrare in questo o quel paese! Ognuno è capace di farlo, ma poi, venirne fuori, questa sì che è vera arte militare! Quando uno entra in un posto, deve sapere tutto quello che succede intorno, per non doversi trovare tutt’ad un tratto dinnanzi a qualche difficoltà, vale a dire dinnanzi a una catastrofe. Ad esempio una volta a casa nostra, ancora nel vecchio edificio, acchiapparono nel solaio un ladro; quel mariuolo aveva notato, quando era entrato dentro, che c’erano certi muratori i quali stavano proprio allora riparando un abbaino, e dunque riuscì a svincolarsi, freddò la portinaia e scese giù per le scale fino a raggiungere il lucernario, ma poi di lì non poté più uscir fuori. Il nostro vecchio Radetzky, invece, conosceva ogni strada, non riuscivano mai a pizzicarlo”

Nel 1990-1991 (e così è ancora oggi) il controllo del petrolio in quanto tale da parte degli Usa non fu una delle motivazioni per la guerra. Dalla prima metà degli anni ’70 il mercato del petrolio è un mercato perfettamente internazionalizzato, dove i vari produttori di petrolio nel mondo si fanno direttamente concorrenza líuno con líaltro. In questo modo il prezzo del petrolio è fissato dal funzionamento del mercato stesso, secondo un meccanismo conosciuto in economia come quello della rendita marginale, e non da accordi tra vari stati produttori che decidono di aumentare o diminuire la produzione, accordi che tutt’al più possono influire sul prezzo mondiale in modo marginale e temporaneo. Il prezzo del petrolio ? sulla base di questo mercato ? non viene fissato nel golfo persico, ma dall’industria petrolifera statunitense, la meno produttiva esistente oggi sul pianeta, e garantisce una cospicua rendita a tutti i paesi con una produttività maggiore nell’estrazione del petrolio. Che il petrolio in sé non fosse la questione chiave venne dimostrato proprio dal biennio 1990-1991, quando si ebbe contemporaneamente il crollo della produzione di petrolio in URSS, e il blocco della produzione ed esportazione di quello iracheno e kuwaitiano: il mercato internazionale non soffrì di mancanza nell’offerta di petrolio e i prezzi ? dopo una breve e limitata impennata ? tornarono ad essere quelli esistenti prima della crisi internazionale.

Un bilancio
Gli Stati Uniti sono riusciti, nello scorso decennio, a mantenere stabile la situazione del golfo persico, assicurandosi il flusso costante dei capitali di cui abbisognavano.
Tuttavia il costo umano, anche dopo la fine della guerra del golfo, Ë terribile. La popolazione irachena Ë sottoposta da dodici anni a sanzioni economiche che, secondo la prestigiosa rivista ìForeign Affairsî, sono delle “sanzioni di distruzione di massa”, con circa 90.000 decessi all’anno. In un articolo nel 1999, i due professori americani John e Karl Mueller ? dopo aver stimato a 400.000 il numero totale dei morti provocati nella storia da armi di distruzione di massa (nucleare, chimiche e biologiche, ad esclusione delle camere a gas naziste) ? concludevano, usando il condizionale per attenuare l’impatto delle loro affermazioni: “Se le stime dell’Onu delle perdite umane in Iraq sono corrette, anche solo approssimativamente, appare dunque che le sanzioni economiche costituirebbero la causa della morte in Iraq di piš persone di quante ne siano mai state massacrate nella storia da tutte le armi cosiddette di distruzione di massa”.
Tuttavia non solo il regime di Saddam Hussein Ë ancora al suo posto, e la “carta di ricambio” militare ricercata nel 1990-1991 pare non ci sia ancora oggi, ma anche il regime iraniano sorto dal crollo del “pilastro statunitense nel Medio oriente” (il regime dello Scià) non è stato affatto intaccato dalla “politica di contenimento” attuata dagli Usa. Al contrario gli Usa si sono scontrati con numerosi loro alleati (ed addirittura proprie multinazionali) che hanno stretto rapporti via via piš stretti sia con l’Iraq, sia soprattutto con l’Iran.
Riuscirà “Bush il piccolo” a ritrovare questa egemonia sempre piš messa in discussione con la sola forza delle sue supersofisticate armi? Quest’ultimo anno e soprattutto questi ultimi mesi testimonierebbero il contrario: che la corsa in avanti bellicista degli Stati Uniti accentua, anziché risolvere, i problemi di egemonia di cui è afflitta la superpotenza Usa. Il capitale francese e tedesco esprime interessi divergenti da quelli americani per quanto riguarda la nuova guerra all’Iraq. Kuwait e Arabia Saudita si azzardano a criticare Washington come mai in passato Ë avvenuto (in un certo momento sono addirittura circolate voci su un ritiro dei capitali sauditi dagli Stati Uniti!!!). E soprattutto il movimento antiguerra è già da ora fortissimo in Europa, e gli Stati Uniti hanno visto in aprile una manifestazione (nonostante fosse malissimo organizzata) di 100.000 persone a sostegno dei palestinesi, e a settembre decine di migliaia di persone manifestare contro la guerra. Il fantasma del movimento antiguerra statunitense della fine anni ’60 ? inizio anni ’70, che riuscÏ ad essere per estensione e radicalità la causa prima della sconfitta dell’imperialismo statunitense in Indocina, continua a provocare notti agitate ai dirigenti di Washington.

Secondo le parole di Dickens, in apertura a “Una storia tra due città”, “erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era un’epoca di saggezza, era un’epoca di follia, era un tempo di fede, era tempo di incredulità, era una stagione di luce, era una stagione buia, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, ogni futuro era di fronte a noi, e futuro non avevamo”. In ultima analisi, sta a noi scegliere.  


“L’inconsapevolezza in politica è rovinosa. In guerra, è criminale”

E’ la chiusura dell’articolo di Lucio Caracciolo del 3 ottobre su Repubblica.

Quello che manca è la franchezza nel dichiarare le motivazioni per la guerra. La sequenza di interventi autorevoli per scongiurare l’attacco è impressionante, ma la serie di obiezioni che vengono mosse a tutte le giustificazioni della guerra da esponenti dei media,da esperti e da funzionari di organizzazioni internazionali lo è ancora di più. Per ritenere che tutte le motivazioni e le giustificazioni contrarie alla guerra siano orchestrate da Saddam bisognerebbe dare credito al rais di una capacità di controllo dei media e delle menti occidentali che francamente non è facile avallare. Le motivazioni che si adducono all’opinione pubblica internazionale per giustificare l’azione sono le seguenti:

1)  L’Iraq disporrebbe di armi di distruzione di che Saddam non esiterebbe ad usare

«Se io dovessi quantificare la minaccia rappresentata dall’Iraq in termini di armi di distruzione di massa, essa equivale a zero» Scott Ritter, statunitense, per 7 anni ispettore Onu in IRAQ

·       CAPACITA’ BALISTICHE: Rolf Ekeus, che ispezionò per conto dell’ONU gli arsenali militari iracheni dopo la guerra nel Golfo, dichiarò che l’Iraq aveva perduto 817 dei suoi 819 missili a lunga gittata

·       ARMI BIOLOGICHE: Nel 1999 un team del Consiglio di sicurezza certificò che le strutture di armi biologiche irachene erano state  distrutte o rese inoffensive.

·       ORDIGNI NUCLEARI Per quanto riguarda la minaccia nucleare di Saddam la International Atomic Energy Agency (Iaea) ha accertato che il programma di armamento nucleare iracheno era stato eliminato.Gli ispettori della Iaea sono ancora in Iraq e lo scorso gennaio hanno dichiarato il completo rispetto iracheno delle limitazioni. Quando si chiede all’Iraq di consentire l’accesso agli ispettori viene da chiedersi in che veste  quelli della Iaea siano ancora lì. L’Iraq non ha mai espulso gli ispettori, neppure quelli dell’Onu. Sono sempre stati ritirati quando venivano accusati di essere delle spie.

2) Ci sarebbe una connessione diretta tra l’Iraq e gli attentatori dell’11 settembre.

Al riguardo lo scorso 5 febbraio un rapporto del New York Times ha concluso che «la Cia non ha alcuna prova che l’Iraq abbia partecipato ad azioni terroristiche contro gli Usa in quasi un decennio e l’Agenzia è convinta che Saddam non abbia fornito armi chimiche o biologiche ad al-Qaida o ai terroristi ad essa associati».

Sono interessanti al riguardo le riflessioni di Scott Ritter, il quale definisce la “connessione” con Al Qaeda «una faccenda palesemente assurdaSaddam Hussein»ricorda «è un dittatore laico, ha passato gli ultimi trenta anni a dichiarare guerra al fondamentalismo islamico, facendolo a pezzi. A parte la guerra all’Iran degli ayatollah, in Iraq sono in vigore leggi che sentenziano la pena di morte per il proselitismo in nome del wahabismo, la religione di Osama bin Laden. Osama odia in modo particolare Saddam, lo chiama l’apostata, un’accusa che implica la pena di morte».

3) Saddam bloccherebbe gli aiuti umanitari per il popolo iracheno

In proposito secondo alcuni osservatori vi sarebbereo invece ben 5 miliardi di dollari in aiuti bloccati dagli Usa con il beneplacito della Gran Bretagna. Quelle spedizioni sarebbero già state approvate dall’Onu e comprendono vaccini, antidolorifici, medicinali salva-vita ed equipaggiamenti diagnostici per il cancro. L’embargo lascerebbe meno di 150 euro all’anno per la sopravvivenza di una persona. sebbene si possa essere certi che se Saddam avesse un tornaconto nel bloccare gli aiuti lo farebbe senz’altro, lo stesso segretario generale dell’Onu ha affermato che questo non è stato fatto. Evidentemente Saddam non ha bisogno di fare ciò che altri già fanno per lui.

    Dannis Halliday, l’assistente segretario generale dell’Onu responsabile degli aiuti umanitari, ha dato le dimissioni dichiarando l’embargo all’Iraq un <<genocidio>>. Anche il suo successore Hans von Sponeck ha rassegnato le dimissioni. Lo scorso novembre i due scrissero che “la morte di 5-6 mila bambini al mese è principalmente dovuta ad acqua contaminata, malnutrizione e mancanza di medicine. Gli Usa e il Regno Unito, con i loro ritardi nelle autorizzazioni, sono responsabili di questa tragedia, non Baghdad”.

Altro fatto poco noto e imbarazzante è che gli Usa e Gran Bretagna stanno bombardando l’Iraq da almeno due anni con frequenza settimanale. “Non ci rimangono che i gabinetti di campagna”, sarebbe il commento sconsolato di un funzionario del Pentagono.

Le giustificazioni di Blair e Bush NON CONVINCONO. Sicura è solo una conseguenza: questo conflitto esaspera lo scontro tra culture, allarga le fratture esistenti tra Nord e Sud del mondo, offre nuovi pretesti alla follia terrorista, apre le porte ad un nuovo disordine mondiale.

La ricerca della PACE, in questo contesto, è QUESTIONE DI SOPRAVVIVENZA:

Bibliografia:

William Rivers Pitt – Guerra all’ Iraq, intervista a Scott Ritter

Aspettando Saddam, quaderno speciale di Limes, settembre 2002



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