Roberto Renzetti
Luglio 2010
Nel precedente lavoro ho parlato della nascita del Papato come istituzione che non aveva nulla a che vedere con gli insegnamenti di Gesù. Ho anche discusso delle falsificazioni della cronologia dei primi Papi che diventano credibili a partire dal VI secolo. Questi primi Papi furono quasi tutti santi, in gran parte perché sistemati all’interno dei martiri cristiani, tutti santificati. In ogni caso, al di là della cristianità dell’istituzione, da un certo punto i Papi diressero la Chiesa e la sua politica. Tenterò di ricostruire la storia, quando c’è, dei primi Papi ed entrare in qualche leggenda per poi passare a raccontare la degenerazione dell’istituzione.
LE GERARCHIE SI VANNO ORGANIZZANDO
Così come non si conoscono con certezza i primi Papi, essendo certo che i primi 4 sono frutto di una ricostruzione leggendaria che ho spiegato nel precedente lavoro, le biografie di gran parte di loro o non le conosciamo o sono frutto di fantastiche ricostruzioni a partire da qualche nota biografica che ci è stata fornita dal Liber Pontificalis, che, anche qui come visto, fino al VI secolo è in gran parte inattendibile (l’elenco completo di Papi ed antipapi secondo il Liber Pontificalis è in fondo all’articolo, dopo la Bibliografia). Tra i vescovi di Roma, che per semplificare chiamerò Papi anche se questo nome come visto verrà adottato molto più tardi con l’acquisizione di un’autorità sempre più estesa, vi furono certamente delle personalità rilevanti almeno fino al riconoscimento del Cristianesimo da parte di Costantino (313). Si tratta di persone che sfidarono l’Impero, spesso pagando con la vita ed a volte tradendo per paura la propria fede (denunciando i correligionari, consegnando libri sacri, facendo sacrifici agli dei pagani, …). Ma è inutile addentrarsi in scampoli di storie, seguiamo invece ciò che sappiamo con qualche riscontro, non dimenticando di indagare i rapporti che si instaurano tra clero e potere in Roma. Per fare ciò è utile iniziare dal primo Papa del nuovo corso, Silvestro I (314-335). E’ importante dire che uno dei massimi impegni di tutti i Papi per vari secoli è stato la lotta alle varie eresie e la ricerca dell’affermazione della propria verità. Non toccherò questi aspetti perché mi porterebbero fuori strada.
Siamo quindi agli inizi del IV secolo e già il Papato aveva una sua organizzazione articolata che si era data a partire dal III secolo dovendo organizzare comunità sempre più numeroso estese su territori sempre più ampi. A partire dal vescovo Fabiano (236-250) le cariche che caratterizzavano il Clero erano le seguenti: al Vescovo seguivano il Presbitero ed il Diacono(1), a cui fu associato un Suddiacono; vi erano poi rigidamente separati i clerici minores, provenienti dal popolo; altre cariche, ricavate sul modello pagano, erano quelle degli ordines minores: l’Accolito (una specie di cameriere personale del Vescovo), l’Esorcista (colui che scacciava i Diavoli), il Lettore (colui che leggeva la Bibbia durante le funzioni religiose) e l’Ostiario (che era solo un portinaio). Nelle antiche comunità non vi era particolare distinzione tra Clero e Laici che invece iniziarono nel III secolo. I Laici persero ogni potere nella comunità. Furono esclusi dalle elezioni ed il Clero creò una grande frattura con gli ordinari fedeli attraverso l’amministrazione dei Sacramenti. Naturalmente si andava via via perdendo il senso dell’insegnamento di Gesù che mai distinse tra i suoi seguaci e non poteva farlo perché il Clero era totalmente al di fuori di ogni pensiero di Cristo. La separazione creò una sempre maggiore gerarchizzazione nel Clero in parte per necessità reali ed in gran parte per bramosie di potere. Anche il modo con cui si chiamavano tra loro i Chierici è indicativo di una tendenza. Nel III secolo i Chierici si chiamavano tra loro signore mentre si rivolgevano al Vescovo con santo padre e si rivolgevano ai Laici con fratello. Si iniziarono a schernire i poveri abiti dei sacerdoti di Attis, si iniziò a pretendere l’alzarsi in piedi davanti al Vescovo, si reclamarono onori di curriculum costruiti ad hoc e così il Vescovo divenne immagine di Dio onnipotente, re, signore della vita e della morte, … per lui si richiese un trono su cui sedersi con i sacerdoti che facevano corona, come si immaginava Dio in cielo. Nel IV secolo i Vescovi iniziarono a chiamarsi tra loro Tua Santità, Tua Beatitudine, … fino ad arrivare al Sinodo di Serdica del 343 in cui la cesura con le antiche comunità cristiane diventa clamorosa. La scelta del Vescovo si iniziò a fare in base al censo, più patrimonio uno aveva, più la famiglia di provenienza era potente, maggiore era la possibilità di accedere all’alta carica (fu ciò che accadde ad esempio ad Ambrogio a Milano che fu fatto vescovo a soli 8 giorni dopo essere stato battezzato per essere il discendente di una importante famiglia di Roma, gli Aureli). Col passare degli anni, siamo nell’VIII secolo, le carriere diventano molto più rapide, se si dispone di soldi e di potere. Accadde a Costantino II, fratello di Totone duca di Nepi, che, da laico, in soli 6 giorni fece l’intera carriera fino a diventare Papa per 13 mesi. Ma il campione assoluto è Leone VIII (963-964) che fece tutto ciò che fece Costantino II in un solo giorno. E sempre in questo IV secolo i Vescovi non si accontentarono più dell’alzata in piedi, pretesero il baciamano e gli inchini. Più oltre il Vescovo sfilava con i portatori di Fasci e nel VII secolo al passaggio del Vescovo venivano fatte incensazioni. Tutto come per le alte autorità del vecchio Impero. Questo sistema di potere, sempre più corrotto iniziò a partire da Costantino il Grande e da Papa Silvestro I.
Altro fenomeno di rilievo per le ricadute sull’ “evangelizzazione” riguardò gli atteggiamenti della nobiltà nei confronti della Chiesa. Mano a mano che quest’ultima aumentava la sua influenza ed i suoi privilegi, la nobiltà si interessò ad essa ed iniziò ad intravedere la carriera ecclesiastica come una uscita vantaggiosa. Tanto più per chi disponeva del prestigio di una famiglia importante e del denaro della medesima, la carriera era un modo di dire perché in realtà le strade erano apertissime in tempi, come visto, brevissimi. Il primo Papa candidato dai nobili fu Siricio (384-399), sul finire del IV secolo. E con Siricio la Chiesa iniziò a fare leggi (il Decretale del 385) nella stessa forma in cui erano fatte nell’Impero. Dopo Siricio, come vedremo, furono direttamente le famiglie nobili a eleggere propri rampolli. Intanto nel V secolo Papa Leone I, detto Magno (440-461), alzò la soglia per essere ammessi alle cariche ecclesiastiche. Nel 443 criticò aspramente l’ammissione di chierici senza raccomandazioni:
una discendenza adeguata, gente che non avrebbe ottenuto la libertà dai suoi padroni, viene innalzata all’alto rango sacerdotale, quasi che la volgarità di un servo fosse degna di tale onore. Si nutre l’opinione che possa piacere a Dio chi non è stato capace di piacere al suo signore e padrone [Leo, ep., 4]
Si compiva così uno degli insegnamenti di Gesù: e gli ultimi saranno i primi. Ed iniziato l’andazzo con questo Papa, naturalmente Santo, esso continuò subito con Papa Gelasio I (492-496) che vietò agli schiavi ed addirittura ai dipendenti di diventare chierici. Deschner [2] cita le parole di uno studioso di fine Ottocento, Otto Seeck, come rappresentative di cosa era accaduto nella Chiesa:
«Finché fu limitata al popolino, fu democratica e socialisteggiante; a mano a mano che penetrò nei ceti superiori le sue forme istituzionali si trasformarono completamente, riproducendo l’organizzazione statuale del tempo, vale a dire un dispotismo sfrenato, con tutta la sua gerarchia burocratizzata. Questa trasformazione si attuò gradualmente, senza salti improvvisi, tanto da essere impercettibile da parte dei contemporanei. Ciò che si era imposto per motivazioni di ordine pratico, diventò prima usanza ecclesiastica, poi legge spirituale, e ben presto nessuno ricordò più che una volta le cose andavano diversamente. Era quindi assolutamente interno alla mentalità del cristiano nutrire il convincimento che Cristo e i suoi Apostoli avevano fondato la loro Chiesa esattamente come ciascuno la vedeva nel proprio tempo; infatti, nessun mutamento venne introdotto con uno scopo ben preciso, ma tutte le modifiche si erano costituite da sole sotto la spinta delle circostanze. Così anche le forme della costituzione ecclesiastica poterono diventare verità di fede intoccabili ed eterne come l’insegnamento di Cristo. Nessuno sapeva che ciò era in contraddizione con la realtà storica, e se per caso qualcuno lo sospettava, allora si provvedeva mediante falsificazioni innocenti, spesso senza una precisa coscienza dei fatti».
Tutto ciò mentre andava avanti una continua imitazione in tutto ciò che era stato costume dell’Impero e della corte imperiale, compreso il titolo di Pontifex Maximus per il vescovo di Roma (che beffardamente ci ritroviamo ancora oggi) ed i paramenti dei sacerdoti pagani compresa la Stola. Forse con una differenza: mentre il lusso nell’Impero era giustificato dalle ricchezze che affluivano a Roma da molte parti di un Impero generalmente florido, dal III secolo la miseria e la fame erano diventate dominanti. Durante i primi tempi in cui vi fu convivenza con l’Impero cadente, la Chiesa ebbe vari scontri con i regnanti ma MAI su questioni di fede, solo su questioni di potere. Questo atteggiamento servì a soggiogare gran parte dell’Europa per l’intero Medioevo e a far diventare il vescovo di Roma arbitro di case regnanti, di ascese al trono o di deposizioni di alcuni Re. Nell’XI secolo, Papa Gregorio VII (1073-1085) stabilì che nessun membro del clero poteva ricevere l’investitura dalle mani dell’imperatore e, nel Dictatus Papae del 1075, affermò la supremazia del papa su qualsiasi autorità terrena: unicamente il papa è in grado di confermare o di contestare imperi, regni, ducati, contee ed in genere i possedimenti di tutti gli uomini, di darli e di toglierli, e il tutto sulla base di meriti di ciascuno. Nel XIII secolo uno svergognato Papa, Innocenzo III, rafforzò le farneticazioni di Gregorio VII sostenendo che Dio aveva lasciato a Pietro non solo la guida di tutta la Chiesa, ma anche il governo del mondo intero. Vale la pena ricordare che uno sciocco aveva detto: “Il mio regno non è di questo mondo” [Giovanni 18, 36] ? E, a fronte dell’impressionante accumulo di ricchezze da parte delle gerarchie ecclesiastiche, abbia aggiunto: “Và, vendi ciò che possiedi e dallo ai poveri” [Marco 10, 21] ? Continuando ancora: Lo avete ricevuto gratuitamente, e gratuitamente dovete dispensarlo [Matteo 10, 8] ?
LE GIOIE DEL PAPATO
Iniziamo con Papa Silvestro I (314-335), un vero papa inutile che regnò 20 anni senza che si sentisse la sua presenza. Eppure ce n’erano di cose da sistemare, uscendo dall’illegalità e dovendo organizzare una chiesa ed i suoi rapporti nella Capitale dell’Impero d’Occidente. Gli storici (Caspar) lo hanno definito il Papato più vuoto del secolo e forse doveva essere proprio così perché era Costantino il grande che stava organizzando la Chiesa con tutte le sue cariche, le sue funzioni ed i suoi dogmi. E Silvestro fu appunto un Papa di paglia che lasciò fare ogni cosa a Costantino occupandosi solo di ricevere le regalie di quest’ultimo alla Chiesa. Costantino cristianizzò lo Stato con alcuni decreti che, tra l’altro, prevedevano che: il Tribunale della Chiesa fosse l’unico competente per gli affari di fede con le sue sentenze che divenivano valide per i Tribunali dello Stato; il Clero cristiano fosse esentato dai servizi civili; la domenica fosse giorno festivo (a partire dal 321) in onore del Signore (dominus) con l’abbandono del sabato biblico ed ebraico. In questioni di fede, nel Concilio di Nicea (325), il Primo Concilio Ecumenico. al quale Silvestro neppure partecipò, Costantino impose ai 300 vescovi partecipanti, quasi tutti di un bassissimo livello culturale: il dogma della Trinità (gli serviva per non scontentare varie altre religioni che avevano lo stesso credo); impose il Credo che ancora oggi viene recitato dai cristiani (a Costantino serviva una Chiesa unita e quindi si sbarazzò subito di Ario – anche se la vicenda di Ario non si chiuse lì, come vedremo – che aveva proposto un suo Credo(2)); impose il dogma della consustanziazione (di origine gnostica) del Figlio con il Padre (l’affermazione che il Figlio ed il Padre sono della medesima sostanza, al fine di eliminare tutte le eresie subordinazionistiche del Figlio dal Padre). Su queste cose da nulla, Silvestro non ebbe da dire nulla ed in cambio ricevette da Costantino: il Palazzo Laterano (la Domus Faustae che era stata la dimora della prima moglie di Costantino) che divenne sede del vescovo di Roma da Silvestro a Benedetto XI (1304); la Basilica Lateranense che Costantino fece costruire appositamente e fece arredare con statue, candelabri e vasellame d’oro tanto che fu chiamata Basilica Aurea; (dal Liber Pontificalis) la fondazione dell’antica Basilica di San Pietro sul tempio di Apollo; (dal Liber Pontificalis) la costruzione della Basilica di San Paolo; (dal Liber Pontificalis, questa volta riferito alla madre di Costantino, la baldracca Elena) la costruzione della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme in cui Elena depose un pezzo della croce in cui fu crocifisso Gesù (una bufala gigantesca il ritrovamento di un pezzo della croce 300 anni dopo …).
Dopo alcuni Papi poco interessanti, arriviamo presto a Papa Damaso (366-384) che è il primo Papa che viene eletto in mezzo a lotte furibonde tra i seguaci di due candidati, lo stesso Damaso e Ursino (argomento del contendere era l’essere o meno concilianti con gli eretici pentiti e con i seguaci dell’antipapa Felice II(3)). I due vennero eletti simultaneamente vescovi di Roma in due Basiliche romane: in Santa Maria in Trastevere venne eletto Papa Ursino che: era contrario alla mitezza che era stata mantenuta da Liberio con eretici e seguaci di Felice; rimproverava a Damaso di essere stato un sostenitore di Felice e … di avere il sostegno delle nobildonne romane; in San Lorenzo in Lucina veniva eletto Papa Damaso, un patrizio spagnolo. La maggioranza degli elettori era con Damaso ma Ursino resistette. Per tre giorni vi furono scontri violenti con molti morti, finché non vinse il partito di Damaso. Iniziavano, per la prima volta con tutta evidenza, le brame di potere per esaudire le quali ogni mezzo diventò lecito. Scrive in proposito Rendina, citando tra l’altro lo storico pagano Ammiano Marcellino:
«L’ardore di Damaso e Ursino per occupare la sede episcopale», racconta Ammiano Marcellino, «superava qualsiasi ambizione umana. Finirono per affrontarsi come due partiti politici, arrivando ad uno scontro armato con feriti e morti; il prefetto, incapace di impedire o soffocare il tumulto, dovette tenersi fuori dalla mischia. Damaso ebbe la meglio: la vittoria, dopo molti assalti, arrise al suo partito; nella basilica di Sicinnio, dove i cristiani erano riuniti, furono trovati 137 morti, e passò molto tempo prima che gli animi si calmassero. Non c’è comunque da meravigliarsi, considerando lo splendore di Roma, che un premio così ambito accendesse il desiderio di uomini maliziosi e determinasse le lotte più feroci e ostinate. Una volta raggiunto quel posto, si gode in santa pace della fortuna assicurata dalle donazioni delle matrone, si va in giro su un cocchio vestiti elegantemente, si partecipa a banchetti il cui lusso supera quello della tavola imperiale».
Del resto questo malcostume ecclesiastico non è denunciato soltanto da uno scrittore pagano come Ammiano Marcellino, portato evidentemente a calcare la mano su certi avvenimenti; San Girolamo, sempre nei confronti di Damaso, di cui era segretario, ricorda che da vescovo aveva tentato di convertire il prefetto di Roma, Pretestato, e si sentì rispondere con una frase che rifletteva una certa mentalità diventata evidentemente un luogo comune: «Senz’altro, però voglio essere eletto vescovo di Roma!».
E San Girolamo ancora è fonte di altri particolari che documentano la vasta degenerazione dei costumi ecclesiastici. «Ci sono alcuni che si fanno consacrare diaconi e preti solo per poter fare visita liberamente alle donne», denuncia in un suo scritto. «Pensano solo a vestirsi bene e profumarsi di mille odori. I calzari devono essere perfetti. Si arricciano i capelli col calamistri; le dita sono sfolgoranti di anelli e per timore di sporcarsi le scarpe di fango li vedi camminare come in punta di piedi. A guardarli andare in giro in questo modo li prendi più per vagheggini che per chierici. L’operosità e la scienza di molti consiste esclusivamente nel conoscere nomi, case e tenore di vita delle matrone».
Una delle imprese di Damaso che va ricordata è relativa allo Spirito Santo. Sotto il suo regno, si celebrò il Concilio di Costantinopoli del 381 in cui venne affermata la divinità dello Spirito Santo. Meno male, altrimenti avevamo una Trinità sbilenca.
Altri tumulti tra fazioni si ebbero per l’elezione di Papa Bonifacio I (418-422), con molti elettori che elessero Papa l’arcidiacono Eulalio. Ci volle un Concilio che non riuscì a decidere ciò che invece fece l’Imperatore Onorio che si schierò in favore di Bonifacio. Ma intanto si era avuto Papa Innocenzo I (401-417) che era figlio del suo predecessore, l’inutile Papa Anastasio I (399-401).
LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE
Nel 410, sotto Papa Innocenzo I, i Visigoti di Alarico (cristiano ma ariano) arrivarono a Roma e per tre giorni la saccheggiarono. Coloro che avevano militato nelle legioni romane ora si rivoltavano contro la capitale dell’Impero. Roma era in mano ad imperatori imbelli come Onorio, deposto alla fine dallo stesso Alarico, che preda della paura era stato solo capace di pagare Alarico per scongiurare l’invasione. Ora Alarico non si accontentò più: oltre all’oro, voleva terre, come la Pannonia. Alle trattative con Onorio, che si tennero a Ravenna, partecipò anche Innocenzo e ciò è indice del ruolo politico che via via stava assumendo la Chiesa di fronte alla latitanza del potere civile. E’ probabile, come racconta Gregorovius rifacendosi ad antiche cronache cittadine, che Innocenzo avesse contrattato il Sacco di Roma con Alarico: si dovevano risparmiare vittime civili, chiese e particolarmente le Basiliche di San Pietro e di San Paolo. E’ invece certo che già dal 408, quando si aveva sentore delle minacce a Roma, Innocenzo permise ai privati di fare sacrifici per placare gli dei. Il Papa si rivolse anche al prefetto della città, Pompeiano, affinché consultasse gli aruspici che avrebbero dovuto leggere ed interpretare le viscere (questi sono racconti del cronista Zosimo che esaltava Innocenzo perché si mostrava particolarmente legato più a Roma che alla sua fede). Comunque, poer sicurezza Innocenzo si allontanò da Roma durante i saccheggi e si fece ospitare in luogo sicuro a Ravenna.
I Papi che seguirono Bonifacio I, al quale eravamo rimasti, soprattutto a partire da Sisto III (432-440) si preoccuparono di arricchire di chiese la città e di arredarle e decorarle con il massimo lusso tanto che Girolamo ebbe a dire: I veri servi di Cristo si tengono lontani dal lusso. Qualcuno mi dirà che in Giudea il Tempio era ricco e che in esso la mensa, i candelabri, i turiboli, le coppe, i calici e tutti gli altri arredi erano d’oro. Ma poiché il Signore fece della povertà il suo tempio, noi dobbiamo pensare alla croce e considerare la ricchezza nient’altro che fango. Ma su Sisto vi sarebbero delle gravissima accuse: aver violentato una giovane religiosa, Chrysogonie, e aver avuto rapporti incestuosi. Le accuse gli vennero rivolte da un prete, Bassus, in un processo che fece scalpore. Sisto fu assolto e Bassus finì in prigione dove morì avvelenato. Non si possono, a questo punto, ignorare le gesta dell’immediato successore di Bonifacio I, il vescovo di Roma di paglia in mano ad un criminale, Celestino I (422-432), amico di Sant’Agostino. Il criminale è il vescovo di Alessandria Cirillo, vero capo di squadracce cristiane all’attacco di ognuno che deviasse minimamente non già dal credo cristiano ma dal suo credo. Cirillo già noto per aver istigato le sue squadracce a fare a pezzi Ipazia, la filosofa e matematica direttrice della Biblioteca di Alessandria, fu a capo delle squadracce cattoliche per affermare dogmi di fede. La questione era relativa ad un titolo da assegnare a Maria, la madre di Gesù. Il patriarca di Costantinopoli, Nestorio, si schierò contro il chiamare Maria Madre di Dio, asserendo che era molto più consono il nome di Madre di Cristo. Il problema si pose nel Concilio di Efeso del 431 convocato dall’Imperatore d’Oriente Teodosio II. I partecipanti arrivarono al Concilio con scorte armate, tanto per far capire in cosa consisteva il messaggio di Gesù. Leggiamo il seguito della storia da Deschner [1]:
Ad Efeso furono invitati tutti i metropoliti orientali, ed alcuni occidentali; anche il Vescovo romano Celestino, che inviò dei legati; fu convocato anche Agostino poiché a corte non era ancora giunta la notizia della sua morte, avvenuta quattro mesi prima.
Nestorio entrò per primo, seguito da dieci vescovi e una scorta di soldati “come se si recasse in battaglia” (Hefele); “tra tutti i galli da combattimento presenti” i soldati erano “i più pacifici” (Dallmayr). Poco prima dell’inizio della sessione, il patriarca insieme a sei o sette vescovi si rifiutò tuttavia di comparire davanti al sinodo. Tra i presenti c’erano: il vescovo di Efeso, Meninone, che con tutte le sue chiese stava dalla parte di Cirillo; e lo era anche l’episcopato dell’Asia minore che cercava di liberarsi dalla supremazia di Costantinopoli. Anche Giovenale di Gerusalemme, ambizioso opportunista che anelava ad un’alta carica cittadina e alla sua indipendenza da Antiochia, comparve accompagnato da quindici prelati palestinesi schierandosi con Cirillo. Questi, che era giunto in nave, da Rodi aveva scritto una lettera in cui diceva: “La pietà e la benevolenza di Cristo, nostro Redentore, ci ha fatto attraversare questo immenso mare con venti dolci e miti…”.
Ignorando la disposizione imperiale, Cirillo comparve con una forte scorta, composta da uno squadrone di cinquanta suffragani egiziani, molti chierici così come da orde di monaci combattenti, in parte analfabeti ma inflessibili credenti. Dai tempi di Attanasio lo strumento principale del potere politico dei vescovi erano le bande di vagabondi sfaccendati, portantini, marinai e fanatici di ogni sorta pronti ad ogni tipo di violenza Terrorizzavano con fanatismo e ogni tipo di violenza istituzioni, corti ed avversari ecclesiastici. Ovunque lavoravano i monaci, coccolati e coartati dall’alto clero, “con i mezzi più brutali per incitare le masse” (Stein). Anche il vescovo del luogo Meninone, sollevò il popolo di Efeso contro Nestorio, al quale rimasero chiuse tutte le chiese. […]
II concilio non ebbe inizio, come concordato il 7 giugno, per il ritardo provocato dai vescovi di Siria e Palestina e dal patriarca Giovanni di Antiochia che nel viaggio incontrò numerose difficoltà – alcuni dei suoi vescovi si ammalarono e molte bestie da soma morirono. Ma nonostante (o proprio per il fatto che) il 21 giugno un’ambasciata annunciasse l’imminente arrivo di Giovanni, Cirillo decise di prendere in mano la situazione. Faceva molto caldo, molti vescovi si ammalarono, alcuni morirono addirittura, e prima che comparisse il “branco” fedele a Nestorio, il 22 giugno 431, Cirillo diede inizio al sinodo nella chiesa principale di Efeso, divenuta già da tempo una chiesa consacrata a Maria. L’esplicito divieto imperiale e la dura protesta di 68 vescovi, provenienti da diverse province – che si “precipitarono ad agire per Cristo il Signore e per i canoni divini, osando schierarsi contro l’audacia e la presunzione” – furono omessi dagli atti conciliari greci. Anche il commissario Candidiano, messo dell’imperatore, che temeva “un concilio privato”, protestò ripetutamente finché non fu messo alla porta “imperiose et violenter“. Cirillo riuscì così a conquistare quella maggioranza che, seppure in ritardo, passò ai posteri come “terzo concilio ecumenico di Efeso”.
Successivamente Cirillo, il santo senza scrupoli [la Chiesa santifica sempre i criminali, ndr] riuscì ad ottenere tutto, sostenne che due vescovi siriani giunti ad Efeso prima degli altri lo avevano pregato, in nome di Giovanni, che in realtà era suo oppositore, di dare inizio al sinodo. […]
Secondo gli atti conciliari, Cirillo presiedette di fronte a 153 Vescovi e rappresentò anche “Celestino, santo e venerando vescovo della chiesa dei romani”. Non attese nemmeno l’arrivo dei legati papali, i vescovi Arcadie e Proietto e il presbitero Filippo. I padri conciliari sprecarono molte auliche parole sull’unione dell’umano e del divino in Cristo e sull’incarnazione del “Logos”. Cirillo presentò una raccolta di venti passi di “parole blasfeme” scritte da Nestorio che suscitarono l’effetto desiderato; il vescovo Palladio di Amasia si offese a tal punto che, per lo sgomento, fu costretto a tapparsi le orecchie ortodosse. Tutti, uno dopo l’altro imprecarono, spesso rumorosamente, contro Nestorio, il maledetto “eretico” che per Euoptio di Tolomea “meritava da Dio e dall’uomo ogni sorta di punizione”. Già nella prima sessione del concilio, Cirillo non diede la parola al “senzadio… al predicatore delle empie dottrine, Nestorio”, che saggiamente si era tenuto a distanza, lo scomunicò, lo depose e soprattutto si rivolse a lui come: “A Nestorio, il nuovo Giuda”. Negli atti sinodali è riportato, in tono formale, che “molte lacrime vennero versate prima di giungere alla sua condanna: i Santissimi presenti al Sinodo decisero, per l’offesa recata a Gesù Cristo nostro Signore, di espellere Nestorio dal consesso ecclesiastico e di deporto dalla carica episcopale”. Oggi gli storici della chiesa concordano che “Nestorio fu accusato ingiustamente di eresia’” (Klauser). Ed anche che Cirillo procedette “senza riguardo e guadagnandosi una pessima reputazione” (Schwaiger). Mentre i soldati dovevano proteggere Nestorio, Cirillo festeggiava allegramente con fiaccole e incenso; una performance che richiese una regia canagliesca ma coronata dal successo.
Da quel 22 giugno, Cirillo esultante riferiva al clero e al popolo di Alessandria: “Evviva il Signore!… Dopo una seduta durata tutto il giorno, siamo riusciti a punire il miserabile Nestorio con la destituzione e ad allontanarlo dalla carica di vescovo. E stato condannato e non ha avuto neanche il coraggio di presentarsi davanti ai Santissimi padri del sinodo. Erano presenti più di 200 vescovi”. Qui il santo ha sicuramente esagerato. La sentenza conciliare porta la firma di 197 vescovi, ma … “soltanto 150 erano presenti”.
Cirillo raccontò ai suoi anche che tutta la città di Efeso attese impaziente la sentenza del “Santo Sinodo” e poi a una sola voce si congratulò col “Santo Sinodo” e lodò Dio per aver “annientato il nemico della fede”. Dopo aver lasciato la chiesa, una processione di fiaccole accompagnò i vescovi fino alle loro abitazioni. “In tutta la città c’erano illuminazioni e festeggiamenti! Le donne ardirono di farci strada con gli incensi! Il Signore ha mostrato la sua onnipotenza a coloro che offendono il suo nome”.
Emerge da tutta la lettera che non fu sprecata una sola parola sull’Annunciazione di Maria, preteso tema portante del sinodo. […]
Il padre della chiesa Teodoreto, vescovo di Ciro, presente a questo concilio, riporta: “L’Egiziano [Cirillo] nuovamente si oppone a Dio combattendo Mosè e il suo seguito, ma la maggioranza di Israele si schiera dalla parte del nemico, poiché soltanto pochi sono così sani da poter tollerare l’impegno della devozione… Quale commediografo ha raccontato una tale favola, quale poeta tragico hai mai scritto versi così lacrimevoli?”. Nestorio racconta che Cirillo fu il concilio ecumenico in persona, “poiché qualunque cosa dicesse, tutti la ripetevano. Senza dubbio rappresentò la corte… Ha radunato, da vicino e lontano, tutti coloro che gli erano graditi trasformando il sinodo in un tribunale. Ma chi era il giudice? Cirillo. Chi era l’accusatore? Cirillo. Chi era il vescovo di Roma? Cirillo. Cirillo era tutto”. Il papa Celestino I, da parte sua, si attribuì tutti i meriti, “grazie alla venerabile Trinità” e si vantò di essere stato lui a porgere il coltello “per tagliare la piaga dal corpo della Chiesa” che “la terribile infezione fece opportunamente apparire” […].
Il papa Celestino trasformò il sinodo di Efeso “in una grande schiera di santi” che testimoniavano “la presenza dello Spirito Santo”. In realtà Cirillo si servì del romano, così come del patriarca e dell’imperatore, soltanto per vincere la sua battaglia contro Costantinopoli. Infatti, i legati papali non ebbero alcuna voce in capitolo sulle decisioni finali; essi rappresentavano soltanto una parte dell’Occidente: l’episcopato africano e quello illirico mandarono, infatti, dei propri legati. Nel resoconto a Celestino i legati romani, di cui non si attese neanche l’arrivo, vennero menzionati soltanto brevemente alla fine, conformemente alla loro breve apparizione e onorati soltanto da alcune ridondanti quanto insignificanti frasi come “Il santissimo e beatissimo Pietro, il primo e il più grande degli apostoli, colonna della fede e fondamenta della Chiesa cattolica, al quale nostro Signore Gesù Cristo, redentore di tutta l’umanità ha donato le chiavi del regno e il potere di legare e sciogliere… Lui che in tutti i tempi, fino ai nostri giorni vive e impera sui suoi discendenti…”, e così via.[…] Ciò che condusse alla catastrofe fu l’odio che Cirillo covava per Nestorio e i suoi seguaci e la volontà di annientarli. Le sue truppe d’assalto, addestrarono flotte di monaci ignoranti, scriteriati che proprio per questo si facevano facilmente prendere dagli entusiasmi…”. Così giudica il teologo cattolico e storico della Chiesa Georg Schwaiger uno dei più grandi santi del cattolicesimo.
II concilio però non era ancora giunto ad alcuna conclusione e Cirillo non poté ancora dichiararsi vittorioso.
Pochi giorni dopo comparvero, trattenuti dal maltempo o forse perché “caduti da cavallo”, i vescovi siriani, al tempo chiamati gli “orientali”, sotto la guida del patriarca Giovanni di Antiochia, un amico di Nestorio. Questi vescovi davanti ai quali i Santissimi non si chinavano, si riunirono il 26 giugno, non appena arrivati, con una parte di coloro che il 21 giugno si erano opposti a Cirillo, e in presenza di Candidiano, commissario imperiale nonché garante ufficiale del concilio, dichiararono che senza dubbio il loro era il “concilio legale, non si può chiamare in altro modo” (Seeberg), anche se in sostanza era un sinodo di appena cinquanta vescovi. Deposero Cirillo e Meninone, vescovo di Efeso che fu accusato di aver fatto assalire Nestorio da orde di monaci, e Nestorio fu costretto a richiedere l’intervento dei militari […]. Il sinodo dichiarò che i restanti padri conciliari sarebbero stati scomunicati, fintante che non avessero ritrattato le frasi “eretiche” che “confutavano apertamente le parole del vangelo e degli apostoli”. La minoranza indirizzò all’imperatore una furibonda protesta contro il “barbarico consesso” degli avversari, trattenendo le lettere di Cirillo a Teodosio. San Cirillo allora mandò in strada le sue orde di monaci e si ebbe così una totale anarchia.
Il racconto continua ma basta fermarsi qui. La lunga citazione deve servire per far comprendere come si realizzavano i Concili e come passavano i dogmi. Gli armati al servizio di Dio. Ma c’è dell’altro. Questo criminale di Cirillo fu santificato con il massimo titolo di Dottore dalla Chiesa e la cosa potrebbe non sorprendere se storicizzata e fissata in quegli anni. Il fatto è che la santificazione avvenne nel 1882 e che anche Papa Benedetto XVI ha recentemente fatto l’esegesi di San Cirillo (dimenticando Ipazia ed i suoi armati). La Chiesa allora come oggi confida nell’ignoranza del gregge e da questo insegnamento, certamente vincente, ha tratto molto profitto anche la politica dei tempi bui che viviamo.
Tornando al seguito delle vicende che trattavo, quasi 50 anni dopo il sacco di Roma da parte di Alarico, con Valentiniano III Imperatore e Leone I (Magno) Papa, altri barbari premevano ai confini, gli Unni di Attila. Nel 452 Attila era ad Aquileia e sembrava non vi fossero ostacoli alla conquista di Roma. Vi sono racconti che parlano del “flagello di Dio” che aveva paura di avanzare per paura superstiziosa poiché Alarico era morto improvvisamente dopo il Sacco di Roma. Valentiniano è incapace di ogni azione ed addirittura non nomina il valente Ezio come condottiero dell’esercito per paura che la sua fama lo offuschi. Anche ora si intavoleranno delle trattative che avranno luogo a Peschiera, vicino Mantova. La delegazione di Roma era composta anche da Leone Magno che sembra sia stato il più attivo negoziatore. Non si sa cosa si siano detti. Sembra che il motivo dirompente sia stata l’offerta da parte di Leone Magno di enormi quantità d’oro sottratto dal tesoro della Chiesa. Sta di fatto che Attila rinunciò ad avanzare e si ritirò(4). Ma anch’egli morì l’anno successivo ubriaco e stremato nel letto di nozze. Scongiurata questa minaccia, Roma si vide invasa dalla corte di Valentiniano che prima risiedeva altrove. Un vero Imperatore miserabile, incapace, lussurioso che creò problemi gravi all’intera città perché indirettamente favorì l’invasione dei feroci vandali (ariani) di Genserico(5). L’Imperatore era Massimo che come tutti gli altri era incapace di qualsiasi azione e che addirittura ostacolò il tentativo popolare di tassarsi per mettere su un esercito contro il terrore imminente di un invasione di Vandali. Ancora una volta fu Papa Leone Magno ad andare a trattare con Genserico che aveva attraccato la sua flotta alle foci del Tevere. Con costui non bastò l’offerta di oro perché desistesse. Leone ottenne solo che nel saccheggio di Roma del 455, non si desse alle fiamme la città, non si uccidessero civili e fossero risparmiate le basiliche di San Pietro, San Paolo e del Laterano. Per 15 giorni la città fu a completa disposizione di Vandali che la spogliarono di ogni bene. Statue, ori, vasellame, arredi, di ogni palazzo, ad iniziare da quello imperiale, i ogni tempio pagano, includendo le cose preziose che Tito aveva portato dal saccheggio del Tempio di Gerusalemme, ogni cosa fu trafugata e caricata sulle navi ormeggiate alle rive del Tevere. Anche migliaia di romani furono fatti schiavi e portati in Africa e, con loro, l’imperatrice Eudossia, che aveva incitato i Vandali ad invadere Roma, e le sue due figlie, Eudocia e Placidia. Gran parte del bottino andò perso nel naufragio che si ebbe sulla via del ritorno. Ma l’oro del Papa era ancora abbondante e, andati via i Vandali, Leone lo usò e non per alleviare i danni ed i lutti della popolazione ma per ricostruire chiese, ripristinare arredi ed ogni cosa fosse andata distrutta nelle chiese medesime. Su quest’opera di ricostruzione e ripristino degli splendori precedenti lavorò anche il successore di Leone Magno, Ilario (461-468) un Papa che non si occupò mai di religione, e, come denuncia Gregorovius, “Mentre Roma precipitava nella miseria e moriva, le chiese si coprivano di pietre preziose e le basiliche traboccavano di tesori favolosi, davanti agli occhi di un popolo che si era dissanguato nel tentativo di armare un esercito e una flotta contro i Vandali”. Nel Liber Pontificalis si può leggere un elenco infinito di oggetti preziosi, d’oro e d’argento, con cui egli arredò chiese e sacrestie. Già a quel tempo quindi la Chiesa era ricchissima ed in essa affluivano montagne di beni da parte delle corti cristiane e da parte di innumerevoli donazioni di chi sperava di conquistarsi un posto vicino a Gesù. A tali beni c’era da aggiungere un immenso patrimonio immobiliare e terriero che forniva gigantesche rendite.
A Papa Ilario seguì Papa Simplicio (468-483), regnante quando nel 474 si firmò la pace con i Vandali. A partire dal 465 l’Occidente non aveva più un Imperatore. Vi erano state delle nomine di uomini di paglia da parte dell’Imperatore d’Oriente Leone I, morto il quale nel 474 iniziò una guerra di successione ad Oriente che interessò anche l’Occidente. Zenone, assurto (poi deposto, poi di nuovo tornato al potere nel 476) con complotti vari al ruolo di Imperatore d’Oriente, firmò nel 474 una pace con i Vandali quando costoro avevano conquistato il Nord dell’Africa insieme a tutte le grandi isole del Mediterraneo: Sicilia, Sardegna, Corsica e Baleari. Naturalmente Papa Simplicio si schierò con Zenone tessendone le lodi. La passione del Papa per Zenone nasceva dal fatto che quest’ultimo, per avere l’appoggio di Roma visto che la Chiesa di Costantinopoli non gli era favorevole, si era detto ortodosso e contrario all’arianesimo che da quelle parti era in maggioranza. Intanto in Italia, dopo vari saccheggi successivi di Roma e devastazioni ovunque, veniva deposto da orde di barbari l’ultimo pupazzo dell’Impero, Romolo Augustolo. Alla testa dei barbari che erano sommatorie di Rugi, Eruli, Sciri e Turilingi, vi era Odoacre che si proclamò Re d’Italia il 23 agosto del 476. Zenone non approvò il titolo di Re ma riconobbe il fatto che Odoacre fosse un patricius romanorum, un protettore della città di Roma (sic!). La Chiesa, come sempre, accettò il fatto compiuto dei barbari padroni d’Italia anche se pericolosamente Odoacre era ariano. Paradossalmente era l’inizio dell’aumento spropositato del potere della Chiesa in Occidente che iniziò ad operare senza i vincoli dell’Impero d’Occidente ed assumendo in pratica la direzione politica di esso. Anche qui vi è una chiara visione della situazione di Gregorovius: “Liberatosi dall’Imperatore d’Occidente, il papato cominciò la sua ascesa e la Chiesa di Roma crebbe potentemente sulle rovine, sostituendosi all’impero. Alla caduta di quest’ultimo, essa era già un organismo solido e imponente che la tragica sorte del mondo antico non poté neppure sfiorare; anzi, colmando subito la lacuna creata da quella scomparsa, la Chiesa gettò il ponte che avrebbe unito l’antichità al mondo nuovo. Riconoscendo il diritto di cittadinanza a quei tenaci Germani che avevano distrutto l’impero, la Chiesa romana si procurò gli elementi vitali che le permisero di ergersi a dominatrice finché, attraverso un lungo e memorabile processo, l’impero occidentale poté risorgere come impero romano-germanico”.
L’ASCESA DEL PAPATO
Simplicio morì nel 483. L’elezione del vescovo di Roma era fino allora avvenuta per elezione popolare del popolo dei fedeli, del popolo cioè di Roma, con ratifica di un funzionario dell’Impero. Poiché ora l’erede dell’Impero era Odoacre, fu lui a pretendere di ratificare le elezioni. Anzi chiese ed ottenne, in base ad un presunto decreto del defunto Simplicio, che la nomina papale sarebbe avvenuta tramite la consulenza di delegati regali. E fu con questo nuovo metodo che fu eletto vescovo di Roma Felice III (483-492), un nobile romano della famiglia degli Anici. Prima di accedere a così alta carica Felice era stato sposato ed aveva avuto un figlio, Gordiano, che a sua volta ebbe come figlio l’altro vescovo di Roma Agapito I e trisavolo dell’altro vescovo di Roma Gregorio I (un famiglia eccellente, come vedremo). Felice si occupò di ristabilire rapporti con la Chiesa d’Oriente, con la quale vi erano stati violenti litigi e scomuniche reciproche fino ad un vero e proprio scisma che durò dal 484 al 519, e per farlo chiese a Zenone chiarimenti sulla sua ambiguità (da un lato ortodosso e dall’altro in rapporti di potere con gli ariani ed i monofisiti(6)). Zenone non solo fece finta di non capire ma incitò l’ariano Teodorico, Re degli Ostrogoti, ad invadere l’Italia e cacciare Odoacre responsabile dell’elezione di Felice. Nella guerra tra i due Re barbari vinse Teodorico (con l’inganno e con un feroce massacro di Odoacre e della famiglia da parte del medesimo Teodorico) che, nel 493, si proclamò Re d’Italia. A quella data Zenone e Felice erano morti e nuovo vescovo di Roma era diventato Gelasio I (492-496). A questo punto gli ariani erano praticamente padroni dell’Italia ma non praticarono le conversioni forzate tanto care ai cattolici e lasciarono completa libertà di culto ai romani. Teodorico per parte sua mantenne ottime relazioni con l’Impero d’Oriente ed in politica estera si legò ai Visigoti localizzati in Spagna, ai Merovingi ed ai Burgundi di Francia, ai Turingi che regnavano oltre il territorio dei Franchi, agli Eruli che dominavano le zone danubiane. Con queste popolazioni, tutte convertite al Cristianesimo, la Chiesa romana mantenne relazioni con un misto di dominio ed influenza ed anche con un adattarsi ai loro costumi e cultura (più arretrata di quella che l’Italia aveva ereditato dall’Impero). Con gli altri barbari (come Ostrogoti e Vandali) che avevano abbracciato l’arianesimo, la Chiesa di Roma non ebbe altra scelta che convivere sperando nel momento di sradicare la tremenda eresia. Intanto a Roma si continuava a morire di fame, con l’aggravarsi della situazione per il popolo a seguito delle ulteriori spogliazioni degli Ostrogoti di Teodorico. La questione toccava solo marginalmente la Chiesa, sempre risparmiata in cambio di losche contropartite. Sotto il regno di Gelasio I fu realizzato il Liber Censum, libro nel quale venivano elencate, tra le altre cose, le disponibilità di grano della Chiesa derivanti dalle sue proprietà terriere e dalle donazione di Teodorico. Il munifico Gelasio ordinò che di quella quantità di grano si facessero 4 parti delle quali una avrebbe continuato ad essere sua proprietà esclusiva per impiego in elemosine che alleviassero tanta miseria, un’altra parte era per il Clero, una terza parte sarebbe servita per la distribuzione ai poveri e l’ultima parte per costruire chiese. In questa suddivisione vi è una cosa chiara ed un imbroglio. Cosa doveva distribuire Gelasio se una parte era già destinata ai poveri ? Quella parte di grano rimaneva nelle sue disponibilità e basta. L’imbroglio è proprio quello che la suddivisione faceva sembrare che la metà del grano andasse ai poveri mentre ad essi andava solo una quarta parte. Comunque, anche qui, l’idea di costruire chiese sembra maniacale e stupida in un momento così drammatico. Ma Gelasio, oltre alla sua manifesta generosità con i poveri, è noto per aver rivendicato presso l’Imperatore d’Oriente, Anastasio I (interlocutore più potente che la corte di Teodorico), il primato del potere sella Chiesa su quello dello Stato, del potere spirituale su quello temporale. E’ un manifesto delle aspirazioni della Chiesa che illuminerà di sé l’intero Medioevo. Scriveva Gelasio(7):
«Due sono i poteri, augusto imperatore, che principalmente governano questo mondo: il potere sacro dei vescovi e quello temporale dei re. Di questi due poteri il ministero dei vescovi ha maggior peso, perché essi devono render conto al tribunale di Dio anche per i re dei mortali. […] Ti è pure noto che per partecipare ai divini misteri hai bisogno di adempiere ai precetti della religione, che a te non è lecito di stabilire, perché in tali cose dipendi dal giudizio dei ministri del santuario che non puoi piegare a compiere il volere tuo. […] Nelle cose temporali invece, riguardanti lo Stato, anche i preposti al culto di Dio prestano obbedienza alle tue leggi, perché sanno che per divino potere ti fu data la potestà imperiale affinché nelle cose temporali ogni resistenza venisse esclusa. […] E se conviene che tutti i fedeli si sottomettano ai vescovi, i quali rettamente dispensano le cose sacre, quanto maggiormente è necessario procedere con il capo di quella sede che Dio ha preposto a tutte le altre e dalla Chiesa universale [naturalmente Roma, ndr] fu sempre venerata con devozione filiale».
Dopo una breve parentesi del vescovo di Roma Anastasio II (496-498) che tentò di conciliarsi con la Chiesa d’Oriente, vi fu di nuovo una elezione con tumulti e scontri violenti in tutta la città. Risultò eletto Papa(8) Simmaco (498-514) dopo che i Papi eletti furono due, uno per ogni fazione in lotta. Una fazione, che non voleva essere conciliante con la Chiesa d’Oriente, elesse Simmaco mentre l’altra, che voleva superare lo scisma, elesse Lorenzo. Come risolvere il problema di due Papi eletti nello stesso giorno in due basiliche diverse ? Ci si rivolge a Teodorico in Ravenna. E Teodorico dice che il primo letto è quello che ha diritto, conta poi anche il numero di coloro che hanno votato o per l’uno o per l’altro. Simmaco è allora l’eletto ma con il grave sospetto di aver corrotto l’intera corte di Teodorico. L’eletto convoca (499) un Concilio a cui partecipano 72 vescovi italiani. Il Concilio è aperto dalle parole di Sammaco che, spudoratamente, dice: “Vi ho chiamati per cercare un modo di sopprimere i maneggi dei vescovi, gli scandali ed i tumulti popolari, come quelli provocati durante la mia elezione“. Alla fine del concilietto si decise di non fare più campagna per un Papa o un altro quando ancora è in vita il predecessore ed a sua insaputa. Sarà eletto il Papa che avrà i voti di tutto il clero o almeno la maggioranza dei voti. Sarà il Papa regnante che designerà il successore. In queste poche parole vi sono due cambiamenti radicali ed una vergogna rispetto al passato: da una parte vengono esclusi i laici dall’elezione del capo della comunità dei cristiani e dall’altro sparisce l’unanimità dei voti del clero che era stata voluta in precedenza. La vergogna è quell’indicare il successore. Comunque queste norme rimasero lettera morta perché i laici entrarono ancora nelle elezioni dei Papi e la nomina del successore resterà un pio desiderio. Simmaco ed il clero in bell’ordine accolsero come un grande della storia, un novello Traiano, Teodorico che nel 500 visitò la città. Teodorico ricambiò on doni alla Chiesa, con restauri di chiese e monumenti. Sembrava che tutto andasse verso un’epoca di pace e benessere ma Simmaco fu denunciato a Teodorico ufficialmente per una questione di culto (aver celebrato la Pasqua in un giorno sbagliato) in realtà ed in segreto per avere rapporti immorali con varie donne ed aver sperperato i beni della Chiesa. Simmaco fu abbandonato dai suoi sostenitori e dovette rifugiarsi in San Pietro per evitare guai anche fisici. Intervenne Teodorico per processare chi sembrava colpevole, per sequestrare i beni della Chiesa e per richiamare Lorenzo, l’altro Papa, a Roma. A seguito di ciò iniziarono violenti scontri in tuta Roma, una vera guerra tra le due fazioni ancora in piedi, che durò ben 4 anni, fin quando si arrivò a sistemare il tutto con Simmaco che tornò Papa operante. Per farsi perdonare e per seguire sulla strada scellerata dei suoi predecessori, a fronte della miseria e fame dilaganti, spese soldi per costruire nuove chiese e rendere fastosi gli edifici del clero.
L’elezione del nuovo Papa, Ormisda (514-523), non creò problemi. Vi fu accettazione da parte di tutti. Poco dopo, in Oriente, era eletto Imperatore Giustino che, come uno dei suoi primi atti, convocò a Costantinopoli un Concilio con il fine di condannare il monofisismo e riuscire a riconciliare le due Chiese. Il proposito si attuò nel 1519 con la firma di 2500 vescovi d’Oriente. Ad Ormisda successe Giovanni I (523-526) che si trovò di fronte problemi enormi causati da quanto era avvenuto tra Ormisda e Giustino. Quest’ultimo, per mostrare di essere più papista del Papa, aveva emanato un decreto in cui metteva fuori legge l’arianesimo, confiscava le chiese ariane per cederle ai cattolici, imponeva la conversione ai medesimi ariani ed altri li martirizzava (la Chiesa cattolica se ha uno spiraglio vi entra dentro con ogni infamità). Della cosa venne a conoscenza Teodorico che era ariano. Disse che quanto pativano i suoi correligionari in Oriente sarebbe stato pagato con la stessa moneta dai cattolici d’Occidente ed iniziò con il distruggere qualche chiesa. Proibì quindi ai romani l’uso delle armi ed iniziò a reprimere ogni suo collaboratore che avesse qualche rapporto con i cattolici (tra essi fu giustiziato anche Boezio, l’autore del De consolatione philosophiae). Infine costrinse Givanni ad andare a Costantinopoli per convincere Giustino a ritirare il suo decreto. Giovanni partì (ed il fatto è in sé eccezionale perché si tratta del primo Papa in visita in Oriente) ma non ottenne tutto ciò che aveva chiesto Teodorico (in particolare il ritorno all’arianesimo di coloro che erano stati convertiti al Cristianesimo). Ritornata la delegazione in Italia fu fatta imprigionare da Teodorico e fu così che un Papa riuscì a morire in prigione. E fu Teodoricvo ad imporre il successivo Papa, Felice IV (526-530)(9).
DAI MEROVINGI AI CAROLINGI, PASSANDO PER I LONGOBARDI
Da questo punto parlare di Papi in senso religioso diventa addirittura ridicolo. Seguirà una cronaca criminale e basta. Felice IV fu certamente un Papa che lavorò per i beni materiali e gli interessi della Chiesa di Roma ma, altrettanto certamente, tralasciò le funzioni pastorali per dedicarsi indegnamente ai suoi piaceri. La morte di Teodorico rese debole il governo dei Goti che passò al figlio Atalarico che, essendo un giovanetto, necessitò della reggente Amalasunta. Quest’ultima anziché portare a termine i progetti di Teodorico, tra cui il passaggio delle chiese cattoliche agli ariani, emanò un editto con il quale la Chiesa poteva amministrare giustizia in questioni che fossero sorte tra laici e religiosi. Se un laico aveva qualche problema con un religioso doveva rivolgersi al Papa. Solo se quest’ultimo avesse respinto l’istanza, allora vi era la possibilità di rivolgersi al tribunale civile. Questa norma significava solo una cosa: il clero non rispondeva più davanti ai tribunali civili (credo si possa capire da dove derivi la cultura di qualche Presidente del Consiglio). Queste scelte crearono un solco sempre più grande tra le due fazioni esistenti a Roma, ora rappresentabili come o favorevoli a Roma medesima o a Bisanzio e, per paura di gravi disordini, prima di morire Giovanni si servì del decreto di Simmaco ed indicò davanti a qualificati testimoni e con un bando esposto in tutte le chiese la sua volontà di avere Bonifacio come suo successore. Alla morte di Giovanni i suoi desideri furono ignorati e fu eletto da una fazione maggioritaria Papa Dioscuro, mentre solo pochi elessero Papa Bonifacio II. Stando a quanto aveva decretato Teodorico in passato il titolo sarebbe spettato a Dioscuro ma nella votazione intervenne direttamente Dio che fece morire Dioscuro 22 giorni dopo la sua elezione, rattoppando un’altra contesa nel partito dell’amore. Bonifacio chiese ed ottenne il pentimento dei sostenitori di Dioscuro e si affrettò ad indicare il suo successore nel diacono Vigilio. Per questa sua presa di posizione il Senato mise Bonifacio sotto accusa. Dalle polemiche che seguirono venne fuori che Dioscuro aveva corrotto i suoi elettori e, conseguentemente, il Senato emanò una legge secondo cui era vietato corrompere o farsi corrompere per una qualsiasi elezione (sic !). A parte gli esiti che non vi furono, questa legge mostra come meglio non si può quanto fosse diffusa la pratica della simonia e della vendita delle cariche ecclesiastiche. Il passaggio al papa successivo, Giovanni II (533-535), richiese due mesi di trattativa. Gli avvenimenti avevano reso il Senato arbitro di molte situazioni ed in definitiva era l’Istituzione che doveva ratificare la nomina papale. Molti ecclesiastici capirono che era lì dove rivolgersi, oltre alla compera diretta dei voti da altri ecclesiastici, per ottenere i consensi necessari ad una ascesa verso il soglio pontificio. E, per la prima volta, dei beni della Chiesa erano sottratti dal clero (arredi sacri e d’altare) per pagare laici al fine di ottenere cariche dalla Chiesa. La legge del Senato restava comunque una denuncia che rendeva miserrima la considerazione negli ecclesiastici. Vi fu un momento di tregua dovuta alla vergogna o necessaria ad una migliore riorganizzazione della simonia e, dopo due mesi, si elesse un umile prete della chiesa romana di San Clemente che si chiamava Mercurio. Eleggere Papa un Mercurio sembrò eccessivo per cui venne chiesto al papa di cambiare il nome in Giovanni II. E da questo momento i Papi acquisirono la facoltà di cambiare nome.
Intanto in Italia moriva Atalarico ed Amalasunta, per non perdere il regno dei Goti, sposò l’odiato cugino Teodato. In Oriente invece arrivò al trono un imperatore bigotto, ortodosso, nemico della conoscenza e fedelissimo alla Chiesa di Roma, Giustiniano ed i Papi con tale Imperatore tornarono alle dipendenze dello Stato. Le vicende dell’epoca si possono riassumere così. Giustiniano aveva intrapreso campagne contro i Vandali ed aveva riconquistato l’Africa. I suoi possedimenti si estendevano ormai in vaste aree del Mediterraneo. Sua intenzione era quella di riprendere possesso dell’Impero d’Occidente. Aiutò i suoi piani Teodato che aveva assassinato sua moglie Amalasunta. Con la scusa di voler vendicare tale affronto, Giustiniano inviò una flotta in Sicilia per marciare su Roma agli ordini di Belisario. Teodato cercò aiuto nel Papa Agapito I (535-536), figlio di Papa Felice III della famiglia Anicia,che però, pur essendosi recato come ambasciatore a Costantinopoli dove morì, non riuscì a fare nulla. La notizia della morte di Agapito senza che si avessero notizie su cosa intendesse fare Giustiniano, indusse Teodato a nominare in fretta un nuovo Papa, Silverio I (536-537), figlio del Papa Osmida. Di fronte alla imminente disfatta Teodato fu destituito ed ucciso dal suo esercito. Fu eletto successore Vitige. Intanto Belisario avanzava mentre la Chiesa si esercitava in una ulteriore giravolta che la vedeva sostenere il futuro vincitore. Arrivato a Roma Belisario ne ordinò la ripulita, il riordino, il restauro, la fortificazione e, soprattutto, di rifornirla di alimenti di cui la popolazione era sprovvista. Dopo varie vicende di complotti e tradimenti, Silverio fu deposto per lasciar posto al candidato di Belisario, Vigilio che aveva pagato profumatamente il comandante di Giustiniano. Papa Vigilio (537-555) era molto vicino al monofisismo e per questo arrivò al soglio pontificio. Vigilio mantenne fede a ciò che si sapeva di lui, recandosi subito a Costantinopoli disposto ad accettare, anche se solo in parte, la teoria monofisista che era dell’Imperatrice Teodora. In tal modo tentò di mantenere almeno un poco dell’autorità della Chiesa rispetto all’Impero d’Oriente. Di fatto tutte le sue successive azioni furono di asservimento totale a Giustiniano ed alla Chiesa d’Oriente. A Roma, intanto, la popolazione era inferocita. La rabbia dei romani non era tanto conseguente ad una questione di fede particolare, della quale francamente non sapeva nulla e davvero non si interessava, quanto al fatto che ci si fosse inchinati alla volontà di un Impero estraneo al potere che ormai era altra cosa in Roma. La fortuna di Vigilio fu di morire a Siracusa, durante il viaggio di ritorno da Costantinopoli, perché a Roma avrebbe trovato una accoglienza non festosa.
Seguirono molti Papi che si mossero sui soliti problemi di: lotta all’eresia, costruzione di chiese e palazzi (in un certo senso dando lavoro alla città), ricerca di alleati utili alla Chiesa, tentativi di ricomporre le differenze con l’Oriente, lotta all’eresia, difesa del primato di Roma, antipapi, elezioni illegali di Papi, corruzione e simonia. Una sorta di ristabilimento momentaneo di moralità si ebbe con Gregorio I, detto Magno (540-604) della famiglia Anicia, e con i suoi successori. Ma Gregorio, l’inventore del Purgatorio, nel suo affanno di purificazione fece bruciare tutti i libri “pagani” includendo l’intera Biblioteca palatina. E, come tutti i Papi, fece molto di più perché ormai essere Papi significava essere padroni che possono disporre dei sudditi e degli schiavi. Ed infatti Gregorio aveva molti schiavi, in gran parte sardi, e chiedeva al rappresentante imperiale nell’isola che vigilasse perché gli fosse inviata la merce migliore. Schiavi cristiani oltre a quelli pagani ma guai se gli ebrei avessero avuto un solo schiavo cristiano, perché i malvagi avevano ammazzato Gesù ! Così scriveva nel 599 il “santo padre” a Gianuario, vescovo di Cagliari, su alcuni pagani presenti nell’isola: i pagani ed idolatri devono essere convertiti mediante un convincente ammonimento e se tuttavia Voi notate che non sono disposti a modificare la loro condotta, desideriamo che con grande zelo Voi li arrestiate. Se sono schiavi, domateli con botte e torture al fine di ottenerne il miglioramento; ma se sono liberi, devono essere indotti al pentimento con una dura carcerazione, adeguata alle circostanze, affinché coloro che disdegnano d’ascoltare le parole di redenzione, che li salvano dal pericolo della morte, in tutti i casi possano essere ricondotti alla sana fede augurata per mezzo dei tormenti fisici. Sugli schiavi e su come erano considerati da questo Papa, ritenuto saggio e santo, merita citare cosa dice Deschner [1] che dedica un intero capitolo a questo personaggio abietto.
Sappiamo dallo stesso Gregorio che molti vescovi non si prendevano cura né degli oppressi né dei poveri, specificamente quelli della Campania. Ma lui era davvero un padrone moderato? In occasione della nomina a rettore del defensor Romanus [il rappresentante dell’Impero, una sorta di Prefetto, ndr] così scrisse ai coloni di Siracusa: “Vi ordiniamo dunque di obbedire prontamente alle disposizioni ch’egli riterrà giuste per la salvaguardia degli interessi della Chiesa. Gli abbiamo conferito il potere di punire severamente chiunque oserà disobbedire o ribellarsi. Gli abbiamo inoltre ordinato di ricercare tutti gli schiavi fuggitivi appartenenti alla chiesa e di recuperare con cautela, prontezza e energia tutta la terra da qualcuno occupata illegalmente”.
Per la gestione dei suoi beni Gregorio aveva ovviamente bisogno di veri eserciti di schiavi e di coloni obbligati alla terra: “I contadini liberi legati alla chiesa erano rari” (Gontard). Va da sé che il papa non scosse l’istituzione schiavistica: da dove avrebbe dovuto prendere altrimenti il denaro pei poveri l’amministratore del patrimonio dei poveri? Per non parlare del mantenimento dei “posti di lavoro”, già allora la preoccupazione di tutti gli imprenditori. Gregorio ricorda certo – da sempre infatti la sua chiesa rende contemporaneamente giustizia ai ricchi e ai poveri, e questo è forse il suo più straordinario miracolo! – anche ai signori che gli schiavi sono uomini, loro eguali per natura; ma benché siano uguali, assolutamente uguali, le condizioni concrete sono pur sempre del tutto differenti. Ergo, secondo Gregorio era necessario esortare gli schiavi “ad osservare in ogni situazione la bassezza della loro condizione” e che “significa oltraggiare Dio rifiutare i Suoi ordinamenti con un comportamento superbo”. Il santo pontefice insegna che gli schiavi devono “considerarsi servitori dei padroni” e i padroni “conservi fra i servi”. Ben detto!
Non è una religione utile? “Per natura, insegna Gregorio, gli uomini sono tutti uguali”, ma una “misteriosa disposizione” relega “alcuni più in basso di altri”, crea la “diversità delle classi”, e precisamente “come conseguenza del peccato”. Prima conclusione: “Ora, dal momento che gli uomini non procedono nella vita alla medesima maniera, gli uni devono dominare sugli altri”. Seconda conclusione: Dio e la Chiesa – nella prassi per il clero sempre la stessa cosa – erano per il mantenimento della schiavitù. E dalla Britannia alla Gallia e all’Italia ai suoi tempi c’era un florido commercio cristiano degli schiavi.
La chiesa romana aveva bisogno di schiavi, i conventi avevano bisogno di schiavi (Gregorio stesso nel 595 sollecitò il rettore della Gallia Candido all’acquisto di fanciulli inglesi schiavi per i chiostri romani), tutti compravano, usavano e usuravano schiavi come il proprio bestiame. E anche a un nemico quale il re longobardo Agilulfo il papa poté assicurare che il lavoro di tali servi tornava ben utile a entrambe le parti! (Di nuovo un concetto straordinariamente moderno, direi globalizzante). Quando poi questi miserabili fuggivano dalla propria miseria, il che accadeva piuttosto sovente, il santo padre si dava naturalmente molto da fare per renderli ai loro padroni: perseguitò gli schiavi fuggiti da un convento di Roma con lo stesso zelo usato con un cuoco del fratello, che aveva tagliato la corda. Ma poiché il papa era anche magnanimo, non puniva le colpe dei “coloni” privandoli delle loro proprietà, ma facendoli picchiare di santa ragione; e agli amici regalava “normalmente degli schiavi” (Richards).
Gregorio, che andava predicando con insistenza l’imminente fine del mondo (insieme alle lotte per la fede, addirittura l’idea guida del suo pontificato), intanto concludeva ottimi affari. San Pietro diventò con lui sempre più ricco: elevò notevolmente i profitti del suo patrimonio, fondando definitivamente il dominio territoriale del papato, tanto gravido di conseguenze; rifornì Roma coi cereali dei suoi latifondi siciliani, pagò il soldo alle truppe imperiali delle partes Romanae, provvide alla difesa della città e in tempi di crisi ne comandò la guarnigione. Il “ministro con portafoglio dell’imperatore”, ”l’amministratore della cassa dei poveri”, come si definì egli stesso, il “console di Dio”, come lo decanta l’iscrizione funebre, diede in questo modo la spinta propulsiva alla formazione dello stato della chiesa, con conseguenze pressoché impensabili di faide, guerra e inganni.
E tutto questo, come ogni lettore può facilmente capire, per maggior gloria di Gesù e del messaggio evangelico.
Comunque, la supposta moralità di Gregorio discendeva dalla situazione economica, anche della Chiesa (ed è un tutto dire), che precipitava sotto le continue richieste di denaro da parte di ogni occupante. L’ultimo famelico fu Alboino con i suoi Longobardi che entrò in Italia nel 568 [era Papa Giovanni III (561-574)] senza alcuna resistenza perché l’Oriente aveva deciso di lasciare l’Italia al suo destino. Alboino avanzò quindi senza contrasti ed entrò a Pavia dopo 3 anni di assedio, assedio al quale costrinse anche Roma a partire dal 573. Nel frattempo la truppa di Alboino devastò e saccheggiò tutti i luoghi dove mise piede affamando ancora di più le popolazioni. A seguito di ciò, la Chiesa aggiunse ai suoi compiti anche quello di convertire i Longobardi, la cui opera fu iniziata da Papa Onorio I (625-638) il quale dovette far fronte anche ad una nuova eresia orientale, il monotelismo, teorizzato dal Patriarca Sergio di Costantinopoli, secondo la quale in Cristo, una volta incarnato, opera una sola volontà ipostatica che è divina in rapporto alla natura e volontà divina di Cristo ed umana rispetto alla natura e volontà umana di Cristo (con ciò volontà ed azione erano considerati come attributi non della persona ma della natura, in netto contrasto con il dogma della doppia natura di Gesù). Se ciò sembra poco si deve aggiungere una incredibile inclemenza meteorologica. Sotto Papa Pelagio II (579-590) il Tevere straripò (589) facendo crollare mezza città compresi templi e granai del Papa. Nel 590 una pestilenza flagellò Roma e dintorni decimando la popolazione. Le disgrazie non si accanirono solo su Roma, anche Veneto e Liguria furono devastate da piogge torrenziali che inondarono tutti i campi. Un cronista dell’epoca raccontava che mai, dal Diluvio Universale, si era vista cosa simile. Qualcuno richiamò alla memoria le prime profezie di Gesù sull’approssimarsi della fine del mondo.
Da quest’epoca fino alla metà dell’ VIII secolo, si alternarono molti Papi, alcuni dei quali per un tempo brevissimo ed altri per l’inutilità della loro presenza. Solo pochi ebbero ruoli di rilievo per l’invenzione di miracoli e per la risoluzione di problemi con l’Oriente e con i barbari occupanti. Questo periodo è caratterizzato dal verificarsi di alcuni fatti storici che ebbero notevole rilevanza sullo sviluppo del papato. Mentre Costantinopoli premeva sempre di più sulla Chiesa di Roma per toglierle il primato ed anche il potere temporale, la Chiesa non restava inerte e cercava di crearsi spazi di manovra ad Occidente, particolarmente verso il regno dei Franchi (vedi nota 7). La dinastia Merovingia era praticamente finita con l’ultimo discendente pensante di Clodoveo, Dagoberto II assassinato nel 679. Altri discendenti, quando non erano fanciulli, risultarono totalmente inetti e tarati mentali. Il trono finalmente passò, sotto forma di gerenza e con il sostegno della Chiesa francese, ad un rappresentante della famiglia Heristal, Pipino, un factotum di Palazzo facente parte di quella categoria di funzionari che assunsero sempre più un ruolo decisivo a fronte di un monarchia morente. Alla morte di Pipino gli successe il figlio Pipino II ed a questo Carlo Martello che impose la sua personalità e la sua competenza militare con una impresa rilevante, l’aver bloccato l’avanzata arabo musulmana, che già aveva conquistato con facilità l’Africa del Nord e l’intera penisola iberica dei cattolici Visigoti, a Poitiers, nel centro della Francia (732). La minaccia musulmana era la più grande che la Chiesa avesse mai avuto dai tempi di Costantino. La Chiesa, circondata da musulmani e Longobardi e con problemi continui con l’Impero d’Oriente, aveva bisogno di un esercito che operasse in suo nome a sua difesa ed a tale fine l’esercito dei Franchi sembrava essere quello con le caratteristiche richieste: il più forte sul campo e guidato da un Re condottiero cattolico ortodosso.
A questo punto compare un documento clamoroso, il Constitutum Constantini più noto come la Donazione di Costantino. Questo documento, suddiviso in due parti, vede nella sua prima parte il racconto della guarigione dell’Imperatore Costantino dalla lebbra grazie a Papa Silvestro I, la sua conversione e la sua professione di fede. Vi è ribadita l’autorità trasmessa, mediante la simbolica consegna delle chiavi, da Dio a Pietro e da questi ai suoi successori «eleggendo il principe degli apostoli e i suoi vicari a nostri protettori presso Dio». La seconda parte contiene invece l’atto di donazione che Costantino fa alla Chiesa dell’Impero romano d’Occidente. Il documento, come fu dimostrato da Lorenzo Valla (1406-1457) nel 1440, è un falso clamoroso realizzato tra il 714 ed il 750 (Carlo Martello era allora morto da circa 10 anni e esercitava il potere suo figlio Pipino III, detto il Breve)(10). Questo falso documento fu presentato per la prima volta nel 754 da Papa Stefano II(11) a Pipino il Breve per chiedergli aiuto contro Astolfo, Re dei Longobardi, che era deciso alla conquista dell’Intera Italia avendo iniziato a marciare su Roma (fu fermato per una tregua dietro il solito pagamento di tributi). E Pipino in cambio di titoli ecclesiastici (e con il figlio Carlomagno che divenne Capo del Sacro Romano Impero), promise a Stefano II (768-772), per mezzo del suo legato Fulrado, abate di Saint-Denis, le province dell’Esarcato e della Pentapoli, quando fossero state sottratte ad Astolfo. Quelle terre gli spettavano di diritto secondo la donazione di Costantino.
L’impegno di Pipino era rilevante perché lo impegnava a rompere l’alleanza con i Longobardi; la parte relativa ai rapporti con Costantinopoli non preoccupava perché sarebbe stata risolta con il Constitutum. Sottoposto il problema all’assemblea dei nobili Franchi ebbe il via. In cambio Pipino, sua moglie Bertrada ed i figli Carlo e Carlomagno, furono unti dalla Chiesa e Pipino fu riconosciuto re per grazia di Dio (28 giugno 754). Ciò voleva dire che sarebbe stato scomunicato chiunque avesse tentato di mettere sul trono di Francia persona che non provenisse dalla dinastia carolingia. L’intera famiglia fu poi insignita del titolo di patrizi dei romani. Dopo questa cerimonia Pipino partì per l’Italia insieme al Papa. Astolfo fu sconfitto e, dopo un breve periodo di assedio a Pavia, cedette alla pace ed alla cessione delle terre occupate alla Chiesa. In realtà Astolfo aspettò che Pipino si ritirasse in Francia per attaccare di nuovo Roma. Il Papa scrisse a Pipino indignato e, dopo qualche tergiversare, ottenne il ritorno del medesimo in Italia. Astolfo fu di nuovo sconfitto e cedette definitivamente le terre che occupava alla Chiesa (gli restò solo Pavia). Comunque nel 757 Astolfo morì e suo figlio Desiderio comprese la situazione facendosi amico del Papa non con preghiere ma promettendogli in regalo alcune città (sic!) che erano ancora in suo potere (Bologna, Imola, Osimo, Ancona, Faenza e Ferrara).
Papa Stefano II era sul letto di morte che già si erano scatenate lotte furibonde per quel trono. Da un lato vi era il partito di coloro che volevano rapporti più stretti del Papato con l’Imperatore d’Oriente, il partito bizantino, che sul piatto offriva l’arcidiacono Teofilatto e dall’altro vi era il diacono Paolo, fratello del Papa morente che era un naturale continuatore della politica di Stefano aperta al regno dei carolingi. L’ebbe vinta Paolo che divenne Papa Paolo I (757-767).
Si strinsero i rapporti con Pipino il Breve, che fu qualificato dal Papa come nuovo Mosè e David, e ripresero le tensioni con i Longobardi poiché Desiderio non aveva mantenuto la promessa di cessione delle città. Mentre accadeva ciò, l’Impero d’Oriente sollevava questioni teologiche che assunsero un aspetto di notevole importanza perché legato al culto delle immagini. Ho discusso di questa eresia della Chiesa di Roma in un precedente articolo, ricordo solo che le Tavole della Legge che Dio dettò a Mosè dicevano espressamente due cose: Dio è il solo Dio da venerare; non si dovevano fare sue immagini. In Occidente le cose andarono (e vanno) invece con le immagini onnipresenti e debordanti. Ebbene, la Chiesa d’Oriente fece un ulteriore Concilio a Costantinopoli nel 754 per ribadire la condanna del culto delle immagini. E, questa volta, l’Imperatore bizantino Costantino V, saltando il Papa, inviò dei messi a Pipino per convincerlo ad adottare le decisioni di quel Concilio. Pipino non cedette e l questione delle immagini fu regolata nel 767 in un Concilio che ufficialmente le ammise. Anche le vicende di Desiderio si sistemarono con le promesse cessioni in cambio di altre concessioni terriere della Chiesa. Ma il peggio iniziava con la morte di Paolo. I laici avevano capito che accedere a quel soglio avrebbe dato immenso potere ed inestimabili ricchezze. Poiché tutto era ed è corrompibile da parte dei potenti e poiché vi sono sempre potenti che vogliono esserlo di più, la morte di Paolo I generò disordini grandi e vicende che resero di fatto la sede di Roma vacante per oltre un anno. Lo stesso giorno della morte del Papa ve ne fu un altro eletto dalla potente famiglia del Duca di Nepi, Totone. Si trattava di Costantino, fratello del Duca che neppure era un chierico ma un semplice laico. Fu un’elezione lampo che ebbe anziché alti prelati come contorno, armati fino ai denti che minacciosamente imposero Papa Costantino. Gli eventi divennero torbidi perché alcuni prelati si rivolsero a Desiderio per denunciargli la situazione di illegalità. Desiderio era ben felice di poter mettere il becco su una elezione papale ed intervenne a Roma dove riuscì ad ammazzare Totone (768) e ad imprigionare Costantino. Venne preso un presbitero filolongobardo di nome Filippo ed in un batter d’occhio fu fatto Papa, Papa per un giorno. Dopo questi 13 mesi di Papi a go go, ci si accordò per Stefano III (768-772) come Papa accettabile da tutti, non senza aver cavato gli occhi a Costantino e a tutti coloro che egli aveva eletto a qualche carica (Filippo fu solo rinchiuso in un convento). Un vero giudizio veterotestamentario di Dio.
Seguì un Papa eletto in modo normale, il nobile Adriano I (772-795) che lavorò per legare il Papato ai Franchi riuscendo a divenire succube di Carlo, figlio di Pipino il Breve. Ma Adriano I è il primo Papa della saga di Tuscolo (una cittadina sulle colline che circondano Roma) che, in breve tempo, darà, con armi e simonia, ben 24 Papi alla Chiesa, tutti timorati di Dio e fedeli interpreti degli insegnamenti di Gesù, come vedremo. Si occupò anche di iniziare ciò che i romani pagano ancora oggi, la corsa alla proprietà terriera della campagna romana da parte di Papi, Cardinali e parenti vari (la nobiltà nera). Ad Adriano seguì il Papa di Carlomango, Leone III (795-816), che fu ancora eletto in modo normale ed addirittura all’unanimità. Questo Papa si rese subito disponibile con il Regno di Francia il quale però, con Carlomagno, disponibile non era se no a certe condizioni. In pratica Carlomagno si metteva a disposizione della Chiesa per la sua difesa contro ogni nemico e riconosceva alla stessa ogni autorità in fatto di fede ma manteneva per sé ed il suo regno ogni altro potere. Con tale accordo, il Papa arrivò ad incoronare, la notte di Natale dell’800, Carlomagno (il nuovo Costantino, il nuovo Augusto) come Imperatore del Sacro Romano Impero. Da una parte un Re era elevato al trono da una investitura divina e dall’altra alla Chiesa veniva il prestigio di aver incoronato un potente del mondo. La diarchia nacque lì e si fortificò in futuro: da una parte il braccio armato e dall’altra il braccio spirituale. Con l’Oriente che era privo in quel momento di Imperatore le cose si ponevano come se Carlomagno fosse diventato l’analogo occidentale. Con la Chiesa le cose erano meno idilliache di quel che il Papa pensasse perché Carlomagno si considerava padrone di tutto, compresi i teritori italiani che cedette come regno a suo figlio Pipino. Ciò che è d’interesse riguarda l’intromissione del Re dei Franchi anche in questioni teologiche che impose, analogamente a quanto fatto da Costantino. Ancora sulla questione trinitaria, in un Concilio che il Re convocò ad Aquisgrana nell’809, risultò che lo Spirito Santo procedeva dal Padre e dal Figlio, mentre nel Credo di Costantino il Grande, lo Spirito Santo procedeva dal solo Padre. La Chiesa non recepì le conclusioni di questo Concilio per paura di altri scontri gravi con la Chiesa d’Oriente. Ma così vanno le cose nella Chiesa di Roma. A questo rifiuto teorico seguì nella pratica l’allineamento con questo Spirito che discende da Padre e Figlio.
La morte di Carlomagno nell’814 sembrò un sollievo per il Papa, sembrò che ora poteva riprendersi beni, potere ed autorità. Non fu così ma fu l’inizio, e come no ?, di ulteriori scontri a Roma tra fazioni, scontri sempre al calor bianco, con morti, devastazioni e condanne a morte.
Altri fatti rilevanti per la nostra indagine, non vi furono fino intorno all’anno Mille, quando iniziò la sarabanda della delinquenza.
Prima però di dirigerci al secondo millennio occorre dare almeno un cenno alla leggenda della Papessa Giovanna, allo strano racconto che ebbe molto seguito nella vulgata popolare e non solo, anche perché, per un certo periodo, nell’elenco dei Papi, fra Leone IV (847-855) e Benedetto III (855-858), figurò una donna, la famosa di nome ma non nella storia Papessa Giovanna.
L’origine della leggenda risiede probabilmente nel mito della Chiesa intesa e rappresentata nelle cerimonie come Mater Ecclesia. Per la rappresentazione liturgica si era utilizzato un particolare sedile (chiamato sedia stercoraria) dove far sedere il Papa al momento dell’elezione che era nella pratica una sedia da parto, un grande sedile in marmo rosso (impropriamente chiamata di porfido) con un ampio foro nel piano del sedile sul quale quale il Papa doveva assumere la posizione da partoriente. La cerimonia si svolgeva nel Laterano e fu in uso dall’inizio del secondo millennio fino al 1566. Durante i primi anni del nuovo millennio, con la Chiesa in mano a volgari prostitute che la facevano da padrone (si pensi a Teodora e Marozia), sorse la leggenda che fu sistemata temporalmente tra i Papi citati. Quella sedia con il buco sarebbe servita perché nascosto sul retro di essa un addetto avrebbe dovuto infilare la mano per accertare la mascolinità del Papa.

La sedia stercoraria

La cerimonia dell’accertamento del sesso durante un’elezione papale.
A proposito di Leone IV, il suo pontificato è anche famoso per la creazione a Reims, tra l’847 e l’852, di una gigantesca sequela di falsi documenti, le Decretali pseudoisidoriane, con il fine di accreditare sempre maggior potere alla Chiesa. Il lavoro era attribuito ad un dottore della Chiesa, Isidoro di Siviglia, e fatto quindi risalire ai primi anni del VII secolo con la copertura di un nome prestigioso. Er la messa insieme di vari decretali pontificie del passato e di varie decisioni conciliari, il tutto intercalato con falsi clamorosi inseriti qua e là al fine di accreditare il valore giuridico delle decisioni ecclesiastiche in contrasto con il potere laico e monarchico. Insomma si trattava di una sorta di trattato di diritto canonico costruito ad hoc con tutti i falsi possibili, non ultimo il Constitutum Constantini. Scrive Gregorovius che le leggi raccolte nei Decretali “ponevano il potere imperiale molto al di sotto della dignità dei papi e persino dei vescovi, e innalzavano nello stesso tempo il papato tanto in alto al di sopra di questi ultimi, da renderlo completamente indipendente dalle decisioni dei sinodi provinciali conferendogli anzi facoltà di giudizio supremo nei confronti dei metropoliti e dei vescovi, il cui ufficio e la cui autorità, sottratta all’influsso dell’imperatore, veniva ad essere sottoposta alla volontà del papa. In una parola: esse [le Decretali] conferivano al pontefice la dittatura sul mondo ecclesiastico”. A parte il significato manifesto di questo documento, ve ne era un altro all’interno del medesimo: i vescovi ed ogni ecclesiastico dipendevano solo dal Papa che ne aveva l’assoluta autorità simultaneamente negata ai tribunali civili. Erano le basi per la costruzione di uno Stato clericale.
Gli epigoni del millennio si qualificarono per una Chiesa che continuava sulla medesima strada senza essere scalfita da nessuna critica. Le peggiori efferatezze, la peggiore simonia, la corruzione, la violenza, gli assassinii, le sedi pontificie ridotte a bordelli, i tradimenti, i cedimenti, le vendette, …. insomma tutto il peggio si possa immaginare era nella Chiesa che fu maestra di questo piuttosto che di qualunque altra cosa.
Papa Giovanni VIII (872-882) subì un tentativo di avvelenamento, dopo il quale fu ucciso a martellate da membri del suo seguito (Alberico di Toscana e Lamberto di Spoleto).
Papa Stefano VI (896-897) fu strangolato per ordine di chi voleva far diventare Papa un proprio protetto.
Papa Leone V (903) fu assassinato dal suo successore Sergio III (904-911).
Papa Giovanni X (914-928), pazzamente innamorato della cortigiana Teodora(12) sua amante, fu assassinato mediante soffocamento per ordine dell’altra cortigiana, Marozia(12), amante e figlia di amante di pontefice. Costei, autodefinitasi senatrix e patricia, decise l’elezione e la morte di vari pontefici tra il 925 ed il 935.
Papa Leone VI (928), Papa Stefano VII (928-931) e Papa Giovanni XI (931-935) furono creati da Marozia.
Papa Stefano VIII (939-942), in una rivolta popolare contro di lui, fu mutilato e costretto a ritirarsi in un eremo.
Papa Giovanni XII (955-964) era il figlio Ottaviano di Alberico II, la ignobile famiglia di Tuscolo (questo Papa fu quindi il secondo a cambiare nome). Questa elezione, di uno che era estraneo alla Chiesa, era stata pretesa da Alberico II dal clero e dalla nobiltà di Roma che ubbidirono. Eletto Papa non cambiò la sua vita lussuosa, lussuriosa e libertina. Trasformò il Laterano in un vero postribolo in cui navigavano cortigiane, belle donne e bei ragazzi. Ubriaco fece come Caligola nominando diacono uno stalliere. Non ubriaco nominò vescovo il suo amore pedofilo di 10 anni. Era uso regalare oggetti acri di valore alle molte prostitute che frequentavano il palazzo del Laterano. Tentò di fare il politico con l’Imperatore Ottone ma riuscì solo a farsi incriminare per ogni vergogna che aveva realizzato (omicidio, spergiuro, sacrilegio, incesto con parenti e due sorelle, … giocato a dadi, brindato con il Diavolo, invocato Zeus, Venere ed altri demoni). A seguito di ciò fu deposto ed al suo posto fu fatto eleggere, da Ottone, il laico Papa Leone VIII (963-965). Giovanni XII, dall’esilio in Corsica, fomentò un paio di rivolte. La prima del 964 fu repressa nel sangue da Ottone, la seconda, avvenuta quando Ottone era partito da Roma, ottenne la cacciata di Leone VIII che fu deposto. Ed iniziarono feroci vendette con taglio di naso e lingua ad ogni suo oppositore. Ottone, in compagnia di Leone VIII marciò su Roma ma non fecero in tempo ad arrivare perché, nel frattempo, quel delinquente di Giovanni era morto. Fu ammazzato lanciato dalla finestra scoperto a letto con una sua amante, Stefanetta, probabilmente dal marito di lei.
Seguirono Papi ed antipapi a seconda se si era schierati con o contro Ottone. Seguirono repressioni ed anche saccheggi di una fazione contro l’altra a seconda di chi aveva il potere al momento. Tutto in nome di Gesù.
Dopo questo breve sunto degli orrori ecclesiastici, che deve servire solo da aperitivo, arriviamo finalmente ai Papi del secondo millennio.
IL MILLENARISMO
Dopo oltre 600 anni impiegati in questioni teologiche puerili e tutte relativa a come considerare Gesù, a costruire falsi documenti atti non già al trionfo del messaggio evangelico ma per accrescere sempre di più il potere temporale, arriviamo a superare un anno fondamentale per il futuro dell’umanità, il Mille. Tutti i profeti, gli asceti, gli eremiti, i bigotti predicavano la fine del mondo. Nascevano nuove religiosità e sembrava si tornasse ai tempi in cui Gesù sollecitava tutti a comportarsi bene perché la fine del Mondo ed il Giudizio Universale erano vicini (poi, visto che il Mondo non finiva, fu spiegato da saggi teologi che i tempi di Dio sono diversi da quelli degli uomini e da qui era nata la confusione, anche se viene da chiedersi “di chi ?“).
Non tutti gli eventi che chiudevano il millennio ed aprivano il nuovo erano orrori, qualcuno tentò una riforma che riportasse le cose su un binario quantomeno di onesta moralità. Si tratta dei monaci benedettini del Monastero di Cluny o almeno della fortunata coincidenza di avere di seguito ben sei abati che lavorarono con successo, almeno momentaneo allo stesso fine di riforma. Iniziò l’abate Bernone (850-927) nel 909, nella villa di Cluny regalatagli da Duca Guglielmo I d’Aquitania, a intraprendere il cammino del recupero degli ideali monastici, corrotti da secoli di turpitudini; seguì Oddone (879-943); quindi, di seguito, Mayeul (948-995), Odilone (961-1049), Ugo (1024-1109), Pietro il Venerabile (1092-1156). Una osservazione può rendere conto di uno degli elementi di forza di queste persone. Mentre venivano portati avanti gli ideali di Cluny da sei persone che si successero con continuità di pensiero, a capo della Chiesa si alternarono ben cinquanta Papi, ognuno dei quali marciante per suoi interessi e crimini particolari. Questi monaci partivano dalla volontà di riformare ma in realtà tentavano di aggiornare la regola di San Benedetto ai tempi che correvano che distavano 400 anni dalla formulazione iniziale. Uno degli aggiornamenti più importanti, dopo il ritorno alla regola di San Benedetto, prevedeva che il Monastero non dipendesse più dai potentati locali ma direttamente dalla Chiesa di Roma nella persona del Papa (qui le intenzioni erano ottime ma il rischio di cadere in mano ad un delinquente era fortissimo). Ma l’aggiornamento che rompeva con la regola di San Benedetto era il non tener conto quasi del tutto della parte della regola che imponeva il lavoro ai monaci. Comunque, in questi tempi di totale corruzione, i cluniensi volevano riportare la chiesa alla purezza dei tempi antichi e parlavano di castità, di pietà, di disciplina. Questo risultava essere un linguaggio nuovo che faceva presa sugli spiriti più nobili della chiesa. I monaci di Cluny si fecero subito fama di persone serie e davvero dedite ad operare per il bene del prossimo, rappresentando il vero ideale di vita monastica. Fattasi questa fama, come era costume dell’epoca, molti cittadini che intendevano salvare la propria anima accudivano con fervore a Cluny. E’ naturale che andassero a Cluny anche un’infinità di donazioni di coloro che intendevano la salvezza dell’anima come un mercimonio. In tal modo il Monastero divenne ricchissimo e mantenne le ricchezze perché la regola non prevedeva il dilapidare o il vivere nel lusso ma pregare e lavorare. Per ciò che riguarda l’influenza di Cluny sul Papato, occorre osservare che quando la chiesa fu messa sotto tutela dall’imperatore nel X secolo il loro messaggio non si limitò più all’aspetto spirituale e morale della chiesa, madivenne un programma di riforma generale.
Come già accennato la fine del millennio aiutò indirettamente Cluny per la cattiva coscienza dei ricchi padroni che si recavano imploranti perdono dove riconoscevano vi fosse la vera dedizione a Dio. In quell’epoca venivano recuperati dall’oblio tutti i vecchi testi apocalittici che ruotavano intorno al Vecchio Testamento, come il Libro di Daniele, o Apocrifi del Nuovo Testamento o l’Apocalisse di Giovanni. Una vera sarabanda dell’orrido dominata dall’Anticristo e dalla nuova speranza della Seconda Venuta del Messia sulla Terra. Gli avvenimenti naturali andavano su quella strada: epidemie disastrose avevano decimato la popolazione d’Europa, eventi meteorologici avevano distrutto campi e città, le piaghe bibliche erano tutte lì, non ultima la corruzione ed il crimine dilagante proprio alla testa della Chiesa. Molti esaltati annunciavano visioni bibliche di combattimenti celestiali, di apparizioni di dragoni in lotta con i santi, … La fine del mondo era annunciata con profezie che si intrecciavano con numeri tratti dalla Cabala: sarà il 1000 ? o il 1033, l’anno 1000 dopo la Passione ? o quell’altro anno perché era significativo di quell’evento ? o quell’altro ? Nel 975 venne avanzata una data certa per il Giudizio: nell’anno in cui il Venerdì Santo sarebbe coinciso con la festa dell’Annunciazione, quando cioè Cristo sarebbe stato concepito il giorno della sua morte. Questa data era il 992 anche se qualcuno osservò che la circostanza si era già verificata nel 908 senza fine del mondo. Ogni cialtrone si guadagnava da vivere con le sue profezie ma la Chiesa incassava perché, anche se i suoi rappresentanti erano delinquenti, quella sembrava la via per il Signore. Le donazioni si moltiplicarono accompagnate da un ben preciso contratto che indicava il fine della medesima: Mundi Termini appropinquanti
La Chiesa di Roma, che traeva enorme profitto da tali credenze e superstizioni, non ne traeva lezioni di moralità, anzi … Il millennio che si chiudeva, come raccontato, con alcuni Papi implicati in vicende che dire riprovevoli è un dolce eufemismo.
Più in generale, alla fine del millennio il Papato era quasi alle dipendenze assolute di alcune famiglie nobili di Roma e dintorni. Questa nobiltà aveva occupato il soglio pontificio con suoi rappresentanti, senza alcun merito dottrinale, ma solo per godere degli enormi vantaggi che quella posizione offriva. Ed a questa Chiesa sarebbe dovuto arrivare il messaggio di rigore proveniente da Cluny che avrebbe significato, in termini dottrinali, che non era la Chiesa a dove dipendere dall’Impero, qualunque esso fosse, ma l’Impero dalla Chiesa. Sembravano discorsi al vento. Chi mai avrebbe potuto raccogliere tale sfida in una Chiesa dominata da delinquenti ?
Dal punto di vista politico la situazione, sul finire del millennio era la seguente. Nel 983 Roma stava collassando istituzionalmente. L’Impero Carolingio, che reggeva il Sacro Romano Impero, era collassato sul finire del IX secolo con uno dei discendenti debosciati di Carlo Magno, Carlo il Grosso. Nel 962 si ebbe la fondazione canonica del Sacro Romano Impero romano-germanico (comprendente più o meno la Germania, l’Italia e più tardi la Borgogna)che non era propriamente una prosecuzione dell’Impero Carolingio (mancava la parte determinate francese) anche se poteva reclamare una qualche discendenza (la storia qui è molto più complessa). Alla testa di questo Impero fu incoronato, da Papa Giovanni XII, Ottone I di Sassonia (962-973). Ad Ottone I successe il figlio, Ottone II (973-983). E proprio alla morte di Ottone II, quando aveva 28 anni, si registrava il collasso di Roma a cui accennavo. Questo Imperatore lasciava un erede di soli 3 anni, Ottone III, ed in simultanea era eletto Papa Giovanni XIV (983-984), una persona assolutamente non gradita alla fazione che puntava sull’antipapa (già eletto in passato per breve tempo nel 974, poco dopo la morte di Ottone I) Bonifacio VII (984-985) legato alla potente famiglia romana dei Crescenzi(13) imparentata con i Teofilatti (vedi nota 12). Tra l’altro questo antipapa, secondo alcune cronache del tempo, sarebbe stata la persona che avrebbe strangolato in carcere il Papa Benedetto VI. Questo sarebbe stato il motivo del suo allontanamento forzato da Roma (si recò a Costantinopoli) per salvarsi dal linciaggio. Le stesse cronache del tempo raccontano che Bonifacio VII scappò anche a un’accusa di stupro con cui disonorò una giovane e che si portò appresso i tesori della Chiesa. Quando tornò a fare l’antipapa nel 984 avrebbe chiuso il suo rivale Papa Giovanni XIV nelle segrete di Castel Sant’Angelo lasciando che morisse di fame (altri affermano che fu avvelenato). Anche questa volta vi furono aspri scontri tra differenti fazioni e gli stessi Crescenzi abbandonarono il sostegno a questo antipapa. Alcuni riuscirono a catturare Bonifacio VII che fu prima martoriato, quindi trascinato cadavere come trofeo per le vie di Roma fino a lasciarlo smembrato sotto la statua di Marco Aurelio. A Giovanni XIV i reggenti di Ottone III fecero seguire l’elezione di Papa Giovanni XV (985-996) che risultò un accaparratore di denaro, un nepotista e delinquente che in definitiva faceva addirittura rimpiangere Bonifacio VII. Questa volta fu il popolo romano che lo attaccò in ogni modo finché Giovanni non dovette chiedere aiuto all’Imperatore Ottone III che approfittò del viaggio per essere incoronato per portare aiuto ma, prima di arrivare a Roma, si venne a sapere che Giovanni era morto (non si sa se era morto davvero o che fine avesse fatto). Poiché Ottone era arrivato ed il nuovo Papa tardava ad essere eletto, fu lo stesso Ottone III che impose Papa Gregorio V (996-999). che subito unse Ottone III e lo incoronò imperatore (aveva 16 anni). Appena Ottone se ne fu andato, i romani si ribellarono al Papa che dovette fuggire da Roma lasciando il posto ad un antipapa eletto ancora dai Crescenzi che aveva come capostipite Crescenzio, Giovanni Filagato, con il nome di Papa Giovanni XVI (997-998). Di nuovo Ottone III scese in Italia e fece arrestare l’antipapa. Gli furono strappati gli occhi, gli tagliarono il naso, la lingua e le orecchie, quindi fu gettato in galera fino a farlo partecipare in queste condizioni ad un Concilio a cavallo di un asino. I suoi sostenitori furono decapitati ed appesi come monito ai merli di Castel Sant’Angelo (tra di essi anche Crescenzio). Fu a questo punto che Odilone, abate di Cluny, intervenne su Ottone III. Con tutta la forza morale della sua persona consigliò l’elezione al soglio pontifico di Gerberto d’Aurillac, un monaco di 45 anni di eccezionale preparazione in tutti i campi del sapere ispiratasi anche all’esempio di Cluny.
Questo grande personaggio che fu anche eccellente matematico ed astronomo, merita un minimo di attenzione. Gerberto nasceva nel 950 ad Aurillac nell’Aquitania francese. Era di umili origini e per poter studiare, come tutti facevano, a soli 13 anni entrò in convento nella sua città. Nel 967 un nobile di Barcellona (che faceva allora parte del regno carolingio trovandosi al confine con la Spagna araba), il conte Borrell, fece visita al monastero di Aurillac e l’abate gli chiese di portare con sé il fanciullo per farlo studiare in modo più adeguato a Barcellona. Borrell portò il ragazzo con sé e lo affidò prima al monastero di Santa Maria di Ripoll (in cui si erano fatte traduzioni dall’arabo al latino di testi classici di geometria e di trattati arabi su alcuni strumenti) e quindi lo fece studiare proprio a Barcellona. Fu qui che Gerberto, non disdegnando il diritto e la politica, ebbe importantissimi contatti con il mondo islamico confinante e fu qui che, contrariamente a tutti i suoi contemporanei, maturò vivi interessi per la matematica e l’astronomia. Vi sono documenti che attestano una sua richiesta da Ripoll ad un amico di Barcellona di un certo trattato di astrologia ed anche successivamente (984) di una sua richiesta al vescovo Mirone di Gerona del trattato De multiplicatione et divisione numerorum di un certo Giuseppe Ispano. Nel 969 il conte Borrell fece un viaggio a Roma e si fece accompagnare da Gerberto. Vi fu un incontro tra Borrell, Papa Giovanni XIII e Ottone I nel quale il Papa convinse Ottone I a prendersi Gerberto come istitutore di suo figlio, il futuro Ottone II. Fu l’inizio di una folgorante carriera che vide prima Gerberto fare da insegnante al giovane Ottone II, quindi Gerberto che Ottone invia a studiare alla scuola della Cattedrale di Reims dove divenne prestissimo insegnante. Intanto Ottone II era diventato Imperatore fatto che gli permise di nominare Gerberto abate del monastero-abbazia benedettino di San Colombano (a Bobbio, vicino Piacenza), fondato dall’irlandese Colombano nel 614, che era andato in rovina per la cattiva precedente gestione. Questo monastero si dedicava alla trascrizione dei manoscritti ed in esso vi era una ottima biblioteca, in gran parte costituita da manoscritti portati dall’Irlanda da Colombano, contenente 700 codici anche in greco e tra i più antichi della letteratura latina; ma, ed è questo un vero miracolo, vi era anche un certo numero di monaci che sapevano anche leggere il greco. Da queste preziose miniere egli estrasse il materiale per realizzare i suoi studi di geometria. Nel 984 moriva Ottone II e Gerberto si trovò invischiato nelle lotte politiche per la successione. In tale occasione si trovò in contrasto (985) con Ugo Capeto che da lì a poco sarebbe diventato Re di Francia ponendo fine alla dinastia carolingia. Ugo Capeto nominò vescovo di Reims Arnolfo, un suo protetto, anziché il naturale successore Gerberto. Nel 991, quando Arnolfo fu deposto perché sospettato di aver tramato contro il Re, Gerberto fu nominato vescovo. Ma a Reims vi fu opposizione a tale nomina tanto che dovette intervenire un sinodo di vescovi che nel 985 dichiarò Arnolfo non decaduto e quindi Gerberto non nominabile vescovo. A questo punto fu la famiglia degli Ottoni ad intervenire. Ottone II era morto nel 983 ed all’età di soli 3 anni era stato incoronato imperatore suo figlio Ottone III. Gerberto fu chiamato per fare il precettore di Ottone III. Intanto saliva al trono pontificio Gregorio V, cugino di Ottone III, che nominò subito (998) Gerberto arcivescovo di Ravenna. Alla morte del Papa nel 999, grazie al Privilegium Othonis del 962 per il quale l’elezione papale doveva avvenire soltanto con il consenso dell’Imperatore del Sacro Romano Impero e alla presenza di suoi rappresentanti, Ottone III fece nominare Gerberto Papa con il nome di Silvestro II (Gerberto cercava di avere un nome meno germanico e più latino ed approfittò anche per farsi successore ideale del Papa dell’epoca di Costantino il Grande). Fu un Papa molto efficiente e lavorò per cristianizzare l’est e per fare alcune riforme monastiche sulla strada aperta da Cluny. Fu il primo Papa che iniziò a pensare alla liberazione della Terra Santa con crociate. Ma non fu il primo Papa a finire probabilmente avvelenato (pratica molto spesso utilizzata in Vaticano) nel 1003. Nel 1001 vi era stata una sollevazione di Roma contro Ottone III e contro Gerberto che si sapeva essere una creazione del primo. I due si rifugiarono a Ravenna ed Ottone fu ucciso in una delle battaglie per la riconquista della città (1002). Gerberto tornò a Roma in condizione di totale sottomissione ai vari potentati della città e, appunto, si sospetta un suo avvelenamento. Papa Silvestro II (999-1003) fu uno dei pochi Papi degni di essere rappresentanti di istanze superiori.
DELINQUENTI AL POTERE
Trascorsi oltre 600 anni impiegati in questioni teologiche puerili e tutte relativa a come considerare Gesù, a costruire falsi documenti atti non già al trionfo del messaggio evangelico ma per accrescere sempre di più il potere temporale, arriviamo a superare un anno fondamentale per il futuro dell’umanità, il Mille. Tutti i profeti, gli asceti, gli eremiti, i bigotti predicavano la fine del mondo. Nascevano nuove religiosità e sembrava si tornasse ai tempi in cui Gesù sollecitava tutti a comportarsi bene perché la fine del Mondo ed il Giudizio Universale erano vicini (poi, visto che il Mondo non finiva, fu spiegato da saggi teologi che i tempi di Dio sono diversi da quelli degli uomini e da qui era nata la confusione).
Dopo la splendida parentesi di Papa Silvestro II, di fronte ad una nuova promessa e profezia di fine mondo e di Giudizio Universale, cosa offrono i vicari di Dio ? Con disperazione andiamolo a vedere.
La famiglia dei Crescenzi, con a capo ora Giovanni, figlio di Crescenzio, allora dominante su Roma non aveva sopportato un Papa normale dedito ai suoi doveri come Silvestro e, immediatamente dopo la morte di quest’ultimo, forte anche della fama di quel Crescenzio appeso da Ottone II ai merli di Castel Sant’Angelo, quindi un eroe, riprese il potere di elezione di papi, sistemando al soglio pontificio Papa Giovanni XVII (1003). A questo Papa seguirono Papa Giovanni XVIII (1004-1009) e Papa Sergio IV (1009-1012) detto Bocca di Porco, di questi tre Papi non si sa quasi nulla tranne un evento che accadde regnante Sergio: il califfo d’Egitto Hakim ordinò il saccheggio dei Luoghi Santi in Palestina. Ciò spinse Sergio ad inviare una lettera appello a tutti i regnanti cristiani per organizzare una flotta che sbarcasse in Siria, vendicasse l’affronto e liberasse quei Luoghi. L’appello cadde nel vuoto.
Alla morte di Sergio vi fu uno scontro tra i Crescenzi ed i Conti di Tuscolo. I primi, con il sostegno del clero, volevano eleggere Papa un certo Gregorio, mentre i tuscolani volevano che fosse eletto Teofilatto, figlio del Conte Gregorio di Tuscolo e fratello di Romano. Vi furono scontri armati e sanguinosi, alla fine dei quali fu eletto Teofilatto con il nome di Papa Benedetto VIII (1012-1024). Ma Giovanni andò a lamentarsi da Enrico II di Sassonia, cugino e successore di Ottone III. Enrico si mostrò dapprima favorevole a Giovanni, quindi a Papa Benedetto che gli aveva promesso l’incoronazione solenne a Imperatore del Sacro Romano Impero. Si costituì un’alleanza tra Enrico ed i Conti di Tuscolo che, per interessi di famiglia, si convertirono ad un Imperatore straniero. Da evidenziare è un episodio accaduto a momento dell’incoronazione di Enrico II: gli arcivescovi di Milano e Ravenna, ognuno dei due, pretendeva di avere diritto di precedenza nell’ingresso alla cattedrale. I due litigarono violentemente sul luogo dell’incoronazione e la violenta lite si estese al seguito tanto che le strade di Roma divennero teatro di una vera battaglia tra Milanesi e Ravennati. E Benedetto iniziò con il suo sfrontato nepotismo nominando suo fratello Romano a capo della città di Roma con il titolo di Console e senatore dei romani e suo padre Prefetto navale di Roma.
Questo Papa, nonostante tutto, alla fine della sua carriera tentò di moralizzare la Chiesa cercando di porre fine a simonia, nepotismo e di affermare definitivamente il celibato del clero. Alla sua morte ricominciò la sarabanda della corruzione e della delinquenza senza alcun ritegno. Seguì Papa Giovanni XIX (1024-1032) che, alla faccia della lotta a simonia e nepotismo sbandierate, era fratello di Benedetto VIII, quel Romano che era stato messo a capo della città di Roma dallo stesso Benedetto VIII. Questa elezione avvenne con voti comprati ed estorti, con ricatti e minacce. Questo Papa mantenne il titolo di senatore di Roma dividendo il potere civile della città con il fratello Alberico che fu nominato console della città. Riguardo al celibato il problema non toccava chi aveva a disposizione le accondiscendenti cortigiane e matrone di Roma (come sempre al servizio del potere per bassi, molto bassi, interessi personali e di famiglia). Questo schifido personaggio non aveva proprio idea di essere il vicario di Cristo. Quel trono era un affare e basta e, ad un certo punto, cercò di vendere il titolo di Papa al Patriarca Eustazio di Costantinopoli. Vi fu una sollevazione generale dei vescovi del clero occidentale e del Monastero di Cluny. Giovanni con molta amarezza dovette rinunciare a lauti guadagni senza rendersi conto di avere iniziato la definitiva separazione tra la Chiesa d’Oriente e d’Occidente.
Intanto moriva Enrico II a cui succedeva Corrado II il Salico. Per l’occasione iniziarono le manovre politiche dell’Arcivescovo di Milano Ariberto che fu il primo a rendere omaggio al nuovo sovrano, sembra per avere protezione dai nobili lombardi che minacciavano la Chiesa. Per ingraziarsi Corrado, Ariberto sostenne le pretese di Corrado di essere Re d’Italia e così lo riconobbe tanto che fu Ariberto ad incoronare Corrado (1026) con la corona ferrea del Sacro Romano Impero. Stessa cerimonia fu ripetuta nel 1027 a Roma da Papa Giovanni. Tanto per cambiare vi furono violenti scontri a Roma tra romani e germanici con una orrenda carneficina di romani. Fatto di rilievo del nuovo Imperatore fu che, per mettere fine alle liti su quale diritto applicare tra longobardi e romani, a Roma e nelle terre limitrofe valesse il Diritto Romano.
Alla morte di Giovanni XIX divenne Papa uno dei massimi criminali e delinquenti tra i Papi, che è un tutto dire, Benedetto IX (1032-1044), che merita una qualche attenzione. Iniziamo con il leggere la cronaca di quegli eventi come riportata da Gregorovius:
La cristianità dovette rabbrividire vedendo un fanciullo, che il suo stesso padre avvolgeva nei paramenti papali, essere incoronato solennemente da vescovi e cardinali e insediato sulla cattedra apostolica come rappresentante in terra di Cristo. Il famigerato Giovanni XII era divenuto papa a diciotto anni ; Teofiilatto ovvero Benedetto IX, discendente dalla stessa famiglia, lo fu a dodici appena. A che punto era giunto il mondo, se i popoli sopportavano senza ribellarsi che un bambino governasse la Chiesa, se i re lo riconoscevano e i vescovi non provavano vergogna nel ricevere da lui la consacrazione, le bolle e le insegne della loro dignità! Il papato sembrava definitivamente allontanarsi dalla sua concezione originaria e la cattedra episcopale di Pietro pareva stesse diventando lo scanno di un conte; nulla per lo meno la distingueva più dalla scandalosa amministrazione dei vescovati, ai quali, dappertutto, le grandi famiglie nobili e principesche innalzavano parenti o loro creature, e a volte persino bambini. Fitte tenebre scendevano ad avvolgere la Chiesa e se c’era stato un tempo in cui Cristo aveva dormito nel suo tempio, sembrava ormai che, lasciato per sempre il santuario profanato, egli lo avesse abbandonato alla protervia di Simon Mago.
Il giovane Teofilatto era nipote dei suoi due predecessori e figlio del console e conte palatino Alberico. Morto Giovanni XIX nel gennaio del 1033, suo padre si affrettò ad assicurare alla propria famiglia i due poteri supremi; le armi e l’oro di cui disponeva gli resero il compito assai facile in quella Roma dove tutto era commerciabile e dove il clero, come attesta più tardi il pontefice Vittore IlI, viveva in condizioni di assoluta barbarie. Incontrastato, il fanciullo prese possesso del Laterano al principio dell’anno 1033 col nome di Benedetto IX. Egli aveva tre fratelli, Gregorio, Pietro e Ottaviano, il primo dei quali doveva essere maggiore di lui negli anni, poiché subito assunse la carica di patrizio. Può indurre a meraviglia che non fosse questo Gregorio a essere fatto papa; ma forse i Romani più facilmente sopportavano un bambino come vescovo che come capo del governo temporale. Tuttavia questo atto temerario dei conti di Tuscolo abbatté la potenza di questa famiglia, di cui un papa fanciullo era incapace di tenere in mano le redini. Suo fratello Gregorio fu dunque posto a capo del governo della città; ciò nonostante, per paura dell’imperatore, non poté chiamarsi patricius, ma soltanto console e probabilmente anche «senatore di tutti i Romani».
Allorché il giovane papa sentì fremere, sul soglio di S. Pietro, le energie del proprio giovane corpo, si diede a condurre una vita esecranda. Uno dei suoi successori al pontificato, Vittore IlI, narra che a Roma Benedetto IX rubava e uccideva, e confessa di avere vergogna nel riferire le scelleratezze e le turpitudini della esistenza di lui. Un altro contemporaneo, Rodolfo Glaber, monaco di Cluny, ha dipinto l’odiosa figura di quest’uomo mostruoso sullo sfondo dell’epoca in cui visse, mentre carestie e pestilenze infuriavano per tutta Europa.
[…]
Con Benedetto IX il papato toccò il fondo della della decadenza morale. Le condizioni di Roma in quel periodo apparirebbero probabilmente peggiori di quelle dell’epoca di Giovanni XII e, forse, supererebbero in orrore quelle del periodo dei Borgia, qualora potessimo paragonare esattamente queste età fra di loro.
I Crescenzi organizzarono l’assassinio di questo santo Papa ma il complotto fallì ed il Papa fanciullo riuscì a fuggire da Roma e a rifugiarsi da qualche parte che non conosciamo. Nel 1037 il fanciullo si recò a Cremona per chiedere a Corrado, che era in Italia per stroncare una rivolta che vedeva alla sua testa l’Arcivescovo di Milano Ariberto, di essere riportato a Roma e quel fanciullo era pur sempre il Papa del quale Corrado aveva bisogno. Corrado lo assecondò, in cambio della scomunica di Ariberto. Benedetto rimise piede a Roma nel 1038. Per certo Corrado, tornato in Germania, vi morì (1039) lasciando il trono a suo figlio Enrico III.
A Roma Benedetto continuò a ricoprire ancora di più d’infamia l’intera Chiesa. Gregorovius dice che “un demone infernale camuffato da prete sembrava sedesse sul seggio di Pietro e pareva cinicamente giocare coi sacri misteri della religione”. E continua:
Rimesso sul trono nel 1038 e protetto da suo fratello Gregorio, che reggeva la città come senatore dei Romani, Benedetto conduceva tranquillamente in Laterano una vita da sultano orientale; con la complicità della sua famiglia egli compiva ogni sorta di ruberie e di delitti nella città, dove ogni legge era ormai decaduta. Perciò, tra la fine del 1044 e il principio dell’anno seguente, il popolo si sollevò furibondo: il papa fuggì, ma i suoi vassalli difesero la città Leonina dall’attacco dei Romani; i trasteverini si schierarono dalla sua parte ed egli chiamò in aiuto amici e sostenitori. Il conte Gerardo di Galerìa(14) effettuò una sortita con molti cavalieri dalla parte dei Sassoni ricacciando i Romani e un terremoto sopraggiunse ad aumentare la carneficina nella città in rivolta. L’antica cronaca che narra questo episodio non dice se dopo tre giorni di lotta Trastevere venisse conquistato; essa riferisce soltanto che i Romani dichiararono all’unanimità di non voler avere più niente a che fare con Benedetto e che elessero papa col nome di Silvestro III il vescovo della Sabina, Giovanni.
Anche l’elevazione di Giovanni, però, fu dovuta al denaro con cui egli corruppe i rivoltosi e il loro capo Gerardo de Saxo, un potente romano che dopo aver furbescamente promesso a Benedetto IX la propria figlia poi gliela aveva negata. Il papa, infatti, non aveva avuto ritegno a chiedere in tutta serietà la mano di quella romana, sua parente; Gerardo lo aveva ingannato con la speranza che l’avrebbe posseduta, e gli aveva chiesto in cambio di deporre la tiara. Infiammato dal desiderio, il pontefice non si era opposto e aveva adempiuto la promessa proprio durante l’insurrezione. Una sensualità di origine infernale lo possedeva, la superstizione popolare diceva di lui che nelle foreste egli commerciava col diavolo e che attirava le donne con filtri ed incanti; e si pretendeva persino di aver trovato in Laterano i libri magici coi quali evocava i demoni. La sua cacciata, intanto, faceva avvampare d’ira la sua orgogliosa famiglia; in lui stesso il tranello di Gerardo suscitava odio feroce e brama di vendetta. Il suo partito, assai numeroso, teneva ancora Castel S. Angelo e il suo oro gli procurava nuovi amici; dopo soli quarantanove giorni di regno Silvestro III fu scacciato dal seggio apostolico e di nuovo ad esso salì il tuscolano, nel marzo del 1045.
Ancora per qualche tempo dopo quei fatti, Benedetto IX mantenne il governo di Roma, mentre Silvestro III trovava riparo in qualche rocca sabina o magari in un ben munito monumento della città e continuava a farsi chiamare pontefice. Tenebre pietose scendono a coprire le atrocità di quell’anno. Odiato dai Romani, malsicuro sul trono, sempre in ansia per timore di una nuova rivoluzione, Benedetto si vede infine costretto ad abdicare. Fu l’abate Bartolomeo di Grottaferrata che lo persuase a compiere quel passo; ciò nonostante, egli vendette vergognosamente il papato per denaro, quasi fosse stato merce. Il 1 maggio 1045. in cambio di una cospicua rendita, precisamente dell’obolo inglese di S. Pietro, e con regolare contratto cedette la propria carica a Giovanni Graziano, un pio e ricco arciprete della chiesa di S. Giovanni a porta Latina, in cambio di soli 700 kg d’oro. Poteva la profanazione del più santo istituto della cristianità spingersi più oltre dopo tale vergognoso commercio? Ma il traffico delle cariche ecclesiastiche era cosi diffuso ormai in tutto il mondo, che nessuno ritenne di doversi stupire se infine persino un papa mercanteggiava il soglio di Pietro.
Giovanni Graziano, ovvero Gregorio VI, mise da parte le leggi canoniche con un coraggio che pochissimi suoi contemporanei furono in grado di comprendere e di apprezzare. Questo papa memorabile, che comprò il papato per toglierlo dalle mani di un criminale e che in quel tempi terribili fu giudicato semplicemente uno sciocco, era forse un uomo di costumi severi e di alto sentire. […] I cluniacensi francesi e le congregazioni italiane salutarono tutti la sua elevazione come l’inizio di un tempo migliore; infatti, all’improvviso, accanto a questo papa simoniaco sarebbe comparso un giovane monaco pieno di ardimento che grazie agli eroici sforzi della sua intera vita avrebbe risollevato il papato ad altezze mai raggiunte prima d’allora. IldebrandoAldobrandeschi di Soana (paesino presso Grosseto)apparve per la prima volta sulla scena della storia a fianco di Gregorio VI, di cui era il cappellano; e questo basterebbe a dimostrare come Gregorio fosse tutt’altro che sciocco. Non sappiamo quale fosse a quei tempi l’attività di Ildebrando; né se egli avesse avuto parte nell’illegale azione del papa; tuttavia nel «vicario» di cui fanno parola i cronisti è certamente da ravvisare quel geniale giovane monaco che era il consigliere di Gregorio VI e che più tardi, in memoria riconoscente di questi, volle chiamarsi Gregorio VII.
Vediamo di mettere un poco d’ordine, almeno con la successione di Papi che, anche per il Liber Pontificalis (ricordo che dopo la bibliografia ho riportato l’elenco completo dei Papi secondo il Liber aggiornato), è la seguente (tra parentesi quadra vi sono gli antipapi):
143. — Benedetto VIII, Teofilatto dei conti di Tuscolo, 18.V.1012 — 9.IV.1024.
[Gregorio, … V. —… XII.1012].
144. — Giovanni XIX, Romano dei conti di Tuscolo, 19.IV.1024 — … 1032.
145. — Benedetto IX, Teofilatto dei conti di Tuscolo, … VIII o IX.1032 — … IX.1044.
146. — Silvestro III, Romano, Giovanni, 13 o 20.I.1045 — … III.1045.
147. — Benedetto IX (per la seconda volta), 10.III.1045 — 1.V.1045.
148. — Gregorio VI, Romano, Giovanni Graziano, 1.V.1045 — 20.XII.1046.
149. — Clemente II, della Sassonia, Suitgero dei signori di Morsleben von Horneburg, 24.XII.1046 — 9.X.1047.
150. — Benedetto IX (per la terza volta), … X.1047 — … VII.1048.
151. — Damaso II, del Tirolo, Poppone, 17.VII.1048 — 9.VIII. 1048.
152. — S. Leone IX, Alsaziano, Brunone dei conti di Egisheim, 2,12.11.1049 —19.IV. 1054.
153. — Vittore II, Svevo, Gebeardo dei conti di Dollnstein-Hirschberg, 13.IV.1055 — 28.VII.1057.
154. — Stefano IX (X), Lorenese, Federico dei duchi di Lorena, 2,3.VIII.1057 — 29.III.1058.
[Benedetto X, Romano, Giovanni, 5.IV.1058 — … I.1059. †— ?]
155. — Niccolo II, della Borgogna, Gerardo, … XII.1058, 24.I.1059 — 27.VII.1061.
156. — Alessandro II, di Baggio (Milano), Anselmo, 30.IX, 1.X.1061 — 21.IV.1073.
[Onorio II, del Veronese, Cadalo, 28.X.1061 — 31.V.1064. † 1071 o 1072].
157. — S. Gregorio VII, della Tuscia, Ildebrando, 22.IV, 30.VI.1073 — 25.V.1085.
Va subito detto che Gregorovius fa un salto di una decina di Papi, passando da Gregorio VI a Gregorio VII. Vi è poi da aggiungere che anche Gregorio VI e Silvestro III, ambedue restati Papi mentre lo era anche Benedetto IX, furono costretti ad abdicare da Enrico III, in un Concilio che si tenne a Sutri nel 1046 nel quale furono convocati i tre Papi. Benedetto IX non si presentò ma fu ugualmente dichiarato decaduto. A questo punto in luogo dei tre Papi deposti, Enrico III, con sostegno di popolo e clero, fece eleggere un Papa della Sassonia, Papa Clemente II. Durò comunque poco perché tutto testimonia che sia stato avvelenato da sicari di Benedetto IX mentre si trovava a Pesaro. Morto Clemente II, pare davvero incredibile, il Papato tornò in mano a Benedetto IX, per la terza volta ! Ma Enrico III non si curò di questa elezione perché fece eleggere in Germania il bavarese Papa Damaso II (1048) che durò al potere solo 23 giorni. Anche qui la sua morte sembra sia stata provocata da sicari di Benedetto IX.Il successore fu ancora scelto da Enrico III che impiegò però tempo poiché non si trovava una persona all’altezza del tanto promesso rinnovamento. Fu scelto un alsaziano, Brunone che pose la condizione per l’elezione che questa fosse accettata dal clero e dal popolo romano. Questa posizione di umiltà gli dette un grande credito e Bruno ne fu accolto a Roma con entusiasmo da tutti. Finalmente fu eletto Papa nel 1049 con il nome di Papa Leone IX (1049-1054). Il suo lavoro fu encomiabile (il rigido vento del Nord, come scrive Gregorovius) perché non lavorò da solo ma richiese intorno a sé i più eminenti pensatori cristiani che, naturalmente, erano fuori dall’area criminale. Tra questi chiamò ancora Ildebrando che si era formato a Cluny. Iniziò a fare pulizia di ogni carica ecclesiastica acquistata con la simonia. Emanò durissimi decreti contro il concubinato ecclesiastico. Dovette però subire una cocente sconfitta sul piano temporale. Tentò di contrastare con le armi i normanni, sostituitisi nel Sud d’Italia ai bizantini, che si aggiravano intorno a Benevento. Intanto li scomunicò. I normanni non volevano combattere con il Papa e tentarono di trattare ma Leone non volle cercando lo scontro e confidando di vincerlo. Fu però duramente sconfitto nel 1053 a Civitate sul Gargano e passò in una prigione a Benevento per circa sei mesi. Fu questo un errore clamoroso di Leone perché gli fu rinfacciato il suo essere andato in armi contro dei cristiani di fede ortodossa, i normanni. La voce che si diffuse era relativa ad una punizione di Dio. Fu rilasciato a marzo del 1054 dopo aver tolto la scomunica ai normanni ed aver riconosciuto il loro dominio in varie terre del Sud. Giunto a Roma vi morì subito.
UN POCO DI PULIZIA
Ildebrando era in missione in Francia e seppe della morte del Papa Leone mentre era ancora in quel Paese. Si affrettò verso la Germania per l’elezione del nuovo Papa. Fu ancora un uomo fortemente voluto da Enrico III e raccomandato da Ildebrando, un valente ed intelligente politico anche se di giovane età: Gebardo dei conti di Calw, che fu eletto nel 1055 con il nome di Papa Vittore II (1055-1057) e che ebbe da Enrico III l’incarico di curare gli interessi dell’Impero in Italia. Solo un anno dopo, a 39 anni, morì Enrico III che lasciò l’Impero, ed in esso l’Italia, nell’anarchia (aveva un figlio, Enrico IV, di soli 6 anni e quindi fu necessario che la madre Agnese assumesse la reggenza), con la conseguenza che la Chiesa si liberava dal controllo dell’Impero. Ma anche il giovane Vittore durò poco, nel 1057, anche lui a 39 anni, morì.
Per qualche tempo non vi fu più il rigido ed importante controllo tedesco sul Papato ed alcune famiglie italiane rialzarono la testa cercando i grandi affari permessi dal Papato. Questa fu la volta di Goffredo, duca di Lotaringia, che si era impadronito dei beni di Bonifacio di Toscana, assassinato nel 1052, attraverso il matrimonio con la sua vedova Beatrice. Goffredo, in tal modo divenne anche marchese di Toscana). Goffredo ebbe il riconoscimento delle proprietà dal reggente dell’Impero e quindi poté iniziare le sue scorribande in Italia. Papa Vittore, nel 1057, poco prima di morire, avendo capito la potenza della famiglia di Goffredo aveva nominato suo fratello Federico prima abate di Montecassino quindi gli aveva conferito la carica di prete-cardinale di una chiesa in Trastevere a Roma. E’ d’interesse sapere che aveva consigliato tale legame lo stesso Ildebrando che, anche lui, aveva da una parte capito la potenza di quella famiglia e dall’altro sperava che la Chiesa riuscisse ad emanciparsi dall’ Impero attraverso una famiglia devota ma non succube e comunque l’unica che permettesse lo sganciamento auspicato. Fu ancora Ildebrando che indicò Federico come successore di Vittore che venne eletto da lì a poco con il nome di Papa Stefano IX (1057-1058). Si trattava di una elezione naturale in un periodo di debolezza della corona germanica, l’unico Papa sostenuto da una famiglia in grado di essere antagonista all’Impero. Ebbe i voti del clero e dei Romani che dopo tanto tempo potevano tornare arbitri di una libera elezione. La famiglia dei Lotaringi ebbe con questa elezione di espandere il suo potere in tutta Italia. E Stefano fu molto abile perché nominò subito proprio Ildebrando come ambasciatore pontificio presso la corte del piccolo Enrico IV, con il compito di placare le acque, molto agitate a seguito della violazione del diritto tedesco di indicare il pontefice, e mostrarsi amico dell’Impero. Nel frattempo maturò il progetto, portato avanti anche dal Papa, di costruire un Regno d’Italia per Goffredo, magari anche ai danni dei Normanni. Stefano, al fine di mettere su un esercito, si fece portare a Roma i tesori conservati a Montecassino. Ogni progetto però fini a seguito della sua morte.
Questa morte fu vista dai Conti di Tuscolo come un’opportunità di riprendere in mano il potere nella Chiesa. Il fratello di Benedetto IX, Gregorio di Tuscolo, con un manipolo di soldati entrò in Roma e sistemò al soglio pontificio Giovanni detto il Mincio, cioè il minchione, con il nome di Papa Benedetto X. I chierici romani non vollero riconoscere questa elezione perché irregolare ma dovettero abbandonare il tutta fretta la città per le ritorsioni aspettate. La speranza era Ildebrando con il quale, quando fosse tornato dalla Germania, scegliere un candidato Papa.
Goffredo di Toscana ospitò a Siena l’assemblea di coloro che non accettavano Benedetto X e costoro indicarono, come candidato Papa, il vescovo di Firenze Gerardo di Borgogna. Richiesta del sostegno, la reggente Imperatrice Agnese, lo dette ed incaricò Goffredo di scortare a Roma il nuovo Papa, che assunse il nome di Niccolò II (1059-1061), per essere incoronato. La marcia su Roma era molto difficile perché le famiglie nobili la tenevano in pugno. Si decise di usare tutti i mezzi per farlo, arrivando a corrompere le persone giuste perché il sostegno a tali famiglie venisse meno. Bendetto X fu quindi cacciato da un’insurrezione popolare.
Il ripetersi di queste situazioni per cui non si sapeva mai bene chi era il Papa legittimo se non con l’uso di denaro e/o armati, richiese l’immediato intervento del nuovo Papa. Egli convocò subito un Concilio in Laterano (1059) e quindi fece emanare una Costituzione Apostolica, la In nomine Domini, che fissava il modo di eleggere un Papa: il corpo elettorale sarebbe stato solo dei cardinali-vescovi mentre i cardinali non vescovi(15) avrebbero solo potuto fornire la loro adesione ad elezione avvenuta mentre popolo e clero inferiore avrebbero solo potuto dare un consenso, sempre ad elezione avvenuta (nel 1179 Papa Alessandro III, con la Costituzione Apostolica Licet de vitanda discordia,estese l’elezione del Papa a tutti i cardinali). Inoltre l’elezione del Papa poteva avvenire anche fuori Roma. Con questo documento di fatto veniva tolta ogni potestà al popolo di Roma ma anche all’Imperatore. Poiché ci si attendevano ritorsioni imperiali, si pensò di avvicinare i Normanni che sarebbero potuti diventare i difensori della Chiesa e comunque in grado di essere un contraltare all’Impero. Per stringere questa alleanza Niccolò si recò nel Meridione e trattò con i capi normanni (Riccardo d’Aversa e Roberto il Guiscardo). Cedette alcune terre nelle disponibilità papali ed altre che invece non lo erano ed ebbe in cambio il vassallaggio normanno al pontefice con l’impegno di aiuto militare contro ogni minaccia. Qui si posero problemi per gli storici perché il Papa donava terre che erano di altri potentati. Si è addivenuti alla conclusione che la punta di diritto era la falsa donazione di Costantino che, all’epoca, era ritenuta vera da tutti. Osserva Rendina che “i riformisti, che tanto si battevano per la legalità e la purezza degli ideali, finivano per appoggiarsi anche loro ad istituzioni illegali e storicamente false”. Altro colpo che mise a segno Niccolò II fu l’alleanza con un vasto movimento di basso clero e popolo al Nord d’Italia, la Pataria (guidata dal diacono Arialdo e dal suddiacono Landolfo), che rivendicava con forza la riforma della Chiesa contro il malcostume di vescovi e nobili milanesi (il movimento nacque intorno al 1045 e si sviluppò moltissimo diventando successivamente un movimento pauperista ed eretico, quello dei patarini). Il fine era riuscire gradualmente a mettere insieme tutta l’Italia e, contemporaneamente, quello di riconquistare un minimo dello spirito originario del Cristianesimo corrotto violentemente ed indegnamente dalla nobiltà e dal clero simoniaco.
Niccolò invio messi alla corte tedesca, per spiegare le sue scelte politiche, ma non furono ricevuti. Anzi vi fu l’inizio di uno scisma da parte dei vescovi tedeschi che non riconobbero nessuna decisione di Niccolò. Il tutto restò in sospeso per la morte del Papa nel 1061.
La morte del Papa spinse subito i nobili romani guidati da Gherardo di Galerìa, con i vescovi lombardi che volevano eleggere un tal Guiberto, alla corte imperiale tedesca per chiedere un Papa a loro gradito al di fuori delle assurde regole di Niccolò. Ildebrando sfidò tutti e organizzò a Roma l’elezione del nuovo Papa con le regole introdotte da Niccolò. Risultò eletto Anselmo da Lucca con il nome di Papa Alessandro II (1061-1073) che aveva anche il pregio di essere accetto alla corte imperiale. I tentativi dei nobili di creare disordini furono stroncati dai normanni prontamente intervenuti al comando di Riccardo d’Aversa, promosso nel frattempo, dal Papa Niccolò II, Principe di Capua. Ma i nobili romani, i vescovi lombardi e tedeschi reagirono e in un Concilio convocato a Basilea elessero un altro Papa: il vescovo di Parma, Cadalo, che assunse il nome di Onorio II. Nel far questo riconobbero l’autorità dell’Imperatore Enrico IV che aveva 10 anni e lo nominarono patricius romanorum. E’ d’interesse notare che gli elettori di Onorio avevano rifiutato le deliberazioni del Concilio Laterano del 1059 (tra cui quella che permetteva l’elezione del Papa fuori di Roma) e ciò li obbligava a tornare a Roma per rendere ufficiale l’elezione di Onorio. Venne messo insieme un esercito di lombardi che sconfisse gli armati messi insieme a Roma da Ildebrando. Ciò permise ad Onorio di entrare in città e di tentare di aumentare i suoi armati in attesa dell’arrivo dei Normanni che avrebbero ripristinato Alessandro II sul trono papale. Prima che ciò avvenisse si inserì nella contesa Goffredo di Toscana tentando la mediazione che consisteva nel far recedere ambedue i Papi in attesa che la decisione venisse presa nella capitale Augusta dell’Impero. Sarebbe stata una marcia indietro per i tentativi di riforma che avrebbero visto con grande favore lo sganciamento dal potere imperiale … ma un importante avvenimento alla corte di Augusta cambiò radicalmente le cose. Vi fu un colpo di Stato (1062) guidato da un vescovo, Annone di Colonia, che tolse la reggenza alla madre Agnese di Enrico IV e l’assunse per sé (dividendola l’anno seguente con l’altro vescovo, Adalberto di Amburgo e Brema). Annone divenne arbitro della contesa tra Papi e decise che il Papa legittimo era Alessandro II in cambio di importanti cariche ecclesiastiche per Annone e per altri suoi sostenitori.
Alessandro scomunicò Onorio e questi scomunicò Alessandro. Onorio con i finanziamenti dei nobili romani rimise su un esercito con il quale riprese Roma, dove Alessandro era asserragliato in Laterano difeso dai Normanni. La contesa violenta fu risolta da Annone che non volle in alcun modo riconoscere Onorio e, in un Concilio di vescovi italiani e tedeschi a Mantova nel 1064, fece definitivamente accettare Alessandro II (ma, fino al 1072, Onorio continuò a professarsi Papa). Alessandro II tentò di continuare l’opera di riforma ma fu impelagato in una serie innumerevole di problemi sia internazionali che interni (tra l’altro era morto nel 1069 un suo sostegno, Goffredo di Toscana. A costui era succeduto il figlio Goffredo il Gobbo che era sposato con Matilde che diventerà più oltre Matilde di Canossa, figlia di Beatrice di Toscana). Morì nel 1073 senza che nulla di effettivamente nuovo fosse realizzato. Durante la cerimonia funebre in Laterano il popolo di Roma, incitato dal cardinale Ugo Candido, acclamò Ildebrando Papa e quasi lo trasse in trionfo. Ildebrando non voleva un’elezione così perché credeva nelle regole fissate da Niccolò. Ma non vi fu nulla da fare perché fu trascinato a San Pietro in Vincoli per essere incornato Papa con il nome di Gregorio VII (1073-1085).
Gregorio intraprese un’azione ad ampio raggio scrivendo a tutte le persone che avevano importanti responsabilità in Europa al fine di avere sostegno per l’opera di riforma che si riprometteva di avviare affiancata da quella di riconquista alla Chiesa dei possedimenti che riteneva di sua proprietà. Ebbe il sostegno ufficiale di Enrico IV, anche se da quelle parti non avevano gradito un’elezione nella quale non avevano potuto dare indicazione i tedeschi. In un Concilio del 1074 vi fu una dura offensiva contro chi aveva venduto e chi aveva acquistato cariche ecclesiastiche. I chierici ordinati per simonia dovevano considerarsi fuori dalla Chiesa mentre i vescovi che avessero ottenuto incarichi di prestigio, sempre per denaro, dovevano immediatamente lasciarli. Sul piano dottrinale vi fu una durissima condanna degli ecclesiastici che non rispettavano il celibato essendo sposati (venivano chiamati nicolaiti) o vivendo in concubinaggio ed avendo prole (si trattava di una evoluzione meno ipocrita dell’agapete che veniva praticata nei primi secoli della Chiesa). Inoltre si richiedeva ai Re o Signori che avessero beni ecclesiastici di restituirli alla Chiesa.
Dalla Germania vi è una generale ed irata sollevazione dei chierici con moglie che arrivano a minacciare di morte il Papa. Gregorio fu molto duro e sospese 5 vescovi che avevano protestato e che erano tra i consiglieri di Enrico IV, inoltre tolse all’Imperatore la possibilità di investire vescovi, pena la scomunica. Naturalmente ciò comportò una rottura definitiva tra Impero e Papato e Gregorio emanò un suo documento, il Dictatus Papae, nel quale elencava dei canoni, cioè le condizioni per la riconciliazione. Il Dictatus era in pratica la rivendicazione della supremazia del Papa su qualsiasi autorità terrena. Il pontefice rivendicava il potere di deporre o reintegrare vescovi, principi ed imperatori. Gregorio sapeva che questo avrebbe provocato un duro scontro e così fu perché niente di quanto annunciato dal Dictatus fu preso in considerazione. Anzi, Enrico IV concesse da subito nuove investiture, nominò il nuovo arcivescovo di Milano, nella persona di Tedaldo, suo cappellano, ed interferì in vario modo nello stesso clero italiano tentando di costruire un nucleo di avversari di Gregorio. Si arrivò alla congiura guidata proprio dal cardinale Candido. Nel 1075 Gregorio fu pugnalato mentre diceva messa in Santa Maria Maggiore e condotto in prigione da una banda di armati. I fedeli, superato lo sbandamento iniziale, riuscirono a liberarlo il giorno seguente mettendo in fuga (ripareranno in Germania) i congiurati.
Gregorio convocò a Roma Enrico IV perché si discolpasse (1076). Se non lo avesse fatto sarebbe stato scomunicato. Fu ancora Candido ad alimentare lo scontro, raccontando ad Enrico IV che Gregorio tramava con Matilde di Canossa (con stregonerie e rapporti indicibili), diventata una potente feudataria che in pratica aveva in mano l’intera Italia Settentrionale, per sottrargli i suoi possedimenti in Italia. Enrico IV inviò a Gregorio una dichiarazione di disobbedienza, sottoscritta da quasi tutti i vescovi tedeschi e lombardi, ritenendolo non più degno di occupare quel posto. Gregorio rispose con la solenne scomunica di Enrico IV e di tutti coloro che avevano firmato la disobbedienza. Enrico IV si adirò violentemente ma si rese conto che il popolo sosteneva il Papa anche perché in breve temo sembrò che l’ira divina si abbattesse su di lui attraverso i suoi sostenitori che in breve tempo morirono in quantità. Ciò provocò la diffusione di una paura superstiziosa che fece levare contro Enrico IV vari principi tedeschi che già non lo apprezzavano. In questi casi si ricorreva al perdono papale e la cosa fu proposta ad Enrico IV: se otterrà il perdono papale non si correrà il rischio di una guerra civile e tutti i principi ribelli lo avrebbero riconosciuto come Imperatore. Ci furono momenti di indecisione che si conclusero in un viaggio di Enrico in Italia ma con un esercito al seguito. Gregorio, che viaggiava nel Nord Italia, saputo che Enrico aveva attraversato le Alpi e non conoscendone le intenzioni, si rifugiò nel castello di Matilde di Canossa, a Canossa sull’Appennino Emiliano. Enrico, arrivato fin qui, chiese di essere ricevuto ed il Papa negò ogni contatto. Matilde ed altri dignitari pregarono il Papa di recedere ma egli fu irremovibile: Enrico dovrà stare tre giorni e tre notti al freddo ed al gelo prima di essere ricevuto ! Passato questo tempo lo ricevette, lo ascoltò nella cappella del castello, prese atto della richiesta di perdono, dopodiché lo riammise tra i fedeli e gli dette la comunione. Sembrava completamente sottomesso Enrico IV ma macinava rancore e vendetta che avrebbe scatenato appena riconquistato il trono. Ma né popolo né principi erano più con lui. Lo cacciarono ed elessero Imperatore Rodolfo Duca di Svevia, cognato di Enrico. Dopo varie vicende che vedranno anche uno scontro armato tra partigiani di Enrico e di Rodolfo, nel 1080 il Papa consacrò Imperatore Rodolfo e scomunicò di nuovo Enrico per non aver rispettato gli accordi di Canossa. L’ex Imperatore, per tutta risposta, convocò una dieta di vescovi, in maggioranza nicolaiti e simoniaci, a Worms (1080), che dichiarò deposto il Papa ed eletto come nuovo pontefice l’arcivescovo di Ravenna Guiberto (uno dei capi della congiura di Santa Maria Maggiore) con il nome di Clemente III che, come primo atto, scomunicò Gregorio. Vi furono frenetici tentativi di Gregorio per la sua difesa e quella del Papato in un momento in cui Enrico IV si era riorganizzato ed in Italia non aveva grossi sostegni oltre Matilde di Canossa al Nord. Riallacciò i legami con i Normanni e particolarmente con Roberto il Guiscardo che, scomunicato per aver toccato terre della Chiesa a Benevento, fu riammesso tra i fedeli a patto di difendere la Chiesa (l’altro re normanno, Giordano di Capua, figlio di Riccardo, prima accettò la difesa del Papa poi fece dietrofront). In definitiva Enrico IV arrivò alle porte di Roma per cacciare Gregorio ed imporre Clemente. Furono i medesimi romani che riuscirono a respingere Enrico che per almeno due anni non tentò nulla contro Roma. Passati questi due anni Enrico tornò e riuscì ad entrare in città con Gregorio asserragliato a Castel Sant’Angelo. Tutto era perso perché i nobili romani, che avevano organizzato la sconfitta di Roma, si schierarono con lui; perché i vescovi lombardi riconobbero Clemente come Papa; perché Enrico si fece incoronare come Imperatore da Clemente III in Laterano nel 1083. Il normanno Roberto il Guiscardo che avrebbe dovuto difendere Roma ed il Papa, si presentò a Roma con due anni di ritardo dalla richiesta e con un grande esercito, tale da far scappare Enrico IV e far rifugiare Clemente III in luogo sicuro a Tivoli. Per questo aiuto il prode normanno volle mettere a sacco Roma, con massacri inauditi e provocando violenti incendi che distrussero quasi due terzi di essa.
Gregorio verrà preso ostaggio da Roberto che non avrà il coraggio di restare a Roma per la violenta ostilità di tutti nei suoi riguardi. Ma anche Gregorio aveva perso il sostegno popolare tanto che fu accettato addirittura Clemente III, risorto da Tivoli, come Papa, mentre Gregorio moriva a Salerno (1085) dove era stato portato da Roberto il Guiscardo. Si chiudeva qui la vicenda di un riformatore che fece cose importanti contro simonia ed immoralità del clero e che aprì la strada, in modo del tutto inconsapevole alle grandi eresie della Chiesa dei secoli futuri. Capito cosa significava la moralità il popolo la continuò a pretendere anche dai successori di Gregorio.
E DOPO ?
Se si dà un’occhiata all’elenco dei Papi che si trova dopo la bibliografia, alla morte di Gregorio ricominciò una sarabanda di delinquenti al potere. Vi furono certamente delle brave persone o delle persone che in buona fede credevano di poter ambiare qualcosa. Il fatto è che era la Chiesa marcia, marcia fino al midollo avendo perso ogni rapporto con i Vangeli e quindi con il messaggio di Gesù. Solo potere, con orge sfrenate, con denaro vagante, con prostitute, con pedofilia, con omicidi, guerre ed ogni altra indegnità. Gregorio VII risulta essere, nel Liber Pontificalis, il Papa n° 157. Dopo di lui vi furono ben 18 antipapi, ed il costume si placò solo nella metà del XV secolo a partire da Papa Niccolò V (1447-1455), il Papa n° 208.
Dopo Gregorio VII fu eletto Papa un benedettino da tutti riconosciuto come un sant’uomo (Gregorio aveva indicato tre possibili successori ma la corte pontifici conoscendo il forte carattere di questi, per non ripetere l’esperienza di un Papa che faceva tutto lui con serietà e senza corruzioni, decisero per un candidato diverso. Il momento era delicato e solo in questo modo sarebbe stato possibile avere una tregua intorno al trono pontificio e rimettere in moto ogni imbroglio. Anche qui, per acclamazione, fu eletto Desiderio di Montecassino che assunse il nome di Papa Vittore III (1086-1087) ma desiderio non voleva saperne di fare il Papa perché preferiva una vita ritirata di preghiera e lavoro piuttosto che entrare nelle sarabande pontificali. Una volta eletto Vittore si dimise allontanandosi da Roma, dove ricomparve l’antipapa Clemente III che resterà come una presenza ineliminabile fino al 1100. Vittore sosteneva che il Papa doveva essere eletto secondo le modalità ormai stabilite. Fu accontentato e risultò eletto in un Sinodo a Benevento (Roma era impraticabile perché occupata da Clemente III) ma di fatto fu Papa per soli 4 mesi preferendo ritirarsi nel suo eremo di Montecassino (nel Sinodo Clemente III fu scomunicato, fu rinnovato il divieto all’investitura laica e si iniziò ad impostare la campagna contro i Saraceni in Africa). E proprio su questa importante questione vi furono avvenimenti che accaddero sotto il suo Papato che meritano di essere ricordati. Quella corte pontificia, che si era in gran parte sostituita alla prepotenza nobiliare (ma in realtà era la medesima cosa perché tra quei vescovi e cardinali vi erano i rappresentanti dei nobili), decise, così sembra, all’insaputa del Papa una spedizione contro i musulmani, una pre crociata. Già sotto Gregorio vi era stata una pre-crociata (1081) guidata dal normanno Roberto il Guiscardo che, per la prima volta nella storia, ebbe il permesso dal Papa di issare la croce come simbolo di un esercito. Altra pre-crociata fu appunto quella che nacque sotto Papa Vittore (1086) e fu realizzata da una coalizione di Repubbliche Marinare: Genova, Pisa, Amalfi. In realtà queste Repubbliche cercavano di difendersi dalle continue incursioni dei Saraceni africani in territori europei che, tra l’altro, rendevano insicure tutte le rotte con grave danno per i loro commerci. Inizialmente si riuscì a liberare la Sardegna e la Corsica fino ad una incursione in territorio tunisino dove fu conquistata e saccheggiata la roccaforte della flotta saracena di Mehdia. Con il bottino di guerra fu costruita la cattedrale di Pisa.
Alla morte di Vittore seguirono scontri violenti tra le famiglie nobili a Roma, scontri che interessarono anche i Normanni, i Lombardi e l’Impero di Augusta. Era tutto tornato come prima con attori che via via cambiavano sulla scena recitando sempre la stessa parte. La novità era quella della lotta contro i musulmani contro i quali la Chiesa tentò di riconquistare l’unità dei cristiani. L’operazione inizierà con Papa Urbano II (1088-1099), successore di Vittore.
Tratterò gli avvenimenti che presero avvio con Urbano II in un prossimo articolo.
Roberto Renzetti
NOTE
(1) All’epoca di San Paolo le comunità di cristiani erano autonome e non avevano nessuno che le rappresentasse. La rappresentanza non nasceva da una elezione ma dal prestigio della persona. In epoca postpaolina, le comunità si organizzarono eleggendo un Collegio di Preti, Presbiteri e Vescovi (anche questi nomi erano utilizzati in modo intercambiabile perché le medesime funzioni erano a volte eseguite dagli uni ed a volte dagli altri) con stessi diritti e con i Diaconi subordinati. A cavallo tra I e II secolo, moltissime comunità decisero che tra i vescovi di pari dignità, senza alcuna divisione gerarchica, si eleggesse il rappresentante unico della comunità e fino al 483 anche il vescovo di Roma era eletto. Con il passare del tempo, il Presbitero divenne il sostituto e l’esecutore delle direttive del Vescovo, cioè il sacerdote, con un nome introdotto nel II secolo. I Diaconi erano invece addetti alle opere di carità ed al servizio a tavola. Fino al III secolo qualsiasi cristiano laico poteva diventare subito Vescovo per elezione senza dover passare per una qualche carriera.
(2) L’arianesimo nacque e si sviluppò nel IV secolo ma ebbe una avvisaglia alla metà del III secolo ad opera del prete Sabellio in Tolemaide. Secondo Sabellio è un dogma cristiano che Dio sia unico e le tre persone (Padre, Figliolo, Spirito Santo) di cui si parla non sono altro che tre manifestazioni diverse dello stesso Dio. Ario era parroco della Chiesa di Alessandria, persona estremamente colta, affabile, umile ed estranea alla ricerca di potere ed onori. Per tutto questo era stimato dal popolo e dal suo vescovo (prima Achilla e poi Alessandro). Quella che fu bollata come eresia dalla Chiesa riguardava la Trinità che Costantino aveva imposto per ragioni di potere dovendo non scontentare completamente altre religioni che la avevano nel loro credo. Ario andava addirittura al di là di quanto sostenuto da Sabellio perché riteneva che solo il Padre fosse Dio nel senso pieno, mentre il Figlio era servito al padre per dare una sistemata al mondo, operazione che Egli (Dio) non era in grado di fare perché troppo superiore a tali vicende. Certamente il Figlio era la più perfetta delle creature ma non aveva lo stesso carattere supremo della divinità del Padre. La Trinità non era negata ma lo era invece il fatto che il Figlio e lo Spirito Santo avessero un’identità di sostanza (homousia) con il Padre. La Chiesa attaccò Ario, mescolando i suoi interessi di potere con questioni teologiche, fino a farlo scomunicare e cacciare dalla sua chiesa proprio dal vescovo Alessandro. E’ inutile dire che era Ario quello più vicino ai Vangeli che in nessun luogo parlavano di Trinità. Ma ormai la Chiesa era diretta da Costantino e le gerarchie erano molto più realiste del Re. Ario fu diffamato e la sua considerata una grave eresia. Ma la teologia di Ario aveva fatto grande presa in tutto l’Oriente cristiano che si schierò dalla sua parte. Vi furono vari Concili che aderirono alle teorie di Ario tanto che l’esule fu fatto tornare ad Alessandria. Il vescovo dovette accettare il ritorno di Ario ma denigrando lui ed i suoi sostenitori in varie circolari che inviò alle varie comunità cristiane. Ma ciò gli procurò l’avversità della grande maggioranza dei cristiani con cui aveva a che fare (mentre i pagani sghignazzavano sull’amore che avrebbe dovuto essere al centro del messaggio di Gesù). La Chiesa d’Oriente fu spaccata e lo restò per secoli mentre in Occidente non ci si rese conto del problema fino a quando non arrivò a Roma.
(3) Felice II (355-365) è il terzo antipapa. Gli altri due furono Ippolito (217-235) e Novaziano (251). Felice fu fatto eleggere dall’Imperatore Costanzo che aveva fatto arrestare il Papa Liberio (352-366) per controversie politiche legate anche all’arianesimo. Stranamente questo antipapa risulta nell’elenco dei Papi della Chiesa offerto dal Liber Pontificalis e compare anche raffigurato tra i Papi della Basilica di San Paolo. Papa Liberio verrà liberato nel 358 e Costanzo gli chiede di condividere il Papato con Felice. Sarà il popolo di Roma a decidere, con una rivolta, per Liberio che considerava un buon Papa.
(4) Un grave danno sembra comunque si sia avuto perché Leone, tornato a Roma, per ringraziare Dio dell’accaduto, fece fondere la statua di bronzo dedicata a Giove per realizzare la statua di bronzo di San Pietro esistente ancora oggi in San Pietro.
(5) Valentiniano molestò la moglie Anicia del senatore Massimo. Quest’ultimo si vendicò uccidendo Valentiniano e divenendo imperatore. Morta Anicia, Massimo sposò Eudossia II, moglie di Valentiniano e figlia dell’Imperatore d’Oriente Teodosio, che nulla sapeva dell’assassinio di Valentiniano. Quando seppe cosa era accaduto, Eudossia si rivolse di nascosto al capo dei Vandali, Genserico, chiedendogli di invadere la città.
(6) Il monofisismo (dal greco monos e fusis, e cioè unica natura) era un’altra interpretazione trinitaria secondo la quale il Figlio aveva la stessa natura del Padre, era cioè un Dio. Con ciò andava a sparire la sua natura umana. Questa eresia risaliva al vescovo Apollinare di Laodicea che la aveva sviluppata sul finire del IV secolo. Era stata poi ripresa e sviluppata dall’abate Eutiche nella prima metà del V secolo. La natura umana di Cristo era spiegata da Eutiche come una trasformazione divina. In un processo del 448 per eresia contro Eutiche egli spiegò che Cristo prima dell’Incarnazione aveva certamente in sé due nature (divina ed umana) ma dopo l’Incarnazione si era avuta una trasformazione in una sola natura divina. Anche Papa Lerone Magno (inizialmente) disse di non trovare nulla di sbagliato in quanto sosteneva Eutiche. Ma poi, nel 449, aderì alla condanna del monofisismo, stolto ed innaturale errore.
(7) Mentre regnava Gelasio, in Francia accadevano cose che sarebbero diventate rilevanti in futuro, anche per i rapporti con la Chiesa di Roma. Il regno franco occupava allora zone che comprendevano parte dell’attuale Francia e dell’attuale Germania. Nel regno vi erano importanti comunità cristiane e vescovati, tra i quali il più importante era Reims. All’epoca di Gelasio, Reims era retto da Saint Remy ed il regno dal Re pagano Clodoveo I (che regnò dal 481 al 511), membro della dinastia dei merovingi, famiglia fondata da Meroveo, considerato un semidio e rappresentante di una tribù germanica che adorava una Dea Madre che i romani avevano identificato in Diana. Clodoveo intraprese una vasta campagna di conquista che lo portò ad estendere il suo potere in gran parte d’Europa (gran parte dell’attuale Francia e degli attuali Paesi Bassi insieme a molti piccoli regni confinanti) fino a renderlo il più grande dominio barbaro in Europa che andava a confinare con il Regno d’Italia degli Ostrogoti di Teodorico e con la Spagna dei Visigoti. Questa situazione era vantaggiosa per la Chiesa di Roma perché aveva ai suoi confini un re pagano (ma sposo di una cristiana del Regno di Borgogna con grande influenza su Clodoveo, Clotilde il cui confessore era Saint Remy) nel cui regno i cristiani erano maggioranza e, comunque, in cui l’arianesimo non era entrato. Per buon peso Clodoveo si convertì (496) fornendo alla Chiesa una estensione territoriale di influenza enorme. Clodoveo fu chiamato, dopo la conversione, il Nuovo Costantino e già la Chiesa aveva mire per la sua espansione in quei territori che la avrebbero portata abbastanza presto alla costituzione del Sacro Romano Impero. Alla morte di Clodoveo nacquero e seguirono per moltissimi anni, lotte sanguinose per la successione tra mogli, figli e figlie e parenti vari. La Chiesa era sempre pronta a schierarsi con il vincitore con un particolare. prima del suo schieramento la Chiesa si poneva come mediatrice guadagnando terreni, preziosi e prebende da ambedue i contendenti. I peggiori crimini erano perdonati … bastava pagare. In tal modo anche la Chiesa di quel regno aumentava in modo incredibile la sua ricchezza ed il suo status.
(8) Per semplicità inizio da qui, dall’inizio del VI secolo, a chiamare Papa il vescovo di Roma anche se la cosa diventerà una scelta ufficiale della Chiesa a partire da Papa Gregorio VII. Si veda in proposito il mio precedente articolo, I “santi” imbroglioni.
(9) Sotto questo Papa iniziò l’importante esperienza ed esempio di vita di San Benedetto. Vi sarebbe qui da discutere la grande esperienza del monachesimo e dell’ascesi, anche se tale pratica non aveva nulla a che fare con l’insegnamento evangelico di Gesù che amava vivere in mezzo al prossimo (la vicenda dell’esilio nel deserto è solo una concessione ad altri culti) ma piuttosto con esperienze religiose orientali. Va comunque detto che le esperienze monacali intendevano ricostruire delle comunità di uguali che fossero autosufficienti e dediti al lavoro materiale ed intellettuale. La Regola di San Benedetto, la famosa Ora et Labora è esemplificativa. Per la prima volta in Occidente si ripudiava l’avversione platonica al lavoro manuale e lo si integrava a pieno titolo con quello intellettuale. L’insegnamento di Benedetto assunse il significato di una grande rivoluzione. Inoltre il suo esempio di vita umile e dedita ai bisognosi era di scandalo per una Chiesa corrotta fino al midollo. Non a caso Benedetto fu oggetto di un tentativo di assassinio da parte del clero di Subiaco (Vicovaro e Mandela). Da questo momento il grande pensatore abbandonò l’eremo di Subiaco, dove ancora esistono due suoi monasteri, che sono qualcosa di incredibile per bellezza e immersione storica, per andare a fondare il monastero di Montecassino. Al di là però di figure distaccate come quella appena delineata, il bisogno di egualitarismo e di vita comunitaria è stata sempre una grande aspirazione delle comunità di cristiani fin dalle loro pure origini. L’avvento del monachesimo sarebbe potuto essere un’occasione poer ritornare alle origini sane del Cristianesimo. Così non fu ed i monaci, sempre presentati come esempio ma mai imitati dalle gerarchie, furono sempre avversati perché pericolosi nel confronto con abiti regali e vita lussuosa e lussuriosa dei capi della Chiesa. La stessa esperienza di San Francesco è indicativa di cosa accadeva nella Chiesa. Dopo i massacri che erano stati fatti di ogni istanza pauperista (eretica per Roma) con le violenze e le uccisioni ad esempio dei dolciniani, alla Chiesa serviva avere un docile movimento pauperista. In tal senso il giullare Francesco serviva bene allo scopo ed nche per inaugurare la vergogna della doppia morale (una per i monaci e l’altra per le gerarchie). Rivendicava la povertà ma solo per sé (ci mancherebbe che la rivendicasse anche per il Papa come faceva ad esempio Dolcino). Tanto è vero che i francescani si spaccarono e solo i fedeli al giullare restarono con la fiducia del Papa che, anzi, li nominò come inquisitori a lato dei domenicani a difesa della fede. Quelli che non si riconobbero nei cedimenti divennero eretici.
(10) Nel periodo di tempo in cui il falso documento fu realizzato e utilizzato i Papi furono: Costantino (708-715), Gregorio II (715-731), Gregorio III (731-741), Zaccaria (741-752), Stefano II (752-757).
(11) Dopo Zaccaria venne eletto Papa Stefano II che però morì ancor prima di essere consacrato. Tale Papa non figura nell’elenco dei Papi e quello che fu eletto subito dopo era un presbitero di nome Stefano che, per logica, doveva essere Papa Stefano III ma, in realtà risulta come Stefano II nell’elenco dei papi.
(12) Il bordello a cui era ridotto la corte papale ebbe molto a che fare con queste donne di famiglie potenti. Da Wikipedia riporto i rapporti di parentela tra queste donne e le potenti famiglie cui appartenevano:
“I Conti di Tuscolo (in lingua latina Comites de Tuscolana) sono stati una potente famiglia baronale romana che governò su larga parte dell’Agro Romano e dei Colli Albani tra il X ed il XII secolo, influenzando le vicende interne di Roma, dello Stato Pontificio e della stessa Chiesa cattolica attraverso il “papato di famiglia”. Il “papato di famiglia” era una formula politica che risolveva il problema della convivenza del potere civile e religioso, diversamente dal sistema politico diarchico tentato con successo da Alberico II di Spoleto che, mentre deteneva il potere politico, affidava quello religioso a papi di sua scelta. In punto di morte, sapendo che dopo di lui il sistema diarchico non avrebbe più funzionato e temendo l’intervento di Ottone I, volle unificare i due poteri facendo giurare ai nobili romani di eleggere, dopo la sua morte, il figlio Ottaviano, che divenne, un anno dopo, Papa Giovanni XII.
La roccaforte eponima di questa famiglia fu l’antica città di Tusculum, fondata in epoche remote prima della stessa Roma e rasa al suolo nel 1191 con il declinare della potenza dei conti tuscolani. […]
Le origini
Dall’unione di Teofilatto I dei Conti di Tuscolo (864-925) e Teodora I (†916) nacquero Marozia (†955) e Teodora II (†950).
Dall’unione di Marozia e Alberico I (†924), Marchese di Toscana e Camerino nonché Duca di Spoleto, nacquero Alberico II, Costantino, Sergio, Deodato (o Davide) e Giovanni, quest’ultimo ritenuto dagli storici figlio illegittimo di Marozia con Papa Sergio III (904-911) e asceso al soglio di Pietro come Papa Giovanni XI (931-935). Alcuni storici ritengono che Papa Sergio III e Papa Adriano III (884-885) (nato Agapito) fossero fratelli di Teofilatto I e figli di un certo Benedetto magnus tusculanus dux et comes, figlio di quell’Alberico marchio et consul tusculanus princeps potentissimus, a sua volta figlio di Teodato consul, dux et primicerius Sanctae Romanae Ecclesiae e fratello di Papa Adriano I (772-795).
Da Deodato-Davide (comes tusculanus), fratello di Alberico II, nacque Papa Benedetto VII (974-983).
Fino ad Alberico II, le informazioni sui Conti di Tuscolo sono incerte e frammentarie; da Gregorio I in poi, diventano più sicure.
Alberico II ebbe due figli certi: Gregorio I ed Ottaviano I, quest’ultimo poi Papa Giovanni XII (955-963).
Da Gregorio I nacquero tre figli: Alberico III, Teofilatto II e Romano. Teofilatto II nel 1012 divenne Papa Benedetto VIII. Romano (Consul et dux, senator) nel 1024 divenne Papa Giovanni XIX.
Teofilatto II, prima di divenire Papa, ebbe un figlio: Giovanni I dei Conti di Tuscolo.
Alberico III (Imperialis palatii magister; Consul et dux; Comes sacri palatii Lateranensis) ebbe cinque figli: Teofilatto III divenuto poi Papa Benedetto IX, Guido, Pietro, Ottaviano II e Gregorio II.
Nel settembre 1055, quando l’ex-papa Benedetto IX fece una donazione, dei fratelli risultavano vivi Guido, Pietro e Gregorio, non Ottaviano.
Guido ebbe un figlio, Giovanni II dei Conti di Tuscolo, che nel 1058 divenne l’antipapa Benedetto X.
Gregorio II (Consul; nobilis vir; senator; Comes Tusculanensis) ebbe un figlio che gli successe alla guida della famiglia nel 1058: Gregorio III.
A Gregorio III (Comes Tusculanensis; Consul; illustris) nel 1108 successe il figlio Tolomeo I.
A Tolomeo I (Illustrissimus; dominus; Consul et dux) nel 1126 successe il figlio Tolomeo II.
Tolomeo II ebbe due figli: Gionata (Comes de Tusculano) e Raino (Nobilis vir; dominus) che, alla sua morte nel 1153, guidarono insieme la famiglia fino al 1167, quando Gionata morì e rimase solo Raino, morto nel 1179″.
Di qualche rampollo di questa genìa di delinquenti avrò modo di parlare in dettaglio più oltre. Qualche dettaglio su Marozia posso darlo ora: sua madre, Teodora, la mise al letto del Ppapa Sergio III quando aveva solo 14 anni. La giovane rimase incinta ma la cosa non la turbò, anzi gradiva il tutto, tanto che riuscì a dominare con il sesso i successivi Papi Anastasio II e Landone riuscendo a far eleggere Papa il vescovo di Ravenna Giovanni, con il nome di Giovanni X per poterci fare l’amore più spesso che non a Ravenna. Tutta una vita evangelica.
(13) Da Wikipedia riporto una breve storia della potente famiglia dei Crescenzi:
“È storicamente ritenuto capostipite della famiglia un Crescenzio che figura come giudice fra i nobili romani in un placito romano di Ludovico III del 4 febbraio 901 sotto Papa Benedetto IV e, se pur si tratta dello stesso personaggio, in un altro tenuto in Roma da Alberico II il 17 agosto 942 sotto Papa Stefano VIII.
Discenderebbero da lui, per quanto sia ignoto il grado di parentela, Giovanni Crescenzi I (morto nel 960), marito di Teodora II (figlia del senatore Teofilatto I e di Teodora I) e padre di Giovanni vescovo di Narni, eletto Papa col nome di Giovanni XIII (965-972), di Teodora III sposata a Giovanni III duca di Napoli, di Crescenzio “de Theodora” detto “Crescenzio II”, di Marozia II (Marozia I era la zia, sorella di Teodora II) e di Stefania; Crescenzio II sarebbe il Crescenzio “a caballo marmoreo” che compare fra i primati di Roma in un sinodo del 963 presente Ottone I.
Dopo la morte della moglie Teodora II nel 950, Giovanni Crescenzi I si sarebbe fatto sacerdote fino a divenire vescovo. Nel periodo dal 965 al 1012 i Crescenzi dominarono su Roma col titolo di patrizi dei Romani; con Crescenzio de Theodora la famiglia estese il suo controllo anche su Palestrina (che Giovanni XIII concesse nel 970 alla sorella Stefania) e sul comitato sabinense. Crescenzio II fece eliminare papa Benedetto VI e impose l’elezione dell’antipapa Bonifacio VII, che tuttavia fu costretto all’esilio da Ottone II, mentre Crescenzio si ritirava in un monastero e vi moriva nel 984.
Suo figlio Giovanni Crescenzi II, detto poi Nomentano, ebbe grande influenza sotto il pontificato di Giovanni XV e di Gregorio V: assunto il titolo di patrizio dei Romani (985), divenne signore di Roma ed ottenne nel 988 il comitato e la città di Terracina per il fratello Crescenzio III (morto nel 1020), il quale poi tenne la prefettura di Roma negli anni 1014-15 e 1019, subentrando al nipote Giovanni Crescenzi III morto nel 1012. Giovanni Nomentano fece fuggire Gregorio V ed eleggere Giovanni XVI, che lasciò il potere temporale nelle sue mani. Ottone III, venuto a Roma, lo assediò in Castel Sant’Angelo (che si chiamava allora Castellum Crescentii) e lo fece decapitare (998): fu esaltato come martire della libertà romana.
Fra il IX ed il X secolo i Crescenzi furono feudatari di Mentana, ove fecero costruire un palazzo. I Crescenzi feudatari di Mentana vennero chiamati Crescenzi-Nomentani.
Suo figlio Giovanni detto Giovanni Crescenzi III nel 1002 si fece ordinare patrizio dei Romani ed ebbe la signoria della città fino alla sua morte nel 1012; estese i possessi della famiglia nella Campagna e nella Marittima.
Nel 1045 i Crescenzi Ottaviani riuscirono ancora a far eleggere al papato un loro membro, il vescovo di Sabina Giovanni, col nome di Papa Silvestro III”.
(14) Il Conte di Galeria odiava Benedetto IX perché gli aveva sedotto e sottratto la figlia Riccarda. Teofilatto comunque riuscì a fuggire rifugiandosi nel suo castello di Nemi. Nel Sacro Bosco i due amanti vennero sorpresi e Teofilatto ucciso. A quella vista Riccarda che lo amava si uccise tra lo sconcerto del padre. Secondo un’altra versione Benedetto IX fu perdonato da Leone IX che lo fece tornare in un monastero di Grottaferrata dove morì all’età di 45 anni.
(15) La parola cardinale deriva dalla parola cardine. Come il cardine di una porta, vi erano delle persone che erano chiamate ad aiutare i pontefici e quindi erano il cardine della Chiesa. Fin dall’antichità erano chiamati a fare i cardini, o dei diaconi o dei presbiteri o dei vescovi. Si poteva quindi essere cardinali-vescovi o cardinali-non vescovi.
BIBLIOGRAFIA
(1) Karlheinz Deschener – Storia criminale del Cristianesimo – Ariele 2000-2010
(2) Karlheinz Deschener – Il gallo cantò ancora. Storia critica della Chiesa – Massari 1998
(3) Pepe Rodriguez – Verità e menzogne della Chiesa cattolica – Editori Riuniti 1999 [un commento all’edizione italiana di questo libro è d’obbligo. Il titolo spagnolo è Las mentiras de la Iglesia catolica. Anche chi non conosce lo spagnolo può osservare che si parla delle menzogne della Chiesa e in nessun lato si parla di verità. L’ipocrisia ed il servilismo regnanti in questo Paese hanno dovuto cambiare financo il titolo di un libro].
(4) Claudio Rendina – I Papi, storia e segreti – Newton Compton 1999
(5) Ferdinand Gregorovius . Storia di Roma nel Medio Evo – Avanzini e Torraca, Roma 1967
I SOMMI PONTEFICI ROMANI
SECONDO LA CRONOTASSI DEL
«LIBER PONTIFICALIS» ■ E DELLE SUE
FONTI, CONTINUATA FINO AL
PRESENTE
(Tra parentesi quadra sono indicati gli antipapi)
1. — S. Pietro di Bethsaida in Galilea, 42 — 67.
2. — S. Lino, della Tuscia, 68 — 79.
3. — S. Anacleto o Cleto, Romano, 80 — 92.
4. — S. Clemente, Romano, 92 – 99 (o 68 — 76).
5. — S. Evaristo, Greco, 99 o 96 — 108.
6. — S. Alessandro I, Romano, 108 o 109 — 116 o 119.
7. — S. Sisto I, Romano, 117 o 119 — 126 o 128.
8. — S. Telesforo, Greco, 127 o 128 — 137 o 138.
9. — S. Igino, Greco, 138 — 142 o 149.
10. — S. Pio I, di Aquileia, 142 o 146 — 157 o 161.
11. — S. Aniceto, di Emesa (Siria), 150 o 157 — 153 o 168.
12. — S. Sotero, di Fondi (Campania), 162 o 168 – 170 o 177.
13. — S. Eleuterio, di Nicopoli (Epiro), 171 o 177 – 185 o 193.
14. — S. Vittore I, Africano, 186 o 189 — 197 o 200
15. — S. Zefirino, Romano, 198 — 217 o 218.
16. — S. Callisto I, Romano, 218 — 222.
[S. Ippolito, Romano, 217 — 235].
17.— S. Urbano I, Romano, 222 — 230.
18. — S. Ponziano, Romano, 21.VII.230 — 28.IX.235.
19. — S. Antero, Greco, 21.XI.235 — 3.I.236.
20. — S. Fabiano, Romano,… 236 — 20.I.250.
21. — S. Cornelio, Romano, 6 o 13.III.251 — … VI.253.
[Novaziano, Romano, 251].
22. — S. Lucio I, Romano,… VI o VII.253 — 5.III.254.
23. — S. Stefano I, Romano, 12.III.254 — 2.VIII.257.
24. — S. Sisto II, Greco, 30.VIII.257 — 6.VIII.258.
25. — S. Dionisio, di patria ignota, 22.VII.259 — 26.XII.268.
26. — S. Felice I, Romano, 5.I.269 — 30.XII.274.
27. — S. Eutichiano, di Luni, 4.1.275 — 7.XII.283.
28. — S. Caio, Dalmata, 17.XII.283 — 22.IV.296.
29. — S. Marcellino, Romano, 30.VI.296 — 25.X.304.
30. — S. Marcello I, Romano, 306 — 16.I.309.
31. — S. Eusebio, Greco, 18.IV.309 — 17.VIII.309.
32. — S. Milziade o Melchiade, Africano, 2.VII.311 — 0.I.314.
33. — S. Silvestro I, Romano, 31.I.314 — 31.XII.335.
34. — S. Marco, Romano, 18.I.336 — 7.X.336.
35. — S. Giulio I, Romano, 6.II.337 — 12.IV.352.
36. — Liberio, Romano, 17.V.352 — 24.IX.366.
[Felice II, Romano, … 355 — 22.XI.365].
37. — S. Damaso I, Romano, 1.X.366 — 11.XII.384.
[Ursino, 24.IX.366 —… 367].
38. — S. Siricio, Romano, 15 o 22 o 29.XII.384 — 26.XI.399.
39. — S. Anastasio I, Romano, 27.XI.399 — 19.XII.401.
40. — S. Innocenzo I, di Albano, 22.XII.401 — 12.III.417.
41. — S. Zosimo, Greco, 18.III.417 — 26.XII.418.
42. — S. Bonifacio I, Romano, 28, 29.XII.418 — 4.IX.422.
[Eulalio, 27, 29.XII.418 — 3.IV.419].
43. —- S. Celestino I, della Campania, 10.IX.422 — 27.VII.432.
44. — S. Sisto III, Romano, 31.VII.432 — 19.VIII.440.
45. — S. Leone I, il Grande (Magno), della Tuscia, 29.IX.440 — 10.XI.461.
46. — S. Ilaro, Sardo, 19.XI.461 — 29.II.468.
47. — S. Simplicio, di Tivoli, 3.III.468 — 10.III.483.
48. — S. Felice III (II), Romano, 13.III.483 — 25.II o 1.III.492.
49. — S. Gelasio I, Africano, 1.III.492 — 21.XI.496.
50. — Anastasio II, Romano, 24.XI.496 — 19.XI.498.
51. — S. Simmaco, Sardo, 22.XI.498 — 19.VII.514.
[Lorenzo, 22.xi.498 —… 499…. 502 —… 506].
52. — S. Ormisda, di Fresinone, 20.VII.514 — 6.VIII.523.
53. — S. Giovanni I, della Tuscia, Martire, 13.VIII.523 — 18.V.526.
54. — S. Felice IV (III), del Sannio, 12.VII.526 — 20 o 22.IX.530.
55. — Bonifacio II, Romano, 20 o 22.IX.530 — 17.X.532.
[Dioscoro, di Alessandria, 20 o 22.IX.530 — 14.X.530].
56. — Giovanni II, Romano, Mercurio, 31.XII.532, 2.1.533 — 8.V.535.
57. — S. Agapito I, Romano, 13.V.535 — 22.IV.536.
58. — S. Silverio, di Frosinone, Martire, 8.VI.536 — … 537
59. — Vigilio, Romano, 29.III.537 — 7.VI.555.
60. — Pelagio I, Romano, 16.IV.556 — 4.III.561.
61. — Giovanni III, Romano, Catalino, 17.VII.561 — 13.VII.574.
62. — Benedetto I, Romano, 2.VI.575 — 30.VII.579.
63. — Pelagio II, Romano, 26.XI.579 — 7.II.590.
64. — S. Gregorio I, il Grande (Magno), Romano, 3.IX.590— 12.III.604.
65. — Sabiniano, di Blera nella Tuscia, … III, 13.IX.604 — 22.II.606.
66. — Bonifacio III, Romano, 19.II.607 — 10.XI.607.
67. — S. Bonifacio IV, del territorio dei Marsi, 25.VIII.608 — 8.V.615.
68. — S. Deusdedit o Adeodato I, Romano, 19.X.615 — 8.XI.618.
69. — Bonifacio V, di Napoli, 23.XII.619 — 23.X.625.
70. — Onorio I, della Campania, 27.X.625 — 12.X.638.
71. — Severino, Romano, … X.638, 28.V.640 — 2.VIII.640.
72. — Giovanni IV, Dalmata,… VIII, 24.XII.640 — 12.X.642.
73. — Teodoro I, di Gerusalemme, 12.X, 24.XI.642 — 14.V.649.
74. — S. Martino I, di Todi, Martire, 5.VII.649 — 16.IX.655.
75. — S. Eugenio I, Romano , 10.VIII.654 — 2.VI.657.
76. — S. Vitaliano, di Segni, 30.VII.657 — 27.I.672.
77. — Adeodato II, Romano, 11.IV.672 — 16.VI.676.
78. — Dono, Romano, 2.XI.676 — 11.IV.678.
79. — S. Agatone, Siciliano, 27.VI.678 — 10.I.681.
80. — S. Leone II, Siciliano, … I.681, 17.VIII.682 — 3.VII.683.
81. — S. Benedetto II, Romano, 26.VI.684 — 8.V.685.
82. — Giovanni V, Siro, 23.VII.685 — 2.VIII.686.
83. — Conone, di patria ignota, 23.X.686 — 21.IX.687.
[Teodoro, … 687].
[Pasquale, … 687].
84. — S. Sergio I, Siro, 15.XII.687 — 7.IX.701.
85. — Giovanni VI, Greco, 30.X.701 — 11.I.705.
86. — Giovanni VII, Greco, 1.III.705 — 18.X.707.
87. — Sisinnio, Siro, 15.1.708 — 4.II.708.
88. — Costantino, Siro, 25.III.708 — 9.IV.715.
89. — S. Gregorio II, Romano, 19.V.715 — 11.II.731.
90. — S. Gregorio III, Siro, 18.III.731 — 28.XI.741.
91. — S. Zaccaria, Greco, 3.XII.741 — 15.III.752.
92. — Stefano II (III), Romano, 26.III.752 — 26.IV.757.
93. — S. Paolo I, Romano, … IV, 29.V.757 — 28.VI.767.
[Costantino, di Nepi, 28.VI, 5.VII.767 — 30.VII.768]
[Filippo, 31.VII.768 ].
94. — Stefano III (IV), Siciliano, 1, 7.VIII.768 — 4.I.772.
95. — Adriano I, Romano, 1, 9.II.772 — 25.XII.795.
96. — S. Leone III, Romano, 26, 27.XII.795 — 12.VI.816.
97. — Stefano IV (V), Romano, 22.VI.816 — 24.I.817.
98. — S. Pasquale I, Romano, 25.I.817 —… II.V.824.
99. — Eugenio II, Romano, … 11.V.824 — VIII.827.
100. — Valentino, Romano,… VIII.827 —… IX.827.
101. — Gregorio IV, Romano, … IX.827, 29.III.828 — 25.I.844.
[Giovanni, 25.I.844].
102. — Sergio II, Romano, 25.I.844 — 27.I.847.
103. — S. Leone IV, Romano, … I, 10.IV.847 — 17.VII.855.
104. — Benedetto III, Romano,… VII, 29.IX.855 — 17.IV.858.
[Anastasio, il Bibliotecario, 21 —24.IX.855. † c. 878].
105. — S. Niccolo I, il Grande, Romano, 24.IV.858 — 13.XI.867.
106. — Adriano II, Romano, 14.XII.867 — … XI o XII.872.
107. — Giovanni VIII, Romano, 14.XII.872 — 16.XII.882.
108. — Marino I, di Gallese, … XII. 882 — 15.V.884.
109. — S. Adriano III, Romano, 17.V.884— … VIII o IX.885 (ne fu confermato il culto 2.VI.1891).
110. — Stefano V (VI), Romano,… IX.885 — 14.IX.891.
111. — Formoso, Vescovo di Porto, 6.X.891 — 4.IV.896.
112. — Bonifacio VI, Romano, 11.IV.896 — 26.IV.896.
113. — Stefano VI (VII), Romano,… V o VI.896 — … VII o VIII. 897.
114. — Romano, di Gallese,… VII o VIII. 897 — … XI.897.
115. — Teodoro II, Romano,… XII.897 — … XII.897 o I.898.
116. — Giovanni IX, di Tivoli,… XII.897 o I.898 — … 1.V.900.
117. — Benedetto IV, Romano,… 1-V.900 —… VII.903.
118. — Leone V, di Ardea,… VII.903 — … IX.903.
[Cristoforo, Romano, … IX.903 — … I.904].
119. — Sergio III, Romano, 29.I.904 — 14.IV.911.
120. — Anastasio III, Romano,… VI o IX.911 —… VI o VIII o X.913.
121. — Landone, della Sabina,… VII o XI.913 — … III.914.
122. — Giovanni X, di Tossignano (Imola),… III o V.914 —… V o VI.928.
123. — Leone VI, Romano, … V o VI.928 — … XII.928 o I.929.
124. — Stefano VII (VIII), Romano,… I.929 — … II.931.
125. — Giovanni XI, Romano, … III.931 — … I.936.
126. — Leone VII, Romano,… I.936 — 13.VII.939.
127. — Stefano VIII (IX), Romano, 14.VII.939 — … X.942.
128. — Marino II, Romano, 30.X,… XI.942 —… V.946.
129. — Agapito II, Romano, 10.V.946 — … XII.955.
130. — Giovanni XII, Ottaviano, dei conti di Tuscolo, 16.XII.955 — 14.V.964.
131. — Leone VIII, Romano, 4, 6.XII.963 — … III.965.
132. — Benedetto V, Romano,… V.964 — 4.VII.964 o 965.
133. — Giovanni XIII, Romano, 1.X.965 – 6.IX.972.
134. — Benedetto VI, Romano,… XII.972, 19.I.973 — … VII.974.
[Bonifacio VII, Romano, Francone, … VI. — … VII.974; poi … VIII.984 —20.VII.985].
135. — Benedetto VII, Romano,… X.974 — 10.VII.983.
136. — Giovanni XIV, di Pavia, Pietro,… XI o XII.983 — 20.VIII.984.
137. — Giovanni XV, Romano,… VIII.985 —… III.996.
138. — Gregorio V, della Sassonia, Brunone dei due duchi di Corinzia, 3.V.996 — … II o III.999.
[Giovanni XVI, di Rossano, Giovanni Filagato,… II o III.997 —… V.998].
139. — Silvestro II, dell’Aquitania, Gerberto, 2.IV.999 — 12.V.1003.
140. — Giovanni XVII, Romano, Siccone, 16.V.1003 — 6.XI.1003.
141. — Giovanni XVIII, Romano, Fascino, 25.XII.1003 — … VI o VII. 1009.
142. — Sergio IV, Romano, Pietro, 31.VII.1009 — 12.V.1012.
143. — Benedetto VIII, Teofilatto dei conti di Tuscolo, 18.V.1012 — 9.IV.1024.
[Gregorio, … V. —… XII.1012].
144. — Giovanni XIX, Romano dei conti di Tuscolo, 19.IV.1024 — … 1032.
145. — Benedetto IX, Teofilatto dei conti di Tuscolo, … VIII o IX.1032 — … IX.1044.
146. — Silvestro III, Romano, Giovanni, 13 o 20.I.1045 — … III.1045.
147. — Benedetto IX (per la seconda volta), 10.III.1045 — 1.V.1045.
148. — Gregorio VI, Romano, Giovanni Graziano, 1.V.1045 — 20.XII.1046.
149. — Clemente II, della Sassonia, Suitgero dei signori di Morsleben von Horneburg, 24.XII.1046 — 9.X.1047.
150. — Benedetto IX (per la terza volta), … X.1047 — … VII.1048.
151. — Damaso II, del Tirolo, Poppone, 17.VII.1048 — 9.VIII. 1048.
152. — S. Leone IX, Alsaziano, Brunone dei conti di Egisheim, 2,12.11.1049 —19.IV. 1054.
153. — Vittore II, Svevo, Gebeardo dei conti di Dollnstein-Hirschberg, 13.IV.1055 — 28.VII.1057.
154. — Stefano IX (X), Lorenese, Federico dei duchi di Lorena, 2,3.VIII.1057 — 29.III.1058.
[Benedetto X, Romano, Giovanni, 5.IV.1058 — … I.1059. †— ?]
155. — Niccolo II, della Borgogna, Gerardo, … XII.1058, 24.I.1059 — 27.VII.1061.
156. — Alessandro II, di Baggio (Milano), Anselmo, 30.IX, 1.X.1061 — 21.IV.1073.
[Onorio II, del Veronese, Cadalo, 28.X.1061 — 31.V.1064. † 1071 o 1072].
157. — S. Gregorio VII, della Tuscia, Ildebrando, 22.IV, 30.VI.1073 — 25.V.1085.
[Clemente III, di Parma, Wiberto, 25.VI.1080, 24.III.1084—8.IX.1100].
158. — B. Vittore III, di Benevento, Dauferio (Desiderio), 24.V.1086, 9.V.1087 —16.IX.1087 (ne fu confermato il culto 23.VII.1887).
159. — B. Urbano II, di Chàtillon-sur-Marne, Oddone di Lagery, 12.III.1088 — 29. VII.1099 (ne fu confermato il culto 14.VII.1881).
160. — Pasquale II, di Bleda o Galeata (Ravennate), Raniero, 13,14.VIII.1099 — 21.I.1118.
[Teoderico, Vescovo di Albano, … 1100. † 1102].
[Alberto, Vescovo di Sabina,… 1101].
[Silvestro IV, Romano, Maginulfo, 18.XI.1105 — 12 o 13.IV.1111].
161. — Gelasio II, di Gaeta, Giovanni Caetani, 24.I, 10.III.1118 — 28.I.1119.
[Gregorio VIII, Francese, Maurizio Burdino, 10.III.1118—22.IV.1121. †… ?].
162. — Callisto II, Guido di Borgogna, 2, 9.II.1119 — 13 o 14.XII.1124.
163. — Onorio II, di Fiagnano (Imola), Lamberto Scannabecchi, 15, 21.XII.1124 — 13 o 14.II.1130.
[Celestino II, Romano, Tebaldo Buccapecus, … XII.1124].
164. — Innocenzo II, Romano, Gregorio Papareschi, 14, 23.II.1130 — 24.IX.1143.
[Anacleto II, Romano, Pietro Pierleoni, 14, 23.II.1130 — 25.I.1138].
[Vittore IV, di Ceccano, Gregorio, … III.1138 — 29.V.1138. †— ?]
165. — Celestino II, di Città di Castello, Guido, 26.IX, 3.X.1143 — 8.III.1144.
166. — Lucio II, Bolognese, Gerardo, 12.III.1144 — 15.II.1145.
167. — B. Eugenio III, di Pisa, Bernardo, 15, 18.II.1145 — 8.VII.1153 (ne fu confermato il culto 3.X.1872).
168. — Anastasio IV, Romano, Corrado, 12.VII.1153—3.XII.1154.
169. — Adriano IV, di Abbot’s Langley Hertfordshire), Nicola Breakspear, 4, 5.XII.1154 — 1.IX. 1159.
170. — Alessandro III, di Siena, Rolando Bandinelli 7, 20.IX.1159 — 30.VIII.1181.
[Vittore IV, Ottaviano dei signori di Monticela (Tivoli), 7.IX, 4.X.1159 — 20.IV.1164].
[Pasquale III, Guido di Crema, 22, 26.IV.1164 — 20.IX. 1168].
[Callisto III, Giovanni abate di Strumi (Arezzo), … IX.1168 — 29.VIII.1178]
[Innocenzo III, di Sezze, Landò, 29.IX.1179 — … 1.1180].
171. — Lucio III, Lucchese, Ubaldo Allucingoli, 1. 6.IX.1181 — 25.XI.1185.
172. — Urbano III, Milanese, Uberto Crivelli, 25.XI, 1.XII.1185 — 20. X.1187.
173. — Gregorio VIII, di Benevento, Alberto di Morra, 21. 25.X.1187— 17.XII.1187.
174. — Clemente III, Romano, Paolo Scolari, 19, 20.XII.1187 — … III. 1191.
175. — Celestino III, Romano, Giacinto Bobone, 10, 14.IV.1191 — 8.I.1198.
176. — Innocenzo III, di Gavignano (Roma), Lotario dei conti di Segni, 8.1,22.II.1198 — 16.VII.1216.
177. — Onorio III, Romano, Cencio, 18, 24.VII.1216 — 18.III. 1227.
178. — Gregorio IX, di Anagni, Ugolino dei conti di Segni, 19, 21.III.1227 — 22.VIII.1241.
179. — Celestino IV, Milanese, Goffredo da Castiglione, 25, 28.X.1241 — 10.XI.1241.
180. — Innocenzo IV, di Lavagna (Genova), Sinibaldo Fieschi, 25, 28.VI.1243 — 7.XII.I254.
181. — Alessandro IV, di Ienne (Roma), Rinaldo dei signori di Ienne, 12, 20.XII.1254 — 25.V.1261.
182. — Urbano IV, di Troyes, Giacomo Pantaléon, 29.VIII, 4.IX.1261 — 2.X.1264.
183. — Clemente IV, di Saint-Gilles (Francia meridionale), Guido Foucois, 5, 22.II.1265 — 29.XI. 1268.
184. — B. Gregorio X, di Piacenza, Tedaldo Visconti, 1.IX.1271,27.III.1272 — 10.I.1276 (ne fu confermato il culto 12.IX.1713).
185. — B. Innocenzo V, della Savoia, Pietro di Tarentaise, 21.I, 22.II.1276 — 22.VI.1276 (ne fu confermato il culto 14.III.1898).
186. — Adrìano V, Genovese, Ottobono Fieschi, 11.VII.1276 — 18.VIII.1276.
187. — Giovanni XXI, di Lisbona, Pietro di Giuliano o Pietro Ispano, 16,20.IX.1276 — 20.V.1277.
188. — Niccolo III, Romano, Giovanni Gaetano Orsini, 25.XI, 26.XII.1277 — 22. VIII. 1280.
189. — Martino IV, Francese, Simone de Brie o di Brion o di Mainpincien, 22.II, 23.III.1281 — 29.III.1285.
190. — Onorio IV, Romano, Giacomo Savelli, 2.IV, 20.V. 1285 — 3.IV. 1287.
191. — Niccolo IV, di Lisciano (Ascoli Piceno), Girolamo, 22.II.1288 — 4.IV.1292.
192. — S. Celestino V, del Molise, Pietro del Morrone, 5.VII, 29.VIII.1294 — 13.XII.1294. † 19.V.1296 (fu canonizzato 5.V.1313).
193. — Bonifacio VIII, di Anagni, Benedetto Caetani, 24.XII.1294, 23.I.1295 — 11.X.1303.
194. — B. Benedetto XI, di Treviso, Niccolo di Boccasio, 22, 27.X.1303 — 7.VII.1304 (ne fu confermato il culto 24.IV.1736).
195. — Clemente V, di Villandraut (Gironde), Bertrando de Got, 5.VI, 14.XI.1305 — 20.IV.1314.
196. — Giovanni XXII, di Cahors, Giacomo Duèse, 7.VIII, 5.IX.1316 — 4.XII.1334.
[Niccolo V, di Corvaro (Rieti), Pietro Rinalducci o Rainalducci, I2,22.V.I328—25.VIII.I33O. † 16.X.1333].
197. — Benedetto XII, di Saverdun (Francia meridionale), Giacomo Fournier, 20.XII.1334, 8.1. 1335 — 25.IV.1342.
198. — Clemente VI, di Maumont (Limosino), Pietro Roger, 7, 19.V.1342 — 6.XII.1352.
199. — Innocenzo VI, di Monts (Limosino) Stefano Aubert, 18, 30.XII.1352 — 12. IX.1362.
200. — B. Urbano V, di Grizac (Francia meridionale),Guglielmo Grimoard, 28.IX, 6.XI. 1362 — 19.XII.1370 (ne fu confermato il culto 10.III.1870).
201. — Gregorio XI, di Rosiers d’Égletons (Limosino) Pietro Roger de Beaufort, 30.XII.1370, 3.I.1371 — 26.III.1378.
202. — Urbano VI, di Napoli, Bartolomeo Prignano, 8,18.IV.1378 — 15.X.1389.
203. — Bonifacio IX, di Napoli, Pietro Tomacelli, 2, 9.XI.1389 — 1.X. 1404.
204. — Innocenzo VII, di Sulmona, Cosma Migliorati, 17.X, 11.XI.1404 — 6.XI.1406.
205. — Gregorio XII, Veneziano, Angelo Correr, 30.XI, 19.XII.1406 — 4.VII.1415.
[Clemente VII, di Ginevra, Roberto dei conti del Genevois, 20.IX, 31.X.1378 —16.IX.1394].
[Benedetto XIII, di Illueca (Aragona), Pietro Martinez de Luna, 28.IX, 11.X.1394 — 29.XI.1422 o 23.V.1423]
[Alessandro V, di Kare (Creta), Pietro Filargis, 26.VI, 7.VII.1409 — 3.V.1410].
[Giovanni XXIII, di Napoli, Baldassarre Cossa, 17, 25.V.1410 — 29.V.1415]
206. — Martino V, di Genazzano, Oddone Colonna, 11, 21.XI.1417 — 20.II. 1431.
207. — Eugenio IV, Veneziano, Gabriele Condulmer, 3, 11.III.1431 — 23.II.1447.
[Felice V, di Chambéry, Amedeo VIII duca di Savoia, 5.XI.I439, 24.VII.1440 — 7.IV.1449]
208. — Niccolo V, di Sarzana, Tommaso Parentucelli, 6, 19.III.1447 — 24.III. 1455.
209. — Callisto III, di Torre del Canals presso Jàtiva (Valencia), Alonso Borja, 8,20.IV. 1455 — 6. VIII. 1458.
210. — Pio II, di Corsignano (Siena), Enea Silvio Piccolomini, 19.VIII, 3.IX.1458 —14. VIII. 1464.
211. — Paolo II, Veneziano, Pietro Barbo, 30.VIII, 16.IX.1464 — 26.VII. 1471.
212. — Sisto IV, di Celle (Savona), Francesco della Rovere, 1,9, 25.VIII.1471 — 12. VIII. 1484.
213. — Innocenzo VIII, Genovese, Giovanni Battista Cibo, 29.VIII, 12.IX.1484 — 25.VII.1492.
214. — Alessandro VI, di Jàtiva (Valencia), Rodrigo de Borja, 11, 26. VIII.1492 — 18.VIII.1503.
215. — Pio III, di Siena, Francesco Todeschini-Piccolomini, 22.IX, 1, 8.X.1503 —18.X.1503.
216. — Giulio II, di Albisola (Savona), Giuliano della Rovere, 1, 26.XI.1503 — 21.II.1513.
217. — Leone X, Fiorentino, Giovanni de’ Medici, 11, 19.III.1513 — 1.XII.1521.
218. — Adriano VI, di Utrecht, Adriano Florensz, 9.I, 31.VIII.1522 — 14.IX.1523.
219. — Clemente VII, Fiorentino, Giulio de’ Medici, 19, 26.XI.1523 — 25.IX.1534.
220. — Paolo III, di Canino (Viterbo), Alessandro Farnese, 13.X, 3.XI.1534 — 10. XI.1549.
221. — Giulio III, Romano, Giovanni Maria Ciocchi del Monte, 7, 22.II.1550 — 23.III.1555.
222. — Marcello II, di Montefano (Macerata), Marcello Cervini, 9, 10.IV. 1555 — 1.V.1555.
223. — Paolo IV, di Capriglia (Avellino), Gian Pietro Carafa, 23, 26.V.1555 — 18.VIII.I559.
224. — Pio IV, Milanese, Giovan Angelo Medici, 26.XII.1559, 6.1. 1560 — 9.XII.1565.
225. — S. Pio V, di Bosco (Alessandria), Antonio (Michele) Ghislieri, 7, 17.I.1566 —1.V.1572 (fu beatificato 1.V.1672, canonizzato 22.V.1712).
226. — Gregorio XIII, Bolognese, Ugo Boncompagni, 13, 25.V.1572 — 10.IV.1585.
227. — Sisto V, di Grottammare (Ascoli Piceno), Felice Peretti, 24.IV, 1.V.1585 — 27. VIII. 1590.
228. — Urbano VII, Romano, Giambattista Castagna, 15.IX.1590 — 27.IX.1590.
229. — Gregorio XIV, di Somma Lombarda, Niccolo Sfondrati, 5, 8.XII.1590 — 16.X.1591.
230. — Innocenzo IX, Bolognese, Giovan Antonio Facchinetti, 29.X, 3.XI.1591 — 30.XII.1591.
231. — Clemente VIII, di Fano, Ippolito Aldobrandini, 30.I, 9.II.1592 — 3.III. 1605.
232. — Leone XI, Fiorentino, Alessandro de’ Medici, 1, 10.IV.1605 — 27.IV.1605.
233. — Paolo V, Romano, Camillo Borghese, 16, 29.V.1605 — 28.I.1621.
234. — Gregorio XV, Bolognese, Alessandro Ludovisi, 9, 14.II.1621 — 8.VII.1623.
235. — Urbano VIII, Fiorentino, Maffeo Barberinì, 6.VIII, 29.IX.1623 — 29.VII.1644.
236. — Innocenzo X, Romano, Giovanni Battista Pamphilj, 15.IX, 4.X.1644 — 7.I.I655.
237. — Alessandro VII, di Siena, Fabio Chigi, 7, 18.IV. 1655 — 22.V. 1667.
238. — Clemente IX, di Pistoia, Giulio Rospigliosi, 20, 26.VI.1667 — 9.XII.1669.
239. — Clemente X, Romano, Emilio Altieri, 29.IV, 11.V.1670 — 22. VII.1676.
240. — B. Innocenzo XI, di Como, Benedetto Odescalchi, 21.IX, 4.X.1676 —12.VIII.t689 (fu beatificato 7.X.1956).
241. — Alessandro VIII, Veneziano, Pietro Ottoboni, 6,16.X.1689 — 1.II.1691.
242. — Innocenzo XII, di Spinazzola, Antonio Pignatelli, 12,15.VII.1691 — 27.IX.1700.
243. — Clemente XI, di Urbino, Giovanni Francesco Albani, 23, 30.XI, 8.XII.1700 — 19.III.1721.
244. — Innocenzo XIII, di Poli, Michelangelo Conti, 8,18.V.1721 — 7.III.1724.
245. — Benedetto XIII, di Gravina, Pietro Francesco (Vincenzo Maria) Orsini, 29.V, 4.VI.1724 — 21.II.1730.
246. — Clemente XII, Fiorentino, Lorenzo Corsini, 12, 16.VII.1730 — 6.II.1740.
247. — Benedetto XIV, Bolognese, Prospero Lambertini, 17, 22.VIII.1740 — 3.V.1758.
248. — Clemente XIII, Veneziano, Carlo Rezzonico, 6,16.VII.1758 — 2.II.1769.
249. — Clemente XIV, di Sant’Arcangelo di Romagna, Giovanni Vincenzo Antonio (Lorenzo) Ganganelli, 19, 28.V, 4.VI. 1769 — 22.IX. 1774.
250. — Pio VI, di Cesena, Giannangelo Bruschi, 15, 22.II. 1775 — 29.VIII.1799.
251. — Pio VII, di Cesena, Barnaba (Gregorio) Chiaramonti, 14, 21.III.1800 — 20.VIII.1823.
252. — Leone XII, di Monticelli di Genga (Fabriano), Annibale della Genga, 28.IX, 5.X.1823 — 10.II.1829.
253. — Pio VIII, di Cingoli, Francesco Saverio Castiglioni, 31.IlI, 5.IV.1829 — 30.XI.1830.
254. — Gregorio XVI, di Belluno, Bartolomeo Alberto (Mauro) Cappellari, 2, 6.II.1831 — 1.VI.1846.
255. — B. Pio IX, di Senigallia, Giovanni Maria Mastai Ferretti, 16, 21.VI.1846 — 7.II.1878 (fu beatificato 3.IX.2000).
256. — Leone XIII, di Carpineto Romano, Vincenzo Gioacchino Pecci, 20.II, 3.III.1878 — 20.VII.1903.
257. — S. Pio X, di Riese (Treviso), Giuseppe Melchiorre Sarto, 4, 9.VIII.1903 — 20.VIII.1914 (fu beatificato 3.VI.1951, canonizzato 29.V.1954).
258. — Benedetto XV, Genovese, Giacomo della Chiesa, 3, 6.IX.1914 — 22.I.1922.
259. — Pio XI, di Desio (Milano), Achille Ratti, 6,12.II.1922 — 10.II. 1939.
260. — Pio XII, Romano, Eugenio Pacelli, 2,12.III.1939 — 9.X.1958.
261. — B. Giovanni XXIII, di Sotto il Monte (Bergamo), Angelo Giuseppe Roncalli, 28.X, 4.XI.1958 — 3.VI.1963 (fu beatificato 3.IX.2000).
262. — Paolo VI, di Concesio (Brescia), Giovanni Battista Montini, 21, 30.VI.1963 — 6.VIII.1978.
263. — Giovanni Paolo I, di Forno di Canale (Belluno), Albino Luciani, 26.VIII, 3.IX.1078 — 28.IX.1978.
264. — Giovanni Paolo II, di Wadowice (Kraków), Karol Wojtyla, 16, 22.X.1978 — 2.IV.2005.
265. — Benedetto XVI eletto il 19 aprile 2005.
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