I PAPI: LA VIA CRIMINALE A DIO. PARTE IV – DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AI GIORNI NOSTRI

Roberto Renzetti

Agosto 2010

I POVERI PIO VI E PIO VII NELLA RIVOLUZIONE

        Alla morte di Clemente XIV, nel 1774, vi fu ancora un conclave guerreggiato sullo sfondo della Rivoluzione Americana in atto in cui i cattolici erano al margine e sullo scenario di violente agitazioni in tutta Europa, ma principalmente in Francia, in cui la Chiesa, individuata come collaboratrice e sgabello del potere, era fortissimamente messa all’angolo.

        Nel conclave vi furono due fazioni che si combatterono senza esclusione di colpi, quella degli zelanti, cioè i tradizionalisti fanatici, ed i cortigiani, cioè coloro che dipendevano dalle varie corti dei Paesi cattolici europei e quindi tutti corrotti e fermamente contrari ai Gesuiti. Ma ormai la  squalifica ed il degrado della Chiesa erano tali che venne addirittura pubblicato un dramma satirico in 3 atti, Il conclave del 1774, che metteva alla berlina tutti i 44 cardinali. Tutti questi cardinali, in questo conclave come sempre, si apprestavano ad eleggere niente meno che il Vicario di Cristo in terra ! E davano del Signore un’immagine pessima, che neppure 44 anticristi messi insieme sarebbero riusciti a realizzare.

        Fu il cardinale Bernis che sciolse la situazione promuovendo uno zelante raccomandandolo a Luigi XVI (che era fortemente antigesuita e quindi temeva gli zelanti) come comunque  persona ragionevole e tranquilla. In questa forma la Francia accondiscese permettendo l’elezione del cardinale Giovanni Angelo Braschi che assunse il nome di Papa Pio VI (1775-1799). Si trattava di un esperto in finanze (le proprie come vedremo) che aveva l’ambizione dei fasti rinascimentali della Chiesa. E così iniziò a muoversi a partire dal Giubileo preparato dal predecessore ed ora arricchito di feste, banchetti sontuosi, giochi, corse di cavalli, luminarie e suoni. Fine quindi del costume penitenziale, l’Anno Santo era occasione di baldoria ! Egli stesso si offriva come spettacolo alla folla e, come dice Rendina, “nelle uscite ufficiali si faceva pettinare e impomatare, mettendo in mostra i piedi piccoli e aggraziati. Un vero e proprio Narciso. […] Appariva sotto molti aspetti un principe simile a quello sbeffeggiato dal Parini nel Giorno” (che a me ne ricorda un altro che saltella con una gonna corta da civettuolo e con scarpette rosse di morbida pelle fatte a mano da un disegnatore di gran moda).

        Non si preoccupò di arginare la corruzione della Curia e degli alti prelati, non si curò ella gestione della giustizia che colpiva sempre e solo la povera gente, non fece caso alla fame ed alla povertà della maggior parte della popolazione. Voleva ridare credibilità allo Stato Pontificio ma riuscì solo a dargli una verniciata esteriore con alcune opere pubbliche (tra cui un tentativo costosissimo di bonifica delle paludi pontine finito male, perché mal progettato. Dopo due soli raccolti le ex paludi furono di nuovo inondate da straripamenti vari). E questa verniciata costò un’enormità che fece crescere a dismisura il risentimento popolare(1).

        Naturalmente ridette vigore al nepotismo regalando, ad esempio, a suo nipote Luigi un palazzo che fece costruire appositamente tra Piazza Navona e Campo de’ Fiori, Palazzo Braschi, oggi sede del Museo di Roma (sembra che il palazzo sia stato pagato con gli unici due raccolti della bonifica fallita).

        Questo nepotista e giocherellone falso rinascimentale ebbe a che fare con vicende internazionali estremamente serie che avrebbero richiesto ben altre tempre per governarle. Dapprima vi fu la questione austriaca che nacque con Giuseppe II d’Asburgo-Lorena, che aveva ereditato il trono (dopo averlo condiviso dal 1765) da Maria Teresa nel 1780 e che aveva avuto un’educazione negli ideali dell’Illuminismo. A partire proprio dal 1780 Giuseppe II dette vita ad una riforma religiosa, che da lui prese il nome di giuseppinismo, tesa a ridimensionare il potere ecclesiastico nei territori dell’Impero asburgico.  Forte dell’influenza giansenista riconobbe la parità giuridica di culto di ogni religione (nel 1781 cessò ogni discriminazione verso protestanti ed ortodossi e fu permessa l’emancipazione degli ebrei), attuò riforme nell’ambito del potere temporale della Chiesa cattolica (comunque sempre protetta) nei suoi territori e, non sembri poco, introdusse nella legislazione il matrimonio civile con altre varie riforme del culto, delle festività, … . Sarebbe toccato allo Stato aprire o chiudere seminari, scuole cattoliche, nominare i professori, stabilire la politica del clero in quel Paese. Lo Stato si assumeva il compito di promuovere seminari statali in cui educare il clero con l’introduzione di insegnamenti positivi (storia, diritto, scrittura, patristica) ispirati dai benedettini contro il metodo e l’insegnamento della teologia speculativa della antica scolastica dei Gesuiti. Chiuse almeno 700 conventi (aprendo in sostituzione 700 parrocchie) e confiscò i beni delle istituzioni ecclesiastiche in perdita economica per distribuirne il ricavato ancora al clero attivo che risultò meglio soddisfatto, furono ridotti gli ordini religiosi tanto che in poco tempo si passò da 65000 a 27000 religiosi. La Chiesa locale, che perdeva ogni immunità, risultava sotto il controllo dell’autorità statale, ed anche economicamente dipendeva da essa. Si operò in modo da staccare le istituzioni ecclesiastiche locali all’influenza delle autorità di Roma ed ogni atto che provenisse da Roma doveva ottenere il placet governativo per diventare operativo. Fu una svolta clamorosa e radicale che ebbe enorme influenza non solo nell’Impero degli Asburgo ma in tutta Europa, iniziando da Pietro Leopoldo granduca di Toscana, fratello di Giuseppe, che operò riforme in qualche modo più radicali nel Granducato.

        Il Papa fu scosso particolarmente da queste unilaterali decisioni. Era preoccupatissimo  e protestò ma il ministro Kaunitz che si occupava delle riforme rispose olimpicamente che ogni riforma fatta non intaccava dogmi di fede risultando solo essere un affare interno sul quale vi era l’indebita ingerenza del Papa. Dopo questa risposta Pio VI decise di intraprendere un viaggio a Vienna (1782) per andare ad implorare Giuseppe II. Fu ricevuto con sommi onori ma non ottenne alcuna cosa. E non era che un pallido inizio delle disgrazie che si stavano per abbattere sulla Chiesa, nel 1789, ma con vari indizi in tal senso, scoppiava la Rivoluzione Francese che per la Chiesa dei gerarchi fu una specie di campana a morto.

        Prima di proseguire conviene dare una panoramica delle deliberazioni della Rivoluzione che riguardavano la Chiesa

CHIESA E RIVOLUZIONE FRANCESE

        Scrive Galavotti, che ha fatto uno studio approfondito su Chiesa e Rivoluzione Francese (vedi bibliografia), e dal quale ho praticamente tratto tutto il materiale per questo paragrafo:

Le prime avvisaglie di quella che di lì a poco sarebbe apparsa come la maggior sfida europea ai privilegi feudali, si ebbero con la pubblicazione dell’Encyclopédie (1751). Le forti accuse di Diderot, d’Alembert, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Holbach indirizzate al fanatismo, all’intolleranza, al dogmatismo, alla superstizione, al temporalismo dei papi, al clericalismo, ai principi di “autorità” e di “tradizione” nelle scienze, ecc., indussero il cattolicesimo conservatore, a partire dal 1770, a sferrare un attacco frontale contro questi philosophes ‘colpevoli’ di ateismo, miscredenza, empietà. N.S. Bergier [il teologo Nicolas-Sylvestre, ndr] venne ufficialmente incaricato dall’Assemblea del clero di Francia di aprire le ostilità. Non pochi tuttavia erano gli scettici nell’imminenza di questa battaglia. Fra le stesse file dell’alto clero il lusso e la corruzione erano così vasti e profondi che la maggioranza dei vescovi si sentiva quasi completamente estranea agli ideali della chiesa cattolica. S’incontravano persino figure inclini all’ateismo e favorevoli alle idee del “libero pensiero”, […]. Se dunque resistenza c’era ai nuovi orientamenti intellettuali e morali, i motivi vanno ricercati negli interessi di potere, che però fino all’Ottantanove non sembravano minacciati da forze sociali politicamente determinate: la maggioranza dei filosofi era filomonarchica, sebbene volta al riformismo giurisdizionalista.

Dal canto suo il basso clero, a causa delle forti discriminazioni di cui era oggetto, vedeva spesso di buon grado le critiche che il movimento filosofico progressista rivolgeva al sistema […]. Sull’atteggiamento di questi curati, la storiografia cattolica è sempre stata abbastanza severa: si è rimproverato loro un “eccessivo” rancore contro il lusso dell’alto clero, un desiderio d’indipendenza “troppo vivo” e addirittura uno spirito patriottico “superiore” a quello ecclesiastico […].

Essendo il primo degli ordini dello stato, il clero, che era il più grande proprietario del regno, fruiva di particolari privilegi: politici, giudiziari e fiscali ed il re assicurava le cariche religiose ai suoi cortigiani oppure ai figli cadetti dell’aristocrazia più facoltosa. I titolari, in sostanza, percepivano 1/3 delle rendite dei vescovadi o abbazie, risiedendo prevalentemente nei dintorni di Versailles, presso la corte regia, e delegando l’effettivo esercizio del ministero pastorale e amministrativo ad ecclesiastici stipendiati (nel 1764 a Parigi vivevano non meno di 40 vescovi!). Cosa di cui non ci deve meravigliare poiché, dipendendo la nomina dalla nascita o dalle relazioni, era impossibile che questi prelati avessero una buona formazione teologica o un vero interesse “etico-religioso” per i benefici ottenuti. Generalmente anzi, la loro condotta e i loro principi erano improntati alla mondanità e allo scetticismo dell’ambiente di corte. […]

I monasteri e i conventi erano ricchissimi: frati e monaci, in genere, oziavano con buone rendite e grandi proprietà. Ad eccezione di quelli che si dedicavano all’insegnamento o all’assistenza medica, gli ordini religiosi venivano considerati socialmente inutili. Ignavia e rapacità le accuse principali al loro indirizzo, benché non manchino i monaci appassionati alle idee dei filosofi. Fallita la riforma del 1776, che aveva cercato di porre rimedio alla decadenza dei costumi e allo spopolamento dei conventi, due anni dopo si decise di chiuderne 426, sopprimendo 8 ordini religiosi. Tra il 1768 e l’89 la crisi delle vocazioni fu notevolissima. Ciononostante la chiesa continuava a proclamare l’eternità dei voti monastici e lo Stato ne sorvegliava l’adempimento: se i religiosi abbandonavano il convento, vi tornavano accompagnati dalla forza pubblica.

Tutto il clero era esente dai gravami di carattere municipale e da qualunque imposta fiscale regia, diretta e indiretta. I beni della chiesa non pagavano alcun diritto neppure nei trasferimenti di proprietà. Ogni quinquennio le assemblee generali di questo ordine votavano un contributo fiscale detto “donazione gratuita” da versare nelle casse dello Stato con rate annuali: si trattava, in sostanza, del 2% di tutti gli introiti, l’ entità effettiva dei quali però era sconosciuta al governo (da notare che la percentuale era stata decisa nel 1561 e da allora, malgrado l’esorbitante rialzo delle altre imposte, era rimasta immutata). Oltre a ciò il clero possedeva propri tribunali, da cui dipendevano non solo tutti gli ecclesiastici, ma anche i laici per cause riguardanti la religione (vedi ad es. la legislazione matrimoniale). Gli attentati alla fede, la bestemmia e il sacrilegio potevano essere puniti con la morte.

In questo contesto va però distinta la situazione del basso clero (curati, vicari e cappellani), che è escluso completamente dalla carriera episcopale e che trae il proprio sostentamento dalla modesta “congrua” (porzione della decima) e dai redditi, più o meno variabili, inerenti all’officiatura delle varie cerimonie religiose (il “casuale”). Il più delle volte i sacerdoti di campagna, reclutati fra la piccola borghesia rurale, vivono in condizioni più precarie rispetto ai loro colleghi di città, reclutati fra la media borghesia (assenti, fra i preti, persone di origine operaia o contadina, in quanto i candidati al sacerdozio dovevano dimostrare all’atto dell’ordinazione di avere una rendita patrimoniale). Numerosi sono i preti “clientelari”, che vanno in cerca di messe senza appartenere ad alcuna parrocchia e non pochi sono quelli che vivono di un modesto beneficio senza esercitare alcuna vera attività pastorale.

In campagna il clero rappresenta buona parte della cultura: tiene lo stato civile, registrando battesimi, matrimoni e decessi; simpatizza, senza esporsi troppo, per le idee dei filosofi, che vanno peraltro facendosi strada fra categorie sociali tendenti all’agnosticismo: borghesia rurale, funzionari locali, artigiani, vecchi soldati, bettolieri, ecc. Il prete è anche diffusore delle ordinanze reali, ausiliario della giustizia, banditore di vendite immobiliari. I beni della parrocchia sono il presbiterio, la scuola, il cimitero e tutti gli immobili lasciati in eredità da fedeli pii e timorosi. Qualunque forma di manutenzione dell’edificio adibito al culto è a carico dei parrocchiani. […]

Stante questa situazione non ci si deve stupire che dalle masse popolari la religione fosse vissuta con molto conformismo e poca convinzione. Non si trattava solo di vocazioni in forte calo, ma anche – come le più recenti indagini hanno messo in luce – di scarsa partecipazione nella pratica dei sacramenti e in particolare durante le festività pasquali, di forte diminuzione delle offerte per le messe a suffragio, di aumento delle nascite illegittime, di bassa tiratura dei libri a carattere religioso, ecc. Dopo il 1760 inizia anche la contraccezione, qui da segnalare più che altro per l’avversione ch’essa suscita ancora oggi nell’ambito di certo cattolicesimo. […]

E’ evidente quindi che la rivoluzione poteva essere avvertita come un dramma solo dall’alto clero. Viceversa, dal punto di vista delle masse, anche di quelle tradizionalmente religiose, la rivoluzione non poteva essere considerata che come un evento liberatorio, emancipativo, come una vera e propria catarsi. E il fatto che il basso clero sia stato subito appoggiato dai parlamentari sin dalle prime sedute degli Stati generali, è appunto indicativo di quale diversa sensibilità caratterizzasse i ceti sociali meno favoriti.

E’ assai banale quindi sostenere che la chiesa di Francia, se avesse voluto, avrebbe potuto riformarsi da sola, senza aspettare l’ondata rivoluzionaria della borghesia o sostenere addirittura … che la rivoluzione avrebbe potuto essere più “umana” se fosse stata più “cristiana” … La Chiesa, come era strutturata, non poteva fare alcunché di veramente innovativo. Essa, come la monarchia e soprattutto l’aristocrazia, rifletteva rapporti socio-economici che le impedivano qualunque rinnovamento democratico. Negli stessi cahiers de doléances, prodotti in vista degli Stati generali, appare in modo assai chiaro quanto fosse vasta e profonda la crisi della chiesa francese, e quanto fossero pesanti le accuse contro i privilegi e gli abusi del clero, contro le decime e la decadenza del monachesimo. Al massimo dunque essa avrebbe potuto rendere meno catastrofico il terremoto che la sconvolse, ma in nessun modo avrebbe potuto evitarlo. A certi livelli (si pensi al basso clero intellettuale) poteva anche affrettarne la venuta servendosi della stessa religione, ma non senza l’aiuto, in quel momento, della nuova classe emergente: la borghesia.

        Queste le premesse vi sono poi le azioni pratiche che videro impegnati rappresentanti del clero ma, attenzione, del basso clero, nelle vicende rivoluzionarie. Già negli Stati Generali, dopo che si era delineato il programma contrario alla nobiltà ed all’alto clero, il basso clero si schierò con chi sosteneva questo programma e cioè con la borghesia. Contro la lettura stupida, deformante e giustificazionista dei cattolici che ancora oggi parlano di un basso clero invidioso (sic!), vale la pena leggere alcuni degli oltre 60 mila cahiers de doléances presentati all’Assemblea. Si leggono con molta frequenza accuse circostanziate di questo tipo:

Di tutti gli abusi che esistono in Francia quello che maggiormente affligge il popolo e più fa disperare i poveri è l’immensa ricchezza, l’oziosità, le esenzioni, il lusso inaudito dell’alto clero. Queste ricchezze si sono in gran parte formate col sudore dei popoli, sui quali il clero percepisce un’orribile imposta che va sotto il nome di decima; essa assorbe ogni dieci anni a vantaggio di illustri fannulloni la totalità del reddito agricolo [annuale] del regno.

Ed ancora:

Le spese per le chiese, i presbiteri, i cimiteri sono a carico delle comunità, che tuttavia continuano a pagare per battesimi, matrimoni, sepolture, senza che la decima venga diminuita. I poveri non sono più soccorsi e pagano la decima. 

Ma anche su temi che investivano problematiche più generali:

Che tutti i preti si sposino. La tenerezza delle loro spose risveglierebbe nei loro cuori la sensibilità, la riconoscenza, la pietà – così naturali per l’uomo – che i voti di castità e di solitudine hanno spento in quasi tutti coloro che li hanno pronunciati.

        Si può con certezza dire che nel basso clero vi era una forte coscienza sociale che non investiva solo la propria condizione ma anche quella di un popolo affamato e disperato.

        Dopo la presa della Bastiglia, nel 1789, con la collaborazione dello stesso basso clero, furono presi dall’Assemblea provvedimenti fondamentali e rivoluzionari:

  1. l’abolizione di tutti i privilegi feudali (decime, annate, franchigie ecclesiastiche in materia d’imposte, diritti signorili, ecc.);
  2. la nazionalizzazione delle proprietà immobiliari della chiesa (terre, foreste, beni derivanti da fondazioni, ospedali, scuole ecc.);
  3. il sostentamento del clero da parte dello Stato per l’esercizio del ministero(2).

        Ancora nell’agosto del 1789 l’Assemblea votò uno dei Decreti più importanti, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino(3) che aveva anche il fondamentale articolo 10 riguardante la libertà di religione. Questo articolo richiese un Decreto esplicativo successivo (1790), evidentemente nato da pressioni di ogni tipo, nel quale si affermava l’impossibilità da parte dell’Assemblea di riconoscere la Chiesa cattolica come religione di Stato ed il suo culto come l’unico autorizzato anche se ci si rendeva conto che la cattolica era la religione più seguita. A parte questa contraddizione, che peserà sull’ambiguità secondo la quale uno Stato deve avere una religione o comunque non deve negarla e che si pensava di sistemare in futuro democratizzando la Chiesa, nei principi fondanti la Dichiarazione dei diritti dell’uomo non si fa più riferimento al Dio dei cristiani e, come ormai gli storici sostengono tutti: I principi del 1789 si presentano come un corpo di dottrina autosufficiente, che trae il proprio valore dall’evidenza razionale e non dalla rivelazione. Così l’umanità pone se stessa come suo proprio dio.  Occorre comunque essere chiari: la Rivoluzione non fu né anticristiana né antireligiosa ma solo anticlericale, contro quell’alto clero parassita e gaudente.

        Un primo tentativo di democratizzazione del clero avvenne mediante l’approvazione da parte dell’Assemblea della Costituzione civile del clero secondo la quale:

  1. si riorganizzava la distribuzione geografica delle diocesi e delle parrocchie, facendole coincidere con le nuove circoscrizioni amministrative (il loro numero ovviamente diminuiva di parecchio);
  2. si regolamentava il trattamento economico degli ecclesiastici, che diventano così funzionari stipendiati dallo Stato, tenuti a esercitare il ministero gratuitamente;
  3. infine si stabiliva il nuovo sistema di elezione popolare dei vescovi e dei sacerdoti, accogliendo le richieste del partito gallicano-giansenista di eleggere vescovi e parroci, rispettivamente, da assemblee dipartimentali e distrettuali, composte da cittadini attivi (inclusi ebrei e protestanti) che pagavano tasse pari a dieci giorni di lavoro. Poteva essere eletto vescovo solo chi avesse esercitato il ministero pastorale per quindici anni entro i confini della diocesi, parroco chi l’aveva svolto per almeno cinque anni.

        Il Papa aveva condannato tutto ciò ufficiosamente con “brevi” indirizzati al Re e ai prelati contro la Costituzione civile, in quanto sperava che la monarchia riprendesse le redini del paese o che fosse comunque una grande maggioranza del clero a chiedergli d’intervenire pubblicamente.  L’Assemblea, esasperata dalla resistenza che avvertiva da parte del clero più conservatore, pretese (sbagliando clamorosamente) l’applicazione per legge della Costituzione del clero, cui il Re, forzatamente, aveva dato il consenso. E siccome le proteste non mancarono, essa impose a tutti gli ecclesiastici funzionari un giuramento di fedeltà alla nazione, al Re e alla legge, pena l’interdizione dagli uffici o la privazione dello stipendio (nel senso cioè che quanti vi si fossero opposti sarebbero stati sostituiti e nel peggiore dei casi considerati dei sovversivi). Di fatto solo il 60% di coloro che avrebbero dovuto farlo giurò, con buone percentuali anche tra il basso clero. Lo scisma tuttavia era scoppiato e la guerra civile per motivi religiosi era alle porte. Ora i partiti cattolici su posizioni contrapposte erano due: quello costituzionale (o giurato) e quello refrattario. Quando si iniziò con le sostituzioni di coloro che non avevano giurato, il Papa intervenne con la condanna della Costituzione civile del clero. Prima di farlo, naturalmente, chiese ai vescovi refrattari di avanzare una formale richiesta d’intervento, affinché dimostrassero la loro subordinazione alla Santa sede. E così con il breve Caritas interdisse ai vescovi di nuova nomina l’esercizio del ministero e minacciò di scomunica tutti i preti costituzionali che non avessero ritrattato il giuramento entro 40 giorni. Poi con il breve Quod aliquantum attaccò direttamente la Costituzione del clero, facendo il punto sull’opinione della Chiesa ufficiale in merito a tutta l’esperienza rivoluzionaria francese.

        Il pontefice rifiutò praticamente tutto: la libertà di religione, l’uguaglianza degli uomini, l’abolizione della primazia e giurisdizione della Santa sede, il potere dei sinodi locali sui vescovi, lo stipendio statale per il clero, l’esproprio dei beni, la soppressione degli ordini e dei voti. Non accettò neppure il potere dell’Assemblea sui vescovi, asserendo che lo scopo della rivoluzione era quello di “annientare la religione cattolica e con essa l’obbedienza dovuta ai re”. Pio VI paragonò inoltre l’Assemblea ai ‘peggiori’ eretici e scismatici degli ultimi secoli e rivolse insistenti appelli alle potenze cattoliche europee, nonché a Caterina II di Russia e a Giorgio III d’Inghilterra, perché venissero in aiuto del Re francese contro i suoi stessi sudditi.

        Con la caduta di Luigi XVI, il 10 agosto 1792,  le cose cambiarono perché la Francia era minacciata da vari Paesi europei e, a questo punto, occorreva essere uniti per respingere ogni attacco esterno alla Rivoluzione. I refrattari iniziarono ad essere sospettati di collusioni con i nemici, soprattutto nelle zone di frontiera. Ed i sospetti si accrebbero dopo l’inizio della guerra con l’Austria e, a partire dal maggio 1792, l’Assemblea, che da Costituente era diventata Legislativa, autorizzò a deportare in Guyana ogni prete che non avesse giurato la Costituzione civile. Dopo il crollo della monarchia la repressione divenne fortissima e, come scrive Galavotti:

Il 16 agosto, la Comune insurrezionale di Parigi (l’organo che determinò, in ultima istanza, la deposizione del re) proibì le processioni e ogni esteriorità di culto. Il 18 vengono sciolte le congregazioni maschili e femminili socialmente utili, che la Costituente aveva risparmiato, e si rinnova al clero il divieto di portare l’abito talare al di fuori dell’esercizio ministeriale. Il 26 l’Assemblea dà 15 giorni di tempo ai refrattari per abbandonare la Francia, minacciandoli di deportazione. Danton sostiene la necessità di adottare il sistema delle “visite domiciliari” per requisire le armi e arrestare i traditori, preti o nobili che siano. Il 2 settembre, nel timore che i “traditori della patria” possano organizzare … una rivolta carceraria, approfittando della crisi generale della rivoluzione e in particolare della presenza prussiana a Verdun, vengono giustiziate circa 1.400 persone, fra cui più di 200 preti. Il 20 settembre la Convenzione, succeduta a un’Assemblea legislativa …, sancisce per le municipalità, dopo aver decretato la Repubblica, la laicizzazione dello stato civile e il divieto per i sacerdoti di tenere qualunque registro: battesimi, matrimoni e funerali religiosi non avrebbero più avuto alcun valore legale. Questa la prima vera tappa sulla via della separazione fra Stato e chiesa. Nello stesso giorno venne istituito il divorzio.

Per le esigenze della guerra si cominciarono a requisire le campane e le argenterie delle chiese anche ai preti costituzionali, i quali chiedendo di evitare una rigorosa applicazione della legge contro i refrattari e simpatizzando spesso per il federalismo, rischiavano di perdere le simpatie dei repubblicani. […]

Impossibilitati a ottenere con la forza dei decreti una chiesa fedele a uno Stato progressista, i costituenti cercavano ora di costringerla con la forza delle armi. 30.000 ecclesiastici scelsero la strada dell’emigrazione, soprattutto verso l’Inghilterra e gli stati pontifici, ove l’accoglienza era migliore, sebbene nei territori della chiesa venisse loro imposto un giuramento di obbedienza alle bolle papali contro giansenismo e gallicanesimo. […]

La Convenzione puntò tutte le sue carte sulla realizzazione del fine strategico e dimenticò i fini intermedi, quelli che si ottengono con la tattica. Quando poi si ha la pretesa di realizzare determinati obiettivi senza l’appoggio sicuro e concreto delle masse; quando la crisi economica invece di risolversi si acuisce, ecco che forze controrivoluzionarie (in questo caso i preti refrattari) possono facilmente sfruttare i sentimenti religiosi della gente meno cosciente e più marginale, indirizzandoli verso una protesta sociale e politica destabilizzante. Fu appunto questo il caso della rivolta in Vandea, dove – come disse il vescovo costituzionale Grégoire – “preti scellerati in nome del cielo predicano il massacro”.

Scoppiata nel marzo 1793, prendendo a pretesto il rifiuto della coscrizione obbligatoria per fronteggiare l’offensiva austro-prussiana, questa insurrezione, in cui vennero coinvolti popolani dalla mentalità rozza e primitiva ma con esigenze reali di democratizzazione, e che trovò un certo seguito in altre regioni occidentali della Francia, dimostrò assai chiaramente come provvedimenti giusti, privi di consenso popolare sufficientemente vasto, possono ben presto trasformarsi in azioni sbagliate e controproducenti. […]

Una settimana dopo lo scoppio di questa rivolta integralista e filomonarchica, il governo girondino aveva decretato che i refrattari rimasti in patria sarebbero stati giudicati da un tribunale militare e condannati a morte nel giro di 24 ore.[…]

La scristianizzazione fu determinata non solo dalle profonde radici anticlericali sottese alla politica religiosa che il governo rivoluzionario aveva manifestato sin dallo scisma della chiesa costituzionale, ma anche dal desiderio dei sanculotti di por fine una volta per sempre (con metodi senza dubbio discutibili ma temporaneamente efficaci) alle mire controrivoluzionarie dei refrattari e allo schieramento moderato di molti costituzionali favorevoli alla Gironda e al federalismo. […]

Se almeno su un aspetto borghesia rivoluzionaria e avanguardia popolare andavano d’accordo era senz’altro questo: la declericalizzazione della vita quotidiana. Forse anzi si può dire che buona parte dei rivoluzionari (incluso Robespierre) si illuse di poter risolvere i molti problemi sociali di quel tempo cercando una convergenza ideale fra borghesia e sanculotti sul terreno dell’anticlericalismo

La scristianizzazione vera e propria si affermò all’inizio nei dipartimenti, sotto la spinta di alcuni rappresentanti della Convenzione, mandati in missione speciale nelle province in rivolta, ma la Convenzione non fece nulla per impedirla o circoscriverla. […] Sulla base di una proposta di Robespierre la Convenzione decretò nuovamente il 6 dicembre 1793 la libertà dei culti, riservandosi il diritto di colpire “tutti coloro che tentassero di abusare del pretesto della religione per compromettere la causa della libertà”. Ma pochi giorni dopo essa affermò di non voler porre rimedio alle misure prese in precedenza, per cui la scristianizzazione continuerà almeno sino al 7 maggio 1794, allorché la Convenzione deciderà di adottare il culto dell’Essere Supremo. La libertà dei culti, questa volta, verrà affermata solennemente, con la riserva, legittima, che “ogni riunione contraria all’ordine pubblico sarà repressa”.

        Continuando oltre e riassumendo ancora Galavotti:

        Il 27 luglio del 1794 vi fu un colpo di stato controrivoluzionario (termidoriano). Robespierre e Saint Just furono condannati a morte senza processo. Era la fine della Rivoluzione. Eliminato il governo rivoluzionario, i termidoriani, che esprimevano gli interessi della borghesia più ricca, diedero inizio al terrore “bianco”, smantellando progressivamente molte leggi e istituzioni favorevoli al popolo. Sul piano religioso la Convenzione riuscì ad ottenere ciò che i governi precedenti non avevano mai osato rischiare: la completa laicizzazione dello Stato, ovvero l’effettiva uguaglianza di tutte le religioni. E così, poche settimane dopo la caduta di Robespierre, in numerosi punti della Francia si ricominciò a celebrare la messa, si riaprirono i vecchi oratori, si videro affluire nelle province di frontiera dei preti emigrati. Tuttavia in molte altre province e soprattutto a Parigi si continuava a ghigliottinare, benché le amministrazioni non mettessero più lo zelo di prima nell’applicare i provvedimenti di scristianizzazione.

        Paradossalmente, mentre al tempo della dittatura giacobina si negava la libertà di culto per difendere gli ideali rivoluzionari, ora invece i termidoriani concedono, seppur limitatamente, questa libertà, ma solo per difendere degli ideali reazionari. La borghesia infatti non voleva rinunciare alla propria ideologia anticlericale, né voleva perdere il suo potere politico sulla chiesa, ma allo stesso tempo non voleva lasciarsi coinvolgere in una guerra di religione; anzi, se possibile, voleva cercare di riguadagnarsi la fiducia del clero cattolico, da utilizzarsi, eventualmente, contro gli interessi sociali e materiali delle masse. Questa esigenza diventava tanto più forte quanto più cresceva l’opposizione popolare al nuovo regime.

        Furono i termidoriani che ereditarono i risultati dell’immenso lavoro del governo giacobino. La Convenzione termidoriana seppe anche impedire la restaurazione del feudalesimo e della monarchia. Promulgò una Costituzione assai conservatrice, ma imperniata sul rafforzamento delle istituzioni repubblicane. Sul piano dei rapporti fra Stato e chiesa faticava alquanto a farsi strada una separazione rigorosa, a livello ideologico, della politica dalla religione. Con la nuova Costituzione, entrata in vigore nel novembre 1795, il potere esecutivo passò nelle mani del Direttorio, permettendo alla borghesia piena libertà economica con la garanzia di enormi profitti ai ceti più agiati. Vi fu una forte ribellione popolare e la Congiura degli eguali, capeggiata da Babeuf, si pose come obiettivo fondamentale, per la prima volta nella storia della Francia, l’abolizione della proprietà privata. Il pericolo fu talmente grande che il Direttorio cercò sostegni politici a destra e a sinistra. Inevitabilmente mutò anche il suo rapporto nei confronti dei cattolici: in primo luogo con i refrattari, ai quali volle garantire l’abrogazione della legge sulla deportazione e promettere il ritorno ad un regime di piena libertà religiosa. L’uso strumentale della religione per fini controrivoluzionari era evidente. Lo stesso papato si piegava facilmente a tale necessità: lo testimonia il breve Sollicitudo (8 giugno 1796), con cui si esortavano i cattolici francesi a una docile sottomissione al governo. Ma altrettanto evidente era la debolezza del Direttorio, che alla fine del ’96 si vide costretto ad abrogare tutta la legislazione contro i preti refrattari e a realizzare un colpo di Stato militare (fruttidoro 1797). Tra i cattolici, i refrattari incitavano alla diserzione i figli dei loro seguaci, a non pagare le tasse, a cacciare i preti costituzionali, a disobbedire al giuramento di sottomissione alle leggi della repubblica. In materia di religione, i provvedimenti del nuovo Direttorio furono molto severi: ripristinata la legge sulla deportazione, si pretese da tutto il clero un giuramento di “odio alla monarchia”. Per diverse ragioni comunque il Direttorio aveva urgenza di giungere ad un accordo con la Santa sede. Approfittando delle vittorie di Napoleone in Italia, esso aveva chiesto a Pio VI di annullare tutti gli atti di condanna della politica ecclesiastica dei governi succedutisi dall’inizio della rivoluzione in poi. Ma il Papa non ne volle sapere. L’unico risultato raggiunto fu la pace di Tolentino nel febbraio 1797, in cui si regolarono solo gli aspetti territoriali e finanziari pendenti fra i due Stati. A ciò seguì la deportazione di Pio VI in Francia, dopo l’occupazione francese di Roma, e la morte di quest’ultimo il 29 agosto 1799. Una ulteriore e vera svolta si ebbe con un altro colpo di Stato militare, quello del 18 brumaio del 1799 di Napoleone Bonaparte che instaurò il passaggio dalla Repubblica all’Impero. Ma di questo parlerò oltre.

PIO VI, PIO VII, RIVOLUZIONE, NAPOLEONE

        Nel parlare di come la Rivoluzione Francese affrontò i problemi religiosi ed i rapporti con la Chiesa cattolica abbiamo accennato qua e là a Pio VI. Vediamo ora questa drammatica vicenda dal punto di vista della Chiesa di Roma.

        Dopo le vicende del giuseppinismo, ora, in Francia, venivano aboliti i privilegi del clero, nazionalizzati i beni della Chiesa, introdotta la libertà di culto, redatta una Costituzione del clero, riportati i vescovi ed i parroci ad un’elezione popolare, … e tutto ciò senza consultare minimamente il Papa. Tutto diventava un brutto incubo. Pio VI scrisse subito un breve di condanna delle leggi approvate dall’Assemblea Costituente che inviò a Parigi. Nel maggio del 1791 questo documento fu bruciato pubblicamente tra gli applausi dei rivoluzionari.

        Ma dalla Francia arrivano anche dei rivoluzionari a sollevare la piazza contro il Papa. Tra questi Nicolas Jean Hugon de Basseville italianizzato in Ugo di Basseville che, dal Regno delle due Sicilie in cui era ambasciatore della Repubblica, si recò a Roma nel 1792. Personaggio sgradevole non aveva nulla di diplomatico e fu totalmente irriverente verso ogni simbolo religioso (tra le altre sue emerite cafonate, bestemmiava ad alta voce nelle funzioni religiose e chiamava Pio VI Oca porpora del Campidoglio). Fece indignare tutti ed i romani, passati attraverso diverse rivolte poi finite con repressioni violente, non provarono simpatia per ilo personaggio tanto che aggredirono a sassate la sua carrozza, lo tirarono fuori tagliandogli la gola con un rasoio. Questo episodio comunque additò ai francesi Pio VI come nemico della Francia rivoluzionaria che meritava di essere punito (ci penserà Napoleone).

        Intanto Napoleone avanzava occupando gran parte d’Italia ed imponendo pesanti condizioni di pace: ritiro del breve di condanna della Costituzione del clero francese e pagamento di sanzioni per l’assassinio di Basseville. Il tutto si formalizzerà con la Pace di Tolentino del 19 febbraio 1797 in cui le condizioni furono ancora più pesanti perché molti territori della Chiesa passarono direttamente alla Francia con, sullo sfondo, il Direttorio che voleva eliminare lo Stato Pontificio.

        Nel dicembre del 1797 Napoleone incaricò il generale dell’ambasciata francese a Roma Mathurin-Léonard Duphot di creare una sollevazione popolare contro il governo della Chiesa. Mentre Duphot arringava la popolazione una pallottola di un soldato del Papa lo uccise (28 dicembre 1797). Era ilo pretesto cercato per l’invasione dello Stato Pontificio. Fu il generale Berthier che occupò la città senza incontrare resistenza. Il 15 febbraio 1798 Bethier, in nome del Direttorio, dichiarò decaduto il potere temporale di Pio VI e proclamò la Repubblica Romana sul modello di quella francese (e già che c’era depredò molte opere d’arte in Vaticano e nella città, subito spedite in Francia). Pio VI venne arrestato ed il 20 febbraio iniziò la sua deportazione in Francia (attraverso Siena, Firenze, Parma, ancora Siena, Torino, Briançon, Grenoble, Valence). A Valence era arrivato in lettiga ed in questa città morì il 28 marzo 1799.

        Intanto il 20 marzo, dopo una sommossa contro i francesi del 25 febbraio duramente repressa, fu promulgata la Costituzione della Repubblica che prevedeva l’elezione di un Tribunato e di un Senato (potere legislativo) che avrebbero eletto 5 Consoli (potere esecutivo). La cosa non destò entusiasmi per il rancore dei saccheggi e per le nuove tasse imposte dai francesi. Dopo diverse vicende che videro Ferdinando IV, Re di Napoli, invadere Roma per restaurare il papato e la sua immediata cacciata da parte francese, finalmente vi fu una nuova occupazione napoletana che pose fine alla Repubblica Romana il 30 settembre 1799.

        Ma a marzo era morto il Papa ed occorreva sostituirlo pur in questo clima rivoluzionario e molto incerto (sicuramente pericoloso per le gerarchie ecclesiastiche) che si viveva a Roma. I cardinali erano tutti fuggiti a Venezia dove godevano della protezione di Giuseppe II d’Asburgo il quale era felicissimo di poter dominare a suo piacimento il conclave che si apprestava ad eleggere il nuovo Papa. Giuseppe indicò il cardinale Mattei ma il conclave, con la mediazione del segretario del conclave Consalvi e del cardinale spagnolo Despuig, scelse di eleggere il cardinale Barnaba Chiaramonti che assunse il nome di Papa Pio VII (1800-1823). La cosa fece arrabbiare Giuseppe II che vietò l’incoronazione in San Marco per farla fare in una chiesa di minor prestigio. Successivamente prevalse la politica e Giuseppe invitò Pio VII a stabilirsi a Vienna. Pio VII rifiutò anch’egli per ragioni politiche. Napoleone aveva già realizzato il suo colpo di Stato del 18 brumaio 1799 (18 novembre 1799 del calendario gregoriano) e da lui che tornava vittorioso dalla campagna d’Egitto, dipendevano le sorti dello Stato Pontificio e sue proprie. Non era opportuno irritarlo.

        Pio VII tornò a Roma nel luglio del 1800, nella città che era stata liberata dai francesi da parte del Re di Napoli, Ferdinando IV. Per tutti gli affari sia spirituali che temporali si affidò all’aiuto di Consalvi, che fece cardinale. Le speranze di avere un qualche successo erano comunque molto scarse perché di fronte si aveva Napoleone e non un qualunque dittatorello passeggero. Si raggiunse comunque un Concordato il 15 luglio 1801, promulgato a Parigi il 18 aprile 1802(4) con l’0aggiunta unilaterale francese di 77 articoli. Che la Chiesa cercasse l’accordo era comprensibile meno che lo cercasse Napoleone, ormai Primo Console. Quest’ultimo fu mosso da alcune considerazioni che nascevano dalla sua esperienza: la Francia rurale era troppo attaccata alla religione cattolica; in Italia aveva capito che religione e Chiesa erano un ottimo strumento per governare e per condizionare la vita politica dei sudditi; era in una condizione di forza avendo recentemente vinto a Marengo.

        Il Concordato vide Consalvi come rappresentante pontificio ed egli riuscì a strappare molto ben sapendo che i desiderata delle Chiesa non sarebbero stati tutti accettati. In definitiva gli articoli principali di questo Concordato erano:

  • la religione cattolica è riconosciuta come la religione della maggioranza dei francesi ma non si afferma che sia la religione di Stato;
  • da parte sua la S. Sede riconosce la Repubblica come forma legittima di governo;
  • si garantisce il libero esercizio della religione e del culto cattolico (art. 1);
  • il Papa può destituire tutti i vescovi francesi (art. 3);
  • la Chiesa, di concerto con il Governo, può ristrutturare le circoscrizioni ecclesiastiche (art. 2): le sedi vescovili francesi si ridurranno a 60 (coincideranno con i dipartimenti, istituiti da Napoleone), e le parrocchie a 3000 (prima erano più di trentamila);
  • spetta al Primo Console nominare i vescovi; segue l’istituzione canonica del Papa (art. 4);
  • i vescovi prestano giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla sua Costituzione (art. 6);
  • i parroci sono nominati direttamente dai vescovi (art. 10);
  • i beni ecclesiastici venduti rimangono nelle mani dei nuovi proprietari (art. 13);
  • lo Stato provvede al sostentamento economico del clero (art. 14).

        Le condizioni per la Chiesa erano pesanti, anche se si miglioravano i rapporti della Santa Sede con la Francia, e Consalvi spiegò a Pio VII ed a coloro che erano indignati che sarebbe stato inutile insistere per ottenere di più. Il problema della firma era anche di Napoleone che aveva timore di strumentalizzazioni dell’opposizione. Decise allora di promulgare il Concordato come Decreto con l’aggiunta dei 77 articoli cui accennavo che, in definitiva, erano l’affermazione della peculiarità della Chiesa Francese, Chiesa per questo chiamata Gallicana (all’elaborazione di questi nuovi articoli collaborò, tentando di salvare il salvabile, il cardinale Giovanni Battista Caprara). Le principali norme contenute negli articoli aggiunti al Concordato sono:

  • ogni decisione del governo della Chiesa doveva sottostare al benestare del Governo francese;
  • si dovevano insegnare i quattro articoli gallicani del 1681 e 1682(5) nei seminari;
  • era ristabilito il ricorso alle autorità civili contro le decisioni di un tribunale ecclesiastico;
  • l’ordinazione dei sacerdoti era sottoposta a controlli da parte del governo francese;
  • era permesso un solo catechismo per tutta la Francia;
  • si affermava la precedenza obbligatoria del matrimonio civile su quello religioso.

        Quando Pio VII lesse il Decreto del 18 aprile 1802 protestò vivacemente ma senza che si ottenesse alcuna modifica. Poi stette zitto perché capì che andando oltre rischiava tutto.

        Napoleone elaborò un uguale Concordato per la Repubblica Italiana nata per sua iniziativa dalla Repubblica Cisalpina e della quale fu Presidente dal 1802 al 1805 (per poi passare ad essere Re d’Italia dal 1805 al 1814, dopo essersi nominato Imperatore dei francesi nel 1804). Questo Concordato, che divenne legge nel 1803, era più blando di quello francese perché: ammetteva la cattolica come religione di Stato, prevedeva la restituzione dei beni ecclesiastici non alienati e la possibilità di ricevere dotazioni a capitoli e seminari, riconosceva al clero la giurisdizione sul matrimonio. Anche con questi cedimenti si può dire che il giuseppinismo stava diventando il riferimento per i governi europei.

        Ormai Napoleone si credeva onnipotente e pretese che Pio VII lo andasse ad incoronare Imperatore a Parigi. Il Papa si arrabbiò a tal punto che si ammalò. Quel Napoleone era un figlio di una Rivoluzione anticlericale che aveva ghigliottinato il Re cattolico Luigi XVI, a che titolo chiedeva al Papa di essere incoronato se, oltretutto, già vi era già Giuseppe II come Imperatore del Sacro Romano Impero ? Nonostante tutto ciò Pio VII si recò a Parigi per procedere all’incoronazione con la speranza di ottenere un qualche ammorbidimento negli articoli aggiunti nel Decreto del 1802.

        Il 2 dicembre 1804 Napoleone, in una farsa che ha fatto storia, s’incoronò da solo alla presenza del Papa che benedì la cerimonia. In compenso Pio VII fu ospitato (o meglio: regalmente recluso) in un palazzetto alle Tuileries per tutto l’inverno. Alle continue richieste di partire venivano continui rifiuti tanto che il Papa temette di fare la fine di Pio VI. Poi nell’aprile 1805 poté tornare a Roma dove ricevette fastosi regali da Napoleone.

        Napoleone comunque non aveva norme o trattati che lo fermassero e così, dopo aver conquistato Vienna nel maggio 1809, decretò che il potere temporale della Chiesa era finito e lo Stato Pontificio diventava parte dell’Impero francese (anche qui Napoleone si era appigliato ad un piccolo episodio, l’ingresso di alcune navi inglesi nel porto di Civitavecchia). Il Papa aveva il permesso di risiedere a Roma solo come capo spirituale della Chiesa. Avrebbe avuto uno stipendio annuo e l’immunità delle sedi apostoliche. Roma fu occupata dal generale Miollis e Pio VII scomunicò Napoleone il quale reagì ordinando l’arresto del Papa. Fu il generale Radet che eseguì l’ordine nella notte tra il 5 ed il 6 luglio (per evitare disordini che anche Pio VII non voleva). Su una carrozza Pio VII e il cardinale Pacca furono trasportati fino a Grenoble da dove furono separati, con il Papa trasportato a Savona e poi trasferito a Fontainebleau. Lo scopo di Napoleone era che il Papa trasferisse la sede a Parigi ma Pio VII non ci pensava neppure. Napoleone era infuriato e convocò un Concilio nazionale per decidere in proposito ma tutti i partecipanti gli dissero che in nessun caso avrebbero potuto decidere una cosa del genere. Ma questo problema passò in secondo piano perché le vicende dell’invasione della Russia premevano. Ritornato dal disastro russo, Napoleone andò a trovare il Papa (19 gennaio 1813) che nulla sapeva di quanto accaduto. Napoleone lo abbracciò e baciò chiedendo perdono, tanto che Pio VII firmò un nuovo concordato che riabilitava Napoleone agli occhi del mondo. Ma lo stesso Pio VII, due mesi dopo, scrisse una lettera a Napoleone rinnegando quel Concordato. Ma Napoleone aveva anche ora altro a cui pensare perché molte potenze europee gli erano addosso. Pio VII fu liberato nel gennaio del 1814, il 4 maggio Napoleone fu inviato all’Isola d’Elba ed il 24 maggio il Papa tornava a Roma. Vi furono ancora altri avvenimenti (i cento giorni) che costrinsero Pio VII a scappare a Genova ma ormai Napoleone era finito e Pio VII poté tornare definitivamente a Roma (7 giugno 1815) riprendendo possesso di tutti i territori della Chiesa in Italia.

        Si inaugurava la stagione della Restaurazione alla quale la Chiesa partecipò con entusiasmo a cominciare dal ripristino fatto dal papa dell’Ordine dei Gesuiti (con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum del 30 luglio 1814) e dall’assolutismo che impose in politica (cancellando praticamente tutto ciò che era stato costruito in epoca rivoluzionaria e napoleonica e divenendo nemico di ogni movimento innovativo che, peggio, avesse in sé qualche minima impronta culturale). Durante la Restaurazione iniziava ad operare in Italia la Carboneria contro la quale Pio VII scrisse una Bolla di condanna il 21 settembre 1821.

        Niente di più su questo Papa il cui pontificato si svolse tutto all’ombra di Napoleone. E poco da dire sui successivi due che emersero per il loro fervore antipatriottico con esecuzioni di carbonari che sostituirono quelle per eresia.

        Già il conclave dopo la morte di Pio VII si era aperto con uno spirito non tanto di rivalsa quanto di becera vendetta condita da odio per ogni istanza riformatrice. Fu eletto un conservatore indipendente che faceva parte degli zelanti, il cardinale Annibale della Genga che assunse il nome di Papa  Leone XII (1823-1829). Ilo nuovo Papa ambiva essere amato dal popolo e fin dalla sua intronizzazione fece continue operazioni populiste: fece amnistie, si dedicò a fare concessioni, distribuì un paolo (moneta corrispondente a 10 baiocchi cioè ad un decimo di scudo) a tutti i poveri che si presentarono nel cortile del Belvedere, sorteggiò cento doti di 30 scudi per ogni zitella da marito, distribuì buoni per il pane e la carne a coloro che non avevano occupazione, svincolò tutte le cose depositate al Banco dei Pegni. Dopo questa sinfonia di elemosine che non intaccavano i fasti dei ricchi e dei gerarchi, passò alle sue manie. Proibì la vendita di vino dentro le taverne perché lì si bestemmiava e impose di chiudere le medesime con dei cancelli di modo che la distribuzione del vino avvenisse attraverso le inferriate.

        Più in generale attuò una politica rigidamente reazionaria operando senza distinzioni tra delinquenti e carbonari(6). In Romagna Leone XIIdette incarico al cardinale Agostino Rivarola di porre fine alla delinquenza carbonara. Si eseguirono arresti in massa con condanne esemplari (molto spesso a morte poi commutate nella galera a vita). Mentre si facevano processi e si eseguivano condanne, Leone ebbe il tempo per il Giubileo del 1825 che fu comunque sotto controllo poliziesco per il terrore che dei carbonari potessero infiltrarsi tra i pellegrini e provocare incidenti. Negli anni giubilari i pontefici amano far vedere che sono i vicari di Gesù in terra e quindi sono solleciti ad ammazzare i malcapitati. Fu il caso dei due patrioti Targhini e Montanari.

        A questo Papa ne seguì uno scialbo. In un conclave che andò come erano sempre andati, fu eletto il cardinale Francesco Saverio Castiglioni che assunse il nome di Papa Pio VIII (1829-1830). Era persona con limiti evidenti di cui era conscio tanto che affidò tutti gli affari politici al cardinale Giuseppe Albani. Morì presto non lasciando traccia.

        Il conclave successivo si svolse in un clima di grande tensione in città per un tentativo di insurrezione messo su da Carlo Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III, che, approfittando della sede vacante, voleva rifondare un Regno d’Italia. Il tentativo maldestro fu scoperto e Carlo Luigi Napoleone fu cacciato dalla città. Nel conclave però si era coscienti della necessità di avere subito un Papa di polso per porre freno al dilagare delle forze rivoluzionarie e patriottiche in Italia che avevano lo Stato Pontificio, insieme all’Austria, tra i bersagli preferito. L’Austria, tramite il cardinale Albani, tentò di manovrare il conclave per avere una persona rigida contro i rivoluzionari che attaccavano continuamente il potere e le guarnigioni austriache in Italia. Fu invece eletto il cardinale Mauro Cappellari che, invece, aveva fama di essere un simpatizzante liberale. Assunse il nome di Papa Gregorio XVI (1831-1846) e dovette subito vedersela con i moti rivoluzionari del 1831. Dal 4 al 9 febbraio vi fu lo scoppio di vari moti rivoluzionari in Romagna, in Umbria e nelle Marche. I simboli pontifici venivano abbattuti e si sostituivano con il tricolore. I bonapartisti erano tra i promotori dei moti. Luigi Napoleone approfittò per scrivere al Papa chiedendogli le dimissioni. Intanto si tentò un moto a Roma in occasione del Carnevale che fu subito represso anche perché trovò estranea la popolazione.

        Anche l’Austria era preoccupata e non credeva nella volontà di Gregorio di fermare i rivoluzionari. Avanzò quindi verso Sud occupando territori della Romagna governati da rivoluzionari pacifici al fine di tenere meglio sotto controllo la situazione. Con l’Austria vi fu un diluvio di condanne a morte e a vita poi commutate nell’esilio. Gregorio era Papa da un mese e, come nella tradizione di inizio papato, non poteva infierire e quindi fu magnanimo. Il fatto è che la magnanimità non risolveva i problemi ormai incancreniti che chiedevano soluzioni realizzabili solo con riforme strutturali. Della cosa erano coscienti vari governanti europei (Russia, Austria, Francia, Inghilterra, Prussia) che scrissero al Papa un Memorandum in cui consigliavano riforme e concessioni (21 maggio 1831). Gregorio alzò le spalle con sufficienza perché era convinto che i rivoluzionari erano solo pochi esaltati. Sappiamo che ciò era vero e che le idee rivoluzionarie erano solo di pochi illuminati ma sappiamo anche che alla lunga, in un Paese che iniziava con la Rivoluzione Industriale, si sarebbe rischiata la paralisi dell’economia, a partire dall’agricoltura fino ad arrivare all’industria attraverso il commercio. Non a caso il deficit dello Stato Pontificio crebbe proprio a partire dal 1831 ed il governo di quello Stato fece ricorso, e come no ?, ad un aumento delle tasse, dei dazi e del debito pubblico con prestiti dalla Banca Rothschild di Parigi. Come è comprensibile questi erano pannicelli caldi per una situazione sempre più esplosiva. Ad una ripresa dei moti nel 1832 il Papa, smentendo la sua fama di liberale, richiese direttamente l’intervento dell’esercito austriaco che ammazzò a volontà reprimendo con estrema durezza ogni manifestazione ed ogni dissenso. A questo punto la Francia si rese conto che l’Austria stava conquistando il predominio sullo Stato Pontifico ed allora intervenne di sua iniziativa con il suo esercitò che fece stazionare ad Ancona fino al 1838. Il Papa protestò ma furono parole al vento. Tra l’altro ancora un esercito straniero in Italia incitava altri cittadini alla rivolta. Ma il Papa non volle essere da meno nella condanna dei rivoluzionari. Nell’agosto 1832 scrisse un’enciclica, Mirari vos, in cui condannava tutto il condannabile: veniva condannata la tesi secondo cui la Chiesa necessitava un rinnovamento; veniva riaffermata l’indissolubilità del matrimonio e quella del celibato ecclesiastico; veniva condannato l’indifferentismo religioso secondo il quale a Dio sarebbe indifferente il credo in qualunque religione; uguale condanna era estesa alla libertà di coscienza; condanna anche della libertà di pensiero e di stampa; si riaffermava il dovere di sottomettersi ai sovrani legittimi; si condannava la separazione tra Stato e Chiesa; veniva fatta la richiesta ai governi di aiuti alla Chiesa. La gran parte delle proibizioni era diretta contro i frutti di una scienza spudorata. Insomma un potere assoluto in un’epoca in cui si richiedeva almeno una monarchia costituzionale. Ma la presunzione dei Papi è senza limiti. Solo su questo si sentono rappresentanti di Dio in terra.

        Altri moti si ebbero nel 1836, tutti repressi nel sangue dall’esercito austriaco. Ma il movimento rivoluzionario cresceva ed anche a Roma iniziavano a crearsi nuclei di militanti della Giovine Italia (tra i quali ci erano anche dei frati agostiniani). Ed insieme al movimento e la repressione, che vide la sostituzione da parte della Chiesa del cardinale Bernetti con il cardinale Lambruschini, ci si mise anche il colera. Tutto questo disastro che andava aumentando non impedì all’ignobile Gregorio di arricchire sé ed i suoi parenti con un felice ritorno del nepotismo sfrenato che non poteva non coesistere con una amante (la moglie Clementina Verdesi di Gaetanino Moroni, il cameriere del Papa, come raccontava in una lettera privata Stendhal e che Belli aveva battezzato la puttana santissima) e con la vocazione di fare sempre il suo porco comodo (Rendina). E Gegorio dette un grande contributo al discredito dello Stato Pontificio come fecero ben rilevare, a partire dal 1845, i moderati Massimo d’Azeglio (in Degli ultimi casi di Romagna) e Carlo Farini (in Manifesto di Rimini). Insomma, occorrevano subito delle riforme che non era proprio cosa di chi amava fare il suo porco comodo. e soprattuto si rendeva evidente che la gestione dello Stato moderno non è cosa da sacerdoti (Aurelio Saffi).

        Seguirono nuovi moti, nuove rivolte e nuove repressioni con i corollari di esecuzioni e morti. Neanche i cattolici moderati (Lamennais, de Maistre, Gioberti) erano presi in considerazione da questo ottuso che andava morendo in un Paese in cui i moti rivoluzionari si estendevano a macchia d’olio.ù

        Lo storico Giordani disse che Gregorio morì abbandonato da tutti nel letto pieno di merda ma in santità, come chiosò Castiglioni. Ed ancora doveva venire il metro cubo di letame come lo descrisse Garibaldi nelle sue Memorie ed il Papa Porco come lo chiamarono i romani, Pio IX.

PIO IX, IL PAPA CHE I ROMANI CHIAMAVANO PAPA PORCO

        Il conclave che si tenne dopo la morte di Gregorio XVI era dominato dai cardinali reazionari, profondamente avversi ad ogni riforma, alla modernità, figuriamoci alla rivoluzione. Nonostante ciò prevalse il buon senso che voleva un Papa che rompesse con quanto indegnamente fatto dal predecessore. Fu scelto il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti, che era noto come un moderato con aperture liberali, come uno spirito intensamente religioso che non aveva mai manifestato interessi politici, che assunse il nome di Papa Pio IX (1846-1878).

        Pio IX si rese conto che lo Stato pontifico era in uno stato di totale degrado e che non ne sarebbe uscito senza attuare riforme importanti. Iniziò con quei gesti soliti all’inizio dei pontificati per farsi benvolere, concesse un’amnistia ai detenuti politici (16 luglio 1846). Questo gesto sollevò un incontenibile entusiasmo che vide i romani scendere in piazza per ringraziare rumorosamente Pio IX. Si era creato il mito di un Papa liberatore e rinnovatore che arrancò con qualche piccola riforma che non aveva niente a che vedere con le aspettative: si ebbe una misera libertà di stampa, un Consiglio dei Ministri, una Consulta di Stato ma senza il potere legislativo, la concessione della libertà agli ebrei, la costituzione della Lega doganale con gli altri Stati preunitari, l’inizio della costruzione di ferrovie (la Roma-Frascati di 20 km del 1856 e la Roma-Civitavecchia di 80 km del 1859), la costruzione del Municipio di Roma. Il 1848, con l’esplosione generalizzata dei moti rivoluzionari in tutta Italia ed in Europa con la concessione di Costituzioni avanzate e la caduta di molti governi reazionari e conservatori ed anche con i successi della Prima Guerra d’Indipendenza, fece sì che Pio IX concesse addirittura una flebile Costituzione (14 marzo 1848) con il documento Nelle istituzioni, una minima concessione per salvare lo Stato Pontificio che si immaginava travolto dagli eventi. che continuò ad essere inteso nel senso di un Papa rinnovatore e liberatore. Ma Pio IX, anche se fece concessioni (ad esempio, in occasione delle Cinque Giornate di Milano, di passaggio di truppe schierate a lato dei rivoluzionari nei suoi territori, trovandosi di fatto ad operare militarmente contro l’Austria), sempre con l’attenzione rivolta al salvataggio della Santa Sede, non aveva alcuna intenzione di cambiare realmente. 

        La posizione di Pio IX, anche su pressioni di una commissione cardinalizia, si chiarì con un discorso che tenne il 29 aprile del 1848 in cui disse chiaramente che rifiutava la guerra contro l’Austria abbracciando tutte le genti. Il Papa mostrò di non volere sostenere, come era sembrato, la rivoluzione liberale che non poteva pretendere la neutralità. Fu considerato un traditore tanto che cercò di rabbonire la piazza cambiando governi su governi ma in realtà preparandosi a fuggire. La fuga verso Gaeta, dove Ferdinando II del Regno delle due Sicilie gli offrì protezione, avverrà il 24 novembre con il Papa travestito da prete.

        Il 12 dicembre la Consulta decretò che si dovesse formare  una “provvisoria e suprema Giunta di Stato”. Il Papa strillò affermando che si usurpavano i suoi poteri (17 dicembre). La Giunta costituita promise di convocare una Costituente Romana. Il 23 si formò un governo. Il 26 la Giunta sciolse il parlamento e convocò elezioni. Il Papa minacciò la scomunica per tutti ma le elezioni si fecero con la vittoria dei democratici e l’elezione, tra gli altri, di Garibaldi e Mazzini. L’Assemblea che venne eletta votò la Proclamazione della Repubblica Romana con un Decreto Fondamentale del 9 febbraio, nel quale era scritto:

  • Art. 1: Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano.
  • Art. 2: Il Pontefice Romano avrà tutte le guarentigie necessarie per l’indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale.
  • Art. 3: La forma del governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana.
  • Art. 4: La Repubblica Romana avrà col resto d’Italia le relazioni che esige la nazionalità comune. 

        L’Assemblea, con queste pregiudiziali, iniziò a lavorare con grandissimo impegno per redigere la Costituzione della Repubblica, Costituzione, tra le più avanzate del mondo, che fu infine approvata il 1° luglio 1849(7). Gli ultimi due mesi di lavoro furono frenetici perché gli avvenimenti militari incalzavano e si aveva paura di non riuscire a terminare la redazione.

        Questo sogno durò solo 5 mesi con il triunvirato di Mazzini, Saffi ed Armellini, con i contributi anche militari di Garibaldi e sua moglie Anita, di Mameli e Manara. Il Papa aveva chiesto aiuto ai Paesi cattolici e la Francia, quella Francia che era Repubblicana, rispose all’appello inviando un corpo di spedizione di 7000 soldati. A due giorni dall’approvazione della Costituzione, il 3 luglio, il generale francese Oudinot entrava a Roma dove era stato prima sconfitto da Garibaldi (30 aprile) e quindi era riuscito a vincere (30 giugno) solo con l’arrivo di molti rinforzi. Il 12 settembre il Papa, ancora a Gaeta, fa il bel gesto di qualche amnistia ma abroga subito la Costituzione. Finalmente il 12 aprile 1850, dopo la bonifica dei rivoluzionari dalla città, Pio IX rientrò a Roma(8).

        Ma la situazione italiana era in grandissimo movimento e la Chiesa era dovunque attaccata con leggi che le toglievano poteri arcaici. Iniziò il Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II. Nel 1850 furono emanate le Leggi Siccardi (dal nome del Ministro della giustizia del governo D’Azeglio) che intervennero sui privilegi feudali della Chiesa: abolizione del foro ecclesiastico, della sottrazione cioè ai tribunali dello Stato degli ecclesiastici per ogni reato, anche di sangue, commesso da loro; abolizione del diritto d’asilo per ogni criminale che fosse andato a chiedere rifugio in chiese e conventi; abolizione della manomorta, cioè della non tassabilità dei beni immobiliari della Chiesa che, essendo inalienabili, non devono essere tassati per il trasferimento di proprietà. A ciò andava aggiunto il divieto per tutti gli enti morali, e quindi anche per la Chiesa, di divenire proprietari di immobili senza che la cosa fosse autorizzata dal governo. Naturalmente iniziarono le diatribe dei cattolici che si divisero tra coloro che accettavano la legislazione dello Stato (cattolici liberali) e quelli che non transigevano. Iniziava quello strazio che non è mai finito in Italia con alcuni cattolici che si sentono sudditi vaticani operanti però in Italia. Ma il nuovo capo del governo, Cavour spinse oltre l’intervento contro la Chiesa perché nel 1855, anche contro i desideri del Re, varò la Legge Rattazzi che aboliva tutti gli ordini religiosi che non erano impegnati in attività sociali (che non attendessero alla predicazione,  all’educazione, o all’assistenza degli infermi) e ne sequestrava i beni (che andarono ad un ente ecclesiastico indipendente dallo Stato)(9). Si andava affermando ciò che ora è un ricordo molto bello perché svanito, la libera Chiesa nel libero Stato. Ed andava crescendo la ottusa opposizione del Papa e del suo Segretario di Stato dal 1851, il cardinale Antonelli, che non solo non accettarono mai il principio suddetto ma, e come no?, arrivarono alla scomunica dei Piemontesi.

         Il Papa mostrò tutta la sua malvagità e crudeltà nel 1852 quando gli austriaci, per poter giustiziare il prete patriota don Enrico Tazzoli, chiesero che fosse sconsacrato. A questa richiesta il vescovo di Mantova rispose negativamente ma il Papa smentì il suo vescovo e sconsacrò il prete facendolo impiccare.

        I Piemontesi, per parte loro, non si scomposero per la scomunica perché continuarono con annessioni di terre pontificie ribelli (Bologna era insorta) ai confini dello Stato Pontificio, quelle della Romagna e dell’Emilia (1859). Il Papa scomunicò una seconda volta il governo piemontese nel marzo 1860. Ma i Piemontesi avanzavano entrando nello Stato Pontificio, incuranti di questi riti pagani, sconfiggendo le truppe del Papa a Castelfidardo ed annettendosi Marche ed Umbria con i Plebisciti del novembre 1860. Perugia, in particolare, era insorta nel giugno del 1859 e si era data un governo provvisorio. Ma il Papa inviò contro la città 2000 guardie svizzere che la riconquistarono ammazzando a volontà e con violenze inaudite. Lo stesso cardinale Antonelli autorizzò il saccheggio e la rappresaglia che gli svizzeri eseguirono con metodo facendo strage degli insorti, senza risparmiare donne o bambini. Perugia fu riconquistata ed il criminale comandante svizzero che guidava gli assassini fu elogiato e promosso generale dal Papa. Fortuna che vi erano stranieri in città (anch’essi rapinati e maltrattati) che raccontarono tutto e così tutto il mondo conobbe i crimini materiali della Chiesa ed iniziò a comprendere i motivi che spingevano gli italiani a renderla inoffensiva costruendo l’Unità del Paese. Unità che era vicina perché il Regno d’Italia sarà proclamato il 17 marzo 1861. Solo 10 giorni dopo, con la proclamazione di Roma capitale del Regno, si chiariva che Roma sarebbe stata presto sottratta al potere temporale. Il Papa scomunicò il governo, questa volta del Regno, per la terza volta. Il 21 marzo 1861 Cavour proponeva alla Chiesa: “Noi vi daremo in nome del gran principio ‘Libera Chiesa in libero Stato’ quella libertà che Voi avete chiesta invano per tre secoli alle grandi potenze cattoliche attraverso i concordati”. Ma la Chiesa di Pio IX (poi beatificato da papa Wojtyla) rifiutò sdegnosamente l’offerta dichiarando nel Sillabo del 18 marzo 1864: “Il Romano Pontefice non può e non deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la civiltà moderna”. Il Papa rifiutò quindi l’offerta dandosi ad una letteratura sciocca, retriva, profondamente reazionaria e teologicamente infelice. Già nel 1854 (l’8 dicembre), con la Bolla Ineffabilis Deus, proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione (tentava Pio IX di spostare l’attenzione sul soprannaturale, sullo spirituale). Cioè il Papa aveva saputo da entità metafisiche che tra tutti gli uomini e le donne dell’universo, solo Maria, era stata concepita senza Peccato Originale. Ma il capolavoro di Pio IX fu l’enciclica Quanta Cura ed il citato Sillabo dei principali errori dell’età nostra(allegato all’Enciclica), pubblicati entrambi l’8 dicembre 1864 (nel decennale dell’Immacolata Concezione). Soprattutto nel Sillabo, Pio IX condannò con estrema durezza ogni novità, ogni evoluzione e cambiamento che, all’epoca, volevano dire liberalismo. Il Sillabo, elencava ottanta errori, in gran parte già condannati in precedenti encicliche, lettere e discorsi. Alcuni di essi erano: il panteismo, il naturalismo, il razionalismo assoluto e moderato, la confusione tra natura e ragione, il relativismo  secondo il quale tutte le religioni si equivarrebbero, l’indifferentismo, il liberalismo, il socialismo (una pestilenza), il comunismo(10), le società clerico-liberali (il riferimento è ai cattolici liberali), le società bibliche, le società segrete, il matrimonio civile. Dopo questo elenco, segue quello di venti errori relativi alla Chiesa ed ai suoi diritti a partire dal fatto che c’è chi crede che tocca alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare detti diritti e chi afferma che la Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta. Viene poi un altro elenco, quello degli errori che riguardano la società civile, considerata in sé come nelle sue relazioni con la Chiesa. Qui, come primo errore il Papa indica il fatto che si crede che lo Stato in quanto origine e fonte di tutti i diritti, goda di un certo suo diritto del tutto illimitato. Più oltre si condanna l’idea che la dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agli interessi della umana società. Segue ancora un elenco degli errori circa la morale naturale e cristiana tra i quali meritano una citazione i primi due: LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della sanzione divina, né è necessario che le leggi umane siano conformi al diritto di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare. LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono prescindere dall’autorità divina ed ecclesiastica. Seguono poi gli errori circa il matrimonio cristiano;quelli intorno al civile principato del Romano Pontefice; ed infine quelli che si riferiscono all’odierno liberalismo. Tra questi  vi è la condanna di chi critica la Chiesa perché ciò è inteso come ingerenza nei suoi affari e la condanna dell’influenza del contesto culturale in questioni di fede. Insomma, senza ulteriori dettagli, si noterà che si tratta di un delirio di onnipotenza che corrisponde di più ad un malato di mente che non ad un rappresentante di Cristo in terra(11).

        Dopo questo manifesto della completa intolleranza su tutto ciò che non proviene ed è deciso dalla Chiesa, il Papa convocò per l’ 8 dicembre 1869 (ancora in un anniversario dell’Immacolata Concezione) il Concilio Vaticano I che è ricordato per l’altra idiozia di Pio IX, quella del dogma dell’infallibilità del Pontefice espressa compiutamente nella costituzione dogmatica Pastor Aeternus.

        Ma ormai il potere temporale della Chiesa era alla fine. E la fine fu segnata dalla sconfitta del protettore del Papa, Napoleone III, a Sedan. Vittorio Emanuele II scrisse a tutte le potenze europee (7 settembre 1870) avvertendole che l’esercito del Regno d’Italia avrebbe preso Roma e che il Papa sarebbe stato garantito nella sua incolumità. Un messo del Regno andò a parlamentare, prima con Antonelli poi con Pio IX, il 9 settembre. Il Papa con la sua sciocca sicumera affermò che mai voi entrerete in Roma. Ed infatti il 20 settembre alcuni colpi di cannone aprirono un varco a Porta Pia da dove 50 mila uomini al comando di Raffaele Cadorna entrarono in Roma liberandola dalla tirannide papale, abolendo il potere temporale e quindi lo strapotere del papa re (vi era stato l’accordo di evitare inutili spargimenti di sangue ed infatti l’intera operazione vide 49 caduti nell’esercito italiano e 19 tra gli zuavi pontifici. Pio IX si chiuse in Vaticano e si dichiarò prigioniero politico aprendo quella che va sotto il nome di questione romana che sarà risolta solo nel 1929, con i Patti Lateranensi, quando la Chiesa avrà a che fare con un suo pari, il Fascismo. Intanto, nel 1874, ancora Pio IX, mise una mina allo sviluppo civile del nuovo Stato italiano, scrisse un documento, il non expedit (non conviene), in cui vietava ai cattolici di prendere parte alla vita politica italiana e quindi li invitava a disertare le elezioni. Per parte sua lo Stato italiano promulgò nel 1871 la Legge delle Guarentigie con la quale si stabilivano diritti e doveri della Chiesa nello Stato. Pio IX non accettò questa legge insistendo sul fatto che era un prigioniero politico.

        Ma non era finita per questo Papa perché altri dolori dovevano venirgli dalla Germania di Bismarck che tra il 1873 ed il 1875 emanò una serie di leggi con le quali alla Chiesa era sottratta l’istruzione, fu reso obbligatorio il matrimonio civile, furono sciolte le congregazioni religiose, furono espulsi i Gesuiti. Altro dolore fu la perdita nel 1876 di Antonelli. Fu invece una vera gioia la perdita di questo personaggio che definire indegno è solo un dolce eufemismo.

        L’odio popolare per questo criminale esplose a Roma anche dopo la sua morte. La salma, secondo le ultime volontà di Pio IX, doveva essere trasportata in funerale dal Vaticano a San Lorenzo fuori le mura ma la popolazione lungo tutto il corteo, anche se notturno e posticipato di molti mesi (13 luglio 1881), tirò sassi, insultò e sputò. I maggiori incidenti ci furono a Ponte Sant’Angelo quando si tentò di buttare la carogna del Papa Porco nel Tevere(12).

LEONE XIII SULLA STRADA DI PIO IX

        Il conclave per la successione avrebbe dovuto tenersi tra le Mura leonine, dentro il Regno d’Italia. La prima votazione riguardò l’opportunità di tenere o no il conclave in queste condizioni. Prevalse il no, anche se il capo del governo italiano, Francesco Crispi, aveva assicurato l’assoluta neutralità dell’Italia. Restava la speranza che qualche Paese cattolico si facesse avanti per ospitare l’evento. Poiché nessuno si fece avanti, si rifece la votazione e vinse la proposta di fare il conclave in Vaticano (anche perché qualcuno aveva detto che allontanarsi sarebbe stato pericoloso, al ritorno magari un corpo di bersaglieri avrebbe potuto alloggiare negli appartamenti papali).

        Senza più le indegne pressioni dei vari Paesi europei, che ritenevano ormai il Vaticano ridimensionato, fu subito eletto il cardinale Gioacchino Pecci, considerato all’opposizione durante il disastroso pontificato di Pio IX, che assunse il nome di Papa Leone XIII (1878-1903). In realtà, almeno nei primi 10 anni, Leone proseguì la politica di Pio IX particolarmente in quell’infame non expedit (non conviene) che significava la non partecipazione dei cattolici, pena la scomunica, né come elettorato passivo né attivo. Il fine era quello di far vedere al mondo le sofferenze della Chiesa sotto il dominio di uno Stato anticlericale. Oltre all’accettazione di ogni atto di Pio IX, Leone XIII ci mise molto del suo andando ad uno scontro totale con il Regno d’Italia attraverso l’enciclica Imperscrutabili (1878) con la quale dichiarava di non rinunciare al potere temporale. Scrisse anche all’Imperatore Francesco Giuseppe d’Austria Ungheria per denunciare la sua situazione di prigioniero e la sua volontà d’andarsene dall’Italia. Come al solito di politica internazionale i Papi capiscono poco e solo un anno dopo l’Austria si alleò con l’Italia nella Triplice Alleanza con la conseguenza che la Chiesa restò ancora più isolata. Altre operazioni sballate le fece con la Germania perché in cambio di alcune concessioni a Bismarck riuscì a scontentare il Partito Cattolico (Zentrumspartei). Analogamente in Francia dove i cattolici ebbero ordine di collaborare con la Terza Repubblica anche se questa era apertamente anticlericale ed avviava quelle riforme che porteranno alla separazione tra Stato e Chiesa del 1905 (due anni dopo la morte di Leone).

        Nel 1885 vide la luce l’enciclica Immortale Dei nella quale, con l’ipocrisia e la menzogna tipica di ogni Papa, Leone XIII dichiarava che la Chiesa era indifferente ad ogni forma di governo, purché lavorasse per il benessere dei cittadini ed i governanti avessero riguardo a Dio, padrone supremo del mondo. Più oltre si diceva che i cattolici devono partecipare alla vita politica meno che in qualche luogo come l’Italia (anche se questa negazione contrastava clamorosamente con l’affermazione precedente).

        Altra enciclica di rilievo fu la Aeterni Patris del 1879 perché in essa Leone trattò il problema dei rapporti della fede con la scienza. Si inizia il rosario di sciocchezze nel quale era già entrato Pio IX che porteranno fino a Giovanni Paolo II. La Chiesa è sempre stata attenta alle scienze dell’uomo ed in particolare alla filosofia. Quest’ultima apre alla fede della quale la ragione è ancella perché tenta di districarne i misteri. La ragione ha un suo valore solo se è aiutata dalla Rivelazione e dalla fede. Tutto ciò lo si ritrova solo nella Scolastica e nel suo grande maestro, Tommaso d’Aquino. Tutto ciò alla fine dell’Ottocento quando la scienza aveva fatto cose incredibili sulle quali non si dice nulla. Il riferimento è evidentemente al Positivismo, cioè ad una certa filosofia. Non si entra mai in argomenti in cui né la Chiesa né Tommaso possono e potranno mai dire una sola parola. Con la Fides et Ratio di Giovanni Paolo II, sulla quale tornerò a suo tempo, saremo ancora allo stesso punto e che vi siano dei preti un poco tocchi che continuano a dire sciocchezze non c’è da stupirsi ma che vi sia tanta gente che li segue è veramente preoccupante sullo stato di salute della razza umana.

        Ma veniamo all’enciclica più famosa di Leone XIII, la Rerum Novarum del 1891 nella quale è enunciata la cosiddetta Dottrina Sociale della Chiesa. In somma sintesi le condizioni bestiali di vita operaia, soprattutto quelle di fine Ottocento con le 16 ore di lavoro e con i bambini anche di 9 anni utilizzati nelle fabbriche (in quelle tessili erano insostituibili per le loro piccole dita in grado di entrare nei macchinari per sbrogliare i fili), non si possono risolvere senza ricorrere alla religione ed alla Chiesa. La proprietà privata è intoccabile perché è un sostegno alla libertà della persona e della famiglia (anche perché un comandamento vieta di desiderare la roba d’altri – sic !) e le differenze di classe sono volute da Dio (Si stabilisca dunque in primo luogo questo principio, che si deve sopportare la condizione propria dell’umanità: togliere dal mondo le disparità sociali, è cosa impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile. Poiché la più grande varietà esiste per natura tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa solerzia, non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali. E ciò torna a vantaggio sia dei privati che del civile consorzio, perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi, e l’impulso principale, che muove gli uomini ad esercitare tali uffici, è la disparità dello stato). L’operaio, che ha diritto di associarsi in sindacati, deve servire fedelmente il padrone ed il padrone deve essere giusto con l’operaio che rivendica giustamente migliori condizioni di vita. Se tali condizioni non vi sono ed il salario non è sufficiente a sopravvivere è lo Stato che deve intervenire con il sostegno pietoso ai bisognosi. In questa visione padronale, liberista e demenziale che schierava la Chiesa con il capitalismo, vi è un attacco violento al socialismo per quella lotta di classe che non può essere considerata cristiana come lo sciopero al quale non si deve ricorrere (Il troppo lungo e gravoso lavoro e la mercede giudicata scarsa porgono non di rado agli operai motivo di sciopero. A questo disordine grave e frequente occorre che ripari lo Stato, perché tali scioperi non recano danno solamente ai padroni e agli operai medesimi, ma al commercio e ai comuni interessi e, per le violenze e i tumulti a cui d’ordinario danno occasione, mettono spesso a rischio la pubblica tranquillità. Il rimedio, poi, in questa parte, più efficace e salutare, si é prevenire il male con l’autorità delle leggi e impedire lo scoppio, rimovendo a tempo le cause da cui si prevede che possa nascere il conflitto tra operai e padroni). Ma su questo tema interverranno anche Pio XI con la Quadragesimo Anno (1931), Giovanni XXIII con la Mater e Magistra (1961), Giovanni Paolo II con la Centesimus Annus (1991). E la Chiesa, se la cosa non fosse stata altrimenti chiara, sceglieva con chiarezza da che parte stare. Lo vedremo meglio con le adesioni a Fascismo, Nazismo, con i sostegni a Pinochet e a Videla. Insomma la Chiesa sceglieva ogni dittatura criminale del mondo.

        Intanto, nel 1878, in Italia si era avuta la successione al trono del Regno d’Italia di Umberto I a Vittorio Emanuele II. Il nuovo Re mostrò subito la sua natura autoritaria rispondendo sempre con l’esercito alle proteste di piazza. Subì un attentato a Napoli nei primi giorni di Regno. L’anarchico Passannante tentò di ucciderlo ma il Primo Ministro Cairoli lo difese risultando ferito. La pena prevista sarebbe stata la morte ma il Re fu un perfido boia che tramutò la pena in carcere a vita in una cella alta 1,4 metri senza servizi igienici e con 18 chili di catene ai piedi. Passannante morì pazzo. Questo virgulto dell’indegna Casa Savoia di fronte alle proteste per l’introduzione della tassa sul macinato che in realtà era l’ultima goccia di soprusi e violenze degli ultimi anni (nonostante la Rerum Novarum) il 7 maggio 1898 fece sparare con i cannoni sulla folla (che non era socialista) a Milano dal generale Bava-Beccaris. Fu una vera strage con oltre cento morti e cinquecento feriti (dati polizieschi). Umberto I decorò il generale criminale con la Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia. Il 29 luglio del 1900 questo criminale verrà ammazzato dall’anarchico Gaetano Bresci che, arrestato, morirà impiccandosi (?) in cella un anno dopo. A Umberto I succederà quello strano attrezzo chiamato Vittorio Emanuele III.

        In definitiva, ancora proprio sul finire del secolo, questo Papa veniva meno ad ogni promessa senza essere capace di accettare la condizione in cui si trovava ormai la Chiesa. Le sue prese di posizione aumentarono il risentimento della popolazione che riacquistò lo spirito antipapale iniziato in modo clamoroso con Pio IX. In questo senso fu significativo un episodio accaduto a Roma il 9 giugno 1889.

          Nel 1885 si era formato  un comitato per la costruzione di un monumento a Giordano Bruno, cui aderirono le maggiori personalità dell’epoca: Victor Hugo, Michail Bakunin, George Ibsen, Giovanni Bovio, Herbert Spencer e molti altri. Nel 1888 gli studenti universitari romani (tra cui Pietro Cossa), tra i maggiori animatori del comitato, fecero numerose manifestazioni per erigere il monumento, spesso con scontri, arresti e feriti. Un tal monumento era già stato eretto a Roma nel 1849, in epoca di Repubblica Romana, ma Pio IX lo fece distruggere, appena fu restaurato il suo potere.

            Il 9 giugno 1889 veniva inaugurato in piazza Campo de’ Fiori in Roma il monumento, opera di Ettore Ferrari, nello stesso luogo dove Bruno fu abbrugiato vivo. In tutta Italia risuonarono gli slogan Morte a Leone XIIIMorte allo Spirito Santo ed il Papa veniva impiccato in effige. Era in carica il governo Crispi. Sullo sfondo vi era quanto accaduto un anno prima quando il sindaco clericale di Roma, Leopoldo Torlonia, proveniente dalla nobiltà nera vaticana fu destituito con decreto reale ufficialmente per aver fatto visita a Papa Leone XIII (ad una Chiesa ancora non “riconciliata”). Furono indette nuove elezioni per il giugno 1888. Vinsero i liberali contro i clericali, grazie al loro riconciliarsi contro gli attacchi che la Chiesa muoveva all’iniziativa del monumento.

– Nel 1896 era stato monsignor Balan, un prete che addirittura vedeva in Leone XIII un Papa che sopportava troppo, ad aprire la campagna contro Bruno. Scrisse che: “la propaganda bruniana è opera di stranieri, ebrei, ateisti, massoni“. 

– Tale vergogna venne ripresa da La Civiltà Cattolica, periodico dei gesuiti (periodico che dal 1850 al 1945 si distinguerà per il suo antisemitismo). Scriveva tale fogliaccio: “dal giorno in cui s’è posta mano al suo monumento, i disastri d’ogni maniera, come inondazioni, frane, uragani e simili, hanno portato la desolazione nelle campagne di parecchie province” …. “è la presa di possesso dell’ateismo di quella Roma che da 14 secoli è stata ed è la capitale del mondo cristiano“. 

– Il giorno dell’inaugurazione fu definito “di raccoglimento e di lutto” dall’Osservatore Romano. Il Papa passò il giorno digiuno e prostrato davanti alla statua di San Pietro; ad evitare che le persone presenti fossero in minor numero possibile, tutta l’aristocrazia nera abbandonò Roma per 3 giorni. – La Civiltà Cattolica sostenne che era “il trionfo dei rabbi della Sinagoga, degli archimandriti della Massoneria e dei capiparte del liberalismo demagogico“.

        In tutto questo vi erano anche dei cattolici che volevano lavorare per conciliare ma erano schiacciati dall’intransigenza papale. Nonostante ciò si formarono delle leghe di cattolici che lavorarono per la pacificazione. E pian piano anche Leone inizia a muoversi su questa strada. Le iniziative culturali tese alla pacificazione sono raccontate da Rendina:

    Nel 1892 il primo segno viene da Genova con un congresso nazionale di studiosi cattolici di questioni sociali; Giuseppe Toniolo fonda la «Rivista internazionale di scienze sociali» e il fine è quello di «rifare con rigore scientifico e con spirito cattolico ciò che hanno fatto Marx, Engels e Loria». Nasce la F.U.C.I. [Federazione Universitari Cattolici Italiani, ndr] e si costituisce l’Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici; nel 1898 Romolo Murri fonda a Roma un’altra rivista, «Cultura sociale», nella quale la missione cattolica di elevare le classi più umili si fa programma politico. Quanto concretamente esso potrà attuarsi lo dirà la storia del secolo che sta per nascere; è possibile che il pensiero sociale dei cattolici di questi anni abbia «un puro valore accademico», come ha osservato Antonio Gramsci, «elemento ideologico oppiaceo, tendente a mantenere determinati stati d’animo di aspettazione passiva di tipo religioso, ma non come elemento di vita politica e storica direttamente attivo». Ma è un fatto che il Partito popolare, ovvero la Democrazia cristiana o comunque essa si chiamerà, è già in embrione nei programmi di Murri: nel 1899 i giovani «democratici cristiani» stendono a Torino l’assetto politico di tutto il movimento [Murri verrà scomunicato, ndr].
    In questo clima di ritrovato entusiasmo cattolico intorno alla figura del papa, Leone XIII può nuovamente indire il giubileo nel 1900, non più celebrato ormai da 75 anni, a parte quello a «porte chiuse» di Pio IX; un poeta socialista come Giovanni Pascoli esalta nei suoi Odi e Inni «La porta santa». Ma nella celebrazione inconsueta di un laico affiora il dubbio sull’effettiva funzione che il papa e la Chiesa possano ancora avere nel nuovo secolo […]

        Comunque su Leone XIII ci si può contare poco perché se da un lato nasceva il movimento democratico cristiano, dall’altro egli gli impediva di agire con l’enciclica Gravis de communi re del 1901. Con questa presa di posizione Leone si allontanerà sempre più dagli intellettuali cattolici che per un momento avevano creduto in lui.

        Prima però di chiudere con le vicende del personaggio è utile discutere di un aspetto che in genere non viene trattato, quello delle finanze vaticane in un periodo di fine del potere temporale. Dapprima iniziano a crescere gli investimenti in azioni straniere e, cosa sorprendente, si ritrova il Vaticano ad investire grandi capitali su titoli degli Stati Uniti, un Paese con una Costituzione simile a quella francese. Ancora più sorprendente è l’investimento in titoli dell’Impero ottomano. Ma ormai entriamo nella pecunia non olet e tutto potrà accadere con la Chiesa nei mercati azionari e criminali mondiali, tutto fino a Marcinkus ed oltre. Ma iniziamo qui. E’ con Leone XIII che iniziano speculazioni finanziarie vaticane che porteranno a grandi scandali. Si costituisce una sorta di banca del Vaticano che opera in assoluto segreto, pena la scomunica. Il primo che si occupò di tali finanze fu il monsignore Enrico Folchi.

        La conversione iniziale delle finanze vaticane dagli interessi immobiliari a quelli finanziari nacque dalla perdita del potere temporale. Anche la Rivoluzione Industriale aiutava ad investimenti in borsa, investimenti con rendite più immediate di quanto non ne dessero gli investimenti immobiliari. Insomma la Chiesa si modellava all’organizzazione capitalistica lottando contro i liberali ma non contro il liberismo economico.

        In poco tempo gli interessi soprattutto piemontesi provocarono la trasformazione socioeconomica di Roma. La città era diventata la capitale e doveva ospitare edifici ed abitazioni per una pletora di istituzioni e di impiegati. Con questa prospettiva ritornavano di enorme interesse gli investimenti immobiliari e la richiesta e concessione di mutui. A questo proposito scrive Lai:

    Per secoli, fino all’arrivo dei «piemontesi», gli abitanti di Roma erano stati sudditi sostanzialmente tranquilli e fedeli di un regime che assicurava loro una esistenza semplice anche se grama, assolutamente priva delle lotte politiche delle altre grandi città. Nel decennio successivo alla conquista di Roma tutte le categorie sociali erano state costrette a rivedere forme di vita un tempo giudicate immutabili, dalla neghittosa e altera nobiltà, alla gracile borghesia, al misero popolino. Classi per certi versi cristallizzate nelle loro funzioni che d’improvviso s’erano trovate alle prese con gente di modi e di mentalità diversi, con usi, abitudini e linguaggio differenti, completamente protesa alla conquista dei posti di comando e alla ricerca di far quattrini in qualsiasi maniera. Sollecitata dalla competizione con i nuovi arrivati, anche l’aristocrazia romana aveva archiviato il tradizionale disprezzo per le questioni economiche.
    Prima del 1870, i membri delle famiglie nobili raramente si occupavano del patrimonio immobiliare, lasciato nelle mani di agenti che provvedevano a ogni cosa: affittavano i terreni a pascolo, si occupavano della vendita dei prodotti degli orti e delle vigne, dirigevano la vita dei palazzi. Un patrizio non metteva mai piede nelle stanze adibite alla «computisteria», dove regnava l’amministratore, così come le dame in cucina. Più volte i pontefici, informati delle rovinose condizioni finanziarie di antiche casate, erano stati costretti a intervenire, nominando «cardinali economi»: porporati cui spettava imporre rigide misure per restaurare dissestate fortune. Con l’arrivo dei piemontesi le famiglie nobiliari, gravate dalle tasse e con redditi agricoli ridotti a causa della concorrenza delle altre regioni italiane, avevano dovuto rinunciare al vecchio modo di vivere per contendere il passo ai nuovi venuti e conservare il prestigio un tempo accordato al loro rango dalla Chiesa. Obiettivo approvato dal papa, il quale sovente stimolava gli uomini rimastigli fedeli – a volte chiamati «vaticanisti» come gli impiegati della Curia – a dare un fattivo apporto alla riconquista cattolica della società.
    Leone XIII contava infatti sul sostegno dei nobili nella contesa con l’Italia, aggravata dall’ astensione dei cattolici nelle elezioni politiche e da nuovi episodi, come l’incameramento da parte dello Stato delle proprietà immobiliari del dicastero vaticano Propaganda Fide, che dette luogo a una lunga vertenza giudiziaria con echi internazionali. Spettava loro, quali appartenenti al ceto elevato, testimoniare con l’attività imprenditoriale l’aiuto che la Chiesa poteva dare contro il pericolo socialista, praticando quella soluzione della «questione sociale» che era fondata sulla funzione mediatrice tra le classi: le superiori con il compito di educare e di dirigere, le inferiori meritandosi, con la docilità, il lavoro e il pane. Un disegno che giustificava sia la benevolenza accordata da papa Pecci al Banco di Roma, i cui azionisti erano membri del patriziato o alle dirette dipendenze del Vaticano, che il finanziamento concesso alla Banca Artistica Operaia, filiazione dell’omonima associazione costituita dai medesimi personaggi con il compito di «promuovere, sovvenire, utilizzare il credito degli artisti e dei piccoli industriali e commercianti».

        Il Banco di Roma era stato fondato nel 1880 da nobili romani che avevano intenzione proprio di sfruttare lo sviluppo urbanistico ed economico di Roma divenuta capitale. Come detto da Lai, il banco aveva la protezione e simpatia del Papa che si appoggiava a tale istituto per i mutui e le attività di speculazione economico-finanziaria. Prosegue Lai:

    Le azioni e le obbligazioni depositate a garanzia dei mutui e la loro gestione avevano costretto Folchi a seguire il mercato mobiliare. Oltre alla giornaliera lettura delle quotazioni della Borsa di Roma egli si avvaleva dei suggerimenti dell’agente di cambio Augusto Pericoli e dell’avvocato Pietro Carini, i quali agivano pure per conto di monsignor Nazareno Marzolini, il «perugino» addetto alle «finanze private» del pontefice. Per questo motivo aveva notato che l’attività dei gruppi finanziari, fino ad allora concentrata sui prestiti pubblici e sugli investimenti ferroviari, cominciava a privilegiare altre attività, in primo luogo gli intensificati lavori edilizi; e s’era accodato alla tendenza. La validità dell’indirizzo, approvato da accorti banchieri come Cerasi, era comprovata dagli utili. «I guadagni erano facili, senza nessun azzardo – annotava Folchi – si guadagnava, dirò così, non volendo.»
    Il monsignore si riferiva ai ragguardevoli profitti connessi all’ espansione urbanistica, avviata sotto il governo papale degli anni Sessanta e sviluppata dalla massiccia immigrazione, nonché dall’impulso della autorità italiane ad ammodernare la capitale, la nascente «Terza Roma». Dapprima l’urbanizzazione ebbe inizio sfruttando gli spazi edificabili all’interno delle mura, dando vita a un nuovo rione, l’Esquilino, poi continuò con l’incorporazione parziale e quindi totale dell’ ampia distesa suburbana, dove si estendevano campi, paludi e qualche casolare, zona chiamata i Prati di Castel Sant’Angelo. Operazioni nelle quali erano stati coinvolti anche membri del patriziato, sospinti dai forti ricavi a prendere parte alla speculazione edilizia a nome proprio o partecipando a combinazioni finanziarie in cui erano presenti capitali italiani e stranieri.

        Iniziava il Sacco Edilizio di Roma con capitali del Nord (il Credito Immobiliare di Torino), con la terra messa a disposizione ai nobili romani, la nobiltà nera creata dai papi nei secoli, nobiltà che si era impadronita di tutte le terre intorno a Roma e che ancora oggi gestisce i peggiori affari e corruzioni edilizie e con la Chiesa dietro a tutto pronta a riscuotere ogni beneficio. I costruttori e gli investitori iniziarono con il porre l’occhio su una parte di Villa Borghese. Leggiamo da Lai:

    La gelosa attenzione delle autorità cittadine per villa Borghese non si estendeva agli adiacenti, famosi giardini dei Boncompagni Ludovisi, per buona parte racchiusi nel tratto delle mura Aureliane da Porta Pinciana all’allora Porta Salara o Salaria. La villa, costruita dal cardinale Ludovico Ludovisi, nipote di papa Gregorio XV, e ingrandita dopo che Ippolita, l’ultima discendente della principesca casata, l’aveva portata in dote ai Boncompagni, era considerata fra le più belle d’Europa. Ma si trovava così a ridosso del centro barocco della città da renderla un’appetibile area edificabile.
    A renderla tale, del resto, provvide lo stesso governo che, nel 1884, avviò una trattativa al fine di costruirvi le sedi della Camera e del Senato e una «aula magna» per le sedute reali. Progetto che non ebbe seguito, deludendo i Boncompagni Ludovisi, i quali, abolito l’obbligo per il primogenito di conservare intatto il patrimonio familiare, erano incerti se spartirsi giardini e fabbricati o vendere ogni cosa e dividere il ricavato. Fu a questo punto che la Generale Immobiliare (società torinese controllata da un forte organismo bancario, il Credito Immobiliare) offrì al principe Rodolfo di lottizzare a proprie spese i terreni, duecentomila metri quadri, provvedendo poi alla vendita delle aree edificabili, i cui ricavi sarebbero stati proporzionalmente divisi tra di loro. Accordi del genere, che addebitavano al Comune lavori stradali, impianti fognari, illuminazione, erano divenuti usuali tra gruppi finanziari del Nord e clericali romani pronti ad accantonare ogni pregiudizio ideologico in cambio di profitti [duecento anni dopo tutto marcia esattamente allo stesso modo, ndr].
    La società torinese impegnata nei lavori di pubblica utilità, che voleva imporre la sua presenza a Roma, lusingò il principe programmando la costruzione di un quartiere residenziale ispirato al Parc Monceau di Parigi: sostituire ai «viali oscuri sagomati da secoli con le forbici, alle radure, boschetti e fontane rimboccanti di calami» palazzine e villini lungo strade prive di negozi. Alla cura architettonica avrebbe badato l’immobiliare, ponendola come condizione nel sovvenzionare gli edifici degli acquirenti dei lotti. Occorreva, però, che tutti gli eredi fossero d’accordo e che il Comune di Roma acconsentisse a una lottizzazione non compresa nel piano regolatore. Fu Ugo Boncompagni Ludovisi a negoziare con lo zio Ignazio, principe di Venosa, e con le tre zie la somma da versare loro; e fu la società immobiliare a superare gli ostacoli posti da un sindaco, il duca Leopoldo Torlonia, nipote del principe Alessandro, che, pur essendo stato eletto dalla maggioranza liberale, non poteva dimenticare né la tradizionale solidarietà del suo ceto né il peso della minoranza clericale, schierata al Campidoglio a favore dei Boncompagni Ludovisi.
    Per di più il principe Rodolfo aveva associato all’impresa il principe Emilio Altieri, comandante delle guardie nobili pontificie, e il fratello del cardinale Theodoli, marchese Gerolamo. Non a caso parecchi mesi prima dell’approvazione comunale del progetto l’Immobiliare aveva messo mano alla rimozione di statue, colonne, piedistalli, vasi, decorazioni e al tracciato delle nuove strade, una delle quali – la più vicina al centro della città – avrebbe preso, nella prima porzione, il nome di Ludovisi e, nella seconda, di Boncompagni per ricordare le due famiglie.

        Questo è solo un esempio, il primo e clamoroso, del modo di operare della speculazione su Roma. Si partì dalla lottizzazione del rione Monti passando poi alla riva destra del Tevere (Prati) e quindi a settentrione del Vaticano, ai Borghi, a Castel Sant’Angelo. Presto anche gli indigeni entrarono in affari costruendo infiniti palazzoni, grigi, tutti uguali. Qualche anno dopo era L’Osservatore Romano (30/31 gennaio 1894), che accortamente Leone XIII aveva acquistato come quotidiano vaticano, a riassumere con queste parole il cosiddetto Risorgimento di Roma:

«1. Vi sono tutt’ora 285 fabbricati nuovi non finiti e che non si possono condurre a termine; 2. Vi sono 40.000 ambienti fra camere ammobiliate e appartamenti vuoti, che sono affittati; 3. Vi sono 700 e più cartellini ed affissi che annunziano liquidazioni, fallimenti, vendite, cessioni, e via discorrendo; 4. Vi sono circa 500 botteghe o chiusi. E siccome nel percorrere le vie di Roma per fare questa inchiesta, ci incontravamo ad ogni piè sospinto in qualche povero che ci chiedeva 1’elemosina, così pensammo che per completare il ‘risorgimento in Roma’ sotto il punto di vista della prosperità materiale ed economica dei romani occorreva una statistica, almeno approssimativa degli accattoni e dei questuanti che in una guisa o nell’altra si aggirano adesso per Roma».

        Questo fermo nell’edilizia romana comportò grosse perdite per le finanze vaticane. Ogni operazione di Folchi era stata sempre autorizzata verbalmente dal Papa che aveva sempre esultato per i lauti guadagni che Folchi gli aveva procurato. Ma quando iniziarono le perdite il colpevole fu trovato in Folchi che venne processato. Ma la stampa libera, anche quella d’oltralpe, capì subito quale era l’andazzo in Vaticano (e quale sarebbe stato nel futuro). Il francese l’Eclaire, dopo aver raccontato la storia ed aver sostenuto che i soldi mancanti erano prestiti sulla fiducia a famiglie nobili romane come i Boncompagni Ludovisi, i Borghese, gli Altieri, i Torlonia, i Del Drago, i Giustiniani Bandini, i Gabrielli, i Salviati, i Pecci (famiglia del Papa), i Theodoli, i Bracceschi, Ferdinado IV ex di Toscana, … (prestiti che il Papa amorevolmente autorizzava ad accordare, ndr), parlava di Folchi come colpevole soltanto di soverchia fiducia, non di malversazione. Il quotidiano francese, più oltre, poteva però scrivere: Un papa che può perdere una cinquantina di milioni non è poi un prigioniero poco invidiabile che dorme sulla paglia. Il denaro che gli giunge da ogni parte del mondo per essere dedicato a vantaggio della religione, serve così poco ai bisogni della Chiesa che si è potuto dissiparlo in speculazioni sbagliate. E vi era anche chi, come la stampa tedesca, insinuava il buon approdo della Chiesa nella capitale d’Italia: L’impegno finanziario di Leone XIII nelle imprese romane testimonia quanto egli fosse fiducioso nella loro bontà e nel prospero avvenire  della capitale del Regno d’Italia. E la questione, che il Papa tentava di addossare a Folchi, non era tanto,  come sostenne il quotidiano del governo italiano la Tribuna, di chi fosse il colpevole ma che i milioni mandati dai credenti non c’erano più

        Un’ultima vicenda che merita di essere ricordata è quella relativa alla legislazione su matrimonio civile e divorzio. Crispi era un deciso anticlericale ma era un politico molto accorto. Sapeva bene che tra la borghesia liberale che sedeva in Parlamento vi erano in maggioranza coloro che erano soddisfatti dell’Unità e non volevano spingere oltre contro la Chiesa anche per la paura di trovarsi contro i contadini aizzati dai parroci che li sottraevano al socialismo. Insomma il governo Crispi fece un’enormità di leggi e di riforme ma quelle definibili anticlericali furono davvero poche. Sulla questione delle unioni matrimoniali già vi erano stati vari fallimenti di due riforme: la prima che voleva il matrimonio civile precedere quello religioso e la seconda relativa all’annoso problema del divorzio. Dopo tentativi tanto timidi quanto infruttuosi che iniziarono nel 1867, si arrivò ad un progetto di legge divorzista presentato dal Ministro della Giustizia Tommaso Villa. Il Villa, tra l’altro, presentò al Parlamento una documentata relazione in cui mostrava che nel 1880 si era avuto mediamente un processo l’anno (la metà tra Napoli e Palermo) per omicidi tra coniugi. Immediatamente scattò la reazione di una delle organizzazioni cattoliche costituite e citata, l’Opera dei Congressi. L’Italia era un Paese di analfabeti in cui vi erano all’incirca 2 milioni e mezzo di elettori. Ebbene l’Opera riuscì in poco tempo a raccogliere oltre due milioni di firme contro il paventato divorzio, firme che raccoglievano anche le volontà di alcuni liberali conservatori. Ciò descrive i livelli paurosi di arretratezza socio-culturale del Paese, arretratezza su cui la Chiesa aveva ed ha sempre buon gioco. In ogni caso del divorzio non si fece più nulla né allora né negli anni seguenti, fino al 1902, quando una nuova proposta, moderatissima che prevedeva il divorzio solo in casi di estrema gravità, fu presentata da Zanardelli. Ancora una volta vi fu la mobilitazione massiccia della Chiesa che raccolse circa 3 milioni e mezzo di firme contrarie con l’evidente conseguenza della morte di quel progetto di legge. Fu Antonio Labriola che descrisse bene in un suo articolo cosa stava avvenendo in Italia. La Chiesa stava rinunciando al potere temporale che vedeva difficilissimo riconquistare e stava cambiando sistema di potere: Con nuova tattica, si misero a rendere clericale la società, e han portato ormai le cose a tal punto, da far credere a molti … che il cattolicesimo sia tutta una cosa sola col temperamento italiano … . Così essi mirano a provare che, senza divenire un partito, e per sole vie indirette, possono arrestare l’azione dello Stato, quando questa tocchi ad Istituti che la Chiesa ha bisogno di padroneggiare. Labriola indicava il modo per superare questa palude che minacciava la crescita civile e sociale del Paese, quello del progresso intellettuale e morale degli italiani.

        Si tenga comunque conto di questa imponente facoltà di mobilitazione della Chiesa per capire come essa sia stata dentro e determinante alla nascita del Fascismo.

UN SANTO PADRE ?

        Alla morte di questo Papa nel 1903 vi fu un conclave che tornò agitato per il veto di Francesco Giuseppe al cardinale favorito per l’elezione, Rampolla. Dopo varie votazioni senza raggiungere il quorum si arrivò all’elezione del cardinale Giuseppe Sarto, con fama di uomo religioso, ma attraverso il grave sospetto di un avvelenamento collettivo dei cardinali in conclave (50 di essi dovettero chiedere medicinali in farmacia nell’ultima notte di conclave). Il cardinale Sarto non voleva essere eletto ma accettò come si accetta una croce ed assunse il nome di Papa Pio X (1903-1914). Il nuovo Papa aveva in comune con Leone XIII solo una cosa, l’uccellagione, quella pratica barbara di catturare gli uccellini, accecarli, in modo che poi cantassero di più ed in modo migliore. Il personaggio era certamente un pio religioso ma anche un presuntuoso che credeva che lo stesso Spirito Santo lo avesse scelto ed un teocrate che credeva più che mai al dogma dell’infallibilità del Papa. Non si era trovato d’accordo in passato con Leone e non per un’apertura maggiore ma perché era più in sintonia con Pio IX. Era infatti un intransigente bigotto conservatore che proibì ai religiosi gli spettacoli teatrali ed alle donne di far parte della Schola cantorum, introdusse l’obbligo di imparare il Catechismo del 1912 con domande e risposte a memoria quando si doveva fare la comunione, che vietò nella musica ecclesiastica l’uso di tamburi, pianoforti e fanfare perché strumenti troppo profani, che permise solo i canti in latino, … insomma un vero reazionario che si muoveva in linea con l’intransigentismo veneto (Ernesto Ragionieri), come veneto era la gran parte del conservatorismo italiano che aveva esordito nell’Opera. Definiva i cattolici liberali (cioè non intransigenti) dei lupi travestiti da agnelli e fuun fiero oppositore del movimento del rinnovamento sociale della democrazia cristiana che prendeva le mosse da Murri. Ai socialisti diceva invece che è conforme all’ordine stabilito da Dio che ci siano, nella società, principi e sudditi, padroni e proletari, ricchi e poveri, sapienti e ignoranti. Insomma talmente estraneo al sentire della popolazione da provocare una ulteriore frattura tra società e Chiesa. Si andava delineando, anche in ambito cattolico, due schieramenti, quello degli antichi e quello dei moderni.

        La maggiore ossessione di questo Papa, in accordo con il rifiuto di ogni avanzamento e novità di tutti i Papi, fu il modernismo in salsa teologica che traeva il nome dalle posizioni dei moderni. La spaccatura emerse nel Congresso del 1903 dell’Opera a Bologna. Per la prima volta si dibatteva non di questioni curiali ma di temi sociali come la partecipazione della donna alla vita sociale e la questione dell’arretratezza del Meridione. In questo Congresso, tra le fila dei modernisti emerse un giovane prete, don Luigi Sturzo che denunciò l’inadeguatezza della Chiesa al Sud, dei preti che facevano solo feste religiose e che erano strenuamente abbarbicati ai signorotti locali, rimpiangendo i bei tempi grassi dei Borbone e fregandosene delle condizioni dei contadini poveri. La reazione di Pio X a questi avvenimenti fu da par suo: pubblicò un motu proprio in cui ribadiva l’intoccabilità della proprietà privata e la dura condanna della lotta di classe, ossessione dei Papi utili idioti del padrone, ma ben remunerati, fino ad oggi. Chi come l’Opera credette di poter camminare sulla via della democrazia cristiana fu smentito da una precisa e dura presa di posizione fatta conoscere attraverso l’Osservatore Romano (19 luglio 1904). E, ad evitare ulteriori equivoci, il Papa sciolse la medesima organizzazione riconducendola sotto la direzione dei vescovi. Anche se ignorante di politica estera, le notizie della separazione tra Stato e Chiesa che provenivano dalla Francia fecero pensare a Pio X che qualcosa di analogo potesse accadere anche nel territorio dove risiedeva il suo gregge. Si disinteressò malauguratamente della Francia dove, mentre Pio X tifava per un anacronistico ritorno alla monarchia alleato con i movimenti più reazionari del Paese, avanzavano leggi molto dure per la Chiesa (1905) occupandosi disgraziatamente (per noi) dell’Italia. Ed in Italia vi era il non voto cattolico ed i socialisti che crescevano ovunque soprattutto al Nord mettendo in minoranza i liberali moderati. Fu Giolitti che, arrivato al potere nel 1903, convinse i cattolici a partecipare al voto proprio per battere i socialisti (il primo esperimento si fece a Bergamo). Ma questa operazione era diretta dalla Chiesa e non rappresentava una crescita autonoma di un partito cattolico come auspicavano Murri e don Sturzo che definirono l’operazione come un partito delle stampelle che schierava la Chiesa con i moderati ed i conservatori contro le richieste ed esigenze popolari.

        Questioni simili ma con esiti del tutto diversi si erano vissute ad esempio con gli Stati Uniti. Già Leone si era rallegrato del fatto che la separazione Stato Chiesa lì realizzata avesse lasciato piena libertà di operare alla Chiesa. Ma, quando i cattolici richiesero questa libertà di operare per loro rispetto alle gerarchie vi fu la pronta mannaia del Papa. Cosa volevano i cattolici statunitensi ? L’esaltazione delle virtù umane, della sincerità, della lealtà, mettendo in second’ordine quelle dell’umiltà, dell’obbedienza, dello spirito di sacrificio. Volevano inoltre che si fosse tolleranti con chi non la pensava esattamente allo stesso modo, che fosse possibile auspicare per sé e gli altri migliori condizioni di vita e di lavoro. Leone avversò tutto ciò con dure condanne, mettendo all’Indice ogni libro che avanzasse tale peccaminose proposte (che avanzavano anche in Francia e Germania). I più avveduti cattolici del mondo cristiano stavano capendo che in questa fase espansiva della società non ci si doveva rinchiudere in un anacronistico Medio Evo. Non era possibile misconoscere ogni novità e mettersi contro ogni scoperta scientifica, come l’Evoluzionismo. Non vi erano in Italia cattolici che attaccassero la Chiesa sui dogmi ma solo persone che richiedevano studi più aperti, la possibilità, ad esempio, di leggere la Bibbia con metodo storico-critico. Su tutto ciò la risposta fu di totale chiusura, sempre più estesa ai diversi temi, da parte di Pio X. La condanna di Pio X fu anticipata dal decreto Lamentabili sane exitu del Sant’Uffizio (l’Inquisizione) del 3 luglio 1907 (in questo decreto si elencano 65 proposizioni che stravolgono la dottrina cattolica pur presentandosi come derivate e fondate sulla stessa dottrina). Venne quindi, l’8 settembre, l’enciclica Pascendi Dominici gregis nella quale il modernismo è definito come il compendio di tutte le eresie ed i modernisti vengono additati come i peggiori nemici della Chiesa (Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond’è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro)(13). Più oltre, nel 1910, si aggiunse il motu proprio Sacrorum antistitum con il quale Pio X impose ai sacerdoti il giuramento antimodernista. Queste encicliche e documenti avevano effetti solo in Italia dove si usarono metodi inquisitoriali e persecutori perché altrove i cattolici si emancipavano in accordo con la loro coscienza. Ed in Italia esse riuscivano a dividere sempre più il Nord dal Centro-Sud, con un Nord molto più aperto verso lo Stato nazionale. Vi fu addirittura il vescovo di Milano, Andrea Ferrari, che molti cattolici del Nord stimavano molto più del Papa e che per questo fu punito dal Papa che non lo ricevette per ben 5 anni. Ma i veri anatemi del Papa caddero su Murri che fu sospeso a divinis e poi scomunicato. Ne approfitterà per sposarsi e successivamente per aderire al Fascismo. Mentre i trattamenti per Murri furono questi, Pio X sosteneva altri movimenti come l’Unione elettorale, che doveva controllare i voti cattolici, diretta da Gentiloni mostrando che era in atto la mutazione della Chiesa dal non expedit ad una alleanza con le forze reazionarie del Paese che erano impegnate contro il socialismo. A partire dal 1913, Giolitti operò una serie di riforme elettorali che in pratica costrinsero al superamento del non expedit. 

        Questo fanatico e stolto che isolò la Chiesa dalle problematiche sociali più urgenti fu fatto santo dai gerarchi che seguirono fors’anche perché costui addirittura era avversario della Rerum novarum perché troppo permissiva. Se ne andò proprio mentre scoppiava quella immane tragedia che fu la Prima Guerra Mondiale, senza che dalla parte del vicario di Cristo fosse detta una sola parola contro la guerra. La Chiesa sarebbe stata obbligata a dirigere i voti controllati ad accordi di ogni tipo con i liberali. Sempre al fine di mettere in minoranza i socialisti. Questo fine fu raggiunto a caro prezzo per lo Stato laico che dopo 50 anni dovette ammettere l’impossibilità di governare l’Italia senza la Chiesa. Le trattative segrete furono porte avanti per parte ecclesiastica da Gentiloni, il Presidente dell’Unione elettorale. Non vi era un partito cattolico ma si decise di dirigere i voti su candidati che avessero sottoscritto i seguenti impegni elettorali:

1) opporsi ad ogni proposta di legge contro istituzioni religiose;

2) non ostacolare l’insegnamento provato;

3) battersi per l’istruzione religiosa nelle scuole pubbliche;

4) respingere qualsiasi legge divorzista;

5) sostenere il diritto delle organizzazioni cattoliche di essere rappresentate nei Consigli di Stato;

6) impegnarsi in riforme erariali e giuridiche graduali per un miglioramento della giustizia sociale;

7) rafforzare le energie morali ed economiche del paese.

        Il Patto Gentiloni fu applicato in 330 collegi elettorali su 508, in quei collegi dove era maggiore il pericolo socialista. La segretezza fu violata da Gentiloni dopo le elezioni quando, per vanità o per assoggettare di più gli eletti agli impegni sottoscritti, fece i nomi degli eletti. Si scoprì che in grande maggioranza erano massoni, cioè nemici mortali della Chiesa. A parte questo inconveniente risultarono 228 su 310 i deputati eletti con il Patto. Ttra questi i veri cattolici contabilizzati furono una sessantina che era già un buon numero per un eventuale partito.

IL PAPA IN GUERRA

        La guerra in atto fece sì che il conclave fosse brevissimo. Si doveva scegliere tra la politica progressista di Leone XIII (sic!) e quella reazionaria di Pio X. Vinse un cardinale che aveva esperienze diplomatiche, indispensabili in quel triste momento. Fu eletto il cardinale  Giacomo della Chiesa che assunse il nome di Papa Benedetto XV (1914-1922). La prima cosa che fece fu il dichiarare la neutralità della Chiesa ma si era ancora in epoca in cui l’Italia non era ancora entrata in conflitto pur essendo alleata di Germania ed Austria. Benedetto poté fare il bel discorso in cu diceva che la guerra nasceva perché gli Stati si erano allontanati dai precetti cristiani (8 settembre 1914), naturalmente queste sciocchezze venivano dette fidando dell’ignoranza o della scarsa memoria degli uditori poiché la Chiesa aveva fatto ed appoggiato tutte le guerre da 1600 anni. Un analogo discorso che aggiungeva il concetto di orrenda carneficina fu pronunciato il 28 luglio 1915, in occasione dell’entrata in guerra dell’Italia. Ed altri ne seguirono. Dal punto di vista pratico vi fu un attivo sostegno a chi soffriva, ai prigionieri, ai malati, alle famiglie. E fece ciò senza chiedersi l’ideologia o la fede della persona aiutata.

        Abrogò poi il non expedit (12 novembre 1919), accettò senza commenti né positivi né negativi il Partito Popolare fondato da Don Sturzo, istituì l’Azione Cattolica che volle fosse separata dalla politica. In definitiva, pur insultato a tutti, questo papa, a prescindere dai predecessori, fu persona degna, certamente in grado di far dimenticare le vergogne dei predecessori.

IL PAPA ED IL FASCISMO

        Il successivo conclave elesse, come compromesso tra progressisti e conservatori, il cardinale di Milano Achille Ratti che assunse il nome di Papa Pio XI (1922-1939). Con lui andrà a soluzione la questione romana e si normalizzeranno i rapporti tra Stato e Chiesa anche se, nel suo programma e neppure nascostamente, vi era il ritorno al potere temporale della Chiesa.

        Pochi mesi dopo la sua elezione, in ottobre vi fu la Marcia su Roma i cui dirigenti non solo avevano avuto ordine di non dare alcun fastidio alla Chiesa ma anche di radunarsi poi in Piazza San Pietro a Roma per manifestare in favore del Papa. L’Osservatore Romano del 29 ottobre dava un apertura di credito a Mussolini dando per buona la sua volontà di istituire un governo con tutti coloro che aspirassero il benessere popolare. Mussolini si muoverà con la Chiesa dettando però le regole. Non vorrà avere a che fare con accordi di base, democratici. Gli interessano accordi di vertice. Non vorrà avere a che fare con il partito Popolare di Don Sturzo che se ne va dall’Italia ma con l’Azione Cattolica (anche se ai preti verrà vietata l’iscrizione a qualsiasi partito), e con le varie Unioni alle dirette dipendenze del Papa. Al Papa tutto questo sta bene perché ridà auge ad un nuovo temporalismo della Chiesa che verrà sancito dai Patti Lateranensi firmati l’11 febbraio 1929. La Chiesa ottiene una infinità di beni materiali e denaro in contante in cambio deve dare il sostegno dei cattolici al Fascismo. La Chiesa rientra in gioco in Italia con molto maggiore potere, nelle scuole, nel matrimonio, in ogni funzione civile che diventa simultaneamente religiosa. Il riconoscimento dell’Italia aprì anche a quello di altri Concordati fatti con altri Paesi del mondo. Al Papa non importa allearsi con i peggiori dittatori anche assassini. Lo farà con Mussolini, con Dollfuss, Horthy, Salzar, Hitler, Franco. Resterà ferreo alleato di Mussolini anche dopo l’assassinio Matteotti ma protesterà, già forte dei riconoscimenti internazionali, quando il Fascismo se la prenderà con l’Azione Cattolica. Lo farà con l’enciclica Non abbiamo bisogno del 5 luglio 1931. Fece ciò, appena qualche settimana dopo aver pubblicato l’enciclica Quadragesimo Anno (15 maggio 1931) dove aveva sostenuto con Mussolini l’impegno comune contro i partiti sovversivi (che avevano i propri rappresentanti o in galera, o esuli o al confino) al quale fine aveva di buon grado rinunciato ai sindacati cattolici, inaugurando ilo connubio clerico-fascista mai terminato in Italia. Nel 1937 vi fu poi una energica protesta contro il Nazismo in una enciclica in tedesco, la Mit Brennender Sorge. In essa si definiva il nazionalsocialismo come paganesimo hitleriano perché erano stati attaccati beni della Chiesa e non si rispettava il Concordato quando non si poteva esercitare in pieno la libertà religiosa, si esaltava la razza ed il sangue, si facevano campagne scandalistiche contro il clero, si limitava la scuola cattolica, si soffocava la stampa. Peccato che gran parte degli italiani vivevano in un paese in cui la stampa era soffocata e non conoscevano il tedesco perché avrebbero così appreso dal Papa cosa pensava del principale alleato di Mussolini. In quello stesso anno scrisse un’altra enciclica questa ben diffusa in Italia. Era la Divini Redemptoris in cui si attaccava frontalmente il Comunismo. Pio XI avrebbe voluto rompere le relazioni diplomatiche con la Germania ma fu trattenuto dal suo Segretario di Stato Pacelli, futuro Pio XII. Siamo in pieno Fascismo e Nazismo con persecuzioni di ogni oppositore. La Chiesa se la prende con il Comunismo. Se qualcuno osservasse che ancora non siamo all’invasione della Polonia, allo scatenamento della Seconda Guerra Mondiale, alle leggi razziali, risponderei che il Fascismo già aveva dato importante mostra di sé in Italia con assalti alle case del Popolo ed alle cooperative anche cattoliche, che le imprese africane con massacro di indigeni erano a buon punto, che il cadavere di Matteotti e vari altri erano già freddi da un pezzo, che l’appellativo di Uomo della Provvidenza assegnato a Mussolini era dello stesso Papa Pio XI, … Nonostante quanto ogni persona con un minimo di conoscenza della storia sa, Pio XI restava alleato ferreo di Mussolini.

        Quando stava per morire sarebbero accadute delle cose che lo avrebbero riscattato. Si usa così in Vaticano che è una vera fabbrica di falsi documenti. Secondo quanto trapelò nel 1959, avrebbe dovuto pronunciare un discorso di condanna contro le violazioni concordatarie in Italia, le persecuzioni razziali in Germania ed i preparativi di guerra in quest’ultimo Paese. Non lo pronunciò perché morì prima anche qui in un mistero, il mistero Tisserant dal nome del cardinale che rivelò la circostanza criminale. Pio XI sarebbe stato fatto uccidere da Mussolini con una iniezione di veleno fattagli dal Dottor Petacci, padre di Claretta, l’amante del Duce. Sembra che Mussolini avesse dito voci che parlavano di una sua scomunica e la cosa gli avrebbe alienato le simpatie di milioni di cattolici in un momento in cui aveva bisogno di 8 milioni di baionette. Articoli di varie testate parlarono di ciò nel 1972.

        Al di là di queste notizie non confermate da documenti vi sono invece delle non azioni di Pio XI su fatti che accaddero durante il suo pontificato e sui quali non disse nulla o cose oscene: la Guerra civile spagnola (1936) e le Leggi razziali in Italia (1938). Sulla Guerra civile in Spagna, scatenata dall’ammutinamento di Francisco Franco al governo legittimo e con l’appoggio di Mussolini ed i bombardamenti di Mussolini (tra cui quello criminale su Barcellona che provocò in un sol giorno 3000 morti) e di Hitler ad esempio su Guernica (e l’intervento di Hitler era stato richiesto anche dalla Chiesa), vi sono delle ispirate parole di Pio XI nell’enciclica citata Divini Redemptoris:

Anche là dove, come nella Nostra carissima Spagna, il flagello comunista non ha avuto ancora il tempo di far sentire tutti gli effetti delle sue teorie, vi si è, in compenso, scatenato purtroppo con una violenza più furibonda. Non si è abbattuta l’una o l’altra chiesa, questo o quel chiostro, ma quando fu possibile si distrusse ogni chiesa e ogni chiostro e qualsiasi traccia di religione cristiana, anche se legata ai più insigni monumenti d’arte e di scienza! Il furore comunista non si è limitato ad uccidere Vescovi e migliaia di sacerdoti, di religiosi e religiose, cercando in modo particolare quelli e quelle che proprio si occupavano con maggior impegno degli operai e dei poveri; ma fece un numero molto maggiore di vittime tra i laici di ogni ceto, che fino al presente vengono, si può dire ogni giorno, trucidati a schiere per il fatto di essere buoni cristiani o almeno contrari all’ateismo comunista. E una tale spaventevole distruzione viene eseguita con un odio, una barbarie e una efferatezza che non si sarebbe creduta possibile nel nostro secolo.

Non vi può essere uomo privato, che pensi saggiamente, né uomo di Stato, consapevole della sua responsabilità, che non rabbrividisca al pensiero che quanto oggi accade in Ispagna non abbia forse a ripetersi domani in altre nazioni civili.

        Naturalmente i cittadini spagnoli che si rivoltarono contro la Chiesa lo fecero perché essa era sempre stata dalla parte degli oppressori, dei latifondisti, dei regnanti, dell’Inquisizione. La Chiesa prese una posizione, come sempre, ottusa facendo seguire un rapido riconoscimento del governo golpista di Franco il 16 maggio 1638, prima della fine della guerra. In Spagna tra i cattolici che difendevano la loro civiltà vi era anche uno squadrista di Bologna che aveva una croce bianca cucita sulla camicia nera. Si trattava di Arconovaldo Bonaccorsi che in Spagna, come ufficiale della milizia, trucidò da due a tre mila civili guadagnandosi il nome di Boia delle Baleari. Giovanni Paolo II beatificherà i martiri franchisti caduti (11 marzo 2001), senza occuparsi minimamente delle migliaia di preti e persone normali caduti da parte repubblicana.

        Questo orrendo conflitto terminò quando era già Papa Pio XII. Egli telegrafò a Franco con queste parole: Levando il nostro cuore a Dio, ringraziamo sinceramente Vostra Eccellenza per la vittoria della Spagna cattolica. E via radio inviò questo messaggio alla nazione spagnola: I disegni della Provvidenza, amatissimi figlioli, si sono manifestati una volta ancora sopra l’eroica Spagna. La nazione eletta da Dio …  ha testé dato ai proseliti dell’ateismo materialista del nostro secolo la più elevata prova che al di sopra di ogni cosa stanno i valori eterni della religione e dello spirito.

        Sulle Leggi razziali(14) il Papa agì puntando di più ed ancora ai suoi interessi di bottega. Non denunciò con la stessa fermezza usata con il governo tedesco il razzismo antiebraico con i sottili distinguo dei Gesuiti che commentando l’orrido Manifesto degli scienziati razzisti, credette allora di rilevarvi una notevole differenza rispetto al razzismo nazista Chi ha presente le tesi del razzismo tedesco, rileverà la notevole differenza di quelle proposte da questo gruppo di studiosi fascisti italiani. Questo confermerebbe che il fascismo italiano non vuol confondersi col nazismo o razzismo tedesco intrinsecamente ed esplicitamente materialistico ed anticristiano. Così i Gesuitisempre più svergognati su La Civiltà Cattolica del 1938 (fasc. 2115, pp. 277–278). Ed il Papa era allegramente su questa posizione preoccupato di ottenere dal governo le garanzie per gli ebrei convertiti e per la libertà dei matrimoni razzialmente misti. Vi era però una rimostranza che le gerarchie facevano (sempre in segreto) al governo fascista e riguardava l’attacco agli ebrei che aveva scelto la via della razza e non quello della religione. Vi furono prese di posizione non pubbliche sulla questione come una lettera di Pio XI a Vittorio Emanuele III ma, di fronte a Mussolini che minacciava, si preferì non disturbare troppo e si scelse il pubblico silenzio. Questo seguirà anche con il degno Pio XII che pur sapendo dell’esistenza di campi di concentramento fascisti in Italia, non dirà mai nulla.

        E pensare che quelle leggi furono auspicate da un tal Padre Agostino Gemelli, Rettore dell’Università Cattolica e Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, che firmò il Manifesto degli scienziati razzisti e dopo averlo fatto scrisse: Tragica senza dubbio, e dolorosa la situazione di coloro che non possono far parte, e per il loro sangue e per la loro religione, di questa magnifica patria; tragica situazione in cui vediamo una volta di più, come molte altre nei secoli, attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sé e per la quale va ramingo per il mondo, incapace di trovare la pace di una patria, mentre le conseguenze dell’orribile delitto lo perseguitano ovunque e in ogni tempo. E che fece mostra del suo antisemitismo scrivendo nell’agosto del 1924 in Vita e Pensiero, rivista dell’Università Cattolica  di Milano, vero punto d’incontro tra Chiesa e Fascismo: Un ebreo, professore di scuole medie, gran filosofo, grande socialista, Felice Momigliano, è morto suicida. I giornalisti senza spina dorsale hanno scritto necrologi piagnucolosi. Qualcuno ha accennato che era il Rettore dell’Università Mazziniana. Qualche altro ha ricordato che era un positivista in ritardo. Ma se insieme con il Positivismo, il Socialismo, il Libero Pensiero, e con il Momigliano morissero tutti i Giudei che continuano l’opera dei Giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio? Sarebbe una liberazione, ancora più completa se, prima di morire, pentiti, chiedessero l’acqua del Battesimo. Questo prete criminale  visse felice e contento tra le braccia di Santa Madre Chiesa e nessuno gli disse mai nulla, nessuno lo rimproverò, nessuno lo cacciò. E’ un eroe della Chiesa che gli dedica anche un grande ospedale a Roma ma che paghiamo noi, cittadini italiani, senza vergogna per i governi del nostro Paese. Seguì la sua infausta carriera anche e soprattutto con Pio XII.

IL PAPA AMICO DI FASCISMO E NAZIFASCISMO 

        Con la guerra che era alle porte si elesse subito il nuovo Papa nella persona del cardinale Eugenio Pacelli che assunse il nome di Papa Pio XII (1939-1958). Era il cardinale preferito dal Terzo Reich. Prima di diventare Segretario di Stato nel 1930, Pacelli era stato nunzio in Germania dal 1917 al 1929 e, tra gli altri concordati, fece quello con la Germania di Hitler, il Reichskonkordat, il 20 luglio 1933, concordato che dava credibilità internazionale al regime di quel pazzo già noto nel mondo e che già aveva messo fuori legge il partito cattolico tedesco, il  Zentrumspartei.

        Nell’aprile del 1939, subito dopo la sua elezione, con l’infinità di problemi in sospeso ed impellenti, fu cura di Pio XII far togliere dall’Indice i libri del fascista Maurras di Action Française (organizzazione molto apprezzata dai cattolici di destra francesi), vecchio amore di Pio X, che erano smaccatamente antisemiti oltreché anticomunisti.

        Il discorso sulla Guerra Mondiale e sui silenzi di Pio XII sarebbe lungo per la quantità di episodi da citare. Mi limiterò a cose essenziali. Intanto funzionavano in tutte le nunziature ed anche in collegi soprattutto di Gesuiti delle organizzazioni di preti che lavoravano per la propaganda antisovietica (si pensi al Russicum a Roma). Ciò serve per capire che nella mente di Pio XII vi era il raggiungimento dell’obiettivo primario: la distruzione della Russia Sovietica. Ogni azione quindi del Terzo Reich era vista in questa ottica ed in questa ottica, al di là di flebili voci mai chiare, non potevano esservi condanne nette. Già quando il 23 agosto del 1939 Hitler e Stalin annunciarono la spartizione della Polonia vi fu l’accorato appello dell’ambasciatore francese presso la Santa Sede a chiedere la condanna di quella operazione, anche perché la Polonia era un Paese cattolico. Il Papa rispose che non era il caso di condannare perché in tal modo si sarebbero incoraggiati gli aggressori. Quando, dopo le più diverse sollecitazioni, il 20 ottobre del 1939 si decise a scrivere in proposito un’enciclica, la Summi Pontificatus, fu vago sugli invasori della Polonia e non li citò direttamente. Parlò di statolatria delle dittature. A posteriori sappiamo che non avrebbe avuto problemi a denunciare il comunismo sovietico se fosse stato il solo ad invadere la Polonia. Ma vi era anche Hitler e non si poteva mettere in un calderone con i comunisti. Qui inizia ciò che va sotto il nome di silenzi di Pio XII. Lo stesso Osservatore Romano in una edizione speciale del 13 dicembre 1981 scrisse: “è vero che Pio XII, accusato di essere ‘un Papa diplomatico’, non esercitò ‘la grande diplomazia’. Non fece un appello ai belligeranti per la cessazione della guerra, come aveva fatto Benedetto XV nell’agosto 1917, non bandì crociate, non lanciò scomuniche, né  pronunziò quella solenne, clamorosa ‘denuncia’, con l’elenco dei crimini e dei criminali nazisti, richiestagli da Hochhuth nel dramma Il Vicario“. Ma vi è di più, vi è addirittura la sua testimonianza contro se stesso. Dopo che l’ambasciatore italiano Alfieri tornò nel maggio 1940 da Varsavia e riferì delle crudeltà viste Pio XII ebbe a dire: Dovremmo dire parole di fuoco contro simili cose e solo cin trattiene dal farlo il sapere che renderemmo la condizione di quegli infelici, se parlassimo, più dura. Era passato un anno da quando di fronte ad eventi drammatici disse le stesse cose e il Vicario di Cristo continuava incoscientemente, colpevolmente e in atteggiamento complice a dire le stesse stupide cose. Inoltre, cos’è più duro dello sterminio ? Cosa della deportazione di bambini, donne, anziani ? Cosa di più di vedere le proprie figlie deportate dalla Cecoslovacchia, perché ebree, in case in cui divenivano le prostitute dei soldati del Reich ? Pio XII era incapace di intendere e di volere o era complice ? Non aveva informazioni ? Ma scherziamo ? Grazie alle relazioni particolari, a devoti che per fede si farebbero uccidere, ai curati con diffusione capillare che  ascoltano informazione da fedeli sparsi ovunque nel territorio, ad un semplice sistema di trasmissione di notizie semplice e rapido, i Papi sono tra i politici più informati al mondo. La sciocchezza della disinformazione fu tirata in ballo dagli sciocchi servi docili al fine di giustificare dopo la guerra. Si scomponeva l’alto prelato solo quando era in gioco la Chiesa, la politica religiosa, il concordato. Non si scompose per i campi di concentramento in Germania, per il disprezzo brutale di ogni diritto umano, per lo sterminio di liberali, socialisti e comunisti, per quello degli ebrei, dei gitani, degli infermi mentali, degli intellettuali, … tutto questo lo lasciò indifferente perché era solo preoccupato delle offese di Hitler alla Chiesa. Se la Polonia veniva distrutta era fatto meno grave di qualche sacerdote polacco ammazzato. Ogni nota di protesta al governo del Reich era sempre e solo una rivendicazione della libertà della Chiesa e solo di quella cattolica. Un cattolico polacco scrisse al Papa queste parole: Le chiese sono profanate o chiuse; i fedeli sono decimati; le funzioni religiose sono cessate nella gran parte delle chiese; i vescovi sono cacciati; centinaia di sacerdoti sono assassinati o imprigionati; le suore sono violentate; non passa giorno senza fucilazioni di ostaggi innocenti davanti agli occhi dei propri figli. La popolazione è privata degli elementi indispensabili per sopravvivere e perché non muoia di fame: ed il Papa sta zitto come se si disinteressasse del suo gregge. E questi sentimenti erano ripresi continuamente dalla stampa clandestina polacca (Wie’s i Miasto) dove Pio XII è definito come un semplice vescovo italiano seguace di Mussolini. Un altro giornale clandestino cattolico, Glos Pracy, così scriveva il 15 agosto 1943: Il Papa è commosso per la sorte della Polonia, ma non si è udita una sola sua parola di condanna della condotta degli invasori. Le dichiarazioni ingenue furono inventate dagli incaricati d’affari del Vaticano. La vera condotta di Pio XII … era quella dell’ardente sostenitore della politica dell’asse. Politicamente, Pio XII si è allineato con l’Italia di Mussolini e di conseguenza con i nazisti. Riporto un’ultima citazione da altra stampa clandestina e lo faccio relativamente alla Polonia per i maggiori disastri in quel Paese e perché era nella quasi totalità cattolico da secoli. Il Wólnosc scriveva il 6 aprile 1943: Quando le bombe distruggevano le città polacche … il Vaticano, verso il quale tutti dirigevano i loro occhi, stette i9n silenzio come se non sapesse ciò che accadeva in Polonia, Danimarca, Belgio,  Olanda, Francia, Norvegia, Grecia, Yugoslavia, … Il Vaticano si chiuse in un silenzio tenace ed i vescovi italiani consacravano gli stendardi fascisti e benedicevano i soldati nazisti che, diretti in Africa, visitavano il Vaticano. Mi fermo qui, anche se la lista è lunghissima e riguarda solo voci di cattolici. Sulla drammatica verità di quanto letto vi è ancora la testimonianza dello sciocco Papa su se stesso quando nel 1943 confessò ad un agente del servizio segreto tedesco che portiamo da sempre il popolo tedesco nel profondo del nostro cuore e che è questo popolo, tanto provato dal dolore, quello che esige, prima di qualunque altra nazione, i nostri speciali sentimenti di affetto e solidarietà. Insomma un essere indegno come uomo e schifoso come Vicario di Cristo.

        Strettamente connessa alla guerra merita un cenno anche l’altra questione, quella ancora del silenzio di questo Papa criminale quando vi fu la rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine a Roma, la città della quel un Papa è vescovo ed in quanto vescovo di questa città è Papa della cristianità. La prima reazione a chi gi chiedeva un qualche intervento prima che la strage fosse consumata fu il solito osceno non sapere. Ma poi fu informato dal suo cameriere segreto e cappellano al carcere romano di Regina Coeli, il cardinale Nasalli Rocca. Costui venne a sapere cosa stava accadendo nella notte tra il 24 ed il 25 marzo 1944 e riferì immediatamente tutto al Papa. Il Santo Padre, dopo aver detto che non poteva crederci, inviò il prete Pancrazio Pfeifter, che teneva i rapporti tra occupanti e Vaticano, a chiedere clemenza al comando tedesco. Vi fu una risposta in stile nazista, del tipo che occorreva ringraziare Dio che si era moltiplicato solo per 10 e non per 100 le persone da giustiziare in rappresaglia. Fine della storia. E dov’è il Papa ? dov’è la persona che non scende per strada a gridare contro questa mattanza crudele ? perché qui non gridare al mondo l’orrore del nazismo ? Opportunismo e basta ! Sopravvivere e basta ! Una Chiesa che serve solo ai gerarchi per ingrassarsi alla faccia dei fedeli. Aveva ragione Leone X, la favola di Gesù è stata una vera pacchia per il clero.

        E pensare che anche i preti, quelli in prima linea e senza le babbucce, morivano ammazzati dalla furia nazista e fascista.

        Ma ormai la guerra finiva ed il Papa, dopo di essa poté esercitarsi a parlare. A lanciare invettive, come no ?, contro i comunisti che impedivano la libertà religiosa nei Paesi che l’URSS inserì nella sua orbita. Come spiegare agli allocchi che lo sono stati a sentire che quei Paesi erano alleati dei nazisti, che inviarono truppe ad invadere l’URSS, che furono complici del massacro di 21 milioni di sovietici (a fronte, ad esempio, degli USA che, su tutti i fronti, ebbero meno di 300 mila morti e degli eroici connazionali che, pur avendo contribuito a scatenare la guerra, ebbero solo 400 mila morti), e che per buon peso, su questi crimini, come già detto, non vi fu mai una parola della Chiesa perché quando si ammazzano i comunisti va tutto per il meglio. Alla fine di questa vicenda i cattivi sono stati i comunisti, scomunicati come vedremo, di fronte alla splendida immagine di Fascismo e Nazismo.

        E così, dalla fine della guerra fino alla fine del pontificato, Pio XII poté esercitarsi in una campagna anticomunista ed antimarxista con Anni Santi, con il Dogma dell’Assunta, con oculate canonizzazioni, con l’Anno Mariano, con il becero intervento in politica tramite Padre Riccardo Lombardi (il microfono di Dio) che con Luigi Gedda ed Enrico Medi (un indegno fisico) costruirono i Comitati Civici, una sorta di appendice Post Fascista. Inutile dire che nel suo Reich questo Papa non prese neppure in considerazione dei laici oculati e pronti a comprendere la realtà del dopoguerra ed il bisogno di pacificazione. Personalità come La Pira e Dossetti furono relegate ai margini della Chiesa.

        Non entrerò nella polemica su Pio XII accondiscendente con le deportazioni di ebrei a sua conoscenza. Certo è che non risultano documenti in cui egli abbia detto una sola parola su, ad esempio, Fossoli. Il fatto che migliaia di cattolici, tra cui moltissimi parroci, abbiano salvato materialmente molti ebrei è certamente vero ma in questa operazione la Chiesa ufficiale, quella del Papa non c’entrò che molto marginalmente. Ma neppure disse qualcosa in termini di carità cristiana sulle migliaia di antifascisti al confino o in galera. Era il Papa migliore che il Nazifascismo potesse desiderare.

        Finita la guerra si schierò sfacciatamente con la Democrazia Cristiana contro il Fronte Popolare favorendo la vittoria della peggiore reazione. Tentò anche di convincere De Gasperi di schierarsi con i partiti dell’estrema destra, praticamente i fascisti in abito differente, ma De Gasperi rifiutò. Il suo gesto più odioso, che rese la Chiesa ridicola di fronte al mondo, fu la scomunica di tutti i comunisti . Si sta parlando di milioni di persone che in Italia erano credenti ma aspiravano a condizioni di lavoro e vita migliori. Scomunicati da un Papa indegno che entra a pieno diritto nella classifica dei criminali della Chiesa. Anche per l’operato che egli coprì in silenzio durante il suo pontificato: l’aiuto fattivo ai criminali nazisti di mettersi in salvo in Argentina e Brasile con falsi passaporti. E’ la storia di Ratlines, la linea di fuga dei topi (letteralmente la corda che unisce una nave al molo) nota anche come Odessa. Si era costituita una rete di alti prelati che fornivano passaporti della Croce Rossa ai ricercati per crimini contro l’umanità. Uno dei porti in cui i criminali nazisti imbarcavano era Genova ed uno dei più attivi organizzatori delle fughe era monsignor Montini, futuro Paolo VI.

        Dal punto di vista strettamente dottrinale indicò ai giovani sposi la Sacra Famiglia come modello da imitare. Ma questa, a rifletterci sembra una boutade di un buontempone. La donna deve essere vergine ed avere un impianto eterologo per avere un figlio. L’uomo deve essere un padre putativo e basta. Tutto contro natura per maggiore gloria di Gesù.

        Nel 1958 questo infame e perfido Papa se ne andò lasciando, oltre ad un incredibile tanfo intorno alla sua salma, un qualche rimpianto solo nell’estrema destra italiana.

PAPI DECENTI

            Il conclave che seguì fu dominato da Pio XII per l’impronta nefasta che aveva lasciato sulla Chiesa. Venne invece eletto, inaspettatamente, un vecchio grassoccio con il viso bonario, il cardinale Angelo Roncalli che assunse il nome di Papa Giovanni XXIII (1958-1963) che, ricordo, era il nome di un antipapa. Dopo il buio pesto finalmente della luce, un Papa che piacque anche a me, ateo impenitente. Mi commosse il suo discorso in cui chiese a chi stava in Piazza San Pietro di tornare a casa e dare una carezza ai bambini. Ci vuole poco per iniziare un’opera pastorale che si avvicini a quella di essere Vicario di Cristo e questo Papa riuscì ad essere persona stimata ed apprezzata anche dai non credenti.

        Fu un uomo che lavorò molto in ambito religioso ed a suo grande merito va la convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano II (sulla cui convocazione pensava già Pio XII, ma chissà a quali fini) che fu una vera rivoluzione per la Chiesa, rivoluzione ancora oggi mal digerita da molti cattolici come da Papa Ratzinger, attualmente sul trono di Pietro. Secondo molti critici, con Papa Giovanni la Chiesa si incamminò verso una nuova era, verso la secolarizzazione, verso la democrazia, verso il mondo moderno, verso la borghesia, verso il pluralismo. E’ inutile aggiungere altro a parte il fatto che purtroppo il suo regno durò solo 5 anni e che il Concilio da lui aperto e chiuso in prima sessione sarà proseguito dal suo successore Paolo VI.

        Durante il suo pontificato vi furono importanti svolte politiche in Italia, la nascita del centrosinistra con una apertura in tal senso, verso la sinistra cioè di Papa Giovanni. Ma ciò non tragga in inganno. Non si confonda la rivoluzione nella Chiesa con un cambiamento ideologico di un Papa. Egli restò sempre un conservatore un avversario della sinistra ed un anticomunista. Ma era persona che capiva alcune necessità del suo tempo e ad esse aderiva pur con tutte le remore di un conservatore in politica. Riflessi di quanto dico si trovano nelle due encicliche che scrisse, la Mater et Magistra e la Pacem in Terris. Nella prima difese la religione contro coloro che negano Dio e con appena qualche passo avanti rispetto a Pio XII, mantenne le posizioni note della Chiesa, quelle di Leone XIII e di Pio XI. Certo risultava facile impressionare chi di Chiesa non si era mai occupato con giri retorici, frasi altisonanti, con affermazioni del tutto generali e prive di contenuto reale, richiami alla giustizi, all’umanità, all’amore del prossimo. Affermava che la questione sociale non si limita alla condizione operaia ma a molti altri aspetti che determinano le discriminazioni economiche. Occorre che i cattolici comprendano a fondo la dottrina sociale della Chiesa. E, come si vede, si ritorna qui ad un passato che vede la bontà del padrone alla base dell’emancipazione operaia. Nella Pacem in Terris, giudicata come il testamento di Papa Giovanni, vi era un tentativo di cercare un qualche dialogo con i comunisti sul tema della lotta per la pace (occorre ricordare che nel 1962, in occasione della crisi di Cuba, il Papa scriisse lettere accorate alle parti in causa). L’enciclica fece scalpore ad Est dove venne citata più volte mentre venne criticata negli USA dove si parlò di sogni utopici di un Papa che sognava il disarmo universale e di un Papa che si avvicinava troppo alle posizioni dell’URSS. Ma, anche in questa enciclica, insieme alla condanna del colonialismo e dell’imperialismo, si sosteneva che la massima autorità proviene solo da Dio e si condannava ogni limitazione della libertà, ogni abuso di potere. Nel fondo Papa Giovanni negava ai Paesi comunisti il diritto e l’autorità mentre attribuiva alla sua Chiesa il diritto ed il dovere … di esercitare la sua autorità sopra i suoi figli intervenendo nei suoi affari esterni ogni volta che si fosse richiesto il suo giudizio sull’applicazione pratica della sua dottrina.

        Dopo il terremoto di Giovanni XXIII la Chiesa non poteva seguire come se nulla fosse e, d’altra parte, la fazione conservatrice e filofascista scalpitava anche temendo scismi. L’elezione fu difficile e ricadde sul cardinale Giovanni Battista Montini, un collaboratore per 20 anni di Pio XII, che assunse il nome di Papa Paolo VI (1963-1978). A questa persona ricadeva il compito di proseguire sulla via del Concilio e Paolo VI lo fece ma diluendo un poco le speranze iniziali guidandolo in modo da rassicurare i conservatori. Già quando da cardinale si recava all’assemblea conciliare partendo da Milano, decretò la chiusura del periodico cattolico progressista Adesso diretto da Don Primo Mazzolari perché troppo critico con le gerarchie e perché mostrava una apertura rivoluzionaria ai laici. Stesso atteggiamento mantenne da Papa con le ACLI di Gabaglio che manifestavano aperture verso i socialisti.

        Nel Concilio i conservatori sono in minoranza ma Paolo VI lavorerà per non far passare varie cose a loro non gradite, come ad esempio la collegialità dei vescovi che egli sottolinea dipendere sempre dal Papa, come sul celibato dei preti, come sul controllo delle nascite,… Vi sono insomma argomenti sui quali non lascia decidere il Concilio ma se li assume come suoi. Dipende anche da lui il fatto di importanza enorme come l’abrogazione dell’Indice che aveva carattere inquisitoriale, anche se lo sostituisce con la Congregazione per la dottrina della fede che avrà finalità analoghe ma non inquisitoriali. Per far contenta la maggioranza introdurrà il Sinodo dei vescovi ma con un ruolo meramente consultivo. Alla fine il Concilio di Paolo VI riformerà a metà non transigendo sull’autorità del Pontefice e sui dogmi. Nonostante queste limitazioni dal Concilio che si chiude l’8 dicembre 1965 esce una Chiesa rinnovata. Le modifiche liturgiche più appariscenti riguardano la messa detta nelle lingue nazionali e una limitazione del culto della Madonna che era (?) diventato trasbordante. La parte più interessante e nuova è il dialogo aperto sia con altre religioni che con non credenti. I suoi viaggi all’estero daranno testimonianza della sua voglia di dialogo in una posizione di neutralità. E così esorterà i potenti per la pace nel Viet Nam e scriverà  messaggi per il Capodanno 1966 ad Hanoi, Saigon, Mosca e Pechino.

        Nel 1967 vedrà la luce una sua importante enciclica, la Popolorum Progressio che è un deciso superamento della dottrina sociale della Chiesa. Qui la Chiesa risulta impegnata in mezzo alla gente in una sorta di teologia della liberazione che incoraggia a reagire contro i soprusi e le sopraffazioni in nome di Dio. Da questa enciclica prenderanno spunto vivificatore tanti cattolici latino americani che, insieme a movimenti di natura marxista, inizieranno la lunga via della loro liberazione. E poiché iniziano gli anni della contestazione in tutto il mondo, Paolo VI si sentirà obbligato a correggere il tiro della sua enciclica e di altre aperture. Nell’enciclica Sacerdotalis coelibatus del 1967, si ritornava praticamente indietro su ogni questione che aveva visto il Concilio disponibile, anche sul dialogo con altre confessioni (Ginevra 1969). La Popolorum Progressio sarà ridiscussa a Bogotà nel 1968 con l’affermazione che l’arma per vincere le ingiustizie è la carità e non la violenza. E più oltre con la marcia indietro dell’Humanae vitae del 1968 in cui si ribaltavano le deliberazioni conciliari favorevoli al controllo delle nascite ed all’uso di anticoncezionali. Si cominciava a capire che questo Papa non era capace di uscire dal solco millenario dell’assolutismo della tradizione conservatrice e da questo momento non era più un Papa che viaggiava come pellegrino ma solo come turista. Non attirava più le genti, anzi alcuni giovani lo presero a sassate a Cagliari (1970).

        Fu anche molto grave la sua ingerenza con la Commissione parlamentare del Parlamento italiano che discuteva la costituzionalità della legge sul divorzio. E di queste ingerenze ne avevamo avute e ne abbiamo con sempre maggior frequenza per governi imbelli che non traggono più la loro legittimità dagli elettori ma da manovre indegne di potere con incoffessabili scambi. E non finì con questa intergerenza perché sul divorzio la Chiesa si schierò apertamente nel Referendum sul divorzio del 1974. Il Referendum era stato chiesto dalla parte più retriva dei cattolici e Paolo VI violò qui il principio della separazione tra Stato e Chiesa. Un conto è predicare e dire che la Chiesa è contro il divorzio, un conto è farsi parte attiva in una campagna elettorale con tutti i pulpiti impegnati.

        Poi arrivò il Giubileo del 1975 con la vergogna delle benedizioni per posta al modico prezzo di 2000 lire. Un tonfo, una vergogna che però rispondeva bene al progressivo allontanamento, che per fortuna continua inesorabile, dei fedeli dalla Chiesa.

        Con il suo offrirsi in cambio di Moro alle Brigate Rosse, chiuse la sua vita con un gesto apprezzabile ma ormai inutile per riprendere credibilità(15).

        Alla morte di Paolo VI un conclave con tre correnti: progressista, tradizionalista e centrista quella che si ispirava al Papa defunto. Nessuna corrente aveva un quorum a priori e così, anche qui, uscì eletto una personalità inaspettata, il cardinale Albino Luciani, che assunse il nome di Papa Giovanni Paolo I (1978), con l’intenzione di indicare il suo programma, quello di voler proseguire la politica dei due suoi predecessori. Ma durò 33 giorni e sulla sua morte sorsero fortissimi dubbi di avvelenamento ed i motivi vi erano tutti.

I BANCHIERI DI DIO

        Quando fu eletto Papa Luciani vi furono molti scontenti ma il più scontento di tutti fu monsignor Marcinkus che fino all’ultimo istante aveva sperato nell’elezione del candidato Giuseppe Siri. La vicenda, ancora molto oscura, la racconta Ardagna:

Ma chi era questo Marcinkus? Era una delle pedine fondamentali di quella partita a scacchi che da anni si giocava fra Vaticano e grandi banche e che metteva in palio la possibilità di vedere il proprio capitale aumentare sempre di più. Marcinkus era il più alto in grado all’interno dello I.O.R., l’Istituto per le Opere Religiose. Egli intuì immediatamente i pericoli dell’elezione di questo pontefice che, sin dai suoi primi discorsi, aveva lasciato chiaramente intendere di voler far tornare la chiesa cattolica a quegli ideali di carità cristiana propri del primo cattolicesimo, rinunciando alle ricchezze superflue che troppo avevano distolto gli uomini di chiesa dai propri sacri compiti. Figuratevi il capo della banca vaticana come avrebbe mai potuto vedere un tipo del genere sul più alto gradino del proprio stato …

Marcinkus diceva ai suoi colleghi: «Questo Papa non è come quello di prima, vedrete che le cose cambieranno».
Su due punti Luciani sembrava irremovibile: l’iscrizione degli ecclesiastici alla massoneria, e l’uso del denaro della chiesa alla stregua di una banca qualunque. E l’irritazione del Papa peggiorava al solo sentire nominare personaggi come Calvi e Sindona dei quali aveva saputo qualcosa facendo discrete indagini.
In coincidenza con l’elezione di Luciani venne pubblicato un elenco di 131 ecclesiastici iscritti alla massoneria, buona parte dei quali, erano del Vaticano. La lista era stata diffusa da un piccolo periodico «O.P. Osservatore Politico» di quel Mino Pecorelli destinato a scomparire un anno dopo l’elezione di Albino Luciani in circostanze mai chiarite [anche se nell’assassinio fu implicato, anche se assolto, Giulio Andreotti, ndr]. Secondo molti, O.P. era una sorta di «strumento di comunicazione» adoperato dai servizi segreti italiani per far arrivare messaggi all’ambiente politico. Pecorelli, tra l’altro, era legato a filo doppio con Gelli come lo erano Sindona e Calvi.
Ma, tornando alla lista ecclesiastico-massonica, questa comprendeva, fra gli altri, i nomi di: Jean Villot (Segretario di Stato, matr. 041/3, iniziato a Zurigo il 6/8/66, nome in codice Jeanni), Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano, matr. 41/076, 28/9/57, Casa), Paul Marcinkus (43/649, 21/8/67, Marpa), il vicedirettore de «L’osservatore Romano» don Virgilio Levi (241/3, 4/7/58, Vile), Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana, 42/58, 21/6/57, Turo).

Di Albino Luciani cominciò a circolare per la curia l’immagine di uomo poco adatto all’incarico, troppo «puro di cuore», troppo semplice per la complessità dell’apparato che doveva governare.
La morte subitanea, dopo trentatre giorni di pontificato, suscitò incredulità e stupore, sentimenti accresciuti dalle titubanze del Vaticano nello spiegare il come, il quando ed il perché dell’evento. In questo modo, l’incredulità diventò prima dubbio e poi sospetto. Era morto o l’avevano ucciso?
Fu detto all’inizio che Luciani era stato trovato morto con in mano il libro «l’imitazione di Cristo», successivamente il libro si trasformò in fogli di appunti, quindi in un discorso da tenere ai gesuiti ed infine, qualche versione ufficiosa volle che tra le sue mani ci fosse l’elenco delle nomine che il Papa intendeva rendere pubbliche il giorno dopo.

Dapprima, l’ora della morte fu fissata verso le 23 e, quindi, posticipata alle 4 del mattino. Secondo le prime informazioni, il corpo senza vita era stato trovato da uno dei segretari personali del Papa, dopo circolò la voce che a scoprirlo fosse stata una delle suore che lo assistevano. C’erano veramente motivi per credere che qualcosa non andasse per il verso giusto.

Qualcuno insinuò che forse sarebbe stato il caso di eseguire un’autopsia e questa voce, dapprima sussurrata, arrivò ad essere gridata dalla stampa italiana e da una parte del clero. Naturalmente l’autopsia non venne mai eseguita ed i dubbi permangono ancora oggi.

Di questo argomento si occuperà approfonditamente l’inglese David Yallop, convinto della morte violenta di Giovanni Paolo I.

Il libro dello scrittore inglese passa in rassegna tutti gli elementi di quel fatidico 1978 fino a sospettare sei persone dell’omicidio di Albino Luciani: il Segretario di Stato Jean Villot, il cardinale di Chicago John Cody, il presidente dello I.O.R. Marcinkus, il banchiere Michele Sindona, il banchiere Roberto Calvi e Licio Gelli maestro venerabile della Loggia P2.
Secondo Yallop, Gelli decise l’assassinio, Sindona e Calvi avevano buone ragioni per desiderare la morte del Papa ed avevano le capacità ed i mezzi per organizzarlo, Marcinkus sarebbe stato il catalizzatore dell’operazione mentre Cody (strettamente legato a Marcinkus) era assenziente in quanto Luciani era intenzionato ad esonerarlo dalla sede di Chicago perché per motivi finanziari si era attirato le attenzioni non solo della sua chiesa ma addirittura della giustizia cittadina e della corte federale. Villot, infine, avrebbe facilitato materialmente l’operazione.
La ricostruzione fatta da Yallop degli affari di Sindona, di Calvi, di Gelli e dello I.O.R., conduce inevitabilmente all’eliminazione del Papa.
Tuttavia la ricostruzione dello scrittore inglese pone alcuni problemi, primo fra tutti la netta sensazione che, in alcuni passi della ricostruzione, gli episodi, le date e le circostanze, tendano ad «esser fatte coincidere» troppo forzatamente.

Tuttavia il lavoro investigativo di Yallop è comunque buono e non si può non tener conto del lavoro dell’inglese soprattutto considerando il fatto che troppi sono i dubbi inerenti le ultime ore di vita del Papa.

Perché e soprattutto chi ha fatto sparire dalla camera del Papa i suoi oggetti personali? Dalla stanza di Luciani scompariranno gli occhiali, le pantofole, degli appunti ed il flacone del medicinale Efortil. La prima autorità di rango ad entrare nella stanza del defunto fu proprio Villot, accompagnato da suor Vincenza (la stessa che ogni mattina portava una tazzina di caffè al Papa) che verosimilmente fu l’autrice materiale di quella sottrazione.

Perché la donna si sarebbe adoperata con tanta solerzia per far sparire gli oggetti personali di Luciani? Perché quegli oggetti dovevano sparire?

Domande destinate a restare senza risposta anche in considerazione del fatto che la diretta interessata è passata a miglior vita.
Una curiosità per chiudere l’argomento: sulla scrivania di Luciani fu trovata una copia del settimanale «Il mondo» aperta su di un’inchiesta che il periodico stava conducendo dal titolo: «Santità…è giusto?» che trattava, sotto forma di lettera aperta al pontefice, il tema delle esportazioni e delle operazioni finanziarie della banca Vaticana. «E’ giusto…» recita l’articolo «…che il Vaticano operi sui mercati di tutto il mondo come un normale speculatore? E’ giusto che abbia una banca con la quale favorisce di fatto l’esportazione di capitali e l’evasione fiscale di italiani?».

        Lo IOR, la Banca Vaticana, divenne parte integrante dei numerosi programmi papali e mafiosi per il riciclaggio del denaro, in cui era difficile determinare dove finiva l’opera del Vaticano e dove cominciava quella della mafia. Il Banco Ambrosiano dei Calvi e numerose società fantasma dirette dallo IOR di Panama e del Lussemburgo presero il controllo degli affari bancari italiani ed ebbero la funzione di canale sotterraneo per il flusso di fondi verso l’Europa dell’Est, in appoggio all’Unione nazionale anticomunista. Marcinkus, capo dello IOR, fu Direttore del Banco Ambrosiano (a Nassau e alle Bahamas), ed esisteva una stretta relazione personale e bancaria fra Calvi e Marcinkus. Sfortunatamente, molti di quelli coinvolti non erano solo collegati alla mafia, ma erano anche membri della famigerata loggia massonica P2, con il risultato finale della spartizione del denaro di altre persone, inclusa una singola transazione di 95 milioni di dollari (documentata dalla Corte Suprema irlandese). Non appena le macchinazioni vennero a galla a causa di un errore di calcolo attribuito a Calvi, le teste cominciarono letteralmente a rotolare. L’impero bancario Ambrosiano fu destabilizzato da uno scontro ai vertici del potere interno, che coinvolgeva la Banca Vaticana, la Mafia e il braccio finanziario dell’oscuro ordine cattolico dell’Opus Dei. L’Opus Dei, in ogni caso, decise di non garantire per il Banco Ambrosiano e Calvi fu trovato «suicidato», impiccato sotto il ponte di Blackfriars a Londra, con alcuni sassi nascosti nelle tasche, una scena ricca di simbolismo massonico.

        Occorre ricordare che Paolo VI non riconobbe mai quella setta chiamata Opus Dei, figlia del franchista Escrivà de Balaguer. Sulla stessa strada sembrava si muovesse anche Giovanni Paolo I. Il Papa che venne dopo invece, Giovanni Paolo II, non solo riconobbe l’Opus Dei ma la portò al potere in Vaticano addirittura santificando Escrivà. E l’Opus poteva ricattare la Santa Sede perché era ed è nella piena disponibilità economica di sanare le perdite dello IOR, perdite clamorose in epoca Marcinkus sul quale non a caso fu spiccato un mandato di cattura per bancarotta fraudolenta, mandato che non fu possibile eseguire perché il Vaticano di Giovanni Paolo II reclamò l’immunità diplomatica. Emersero storie oscure condite da delitti eccellenti, come quello del banchiere Calvi e come quello di quell’angelo mafioso di Michele Sindona, noto come il Banchiere di Dio, sul quale e sui suoi legami con il Vaticano vi è una vasta letteratura criminale. E tutte queste esaltanti vicende furono digerite dal capiente stomaco di Giovanni Paolo II, il Papa polacco che utilizzava anche molti denari per sostenere l’anticomunismo in Polonia attraverso i finanziamenti a Solidarnosc.

        In mezzo a queste esaltanti vicende, con ricatti economici e con storie criminali che venne eletto il successore di Giovanni Paolo I.

GIOVANNI PAOLO II

        Il numero dei cardinali stranieri che superava quelli italiani, la mancanza  di un mediatore italiano (come c’era stato per Papa Luciani), il sostegno dei cardinali tedeschi e la vicinanza del cardinale Wojtyla con alcuni potenti personaggi dell’organizzazione ecclesiastica politico-finanziaria dell’Opus Dei, decisero la sua elezione. Assunse il nome di Papa Giovanni Paolo II (1978-2005).

        Nonostante la giovane età e le apparenze che egli seppe vendere mediaticamente molto bene, fu un Pontefice che lavorò per la restaurazione, per far fuori molte parti delle conquiste conciliari, per risolvere i guai finanziari del Vaticano con il sostegno dell’Opus Dei (con Wojtyla divenuta una potenza all’interno della Chiesa, divenuta nel 1982 prelatura personale del Papa, ed ormai addentro in ogni ganglio vitale della Chiesa), per sostenere la causa anticomunista soprattutto nella sua Polonia. E per buon peso dette ampio credito ad un’altra setta come i Legionari di Cristo, fondati dal messicano pedofilo Maciel e sviluppatisi in Spagna.

        Alla liberazione della Polonia corrispose l’abbraccio di Giovanni Paolo II al feroce dittatore Pinochet e la messa la bando della Teologia della Liberazione di Boff, Cardenal e molti altri che condannò al silenzio.

        Su questo Papa e sul suo successore dirò alcune cose non altrove dette. Per il resto riporterò dei giudizi già espressi in altri articoli.

        Il Papa polacco visse avvenimenti importanti e gravi per la Chiesa. In un intrigo politico internazionale il 13 maggio 1981 si attentò alla sua vita in Piazza San Pietro. Fu implicato nello scandalo dello IOR al quale ho accennato. Di conseguenza nel fallimento del Banco Ambrosiano e nell’assassinio del suo Presidente, Calvi. Nel premio ad un rappresentante della Banda della Magliana (probabilmente implicato nel caso Calvi) che ottenne sepoltura in una Basilica extraterritoriale, quella di Sant’Apollinare. Nei finanziamenti a Solidarnosc con sottrazione di fondi allo IOR. In nuove gravi interferenze con lo Stato italiano in occasione del Referendum sull’Aborto (Legge 194).

        Come il Fascismo ebbe bisogno della Chiesa e regalò ad essa un orrido Concordato nel 1929, anche un Craxi ebbe bisogno della Chiesa e nel 1984 revisionò il Concordato con il cardinale Casaroli regalando alla Chiesa fior di miliardi di lire ogni anno tramite la vergogna dell’8 per mille i cui osceni meccanismi furono ideati da Giulio Tremonti.

        E’ infine utile ricordare che Giovanni Paolo II fu aiutato a morire al policlinico Gemelli (si, quello che prende il nome dal famoso razzista) con una pratica che scatena le ire dei bigotti di Scienza e Vita e di Ruini al servizio della Chiesa, l’eutanasia, ma che un Papa può permettersi.

        Passo ora agli articoli già pubblicati su questo Papa.

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RICORDANDO IL PAPA SCOMPARSO

            So che offenderò la sensibilità di qualcuno ma non cederò al pietismo ed al rito cristiano della morte. La liturgia non mi piace, non mi appartiene, è fatta, a parte i credenti che stimo, per venditori di tappeti, privi di memoria e ipocriti.

            Occorre ricordare come sono andate le cose perché gli abbindolati dai media del potere sappiano o ricordino (destra e sinistra per me pari sono, su questo).

            Premetto che l’immagine di un UOMO che soffre commuove chiunque. Mi dispiace che l’uomo Karol soffra. Ma, sono più dispiaciuto dell’esibizione e ostentazione della sofferenza. Credo al pudore in queste circostanze, ma ognuno faccia ciò che crede.

            In ogni caso, non vedo la tragedia per un credente. Caspita, il problema semmai è mio: morte = fine di tutto e dissoluzione del legame idrogeno che mi tiene in vita. Un credente va in cielo, va da Dio Padre. In particolare Karol va in braccio alla Madonna della quale si è dichiarato Totus Tuus. Porca Miseria! O si crede o si gioca a palline. Chi crede non vede l’ora di lasciare la valle di lacrime per ricongiungersi alla Vera Vita. Quindi i cattolici cantino lodi al Signore per aver dato accesso al cospetto di Dio del loro Papa. Se così non è non capisco più. Quale Vangelo prendo per buono: quello che fa dire a Gesù: Padre mi hai abbandonato ? O quello che fa dire: Padre mi ricongiungo a te ! ?

            La morte non è un mistero come amano dire le gerarchie. La morte è la fine della vita che ci riporta a prima che nascessimo. Sulla morte sono nate e nascono le religioni. Ed anche tutte le magie e superstizioni. Quelli che hanno la mia età iniziano ad annusare la morte e non è certamente piacevole. Ma un credente deve ballare e cantare di felicità quando se ne va a raggiungere Dio. Oppure è un beota che ha predicato idiozie buone per gli altri, … appunto.

            Al di là di queste metaconsiderazioni resta l’uomo Papa ed il suo operato. Credo valga la pena di ricordare le cose che nessuno osa dire, per maggior gloria dell’ipocrisia universale.

Ricomincio dal 1978.

            Il 16 ottobre è eletto Papa Karol Wojtyla col nome di Giovanni Paolo II, di origine polacca, già arcivescovo di Cracovia, nominato cardinale il 26 giugno 1967 da Paolo VI.

            Torno ora un poco indietro per capire dove siamo.

            Nel 1970 la Banca Rasini di Milano (procuratore Luigi Berlusconi, padre del noto Silvio) assume una quota di capitale di una finanziaria di Nassau, nelle Bahamas, la Brittener Anstalt, che ha rapporti nell’isola con la Cisalpina Overseas Nassau Bank. Qui troviamo nel consiglio di amministrazione alcuni nomi che diventeranno presto famosi: Calvi, Sindona, Gelli, e il cardinale Marcinkus della banca vaticana Ior. Famosi per il crack dell’Ambrosiano, della Italcasse, famosi per la lista dei 500 esportatori di valuta, e famosi per la successiva lista dei 962 della loggia P2, e tutto quello che accadrà. Il crak di tutti questi banditi inizia il 10 maggio 1974, prima con le difficoltà della Franklyn Bank di New York, controllata da Sindona, poi, il 28 settembre, con la chiusura degli sportelli della Banca Privata Italiana. In ottobre Michele Sindona è colpito da un mandato di cattura per falso contabile e fugge negli Stati Uniti. L’8 settembre del 1976 viene arrestato a New York. Nel 1977 si diffondono indiscrezioni su un “tabulato dei 500”: cinquecento nomi (che non si conosceranno mai) di persone che, attraverso una Banca di Sindona, hanno esportato all’estero 37 milioni di dollari. In tutti questi anni Settanta i rapporti tra la Banca Rasini di Milano (o quello che rimase della Banca poi assorbita da un’altra) e Gelli dovevano essere molto buoni. Un suo reclutatore è  molto amico di un personaggio che diventerà drammaticamente molto noto: Mino Pecorelli noto per le rivelazioni su Andreotti-Lima, e anche ben altro (dossier Moro, Petroli, Esportazione valuta, ecc). Questo stesso reclutatore che gli ha dato la tessera, farà entrare alla loggia P2, il 26 Gennaio 1978, il figlio Silvio del procuratore della famosa Banca Rasini (non va, contemporaneamente dimenticato che proprietario fondatore della Rasini, non era uno qualunque, ma era nativo di Misilmeri, e marito della nipote prediletta di Tommaso Buscetta).  Questo nuovo affiliato entra nella P2 con la tessera n. 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625 e col versamento di lire 100.000. E’ un “palazzinaro”, un uomo che sta decollando verso le alte vette “in tutto” e che ha grandi disponibilità di denaro che proviene (e chissà da chi) dalla Svizzera. L’iniziato entra nella Loggia P2 proprio nel ’78, mentre si sta parlando già da molto tempo di “reti televisive” con le “potenti famiglie” della Sicilia; che in effetti ne hanno già due di Tv sull’isola e un’altra proprio a Milano, creata da un altro nativo di Misilmeri. Che però dovrà darsi alla latitanza e il suo impero passa al suo segretario che diventa segretario del palazzinaro.  Nel progetto di Gelli-Sindona-Calvi, si parla di concentrazione giornalistiche, televisive, editoriali per condizionare con tutta l’informazione il Paese; ma si parla anche di secessione della Sicilia, per poi “colonizzare” il continente.

            Siamo, a questo punto, di fronte ad una Chiesa indebitata e immersa fino al collo in scandali internazionali. Il gestore delle finanze del Vaticano (IOR), cardinale Marcinkus, era ricercato dalla magistratura italiana per bancarotta fraudolenta e si era richiesta la sua estradizione (non concessa) dallo Stato della Città del Vaticano. Il banchiere di riferimento del Vaticano, noto anche come uno dei Banchiere di Dio, Sindona (l’altro era Roberto Calvi, prima citato, del Banco Ambrosiano), era un mafioso arrestato in Usa e ricercato in Italia. Spira il pontificato di Paolo VI che aveva tentato di mettere ordine, senza riuscire ma, almeno, mantenendo una linea che prevedeva i delinquenti fuori dalla Chiesa medesima.

            Nell’estate del 1978 muore Paolo VI e, sorprendentemente, viene eletto un pontefice mistico, che è fuori da ogni sospetto di legame con traffici di ogni genere, Giovanni Paolo I, noto come Papa Luciani.

            Al di là della fede, la Chiesa non poteva sopportare un pontificato ordinario (vari anni) nella situazione in cui si trovava. Doveva intervenire pena l’esplosione di scandali a catena che avrebbero travolto Cristo a Wall Street. Il Papa sbagliato viene eliminato nell’arco di un mese (si vedano le ricostruzioni di David A. Yallop, In Good’s name, Pironti 1992). Ed in pochi giorni viene eletto il Papa giusto: Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II. Cosa fa il Papa giusto ? Ufficializza una setta sempre tenuta fuori dalla Chiesa nonostante l’enorme potere economico, i legami fascisti e padronali: l’Opus Dei. Questa potenza economica, legata a tutta la reazione mondiale, paga i debiti della Chiesa, viene riconosciuta (con tutte le appendici reazionarie ed oscure, come i Legionari di Cristo) e impone suoi uomini ai vertici della Chiesa oltre ad un controllore diretto del Papa, il fascista ed opusdeista Navarro Valls (ricordo ai biografi di questi giorni che ABC, dove scriveva Valls, è un giornale semiclandestino di Madrid, espressione dei franchisti duri e puri). Così nasce il pontificato di Giovanni Paolo II. Le vicende immediatamente successive si riassumono in breve: Sindona viene estradato in Italia ed ammazzato con una tazzina di caffè (!) in prigione. Calvi, che richiedeva allo Ior i denari che aveva prestato all’ente vaticano, viene suicidato mediante impiccaggione a Londra dalla mafia per incarico di … ???. La Chiesa, al solito, esce pulita ma solo gli imbecilli lo credono. E quando oggi vedo tanti sinistri piangenti (gli altri sono nello stesso sistema di potere e gli ingenui mi hanno stufato) mi viene voglia di portarli sotto il Ponte dei Frati Neri per vedere, quando non c’è la marea del fiume, che effetto fa oscillare come un pendolo composto.

            Le anime candide non mi vengano a dire che Karol non sapeva nulla. Avrei disprezzo per loro. Ma cosa ha fatto il Papa dell’Opus nel suo pontificato di ammirevole ?

            Intanto ha santificato tutti i reazionari e fascisti del mondo. Se andate a consultare, ad esempio, l’elenco dei santi e beati spagnoli troverete tutti franchisti. Mi chiedo: è possibile che uno, almeno un repubblicano, ad esempio tra i preti baschi trucidati dai franchisti, non fosse degno della santità ? E che dire del santo impostore da Pietralcina ? E dei santi cinesi, note spie ? E del santo criminale Stepinac, che benediva gli Ustascia massacratori di oltre un milione di persone insieme a fascisti italiani e nazisti (vedi qui) ? E del franchista affarista Escrivà de Balaguer (tra l’altro santificato in tempo record, al fine di pagare ancora qualche rimanenza all’Opus Dei)?

            Ma poi vi è la Croazia, la Serbia, la Bosnia, la Russia, la Cina, l’America centro meridionale. Un Papa nella tradizione dell’esaltazione del fascismo e dell’oppressione padronale. Basti ricordare proprio l’aggressione alla Yugoslavia auspicata per smembrare il Paese e rimettere le mani sopra terre cattoliche, particolarmente la Croazia e la Slovenia.

            Inoltre, molto in breve, ha ritirato la mano al prete sandinista Ernesto Cardenal che si era inchinato per baciarla (e per la prima volta ha avuto un boato di disapprovazione dalla folla presente). Nello stesso viaggio si era amichevolmente intrattenuto con il boia  Pinochet, dicendo per il criminale e signora una messa nella loro cappella privata. Infine aveva disquisito amorevolmente con Pio Laghi, cardinale di Buenos Aires durante le giunte assassine di Videla, Bignone e Massera, dei quali Laghi era assiduo frequentatore in cordiali convivi nelle fazendas dei dittatori assassini. Il peggio del mondo, insomma … senza mai profferir parola contro (cosa che gli riusciva benissimo come contro l’ex URSS, Cuba, …).

            Ha fatto tacere tutta la Teologia della Liberazione, i vari Padre Boff che purtroppo hanno taciuto … (maggiori dettagli sugli oltre 200 atti repressivi del Papa reazionario si possono trovare qui).

            Ha preso in giro coloro ai quali chiedeva perdono: da una parte chiedeva questo e dall’altra riaffermava il primato della Chiesa ed il suo integralismo (per la vicenda di Galileo, si veda qui).

            A parte queste cose, il papato che si è concluso ha rappresentato un grandissimo passo indietro rispetto alla Chiesa conciliare. Ricordo solo che l’Index librorum Prohibitorum (il famigerato Indice) che in silenzio Paolo VI aveva abrogato, fragorosamente è stato reintrodotto da Giovanni Paolo II. Ed aggiungo quanto tutti sanno ma in questi giorni dimenticano. L’ostinazione della Chiesa contro il profilattico ha ammazzato almeno 1 milione di persone per AIDS in Africa. Continua poi la discriminazione contro gli omosessuali, contro le coppie di fatto, contro la donna (costruire l’immagine di una vergine perfetta significa condannare le nostre mamme e figlie a mere ancelle degli uomini) e, infine, continua la battaglia della medesima Chiesa contro la procreazione assistita (fatto che ci vedrà impegnati tra poco per buttare a mare la legge 40).

            Insomma, a me sembra che non vi sia da rimpiangere un signore così. Anche perché ha fatto la sua vita fino ad età avanzata. Ha goduto, come non ha fatto Gesù, delle migliori cure mediche di quella scienza che ha osteggiato e dileggiato. E’ stato un Papa nella tradizione del potere imperiale, che è vissuto sulla credulità della gente, che ha sfruttato al massimo i media, che ha rappresentato ogni imbroglio della Chiesa nei secoli.

Mi dispiaccio ancora che il signor Karol abbia sofferto ma, anche qui, ricordo che, a causa della filosofia della Chiesa, siamo molto indietro nelle terapie del dolore. Per il resto, ben sapendo che dalla Chiesa della gerarchia non c’è mai da aspettarsi nulla di buono, aspettiamoci tragicamente il successore.

Roberto Renzetti

PS. Mentre pubblico questo articolo, sono recluso in casa. A Roma nessuno può muoversi. Da una settimana viviamo con difficoltà. La TV non è agibile perché lavora a 7 canali unificati su Papa e Vespa. Assistiamo impotenti ad un ritorno a prima del 1870. Sul sagrato i potenti del mondo intorno ai fasti della Chiesa. Il popolino tenuto lontano. Tutto identico a parte il fatto che almeno in passato questo popolino poteva vendicarsi dei torti subiti dal Papa scatenandosi, in occasione di sua morte, sulle ville dei parenti ed amici  del potente, saccheggiandole. Oggi manca questa che era la parte più interessante.(16)

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AUT FIDES AUT RATIO

La necessità di pensare questo paradosso: la cultura cattolica ufficiale non ha più nulla da dire alla cultura tout court, proprio quando la pratica dei cattolici impegnati ad approssimare il Vangelo si afferma come modello.

PAOLO FLORES d’ARCAIS  

Da MicroMega 5/98, pagg. 187/214

          Vuoto culturale e ricchezza di testimonianza

Fides et ratio, ultima enciclica di Karol Wojtyta, dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che la cultura cattolica ufficiale non ha più nulla da dire alla cultura tout court. E ciò, paradossalmente, proprio quando la pratica dei cattolici cristiani, esistenzialmente impegnati ad approssimare il Vangelo – dalla parte e nella cura degli ultimi – si afferma spesso come modello per l’impegno tout court. Questo paradosso andrà pensato in tutte le sue implicazioni e conseguenze. Da parte cattolica, poiché è uno scarto che allude ad un conflitto tendenzialmente insanabile tra cattolicesimo del conformismo e cristianesimo della testimonianza, da parte «laica», poiché costringe a interrogare la possibilità di un impegno senza trascendenza, di una passione per il relativo. Ma di questo più avanti.

Resta il carattere essenziale che marchia questa enciclica: una tradizionalissima e inargomentabile (in termini razionali) riaffermazione della pretesa della Chiesa cattolica apostolica romana al monopolio della verità. Con l’accattivante finzione dell’umiltà, infatti, la «diaconia della verità», che il papa polacco aggiorna nella sua enciclica, altro non è che il dogmaticissimo imperio di sempre che la Chiesa si arroga sulla verità. Agghindato con una «difesa della grandezza della ragione» che vale esclusivamente se quest’ultima, rinunciando alla propria autonomia, rinnega se stessa, e anziché darsi da sé i propri limiti si subordina alla fede, cioè al magistero di Roma, unico autorizzato interprete delle scritture e della tradizione. Poiché una Chiesa che si confessa unica e incontestabile serva della verità, in realtà si erge a padrona di quanti devono obbedirla (la verità, cioè la Chiesa, o la Chiesa, cioè la verità).

Il che è certamente nella natura della Chiesa, se intende parlare ai soli fedeli per riaffermare un dogma da essi sempre più tiepidamente vissuto, ma è del tutto incompatibile con ogni velleità di confronto «senza preclusioni di sorta e senza limite alcuno» (1) con chi, non avendo «accolto» quel dogma, può accettare esclusivamente un argomentato dialogo.

Il tanto sbandierato elogio della filosofia, con l’invito – addirittura – «a non prefiggersi mete troppo modeste nel filosofare» (§ 56), si risolve in conclusione nella deludente ovvietà del «messaggio ultimo dell’enciclica» (Breve sintesi): «verità e libertà, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono» (§ 90). Dove per verità si intende l’opinione fulminata ex cathedra, e la libertà è dunque niente altro che la servitù volontaria delle coscienze agli ukase del sacro soglio. Ma andiamo con ordine.

(1) Come dichiara la Breve sintesi dell’Enciclica diffusa dalla sala stampa della Santa Sede. Le due straordinarie pagine promozionali di Joaquim Navarro Valls sembrano 1’unico testo utilizzato dalla maggior parte dei mass media nel dar conto dell’enciclica. Per quanto riguarda il testo completo dell’enciclica, invece, poiché ormai ne circolano diverse edizioni, faremo riferimento non alle pagine ma ai capitoli.  

                          Elogio della filosofia?

A parole, nell’enciclica di Giovanni Paolo II, la filosofia la fa da regina. «L’uomo è naturalmente filosofo» (§ 64) perché «tutti gli uomini desiderano sapere» (§ 25) «e oggetto proprio di questo desiderio è la verità» (ibidem). Al punto che «il desiderio di verità appartiene alla stessa natura dell’uomo» (§ 3) e che la definizione dell’uomo come «colui che cerca la verità» (§ 28) suona essenziale. In questo quadro dall’orizzonte illuminista, dove la kantiana divisa del «sapere aude!» fa tutt’uno con il dovere e la dignità dell’uomo, poiché della natura umana costituisce la fibra e la trama, sembra che la Chiesa riconosca con entusiasmo la libera ricerca filosofica. Non solo infatti, nelle parole di Wojtyla, la filosofia «emerge» tra le «molteplici risorse che l’uomo possiede per promuovere il progresso della conoscenza della verità» (§ 3) ma addirittura la Chiesa «vede nella filosofia la via per conoscere fondamentali verità concernenti l’esistenza dell’uomo» (§ 5). Sembra perciò un semplice sigillo di autorevolezza e solennità, non certo una limitazione o una riserva, la conferma che viene dal Libro e dall’autore ispirato «È Dio», infatti, «ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità» (incipit e § 16). Insomma: l’uomo è naturaliter illuminista. Conoscere è la sua vocazione e il suo destino. Lo dice ogni analisi dell’uomo, e lo conferma la parola di Dio. E quello della conoscenza «è un cammino che non ha sosta» (§ 18).

Ma «cosa è la verità»? L’enciclica si serve del termine secondo l’uso comune, o magari l’uso della scienza, o non piuttosto contro e a distruzione di entrambi? L’interrogativo di Pilato a Gesù (Giovanni, 18, 38) diventa perciò la necessaria domanda di ogni lettore a Wojtyla. Perché già nelle affermazioni «illuministe» sopra riportate si annidano contraddizioni e «distinguo» che ne rovesciano il senso. E infatti: il tratto prevalente, dunque a suo modo «universale», che segna l’umanità, diventa la incapacità di dare seguito al desiderio di verità, «la nativa limitatezza della ragione e l’incostanza del cuore» che «oscurano e deviano spesso la ricerca personale» (§ 28). Non c’è più una natura umana a vocazione filosofica, dunque. Ma piuttosto una lacerazione, che segna tanto l’essenza quanto l’esistenza dell’uomo. All’illuminismo della vocazione risponde l’oscurantismo strutturale dell’indagine umana. Dunque, alla vocazione non corrisponde l’azione, e non può corrispondervi. L’uomo perciò non è affatto naturalmente filosofo ma soprattutto e per lo più dedito all’autoinganno. Dell’affermazione antropologica che regge tutta l’enciclica (se vuole parlare anche alla cultura laica), non rimane già più nulla.

E d’altro canto, se la conoscenza fosse la natura e la vocazione dell’uomo, oltretutto benedetta da Dio, perché mai quello di Adamo sarebbe stato il peccato inespiabile? Perché mai desiderio di conoscenza e dovere di obbedienza sarebbero stati consegnati da Dio all’uomo come aut aut, come insanabile e mortale conflitto? La conoscenza non scaturisce dalla meraviglia (§4), cioè da una inestinguibile e doverosa curiosità? Nell’enciclica di Wojtyla in realtà è già all’opera – fin dalla prima pagina e in ogni categoria utilizzata – un doppio registro, a seconda che il discorso si intenda rivolto solo ai credenti, o addirittura ai «Venerati Fratelli nell’Episcopato», o invece intenda discutere di filosofia per aprirsi a tutti, poiché «il pensiero filosofico è spesso l’unico terreno d’intesa e di dialogo con chi non condivide la nostra fede» (§ 104). I due piani vengono però – sistematicamente e surrettiziamente – confusi e disinvoltamente scambiati, consentendo a Wojtyla ogni sorta di rovesciamento e di acrobazia dialettica. Il primo rovesciamento di un concetto nel suo contrario confonde e assimila la ricerca della verità, cioè l’attività critico-razionale, con l’accoglimento della verità, cioè con la passività del fideismo dogmatico.

           Logica della scienza e delirio del desiderio

Punto per punto. «La sete di verità è talmente radicata nel cuore dell’uomo che il doverne prescindere comprometterebbe l’esistenza» (§ 29) e tale sete si articola nelle «domande di fondo che caratterizzano il percorso dell’esistenza umana: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita?» (§ 1). La comunità credente «è partecipe dello sforzo comune che l’umanità compie per raggiungere la verità» (§ 2). Dunque, una condizione esistenziale originaria e comune: la sete di verità, il bisogno di porre le domande fondamentali. Solo questo è, fin qui, ciò da cui l’uomo non può prescindere perché ne andrebbe della sua stessa esistenza. Ma questo bisogno strutturale e irrinunciabile di domandarsi il senso, diviene poi la necessità che una risposta certa e definitiva alla domanda di senso possa anche essere trovata. Questo passaggio, dalla necessità della domanda alla necessità della risposta, resta non solo abusivo, perché assolutamente acritico, ma anche menzognero, laddove si spaccia l’identità delle due necessità come caratteristica della logica della scoperta scientifica.

Scrive il papa: «Non è pensabile che una ricerca così profondamente radicata nella natura umana possa essere del tutto inutile e vana. La stessa capacità di cercare la verità e di porre domande implica già una prima risposta» (§ 29), che poi sarà in realtà intesa come risposta ultima e definitiva. E perché mai? Un bisogno resta sempre un bisogno, non implica affatto – «logicamente» – la sua soddisfazione. Se così non fosse, non esisterebbe, e non sarebbe mai esistito, il problema della fame nel mondo. E nessun altro problema, a dire il vero. Desiderio e realizzazione si corrispondono solo nel «pensiero» infantile, infatti. La sostituzione del principio di piacere con il principio di realtà è il meccanismo ordinario, ancorché dolorosissimo, con cui si realizza l’effettivo, e non più solo biologico, venire al mondo dell’uomo. La logica del desiderio è invece la logica dell’illusione, perché «caratteristico dell’illusione è il suo derivare dai desideri umani» (S. Freud, L’avvenire di un’illusione, in Opere complete, vol. X, Boringhieri, Torino, p. 461).

Che il desiderio o il bisogno implichino la rispettiva soddisfazione è, alla lettera, una «idea delirante», perché «una credenza è un’illusione qualora nella sua motivazione prevalga l’appagamento di desiderio, e prescindiamo perciò dal suo rapporto con la realtà (ibidem). E’ del tutto falso, perciò, che «proprio questo è ciò che normalmente accade nella ricerca scientifica» (§ 29). Lo scienziato che «a seguito di una sua intuizione, si pone alla ricerca della spiegazione logica e verificabile» (ibidem), si muove in modo assolutamente opposto alla «logica del desiderio» per cui la domanda sul senso implica, per il fatto stesso che siamo capaci di porla, una risposta (positiva e definitiva). Il fatto che lo scienziato abbia «fiducia fin dall’inizio di trovare una risposta, e non s’arrenda davanti agli insuccessi» (ibidem) contiene anzi la possibilità che questo «non arrendersi» coincida con l’abbandono definitivo dell’ipotesi di partenza. L’unica analogia valida fra il procedere della scienza e la domanda «ha un senso la vita? verso dove è diretta?» (§ 26) è allora quella che preveda la possibilità della risposta contro il desiderio: la vita non ha senso alcuno e non va in nessuna direzione. Semplicemente è.

                    La ‘nefasta separazione’

Occultata l’opposizione fondamentale fra logica della scienza e delirio del desiderio, tutto il resto «logicamente» segue. Segue, cioè, un baccanale di «rovesciamenti». Con accattivante apparenza, l’enciclica afferma che «la verità si presenta all’uomo in forma interrogativa: ha un senso la vita? verso dove è diretta?» La verità dell’uomo è il suo interrogarsi, dunque. La verità è problema, sembrerebbe. Con questo canto di sirena critico, però, l’enciclica vuole solo spacciare la pretesa opposta e radicalmente dogmatica secondo cui l’interrogativo porterebbe già con sé Una e maiuscola verità. La domanda è già la risposta, non perché – kantianamente – la domanda (metafisica) non possa mai avere una soddisfacente risposta, bensì perché la risposta è già data prima della domanda. La domanda presuppone la risposta, e dunque la risposta, anticipata dogmaticamente, annulla la domanda in quanto interrogativo autentico.

Ecco perché, con uno spostamento apparentemente di dettaglio, la Chiesa, che dichiarava di non poter essere estranea ad un «cammino di ricerca» (§2) che riguarda tutti gli uomini, ora più esattamente «intende riaffermare la necessità della riflessione sulla verità» (§ 6). La ricerca della verità, che in quanto ricerca è governata dal dubbio e i cui esiti sono impregiudicati, lascia il posto alla riflessione sulla verità, già acquisita come certezza dalla (della) Chiesa, perché rivelazione. La filosofia sarà perciò commento della fede, glossa marginale, omelia «razionale». Riflessione su una verità ultima – non più da cercare ma semmai da meditare – che «la Chiesa ha ricevuto in dono» (§ 2). Ma la «diaconia della verità» (ibidem) così intesa è incompatibile con il pellegrinaggio della ricerca.  Con queste premesse, perciò, ovvia l’equazione wojtyliana per cui «fuori della Verità rivelata» equivale a «fuori della verità pura e semplice» (§ 73). Ovvia, ma improponibile nell’orizzonte di un argomentato dialogo. Che ha per oggetto, oltre tutto, la filosofia. Se la Chiesa è la verità ultima, infatti, non resta più nulla da dire, ma tutto e soltanto da obbedire. Per la ricerca e la filosofia ogni spazio è precluso.

Solo in apparenza, perciò, «la fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità», secondo quanto proclama l’incipit dell’enciclica. E solo in apparenza «non ha dunque motivo di esistere competizione alcuna tra la ragione e la fede» poiché «ciascuna ha un suo spazio proprio di realizzazione» (§ 17) e «l’una non rende superflua l’altra» (§ 9). Anche qui, il rovesciamento dei significati è in agguato, e anzi già operante. «La legittima distinzione fra i due saperi» (§ 45), infatti, vale solo a patto che non si trasformi in «nefasta separazione» (ibidem), cioè in reale autonomia reciproca. In altri termini, le due «ali» sono radicalmente asimmetriche. Al punto che con l’una si vola e con l’altra si precipita.

Quella della ragione, infatti, non può pretendere alla autonomia, poiché senza il riferimento alla verità della Chiesa «resta in balia dell’arbitrio» (§ 5) e «una filosofia separata e assolutamente autonoma nei confronti dei contenuti della fede» (§ 45) porta anzi alla «diffidenza sempre più forte nei confronti della stessa ragione» (ibidem). L’autonomia della ragione, cioè la ragione che per definizione si da da sé le sue leggi (autòs nomos), e che dunque – se non vuole tradire il senso del concetto – deve prescindere da qualsiasi altro principio e autorità, viene invece condannata come quella «cecità dell’orgoglio» che «illuse i nostri progenitori» proprio perché pretendevano ad una conoscenza autonoma «dalla conoscenza derivante da Dio» (§ 22). Dunque, l’autonomia non è affatto nomos autòs ma hybris, dismisura di orgoglio e anzi cecità, perché il cammino della conoscenza può essere percorso «in maniera spedita, senza ostacoli e fino alla fine» solo «se con animo retto inserisce la sua ricerca nell’orizzonte della fede» (§16).

     La ragione ha delle ragioni che la fede non comprende    

La «autonomia» della ragione come la intende il papa, al contrario, assoggetta e vincola questa «autonomia»  ad un orizzonte eteronomo, quello della fede, appunto. Ma una autonomia assoggettata è ossimoro senza poesia. Contradictio in adjecto. Kantiana Realrepugnanz. «L’una è nell’altra» (§ 17), scrive Wojtyla, ma niente affatto reciprocamente, perché l’una (la ragione) non può ex iure contraddire l’altra, mentre l’altra è orizzonte originario di verità che decide i limiti della prima, e vale dunque come l’unico ambito autenticamente autonomo. Alla filosofia critica, che vuole la religione nei limiti della ragione, si sostituisce con ciò il medioevo, che postula la ragione nei limiti della religione. Sostituzione conclamata, poiché esplicita è la condanna della «nefasta separazione» (cioè della autonomia) che la filosofia realizza rispetto alla fede «a partire dal tardo Medio Evo» (§ 45). Vi ritorneremo.

La ragione di cui parla il papa è insomma e sempre la ragione dal punto di vista della fede, non della ragione. Non l’autonomo e mobile orizzonte della domanda, della in-certezza al cui interno cercare la risposta, imprevedibile e sempre esposta allo scacco, ma il chiuso e vincolante orizzonte della risposta scontata, che anticipa la domanda e dunque la annienta nella certezza della fede. Nulla di cui scandalizzarsi, ovviamente. Dovrebbe stupire il contrario, semmai. Il sovrano pontefice è pastor fidei e non un volterriano «filosofo ignorante». Stride invece fino all’insopportabile, poiché pretende di iscriversi in un dialogo erga omnes, l’ostinata presunzione cattolica romana di presentare la subordinazione della ragione alla fede, della ricerca al dogma, del logos alla cathedra, per l’opposto di ciò che è: autonomia della ragione anziché servitù volontaria.

Che senso ha, infatti, insistere che la fede «non interviene per umiliare l’autonomia della ragione o per ridurne lo spazio di azione» (§ 16) ma «solo»(!) per stabilire che «non è possibile conoscere a fondo il mondo e gli avvenimenti della storia senza confessare al contempo la fede in Dio che in essi opera» (ibidem)? Più esplicita confessione della subordinazione assoluta della ragione alla fede non si può immaginare. Del tutto conseguente, perciò, che la «autonomia» della ragione diventi un mero «indagare autonomamente all’interno del mistero» (§ 13), un uso eteronomo e strumentale della ragione a scopi teologici. La Rivelazione non «rende superflua» (§ 9) la filosofia, allora, ma solo nel senso che anche il cervello e le mani del chirurgo non rendono superfluo il bisturi.

Nella tradizione dell’integralismo cattolico che governa l’enciclica, la subordinazione e l’assoggettamento della ragione è tale che solo «la fede libera la ragione» dalla cattività cui la pretesa di autonomia la condanna. L’autonomia come cattività, ulteriore capitolo nel sabba dei rovesciamenti. Perciò, «il timore del Signore» – l’opposto esatto del «sapere aude! » – «è il principio della scienza» (§ 20). Conclusione ineludibile: «Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo?» (§ 23), intimazione che costituisce il fascino di Paolo di Tarso, ma taglia alla radice ogni confronto di sapienza con un mondo che tenga ferma l’autonomia della ragione. Torna così prepotente la domanda che quasi ogni pagina dell’enciclica ripropone: a chi si rivolge in realtà il papa polacco? Ai suoi confratelli pastori, perché ribadiscano con energia ad un gregge pervaso dalla secolarizzazione la necessità della filosofia come recta ratio funzionale alla Verità della Rivelazione, o anche a «chi non condivide la nostra fede» (§ 104) e può perciò discutere solo se la fede viene provvisoriamente accantonata nella parentesi del foro inferiore? In realtà Wojtyla pretende di usare argomenti che suonano persuasivi solo all’interno di una comunità di fedeli, ma come se fossero argomenti razionalmente cogenti per un pubblico potenzialmente universale.

                  La distruzione della filosofia

L’elogio della filosofia, abbiamo visto, suona in apparenza ditirambico. La filosofia costituisce «l’istanza ultima di unificazione del sapere e dell’agire umano» (§ 82). «L’argomentazione sviluppata secondo rigorosi criteri razionali, infatti, è garanzia del raggiungimento di risultati universalmente validi» (§ 75). Non solo: «Di poco aiuto sarebbe una filosofia che non procedesse alla luce della ragione secondo propri principi e specifiche metodologie» (§ 49). La filosofia deve dunque obbedire solo a se stessa. E mirare alto. Per spronare una ambizione doverosa, il papa sceglie addirittura il timbro dell’appello accorato e diretto: «Non posso non incoraggiare i filosofi, cristiani o meno (corsivo mio, n.d.a.), ad avere fiducia nelle capacità della ragione umana e a non prefiggersi mete troppo modeste nel loro filosofare» (§ 56).

Al ditirambo segue la preoccupazione – dalle sembianze ancora illuministe – per «la radicale sfiducia nella ragione che rivelano», invece, «i più recenti sviluppi di molti studi filosofici» (§ 55), tanto che «ai nostri giorni, la ricerca della verità ultima appare spesso offuscata» (§ 5). Ma la preoccupazione già veicola l’ennesimo misfatto della «logica» del rovesciamento. Seguiamone i passaggi essenziali.

«Ogni sistema filosofico (…) deve riconoscere la priorità del pensare filosofico, da cui trae origine e a cui deve servire in forma coerente» (§ 4). Sembra una semplice messa in guardia contro la «superbia filosofica» (ibidem) delle varie scuole che pretendono di spacciare i loro sistemi come la filosofia. E sarebbe un rilievo metodologico addirittura sacrosanto, se mirasse a riaffermare la ricerca senza dogmi e l’interrogare senza risposte anticipate come l’irrinunciabile della filosofia. In realtà, invece, il primato del «pensare filosofico» rispetto ai sistemi e ai singoli serve a stabilire, in opposizione alle filosofie plurali realmente costruite nella storia, e svalutate come effimere, un arbitrario «nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante nella storia del pensiero» (ibidem). Conoscenze, si badi, non teorie o ipotesi. Dunque risposte definitivamente acquisite, e non domande inestinguibili (malgrado, o magari in forza della impossibilità di una risposta). «Conoscenze» che poi sarebbero: «i principi di non contraddizione, di finalità, di causalità», «la concezione della persona come soggetto libero e intelligente e la sua capacità di conoscere Dio, la verità, il bene» e infine «alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise» (ibidem).

Ma queste asserite «conoscenze» costituiscono semmai il catalogo, perfino parziale, delle dispute senza fine che hanno percorso la storia della filosofia e che ancor oggi definiscono un terreno comune solo come comune è il campo della battaglia. Dove il punto di vista condiviso è l’eccezione assolutamente provvisoria, la tregua, mentre il conflitto insanabile è la norma. Perfino laddove il consenso sembrerebbe inerente all’uso dialogico del medesimo strumento logico, visto che per Hegel – uno dei grandi classici, dunque, non un marginale epigono – il principio di (non) contraddizione esprime la pochezza e l’antifìlosofica finitezza dell’illuminismo (una bestia nera anche per il papa) e va sostituito con la contraddizione dialettica come legge sia del pensiero che della realtà.

Non parliamo poi delle altre categorie e «conoscenze» tirate in ballo qui dall’enciclica. Oltre tutto inassimilabili fra di loro proprio sotto il profilo delle dispute o degli accordi che hanno suscitato nella storia del pensiero. Ad esempio, finalità e causalità, come spiegazione del mondo, tutto possono essere ormai tranne che due «conoscenze». Semmai, o l’una o l’altra. Con la scienza moderna, infatti, l’una – il principio di causalità – destituisce di ogni fondamento l’altra. Nessuno scienziato, che si mettesse oggi alla ricerca delle «cause finali» di un fenomeno, potrebbe sperare di essere preso sul serio. Si metterebbe sul piano dell’occultismo, dell’astrologia, della cartomanzia. Addirittura ridicolo sostenere ancora l’esistenza di «alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise». In proposito basta, per una definitiva smentita (e da secoli), il cristianissimo Pascal: «II furto, l’incesto, l’uccisione dei figli e dei padri, tutto ha trovato il suo posto tra le azioni virtuose» (230 Chevalier, 294 Brunschvicg). Si condanni tutto ciò come male, frutto della caduta, resta il fatto che su nessuna norma morale fondamentale vi è mai stato unanime accordo. E che proprio questo è il cuore del problema che da sempre agita la filosofia morale.

Insomma, con la teoria dell’introvabile «nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante nella storia del pensiero», è l’intera storia della filosofia ad essere vanificata e azzerata in ciò che la caratterizza e distingue: nel suo carattere problematico, plurale, e infine critico. Si contrabbanda cioè per filosofia perenne, per Filosofia tout court, una predigerita assimilazione della storia effettiva della filosofia, problematica e conflittuale, alla filosofia prediletta dalla Chiesa, in modo che la filosofia stessa sembri apparecchiarsi da sé al ruolo di ancilla fidei.

Un ritorno sostanziale «all’incomparabile valore della filosofia di san Tommaso» (§ 57), solo questo intende dunque il papa quando invita i filosofi, cristiani o meno, a non prefiggersi mete troppo modeste. Altro che «sapere aude!». Nessun elogio della filosofia, dunque. Ma l’oscurantismo della condanna più tradizionale: «La filosofia “separata” perseguita da parecchi filosofi moderni» – in realtà da quasi tutti, a partire dal tardo medioevo, come la stessa enciclica ha stigmatizzato — «costituisce la rivendicazione di una autosufficienza del pensiero che si rivela chiaramente illegittima» (§ 75).

         ‘Germi di pensiero’ e pensiero autoreferenziale

Perché mai illegittima? Secondo il tribunale della ragione o secondo il tribunale del Sant’Uffizio? Che senso ha ribadire ad ogni riga che la filosofia deve essere autonoma (altrimenti è inutile e superflua), ma concludere che «il Magistero ecclesiastico può e deve esercitare autoritativamente, alla luce della fede, il proprio discernimento critico nei confronti delle filosofie e delle affermazioni che si scontrano con la dottrina cristiana» (§ 50)? Lo avrebbe ancora, un senso, se valesse come richiamo all’ortodossia esclusivamente indirizzato al fedele. Tanto più lo avrebbe, anzi, proprio perché oggi il fedele, e non solo se filosofo, appare riottoso a una così integralistica interpretazione dell’ortodossia (del resto la precedente enciclica Veritatis splendor non costituiva un imperioso richiamo all’ordine per una teologia in tentazione di «eccessi» pluralistici?).

Ma Karol Wojtyla pretende che questi ukase suonino convincenti per ogni filosofo (cristiano o meno). E che la filosofia non solo obbedisca per l’intervento «autoritativo» ma addirittura ringrazi.

E infatti: «Ogni filosofo dovrebbe apprezzare» i vescovi quando «esercitano questo discernimento», perché è a vantaggio della «ragione che riflette correttamente sul vero» (ibidem). Di conseguenza: «E’ auspicabile che teologi e filosofi si lascino guidare dall’unica autorità della verità così che venga elaborata una filosofìa in consonanza con la parola di Dio» (§ 79). Resta assolutamente misteriosa, perché certamente non vuole essere una intenzionale irrisione, la pretesa di Wojtyla di convincere il filosofo anche non cristiano che gli interventi «autoritativi» di «discernimento», in lingua volgare la censura e la condanna, «sono intesi in primo luogo a provocare e incoraggiare il pensiero filosofico» (§51). Provocare, forse. Ma incoraggiare? Si arriva così al puro e semplice non senso: «Si può dire che senza questo influsso stimolante della parola di Dio, buona parte della filosofia moderna e contemporanea non esisterebbe» (§ 76). Conclusione davvero azzardata, visto che proprio l’enciclica fa risalire al tardo medioevo quella «nefasta separazione» della ragione dalla fede, cioè quella affermazione di autonomia della ragione, senza la quale vengono meno cinque secoli e rotti di pensiero filosofico.

Più coerente che si riconosca al gigantesco lavoro filosofico di questa intera epoca il modestissimo e umiliante ruolo di aver prodotto «germi di pensiero» (§ 48) e nulla più. Non a caso, del resto, la filosofia «contribuisce» sì «direttamente a porre la domanda circa il senso della vita», ma poi può aspirare solo «ad abbozzarne la risposta» (§ 3). Le risposte non mancano affatto, invece. Semplicemente, non vanno nella stessa direzione del dogma cattolico, poiché la «nefasta separazione» prepara l’epoca del moderno disincanto – la scienza e l’eresia – che consegna all’uomo l’intera responsabilità di creare senso alla propria esistenza. Senso altrimenti introvabile.

Per l’altra strada, di radicale disconoscimento di tutta la modernità e della sua cultura, si arriva solo all’anatema nei confronti di tutte le correnti della filosofia a partire dalla fine del medioevo: eclettismo, modernismo, storicismo, scientismo, pragmatismo, nichilismo (§§ 86-90), idealismo, umanesimo ateo, positivismo, razionalismo e ancora nichilismo (§ 46), secondo la terminologia, spesso sommaria e tendenziosa, di un «sillabo» le cui intenzioni sono però perfettamente trasparenti. Si finisce, con ciò e coerentemente, a ridurre la filosofia a «una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione» (§ 83). Questa «portata autenticamente metafisica (ibidem) segna però la definitiva incomunicabilità del pensiero cattolico ufficiale con la filosofia (cioè con le filosofie effettivamente esistenti). Questa dottrinaria impermeabilità ad ogni confronto condanna il dogma cattolico ad una esistenza esclusivamente autoreferenziale.

La fede, «come virtù teologale, libera la ragione dalla presunzione, tipica tentazione a cui i filosofi sono facilmente soggetti» (§ 76), ma la «libera» solo nel senso che la priva della sua vocazione ad una ricerca senza dogmi. Quanto alla presunzione, invece, essa è da tempo, almeno da quando Kant privilegiò come compito della filosofia proprio l’indagine sui limiti della ragione, appannaggio proprio dei rinnovati tentativi di restaurare la metafisica (anche come oltrepassamento della medesima, eventualmente).

             La credenza tra illusione e conoscenza

In Fides et ratio il solo tentativo di dimostrare, o almeno di argomentare anche per il non credente, che nel presupporre la fede la ragione non solo non rinuncia a se stessa, ma che anzi «è la fede che permette a ciascuno di esprimere al meglio la propria libertà» (§ 13), è la ricostruzione del processo di accumulazione del sapere in quanto basato sulla identità fra ricerca della verità e fiducia personale, tra conoscenza e affidamento. E proprio in questa «dimostrazione» risplende il qui pro quo logico (e ontologico) che funziona da inesausto alambicco nella produzione dei rovesciamenti di senso (e di realtà) che abbiamo incontrato e incontreremo e il cui nome, in questa enciclica, è legione.

«L’uomo non è fatto per vivere solo» (§ 31). Da questa ovvia affermazione, e dall’altra, altrettanto ovvia, che «fin dalla nascita si trova immerso in varie tradizioni» che si presentano come «molteplici verità a cui, quasi istintivamente, crede» (ibidem) viene fatta discendere la conclusione che anche nella vita adulta, dove tutto viene «vagliato attraverso la peculiare attività critica del pensiero (…) le verità semplicemente credute rimangono molto più numerose di quelle che egli acquisisce mediante la personale verifica» (ibidem). Ineccepibile. Solo che qui, sotto l’apparente banalità, è già occultata e predisposta una surrettizia interpolazione. Lo spartiacque del nostro universo gnoseologico, infatti, non è affatto quello che contrappone conoscenze verificate di persona e conoscenze semplicemente credute. L’enciclica stessa sottolinea, del resto, che nessuno «sarebbe in grado di vagliare criticamente gli innumerevoli risultati delle scienze su cui la vita moderna si fonda» (ibidem). Quasi tutte le nostre conoscenze, appena superata la soglia di una complessità assolutamente primitiva, non sono più acquisite per esperienza personale. Questo significa che lo spartiacque tra conoscenze valide e mere illusioni contrappone affermazioni che sono, le une e le altre, «credute». E che la differenza è tutta nel perché (dunque se) meritano di essere credute. Cioè nella differenza di procedure che portano a quelle affermazioni. Il fatto che siano entrambe «credenze» è il lato generico e assolutamente insignificante che le accomuna. Ma è la loro differenza specifica (per usare una terminologia aristotelica che dovrebbe essere cara ad ogni tomista) l’unico elemento significativo. Se si prende invece  il predicato generico che accomuna gli enti,  e lo si ipostatizza o trasforma in categoria, ogni abuso è consentito. Una carrozza e una zucca vuota sono entrambi oggetti inanimati – esattamente come la formula della relatività e le risposte dei tarocchi sono entrambe «credenze» – ma solo nelle favole le zucche passano a prendere le cenerentole per portarle a perdere una scarpetta fatale. A «ragionare» così si dimentica la ragione, anziché la scarpetta. E si incontra solo il principe azzurro dell’illusione. La «logica» qui usata dall’enciclica porta addirittura alla bestemmia: un papa e un panda (absit iniuria verbis) appartengono entrambi al «genere animale», ma nessun conclave potrà mai eleggere un panda.

E’ del tutto abusivo, perciò, dire che «l’uomo, essere che cerca la verità, è dunque anche colui che vive di credenza» (ibidem), se non si chiarisce come essenziale che la generica categoria di «credenza» occulta le vere e insanabili differenze fra modalità opposte e incompatibili di ricerca della verità. Una «credenza» accertata secondo rigorose procedure di controllo intersoggettivo di un’ipotesi, e sottoposta senza successo a tentativi sistematici di confutazione in condizioni standard di laboratorio, e controllabile in via di principio da chiunque attraverso la reiterabilità degli esperimenti, è certo una «credenza», nel senso che la si crede anche senza averla effettuata di persona. Ma ha solo questo in comune, dunque nulla di significativo in comune, con la «credenza» negli extraterrestri poiché l’ospite di un talk-show, o una lontana cugina, asserisce di averci fatto perfino del sesso. «Credenza» è qui solo il comune e fuorviante flatus vocis di due procedure antitetiche di accertamento della verità.

Non esiste dunque una categoria «conoscenza-per-credenza», ma forme diversissime di credenza con status conoscitivi altrettanto diversissimi, fino alla contrapposizione, cui spettano nomi propri che quelle diversità mettano in evidenza. La stregoneria non è la medicina, infatti, come l’alchimia non è la chimica e l’astrologia non è l’astronomia e la «smorfia» non è la psicoanalisi e la divinazione non è la meteorologia e il creazionismo non è il darwinismo, benché tutte siano «credenze». Con gradi di «verificabilità» tutti diversissimi, però.

E’ irrilevante, perciò, l’affermazione che «nel credere, ciascuno si affida alle conoscenze acquisite da altre persone» (§ 32), poiché per decidere sulla validità gnoseologica di tale «affidarsi» contano le procedure con cui è costruita la catena delle acquisizioni, poiché – ripetiamo fino alla nausea qualcosa che dovrebbe essere ovvio ma evidentemente ovvio non è – non è la stessa cosa se la fiducia dell’«affidarsi» nasce da simpatia personale o da intersoggettivi e sistematici controlli di laboratorio.

Ma lo scambio attraverso cui il predicato generico di ogni conoscenza (o «conoscenza»), la «credenza», viene innalzato a soggetto, e le forme specifiche e contrapposte della stessa (scienza, stregoneria, favola, e via elencando) – unici soggetti reali – vengono presentate invece come predicati, come varianti di una medesima attività, non è un qui pro quo innocente. Svolge una funzione precisa. Serve ad annullare la differenza tra le pretese di validità  — più o meno o niente affatto fondate — delle diverse «credenze», annullandone lo status. Di modo che, se tutto è credenza, e ogni conoscenza un mero affidarsi, non contano le procedure di controllo ma la caratura emotiva di «un rapporto stabile e intimo» con cui «l’uomo, credendo, si affida alla verità che l’altro gli manifesta» (ibidem).

Verità e/o sacrificio

E’ così preparato il rovesciamento estremo. La verità è corroborata non già dall’anonima freddezza dei controlli intersoggettivi, ma testimoniata dalla disponibilità personale al sacrificio. «Il martire è il più genuino testimone della verità dell’esistenza» (§ 32). Era già la posizione di Pascal: «Io credo solo alle storie i cui testimoni sono pronti a farsi sgozzare» (397 Chevalier, 593 Brunschvicg). Anche il kamikaze, perciò. Anche i suicidi della setta di Hale-Bopp. Anche il militante della jihad che si lascia saltare in aria dentro una macchina imbottita di plastico in un mercato ebreo pieno di donne e bambini, infine. In verità, la disponibilità a morire per una «credenza» ci dice tutto sulla intensità con cui essa è vissuta, ma nulla sulla sua affidabilità in termini di verità. E troppo spesso i martiri, come ricordava Camus, finiscono per essere solo l’alibi dei bigotti (Essais, La Pleiade-Gallimard, Paris, p. 578).

Il bisogno di azzerare i diversi gradi di conoscenza nella «credenza» indistinta (che l’enciclica dispone poi gerarchicamente, però e contraddittoriamente: dalla vita quotidiana e dalla ricerca scientifica fino alla religione, passando per la filosofia) viene fatto valere anche come insopprimibile esigenza esistenziale: l’uomo come «colui che cerca la verità» rifiuta di «fondare la propria vita sul dubbio, sull’incertezza o sulla menzogna» (§ 28), incunaboli di angoscia. Ora, va da sé che tanto il dubbio come l’incertezza e infine la menzogna non sono la verità. Ma, per il resto, il rapporto alla verità è nei tre casi diversissimo. Nella ricerca scientifica, anzi, il dubbio è uno strumento di lavoro irrinunciabile (la filosofia lo esige sistematico, a partire da Cartesio anticipato da Agostino) che nulla ha in comune con la menzogna. Anzi. E l’incertezza produce bensì paura (tutto il «progresso» può anche essere visto come la lotta per ridurre l’incertezza) ma non è mai del tutto eliminabile dalla vita, e forse costituisce la cifra e la struttura stessa dell’esistenza. La sua «verità», volendo, non certo una menzogna. Più precisamente: solo riconoscendo che la vita è anche incertezza e frustrazione ci si sottrae all’infantile delirio di onnipotenza – le citazioni freudiane in proposito sono volumi.

La fallacia dell’amalgama, che presenta come funzionalmente equivalenti dubbio incertezza e menzogna, serve semplicemente a «dimostrare» che «nel più profondo del cuore dell’uomo è seminato il desiderio e la nostalgia di Dio» (§ 24), e che dunque inconsapevolmente credente è anche lo scettico e l’ateo, poiché altrimenti non sarebbe uomo: «La religiosità è costitutiva di ogni persona» (§ 81). Ma una «logica» siffatta, che definisce non-uomo chi non partecipi dell’identità di un gruppo (qui lo scettico o l’ateo rispetto al credente) è la stessa per cui gli indiani guayaki studiati da Pierre Clastres chiamano se stessi Aché, semplicemente le Persone o gli Uomini, poiché tali non sono i nemici. Non-uomini, appunto.

Ma senza arrivare a tanto (benché questo implicitamente, anche inconsapevolmente, contenga la «logica» dell’enciclica), la tradizione argomentativa apologetica, già con Agostino, se ha voluto parlare anche al non cristiano, da Dio ha sempre dovuto non già partire, ma a Dio arrivare partendo da un più laico «desiderio» iscritto nel profondo dell’uomo: il desiderio di felicità e immortalità. Il risultato non cambia, comunque. Nasca il desiderio di Dio da quello di felicità/immortalità, o ne sia indipendente, resta che il desiderio non può essere criterio di verità.

               Contro l’individuo e la democrazia

E siamo con ciò tornati all’inizio. Al desiderio che si fa prova, cioè alla «logica» dell’illusione. Al wishful thinking, quel «pio desiderio» con cui l’espressione italiana sintetizza compiutamente le tesi freudiane sul carattere della religione, sulla sua fuga consolatoria dalla realtà.

Ma è così certo che solo l’illusione possa salvarci? E, ancor più modestamente, è almeno sicuro che «credere nella possibilità di conoscere una verità universalmente valida» (§ 92), quando poi questa non può non coincidere con la particolarissima «verità» della Chiesa di Roma, «non è minimamente fonte di intolleranza» ma «al contrario, condizione necessaria per un sincero e autentico dialogo tra le persone» (ibidem) ?

Per intanto comporta il rifiuto dell’individuo: «Siamo noi ad appartenere alla tradizione, e non possiamo disporre di essa come vogliamo» (§ 85). Che non è la semplice constatazione di un fatto, cioè dell’influenza che comunque eserciterà su di noi la tradizione in cui veniamo cresciuti, quale che sia la distanza critica che poi instaureremo «illuministicamente» con essa. Qui si vuole proprio sottolineare, in consonanza piena con una «fissazione» di Comunione e liberazione che il papa ha sempre apprezzato moltissimo, come assiologicamente la tradizione venga prima rispetto all’individuo e alla sua critica libertaria, alla sua pretesa di autonomia. Ma è proprio questa tesi che apre un varco di legittimazione ad ogni integralismo e fondamentalismo, poiché privilegia la «personalità» di una tradizione come concretezza di radici, rispetto alla dissipatoria astrattezza dell’individuo che la contesta. Ma con ciò viene meno ogni argomento per condannare il multiculturalismo disumano che in nome della sacralità di una tradizione («a cui apparteniamo e di cui non possiamo disporre») impone alle ragazze la mutilazione del piacere o alle adultere il piacere della lapidazione.

Oltre al rifiuto dell’individuo, e conseguente ad esso, l’illusione dogmatica fondata sulla logica del desiderio mette in discussione anche la democrazia. Non è accettabile, per il papa polacco, «una concezione della democrazia che non contempla il riferimento a fondamenti di ordine assiologico e perciò immutabili» (§ 89), che poi coincidono, come sappiamo, con l’insegnamento morale della Chiesa. Già Pio XII, così distratto nel denunciare il totalitarismo nazista, e riluttante nell’abbracciare la democrazia, accettata tardivamente e faute de mieux, la pretendeva poi cristiana, quella democrazia, altrimenti era di nuovo anatema. Ma qualcuno, soprattutto cattolico, aveva immaginato che con il Concilio…

Sia chiaro: il rapporto fra consenso e fondamento resta un problema cruciale della teoria democratica. Il principio di maggioranza, irrinunciabile, non può essere usato per contraddire ciò che lo legittima, cioè i diritti giuridici e politici di ogni individuo, poiché di tutti gli individui (cioè di ciascuno) è fatta la sovranità che attraverso il principio di maggioranza si esercita. Ma la preoccupazione del papa non ha nulla a che fare con questa tematica. Karol Wojtyla vuole solo impedire che una tutelata libertà dei singoli possa decidere in difformità dal magistero cattolico quando siano in gioco divorzio, aborto, contraccezione, eutanasia, protezione dall’Aids, e il crescente ambito delle controversie bioetiche. In tutti questi campi, ogni legge che al papa sembri «contro natura» viene dichiarata illegittima, e antidemocratico ogni parlamento che la voti. Non è per diffamante eccesso retorico, dunque, ma per coerenza con la sua idea di «tolleranza», che Giovanni Paolo II ha messo sullo stesso piano aborto e Olocausto, e tratta dunque ogni donna che interrompa la gravidanza alla stregua di un ufficiale delle SS che getta bambini ebrei nel forno di Auschwitz.

            ‘Wishful thinking’ come prova ontologica            

Eppure, benché l’enciclica riproponga un integralismo datatissimo e dall’afflato preconciliare, riscuote consensi assai vasti, fino alla genuflessione acritica, anche fra i non credenti. Almeno in Italia. Gioca la sua parte il conformismo, naturalmente. Ma non spiega tutto. La forza del papa, il motivo della fascinazione che esercita, nasce non dalla forza dei suoi argomenti ma dai fallimenti del mondo laico, dalle promesse del disincanto, eluse e deluse.

Il papa ha buon gioco a ricordare che «uno dei dati più rilevanti della nostra condizione attuale consiste nella “crisi del senso”» (§ 81) ma è del tutto problematico, invece, che essa nasca dalla «frammentarietà del sapere», che spinge «non pochi a chiedersi se abbia ancora senso porsi una domanda sul senso» (ibidem) e che in questo nichilismo, soprattutto come «diffusa mentalità» (§ 46), sia la radice di «una delle maggiori minacce, in questa fine di secolo, la tentazione della disperazione» (§91).

Questa «tentazione» nascerebbe dal fallimento dell’«ottimismo razionalista» incapace di prevedere «l’esperienza del male che ha segnato la nostra epoca» (ibidem), fra cui l’Olocausto, di gravità eguale all’aborto, abbiamo visto. E poiché qui traspare di nuovo una tesi ripetuta in tutte le encicliche di questo papa, la legittima filiazione dei totalitarismi dall’illuminismo – come dire Hitler e Stalin nipotini di Voltaire! – sarà bene ricordare che oltre alla disperazione esistenziale dei sazi di Occidente, altre disperazioni meno opulente percorrono il mondo. La fame da sovrappopolazione, ad esempio, che nessuna politica potrà mai fronteggiare, senza una battaglia antidemografica in cui un po’ di illuminismo suonerebbe quanto mai opportuno, visto che sarebbe non già puerile ma criminale pensare di affidarla al generale Ogino-Knaus e ad altri marchingegni di affidabilità apostolica romana. Quanto alla crisi del senso. Essa non nasce dalla «frammentarietà del sapere». Nasce dal sapere in quanto tale, dalla scienza moderna con la sua logica di disincanto. E se si intende dire che è il disincanto a precipitare l’uomo nell’abisso di un universo sempre meglio conosciuto ma sempre più freddo e vuoto, perché conosciuto come privo di senso, si dice la verità ineludibile della modernità, quella che ci rende ormai responsabili del senso. Esso, infatti, dipende interamente da noi, non come conoscenza – nell’universo sono introvabili i cromosomi del senso – ma come creazione, fragile e provvisoria invenzione sempre esposta allo scacco. Questa è la realtà, nella sobrietà del disincanto, anche se può apparire disperante per chi non rinuncia a pretendere che il desiderio implichi la realtà della soddisfazione – il wishful thinking come prova ontologica.

Perciò non è vero affatto che «la sete di verità è talmente radicata nel cuore dell’uomo che il doverne prescindere comprometterebbe l’esistenza» (§ 29). E’ vero l’opposto, e l’enciclica stessa lo proclama, con parole tanto più esatte quanto indirizzate ad opposta finalità: «Succede anche che l’uomo addirittura la sfugga (la verità) non appena comincia ad intravederla, perché ne teme le esigenze» (§ 28). Non si potrebbe dire meglio, per raccontare una post-modernità in fuga dall’eredità illuminista e dalla consapevolezza del disincanto. In fuga da quella ferita al nostro narcisismo, da quella delusione del nostro desiderio di immortalità che si fa desiderio di Dio, da quella verità che ci rimanda la finitezza come orizzonte della esistenza. Che, fin dall’inizio, ci annuncia l’esistenza come irrimediabilmente finita.

Contro questo verdetto della modernità e della sua scienza, possiamo far fronte solo pensando, con Leopardi, l’atroce assurdità della vita, o agendo, con Camus, per riscattarla nella fragilità, sempre esposta, dell’impegno con gli altri: «solitaire, solidaire».

Inutile illudersi: sappiamo tutto. Almeno e proprio in risposta alle famose domande: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita? Siamo un quasi nulla, selezionati dal caso contro ogni probabilità e per infinite contingenze (dalla comparsa della vita all’evoluzione di queste specie), e nell’arco di questa finitezza – dove il dolore non ha scopo e ad esso sappiamo anche aggiungere l’ingiustizia – concluderemo la nostra esistenza.

Ma quando si chiede una «risposta» si pensa ad altro. Alla possibilità che l’esistenza – ineludibilmente così – abbia anche un senso. Non può trovarlo, però, poiché esso non è. Possiamo solo provare a crearlo, costruendo una con-vivenza che renda l’esistenza significativo essere-con-gli-altri. Tutto qui. La cittadinanza per tutti e per ciascuno, appunto. Ma proprio questa promessa del disincanto sembra oggi elusa. Proprio all’eguaglianza delle dignità sembra che oggi si rinunci, nella forma regolativa dell’approssimazione, financo. Ogni qualvolta che, per tragico realismo, viviamo come nemico da respingere il clandestino che assedia il nostro benessere con ondate inarrestabili di immigrazione da povertà. Ed è solo un esempio fra mille.

Ovvio, allora, che il tracollo dell’eguaglianza, questa metamorfosi secolarizzata dell’universalismo evangelico, rilanci il cristianesimo come salvezza metafisica, e con esso ogni religione ed ogni metafisica illusione, comunque travestita. Altrettanto doveroso non stupirsi, però, se questa rivincita di Dio – una volta usciti dall’ottica provinciale di un’Italia che ospita il Vaticano – si presenti più spesso con il fanatismo della jihad e le rivendicazioni di suolo e sangue, o con il consumismo degli imbonitori telematici e della new age, o con l’overdose delle sette pronte al suicidio, che non col ritorno alla testimonianza del Vangelo.

  Cattolicesimo del conformismo e cristianesimo del Vangelo

Resta da spiegare la contraddizione di questa enciclica: perché si rivolge al mondo e ai filosofi, se poi usa argomenti che per convincere presuppongono la condizione della fede?

Si ha l’impressione di un doppio movimento. Primo movimento: Karol Wojtyla solo formalmente si rivolge ai vescovi, e per loro tramite a tutti i fedeli, ma in realtà (e del resto esplicitamente) vuole parlare al mondo e a tutti i filosofi. Secondo e più segreto movimento: solo apparentemente Karol Wojtyla si rivolge anche al mondo, perché in realtà mira solo a recuperare la piena ortodossia di fedeli sempre più (dis) incantati dalle sirene del mondo. Giunto al termine del pontificato, la sua preoccupazione ultima sembra non essere più né il comunismo, Babilonia definitivamente sconfitta, ne il consumismo, Babilonia più che mai trionfante, ma una deriva protestante nella Chiesa e nella teologia, un cristianesimo senza cattolicesimo, un Vangelo senza gerarchie né obbedienza, una fede senza dogma.

Ma è solo attraverso un cristianesimo vissuto come testimonianza pratica del Vangelo, che la Chiesa può oggi parlare a chi non crede. facendolo perfino arrossire. Colpisce, perciò, che Wojtyla condanni in questa enciclica «una cristologia “dal basso”» (§ 97), così come nelle precedenti la teologia della liberazione (e come papa Pacelli i preti operai). Colpisce ma si spiega. Per il papa – che teme la deriva protestante – sono inaccettabili le opere senza la fede, o la fede come semplice motìvazione alle opere (un ennesimo caso di eterogenesi dei fini, oltre tutto). Il papa vive come insopportabilmente pericoloso un cattolicesimo debole. Cioè un cristianesimo gerarchicamente debole anche se evangelicamente fortissimo.

Uno degli obiettivi polemici centrali dell’enciclica diventa perciò la «teologia debole» (come ieri quella della liberazione), e perciò l’ermeneutica di ascendenza heideggeriana e le filosofie «deboli» che di quella teologia sono il brodo di coltura. L’invito alla filosofia a non darsi traguardi modesti va inteso quindi esclusivamente come rifiuto di queste filosofie (oltre che di quelle di filiazione illuminista, che sono però bestie nere comuni al papa e agli heideggerismi) e della loro critica della metafisica tradizionale. Un monito perché la teologia non ne ascolti le sirene. Vuole insomma legare la teologia all’albero di una tradizionalissima metafisica tomista, e tappargli le orecchie con la cera dell’ortodossia, contro ogni Scilla dell’illuminismo e Cariddi dell’heideggerismo. Critica paradossale, perché pensieri «deboli» e altre ermeneutiche di ascendenza heideggeriana, oggi molto spesso egemoni nel panorama filosofico, rappresentano il solo alleato possibile del papa, filosofìcamente parlando, contro la modernità.

In realtà, è solo nel cristianesimo delle opere, della fedeltà al Vangelo, dell’impegno a fianco degli ultimi, che il non credente trova la sua pietra d’inciampo, poiché in ciò deve affrontare l’hic Rhodus del disincanto: se e come sia possibile passione per il relativo e impegno altruistico non fondato sulla trascendenza. Difficoltà che ha già vissuto come antinomia, visto che l’indignazione per l’ingiustizia ha dovuto prendere le forme dell’ideologia, del surrogato di religione, per muovere le masse. Con gli esiti totalitari che sappiamo.

Solo questo cristianesimo delle opere, allora, e non il pensiero filosofico – meno che mai nella parodia che pretende di giudicare secoli di travaglio critico con la «attualità» del tomismo – «è spesso l’unico terreno di intesa e di dialogo con chi non condivide la nostra fede» (§ 104). Ma quale fede? Poiché l’enciclica mette in luce proprio lo scarto crescente fra due modi di essere cristiani, quello dell’ortodossia e del potere, e quello del Vangelo e dell’impegno. Che ex professo fanno tutt’uno, ovviamente, ma che nel privilegiamento pratico di uno dei due lati sempre più configurano due religioni sotto gli stessi riti. Karol Wojtyla vuole impedire la lacerazione, ma solo riportando alla cattività dell’obbedienza il cristianesimo della testimonianza.

PAPA BENEDETTO XVI

        A Giovanni Paolo II successe colui che dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede (l’antica Inquisizione) durante il suo pontificato, il cardinale Ratzinger che assunse il nome di Papa Benedetto XVI (2005 – ?).

        Il suo programma fu esposto nei dettagli poco prima della sua elezione in una conferenza che tenne a Subiaco il 1° aprile del 2005. Un rigido e freddo reazionario che ha riportato la Chiesa indietro di secoli e l’ha allontanata sempre più dai fedeli, ormai ridotti ai soli bigotti. In questo intervento riecheggiava il Sillabo di Pio IX con una ulteriore condanna dell’Illuminismo il male non solo del Cristianesimo ma dell’intera umanità. Qualche giorno dopo, in occasione dell’omelia per la morte di Giovanni Paolo II, pronunciò altri anatemi contro ciò che sarà uno dei mantra del suo pontificato: il relativismo che non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie. Ed al relativismo egli opponeva ed oppone la fede in Cristo che è l’unica in grado di far discernere tra verità e menzogna. Un vero manifesto fondamentalista che non lascia spazio a nessuno che non la pensi come il Vicario di Cristo (a parte forse solo alla Comunità ultrareazionaria di San Pio X e a S.E. Mons. Richard Williamson, il vescovo antisemita e negazionista).

        Anche con il Papa tedesco opererò come con il polacco, riportando articoli già pubblicati.

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RATZINGER

(Considerazioni ispirate dal pamphlet Contro Ratzinger, di Anonimo – Ed. ISBN, 2006)

Roberto Renzetti

Intanto sbarazziamoci di un mito: non è vero che Ratzinger calza scarpette Prada ma solo pantofole fatte a mano solo per lui da Adriano Stefanelli, artigiano della provincia di Novara.

Riguardo al suo copricapo, il camauro, qualcuno ha osservato che l’ultimo Papa che lo aveva indossato era stato Giovanni XXIII. Questo qualcuno poteva fare uno sforzo in più ed osservare che il copricapo era stato rispolverato da Ratzinger certamente in omaggio ad un suo affine, a Papa Paolo III Farnese che nel 1542 istituì la Sacra Congregazione della Romana ed Universale Inquisizione. Più in generale la moda del camauro era la moda dei Papa re.

Ratzinger, in questo anticipato da Wojtyla, è un determinato nemico dell’Illuminismo. Ed è istruttivo capire il contorcersi della sua logica (delle loro logiche) per portare acqua al suo povero mulino. L’Illuminismo è l’inizio della negazione di Dio che ci ha portato verso una modernità che ha perso la sua umanità proprio per aver negato Dio. E ciò vuol dire, nel contorto argomentare di Ratzinger, che quando si utilizza il metodo scientifico (sic!), che pretende essere indipendente da istanze metafisiche, si generano mostri. Quindi il Nazismo risulta figlio dell’Illuminismo ! Caspita, allora la Chiesa che con il Nazismo ci ha civettato, facendoci pure un concordato, è figlia dell’Illuminismo ? A questo non avevo e non avrei mai pensato. Non è che sbagli parentele il nostro Papa ? Non è che confonde Illuminismo con l’irrazionalismo del tardo Romanticismo (in contrasto con Hegel e soprattutto Marx), spiegabile in chi difficilmente va al di là del medioevalista San Tommaso ? Ma poi, i sistemi di tortura della Santa Inquisizione, che ha visto proprio Ratzinger come massimo rappresentante negli ultimi anni, non abbondavano di ricorso a macchine e marchingegni, mal protesi nervi di quella tecnica che si aborrisce ? Ed ancora: ma ci si rende conto delle associazioni di idee che vengono richiamate ? Illuminismo-nazismo-scienza. E questo oggi, quando Ratzinger utilizza abbondantemente dei prodotti della tecnica figlia di quella scienza per risolvere i suoi problemi di salute (altrimenti annunci subito e lasci scritto che si affida a salassi ed alchimisti).

Ma Ratzinger ha avuto a che fare con il Nazismo, direttamente. Quando ricordava in modo bucolico la sua giovinezza a Maklt sull’Inn in Baviera, dimenticava di ricordare un piccolo dettaglio geografico, quel paesino cartolina era a 16,5 chilometri da Branau dove, 38 anni prima era nato Hitler. Caspita, non è un dettaglio da poco, la coincidenza poteva essere ricordata, no ? Ebbene non lo è stata. Ed anche i ricordi sul nazismo sono distaccati come quando si discuteva delle colpe della Chiesa: un qualcosa che non ci riguarda e comunque è di qualche persona e non dell’istituzione. Tutto talmente asettico che non viene alla mente all’alto prelato nessun ricordo vero, di autentica sopraffazione. In fondo era un contadino e, come tale, estraneo a quegli eventi. E poi, nei suoi ricordi, spunta il 1940, l’anno dei grandi trionfi di Hitler, un periodo di gloria che è ricordato come il riscatto (dalle umiliazioni dei trattati di fine Prima Guerra Mondiale) e che convertì tutti al nazionalsocialismo. All’età di 16 anni il giovane Joseph, come membro delle Hitlerjugend, venne assegnato al programma Luftwaffenhelfer, cioè al personale di supporto alla Luftwaffe (l’aviazione militare del Reich) a Monaco e fu assegnato in un reparto di artiglieria contraerea esterno alla Wehrmacht che difendeva gli stabilimenti della BMW. Fu assegnato per un anno ad un reparto di intercettazioni radiofoniche. Con il peggioramento delle sorti tedesche nel conflitto fu trasferito e incaricato allo scavo di trincee, quindi inviato insieme a gruppi di coetanei a compiere marce in alcune città tedesche cantando canti nazionalsocialisti per sollevare il morale della popolazione. Certamente dirà che fu costretto e noi certamente gli crederemo, quasi che il Fascismo non sia un buon viatico per fare il prete d’assalto. E come non tener conto che appena salito al potere Hitler firmò il Concordato con la Chiesa ?

La carriera di tal personaggio lo portò ai più alti incarichi nella Chiesa, fino a diventare un influentissimo consigliere del Papa polacco (tanto che non si riesce bene a distinguere dove inizia il pensiero dell’uno e dove finisce quello dell’altro). Di sua iniziativa, certo non osteggiato dal polacco, rianimò l’Inquisizione e la portò a pieno ritmo di efficienza. Ripulì la Curia dai progressisti, da coloro che continuavano a sperare nel Concilio. Emarginò, condannò, isolò, riportò nelle braccia di Santa Madre Chiesa decine di teologi e sacerdoti. Si entusiasmò per chi con successo aveva coniugato fede ed affari  e cioè per il franchista Escrivà de Balaguer e la sua setta oscuramente affaristica Opus Dei senza disdegnare Don Giussani e Comunione e Liberazione. Intanto si riappacificava con i peggiori figuri anticonciliari, come i lefebvriani, ed attaccava, fino a portarla al silenzio, la Teologia della Liberazione, unica speranza degli emarginati del Sud del mondo (alla cosa si accompagnavano gli sfregi ai cattolici sandinisti da parte del polacco).

Questo Papa, il tedesco, fa professione di ferreo assolutismo e iniziò a darne prova pubblica il 9 giugno del 2000 quando fece seguire all’apertura del polacco alle Chiese cristiane d’Oriente, il documento dal titolo Nota sull’espressione “Chiese sorelle” (*) [ogni documento citato e seguito da asterisco è riportato per intero in Appendice]. In tale documento, senza che Wojtyla abbia obiettato, l’allora capo dell’Inquisizione così scriveva:

Deve essere sempre chiaro, quando l’espressione Chiese sorelle viene usata in questo senso proprio, che l’una, santa, cattolica e apostolica Chiesa universale non è sorella ma madre di tutte le Chiese particolari“.

Quindi era già chiaro da questo solo qual era e resta il programma del tedesco, la Chiesa come valore assoluto non discutibile.

Questo assolutismo era però gravemente intaccato per fini utilitaristici in occasione di un’altra scadenza voluta dal polacco, il perdono richiesto per le colpe del passato della Chiesa. Qui vi fu e vi è ancora un battage pubblicitario tanto grande quanto risolventesi in varie successive e deludenti bolle di sapone come, ad esempio, la pretesa riabilitazione di Galileo (ma poi, chi è che riabilita chi ?) che non è mai avvenuta.

Il 7 marzo 2000 fu pubblicato un ponderoso documento, La chiesa e le colpe del passato (*), che proveniva certamente da elaborazioni e/o censure dell’Inquisizione. In esso, dopo le seguenti premesse:

«Non sono però mancate alcune riserve, espressione soprattutto del disagio legato a particolari contesti storici e culturali, nei quali la semplice ammissione di colpe commesse dai figli della Chiesa può assumere il significato di un cedimento di fronte alle accuse di chi è pregiudizialmente ostile ad essa»,

si sosteneva:

«La difficoltà che si profila è quella di definire le colpe passate, a causa anzitutto del giudizio storico che ciò esige, perché in ciò che è avvenuto va sempre distinta la responsabilità o la colpa attribuibile ai membri della Chiesa in quanto credenti, da quella riferibile alla società dei secoli detti “di cristianità” o alle strutture di potere nelle quali il temporale e lo spirituale erano allora strettamente intrecciati»

«Si profilano, così, diversi interrogativi: si può investire la coscienza attuale di una “colpa” collegata a fenomeni storici irripetibili, come le crociate o l’Inquisizione?»

Si sta cioè dicendo che i fatti vanno riferiti a determinate epoche storiche, che sono RELATIVI ad esse. E la cosa mi trova d’accordo anche se non so come il tedesco possa mettersi d’accordo con se stesso. Ma si dice di più: gli sbagli, l’errore, le colpe, sono di singole persone, non della Chiesa (e come no?). E qui, con un triplo salto mortale all’indietro carpiato, il tedesco riacquista l’assolutismo della Chiesa.

E per compenetrarsi nel fatto che la Chiesa non sbaglia ma egli si, vale la pena leggere cosa aveva scritto qualche anno prima contro i teologi della Liberazione in due documenti importanti: Istruzioni su alcuni aspetti della teologia della liberazione (*) (1984) e Libertà cristiana e liberazione (*) (1986). Due documenti in pieno reaganismo, in epoca di attacchi criminali dei contras e di ogni provocazione nel Cile di Pinochet e nell’Argentina appena uscita dalla dittatura, contro ogni aspirazione dei Paesi del Centro-Sud America. Insomma, mentre il nunzio in Argentina Pio Laghi si intratteneva con i generali golpisti e mentre il polacco fraternizzava con Pinochet e famiglia, ci si scagliava violentemente, fino alla riduzione al silenzio, contro la chiesa dei poveri e della speranza.

Naturalmente queste posizioni discendono dalla reazionaria dottrina sociale della Chiesa che, parte dal reazionario Leone XIII (Rerum novarum, 1891: le condizioni bestiali di vita operaia non si possono risolvere senza ricorrere alla religione ed alla Chiesa. La proprietà privata è intoccabile e le differenze di classe sono volute da Dio. L’operaio deve servire fedelmente il padrone e questo deve essere giusto con l’operaio) passa per Paolo VI (Populorum Progressio, 1967 ed Octuagesima Adveniens, 1971) ed ha interessanti elaborazioni del polacco con la supervisione del tedesco (Laborem exercens, 1981; Sollicitudo rei socialis, 1987; Centesimus annus, 1991) e del tedesco in proprio nella sua prima enciclica(Deus caritas est, 2005 purtroppo questo documento occorre comprarlo, così ha voluto Ratzinger, basta con i documenti di fede gratuiti!).

Nelle elaborazioni del tedesco vi sono cose che sono addirittura sconvolgenti sul marxismo che avrebbe addirittura un contenuto di verità:

 «Fin dall’Ottocento contro l’attività caritativa della Chiesa è stata sollevata un’obiezione, sviluppata poi con insistenza dal pensiero marxista. I poveri, si dice, non avrebbero bisogno di opere di carità, bensì di giustizia … In questa argomentazione, bisogna riconoscerlo, c’è del vero, ma anche non poco di errato».

La seconda affermazione ha l’aspetto di un cauto e generico scusarsi:

«E’ doveroso ammettere che i rappresentanti della Chiesa hanno percepito solo lentamente che il problema della giusta struttura della società si poneva in modo nuovo».

Ma chi aveva creduto a queste cose dovrà immediatamente ricredersi. Si tratta di un artificio dialettico perché Ratzinger dice subito che queste due affermazioni vanno respinte perché il sogno è finito, il comunismo è fallito insieme a quello di una società giusta. Conseguenza (notare la consequenzialità!) di ciò è che

«la dottrina sociale della Chiesa è diventata un’indicazione fondamentale, che propone orientamenti» da affrontare «nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell’uomo e del suo mondo».

La cosa mi ricorda un episodio di gioventù. Il ginnasio che frequentavo era annesso ad un Convitto Nazionale dove mi fermavo, a pagamento, per pranzo. A parte le minestre scialacquate che quotidianamente ci venivano servite in piatti di alluminio che sapevano sempre di sapone da bucato, ci servivano un secondo che era sempre un formaggino della Pontificia Opera Assistenza e dell’insalata con solo aceto. Un giorno spostai il piatto in avanti e poggiai le braccia conserte sul tavolo. Si avvicinò Padre Ministro e mi chiese perché. Risposi che non mi piaceva. Padre Ministro sentenziò: “Ma come, non ti piace il formaggino, non ti piace l’insalata, … non ti piace niente!”. Eccolo là lo formaggino ed insalata o niente. E poiché il comunismo è niente, occorre adattarsi alla dottrina sociale della Chiesa.

Qual è la contraddizione in questo povero discorso ? Il fatto evidente è che il sogno di un mondo più giusto (ed uno si accontenterebbe solo di un uomo migliore!) è stato disatteso per 2000 anni anche dalla Chiesa. Un fallimento clamoroso e, se si guarda la bilancio, si scopre un arricchimento selvaggio delle gerarchie a fronte di nessun cambiamento sociale in qualche modo indotto dalla Chiesa. Anzi! Nonostante la Chiesa qualcosa si è fatto, proprio quando la Chiesa, con la Rivoluzione Francese (frutto dell’odiato Illuminismo), è stata tolta via dalla commistione invereconda con il potere (in Italia ci si era riusciti nel 1870, poi grazie ai politici cattolici e soprattutto a Mussolini, dobbiamo ricominciare da capo). In definitiva se il sogno che presiedeva il comunismo va rigettato sulla base del suo fallimento, a maggior ragione è il cristianesimo che va rifiutato. Non ci si stupisca comunque. Il tedesco è aduso ad usare furbescamente la parola ma non in modo intelligente. Si va sempre ad infilare in contraddizioni inestricabili, va sempre dentro un cul de sac, anche perché, in fondo, nonostante lo sfoggio culturale (appiccicato più che posseduto), se non ci si distacca dall’aristotelismo di San Tommaso e da quella logica, la fine che si fa è sempre quella di Ratzinger, anche perché rifiuta il dono del metodo scientifico, che equipara ad illuminismo e nazismo.

Inoltre il tedesco forza e crede di poter semplificare tutto. Mentre Wojtyla differenziava il comunismo (male necessario) dal male assoluto che era il nazismo, Ratzinger mette insieme tutto, compreso il liberalismo ed il relativismo. In realtà il suo nemico principale è il pensiero laico è la ragione che si fa scienza e che si allontana da dogmi, superstizioni e metafisica. Ecco perché il nemico principale per la Chiesa è oggi la scuola pubblica, la diffusione di informazioni, di cultura. Più si avanza su questa strada e più la Chiesa è in un angolo. Ratzinger vede il mondo ad una sola dimensione: tutto è figlio dell’aver sciolto le righe alla fine del Settecento: senza quel maledetto Illuminismo, nessuna di tutte queste degenerazioni sarebbe mai nata.

Naturalmente la storia è MOLTO più complessa e non è descrivibile con la linearità deterministica che presiede il pensiero unico del tedesco.

Insieme alla necessità di mettere lapidi dove già vi sono, urge maggiormente la distruzione delle basi del pensiero razionale. Il pensiero moderno, secondo Ratzinger, quello che si fonda sulla sola ragione, afferma che Dio è irrilevante ed inutile. Ma chi pensa questo si sbaglia perché, per Ratzinger l’erede unico della ragione sviluppata dal pensiero greco è proprio la Chiesa  (su questa sciocchezza Ratzinger ha anche intrattenuto i presenti nella sua lezione di metà settembre 2006 a Ratisbona). E’ un escamotage che tenta di bypassare i problemi: poiché le radici d’Europa sono lì e non sono giudaico-cristiane, conviene assumere in sé quella cultura che, risulta quanto meno posticcia perché la Chiesa ha fatto del tutto per cancellarla e con l’Inquisizione di bruciarla. Peggio ancora, Ratzinger tenta di spacciare un’influenza del cristianesimo sul pensiero greco. Se questa cosa gli funzionasse, Ratzinger avrebbe messo il cappello all’Europa.

Per il suo scopo di chi si serve il tedesco ? Ma di SantAgostino, un jolly usato sempre ma del quale ci si vergogna quando qualcuno dice che per il suddetto personaggio Maria generò vergine Gesù poiché lo generò da un orecchio. Noi facciamo finta di nulla e seguiamo le dotte argomentazioni del pastore tedesco. Nella sua conferenza alla Sorbona del 27 novembre 1999, Verità del cristianesimo (*), il nostro, riferendosi a Sant’Agostino, argomentava nel modo seguente:

«Meraviglia il fatto che, senza la minima esitazione, egli individuasse il posto del cristianesimo nel campo della “teologia fisica”, nel campo della razionalità filosofica … In tale prospettiva, il cristianesimo aveva i suoi precursori e la sua preparazione interna nell’ambito della razionalità filosofica e non in quello delle religioni.

………………………

Nel cristianesimo, la razionalità divenne religione e non più sua avversaria. Stando così le cose, il cristianesimo, comprendendo se stesso come vittoria della demitologizzazione, vittoria della conoscenza e con essa della verità, dovette necessariamente considerarsi come universale ed essere portato a tutti i popoli: non come una religione particolare che ne reprimeva delle altre, non come una sorta di imperialismo religioso, ma piuttosto come la verità che rendeva superflua l’apparenza».

E’ imbarazzante commentare questo modo di ragionare. Dice il tedesco, per di più meravigliandosene, che Sant’Agostino considerava il cristianesimo come una teologia fisica e quindi come un corpo con una sua razionalità filosofica. Fin qui nulla di male. L’imbarazzo viene dopo quando da questo si conclude che quindi il cristianesimo è ciò che ha detto Sant’Agostino. Ed allora è la razionalità che si converte alla religione non risultandone più avversaria.

Visto che vi sarebbe stato questo cambio radicale, la conversione, sarebbe di interesse sapere quando la razionalità sarebbe stata avversaria della religione, prima di Sant’Agostino. E’ un punto importante che il tedesco non tocca poiché, definitosi razionale, della razionalità può farne tranquillamente a meno. Il passo che viene fatto è una capriola: poiché vi è la dicotomia fede-ragione, Ratzinger ammazza la ragione facendola mangiare dalla fede. Si può facilmente capire che il tutto è solo frutto di abilità dialettica che, come il venditore di tappeti, tenta di convincere di una tesi inesistente. E la razionalità viene ritrovata in un Dio che non è solo metafisica, come ad esempio il Dio degli ebrei o dei musulmani, ma un Dio che si è fatto carne. E qui segue il venditore di tappeti con altre capriole: la divinità di Gesù è un atto di fede! Che qualcuno glielo spieghi al tedesco! E, su questo fatto incontrovertibile su cui il futuro Papa imbroglia, l’intero ragionamento è buono solo per i gonzi. Ciò che stupisce di più è il voler parlare di queste cose a persone presumibilmente colte (lo fa in università di prestigio) le quali hanno gli strumenti concettuali per capire l’imbroglio. Quindi si comprendono due cose: da una parte l’ipocrisia di chi lo applaude e gli dice di si; dall’altra l’inutilità dell’impresa poiché tante sofisticazioni dialettiche mentre non servono in alcun modo al gregge di cui è pastore, fanno cadere le braccia a chi vorrebbe aver solo fede e non comprare tappeti. Più in generale viene spontanea la considerazione seguente. Come si può tentare con artifici dialettici, usando lo storicismo come una clava, cercare di convincere il prossimo della verità assoluta della propria posizione metafisica ? Come è possibile pensare di legalizzare il falso ? Fare un ragionamento contorto per spacciare un atto di fede come un atto razionale ? Tanto più che la storicità di Cristo non è dimostrata come lo stesso Ratzinger deve ammettere. In una conferenza del 1996, La fede e la teologia dei nostri giorni (*), che inizia con un riferimento ipocrita alla crisi della teologia della liberazione, che egli stesso ha ammazzato, Ratzinger, che argomenta sul relativismo in teologia per controbattere ad alcune tesi del «presbiteriano americano J. Hick» e di «P. Knitter, ex sacerdote cattolico», afferma:

«Questi ultimi si appellano all’esegesi per giustificare la loro distruzione della cristologia. L’esegesi avrebbe provato che Gesù non si è ritenuto il Figlio di Dio, il Dio incarnato, ma che solo in seguito i suoi seguaci lo avrebbero reso tale. Ambedue – anche se Hick in modo più chiaro rispetto a Knitter — si richiamano inoltre all’evidenza filosofica. Penso che il problema dell’esegesi e quello dei limiti e delle possibilità della nostra ragione, ossia delle premesse filosofiche della fede, costituiscano effettivamente il vero punto dolente dell’odierna teologia, per il quale la fede — e in misura crescente anche la fede dei semplici — entra in crisi».

Più oltre Ratzinger tenta di recuperare il tutto con il seguente ragionamento: è vero che l’esegesi moderna mette in fortissimo dubbio le cose dette dalla Bibbia, ma questi dubbi nascono da un prodotto storico che non è in grado di intaccare minimamente un racconto che 2000 anni fa fu dato per vero. Anche qui capriole su capriole. Si rifiuta una tesi in quanto storica e quindi relativa, solo servendosi della storia. Si mette in dubbio l’esistenza di Cristo per poi affermare che il dubbio non può esserci in quanto 2000 anni fa non c’era. Una chicca.

L’anonimo che ha scritto il pamphlet che sto raccontando, Contro Ratzinger, a questo punto afferma:

La critica alla modernità di Ratzinger si struttura attraverso argomenti storico-filosofici che, sottoposti a verifica, si dimostrano deboli e interessati. Ma è questa apparente razionalità, questo apparente laicismo del discorso, la chiave per comprendere i motivi per cui esso risulta efficace anche presso molti non credenti. Più che sul terreno filosofico, il pensiero di Ratzinger si sviluppa sul terreno della storia delle idee e del loro influsso. Il fatto che questo tipo di discorso sia oggi scambiato per filosofia non fa che dimostrare quanto la filosofia sia diventata un sapere tra gli altri, una pratica ripiegata su se stessa e dimentica del proprio oggetto.
È a causa di questo oblio dello scopo della filosofia che Ratzinger può presentarsi (e risultare credibile) come filosofo. È a causa della rinuncia non solo a rispondere, ma perfino a domandare, di molta filosofia contemporanea, che Ratzinger può rimproverare alla razionalità moderna la sua incompletezza e presentare il cristianesimo come erede del pensiero greco, come l’unica voce che si ostina a dare risposte comprensibili (e, quindi, in apparenza, a porre domande universali) sul senso del nascere e del morire, su ciò che è giusto o sbagliato, sulla possibilità del bene e sul ruolo del male nel mondo. Si tratta di un risultato eccezionale, considerato il topolino teoretico partorito dal gran rimuginare dell’ex inquisitore. Dopo avere strappato alla modernità le sue origini, assegnandole d’ufficio al cristianesimo, Joseph Ratzinger si infila nella breccia aperta dal pensiero debole, riuscendo, nel silenzio generale, a occupare il bisogno di un pensiero forte che tende sempre a riacutizzarsi in epoche impaurite … Pur di resuscitare Dio, il filosofo Ratzinger radicalizza, con gesto quasi nichilistico, la teoria del pensiero debole, cavalca l’ammissione razionale della debolezza della ragione proprio per relegarla al ruolo di comprimaria
“.

E Ratzinger, che si era espresso contro il relativismo in teologia, figuriamoci se può ammetterlo altrove. Inizia così la sua campagna contro di esso che non dà scampo per il modo ossessivo con cui è proposta. La cosa era iniziata nel 1984 a Monaco di Baviera nel congresso L’eredità europea ed il suo futuro cristiano quando aveva sostenuto:

«Il vero pericolo del nostro tempo, il nocciolo della nostra crisi culturale è la destabilizzazione dell’ethos, che deriva dal fatto che non siamo più in grado di afferrare la ragione della moralità e abbiamo ridotto la ragione nell’ambito del calcolabile».

Meglio disfarsene nella fede, come abbiamo visto. Ma Ratzinger non si occupa di discutere tali sciocchezze egli seguì su questo tema negli anni fino ad arrivare alle più recenti formulazioni, come quella espressa al Convegno-Dibattito romano con Ernesto Galli della Loggia su Storia, Politica e Religione (*) nel 2004.

«Il relativismo può apparire una dottrina positiva in quanto invita alla tolleranza, facilita la convivenza con gli altri e il riconoscimento tra culture fino al punto di ridimensionare le proprie convinzioni e riconoscere il valore degli altri relativizzando se stessi. Ma se diventa assoluto, il relativismo contraddice se stesso e, soprattutto, distrugge l’azione dell’uomo. In ultima analisi, appare a mio avviso la conseguenza di una mutilazione della nostra ragione. Soltanto nel campo delle scienze si può ragionare in termini assoluti, laddove si può verificare ciò che è falso e ciò che non lo è, ciò che funziona e ciò che non funziona. Questo campo appare come l’unico per l’ espressione della vera razionalità, mentre tutto il resto è soggettivo».  

Non si può quindi assumere il relativismo come valore assoluto perché contraddirebbe se stesso, dice il tedesco, ma l’argomentazione, se ci si sofferma un solo istante, è capziosa ed inesistente. Come capziose ed inesistenti sono le argomentazioni che seguono (distrugge l’azione dell’uomo e rappresenta una mutilazione della nostra ragione), non a caso buttate là con la speranza che nessuno le indaghi. Hanno invece senso se si sa già dove si vuole arrivare, come argomenti inesistenti in sé ma funzionali di per sé: se c’è la fede nell’assoluto del mio Dio, non c’è confronto con niente d’altro, il valore è assoluto senza esitazioni di sorta.

Non resterebbe che affidarsi all’unica ragione assoluta, quella delle scienze. Intanto il Papa mostra una totale ignoranza di tale argomento e spara sciocchezze su un concetto di scienza  che ricava dal neopositivismo. Quindi usa questo argomento che ci fa sperare in una sua conversione, solo per comunicarci altrove che la scienza è incompleta (non ha fatto tutto) e come tale non può rispondere alle vere domande dell’uomo. Essa risulta quindi inutile. E qui siamo all’apoteosi di un alto prelato e teologo che rigetta un argomento non in quanto non vero ma in quanto inutile. Figuriamoci quale può essere la reazione di un essere razionale di fronte alla metafisica …

Mentre, secondo il tedesco, risulta utile la religiosità in quanto desiderio ineliminabile del cuore dell’uomo. Come dire che è anche utile la pedofilia, la pornografia, lo stupro, l’odio, … Cioè, ciò che dura è vero anche se non sappiamo se è un bene o un male. Ma Ratzinger, da buon pastore tedesco, non lascia mai cadere le sue elaborazioni e su di esse ritorna spesso. Sull’argomento si era già espresso in una intervista del 2001 al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine, affermando:

«L’oggetto della fede non riguarda solo la ragione bensì l’uomo nella sua interezza, e proprio per questo esso deve essere suggerito anche tramite altre vie, non solo attraverso la pura razionalità».

Noi lo sappiamo quali intende, Ratzinger ma se non dice esplicitamente quali sono le altre vie, il suo discorso vale zero. Anzi, peggio. Il suo discorso è tanto vago che, dentro quelle altre vie, certamente di tipo metafisico, c’è spazio per tutti, comprese le sétte che imperversano nel mondo, con gli USA sempre maestri nelle cose peggiori che il mondo ci può offrire. E, per ironia della sorte, questo discorso è una porta spalancata all’aborrito relativismo.

Dal generale al particolare

E fin qui il tedesco ci ha fatto discutere di questioni generali. Vediamo le sue (ormai note) posizioni su questioni particolari, a cominciare dall’evoluzionismo. In un’intervista al quotidiano cattolico tedesco Die Tagespost (*) del 2003 troviamo uno dei tanti interventi di Ratzinger in proposito:

«…dopo l’Illuminismo … tutto è cambiato: oggi l’immagine del mondo è esattamente capovolta. Tutto, così sembra, viene spiegato materialmente; l’ipotesi di Dio, come disse già Laplace, non è più necessaria; tutto viene spiegato tramite fattori materiali. L’Evoluzione è diventata, diciamo, la nuova divinità. Non vi è alcuna transizione in cui si debba ricorrere a un essere creatore – al contrario: l’introduzione di questo si rivela ostile a ogni certezza scientifica ed è pertanto qualcosa di insostenibile».

Dopo la solita tirata contro l’Illuminismo, ecco l’evoluzionismo, messo in ballo in modo completamente acritico. Infatti, alla sola lettura di questo breve passo, sembrerebbe che evoluzione esclude creazione. In realtà, pur partendo da una ameba, l’evoluzione non esclude la creazione dell’ameba. Ma il problema non è evidentemente questo, per Ratzinger si tratta di non misconoscere il racconto biblico della creazione. Ma non lo dice. Attacca l’evoluzione non per demeriti intrinseci alla teoria ma per il suo oggettivo smontare la creazione che gli interessa. E, dato che si trova a parlare di scienza, Ratzinger allarga il discorso:

«…ci è stata strappata di mano la Bibbia come un prodotto, la cui origine può essere spiegata con metodi storici, che in ogni passo riflette situazioni storiche e che non ci dice proprio ciò che noi si credeva di poter trarre da essa, ma che dev’essere stato tutt’altra cosa. In una tale situazione generale, dove la nuova autorità – che viene ritenuta “scienza” – interviene e dice l’ultima parola e dove poi persino la cosiddetta divulgazione scientifica si dichiara da se stessa “scienza”, è molto più difficile conservare il concetto di Dio e soprattutto aderire al Dio biblico, al Dio in Gesù Cristo, accettare Lui e vedere nella Chiesa la viva comunità di fede».

E’ amareggiato il tedesco perché il metodo storico-critico ha umanizzato la Bibbia e tale metodo è un prodotto delle scienze umane (questa volta) con un qualche inizio dovuto a Marx, almeno per come la vede il nostro che al Seminario di Cernobbio (*) del 2001, dedicò alcuni pensieri a questa vicenda, legando proprio Marx all’evoluzione:

«Il marxismo aveva … introdotto una rottura radicale: l’attuale mondo è un prodotto dell’evoluzione senza una sua razionalità; il mondo ragionevole l’uomo deve solo farlo emergere dal materiale grezzo irragionevole della realtà».

Ed anche qui una enunciazione dovrebbe essere autoesplicativa. Cosa vuol dire, ad esempio, affermare che l’evoluzione non ha una sua razionalità ? Tale evoluzione è proprio compresa mediante la razionalità e, se possibile, si è anche generata attraverso la razionalità interna dei meccanismi naturali di selezione. Ma è inutile aspettarsi dal tedesco una qualche spiegazione che sia complessiva. Nella conferenza alla Sorbona, alla quale ho accennato, concludeva:

«…una spiegazione del reale che non possa fondare in modo sensato e comprensivo anche un ethos, deve restare necessariamente insufficiente. Ora, è un fatto che la teoria dell’evoluzione, laddove essa si arrischia a estendersi sino alla philosophia universalis (?, ndr), tenta anche di rifondare l’ethos sulla base dell’evoluzione. Ma questo ethos dell’evoluzione, che trova ineluttabilmente la sua nozione chiave nel modello della selezione, e dunque nella lotta per la sopravvivenza nella vittoria del più forte, nell’adattamento riuscito, ha da offrire ben poche consolazioni. Anche laddove si cerchi di imbellirlo in diversi modi, resta sempre un ethos crudele.

I1 tentativo di distillare il razionale a partire da una razionalità in se stessa insensata fallisce qui in maniera evidente. Tutto questo risponde ben poco a ciò di cui noi abbiamo bisogno: un’etica della pace universale, dell’amore concreto del prossimo e del necessario superamento del bene individuale».

Che farci ? E’ opera di Dio. E comunque siamo alle solite. Un concetto non viene falsificato perché è brutto, è cattivo, è crudele, è inutile, per categorie soggettive anche dello spirito, ma per il suo essere vero (o verosimile) o no. L’evoluzionismo è insensato in sé e quindi è impossibile ricavarne una qualche razionalità. E questo perché ? Perché è crudele ed insensato. Contenti quelli che si convincono con questo ragionare …  per carità … si tratta di un altro atto di fede. E’ un tentativo che porta alla compassione per chi soffre, si direbbe davvero, per un amore non corrisposto. Non sarebbe meglio lasciar perdere questa ossessione di mettere insieme fede, ragione, scienza, bacchettando a destra e a manca per sostenere ragioni metafisiche che avrebbero il primato su tutto, lascia perdere questo e dedicarsi francescanamente alla fede, al bene del prossimo, alla preghiera ed al digiuno ? Non è in fondo questo che chiede quotidianamente la Madonna delle apparizioni programmate di Medjugorje ? Vi sono schiere di fedeli, da inserire in greggi sempre più grandi per la gioia del pastore tedesco, che non vogliono altro.
 

Sesso!

L’altro tema ricorrente di Ratzinger è quello relativo al sesso ed in particolare all’omosessualità, che in modo vergognoso, la Chiesa tratta insieme alla pedofilia ed allo stupro, senza distinguere tra chi fa e chi subisce (Lemma 492 del Nuovo Catechismo: «Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l’adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria. Commessi su minori, tali atti sono un attentato ancora più grave contro la loro integrità fisica e morale»). Vi sono ormai vari studi nel mondo sui comportamenti sessuali del clero (vedi, ad esempio, due testi in spagnolo che, naturalmente, non sono mai stati tradotti in Italia: Pepe Rodriguez, Pederastia en la Iglesia católica, Ediciones B, Barcelona 2002; Pepe Rodriguez, La vida sexual del clero, Ediciones B, Barcelona 1995. Vi sono poi centinaia di studi tedeschi ed in lingua inglese che sono riportati nelle bibliografie dei testi che ho citato). L’omosessualità, nella Chiesa, è molto diffusa in percentuali di gran lunga superiori a quelle che si hanno tra i laici. E fin qui, niente da obiettare. Un alto prelato gay vaticano dice addirittura che l’accanito rifiuto di ammettere l’omosessualità da parte della Chiesa ha una spiegazione evidente: non perderne l’esclusiva. Dove, invece, non solo c’è da obiettare ma da indignarsi, perchè entriamo nel crimine odioso, è, sempre nella Chiesa, l’ampia diffusione della pedofilia.

Prima però di entrare a discutere delle posizioni di Ratzinger su queste cose, non è ozioso ricordare che dal gennaio 2005 esiste presso la Corte distrettuale di Harris County (Texas) un procedimento tuttora in corso a carico di Joseph Ratzinger imputato per la copertura garantita dal Vaticano ai membri del clero responsabili di abusi sessuali, soprattutto su minori. Tale copertura sarebbe avvenuta mediante un documento emesso nel 1962 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (e ribadito valido nel 2001 da Ratzinger e Bertone): una “Istruzione” dal titolo “Crimen Sollicitationis“, che sanciva la competenza esclusiva della stessa Congregazione su alcuni gravi delitti, secondo quanto stabilisce il Codice di Diritto Canonico, tra cui «la violazione del Sesto Comandamento (Non commettere atti impuri) da parte di un membro del clero con un minore di 18 anni». Cosa assurda poiché la pedofilia è un reato, non un peccato. Il vice ministro della Giustizia degli Stati Uniti, Peter Keisler, ha bloccato la procedura giudiziaria ricorrendo alla cosiddetta “suggestion of immunity“:  Benedetto XVI gode di immunità come Capo di Stato, ed avviare il procedimento sarebbe «incompatibile con gli interessi della politica estera degli Stati Uniti», che dal 1984 hanno allacciato rapporti diplomatici con la Santa Sede. La stessa Ambasciata del Vaticano a Washington aveva chiesto all’Amministrazione di intervenire.

L’anonimo dl pamphlet di cui mi occupo dice:

«Certo è bislacco che tante certezze in materia di sessualità provengano da anziani signori dai gusti sovente indefiniti, immancabilmente avvolti in gonne lunghe, tenuti per voto a non conoscere la donna, a non praticare, procreare e amare. L’argomento è elementare, però è difficile esimersi dal notare la discrepanza tra la durezza rivolta all’esterno e la tolleranza mostrata all’interno».

Ed aggiunge l’origine storica dell’avversione della Chiesa verso l’omosessualità:

«La ferma condanna del Vaticano all’amore tra uguali discende, come si sa, da un episodio della Genesi (19, w. 1 -25), ovvero dall’ira divina scatenata sulla città di Sodoma dopo lo stupro perpetrato dagli abitanti sui due angeli del Signore ospitati da Lot. La prima stranezza agli occhi del profano si deve a una vaga reminiscenza di feroci dispute intorno al sesso degli angeli. Se quello stupro fu di natura omosessuale, è evidente che la Chiesa ha risolto il dilemma: gli alati e boccoluti messaggeri del Signore devono essere ritenuti, certissimamente, creature di sesso maschile. In realtà, la maggior parte dei biblisti moderni [attenzione, anonimo autore, che qui entriamo nell’indagine storico-critica, aborrita da Ratzinger, ndr] concorda nel ritenere che l’ira del Signore su Sodoma non fu determinata tanto dal carattere «contro natura» dell’atto (che Lot cercò di impedire offrendo alla folla infoiata le figlie vergini), ma dallo scandalo rappresentato dalla violazione del comandamento di dare ospitalità allo straniero».

Vi è poi un altro brano nel Levitico (Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso abominio) ma è inutile mettersi qui a disquisire di questo, quasi che una Bibbia avesse una qualche autorità sulle conseguenze civili che la posizione della Chiesa ha, soprattutto nell’Italia insopportabilmente clericale. Qui deve valere ciò che dico da molti anni: la Chiesa detti le leggi e le pene che vuole per i suoi fedeli, li scomunichi, li faccia strisciare per terra, li faccia digiunare e pregare, li metta alla pubblica gogna (le pene che piacerebbero davvero non ci sono più grazie a quell’Illuminismo che non va a genio al tedesco). Faccia tutto ciò che crede con il suo gregge ma la finisca di interferire nella vita civile di un altro Paese. Detto questo entriamo in qualche dettaglio dottrinale, iniziando con la pedofilia.

Le vicende che siamo venuti a conoscere negli ultimi anni, soprattutto nelle diocesi degli Stati Uniti, con cardinali rimossi da lì (per il pericolo che correvano di arresti e condanne pesantissime) e portati qui (Santa Maria Maggiore a Roma), con il pratico fallimento di tali diocesi per la grande mole di rimborsi per danni che hanno dovuto pagare e devono ancora pagare (con gli arricchimenti del nipote di un potente cardinale romano che compra gli immobili di tali diocesi a prezzi stracciati per ristrutturarli in mini appartamenti ….) con le strenue difese dei capi dei Legionari di Cristo, con l’iniziare ad emergere di un ampio fenomeno in Austria, in Italia, … tutto questo non può che essere vissuto come un disastro dalla Chiesa di Roma e francamente lo è. Si è tentato di proteggere omertosamente, di nascondere omertosamente, di pagare e zitti … Nessuna traccia di una di quelle pubbliche riflessioni che piacciono tanto. Mai si è parlato pubblicamente della cosa tentando di capire e di sistemare da qualche parte l’esteso fenomeno. E Ratzinger, così pignolo in ogni fatto dottrinale, non dice nulla. Se dobbiamo seguire quanto ha sostenuto per difendersi dai processi USA, dobbiamo pensare che si tratta di un peccato contro il sesto comandamento, da risolvere con una bella e piena confessione e non di un reato.

Frugando bene si trova una lettera di Ratzinger (con Bertone) del 18 maggio 2001 (Epistula ad totius Catholicae Ecclesiae Episcopos aliosque Ordinarios et Hierarcas interesse habentes: de delictis gravioribus eidem Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis, *) che fornisce regole di comportamento alle gerarchie ecclesiastiche di fronte a crimini sessuali commessi da propri membri. E’ uno dei pochissimi documenti solo in latino ed è riservato. Di cosa si tratta ? Semplice, è un’attualizzazione dell’istruzione Crimen sollicitationis (1962) del Cardinale Ottaviani nella quale si ordinava a tutte le persone coinvolte in questo tipo di processo il silenzio perpetuo, pena la sospensione a divinis (una tale istruzione potrebbe essere chiamata Omertas sollicitationis).

Dicevo del silenzio di tutte le gerarchie sulla diffusa pedofilia nei collegi e negli oratori ecclesiastici (cari genitori che affidate i vostri figli alle amorevoli cure del parroco … poi non vi lamentate!). Ebbene tale silenzio non c’è sull’omosessualità, una delle ossessioni della Santa (sic!) Sede. Con Ratzinger, il cui riporto mostra qualche problema, la cosa si aggrava rispetto a Wojtyla. Mentre per quest’ultimo l‘attività omosessuale da distinguersi dalla tendenza omosessuale, è moralmente malvagia, Ratzinger ci delizia con l’Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri  (*) (approvata da Ratzinger, Papa, il 31 agosto 2005).

Se mi chiedessero di capire chi, tra tanti, è omosessuale, a parte casi che vogliono manifestarsi, non saprei proprio che fare. Evidentemente Ratzinger ha una conoscenza approfondita del problema e riesce dove io sono una completa frana. Dico questo perché mi pare evidente, dal solo titolo, che per intervenire con chi ha tendenze omosessuali, occorre sapere che tal persona le ha. Ed a meno che non vi siano festini di ammissione, ritorno al mio problema del non sapere proprio cosa fare. Ma le cose vanno oltre, fino a trascendere. Infatti in tale Istruzione si discetta sulla distinzione tra omosessuale profondo ed omosessuale transitorio. Dovevo superare i 60 anni per sapere di tali differenze. Ma credo che queste distinzioni siano nel DNA della Chiesa: occorre creare sempre una possibilità di salvezza, se non altro per evitare di non avere più vocazioni.

Insomma l’omosessualità è un disordine oggettivo, è contro natura. E sulla questione Ratzinger ha una storia molto lunga alla quale rimando, avvertendo solo di leggere con attenzione la Notificazione riguardante Suor Jeannine Gramick e Padre Robert Nugent

del 1999. Il problema può essere ricondotto al fatto che gli omosessuali non possono generare dei figli. Ciò comporta che sono solo visti come peccatori che indugiano con la carne senza quel sano fine che la Chiesa stessa si darebbe se avesse dei sacerdoti che possano avere figli (ed il che non è). Il sesso resta la principale ossessione della Chiesa ed è l’ossessione di chi vi ha rinunciato (o dovrebbe) violentando la natura della quale pure Dio ci ha dotato.

La situazione patologica di questa istituzione e del suo Papa risiede proprio nel fatto che il capo di una delle Chiese più importanti ed influenti del mondo apra il suo pontificato con una enciclica che inizia con il sesso! Tutti sappiamo quanto ci tenga la Chiesa alla contraccezione. Credo che pochi si siano soffermati sul significato di ciò. Il voler considerare l’uomo solo come essere capace di riprodursi è veramente riduttiva dello stesso essere umano. E questo crea scandalo soprattutto nell’osservare che chi dice questo è persona che ha come condizione centrale della sua esistenza il non avere figli.

In questa enciclica, Deus caritas est, il tedesco dà finalmente sfogo alle sue più segrete pulsioni che pubblicamente sono omofobe. Egli dice:

«Tra l’amore ed il Divino  esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità – una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità  del nostro esistere.

Ma per arrivare a ciò

sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Infatti non ci si può lasciare sopraffare dall’istinto. L’eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, “estasi” verso il Divino, ma caduta, degradazione dell’uomo. Così diventa evidente che l’eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende».

Ma che sa Ratzinger di tutto questo ? Sembra ne parli con competenza ottocentesca. E’ tanto competente che dimentica la sua cura maniacale del corpo (gonnelline corte, cappelli sgargianti,scarpette graziose, riporto birichino, …) quando dice:
 

«Il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L’eros degradato a puro “sesso” diventa merce, una semplice “cosa” che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce».

Forse dice queste cose perché egli stesso ha rinunciato all’eros … La rinuncia a esaudire i propri desideri, spiega il pontefice, è l’unica via per ridiventare interi, per sposare in sé corpo e anima:

«L’uomo diventa veramente se stesso quando corpo e anima si ritrovano in intima unità,- la sfida dell’eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita».

Una sorta di dicotomia tra anima e corpo, con il primato dell’anima che è la direttrice di tutto. Ed il sesso, espressione del corpo, deve essere disciplinato dall’anima e l’atto sessuale è il luogo in cui si gioca la lotta tra religiosità e materialismo. Se vince la prima, l’Occidente è salvo. Ed il problema della Chiesa nasce proprio dal fatto che la materia non si lascia asservire dall’anima. E chi non riesce a vincere tali tentativi continui di sopraffazione va incontro alla completa perdizione. Già su questa strada dell’orrido e dell’orrendo screditare il corpo (che, anche nell’accezione cristiana è creazione di Dio, del quale, dovremmo essere fatti ad immagine e somiglianza) si era mosso in modo chiarissimo l’abate  Odon de Cluny (879 circa – 942) che descrisse così, a chi aveva strane voglie il corpo femminile:

«La bellezza si limita alla pelle. Se gli uomini vedessero quel che è sotto la pelle, così come si dice che possa vedere la lince di Beozia, rabbrividirebbero alla vista delle donne. Tutta quella grazia consiste di mucosità e di sangue, di umori e di bile. Se si pensa a ciò che si nasconde nelle narici, nella gola e nel ventre, non si troverà che lordume. E se ci ripugna toccare il muco o lo stereo con la punta del dito, come potremmo desiderare di abbracciare il sacco stesso che contiene lo sterco?».

Serve dire altro per mostrare i livelli di follia di questi esaltati ?

Ed ora la vita!


Tutto parte da una frase priva di significato sempre portata a sostegno degli argomenti di cui parlerò. Nessuno si sofferma sulla premessa che dovrebbe giustificare il seguito. Ma se la premessa non ha senso, l’intero ragionamento cade. E qui è inutile appellarsi a correttezze empiriche o sperimentali, queste cose sono fuori dalle logiche dialettiche, e solo tali, dei nostri gerarchi della Chiesa. Lor signori chiacchierano e si avvitano in dotte disquisizioni ma, come accennato, le cose che dicono funzionano per il gregge non per chi, dopo Aristotele, ha studiato logiche più articolate. La premessa che viene sempre fatta e non solo quando si parla di vita, è che la cosa sarebbe un disegno naturale,  disegno che, per essere naturale è anche divino. Ma cosa vuol dire disegno naturale ? Nulla. Proprio nulla. Quanti disegni naturali vi sono che sono stati modificati ? Il disegno naturale prevede le fragole a giugno e noi le mangiamo a dicembre. Il disegno naturale prevede che l’acqua vada verso il basso e noi la innalziamo fin dove crediamo opportuno. Il disegno naturale prevede che si perdano i capelli con l’avanzare degli anni, e Berlusconi va contro natura. Ma poi di cosa si vuol parlare ? Dell’appendicite che ammazzava per disegno naturale ? o delle infezioni ? o della rabbia ? o della febbre da parto ? Finisco perché credo di essermi spiegato: l’uomo modifica la natura ed è proprio questa la sua caratteristica meravigliosa e tragica. Diventa quindi un non problema il discutere se il violare il disegno naturale sia possibile o meno. E’ certamente possibile in moltissimi casi, le impossibilità riguardando cose più grandi di noi (far piovere, fermare i terremoti, evitare le alluvioni, …). Ma la domanda che ora ci riguarda è specifica: è lecito per l’uomo, attraverso le possibilità offerte dalla scienza, stravolgere il disegno naturale di poter eventualmente generare figli ?

Il futuro Papa usa la scienza in modo stravagante ed a volte la reclama per affermare cose che poi rigetta per fede, come nel caso in discussione. Nel 1987, nella sua istruzione Donum vitae (*), scriveva:

«la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante si trova fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: un uomo, quest’uomo-individuo con le sue note caratteristiche già ben determinate».

Si può osservare che il tedesco si affida qui alla scienza per affermare alcune cose. Ma la scienza è inscindibile da quel razionalismo che il Papa ha sempre condannato, come abbiamo visto, in quanto non in grado di rispondere a nessuna delle questioni della nostra vita. Ma c’è sottilmente di più. Come si può richiamare la scienza per sostenere una determinata posizione morale ? Io credo che dell’accordo tra queste cose non interessi molto e che vi sia la volontà di usare tutto, di mettere tutto in uno stesso calderone per fare un intruglio buono per il gregge (e poi citare la scienza fa sempre un certo effetto).

Questa premessa serve comunque al futuro pastore tedesco per assumere il ruolo di strenuo difensore della vita. E dove si difende la vita ? Dove vi sono orde di barbari che vogliono fare stragi ! Si, perché questa è l’immagine che viene fornita dell’avversario, quella di un assassino che perciò stesso diventa persona con la quale non è possibile alcun confronto. Inoltre, questo argomentare è utile solo alla propaganda, alla vendita di tappeti.

L’anonimo autore del pamphlet osserva a questo punto:

«Nessuno sostiene che la nascita, o l’impedimento di una nascita, siano atti moralmente indifferenti. Nessuno odia o disprezza “la vita”. Si tratta di scegliere se la realtà, quando si presenta problematica, quando contiene in sé bene e male, vada negata, e magari assolta con un paio di Ave Maria, oppure affrontata e gestita, regolamentata e compresa, in attesa che dalla pratica sgorghi un orientamento condiviso, vale a dire una cultura dei limiti e dei divieti. Il fatto che l’aborto (che ha fatto da scenario implicito dell’intero dibattito referendario) esista da sempre e che disgraziatamente esisterà per sempre non sembra minimamente toccare i vertici vaticani. Come se la negazio­ne ideale fosse di per sé sufficiente a eliminare il reale, come se la propria buona coscienza fosse più importante di una buona realtà».

Ma la Chiesa si assume enormi responsabilità perché a lato della pretesa difesa della vita si oppone drasticamente anche alla contraccezione, ed addirittura alla pillola del giorno dopo. Con una seria ammissione di tale contraccezione vi sarebbe una seria limitazione delle orrende pratiche abortive, ma che volete, i principi sono principi … e tra di essi vi sono le violente invettive di Ratzinger contro proprio la contraccezione a partire dal suo intervento al Concistoro straordinario del 1991 (*). In tale scritto vi è l’intero programma di Ratzinger. Si parte dal fatto che l’origine di tutti i mali è l’Illuminismo per arrivare a discutere di contraccezione descritta sempre come aborto. In passi successivi il tedesco dice:
 

«Ci si scaglia contro la vita nascente mediante l’aborto (risulta che nel mondo se ne verificherebbero da 3 a 4 milioni l’anno) e proprio per facilitare l’aborto si sono investiti miliardi nella messa a punto di pillole abortive (RU 486). Altri miliardi sono stati stanziati per rendere la contraccezione meno nociva per la donna, con la contropartita che ora gran parte dei contraccettivi chimici in commercio agiscono di fatto prevalentemente come anti-nidatori, cioè come abortivi, senza che le donne lo sappiano. Chi potrà calcolare il numero delle vittime di quest’ecatombe nascosta?»

«Gli embrioni soprannumerari, inevitabilmente prodotti attraverso la Fivet, sono congelati e soppressi, a meno che non raggiungano quei loro piccoli fratelli abortiti che vengono trasformati in cavie per la sperimentazione o in fonte di materia prima per curare le malattie, quali il morbo di Parkinson e il diabete. La Fivet stessa diventa spesso occasione di aborti perfino “selettivi” (es. scelta del sesso), qualora si verifichino indesiderate gravidanze multiple.

La diagnosi prenatale viene usata quasi di routine sulle donne cosiddette “a rischio”, per eliminare sistematicamente tutti i feti che potrebbero essere più o meno malformati o malati. Tutti quelli che hanno la buona sorte di essere portati sino al termine della gravidanza dalla loro madre, ma hanno la sventura di nascere handicappati, rischiano fortemente di essere soppressi subito dopo la nascita o di vedersi rifiutare l’alimentazione e le cure più elementari.

Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma “irreversibile”, saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d’organo o serviranno, anch’essi, alla sperimentazione medica (“cadaveri caldi”).

Infine, quando la morte si preannuncerà, molti saranno tentati di affrettarne la venuta mediante l’eutanasia».

«La sessualità stessa viene in tal modo de-personalizzata e strumentalizzata. Essa appare come una semplice occasione di piacere e non più come la realizzazione del dono di sé, né come l’espressione di un amore che, nella misura in cui è vero, accoglie integralmente l’altro e si apre alla ricchezza di vita di cui è portatore, al suo bambino che sarà anche il proprio bambino. I due significati, unitivo e procreativo, dell’atto sessuale vengono separati. L’unione è impoverita, mentre la fecondità è rinviata alla sfera del calcolo razionale: “il bambino, certo. Ma quando lo voglio e come lo voglio”».

«la contraccezione e l’aborto affondano entrambi le loro radici in quella visione de-personalizzata e utilitaristica della sessualità e della procreazione».

«la contraccezione conduce necessariamente all’aborto come “soluzione di riserva”».

«La pillola ha provocato una rivoluzione culturale … Se la sessualità può essere sganciata, in maniera sicura, dalla procreazione, diventando sempre più pura tecnica, allora il sesso ha a che fare con la morale come ce l’ha bere una tazza di caffè».

«l’uomo che non ha più accesso all’infinito, a Dio, è un essere contraddittorio, un prodotto fallito. Qui appare la logica del peccato: l’uomo volendo essere come Dio, cerca l’indipendenza assoluta. … La strada verso l’aborto, verso l’eutanasia e lo sfruttamento dei più deboli è aperta».

Non serve spendere troppe parole per vedere gli oscuri contorcimenti dialettici, lo scavare nell’orrido del tedesco che sembra figlio del tardo romanticismo. Deve richiamare ogni argomento per portare avanti una tesi che può essere propria e del gregge ma certamente non imposta, come lo è in gran parte ai cittadini. Ed un ateo come resta colpito dal fatto di avere sempre un trattamento di favore (qualunque sia la religione) risultando un prodotto fallito (lascio naturalmente perdere …).

Che i problemi connessi con al vita e la morte siano aperti e discutibili, non vi è alcun dubbio. Ma la questione non è risolvibile richiamando una qualche fede. O, almeno, non lo è per chi intende che esista una separazione tra coscienza individuale e collettiva, tra la scelta consapevole di un individuo e le norme sociali che regolano la convivenza. In tal senso, non ha alcun significato imporre la fede con la legge e difendersi dal peccato con le pene ed i divieti di legge. La Chiesa per parte sua continua a testa bassa su questi temi: la contraccezione, come l’omosessualità è condannata perché potrebbe interferire con il disegno di un Dio ipotetico, con il suo disegno o con quello naturale. Chi ne esce male, a parte il cittadino, è proprio quel Dio rappresentato come uno sciocchino che si fa prendere in giro dagli abili trucchi contraccettivi delle sue creature. Il concetto astratto di vita detta legge all’esistenza reale dell’uomo. Ma con le ottuse gerarchie non vi è scampo, con esse si arriva all’assurdo di sostenere che la vita è vita anche quando non lo è, cioè anche prima del concepimento, perché è già dentro il disegno divino e … fine della discussione. Come fine del libero arbitrio ma pervicace volontà di affermare il proprio assolutismo e mondo ad una sola dimensione.

Allo stesso modo si potrebbe trattare la famiglia, la sua tanto conclamata sacralità ed al conseguente rifiuto di regolamentazioni di legge di unioni di fatto. E per rendersi conto del mondo di ipocrisia rappresentato dalla Chiesa, basta citare alcuni dati elementari dell’ISTAT: i divorzi, fino al 2005 compreso, riguardano l’82,3 % dei matrimoni religiosi ed il 17,7 %  di quelli civili; per le separazioni siamo rispettivamente all’83,3 ed al 16,9. Chiaro ? Insomma abbiamo a che fare con un pastore che possiede un gregge di ipocriti ? il che prevede scollamenti che annunciano disimpegno ? anche sul referendum si è assistito alla furbata dell’astensione per poi spacciarla per vittoria. Non è così, come la stesa Chiesa sa. Le sue posizioni sono improntate alla Paura.

L’anonimo autore del brillante pamphlet può concludere:

«Il pensiero di Joseph Ratzinger si dibatte nelle contraddizioni aperte dalla filosofia moderna pretendendo di confutarle. Rigetta la funzionalità su cui si basa il metodo scientifico, ma per riaffermare la propria fede adotta argomenti utilitaristici improntati alla ricerca del male minore. Respinge come inumane le scoperte della scienza, ma poi le utilizza per sostenere la propria visione. Bolla di relativismo ogni difficile tentativo di fondare, sulla base della sola ragione, i valori di una convivenza più giusta tra gli uomini, ma poi sostiene che ogni valore è tale soltanto in relazione (se è relativo) all’esistenza di Dio. Rifiuta, infine, il marxismo perché il concetto su cui si fonda la sua promessa sacrificherebbe la concreta vita dei singoli all’affermazione di un’utopia feroce. Ma poi è ciò che fa quando, pur di negare la liceità dei contraccettivi, accetta di fatto interruzioni di gravidanza ed epidemie, limitandosi a condannarle con argomenti storicamente risibili come effetti della modernità».

Ratzinger non sfugge al giudizio che Mao dava dei reazionari: solleva grosse pietre per poi lasciarsele cadere sui piedi (e l’ultima è quella della lezione di Ratisbona con la sortita gravissima sull’Islam). Nel ringraziamento (*) per la laurea honoris causa in diritto conferitagli nel 1999 dalla Libera Università  Maria SS. Assunta di Roma, l’allora prefetto disse:

«Vi è ancora una seconda minaccia del diritto, che oggi sembra essere meno attuale di quanto non lo era ancora dieci anni fa, ma può in ogni momento riemergere e trovare agganci con la teoria del consenso. Penso alla dissoluzione del diritto per mezzo della spinta dell’utopia, cosi come aveva assunto forma sistematica e pratica nel pensiero marxista. Il punto di partenza era qui la convinzione cha il mondo presente è cattivo – un mondo di oppressione e di mancanza di libertà, esso dovrebbe essere sostituito da un mondo migliore da pianificare e da realizzare adesso. La vera ed ultimamente unica fonte del diritto diviene ora l’immagine della nuova società».

E cosa è la posizione dell’attuale Papa se non la rincorsa a questa utopia con minacce rese operative al diritto ? Si nasconde la complessità del reale per puro nominalismo. Non ci interessa di intervenire su come va il mondo ma affermarne uno metafisico.

E questo manifesto, già ampiamente presente in tutti i documenti elaborati dal pastore tedesco, alcuni dei quali sono pubblicati in appendice, è stato ben esplicitato nella conferenza che tenne a Subiaco (L’Europa nelle crisi delle culture) il giorno prima di essere eletto Papa (1 aprile 2005). In esso risulta chiaro che per Ratzinger vale quanto egli stesso imputa agli altri, il fatto cioè che l’utopia politica è al di sopra della dignità del singolo uomo e, in nome dei grandi obiettivi, lo stesso uomo risulta disprezzato.

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        A ciò occorre aggiungere una cosa passata abbastanza sotto silenzio. Nell’orrido Discorso di Ratisbona, prima papera mondiale del Papa che con citazioni fasulle ha fatto indignare il mondo musulmano, egli aveva sostenuto in un ritorno al Medio Evo che la Chiesa aveva ripreso il meglio del pensiero greco. Vediamo cosa scrissi allora:

E’ il caso di commentare questa “lezione” del Papa a Ratisbona. …

Avevo scritto la riga precedente prima di leggere il testo che segue con la dovuta attenzione. Alla fine sono rimasto allibito e sconcertato. Dal mio punto di vista addirittura felice di vedere un Papa che tenta di farsi filosofo, sbagliando tutto e nelle premesse e nelle conclusioni. E non può essere filosofo chi ha SOLO preconcetti, non può essere né filosofo né tanto meno scienziato. Il preconcetto, meglio pregiudizio, guida ogni ricerca sia in campo filosofico che scientifico. Ma la differenza con chi ha una religione è che quella religione è un limite invalicabile che invece non può esserlo né per il filosofo né tanto meno per lo scienziato. Per intenderci, uno scienziato può anche lasciar cadere un martello avendo in mente il pregiudizio che va più veloce di un chiodo in caduta, MA quando sottopone a trattamento teorico e ad indagine sperimentale il fenomeno, deve addrizzare il pregiudizio e riconoscere che chiodi e martelli cadono con la stessa velocità (meglio: accelerazione). Questa pratica non è della persona di fede. Per costui non vi è nulla che possa negare la divinità, nessuna evidenza scientifica è in grado di scalfire una convinzione religiosa.

Invece questo Papa da poco ci prova con tutti i mezzi e crede di essere più convincente entrando in disquisizioni filosofiche dal carattere greco, ma sofista. Sembra un povero orfano che soffre del problema del padre e non abbia il coraggio di ammazzare il suo credo per potersi finalmente liberare verso liberi pensieri. Fa pena e fors’anche tenerezza (se non fosse per il fatto che altrove è un avido cercatore dei denari altrui con i quali vive da gran nababbo).  E’ ancora triste questo Papa, e non per me, perché è la negazione del “pastore di anime”. Non sa parlare al prossimo, a quello che gli è devoto. E per questo dico “non per me”. Lo vedo ultimo epigono di una Chiesa che si chiude su di sé in modo inglorioso e che non sa dire assolutamente nulla alle generazioni del nuovo millennio: o crede che verginità, contraccezione, castità, famiglia, vita siano le cose che muovono la fede ? Se si illude di stupidi successi secolari e mondani (referendum sulla procreazione assistita) è doppiamente sciocco perché deve ammettere la truffa e contemporaneamente il fatto che sul non fare può aggregare, restando ancora da dimostrare che tale aggregazione sia possibile relativamente al fare. Comunque affari suoi e di una Chiesa fatta da personaggi sempre più impresentabili, personaggi in gonnella votati alla castità che hanno l’hobby della pedofilia e dello spiegare agli altri cosa è il vero amore. Stravagante!

Avevo iniziato con il colorare in verde le cose notevoli per poterle poi  commentare. Lascio le cose così cambiando il fine delle cose così messe in evidenza.

Inizia Ratzinger (se ai cattolici piace questo Papa, sono affari loro) riportando la frase di un dotto sovrano bizantino: “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio” traducendo in altri termini “nessuna costrizione nelle cose di fede“. Intanto è d’interesse che Ratzinger ci racconti di cose che fanno a pugni con i secoli di conversioni forzate che la Chiesa ha praticato e che oggi olimpicamente dimentica. Anche nell’elenco dei secoli che sviluppa mancano stranamente il XVII ed il XVIII, quelli della nascita della ragione scientifica contro l’aristotelismo che, nella Chiesa, era il credo in San Tommaso, e della nascita dell’Illuminismo (quello “falso” visto che maldestramente Ratzinger quello vero se lo prende per sé).

La bella frase viene assunta come fondante della Chiesa ed in tal modo egli vorrebbe dirci che sta qui la prova che la Chiesa ha preso in sé il meglio della cultura Greca. Certo, ammette, qualche problemino vi è stato … Ma la sostanza è in quella ragione che è della Chiesa. Naturalmente il Papa non è tanto ignorante. Solo che, in questa epoca in cui va di moda, si è messo a vendere tappeti. Mente, spero, sapendolo. Intanto descrive la scienza come qualcosa di aridamente sistemato tra matematica ed empiria (non è empiria, Ratzinger! Non lo è, studi un poco di più e scoprirà un certo Galileo …). Altrove è invece l’ethos che solo la fede può dare … Ecco un’altra delle innumerevoli sciocchezze papali: ma come si fa, possedendo la verità, a dialogare con gli altri che non sono correligionari ? E’ una pura operazione di belletto, di trucco, di marketing. Poi faccio sempre come mi pare, o no?

Secondo il nostro vi sarebbe comunque stato un incontro tra Dio ed il pensiero greco (meno male che Dio si è ricordato che da qualche parte aveva reso possibile un pensiero) e tale incontro sarebbe avvenuto attraverso il Nuovo Testamento scritto, pensate un poco, in greco. Come dire che Renzetti ha un incontro con la civiltà americana perché usa microsoft e google.

Poi però, in epoca ellenistica vi era l’idolatria e la cultura biblica ha dovuto allontanarsi dal pensiero greco. La cultura biblica infatti trovato un Costantino che se la è allevata e coccolata di modo che dal pensiero greco è passata a quello romano. Ma nella letteratura sapienziale, quella del tentativo di rendere scientificamente accettabile il Cristo, allora si ritorna (?) alla vicinanza con il pensiero greco (qui davvero non si sa bene come reagire; viene il dubbio che il Papa non sappia cosa sia il pensiero greco o …).

Solo nel tardo medioevo, secondo Ratzinger nasce una rottura che però, udite udite, contrasta con Agostino e Tommaso. Come dire se fosse stato per questi due non si sarebbe rotto nulla. Ma senza (soprattutto) Tommaso, cosa resta del pensiero cristiano ? Io ritengo che nulla ma la Chiesa creede che quello sia il tutto. Se solo si torna a leggere l’enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II ci si accorge che al di là di Tommaso non è ammesso nulla e nessuno. In tal senso è vero che la Chiesa è ancorata al pensiero greco, ma a quello imbalsamato di Aristotele, opportunamente modificato per renderlo non ateo. Un pensiero che per poi schiodarlo si è passati attraverso braceri, roghi, torture e condanne a morte. Questo sarebbe il legame tra il meglio del pensiero greco e quello cristiano ? Qui viene fuori la grande abilità del venditore di tappeti. Riesce a spacciare merce tarlata ad ascoltatori che sempre più sono (Platone) bipedi, implumi, acefali. Basterebbe chiedere dov’è Pericle per sentirsi dire: nel Pontifex Maximus, nell’indiscutibile potere di una monarchia assoluta.

Ma i vaneggiamenti continuano quando si sostiene che altra prova del legame con il pensiero greco la si ha dal fatto che “il culto cristiano è “spirituale” – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione”. Ecco, appunto. Qui vi è il discrimine che nessun discorso filosofico (smercio di tappeti tarlati) può occultare. Quando si dice nostra ragione si sta parlando della loro ragione. Il che va benissimo, purché non si faccia confusione e non vi siano operazioni di imposizione come quelle che viviamo quotidianamente. Si tratterebbe di un avvicinamento tra fede biblica e pensiero greco, un avvicinarsi che nasce dall’interrogarsi. Anche qui l’interrogarsi è aperto o è in un vicolo cieco scelto a priori ? Nel primo caso è d’interesse, nel secondo è legittimo ma estraneo sia al pensiero greco che a quello contemporaneo (al libero pensiero intendo).

Ma la lingua batte dove il dente proprio non c’è. E dice Ratzinger che “il metodo [scientifico] come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico”. Sbagliato, Papa. Nessuno si occupa, in ambito scientifico di fare apparire una cosa in un modo o in un altro. Soprattutto nessuno si occupa della metafisica che è un accessorio che a qualcuno serve ed a qualcuno no. La ricchezza dell’ethos non ha poi né sistemi né unità di misura. Il nominalismo, l’autodefinizione sono sciocchezze delle quali la scienza in quanto tale fa volentieri a meno (ricorda Galileo? Non mi par tempo ora di dare nomi …). Non così la fede che vive sono di riti che sono castelli di parole buone per coloro che le accettano in silenzio. E questa cosa del silenzio non si addice alla scienza. Ad essa non si addicono dogmi, infallibilità, miracoli e verità rivelate. Ed è stato il Cristianesimo che si è messo in cattedra affermando che “IO SONO LA VERITA'”. La scienza, la ragione, è l’esatto contrario di questa colossale sciocchezza che, ripeto, la Chiesa può continuare a sostenere (l’Illuminismo ha fatto anche questo, Santità!) senza voler imporla a nessuno (cosa che regolarmente fa da 1700 anni). E neppure ci si deve stupire che dal caos nasca un ordine descrivibile matematicamente. Se studiasse un poco, il Papa apprenderebbe che vi sono quelle che sono chiamate fluttuazioni. Per evitargli mal di capo glielo esemplifico in breve: ha presente il caos che è alla base del concepimento ? un miscuglio di cellule che va ad ordinarsi e sistemarsi in modo da originare una vita perfettamente riconoscibile come tale ? Beh, impari da questo. Semmai il problema nasce poi, dal disordine che occorre fare per mantenere in vita ed in peso quella creatura.

Ed il Papa è in grado anche di mostrare grande fantasia nell’intervenire ancora (velatamente qui) contro l’evoluzionismo che non avrebbe la stessa valenza scientifica (sic!) del disegno intelligente. Per l’ennesima volta: tutte queste cose sono legittime, ma perché voler spacciare ciò come il dialogo tra scienza e fede ? Le due cose hanno valenze diverse. Mentre la scienza tenta faticosamente, piano piano di scoprire i meccanismi della natura senza spiegazioni metafisiche, altrimenti si negherebbe da sé, la fede riguarda l’individualità di ciascuno di noi e non è razionalizzabile o descrivibile o spiegabile. Voler cercare sovrapposizioni tra le due sfere è un fatto autoritario che prevederebbe sempre e comunque il primato della fede sulla scienza (chi sostiene il contrario lo dica chiaramente). Per tranquillizzare Ratzinger, che spesso viene fuori con simili sciocchezze, qualcuno gli dica che la scienza non sta operando per mettere in un angolo la religione, semplicemente per la scienza questo problema non esiste. Altra cosa è se Ratzinger si sente in un angolo. Forse qualche ragione l’avrà, ma sono affari suoi personali.

Il discorso si ferma alla Riforma, al XVI secolo. Peccato perché sarebbe d’interesse capire cosa fa, dopo, il pensiero greco. Ma per rendere conto dell’instancabilità della vendita di tappeti (tarlati), poiché il Papa parla nella Germania (terra della Riforma), deve giustificare i protestanti lì abbondanti. E come lo fa ? Con il pensiero greco! Poiché la Chiesa ne aveva tanto dentro, i protestanti hanno capito che il Cristianesimo in questo modo sarebbe diventato solo un sistema filosofico e quindi si sono ribellati. Naturalmente Ratzinger mente. Dimentica il problema delle indulgenze e le 95 tesi di Lutero. Per chi volesse vedere l’abisso di corruzione della Chiesa si può consultare la Taxa Camarae di Leone X e per chi volesse ripassare alcune cosette di Lutero può vedere le 95 tesi sulle indulgenze.

Da ultimo vi è una divertente rivendicazione, quello di inserire la teologia tra gli insegnamenti scientifici. Che dire ? Silenzio!

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        In questo resoconto mancano alcune cose ed in particolare l’esplodere dello scandalo dei preti pedofili, scandalo che era incubato con lo stesso Ratzinger che lavorò alacremente per occultare gli abusi sessuali nel suo ruolo di inquisitore di Giovanni Paolo II. Ma manca anche una vergognosa provocazione poi ricaduta sul governo Prodi del gennaio 2008. In quella occasione uno strano rettore della Sapienza, tal Guarino, invitò Papa Ratzinger a tenere una lezione in occasione dell’inaugurazione del nuovo Anno Accademico. Sarebbe stata la prima volta che un Papa in veste di capo di Stato straniero inaugurava un Anno Accademico a Roma. Un conto è invitare all’inaugurazione un conto è far inaugurare. La cosa fu notata per primo da Marcello Cini che scrisse una lettera, pubblicata da il manifesto il 15 novembre 2007.

Se la Sapienza chiama il papa e lascia a casa Mussi

Marcello Cini


Signor Rettore, apprendo da una nota del primo novembre dell’agenzia di stampa Apcom che recita: «è cambiato il programma dell’inaugurazione del 705esimo Anno Accademico dell’università di Roma La Sapienza, che in un primo momento prevedeva la presenza del ministro Mussi a ascoltare la Lectio Magistralis di papa Benedetto XVI». Il papa «ci sarà, ma dopo la cerimonia di inaugurazione, e il ministro dell’Università Fabio Mussi invece non ci sarà più».
Come professore emerito dell’università La Sapienza – ricorrono proprio in questi giorni cinquanta anni dalla mia chiamata a far parte della facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali su proposta dei fisici Edoardo Amaldi, Giorgio Salvini e Enrico Persico – non posso non esprimere pubblicamente la mia indignazione per la Sua proposta, comunicata al Senato accademico il 23 ottobre, goffamente riparata successivamente con una toppa che cerca di nascondere il buco e al tempo stesso ne mantiene sostanzialmente l’obiettivo politico e mediatico.

Non commento il triste fatto che Lei è stato eletto con il contributo determinante di un elettorato laico. Un cattolico democratico – rappresentato per tutti dall’esempio di Oscar Luigi Scalfaro nel corso del suo settennato di presidenza della Repubblica – non si sarebbe mai sognato di dimenticare che dal 20 settembre del 1870 Roma non è più la capitale dello stato pontificio. Mi soffermo piuttosto sull’incredibile violazione della tradizionale autonomia delle università – da più 705 anni incarnata nel mondo da La Sapienza dalla Sua iniziativa.
Sul piano formale, prima di tutto. Anche se nei primi secoli dopo la fondazione delle università la teologia è stata insegnata accanto alle discipline umanistiche, filosofiche, matematiche e naturali, non è da ieri che di questa disciplina non c’è più traccia nelle università moderne, per lo meno in quelle pubbliche degli stati non confessionali. Ignoro lo statuto dell’università di Ratisbona dove il professor Ratzinger ha tenuto la nota lectio magistralis sulla quale mi soffermerò più avanti, ma insisto che di regola essa fa parte esclusivamente degli insegnamenti impartiti nelle istituzioni universitarie religiose. I temi che sono stati oggetto degli studi del professor Ratzinger non dovrebbero comunque rientrare nell’ambito degli argomenti di una lezione, e tanto meno di una lectio magistralis, tenuta in una università della Repubblica italiana. Soprattutto se si tiene conto che, fin dai tempi di Cartesio, si è addivenuti, per porre fine al conflitto fra conoscenza e fede culminato con la condanna di Galileo da parte del Santo uffizio, a una spartizione di sfere di competenza tra l’Accademia e la Chiesa. La sua clamorosa violazione nel corso dell’inaugurazione dell’anno accademico de La Sapienza sarebbe stata considerata, nel mondo, come un salto indietro nel tempo di trecento anni e più.
Sul piano sostanziale poi le implicazioni sarebbero state ancor più devastanti. Consideriamole partendo proprio dal testo della lectio magistralis del professor Ratzinger a Ratisbona, dalla quale presumibilmente non si sarebbe molto discostata quella di Roma. In essa viene spiegato chiaramente che la linea politica del papato di Benedetto XVI si fonda sulla tesi che la spartizione delle rispettive sfere di competenza fra fede e conoscenza non vale più. «Nel profondo… si tratta – cito testualmente – dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall’intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire “con il logos” è contrario alla natura di Dio».
Non insisto sulla pericolosità di questo programma dal punto di vista politico e culturale: basta pensare alla reazione sollevata nel mondo islamico dall’accenno alla differenza che ci sarebbe tra il Dio cristiano e Allah – attribuita alla supposta razionalità del primo in confronto all’imprevedibile irrazionalità del secondo – che sarebbe a sua volta all’origine della mitezza dei cristiani e della violenza degli islamici. Ci vuole un bel coraggio sostenere questa tesi e nascondere sotto lo zerbino le Crociate, i pogrom contro gli ebrei, lo sterminio degli indigeni delle Americhe, la tratta degli schiavi, i roghi dell’Inquisizione che i cristiani hanno regalato al mondo. Qui mi interessa, però, il fatto che da questo incontro tra fede e ragione segue una concezione delle scienze come ambiti parziali di una conoscenza razionale più vasta e generale alla quale esse dovrebbero essere subordinate. «La moderna ragione propria delle scienze naturali – conclude infatti il papa – con l’intrinseco suo elemento platonico, porta in sé un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda (sul perché di questo dato di fatto) esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali a altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l’ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell’umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi a essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere».
Al di là di queste circonlocuzioni il disegno mostra che nel suo nuovo ruolo l’ex capo del Sant’uffizio non ha dimenticato il compito che tradizionalmente a esso compete. Che è sempre stato e continua a essere l’espropriazione della sfera del sacro immanente nella profondità dei sentimenti e delle emozioni di ogni essere umano da parte di una istituzione che rivendica l’esclusività della mediazione fra l’umano e il divino. Un’appropriazione che ignora e svilisce le innumerevoli differenti forme storiche e geografiche di questa sfera così intima e delicata senza rispetto per la dignità personale e l’integrità morale di ogni individuo.
Ha tuttavia cambiato strategia. Non potendo più usare roghi e pene corporali ha imparato da Ulisse. Ha utilizzato l’effige della Dea Ragione degli illuministi come cavallo di Troia per entrare nella cittadella della conoscenza scientifica e metterla in riga. Non esagero. Che altro è, tanto per fare un esempio, l’appoggio esplicito del papa dato alla cosiddetta teoria del Disegno Intelligente se non il tentativo – condotto tra l’altro attraverso una maldestra negazione dell’evidenza storica, un volgare stravolgimento dei contenuti delle controversie interne alla comunità degli scienziati e il vecchio artificio della caricatura delle posizioni dell’avversario – di ricondurre la scienza sotto la pseudorazionalità dei dogmi della religione? E come avrebbero dovuto reagire i colleghi biologi e i loro studenti di fronte a un attacco più o meno indiretto alla teoria darwiniana dell’evoluzione biologica che sta alla base, in tutto il mondo, della moderna biologia evolutiva?
Non riesco a capire, quindi, le motivazioni della Sua proposta tanto improvvida e lesiva dell’immagine de La Sapienza nel mondo. Il risultato della Sua iniziativa, anche nella forma edulcorata della visita del papa (con «un saluto alla comunità universitaria») subito dopo una inaugurazione inevitabilmente clandestina, sarà comunque che i giornali del giorno dopo titoleranno (non si può pretendere che vadano tanto per il sottile): «Il Papa inaugura l’Anno Accademico dell’Università La Sapienza».
Congratulazioni, signor Rettore. Il Suo ritratto resterà accanto a quelli dei Suoi predecessori come simbolo dell’autonomia della cultura e del progresso delle scienze.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Novembre-2007/art49.html

        Dopo questa lettera, il 23 novembre (attenzione alla data) una sessantina di docenti della Sapienza hanno scritto al proprio rettore la seguente lettera: «Magnifico Rettore, con queste poche righe desideriamo portarLa a conoscenza del fatto che condividiamo appieno la lettera di critica che il collega Marcello Cini Le ha indirizzato sulla stampa a proposito della sconcertante iniziativa che prevedeva l’intervento di papa Benedetto XVI all’Inaugurazione dell’Anno Accademico alla Sapienza. «Nulla da aggiungere agli argomenti di Cini, salvo un particolare. Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella città di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso l’affermazione di Feyerabend: “All’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto“. Sono parole che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all’avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano.
«In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l’incongruo evento possa ancora essere annullato».

        Vale la pena, prima di proseguire leggere l’intervento di Ratzinger su Galileo premettendo alcune considerazioni e chiudendo con l’elencazione degli errori:

Lo hanno dovuto fare ma ci rigirano sopra in modo vergognoso. In realtà poi non l’hanno fatto ma il solo annuncio li ha messi a tappeto. Hanno preso in giro il Papa che suppostamente voleva davvero riabilitare Galileo (resta sempre il problema di chi riabilita chi ?). Raccontano sciocchezze appigliandosi a citazioni random di epistemologi e storici che hanno solo il compito di scandalizzare. Insomma Galileo è nel gozzo delle gerarchie ecclesiastiche e non andrà mai giù. Ecco Ratzinger, il perfetto inquisitore, tanto mellifluo e stropicciamani, quanto duro ed inflessibile, che si cimenta sulla stessa denigrazione. Pensate ai Bellarmino e non troverete differenze salvo la boria, ora trasformata in lamento infingardo.

E’ possibile che il futuro massimo rappresentante della Chiesa cattolica dica tante sciocchezze tutte insieme ? E che poi venga fatto Pontefice ? O proprio per questo ? Sembra che il testo seguente sia stato scritto da altri per denigrare Ratzinger, ma la fonte sitografica non ammette dubbi, le sciocchezze sono proprio del futuro Papa Ratzinger. Ora è chiaro che ognuno può dire ciò che vuole ma non può mentire su fatti storici con l’operazione delle citazioni a metà. Può parlare di eucarestia, di battesimo, di catechismo, di estrema unzione … ma non può dire cose non vere su fatti ormai accertati da una bibliografia quasi infinita, come quelli relativi a  Galileo. Egli è nostalgico dei fasti dell’Inquisizione e vorrebbe avere tra le mani quel Galileo che tanto ha fatto per mostrare al mondo quanto la Chiesa sia ottusa e violenta ? Lo vorrebbe avere tra le mani per rifare il processo a modo suo, nel senso delle pene finali, in definitiva troppo blande (come in un gioco letterario viene detto proprio nel brano seguente)? Naturalmente tutto questo dovrà aprire un dibattito serio sul ruolo della Chiesa nella società contemporanea. I politici seri dovranno uscire dal guscio del giustificazionismo, del pietismo, dell’allineamento ipocrita e dovranno dire CHIARAMENTE che le cose qui sostenute sono frutto quantomeno di superficialità (non dico altro perché Ratzinger è ora un capo di Stato straniero). Poiché il personaggio interviene pesantemente nella politica italiana a lui sono dovute delle risposte da un italiano. Leggiamo prima questo scritto che con dolce eufemismo si può definire sciocco.

 Due parole, prima di passare alla lettura, sui personaggi citati. Di Bloch c’è poco da dire. Il filosofo che tenta di intrecciare ebraismo e marxismo introducendo la Speranza nei concetti filosofici, si è occupato molto poco di Galileo. Bloch non conosce la matematica e le problematiche di calcolo. Racconta cose su Galileo che non corrispondono al vero. Punto. Incredibilmente il sistema copernicano era molto più complesso di quello aristotelico per fare i conti ai quali si riferisce Bloch. E’ vero che uno degli scopi di Copernico nell’elaborare il suo sistema era quello di tentare di semplificare i calcoli ma ciò non avvenne, probabilmente anche perché non si aveva alcuna pratica con il nuovo sistema. Ma c’è di più. E’ falso che i presupposti geocentrici o eliocentrici sono indimostrabili. Vero è che è molto difficile. Intanto la questione della relatività del moto. Non è mica una cosa così banale e scontata! Fu Galileo ad introdurla per dare credibilità al sistema Copernicano perché è vero che dalla Terra, il mondo sembra aristotelico. Rovesciare questo contro Galileo rappresenta non solo una falsificazione ma anche una sciocchezza conseguente all’ignoranza delle questioni in gioco. Così come è discorso pasticciato quello di affermare che per la relatività (del moto, Ratzinger, del moto, cioè quella galileiana, appunto; da non confondersi con quella di Einstein che si sbarazzò, lui si, dello spazio assoluto) serve lo spazio assoluto. Il Ratzinger, che non conosce neppure l’argomento della secchia di Newton (e le critiche di Mach), non sa che il problema fu posto da Newton ma esattamente rovesciato: Newton credeva che se avesse individuato un moto assoluto, avrebbe potuto affermare uno spazio assoluto. Egli si convinse che tale moto assoluto era quello originato da forze centrifughe, sbagliando come poi mostrò Mach. Ma qui si parla degli sviluppi di quanto aveva seminato Galileo, non delle problematiche che si posero con Galileo. Più in particolare informo Ratzinger, affinché usi un esorcista, per comunicare a Bloch che, nel 1851, con il suo pendolo, Foucault dimostrò la rotazione della Terra su se stessa e che, mediante misure di  parallasse annuale di una stella, Bessel mostrò nel 1837 il moto della Terra intorno al Sole. Spiacente ma, anche nella fisica dura non vi è il relativismo di cui si riempiono la bocca le gerarchie (osservo a parte che lo stesso Einstein era alla ricerca delle grandezze fisiche che si mantenessero assolute, in proposito occorre leggersi Planck in Scienza, Filosofia, Religione – Fratelli Fabbri Editori, Milano 1973 e ne La conoscenza del mondo fisico – Einaudi, Torino 1943..         

Tralasciando l’esegeta cattolico W. Brandmüller perché non solo non dice ma non è in grado di dire nulla, passiamo a P. Feyerabend. Il teorico della ricerca anarchica dice delle cose di molto interesse su Galileo ed anche sulla Chiesa. La frase riportata dal nostro inquisitore è all’interno del seguente contesto. Galileo è una mente avanzatissima per il suo tempo. Spesso deve scendere a patti con esso. La Chiesa lo condanna in quanto entità conservatrice ed arretrata che non può in alcun modo comprendere la sua grandezza, il suo modo di fare scienza, al di là di ogni schema e metodo. Dice Feyerabend di Galileo: “Procedendo in questo modo Galileo esibì uno stile, un sense of humour, un’elasticità ed eleganza e una consapevolezza della preziosa debolezza del pensiero umano, che non è stata mai eguagliata nella storia della scienza. Nell’opera di Galileo abbiamo una fonte quasi inesauribile di materiale per la speculazione metodologica e, fatto molto più importante, per il recupero di quei caratteri della conoscenza che non soltanto ci informano ma anche ci deliziano” (Contro il metodo, Feltrinelli, Milano 1979, pagg. 131-132). Dice Feyerabend, in quasi chiusura ed a proposito del colonialismo al quale si accompagna l’imperialismo culturale che opprime altri popoli, che il cristianesimo è la religione assetata del sangue dei fratelli (ibidem, pag. 243). Ma questa citazione il futuro Papa non l’ha riportata perché crede che tutti siano pecore del suo gregge.

            E qui mi fermo, lasciando la parola all’inquisitore Ratzinger.  

Roberto Renzetti

PS. Ma chi ha fede nella scienza ? Per carità, ci mancherebbe altro !

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Galileo

di

Joseph RATZINGER 

(tratto da Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti,

Ed. Paoline, Roma 1992, p. 76-79)

            Nell’ultimo decennio, la resistenza della creazione a farsi manipolare dall’uomo si è manifestata come elemento di novità nella situazione culturale complessiva. La domanda circa i limiti della scienza e i criteri cui essa deve attenersi si è fatta inevitabile. Particolarmente significativo di tale cambiamento del clima intellettuale mi sembra il diverso modo con cui si giudica il caso Galileo.

            Questo fatto, ancora poco considerato nel XVII secolo, venne – già nel secolo successivo – elevato a mito dell’illuminismo. Galileo appare come vittima di quell’oscurantismo medievale che permane nella Chiesa. Bene e male sono separati con un taglio netto. Da una parte troviamo l’Inquisizione: il potere che incarna la superstizione, l’avversario della libertà e della conoscenza. Dall’altra la scienza della natura, rappresentata da Galileo; ecco la forza del progresso e della liberazione dell’uomo dalle catene dell’ignoranza che lo mantengono impotente di fronte alla natura. La stella della Modernità brilla nella notte buia dell’oscuro Medioevo (1).

            Secondo Bloch, il sistema eliocentrico -così come quello geocentrico- si fonda su presupposti indimostrabili. Tra questi, rivestirebbe un ruolo di primo piano l’affermazione dell’esistenza di uno spazio assoluto; opzione che tuttavia è stata poi cancellata dalla teoria della relatività. Egli scrive testualmente: «Dal momento che, con l’abolizione del presupposto di uno spazio vuoto e immobile, non si produce più alcun movimento verso di esso, ma soltanto un movimento relativo dei corpi tra loro, e poiché la misurazione di tale moto dipende dalla scelta del corpo assunto come punto di riferimento, così “qualora la complessità dei calcoli risultanti non rendesse impraticabile l’ipotesi” adesso come allora si potrebbe supporre la terra fissa e il sole mobile» (2).

            Curiosamente fu proprio Ernst Bloch, con il suo marxismo romantico, uno dei primi ad opporsi apertamente a tale mito, offrendo una nuova interpretazione dell’accaduto.

            Il vantaggio del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico non consiste perciò in una maggior corrispondenza alla verità oggettiva, ma soltanto nel fatto che ci offre una maggiore facilità di calcolo. Fin qui, Bloch espone solo una concezione moderna della scienza naturale. Sorprendente è invece la valutazione che egli ne trae:

«Una volta data per certa la relatività del movimento, un antico sistema di riferimento umano e cristiano non ha alcun diritto di interferire nei calcoli astronomici e nella loro semplificazione eliocentrica; tuttavia, esso ha il diritto di restar fedele al proprio metodo di preservare la terra in relazione alla dignità umana e di ordinare il mondo intorno a quanto accadrà e a quanto è accaduto nel mondo» (3).

            Se qui entrambe le sfere di conoscenza vengono ancora chiaramente differenziate fra loro sotto il profilo metodologico, riconoscendone sia i limiti che i rispettivi diritti, molto più drastico appare invece un giudizio sintetico del filosofo agnostico-scettico P. Feyerabend. Egli scrive:

«La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione» (4).

           Dal punto di vista delle conseguenze concrete della svolta galileiana, infine, C. F. Von Weizsacker fa ancora un passo avanti, quando vede una «via direttissima» che conduce da Galileo alla bomba atomica.

            Con mia grande sorpresa, in una recente intervista sul caso Galileo non mi è stata posta una domanda del tipo: «Perché la Chiesa ha preteso di ostacolare lo sviluppo delle scienze naturali?», ma esattamente quella opposta, cioè: «Perché la Chiesa non ha preso una posizione più chiara contro i disastri che dovevano necessariamente accadere, una volta che Galileo aprì il vaso di Pandora?».

            Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande. […] Qui ho voluto ricordare un caso sintomatico che evidenzia fino a che punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica”.

NOTE

(1) Cfr. W. Brandmüller, Galilei und die Kirche oder das Recht auf Irrtum, Regensburg 1982.
(2) E. Bloch, Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt/Main 1959, p. 920; Cfr F. Hartl, Der Begriff des Schopferischen. Deutungsversuche der Dialektik durch E. Bloch und F. v. Baader, Frankfurt/Main 1979, p. 110.
(3) E. Bloch, Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt/Main 1959, p. 920s.; F. Hartl, Der Begriff des Schopferischen. Deutungsversuche der Dialektik durch E. Bloch und F. v. Baader, Frankfurt/Main 1979, p. 111.
(4) P. Feyerabend, Wider den Methodenzwang, FrankfurtM/Main 1976, 1983, p. 206.

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        Vediamo quali sono tutte le sciocchezze del futuro Papa in questo breve brano:

       Sua eminenza (ancora non è Papa) Ratzinger crede che, citando autori non cattolici, le sue considerazioni acquistino maggior valore. In linea di principio non è così, poiché ho ampiamente dimostrato che, tra questi autori ve ne sono molti che sparano a zero su Galileo. Occorre poi o fare un serio lavoro di indagine o non azzardare conclusioni come fossero dogmi: incisioni di lapidi da gettare in faccia agli altri. Naturalmente le citazioni sono nel puro stile disinformazia, tipico dell’Inquisizione dalla quale Ratzinger ha attinto abbondantemente a seguito dell’essere stato per molti anni Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (che in breve è l’Inquisizione del passato con voglie del presente). Poiché lo scritto è solo denigratorio di Galileo e non ha alcun carattere non dico di scientificità ma di serietà, mi permetto di rispondere in breve, senza cioè intervenire con citazioni colte poiché non sarebbero capite.

Sciocchezza 1 – Il Papa dice che il mito di Galileo sarebbe nato con l’Illuminismo e che prima non sarebbe quasi esistito. Sono spiacente ma fu Milton (1608 – 1674) che rese sommi onori a chi era stato vittima dell’oscurantismo (si veda lo scritto che riporto in fondo a questo). Inoltre il mito di Galileo era di tutto il mondo avanzato dell’epoca. A Galileo arrivavano offerte di lavoro da tutte le parti, tutti volevano che, ad esempio, un nuovo astro scoperto portasse il nome di un dato Principe, … Più in particolare non vi era scienziato che non citasse Galileo, compreso Descartes. L’accademico pontificio Brandmüller ha ben ragione di parlare di Galileo come stella della modernità in un Medioevo che la Chiesa ha trascinato avanti fino, appunto, all’età dell’Illuminismo. 

Sciocchezza 2 – Il bene ed il male, durante l’epoca del processo a Galileo, non sarebbero stati divisi nettamente. In verità la divisione non la facciamo ora e neppure fu fatta allora dagli studiosi, da coloro che tentavano la via della ragione e del libero pensiero. Fu la Chiesa che divise il mondo tra suoi sostenitori e suoi nemici, ai quali ultimi era data solo persecuzione, torture, bracieri e morte. Non si scambino cause con effetti, oggi è più difficile fare i furbi di quanto non lo fosse  400 anni fa, anche se l’imbroglio, con un pubblico ignorante ed apatico, è sempre possibile (cfr.  il recente referendum).

Sciocchezza 3 – Il pensiero di Bloch, filosofo ebreo tedesco marxista messianico (la speranza) e non romantico (che caspita vuol dire marxista romantico ?), relativo ai due massimi sistemi che si fonderebbero su presupposti indimostrabili non è completo, ma la cosa si può capire da parte di chi, Ratzinger, non conosce la fisica e la sua storia (e neppure la filosofia di Bloch se non ricorda che proprio Bloch definiva addirittura Bruno il cantore dell’infinito). Lo spazio assoluto che sarebbe servito ai due sistemi è introdotto da Bloch con un discorso che tiene già conto dei Principia Mathematica di Newton. E’ un guardare indietro tentando di dire a Galileo che gli sarebbe servito quel riferimento assoluto, riferimento che lo stesso Newton (non la relatività di Einstein) discusse a fondo con l’argomento della secchia (poi ripreso da Mach). Quello spazio assoluto cui accenna Bloch è completamente fuori da ogni discussione in Galileo. Piuttosto è Galileo che costruisce la relatività del moto in uno spazio non assoluto ma semplicemente inerte (e non quello pieno di angioletti di San Tommaso). Questa relatività, insieme al principio d’inerzia, gli serve per dimostrare che, se guardiamo dalla Terra, è il Sole che ci sembra girare intorno ma, se guardassimo dal Sole, troveremmo la cosa simmetrica. La relatività di Einstein semplicemente non c’entra.

Inoltre, la successiva citazione virgolettata di Bloch è correttissima ma non è stata capita da Ratzinger. Vi si dice che una descrizione cinematica dei moti Terra Sole è equivalente. Ma Ratzinger non sa (?) che il problema non era solo cinematico ma soprattutto fisico in senso lato ? Non sa che quella Terra al centro dell’universo (Aristotele + San Tommaso) era circondata da tante sfere cristalline che sostenevano i pianeti ? Che vi erano due mondi, quello sublunare e quello sopra il cielo della Luna ? Che il primo cambiava ed era soggetto a generazione e corruzione mentre l’altro era perfetto, etereo, eterno ed immutabile ? Che il Dio di San Tommaso, quale motore immobile, aveva la sua corretta sede al di là del cielo delle stelle fisse quasi abbracciando quel piccolo mondo, ma che lo stesso Dio in un mondo copernicano si sarebbe prese continue sberle in faccia dai vari pianeti che circolavano in modo anarchico infilandosi tra le sfere cristalline mandandole in frantumi ? Sembra poco al futuro Papa che Galileo dimostri che i cieli sono corruttibili ? che il Sole, il fuoco, il più vicino a Dio ha delle macchie ? che non solo la Terra è centro di moti circolari ? che anche Venere ha le fasi ? che la Via Lattea è formata da una miriade di stelle ? Che la Luna è strutturalmente come la Terra con montagne altissime ? che con i sillogismi aristotelici non si spiega nulla ? che i luoghi naturali non esistono come già aveva dimostrato Bruno (un chiodo cade su, verso la calamita, e non giù verso la Terra) ? che un masso ed un granellino di sabbia, lanciati dalla stessa quota raggiungono la Terra nel medesimo tempo ?  che un sasso che cade poggiato sopra un altro sasso, non pesa su di esso ? E’ una operazione di disinformazia far finta si tratti solo di cambiare di posto a Terra e Sole con il tutto che resta immutato !

Sciocchezza 4 – La cosa sostenuta successivamente, la maggiore facilità di calcolo del sistema copernicano rispetto all’aristotelico-tolemaico, è semplicemente falsa. E’ vero che Copernico affrontò il problema soprattutto a questo fine ma è altrettanto vero che la cosa non gli riuscì. Anche Bloch prende una papera. Spero che l’errore non lo condanni al rogo come si vorrebbe ancor oggi fare da parte della Chiesa per gli errori di Galileo (le maree) ma non per quelli di Padre Pio (una vita intera da imbroglione).

Sciocchezza 5 – Feyereband dice che, data la Chiesa dell’epoca, i suoi riferimenti culturali, la sua storia, le contingenze della Controriforma, non poteva far altro che condannare Galileo. Una posizione blanda della Chiesa in questo processo avrebbe potuto aprire controversie ben più gravi in campo teologico con ulteriori scismi. E’ quindi inutile stare a cincischiare sul riaprire il processo, la condanna sarebbe ripetuta (Feyereband ha tanta ragione che quanto diceva si è avverato, come racconto in Galileo condannato e dileggiato una seconda volta). Sua eminenza deve leggere le cose non in quanto apodittiche ma in quanto premesse a determinate conclusioni.

Sciocchezza 6 – L’autore che viene citato da Ratzinger, C. F. Von Weizsacker, dice che la svolta di Galileo è quella che ha prodotto l’atomica. Purtroppo sto bacchettando un futuro Papa e non posso trascendere. Ma la cosa, l’aver preso questa frase fuori di contesto, è una sciocchezza solenne. Stupisce il determinismo della Chiesa. Dal suo punto di vista avrei dato maggiore spazio al libero arbitrio che pure dovrebbe essere un suo caposaldo, molto vacillante per la verità, tanto da mettere in pericolo l’intero edificio. 

Ma vi è di più. La parte di Galileo che eventualmente avrebbe portato all’atomica era quella tecnica, cioè il compasso geometrico-militare, le fortificazioni, … straordinario, proprio le cose che la Chiesa non ha MAI messo in discussione. Il resto è scienza pura, che nulla ha a che fare con l’applicativo.

Ed ancora. Ricordo ciò che il futuro pontefice fa finta di non sapere.  Il fisico credente e pacifista C. F. Von Weizsacker sosteneva anche: “Il cristianesimo ha fatto una distinzione tra la guerra giusta e la guerra ingiusta e tra un modo giusto e uno ingiusto di condurla. Ha fatto una distinzione tra l’etica individuale, che tendeva a riferirsi al Sermone sul monte, e l’etica di responsabilità politica, che comandava di proteggere i propri simili facendo uso delle armi. Tutto ciò ispira rispetto quando implica serietà di impegno. Ma mi chiedo se, dopo aver letto il Nuovo testamento, posso ancora lanciare una bomba H, e so che la risposta è “No!”. E se non ho il diritto di lanciarla non posso neppure fabbricarla perché un altro possa adoperarla, mi è lecito fabbricarla a scopo intimidatorio? … Non credo che la chiesa possa approvare l’uso della bomba H. Se non è capace di dire di no, dovrà ammettere la sua perplessità sia apertamente sia riducendosi al silenzio. Tuttavia credo che i membri della chiesa possano essere utili a se stessi e al mondo intero se, in base a presupposti inequivocabili, dicono chiaramente “No!”. A queste cose la Chiesa non risponde, non dice nulla, non risulta la scomunica o la condanna nei fatti per chi produce e minaccia il mondo con le bombe H. Giovanni Paolo II ha ricevuto amorevolmente il guerrafondaio  e credente Bush che di atomiche ne ha a iosa.

Sciocchezza 7 – Dice Ratzinger: “Con mia grande sorpresa, in una recente intervista sul caso Galileo non mi è stata posta una domanda del tipo: «Perché la Chiesa ha preteso di ostacolare lo sviluppo delle scienze naturali?», ma esattamente quella opposta, cioè: «Perché la Chiesa non ha preso una posizione più chiara contro i disastri che dovevano necessariamente accadere, una volta che Galileo aprì il vaso di Pandora?»”. Rispondo alla sorpresa. Se Ratzinger continua a frequentare le parrocchie, gli oratori, Scienza e Vita, … che domande si aspetta ? Riguardo  alla seconda domanda essa è evidentemente  retorica, è fatta da chi non ha mai digerito una scienza che mette sempre più all’angolo la fede. Si dice che la scoperta scientifica è il vaso di Pandora. Chi ha fatto questa domanda a Ratzinger è semplicemente un poveretto che ha bisogno di cure da un neuropsichiatra, pardòn, da uno sciamano o da Wanna Marchi.

Ma qui io devo chiedere al futuro Papa che dovrebbe essere conseguente con le sue posizioni qui espresse. Prenda atto che la scienza che ci ha offerto Galileo è la causa di tutti i mali. NON SI CURI PIU’ con i prodotti di tale scienza! Non usi il termometro, non usi il misuratore di pressione, non usi medicinali ma sanguisughe e lassativi, non usi la macchina di Roentgen, non usi le trasfusioni, non usi la macchina per la dialisi, non usi la TAC, non usi ecografie, non salga in autoambulanza per andare al Gemelli, non telefoni, non usi ascensori alimentati da corrente elettrica e tantomeno aria condizionata. L’elicottero che ci fa volare è poi una vera bestemmia. Lasci queste mondanità e si ritiri a Fumone, le stanze Caetani un tempo occupate contro la sua volontà da Celestino V sono ancora libere, fresche ed un poco di pane ed acqua fa bene alla salute oltreché allo spirito.

Sciocchezza 8 – Possibile che il discutere su Galileo debba sempre richiamare ogni sofisma per dire che però egli sbagliava. Alla fine deve sempre uscire fuori che la Chiesa ha sbagliato un poco ma lo ha fatto con uno che aveva capito poco. Inoltre vi è il metodo curiale dell’insinuare (mentre ci si stropicciano le mani), con la tecnica del “parlatene male, continuate a farlo, qualcosa resterà“. Insomma la condanna di Galileo è di una persona qualunque, non del padre della scienza moderna. Ancora una volta si dimostra che Giovanni Paolo II ha fatto una operazione di comunicazione falsa quando ha parlato di riabilitazione di Galileo. Il grande scienziato pisano è ancora là ed atterrisce ogni piccola e meschina Chiesa. Fermo restando il chi riabilita chi, occorre dire che non serve più alcun giudizio della Chiesa su Galileo. Su di lui si sono espressi milioni di persone in circa 400 anni. E mentre si esprimevano su di lui lo facevano sulla Chiesa. Il verdetto è: Galileo innocente e perseguitato, la Chiesa colpevole ed oscurantista. 

Di più: è davvero singolare che un Galileo che ci invita a guardare la realtà è uno che non dimostra nulla, mentre sarebbe così chiaramente dimostrato il mistero della fede …. Allo stesso modo delle cose dette dal futuro Papa in altra sede (ed anche da Giovanni Paolo II): mentre le teorie di Darwin non risulterebbero completamente dimostrate lo sarebbe la creazione ad opera di Dio. Totò avrebbe risposto semplicemente con un: ma ci faccia il piacere !

Sciocchezza 9 – Con Prevert: Che strana istituzione la Chiesa, non sa neppure contare fino a 10.

Ripassi Ratzinger, per ora è bocciato senza appello.

Roberto Renzetti

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        A questo punto è possibile ritornare all’inaugurazione dell’anno accademico alla Sapienza. E’ evidente che la Lettera dei 67 ricercatori del Dipartimento di Fisica della Facoltà di scienze è un evento tutto interno alla dialettica universitaria: dei docenti chiedono al loro rettore che un certo atto non si compia. La lettera è rispuntata fuori su Repubblica il 10 gennaio, in maniera misteriosa, senza la data originale e senza l’intestazione «al rettore». Molti giornali hanno preso un abbaglio e hanno pensato che fosse stata scritta il 10 gennaio. Inoltre sembrava un appello al pubblico. Il 15 pomeriggio il Papa ha annullato la visita ed è incominciato il «linciaggio mediatico». In una lettera scritta da Giorgio Parisi, uno dei 67 firmatari della lettera, si può leggere:

Non c’è stata quindi dai 67 docenti nessuna forma di prevaricazione verso gli altri colleghi, ma semplicemente l’esposizione di una tesi culturale mediante una dichiarazione fatta nei dovuti modi e tempi. La riscoperta da parte della grande stampa di questa tesi, a ridosso della visita del Papa, ha aperto su scala nazionale un dibattito che si sarebbe potuto e dovuto fare con maggior calma e senza toni concitati nel mese di novembre. I problemi culturali devono essere discussi pacatamente e se arrivano in maniera clamorosa sui talk show televisivi o sulle prime pagine dei telegiornali, abbiamo un scontro frontale senza che per l’ascoltatore sia possibile afferrare il bandolo della matassa.

Come docente di un’università ritengo mio diritto e dovere interloquire col mio Rettore su chi far intervenire alla cerimonia di apertura dell’anno accademico, che è un momento simbolico per l’inizio del percorso formativo universitario. Mi pare che tutto ciò faccia parte della normale dialettica interna di un’università che deve scegliere chi far parlare all’Inaugurazione dell’Anno Accademico in base a considerazioni di varia natura.

        Su questa vicenda, passata appunto nelle mani di ignoranti e mestatori, si è imbastita una colossale provocazione. Qualcuno ha detto che il Papa non doveva andare alla Sapienza perché sarebbe stato in pericolo (sic!). Il questore di Roma in persona ha detto che non vi era assolutamente da temere nulla. Il Papa ha però rinunciato scatenando polemiche infinite tutte passate dai 67 docenti all’intolleranza (arisic!) del Governo Prodi che, anche per questo e con un Mastella che ha cavalcato la vicenda, è caduto poche settimane dopo.

        E l’avventura di questo Papa si chiude sul vero cattolico del tempo presente, colui che più di qualunque altro racchiude in sé gli insegnamenti evangelici, Silvio Berlusconi. Quelle che seguono sono infatti brani dell’articolo dell’Osservatore Romano del 31 marzo del 2009:

Il congresso con cui è stato fondato il Popolo delle Libertà (PdL) ha mostrato l’immagine di una formazione forte, già più forte, secondo molti analisti, dello stesso Partito democratico, il primo nato con l’ambizione di unire differenti culture politiche. Il Pdl appare: più forte non solo in termini percentuali: stando ai più recenti risultati elettorali, il Pdl appare, alla prova dei fatti, maggiormente in grado di esprimere i valori comuni della popolazione italiana, tra i quali quelli cattolici costituiscono una parte non secondaria […] nel partito si è affermata, in linea di principio, la libertà di coscienza sui temi etici più sensibili.

        Inutile aggiungere altro, per ora. Basta prendere atto che la Chiesa tifa per corruzione, criminalità diffusa, politica delle veline e delle escort, l’impunità, il sostegno alla mafia, … per tutto ciò che rappresenta il Popolo della Vita e dell’Amore (che si sposa indecentemente con Scienza e Vita, creatura mefitica di Camillo Ruini) nelle sue infinite concessioni alle gerarchie e nella sua immensa ipocrisia. I Papi sono questo e sono anni luce lontani dalla favola di Gesù. L’unico che si dispiace di quella bella favola sono io. Basterebbe una sua presenza per qualche giorno per fare piazza pulita di questi personaggi da tregenda.

Roberto Renzetti

[con la riserva di aggiornare e/o completare e/o correggere quando se ne presenterà l’occasione]


NOTE

(1) Giovanni Angelo Braschi era stato un anno a Subiaco (dal 1773) con la funzione di Abate Commendatario per la sola parte spirituale. Aveva scelto come sua residenza la Rocca dei Borgia che aveva fatto ingrandire e restaurare. La concessione per la sola parte spirituale discendeva da alcune recenti vicende. Verso la metà del XVIII secolo, tra i monaci benedettini dei due conventi di San Benedetto e Santa Scolastica e Subiaco sorsero contrasti per questioni economiche, che provocarono nel 1752 una rivolta popolare contro i Monasteri. Benedetto XIV fu costretto a emanare una bolla con cui sottraeva agli Abati Commendatari il potere temporale lasciando loro solo quello spirituale. L’ultimo abate commendatario munito della doppia giurisdizione, baronale e spirituale, fu Giovanni Battista Spinola che la ebbe nel 1738. Dopo Spinola, Subiaco e il suo territorio furono sottoposti direttamente al potere pontificio e le proprietà dell’Abbazia furono incamerate fra i beni della Chiesa, che la governò attraverso le Congregazioni della Sacra Consulta e del Buon Governo. Cessava così il dominio feudale dei monaci su un territorio che comprendeva Agosta, Canterano, Rocca Canterano, Jenne, Cervara, Marano, Cerreto, Civitella, San Polo, Roiate e altri centri minori. Giovanni Angelo Braschi, quando fu eletto Papa, comunicò per lettera al suo vicario che voleva continuare a governare direttamente la piccola cittadina e così fece inaugurando la gestione diretta di papi sulla diocesi di Subiaco. Braschi, appena eletto, spese un’enormità di denaro anche nel piccolo centro di Subiaco ampliando la cartiera, facendo costruire una enorme chiesa (Sant’Andrea) con un gigantesco Collegio annesso e rendendo carrabile la strada che collegava Subiaco a Roma. Subiaco lo ringraziò costruendogli un arco trionfale che fa un poco impressione da vedere in una piccola cittadina.

(2) Ancora Galavotti fa in proposito un’osservazione molto importante:

Si noti come la storiografia cattolica, messa alle strette, si faccia vanto del fatto che “le teorie che la rivoluzione francese ha cercato di mettere in pratica nei confronti della chiesa e della religione non sono nate nel cervello di uomini di Stato bensì di uomini di chiesa, di teologi” (cfr L. Rogier e altri, che ovviamente danno un giudizio molto pesante su questi ecclesiastici, nella loro Nuova storia della chiesa, ed. Marietti 1976). Ciò tuttavia non dimostra la superiorità della religione in generale o del cattolicesimo in particolare, quanto semmai la dipendenza dell’ideologia religiosa dalle concrete esigenze degli uomini, morali e materiali, nonché dall’evoluzione dominante del pensiero laico progressista.

(3) Riporto il testo della Dichiarazione:

Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino

Preambolo


I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del potere legislativo e quelli del potere esecutivo dal poter essere in ogni istanza paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:


Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.
Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.
Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani direttamente da essa.
Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla legge.
Art. 5. La legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.
Art. 6. La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo le loro capacità, e senza altra distinzione che quella della loro virtù e dei loro talenti.
Art. 7. Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della legge, deve obbedire immediatamente; opponendo resistenza si rende colpevole.
Art. 8. La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata.
Art. 9. Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla legge.
Art.10. Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge.
Art.11. La libera comunicativa dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge.
Art.12. La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata.
Art.13. Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze.
Art.14. Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione e la durata.
Art.15. La società ha il diritto di chieder conto ad ogni agente pubblico della sua amministrazione.
Art.16. Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione.
Art.17. La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità.

(4) Riporto il testo del Concordato del 1801 (in francese):

AU NOM DU PEUPLE FRANÇAIS, BONAPARTE, premier Consul, PROCLAME loi de la République le décret suivant, rendu par le Corps législatif le 18 germinal an X, conformément à la proposition faite par le Gouvernement le 15 dudit mois, communiquée au Tribunat le même jour.

DÉCRET.
 

La convention passée à Paris, le 26 messidor an IX, entre le Pape et le Gouvernement français, et dont les ratifications ont été échangées à Paris le 23 fructidor an IX [10 septembre 1801], ensemble les articles organiques de ladite convention, les articles organiques des cultes protestans, dont la teneur suit, seront promulgués et exécutés comme des lois de la République.
CONVENTION entre le Gouvernement français et sa Sainteté Pie VII, échangée le 23 Fructidor an IX [10 Septembre 1801].
LE PREMIER CONSUL de la République française, et sa Sainteté le souverain Pontife Pie VII, ont nommé pour leurs plénipotentiaires respectifs ;
Le premier Consul, les citoyens Joseph BONAPARTE, conseiller d’état, CRETET, conseiller d’état, et BERNIER, docteur en théologie, curé de Saint-Laud d’Angers, munis de pleins pouvoirs ;
Sa Sainteté, son éminence monseigneur Hercule CONSALVI, cardinal de la sainte Église romaine, diacre de Sainte-Agathe ad Suburram, son secrétaire d’état ; Joseph SPINA, archevêque de Corinthe, prélat domestique de sa Sainteté, assistant du trône pontifical, et le père CASELLI, théologien consultant de sa Sainteté, pareillement munis de pleins pouvoirs en bonne et due forme ;
Lesquels, après l’échange des pleins pouvoirs respectifs, ont arrêté la convention suivante :


CONVENTION entre le Gouvernement français et sa Sainteté Pie VII.

Le Gouvernement de la République française reconnaît que la religion catholique, apostolique et romaine, est la religion de la grande majorité des citoyens français.
Sa Sainteté reconnaît également que cette même religion a retiré et attend encore en ce moment, le plus grand bien et le plus grand éclat de l’établissement du culte catholique en France, et de la profession particulière qu’en font les Consuls de la République.
En conséquence, d’après cette reconnaissance mutuelle, tant pour le bien de la religion que pour le maintien de la tranquillité intérieure, ils sont convenus de ce qui suit :


ART. I.er La religion catholique, apostolique et romaine, sera librement exercée en France: son culte sera public, en se conformant aux réglemens de police que le Gouvernement jugera nécessaires pour la tranquillité publique.
II. Il sera fait par le Saint-Siége, de concert avec le Gouvernement, une nouvelle circonscription des diocèses français.
III. Sa Sainteté déclarera aux titulaires des évêchés français, qu’elle attend d’eux avec une ferme confiance, pour le bien de la paix et de l’unité, toute espèce de sacrifices, même celui de leurs siéges.
D’après cette exhortation, s’ils se refusaient à ce sacrifice commandé par le bien de l’Église (refus néanmoins auquel sa Sainteté ne s’attend pas), il sera pourvu, par de nouveaux titulaires, au gouvernement des évêchés de la circonscription nouvelle, de la manière suivante.
IV. Le premier Consul de la République nommera, dans les trois mois qui suivront la publication de la bulle de sa Sainteté, aux archevêchés et évêchés de la circonscription nouvelle. Sa Sainteté conférera l’institution canonique, suivant les formes établies par rapport à la France avant le changement de gouvernement.
V. Les nominations aux évêchés qui vaqueront dans la suite, seront également faites par le premier Consul, et l’institution canonique sera donnée par le Saint-Siége, en conformité de l’article précédent.
VI. Les évêques, avant d’entrer en fonctions, prêteront directement, entre les mains du premier Consul, le serment de fidélité qui était en usage avant le changement de gouvernement, exprimé dans les termes suivans :
« Je jure et promets à Dieu, sur les saints évangiles, de garder obéissance et fidélité au Gouvernement établi par la Constitution de la République française. Je promets aussi de n’avoir »aucune intelligence, de n’assister à aucun conseil, de n’entretenir aucune ligue, soit au-dedans, soit au-dehors, qui soit contraire à la tranquillité publique ; et si, dans mon diocèse ou ailleurs, j’apprends qu’il »se trame quelque chose au préjudice de l’État, je le ferai savoir au Gouvernement. »
VII. Les ecclésiastiques du second ordre prêteront le même serment entre les mains des autorités civiles désignées par le Gouvernement.
VIII. La formule de prière suivante sera récitée à la fin de l’office divin, dans toutes les églises catholiques de France :
Domine, salvam fac Rempublicam ;
Domine, salvos fac Consules.
IX. Les évêques feront une nouvelle circonscription des paroisses de leurs diocèses, qui n’aura d’effet que d’après le consentement du Gouvernement.
X. Les évêques nommeront aux cures.
Leur choix ne pourra tomber que sur des personnes agréées par le Gouvernement.
XI. Les évêque pourront avoir un chapitre dans leur cathédrale, et un séminaire pour leur diocèse, sans que le Gouvernement s’oblige à les doter.
XII. Toutes les églises métropolitaines, cathédrales, paroissiales et autres non aliénées, nécessaires au culte, seront remises à la disposition des évêques.
XIII. Sa Sainteté, pour le bien de la paix et l’heureux rétablissement de la religion catholique, déclare que ni elle, ni ses successeurs, ne troubleront en aucune manière les acquéreurs des biens ecclésiastiques aliénés, et qu’en conséquence, la propriété de ces mêmes biens, les droits et revenus y attachés, demeureront incommutables entre leurs mains ou celles de leurs ayant-cause.
XIV. Le Gouvernement assurerea un traitement convenable aux évêques et aux curés dont les diocèses et les paroisses seront compris dans la circonscription nouvelle.
XV. Le Gouvernement prendra également des mesures pour que les catholiques français puissent, s’ils le veulent, faire en faveur des églises, des fondations.
XVI. Sa Sainteté reconnaît dans le premier Consul de la République française, les mêmes droits et prérogatives dont jouissait près d’elle l’ancien gouvernement.
XVII. Il est convenu entre les parties contractantes que, dans le cas où quelqu’un des successeurs du premier Consul actuel ne serait pas catholique, les droits et prérogatives mentionnés dans l’article ci-dessus, et la nomination aux évêchés, seront réglés, par rapport à lui, par une nouvelle convention.
Les ratifications seront échangées à Paris dans l’espace de quarante jours.

Fait à Paris, le 26 Messidor an IX.

(5) I Quattro Articoli gallicani furono elaborati tra il 1681 e 1682 da un Concilio nazionale del clero francese e sono:

  1. Il temporale del re non è sottoposto al controllo del Papa, il quale non può deporre i principi né sciogliere dal giuramento di fedeltà;
  2. È affermata la superiorità del Concilio sul Papa;
  3. Il Papa deve governare secondo i canoni (l’infallibilità del Papa è condizionata dall’assenso dell’episcopato);
  4. Si rifiuta l’infallibilità personale del Papa, benché abbia la prima parte nelle questioni di fede (l’inviolabilità delle antiche consuetudini della Chiesa gallicana).

(6) Alcuni dei giustiziati da Leone XII e dai due Papi che seguirono senza contare i carbonari:

Pontificato di Leone XII

Leonida Montanari, decapitato per aver offeso pubblicamente il Papa. 23 novembre 1825.
Angelo Targhini, decapitato per aver ferito una spia papalina. 23 novembre 1825.
Luigi Zanoli, decapitato per aver ucciso uno sbirro papalino. 13 maggio 1828.
Angelo Ortolani, impiccato per aver ucciso guardia papalina. 13 maggio 1828.
Gaetano Montanari, squartato per tentato omicidio dell’emissario papalino Rivolta. 1828
Gaetano Rambelli, impiccato per aver ferito emissario papalino. 1828.
Le esecuzioni capitali, oltre queste sopra elencate, furono 29 e sempre per reati comuni.

Pontificato di Pio VIII

In un anno di Pontificato eseguì 13 condanne capitali per reati comuni.

Pontificato di Gregorio XVI

Impose divieto assoluto ad ogni libertà di parola o di espressione scritta che non seguisse i dettami di Santa Madre Chiesa. Dietro le minacce più gravi obbligò gli ebrei di non esercitare nessuna attività fuori del Ghetto.
Giuseppe Balzani, decapitato per offese la Papa. 14 maggio 1833.
Luigi Scopigno, decapitato per furto di oggetti sacri. 21 luglio 1840.
Pietro Rossi, decapitato per piccolo furto. 9 gennaio 1844.
Luigi Muzi, decapitato per piccolo furto. 19 gennaio 1844.
Giovanni Battista Rossi, decapitato per piccolo furto. 3 agosto 1944.
Oltre a queste ci furono sotto il pontificato di questo Santo Padre altre 110 condanne a morte per reati comuni. La descrizione dei moltissimi decapitati, impiccati e squartati dall’Inquisizione sotto Gregorio XI è riportata in un libro scritto da Mastro Titta.

(7) Riporto il Testo della stupenda Costituzione della Repubblica Romana:

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA, 1849

PRINCIPII FONDAMENTALI

I. La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica.

II. Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.

III. La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.

IV. La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana.

V. I Municipii hanno tutti eguali diritti: la loro indipendenza non è limitata che dalle leggi di utilità generale dello Stato.

VI. La più equa distribuzione possibile degli interessi locali, in armonia coll’interesse politico dello Stato è la norma del riparto territoriale della Repubblica.

VII. Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici.

VIII. Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale.

Titolo I

DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI

Art. 1. — Sono cittadini della Repubblica:

Gli originarii della Repubblica;

Coloro che hanno acquistata la cittadinanza per effetto delle leggi precedenti;

Gli altri Italiani col domicilio di sei mesi;

Gli stranieri col domicilio di dieci anni;

I naturalizzati con decreto del potere legislativo.

Art. 2. — Si perde la cittadinanza:

Per naturalizzazione, o per dimora in paese straniero con animo di non piú tornare;

Per l’abbandono della patria in caso di guerra, o quando è dichiarata in pericolo;

Per accettazione di titoli conferiti dallo straniero;

Per accettazione di gradi e cariche, e per servizio militare presso lo straniero, senza autorizzazione del governo della Repubblica; l’autorizzazione è sempre presunta quando si combatte per la libertà d’un popolo;

Per condanna giudiziale.

Art. 3. — Le persone e le proprietà sono inviolabili.

Art. 4. — Nessuno può essere arrestato che in flagrante delitto, o per mandato di giudice, né essere distolto dai suoi giudici naturali. Nessuna Corte o Commissione eccezionale può istituirsi sotto qualsiasi titolo o nome. Nessuno può essere carcerato per debiti.

 Art. 5. — Le pene di morte e di confisca sono proscritte.

 Art. 6. — Il domicilio è sacro: non è permesso penetrarvi che nei casi e modi determinati dalla legge.

 Art. 7. — La manifestazione del pensiero è libera; la legge ne punisce l’abuso senza alcuna censura preventiva.

 Art. 8. — L’insegnamento è libero. Le condizioni di moralità e capacità, per chi intende professarlo, sono determinate dalla legge.

 Art. 9. — Il segreto delle lettere è inviolabile.

 Art. 10. — Il diritto di petizione può esercitarsi individualmente e collettivamente.

 Art. 11. — L’associazione senz’armi e senza scopo di delitto, è libera.

 Art. 12. — Tutti i cittadini appartengono alla guardia nazionale nei modi e colle eccezioni fissate dalla legge.

 Art. 13. — Nessuno può essere astretto a perdere la proprietà delle cose, se non in causa pubblica, e previa giusta indennità.

 Art. 14. — La legge determina le spese della Repubblica, e il modo di contribuirvi. Nessuna tassa può essere imposta se non per legge, né percetta per tempo maggiore di quello dalla legge determinato.

Titolo II

DELL’ORDINAMENTO POLITICO

Art. 15. — Ogni potere viene dal popolo. Si esercita dall’Assemblea, dal Consolato, dall’Ordine giudiziario.

Titolo III

DELL’ASSEMBLEA

Art. 16. — L’Assemblea è costituita da Rappresentanti del popolo.

 Art. 17. — Ogni cittadino che gode i diritti civili e politici a 21 anno è elettore, a 25 è eleggibile.

 Art. 18. — Non può essere rappresentante del popolo un pubblico funzionario nominato dai consoli o dai ministri.

 Art. 19. — Il numero dei rappresentanti è determinato in proporzione di uno ogni ventimila abitanti.

 Art. 20. — I Comizi generali si radunano ogni tre anni nel 21 aprile. Il popolo vi elegge i suoi rappresentanti con voto universale, diretto e pubblico.

 Art. 21. — L’Assemblea si riunisce il 15 maggio successivamente all’elezione. Si rinnova ogni tre anni.

 Art. 22. — L’Assemblea si riunisce in Roma, ove non determini altrimenti, e dispone della forza armata di cui crederà aver bisogno.

 Art. 23. — L’Assemblea è indissolubile e permanente, salvo il diritto di aggiornarsi per quel tempo che crederà. Nell’intervallo può essere convocata ad urgenza sull’invito del presidente co’ segretari, di trenta membri, o del Consolato.

 Art. 24. — Non è legale se non riunisce la metà, piú uno dei suoi rappresentanti. Il numero qualunque de’ presenti decreta i provvedimenti per richiamare gli assenti.

 Art. 25. — Le sedute dell’Assemblea sono pubbliche. Può costituirsi in comitato segreto.

 Art. 26. — I rappresentanti del popolo sono inviolabili per le opinioni emesse nell’Assemblea, restando inerdetta qualunque inquisizione.

 Art. 27. — Ogni arresto o inquisizione contro un rappresentante è vietato senza permesso dell’Assemblea, salvo il caso di delitto flagrante. Nel caso di arresto in flagranza di delitto, l’Assemblea che ne sarà immediatamente informata, determina la continuazione o cessazione del processo. Questa disposizione si applica al caso in cui un cittadino carcerato fosse eletto rappresentante.

 Art. 28. — Ciascun rappresentante del popolo riceve un indennizzo cui non può rinunziare.

 Art. 29. — L’Assemblea ha il potere legislativo: decide della pace, della guerra, e dei trattati.

 Art. 30. — La proposta delle leggi appartiene ai rappresentanti e al Consolato.

 Art. 31. — Nessuna proposta ha forza di legge, se non dopo adottata con due deliberazioni prese all’intervallo non minore di otto giorni, salvo all’Assemblea di abbreviarlo in caso d’urgenza.

 Art. 32. — Le leggi adottate dall’Assemblea vengono senza ritardo promulgate dal Consolato in nome di Dio e del popolo. Se il Consolato indugia, il presidente dell’Assemblea fa la promulgazione.

Titolo IV

DEL CONSOLATO E DEL MINISTERO

Art. 33. — Tre sono i consoli. Vengono nominati dall’Assemblea a maggioranza di due terzi di suffragi. Debbono essere cittadini della repubblica, e dell’età di 30 anni compiti.

 Art. 34. — L’ufficio dei consoli dura tre anni. Ogni anno uno dei consoli esce d’ufficio. Le due prime volte decide la sorte fra i tre primi eletti. Niun console può essere rieletto se non dopo trascorsi tre anni dacché uscì di carica.

 Art. 35. — Vi sono sette ministri di nomina del Consolato:

1. Degli affari interni;

2. Degli affari esteri;

3. Di guerra e marina;

4. Di finanze;

5. Di grazia e giustizia;

6. Di agricoltura, commercio, industria e lavori pubblici;

7. Del culto, istruzione pubblica, belle arti e beneficenza.

 Art. 36. — Ai consoli sono commesse l’esecuzione delle leggi, e le relazioni internazionali.

 Art. 37. — Ai consoli spetta la nomina e revocazione di quegli impieghi che la legge non riserva ad altra autorità; ma ogni nomina e revocazione deve esser fatta in consiglio de’ ministri.

 Art. 38. — Gli atti dei consoli, finché non sieno contrassegnati dal ministro incaricato dell’esecuzione, restano senza effetto. Basta la sola firma dei consoli per la nomina e revocazione dei ministri.

 Art. 39. — Ogni anno, ed a qualunque richiesta dell’Assemblea, i consoli espongono lo stato degli affari della Repubblica.

 Art. 40. — I ministri hanno il diritto di parlare all’Assemblea sugli affari che li risguardano.

 Art. 41. — I consoli risiedono nel luogo ove si convoca l’Assemblea, né possono escire dal territorio della Repubblica senza una risoluzione dell’Assemblea sotto pena di decadenza.

 Art. 42. — Sono alloggiati a spese della Repubblica, e ciascuno riceve un appuntamento di scudi tremila e seicento.

 Art. 43. — I consoli e i ministri sono responsabili.

 Art. 44. — I consoli e i ministri possono essere posti in stato d’accusa dall’Assemblea sulla proposta di dieci rappresentanti. La dimanda deve essere discussa come una legge.

 Art. 45. — Ammessa l’accusa, il console è sospeso dalle sue funzioni. Se assoluto, ritorna all’esercizio della sua carica, se condannato, passa a nuova elezione.

Titolo V

DEL CONSIGLIO DI STATO

 Art. 46. — Vi è un consiglio di stato, composto da quindici consiglieri nominati dall’Assemblea.

 Art. 47. — Esso deve essere consultato dai Consoli, e dai ministri sulle leggi da proporsi, sui regolamenti e sulle ordinanze esecutive; può esserlo sulle relazioni politiche.

 Art. 48. — Esso emana que’ regolamenti pei quali l’Assemblea gli ha dato una speciale delegazione. Le altre funzioni sono determinate da una legge particolare.

Titolo VI

DEL POTERE GIUDIZIARIO

 Art. 49. — I giudici nell’esercizio delle loro funzioni non dipendono da altro potere dello Stato.

 Art. 50. — Nominati dai consoli ed in consiglio de’ ministri sono inamovibili, non possono essere promossi, né trasclocati che con proprio consenso, né sospesi, degradati, o destituiti se non dopo regolare procedura e sentenza.

 Art. 51. — Per le contese civili vi è una magistratura di pace.

 Art. 52. — La giustizia è amministrata in nome del popolo pubblicamente; ma il tribunale, a causa di moralità, può ordinare che la discussione sia fatta a porte chiuse.

 Art. 53. — Nelle cause criminali al popolo appartiene il giudizio del fatto, ai tribunali l’applicazione della legge. La istituzione dei giudici del fatto è determinata da legge relativa.

 Art. 54. — Vi è un pubblico ministero presso i tribunali della Repubblica.

 Art. 55. — Un tribunale supremo di giustizia giudica, senza che siavi luogo a gravame, i consoli ed i ministri messi in istato di accusa. Il tribunale supremo si compone del presidente, di quattro giudici piú anziani della cassazione, e di giudici del fatto, tratti a sorte dalle liste annuali, tre per ciascuna provincia. L’Assemblea designa il magistrato che deve esercitare le funzioni di pubblico ministero presso il tribunale supremo. È d’uopo della maggioranza di due terzi di suffragi per la condanna.

Titolo VII

DELLA FORZA PUBBLICA

Art. 56. — L’ammontare della forza stipendiata di terra e di mare è determinato da una legge, e solo per una legge può essere aumentato o diminuito.

 Art. 57. — L’esercito si forma per arruolamento volontario, o nel modo che la legge determina.

 Art. 58. — Nessuna truppa straniera può essere assoldata, né introdotta nel territorio della Repubblica, senza decreto dell’Assemblea.

 Art. 59. — I generali sono nominati dall’Assemblea sopra proposta del Consolato.

 Art. 60. — La distribuzione dei corpi di linea e la forza delle interne guarnigioni sono determinate dall’Assemblea, né possono subire variazioni, o traslocamento anche momentaneo, senza di lei consenso.

 Art. 61. — Nella guardia nazionale ogni grado è conferito per elezione.

 Art. 62. — Alla guardia nazionale è affidato principalmente il mantenimento dell’ordine interno e della costituzione.

Titolo VIII

DELLA REVISIONE DELLA COSTITUZIONE

 Art. 63. — Qualunque riforma di costituzione può essere solo domandata nell’ultimo anno della legislatura da un terzo almeno dei rappresentanti.

 Art. 64. — L’Assemblea delibera per due volte sulla domanda all’intervallo di due mesi. Opinando l’Assemblea per la riforma alla maggioranza di due terzi, vengono convocati i comizii generali, onde eleggere i rappresentanti per la costituente, in ragione di uno ogni 15 mila abitanti.

 Art. 65. — L’Assemblea di revisione è ancora assemblea legislativa per tutto il tempo in cui siede, da non eccedere tre mesi.

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

 Art. 66. — Le operazioni della costituente attuale saranno specialmente dirette alla formazione della legge elettorale, e delle altre leggi organiche necessarie all’attuazione della costituzione.

 Art. 67. — Coll’apertura dell’Assemblea legislativa cessa il mandato della costituente.

 Art. 68. — Le leggi e i regolamenti esistenti restano in vigore in quanto non si oppongono alla costituzione, e finché non sieno abrogati.

 Art. 69. — Tutti gli attuali impiegati hanno bisogno di conferma.

Il Presidente

G. Galletti

I Vice-Presidenti

A. Saliceti – E. Alloccatelli

I Segretari

G. Pennacchi – G. Cocchi

A. Fabretti – A. Zambianchi

(8) Una piccola storia riguardante la Repubblica Romana è relativa all’ingresso che alcuni rivoluzionari riuscirono a realizzare negli Archivi Vaticani. Lo si fece chiedendo il permesso al bibliotecario, trovando e facendo conoscere alcuni documenti relativi al processo a Giordano Bruno. Essi non furono asportati ma copiati, con sommo rispetto per i documenti esistenti in quella Biblioteca.

(9) Qualche parola sui comportamenti indegni, ipocriti e superstiziosi di Vittorio Emanuele II occorre dirla. Questo Re, ignorante come un Re, mentre era a capo di uno Stato che lavorava per l’Unità d’Italia con l’occupazione del Sud per offrire mercati di sbocco al Nord, aveva una fitta corrispondenza con il nemico Pio IX. Personalmente questo Savoia era un cattolico tipo: andava a messa ed era nelle manifestazioni esteriori un buon cattolico ma era un grande peccatore ed aveva in odio i preti. Aveva timore di Pio IX, che era un Re come lui ma con entrature in Paradiso, e quindi agiva spesso contro il primo ministro Cavour. Nel 1855, ad esempio, si stava discutendo la Legge per l’espulsione dal Regno di alcuni ordini religiosi inutili con il sequestro dei loro beni da utilizzare a fini educativi. In questo lasso di tempo su Vittorio Emanuele si abbatterono varie disgrazie: erano morte madre e moglie, il fratello era agonizzante. I preti misero in giro la voce che si trattava di una punizione divina e questa cosa venne accolta dal Re come se fosse vera perché era uno dei bigotti che soffrono di superstizione religiosa. Scrisse allora una lettera a Pio IX con il suo italiano sgrammaticato:

Sappia la Santità Vostra che io non lasciò [sic] votare la legge sul matrimonio dal Senato, che sono io che ora farò il possibile per non lasciare votare quella sui conventi. Forse tra brevi giorni questo ministero Cavour cascherà, ne nominerò uno della destra e metterò per condizione sine qua non che mi si venga al più presto ad un totale aggiustamento con Roma […]. Guarderò che la legge non passi, ma mi aiuti poi Santo Padre. Bruci questo pezzo di carta per farmi piacere.

Pio IX, come è evidente, non bruciò la lettera mentre Vittorio Emanuele II fece del tutto per bloccare quella legge con l’appoggio dei cattolici e dei preti scatenati in tutta Italia. Cavour perse molti seggi in favore della destra per la quale la Chiesa aveva fatto campagna elettorale dal pulpito di ogni chiesa. Ma Cavour andò avanti e nel 1859 fece approvare la Legge Casati che toglieva alla Chiesa grande potere nelle scuole. Pagò ciò con la perdita del potere che, con i cattolici eterna calamità del Paese, andò all’estrema destra. Per approfondire la vicenda della Scuola in Italia in connessione con la Chiesa si può leggere il mio: Appunti per una storia critica della scuola in Italia.

(10) Il fatto che la Rivoluzione industriale, le condizioni operaie, le prime lotte per l’emancipazione sociale siano condannate così superficialmente senza entrare minimamente in argomento, la dice lunga sui sentimenti della Chiesa nei riguardi degli oppressi ed emarginati. G. Zizola, citato da Rendina, scrive opportunamente: Un pontificato apocalittico, senza sfumature e distinzioni, pronto a condannare gli errori, incapace di discernere nel Manifesto di Marx nient’altro che disgregazione ed anarchia, senza alcuna analisi della questione sociale, anzi scettico sulle possibilità di raggiungere l’eguaglianza economica e sociale, fautore dei poveri alla stanga in nome del Regno dei Cieli.

(11) Pio IX fu anche un assassino crudele. Riporto di seguito alcuni dei suoi atti di banditismo.

Pontificato di Pio IX

Romolo Salvatori, decapitato per aver consegnato ai Garibaldini l’Arciprete di Anagni.
Gustavo Paolo Rambelli, Gustavo Marloni, Ignazio Mancini, decapitati per aver ucciso tre preti. 10 settembre 1851.
Antonio de Felici, decapitato per aver attentato al Cardinale Antonelli. 24 gennaio 1854.

Per comprendere la criminalità di questo Papa, basta dire che quando i patrioti dell’unificazione italiana entrarono nelle carceri pontificie per liberare alcune decine di prigionieri che vi vivevano incatenati da così lungo tempo da aver perso la vista e l’uso delle gambe, trovarono in quei sotterranei mucchi di scheletri e di cadaveri in decomposizione in un misto di tonache di frati e di monache, di vestiti civili di uomini e di donne, divise militari e scarpe come quando furono liberati i campi di sterminio nazisti. Vi furono trovati anche giocattoli di bambini morti insieme ai loro genitori.

Si tenga anche conto che, nonostante l’era moderna, era ancora in uso nello Stato Pontificio il macabro rito di esporre le teste decapitate e i quarti di corpo umano sanguinolento, tagliati con la scure, per terrorizzare il popolo.

Gli ultimi condannati a morte del regime temporale furono Monti e Tognetti che furono decapitati il 24 novembre 1868. Vittorio Emanuele II aveva chiesto la grazia ma Pio IX rifiutò seccamente.

Altro crimine da addebitare a Pio IX, che era antisemita, è quello del giovane ebreo Edgardo Mortara, sottratto con la forza alla sua famiglia poiché, a causa di un presunto battesimo impartito all’insaputa dei genitori, doveva, secondo la legge pontificia, essere educato secondo la religione cattolica. Il caso destò riprovazione e scandalo sulla stampa e fra l’opinione pubblica internazionale.

(12) Nella frenesia di indagare eventi storici importanti, ci si dimentica spesso di eventi minori. Pio IX avrebbe avuto almeno una relazione con una giovanissima nobildonna, la più giovane figlia della famiglia Aldobrandini, Anna, che fece l’ultimo periodo di gravidanza presso il Monastero delle Benedettine a Subiaco (Monastero distrutto dai bombardamenti americani nel 1944). La giovane Anna Aldobrandini morì di parto a 18 anni, dando alla luce un illegittimo chiamato, in onore ad un nome di famiglia, Camillo. Il piccolo venne poi adottato da una famiglia di Subiaco, e dovette perciò aggiungere al cognome della famiglia che lo adottava un Proietti che indicava la provenienza illegittima.

(13) Nell’enciclica vi sono anche dei passi che riguardano i rapporti scienza fede che fanno davvero cadere le braccia. L’ignoranza e la mala fede di questi signori di Chiesa è veramente insopportabile:

Condotte fin qui le cose, o Venerabili Fratelli, abbiamo abbastanza in mano per conoscere qual ordine stabiliscano i modernisti fra la fede e la scienza; con qual nome di scienza intendono essi ancor la storia. E in primo luogo si deve tenere che l’oggetto dell’una è affatto estraneo all’oggetto dell’altra e da questo separato. Imperocché la fede si occupa unicamente di cosa, che la scienza professa essere a sé inconoscibile. Quindi diverso il campo ad entrambe assegnato: la scienza è tutta nella realtà dei fenomeni, ove non entra affatto la fede: questa al contrario si occupa della realtà divina che alla scienza è del tutto sconosciuta. Dal che si viene a conchiudere che tra la fede e la scienza non vi può essere mai dissidio: giacché, se ciascuna tiene il suo campo, non potranno mai incontrarsi, né perciò contraddirsi. Che se a ciò si opponga, nel mondo visibile esservi cose che pure appartengono alla fede, come la vita umana di Cristo; i modernisti rispondono negando. Perché quantunque tali cose sieno nel novero dei fenomeni, pure, in quanto sono vissute dalla fede e, nel modo già indicato, sono state da essa trasfigurate e sfigurate, furono tolte dal mondo sensibile e trasferite ad essere materia del divino. Quindi, qualora più oltre si ricercasse se Cristo abbia fatto veri miracoli e vere profezie, severamente sia risorto ed asceso al Cielo; la scienza agnostica lo negherà, la fede lo affermerà; né perciò vi sarà lotta fra le due. Imperocché lo negherà il filosofo qual filosofo parlando a filosofie considerando unicamente Cristo nella sua realtà storica; l’affermerà il credente come credente parlando a credenti e considerando la vita di Cristo quale è vissuta dalla fede e nella fede.

S’ingannerebbe però a partito chi, date queste teorie, si credesse autorizzato a credere, essere la fede e la scienza indipendenti l’una dall’altra. Si, della scienza ciò è fuori di dubbio; ma è ben altro della fede; la quale, non per uno ma per tre capi, deve andar soggetta alla scienza. Imperocché da riflettersi in primo luogo che in ogni fatto religioso, toltane la realtà divina e l’esperienza che di essa ha chi crede, tutto il rimanente ed in specialità le formole religiose, non escono dal campo dei fenomeni: e cadono quindi sotto il dominio della scienza. Esca pure il credente dal mondo, se gli vien fatto; finché però resterà nel mondo, non potrà mai sottrarsi, lo voglia o no, alle leggi, all’osservazione, ai giudizi della scienza e della storia. Di più, benché sia detto che Dio è oggetto della sola fede, ciò nondimeno deve solo intendersi della realtà divina, non già della idea di Dio. L’idea di Dio è pur essa sottoposta alla scienza; la quale, mentre spazia nell’ordine logico, si solleva fino all’assoluto ed all’ideale. È dunque diritto della filosofia o della scienza sindacare l’idea di Dio, dirigerla nella sua evoluzione, correggerla qualora vi si immischi qualche elemento estraneo: quindi il ripetere che fanno i modernisti che l’evoluzione religiosa deve essere coordinata colla evoluzione morale ed intellettuale; ossia, come insegna uno dei loro maestri, deve essere subordinata. Per ultimo è pur da osservare che l’uomo non soffre in sé dualismo: per la qual cosa il credente prova in se stesso un intimo bisogno di armonizzare siffattamente la fede colla scienza che non si opponga al concetto generale che scientificamente si ha dell’universo. Così dunque si evince essere la scienza affatto libera dalla libera fede; la fede invece, tuttoché si decanti estranea alla scienza, essere a questa sottoposta. Le quali cose tutte, Venerabili Fratelli, sono diametralmente contrarie a ciò che insegnava il Nostro Antecessore Pio IX: “Essere dovere della filosofia, in materia di religione, non dominare ma servire, non prescrivere ciò che si debba credere, ma abbracciarlo con ragionevole ossequio, né scrutar l’altezza dei misteri di Dio, ma piamente ed umilmente venerarla” (Breve al Vescovo di Breslavia, 15 giugno 1857). I modernisti invertono del tutto le parti. Ond’è che ad essi può applicarsi ciò che l’altro Nostro Predecessore Gregorio IX scriveva di taluni teologi del suo tempo: “Alcuni fra voi, gonfi come otri dello spirito di vanità, si sforzano con novità profana di valicare i termini segnati dai Padri; piegando alla dottrina filosofica dei razionali l’intelligenza delle pagine Celesti, non per profitto degli uditori ma per far pompa di scienza… Questi sedotti da dottrine diverse e peregrine, tramutano in coda il capo e costringono la regina a servire all’ancella” (Lettera ai maestri di Teologia di Parigi, 7 luglio 1223).

E qual è l’alternativa a questa scienza così irrispettosa della Chiesa ?

Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se è bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato. Se nei Seminari si sia ciò trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno.

(14) Molti documenti sulle Leggi razziali si possono trovare pubblicati nel sito.

(15) La Chiesa si è legata a filo doppio con i criminali golpisti nell’America Latina. E’ recentissimo il sostegno della Chiesa ai golpisti di El Salvador. Segue il resoconto dei rapporti del Vaticano con il golpe argentino di Videla:

IL RUOLO DEL VATICANO NEL GOLPE MILITARE IN ARGENTINA
Gli oscuri legami tra i militari e la «chiesa nera» di Bergoglio
 

HORACIO VERBITSKY*

Il Manifesto, 24 marzo 2006

La prima edizione di questo libro, alla quale ho lavorato per oltre quindici anni, è andata in stampa a Buenos Aires nel febbraio del 2005, quando a Roma era ricoverato in ospedale papa Giovanni Paolo II, che poi morì il 2 aprile. Secondo i quotidiani italiani, il cardinale argentino Jorge Bergoglio fu l’unico serio avversario del tedesco Joseph Ratzinger, che venne eletto il 19 aprile e assunse il nome di Benedetto XVI. In quegli stessi giorni, il vescovo castrense di Buenos Aires disse che il ministro argentino della salute meritava di essere gettato in mare con una pietra da mulino al collo per aver distribuito preservativi ed essersi espresso a favore della depenalizzazione dell’aborto.(…) Quando il vescovo Baseotto appese la biblica pietra da mulino al collo ministeriale, il presidente Néstor Kirchner invitò il Vaticano a designare un nuovo titolare della diocesi militare. Quando il Nunzio apostolico comunicò che non ve n’era motivo, il governo revocò l’assenso prestato alla nomina di Baseotto e lo privò del suo emolumento da segretario di Stato per aver rivendicato i metodi della dittatura. Il Vaticano disconosce sia «l’interpretazione che si è voluto dare alla citazione evangelica» sia l’autorità presidenziale di revocare la designazione del vescovo castrense.
Di motivi per dubitare che Baseotto abbia scelto ingenuamente una citazione biblica riguardante persone gettate in mare, ve ne sono in abbondanza. Il suo primo atto da Vicario fu la visita alla Corte suprema di Giustizia nella quale sostenne la necessità di chiudere i processi relativi alla guerra sporca dei militari contro la società argentina. Il suo segretario generale nell’Episcopato castrense (lo stesso incarico che nel 1976 rivestiva Emilio Grasselli) è il sacerdote Alberto Angel Zanchetta, che fu cappellano della Esma negli anni della dittatura e del quale è comprovata la conoscenza dettagliata di quanto vi accadeva. (…) Dopo aver acceso la polemica pubblica con le sue parole, Baseotto si riferì ai voli come a uno dei «fatti avvenuti, a quanto si dice, durante la famosa dittatura militare». Nessun membro dell’Episcopato ebbe da eccepire su quella frase provocatoria, perché tutta la Chiesa argentina continua a trincerarsi nell’isola del suo silenzio.
Bergoglio rispose al libro attraverso il suo portavoce ufficiale, padre Guillermo Marco. Disse che aveva salvato la vita dei sacerdoti Orlando Yorio e Francisco Jalics e che qualsiasi affermazione in senso contrario costituiva un’infamia. (…) Per screditare la mia inchiesta disse che Yorio non poteva confutare quanto sostenuto nel libro perché era morto, che la mia fonte relativa a Jalics era anonima e che esisteva una foto di un incontro amichevole del sacerdote ungherese con Bergoglio durante una visita di Jalics a Buenos Aires. (…) Né Bergoglio né i suoi intimi hanno detto una parola sulla prova inconfutabile della doppiezza di cui lo accusano Yorio e Jalics. Yorio era ancora vivo quando pubblicai la prima intervista in cui accusa Bergoglio, nel 1999. Lungi dallo smentirmi, mi inviò poche righe intitolate «Grazie» e ci mantenemmo in contatto fino alla sua morte. (…) Figlio di un proprietario terriero e ufficiale dell’esercito ungherese, Jalics sostiene in Ejercicios de Contemplacion che il padre morì avvelenato nella sede della polizia politica comunista, ma che la madre gli insegnò a non odiare, sicché «imparai cosa significa la riconciliazione». Nel raccontare il suo sequestro dice: «Molta gente che aveva convinzioni politiche di estrema destra no vedeva di buon occhio la nostra presenza nelle baraccopoli. Interpretavano il fatto che no vivevamo lì come un appoggio alla guerriglia e si proposero di denunciarci come terroristi. Noi conoscevamo la provenienza e il responsabile di quelle calunnie. Sicché andai a parlare con la persona in questione e gli spiegai che stava giocando con le nostre vite. L’uomo mi promise che avrebbe fatto sapere ai militari che non eravamo terroristi. Da dichiarazioni rese successivamente da un ufficiale e da trenta documenti ai quali riuscii ad accedere in seguito, potremmo appurare senza ombra di dubbio che quell’uomo non aveva mantenuto la sua promessa e che, al contrario, aveva presentato una falsa denuncia ai militari». Durante i cinque mesi del sequestro, la sua ira era diretta più che ai suoi carcerieri «all’uomo che aveva fatto la falsa denuncia contro di noi».
Quell’uomo è Bergoglio. La sua identità è svelata in una lettera che Yorio scrisse da Roma il 24 novembre 1977 all’assistente generale della Compagnia di Gesù, padre Moura. I fratelli e i nipoti di Yorio me ne diedero copia in segno di gratitudine per la pubblicazione del libro.«Dato il proseguire delle voci su una mia partecipazione alla guerriglia, padre Jalics ha nuovamente affrontato la questione con padre Bergoglio. Padre Bergoglio ha riconosciuto la gravità del fatto e si è impegnato a mettere un freno alle voci nella Compagnia e ad affrettarsi a parlare con persone delle Forze Armate per testimoniare la nostra innocenza», dice. Ma siccome «il Provinciale non faceva nulla per difenderci, abbiamo cominciato a dubitare della sua onestà».(…) Nel nostro scambio epistolare, Yorio mi fornì una descrizione della doppiezza del suo ex Provinciale che coincide con quella che emerge dai documenti che anni più tardi scoprii nell’archivio del ministero degli Esteri argentino. Nel clima di paura e delazione instaurato all’interno della Chiesa e della società, i sacerdoti che lavoravano con i poveri «erano demonizzati, guardati con sospetto all’interno delle nostre stesse istituzioni e accusati di sovvertire l’ordine sociale». In quel contesto, «potevano concederci in segreto l’autorizzazione a celebrar messa in privato, ma non ci liberavano dalla proibizione e dall’infamia pubblica di non poter esercitare il sacerdozio, dando così alle forze della repressione il pretesto per farci sparire». (…)Riacquistata la libertà, Jalics viaggiò negli Stati uniti e poi in Germania. Nonostante la distanza, «menzogne, calunnie e azioni ingiuste non cessavano». (…) Molte persone legate alla Chiesa e alla Compagnia di Gesù mi fecero avere dati aggiuntivi e confermativi. Uno di loro è il sacerdote irlandese Patrick Rice, che nel 1976 era il superiore della comunità dei piccoli frati del Vangelo in Argentina. Sequestrato sul finire di quell’anno a Buenos Aires, lo incappucciarono e lo interrogarono senza tregua, gli bruciarono il viso e le mani con sigarette e gli fecero ingerire acqua e pressione fino al limite della sua resistenza. Altri sacerdoti della sua confraternita sono ancora desaparecidos ma Rice riuscì a scappare con l’aiuto del governo irlandese e viaggiò in tutto il mondo per denunciare la situazione argentina. Nel 1979 venne a sapere che Massera, ormai dimessosi dalla Marina e impegnato nella sua attività politica, avrebbe partecipato a un seminario organizzato presso l’Università di Georgetown, a Washington, da due accademici che in seguito svolsero ruoli di primo piano nel futuro governo statunitense di Ronald Reagan: Jean Kirckpatrick e Eliot Abrahmas. Mentre Massera teneva la sua lectio magistralis, Rice e un sacerdote nordamericano lo interruppero con domande sulla repressione di vescovi, suore, sacerdoti e laici cristiani. Massera non poté continuare e lasciò l’aula furibondo. Anche l’Università di Georgetown appartiene ai gesuiti. Patrick Rice sostiene che «tenuto conto della struttura della Chiesa, è impensabile che quell’invito potesse essere partito senza l’iniziativa o almeno l’assenso del Provincialato argentino della Compagnia di Gesù». Come il giorno dell’omaggio a Massera nell’Università del Salvatore, anche in quel caso, il Provinciale gesuita era l’allora sacerdote Jorge Mario Bergoglio.

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LE MADRI DI PIAZZA DI MAGGIO ALLA GIUSTIZIA ITALIANA.

“PROCESSATE IL CARDINALE PIO LAGHI”
 

Maggio 1997

DOC-571. ROMA-ADISTA Omicidio volontario, sequestri seguiti da scomparsa e da morte, torture e stupri su oltre 30 mila cittadini. Questi i delitti di cui sono accusati i generali argentini durante la loro violenta dittatura dal 1974 al 1980. A questi delitti avrebbe partecipato, per complicità diretta o indiretta, sicuramente morale, anche l’allora Nunzio apostolico in Argentina, mons. Pio Laghi promosso subito dopo alla nunziatura apostolica degli Stati Uniti, poi elevato al rango cardinalizio da Giovanni Paolo II e oggi felicemente Prefetto del dicastero Vaticano dell’Educazione Cattolica.

Ad essere fermamente convinte di questa complicità sono le Madres de Plaza de Mayo, costituitesi in associazione con lo scopo di scoprire, denunciare e consegnare alla giustizia del loro Paese tutti i responsabili di quegli atroci delitti.

Essendo il card. Pio Laghi di nazionalità italiana, una denuncia contro di lui, promossa da cittadini di uno Stato estero, può essere inoltrata alla Procura della Repubblica solo attraverso il Ministero italiano di Grazia e Giustizia e solo se questo ne ravviserà la legittimità. A questo si aggiunge il fatto che il card. Pio Laghi gode di una particolare immunità in Italia per il suo rango cardinalizio e di dubbia perseguibilità perché come cittadino Vaticano gode del beneficio della extraterritorialità.

Tuttavia queste pur gravi complicazioni burocratiche non hanno scoraggiato le Madres de Plaza de Mayo che, il 19 maggio scorso, con il patrocinio legale del dott. Sergio Schoklender, hanno presentato regolare denuncia.

Secondo le Madri, nel corso della sua permanenza in Argentina con la carica di Nunzio apostolico, mons. Pio Laghi – così si legge nella denuncia – «collaborò attivamente con i membri sanguinari della dittatura militare e portò avanti personalmente una campagna volta ad occultare tanto verso l’interno quanto verso l’esterno del Paese l’orrore, la morte e la distruzione. Monsignor Pio Laghi lavorò attivamente smentendo le innumerevoli denunce dei familiari delle vittime del terrorismo di Stato e i rapporti di organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani».

Questa l’accusa principale e queste, secondo le Madri, le gravi responsabilità di mons. Laghi. Ma, scrivono nella loro denuncia, fu anche colpevole «di aver messo a tacere le denunce internazionali sulla sparizione di più di trenta sacerdoti e sulla morte di vescovi cattolici. Pio Laghi provvide, con i membri dell’episcopato argentino, alla nomina di cappellani militari, della polizia e delle carceri che garantissero il silenzio sulle esecuzioni, le torture e gli stupri cui assistevano. Questi cappellani avevano l’obbligo non solo di confortare spiritualmente gli autori dei genocidi e i torturatori, ma anche, tramite la confessione, di collaborare con l’esercito estorcendo informazioni ai detenuti».

Per dare forza alla loro accusa, le Madri riportano alcuni passaggi di una omelia del Nunzio, il 27 giugno 1976, tre mesi dopo il golpe militare: «Il Paese ha un’ideologia tradizionale e quando qualcuno pretende di imporre altre idee diverse ed estranee, la Nazione reagisce come un organismo, con anticorpi di fronte ai germi, e nasce così la violenza. I soldati adempiono il loro dovere primario di amare Dio e la Patria che si trova in pericolo. Non solo si può parlare di invasione di stranieri, ma anche di invasione di idee che mettono a repentaglio i valori fondamentali. Questo provoca una situazione di emergenza e, in queste circostanze, si può applicare il pensiero di san Tommaso d’Aquino, il quale insegna che in casi del genere l’amore per la Patria si equipara all’amore per Dio».

(16) Questo mio articolo ha avuto questo seguito in uno scambio epistolare con Don Francesco Martino:

Scrive Don Francesco Martino

Nell’azione pastorale di ciascun uomo di Dio, compreso il Santo Padre, possono esserci errori e incongruenze storiche, dovute alla fallibilità della natura umana, in tutto ciò che non riguarda la Fede e la Morale, la Dottrina della Chiesa. Governare la Chiesa è una eredità difficile e ardua, perchè essa si estende su 5 continenti e raggruppa uomini di ogni cultura e lingua umana: nella Chiesa non si può parlare di progressisti e conservatori in senso strettro, perchè vi sono presenti le realtà più multiformi e variegate. Ciò premesso, va ricordato che Giovanni Paolo II, da Vescovo, ha lavorato attivamente nel Concilio Vaticano II sopratutto nella stesura nella Gaudium ed Spes, il documento ritenuto il più avanzato tra quelli conciuliari, come risulta dagli Acta del Concilio stessi: è improprio definirlo un conservatore come un progressista. Sula morte di Papa Luciani, sul caso Calvi – Marcinkus – IOR emergono tutte le perplessità della ricostruzione : se fosse vera la linea del professor Renzetti, allora dovrebbe spiegarmi il controsenso di epurare un papa che nel discorso ufficiale al clero romano aveva già delineato la linea di un pontificato di restaurazione, sottolineando con forza e durezza la necessità di una ferrea ed obbediente disciplina nella Chiesa, e in tutti i suoi atti – seppur nel breve periodo – non ha avuto la carica conciliare innovatore del Suo Successore. Sul caso IOR, ereditato dagli ultimi anni di Paolo VI, quando costui era già vecchio e malato, è stato proprio Giovanni Paolo II che ha dovuto mettere ordine, pensionando Marcinkus e diversi Cardinali in carica nel pontificato precedente, e procedere ad una dolorosa risistemazione delle screditate finanze vaticane. Da sottolineare che il Papa, nei primi anni del suo ministero, non essendo uomo di curia ma vescovo in un paese a regime comunista in conflitto con la Chiesa, ha dovuto navigare a vista per conoscere meglio la Curia Romana che gli era estranea. Sicuramente, l’aver sperimentato sulla sua pelle i duri totalitarismi del marxismo e del nazismo può avergli creato seri pregiudizi storici nell’affrontare i problemi concreti della Chiesa nel mondo contemporeaneo, eccedendo, alla base della sua esperienza passata, in valutazioni a volte anche estremistiche in contesti particolari (vedi Nicaragua). Ma nella vita si cambia, si cresce e si matura umanamente : e così è progressivamente avvenuto per Giovanni Paolo II, che in materia di fede, di dottrina e di morale ha mantenuto l’obbligo di confermare i fratelli della fede, avendo cura che il deposito della verità lasciato dal Cristo sia custodito fedelmente, mentre via via ha saputo aprirsi storicamente a letture sempre più congruenti della storia contemporanea: vedi il viaggio a Cuba, per citare un esempio. Nelle cose umane un Papa non è infallibile : lo è nelle cose di Dio. Inoltre, quando nella Chiesa c’è contrasto, ciò è un bene: perchè dal confronto, dallo scontro, anche se appare duro e a senso unico, emergono nuove sintesi e si chiariscono le posizioni dottrinali: così è avvenuto per la Teologia della Liberazione, che oggi ha chiarito la sua centralità cristologica e non violenta, abbandonando i rischi di deviazione populistica, violenta e marxistica, che mal si conciliavano con il messaggio di Cristo, senza rinunciare ad essere rivoluzionaria. Una lettura superficiale dell’enciclica Fides e Ratio può condurre il professor Renzetti alle sue conclusioni: in realtà nell’enciclica non vi è il disprezzo della Scienza, ma si sottolinea la possibilità di conciliare Ragione e Fede, e che non esiste un pensiero debole, ma dalla stessa natura ontologica dell’uomo emerge la Verità su chi lui è, cosa che non dovrebbe mai essere dimenticata, perchè ciò che è veramente umano è veramente cristiano. Ciò che l’uomo è va rispettato : non la tecnica sull’uomo, ma la tecnica a servizio dell’uomo. Da qui discende un semplice principio: il diritto alla vita e al morire con dignità. Se i due gameti si incontrano, per noi è l’inizio della vita, e il prodotto del concepimento ha diritto a vivere e a realizzarsi in quello che sarà. Nessuno ha il diritto di intervenire a manipolare una vita iniziata: da qui le nostre posizioni su embrioni ed aborto, che non mirano alla tecnica, ma al rispetto dell’uomo non come un prodotto, un fabbricato o commissionato dai genitori a loro immagine o somoglianza, ma nella sua individualità ed unicità. Sul profilattico, il discorso non è quello della tecnica per prevenire l’AIDS, ma sulla verità dell’amore umano: unire in profondità due persone, uomo e donna, che decidono di essere uno come l’atto dice, ed aprirsi con responsabilità al dono della vita. Tra l’altro, Karol Woitjla scrisse un bellissimo libro, Amore e Responsabilità, che raccomando alla lettura. Ora, la Chiesa VUOLE LA CRESCITA DELLE COSCIENZE, una cosa ben difficile, rispetto ad un semplice rimedio tecnico (ed economicamente vantaggioso per qualcuno) : tutti sappiamo che il profilattico riduce ma non elimina il contagio, e la vera strada sarebbe l’astensione dai rapporti a rischio. Giovanni Paolo II – e la Chiesa – non potranno mai, se non tradendo il messaggio del Cristo – accettare soluzioni che vanno contro l’Amore come Cristo ci ha insegnato : unioni gay, coppie di fatto, aborto, fecondazione artificiale omologa ed eterologa… Tuttavia, questo non significa che all’interno della Chiesa non vi sia un dibattito serio e ferrato su questi problemi, per essere vicini alle persone che soffrono queste difficoltà e trovare le forme e le soluzioni nella luce della VErità Rivelata ai problemi concreti e quotidiani. Sulla Scuola Privata, mi trova perfettamente consenziente.

Don Francesco Martino


Rispondo così:

Gentile Don Francesco Martino,

lei fa il suo mestiere ed è nel suo pieno diritto. Il fatto è che lei può rivolgersi con le parole che usa solo ai credenti che, per definizione, sono credenti. Quando lei parla di verità rivelata a me parla di una favola rivelata, mi deve solo dire se si tratta di Biancaneve o di Pinocchio.

Io ho altre cose per rivelate ma non sono verità: conosco la povera gente, la fatica, la sottomissione ai potenti, l’impunità dei ricchi, la sofferenza dei malati, l’emarginazione dei diversi, interi continenti che muoiono, la ricchezza dei potenti, gli sfarzi e le prepotenze della Chiesa, il duro lavoro, il sacrificio dei pochi, la ricerca del lavoro, ….

Ho il piacere di essere molto amico e di rispettare profondamente le comunità cristiane di base che fanno lavori eccellenti in tutto il mondo. Il confronto con loro è eccellente perché mai pongono il problema di essere accettato nell’Ecclesia solo se si è credenti e neppure lavorano per convincerti. Semplicemente ognuno è quello che è e collabora con gli altri per un mondo più degno, più vivibile, meno violento. Di queste persone ho sommo rispetto da moltissimi anni e quindi quanto dirò non è certamente rivolto a loro.

Lei ha il diritto di sostenere ciò che fa ma non deve fare affermazioni non vere (a meno che non si rivolga ai suoi fedeli). Il fatto è che è una cattiva abitudine il credere di parlare sempre a dei mistici o superstiziosi facenti parte di un gregge (appunto!) a cui la gerarchia fornisce pastori (appunto!).

Inizio da alcune sue affermazioni che sono offensive e dal fatto che lei è talmente preso dal suo gregge che non si rende neppure conto di ciò. Quando lei afferma che  la Chiesa non può “accettare soluzioni che vanno contro l’Amore come Cristo ci ha insegnato : unioni gay, coppie di fatto, aborto, fecondazione artificiale omologa ed eterologa” lei mostra di non conoscere i Vangeli. Ma poiché è lei che dovrebbe conoscerli, le chiedo dove Gesù avrebbe sostenuto le cose che lei sostiene. Dove Gesù (sia l’esseno che il bar abbas o figlio di Dio) ha parlato contro le unioni gay ? Piuttosto, leggo in Matteo: “Non giudicate, affinché non siate giudicati“. 

Ma dirò di più. Un grande studioso spagnolo di fatti della Chiesa, Pepe Rodriguez, ha fatto una indagine sui costumi sessuali del clero (Las costumbres sexuales del Clero, Editorial B, Barcelona 1998). Il risultato è che il 35% dei preti intervistati (un campione di 2000) si è confessato gay, che un 20% ha rapporti omosessuali, che il resto non si esprime. Quindi di cosa si parla ? Vi è poi tutta la vicenda della pedofilia, con le coperture vergognose al Cardinale Law da parte di Roma. Allora, insisto, di cosa si parla ? Quando lei ci dice che il profilattico impedirebbe l’amore vero e profondo, io posso condividere, ma lei che ne sa ? Inoltre non dica cose che potrebbero offendere chi scemo non è. Quando lei dice che il profilattico non è completamente sicuro dice il vero. Ma la Chiesa ne proibisce l’uso per questo motivo ? Non ci prenda per minus habens. Lo sa che anche la pillola anticoncezionale fu fieramente avversata dalla Chiesa finché la Serono (allora controllata dal Vaticano) non iniziò a produrla? E perché vi opponete alla pillola del giorno dopo ? Qui l’amore sarebbe ancora più profondo ? Questo e molto altro fa dire: come vi permettete di dettare leggi per tutti ? Le coppie, in Palestina, 2000 anni fa come erano ? E Gesù non si accostava a tutti ? Non era egli più unito che mai con i più bisognosi ? Con le prostitute, con  tutte le donne ? E come mai la Chiesa allontana le donne ? Io lo so come lei, solo che lei non lo dice. L’invenzione di Maria può appartenere alla misoginia di Paolo e non alla bella persona di Gesù. Il basso, pelato, mezzo deforme Paolo e pure gentile (immagino respinto da tutte) ha relegato la donna a solo strumento di piacere e a macchina per la procreazione. Se Gesù avesse letto Paolo lo avrebbe frustato. E così si inventa la vergine perfettissima alla quale nessuna donna vera può minimamente paragonarsi. E pensare che nei Vangeli Gesù chiama solo 4 volte (in tutto) sua madre, tre volte chiamandola donna ed una sola volta chiamandola madre. Dove si trova il messaggio di  Gesù in quella sciocchezza del dogma (roba vostra) dell’Assunzione (dove sarà questo corpo ? e quello di Gesù? visto che lo stesso Giovanni Paolo II ha affermato che il Paradiso e l’Inferno sono entità immateriali ?) ed in quello dell’Immacolata Concezione (per non parlare dell’Annunciazione, dell’Incarnazione, …)? Anche il Totus Tuus è completamente estraneo al cristianesimo delle origini, semmai è una questione paolina (o idolatra).

Ma la Chiesa si è inventato tutto prescindendo completamente dai Vangeli:

– Dove Gesù ha istituito un clero professionale ?

– Dove Gesù istituisce il tempio come casa di Dio ?

– Dove Gesù parla di inferno e di peccati da scontare ? 

– Dove ha istituito il papato ?

– Che c’entra la falsa donazione di Costantino ?

– E la vendita delle indulgenze (ricorda la Taxa Camarae di Leone X) ?

C’è poi l’aborto, il divorzio, …. Posso capire la posizione della Chiesa. Consiglio di fare circolari a tutti i credenti in cui si dice di non abortire e di non divorziare. Inoltre non ha nessuna autorità su nessuno chi da un lato parla di rispetto della vita  e dall’altro vara un catechismo (1992) in cui nel capitolo “Il rispetto della vita umana“, al paragrafo “La legittima difesa“, al punto 2266 si dice: “Difendere il bene comune della società esige che si ponga l’aggressore in grado di non nuocere. A questo titolo,  l’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte…..” Che ne dice ? Lo sa poi che, a proposito di divorzio, la Sacra Rota ha annullato matrimoni di grosse personalità politiche con motivazioni che fanno ridere chi credente non è ? Il DC Mauro Bubbico (ma posso fare almeno 100 esempi clamorosi), benché padre di due figli, fu annullato perché impotente. Gli avvocati rotali, per evitare quella cosa grave  del cornuto, disquisirono sulla penetratio, di quanta ne fosse necessaria per essere considerati potenti o no. Nonostante ciò, predicate o imponete ai credenti ciò che volete, questo dovrebbe essere il vostro compito. Come Chiesa dovete tacere sulle leggi dello Stato e la cosa risale addirittura al povero Rosmini. In cambio lo Stato si salassa per pagare un esercito di persone dedite al culto che dovrebbero essere pagate dai credenti, non crede ? Sulla fecondazione artificiale dovreste avere il pudore di ascoltare con il pentimento nel cuore (per tutto ciò che avete fatto contro) le povere coppie costrette a ricorrere a questa pratica dolorosa due volte, fisicamente e psicologicamente (oltre che costosissima). Ma come vi permettete di dettare leggi che dovrebbero valere per tutti ? Molto banalmente, in modo che si capisca, anche quella cosa del “seme che non deve essere sparso per terra“, lei insista con il suo gregge che ogni volta che si ha un rapporto sessuale si deve avere un pargolo (questo andava bene quando vi era la mortalità spaventosa, ancora  relativamente pochi anni fa). Poi conti quelli come Buttiglione che hanno avuto tanti rapporti sessuali quanti figli hanno (e per questo, il poveretto, è come è). Conti allora quanti osservanti dei vostri insegnamenti vi sono e ne tragga le conseguenze (quanti sono i pagani nella Chiesa di Cristo ? matrimoni, cresime, battesimi con sfarzo; statue ed immagini adorate come nei periodi più splendidi dell’Impero di Roma; le fonti miracolose, le apparizioni, i misteri, …). Pensi che chi ricorre alla procreazione assistita non si diverte! Che questi poveracci vorrebbero essere confortati ed aiutati invece di essere vilipesi. E, chi può se ne va all’estero a pagare un altro dazio all’ottusità inquisitoria mai finita.

Sulla ricerca scientifica apriamo un altro capitolo doloroso. Io non sono mai stato un neopositivista ma credo che la scienza debba poter progredire nei modi che uno Stato laico ritiene di doversi dare (Einstein disse parole eccellenti in proposito). Ora chiedo: quando la Chiesa è stata favorevole, una sola volta, al progresso delle scienze ? Sempre contro qualunque vera novità. Cito ancora le ipocrisie della gestione passata della Chiesa: si perdona Galileo (qui viene da ridere perché semmai è la Chiesa si doveva e deve inginocchiare davanti a lui) e poi si scopre che si trattava di un annuncio smentito da Poupard e Garrone (la informo che anche i Gesuiti hanno criticato la non riabilitazione di Galileo). Su Bruno … niente, eh? Su Darwin la Chiesa cavalca il creazionismo. Dalle parti nostre la cosa non ha successo (l’infiltrata Moratti con lo scudiero Bertagna, si è sconfessata) ma negli USA tutto va bene. Anche qui insegnate il creazionismo, i miracoli, le verità, le Trinità,… Vi assicuro che sui fatti di fede DOVETE essere liberi di fare ciò che volete. Ma non interferite con la fede nella vita civile!

Lei sa certamente che dopo lo splendido 1849 seguiva il miracoloso 1870 (poi distrutto da quell’anima nera di Mussolini nel 1929). Che ancora a quella data esisteva a Roma, oltre alle decapitazioni in piazza,  la Cattedra di Fisica Sacra (fondata dal Card. Consalvi ed affidata al Card. Scarpellini). Scriveva Scarpellini:

“In un ramo della pubblica istruzione, che ha per oggetto l’applicazione delle scienze naturali alla considerazione di Dio, non può immaginarsi sistema né più ordinato né più sublime di quello, che la stessa divina sapienza ne tratteggiò laonde con saggio divisamento dal primo libro della Genesi desunse la nostra cattedra l’ordine e la distribuzione delle materie, nonché l’appellazione di FISICA MOSAICA, FISICA SACRA, COSMOLOGIA TEOLOGICA. Pertanto in sei grandi trattati se ne divise l’ampio argomento, essendoché in sei giorni divise Mosè l’opera divina della creazione, ed a ciascun trattato serve di tema ciò che creò Iddio nella corrispondente giornata. Quindi è che il I si occupa della creazione del mondo, o piuttosto della creazione delle sostanze elementari; il II del firmamento, o sia dell’aria, e della divisione delle acque sopra la Terra divisa in continenti e mari; il III della produzione dei vegetabili; il IV dei corpi celesti, e de’ loro uffici; il V della produzione dei pesci e dei volatili; il VI finalmente della produzione degli altri animali e della formazione dell’uomo … “.

E lei sa anche fino a quando fu insegnato il sistema aristotelico-tolomaico nelle scuole dello Stato Pontificio? E sa  che le tac, le radiografie, le ecografie, le risonanze del Papa si fanno con la fisica quantistica e non con la Provvidenza o la Fisica Sacra ? Ed io mi dovrei affidare a così grandi maestri ? Tanto per essere chiaro, la vicenda di Galileo, gravissima in sé, ha delle ricadute ancora più gravi. Fino al processo a Galileo il baricentro della ricerca scientifica europea era su Firenze. Subito dopo si spostò a Parigi. Quando si ricominciò a far scienza fisica in Italia (anni 20 e 30 con Fermi ed il suo gruppo) arriva un’altra calamità mai contrastata dalla Chiesa, le leggi razziali che hanno distrutto tutto di nuovo. Ma la Chiesa vive bene nel degrado ed abbandono (degli altri) e quindi la cosa non stupisce.

Mi sono soffermato solo sulle ultime parole del suo messaggio. Vi sarebbero volumi da scrivere …

La vicenda della morte di Papa Luciani non è stata discussa da me, ma dalla referenza che ho fornito (edita in Italia da Pironti, Napoli 1984). Vi è anche un ampio documento della Chiesa Latino americana che dice le stesse cose. Ma anche queste cose fossero campate in aria, diciamo con espressione da voi in uso che la cosa è stata risolta dalla Provvidenza. Il fatto che il Papa per 33 giorni avesse fatto quelle dichiarazioni che lei ricorda ad inizio pontificato è semmai un indizio a favore della tesi della sua eliminazione (ha visto come l’assassinio di un paio di persone – capo delle guardie svizzere e sua moglie – ed un suicidio del supposto svizzero assassino, sono stati liquidati dal franchista Navarro Valls in 10 secondi ?). Ma non faccia come certi conoscenti miei DS, non si soffermi sulla cornice, guardi il quadro. Che dice dell’Opus Dei ? e dei Legionari di Cristo, di Escrivà de Balaguer (sepolto con Del Portillo e la sorella di Escrivà in un edificio sede dell’Opus, a Viale Bruno Buozzi a Roma, e non in un cimitero, in violazione della legge napoleonica ancora vigente ?) di Stepinac, di Padre Pio, di Law, di Pio Laghi, …. In definitiva lei crede o no che la Chiesa (nelle sue gerarchie) sia sempre stata dalla parte dei padroni ? Che mai si sia schierata dalla parte dei deboli se non per trarne profitto ? Lei sa come me cosa disse Papa Leone X: “Per noi e per i nostri, la favola di Gesù è divenuta una benedizione“. Che dice ?

Non conviene a lei porre questioni che dovrebbero rendere razionale il metafisico. La Fede è una cosa ma AUT fides AUT ratio (su questo si può leggere il saggio di Flores D’Arcais su Micromega 5/98). E’ un nonsenso filosofico cercare di dimostrare l’esistenza di ciò che non è e, per di più, dargli validità effettuale e perfino legale. Quando si dice che esiste la verità rivelata e questa va compresa alla luce della ragione (Fides et ratio 35) si sta dicendo che il primato è della verità rivelata. E se la verità rivelata ha il primato, la ragione cosa dovrebbe fare ? O asseconda la teologia o porta al vuoto morale di chi non ha fede (concetto caro a Giovanni Paolo II ma FALSO). Che vuol dire questa frase: “la conoscenza rinvia al mistero di Dio, che la mente non può esaurire, ma solo ricevere ed accogliere nella fede” ? e la rivendicazione successiva di esclusiva competenza della Chiesa, competenza “che le deriva dall’essere depositaria della Rivelazione … un messaggio che ha la sua origine in Dio stesso” ? Io lo so ed anche lei: la Chiesa vorrebbe dettare alla scienza ed alla ragione come agire e cosa pensare. La conclusione di questa enciclica completamente estranea ad ogni linea di pensiero epistemologico (a parte Pera che, appunto, è epistemologo come io so fare il punto Palestrina)  è la dottrina medioevale della filosofia ancella della teologia (cosa che può anche andare bene nel vostro mondo e che andava bene quando vi erano i roghi ma che oggi è semplicemente ridicola).

Non occorre poi dimenticare la Centesimus annus che è un capolavoro reazionario. Per affermare la sua posizione nei riguardi del comunismo, Giovanni Paolo II non esita a richiamare la Rerum Novarum di Leone XIII, quella che fu l’alibi morale della monarchia, incitata a reprimere il movimento operaio di fine ‘800, a reprimere con la mitraglia e con i cannoni (Bava Beccaris, lo ricorda ? si quello che per ordine del re buono spara cannonate sulla gente che chiede pane ?) chi chiedeva condizioni di vita migliori e di uscire dalla vergogna delle 16 ore di lavoro. In quella stessa enciclica il Papa azzardò il parallelo tra il marxismo ed il socialismo reale, come dire, tra Gesù ed il papato. Ma vi è anche il riferimento al diritto di proprietà privata che Marx avrebbe negato. Nelle esemplificazioni poi si scade al possesso di beni materiali, mostrando di non sapere proprio dove sta di casa Marx, il quale non ha mai parlato di beni materiali ma di mezzi di produzione. Infine, l’uomo non è capace di distinguere il bene dal male e per questo gli serve la Chiesa, cioè un prete che non sarebbe un uomo. In definitiva o un prete o Berlusconi per indicarci la retta via. Ma si rende conto ? E la cosa non è occasionale se si insiste sul fatto che lo Stato assistenziale non ha senso (48 – perché moltiplica gli apparati pubblici – sic! -). Ed allora perché quello stesso Stato (cioè tutti noi) è spremuto senza ritegno dalla Chiesa ?

Cyrano diceva “…se ne potevan dire …”. Io mi fermo qui, disponibile a proseguire molto a lungo. Dico solo una cosa già detta più volte. La Chiesa ha pieno diritto di fare ciò che crede nel suo ambito di fede. Si rivolga a chi crede, imponga loro ogni dogma che ritiene opportuno, santifichi chi vuole, … Ma non interferisca mai con gli affari di uno Stato laico. Non parli ai cittadini come se fossero fedeli. Soprattutto in un Paese che mostra che si sta distaccando sempre più dalla Chiesa e proprio a causa di quella società “consumista” che la Chiesa non ha mai veramente messo in discussione. Le reazioni possono essere, in dati momenti, molto dure. Io direi anche, ma questo è solo un pio auspicio, che la Chiesa così forte di tanti fedeli si faccia forte economicamente e si autofinanzi. E’ un modo per affermare con forza e decisione la propria dignità, non le pare ?

La saluto

Roberto Renzetti

PS. Sono sconcertato dal vedere i fedeli felici e speranzosi davanti ad una fumata. Ma non erano gli stessi che fino a qualche giorno fa si strappavano i capelli per la perdita di Giovanni Paolo II ed affermavano che era insostituibile ?


Continua Don Francesco Martino

25 aprile 2005

Gentilissimo Prof. Renzetti,

la ringrazio per la sua lunga ed articolata risposta, che mi consente di continuare a dialogare con Lei. Ovviamente le ho risposto come esponente della Chiesa Cattolica e sono convinto, anzi sicuro, che le cose che ho detto “posso dirle con queste parole solo ai credenti”. Ma questo per non nascondersi ed impostare il dialogo su basi di verità, nella chiarezza delle posizioni reciproche. Ovviamente, per noi, per la nostra cultura e tradizione, si tratta di “Verità rivelata”. Scherzosamente, mi viene in mente il momento in cui Gesù, parlando a Pilato, afferma : “Per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla Verità”; e Pilato: “Che cos’è la Verità?”, in cui potremmo sintetizzare le nostre posizioni.
Vengo ai punti da lei sottolineati : io non voglio convincere nessuno, né fare proseliti, né respingere alcuno, ma dialogare con lei. Per noi, che stiamo sulla “barricata” della Chiesa, l’Amore si trova riassunto in queste frasi presenti nel Vangelo di Giovanni : “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv. 15,12-13). Gesù non ha parlato di coppie gay, ecc. ma nella sua azione quotidiana, anche nell’atteggiamento concreto verso i cosiddetti peccatori, ha insegnato una prassi: ha detto “Neanche io ti condanno: va, e non peccare più”. Quindi, sostanzialmente, amore verso i cosiddetti peccatori, condanna per i cosiddetti peccati : condanna per ciò che è male, amore e comprensione per le persone concrete. Il Bene è proprio l’Amore secondo il suo insegnamento, il Male ciò che contraddice questo insegnamento. Incredibilmente, la cosa spaventosamente semplice è che Amare significa aprirsi all’altro, donarsi scambievolmente, fino a morire per l’altro. Non Amare significa rifugiarsi in se stesso, chiudersi all’altro, vivere per il proprio egoismo. Da qui discendono le mie affermazioni su unioni gay, coppie di fatto, aborto, fecondazione artificiale omologa ed eterologa… E qui non c’è giudizio – badi bene – sulle persone, frase a cui si riferisce Matteo, ma sui principi. Gesù ha giudicato “i principi”, non ha giudicato i peccatori. Si legga l’intero “Discorso della Montagna”, presente in Matteo, da cui ha tratto la frase sul giudizio, e quando dice : “Voi siete la luce del mondo…” ecc. ecc. Cristo non ha rinunciato ad annunziare quella che io chiamo Verità, ma ha guardato negli occhi, nel cuore le persone che ha incontrato e le ha amate.
Le sembrerà strano, ma ho letto gran parte del libro del Professor Pepe Rodriguez, “Verità e Menzogne della Chiesa Cattolica” che una carissima insegnante laica, mia amica, mi ha regalato. E’ un bel trattato completo di tutto ciò che sarebbe – a vostro giudizio – falsità nella Chiesa Cattolica dai Vangeli Apocrifi ad oggi. Non le nego che, essendo la nostra una comunità di santi e peccatori, mi trovo troppo dolorosamente d’accordo con il mio amico Ratzinger quando parla di sporcizia nella Chiesa: perché la nostra controtestimonianza è grave e deprecabile. Forse lo ignora, ma questi fatti, tra di noi sono vissuti molto dolorosamente: secondo la mia personale opinione un sacerdote omosessuale farebbe bene ad essere dimesso o a dimettersi dal suo incarico, in primis perché l’omosessualità conclamata è mancanza della necessaria maturità umana e cristiana per vivere il “dono” del celibato ed è intrinsecamente un disordine interiore, segno di insoddisfazione ed irrealizzazione della persona nell’Amore più Grande chiesto da Cristo ai suoi, che condiziona negativamente nel dono della propria vita. Ancora più grave il caso di pedofilia: forse lei lo ignora, ma è stato proprio il Papa Giovanni Paolo II a convocare tutti i Vescovi cattolici americani in Vaticano non per salvare la faccia, come lei può pensare, ma per fare pulizia, chiedere perdono, e salvaguardare le vittime. Provvedimenti dolorosi e pesanti sono stati presi, pur nello spirito di misericordia per le persone: il Cardinale Law, che lei cita, è arciprete di Santa Maria Maggiore: ora, in Roma esistono 4 Capitoli, San Pietro, San Paolo fuori le mura, San Giovanni in Laterano. Questi incarichi non sono incarichi di prestigio, ma incarichi effimeri di punizione o pensionamento, a cui, per la carità del Papa, vengono destinate spesso le persone che non hanno dato buona prova nel governo della Chiesa o altro. Il Cardinale Law si è trovato in una posizione onorifica che tradizionalmente porta a far presiedere una delle messe in suffragio del Papa defunto, ma questa non è assolutamente una promozione.
Andiamo oltre : “Come si può asserire che il preservativo impedirebbe l’amore vero e profondo?”. Nel discorso sull’Amore fatto sopra, emerge che l’amore umano ha la dimensione profonda di unire le persone, ed in modo particolare l’io e il tu nel “noi” (aspetto unitivo) e che il dono dell’atto di amore sia aperto al dono della vita, e quindi a dare la vita (aspetto procreativo). Non nego che quando due persone si amano veramente, e si donano l’uno all’altro, realizzino in toto l’aspetto unitivo dell’amore. L’uso del preservativo rappresenta però una chiusura al dono della vita, e quindi non realizza la seconda caratteristica dell’amore. Per cui, non siamo pienamente all’amore totale e disinteressato (parlo secondo il discorso “nostro”, sul fondamento “nostro” che prima le ho enunciato). Ovviamente, bisogna poi contestualizzare il discorso guardando negli occhi e nel cuore le persone concrete, ed amandole di quell’amore che Cristo vorrebbe dalla sua Chiesa. La Chiesa non proibisce l’uso del preservativo solo perché non è completamente sicuro, ma per il discorso sopra esposto : perché la regola fondamentale che si pone è quella dell’Amore, non quella del “piacere”, della “voglia”, del proprio “egoismo a due” che riduce il rapporto sessuale non al dono d’amore ma alla semplice gratificazione del nostro desiderio e delle nostre passioni del momento, ovvero al semplice “fare l’amore” ma non “Amare”, se mi sono spiegato. E’ qui il punto critico di ogni discorso concreto. Tuttavia, in un rapporto quello che va salvato sempre è l’Amore.
Altra domanda : “E perché si oppone alla pillola del giorno dopo?”. Amare – secondo la nostra visione – significa quindi raggiungere la pienezza di questo aspetto unitivo e procreativo, e non c’è amore senza responsabilità delle proprie scelte e responsabilità vera verso l’altro. La pillola del giorno dopo, in pratica, serve per provocare (la Ru 486) una mestruazione atta ad espellere dall’endometrio il “prodotto del concepimento” che per noi è “vita”: o meglio, impedire il dono della vita. Mi chiedo: è vero che due ragazzi, due giovani, possano sbagliare (e la nostra cultura, che invita al sesso come consumo, gioco e divertimento sta registrando il boom in questo senso) ma perché deve pagare questo errore un terzo? Perché non deve avere il diritto di vivere, di nascere, di svilupparsi? Da un lato, questo spinge noi Chiesa ad un compito educativo molto forte, per promuovere nei giovani un vero cammino di crescita nell’amore vero, cosa a cui noi stiamo cercando di rispondere, dall’altro non possiamo accettare un intervento che – ripeto – per noi “oscurantisti” – mira a sopprimere un essere umano perché per noi non è “prodotto” ma “persona” di cui i due ragazzi, giovani ecc. sono responsabili. Perché non esplorare l’ipotesi di disconoscere, allora, il figlio alla nascita e consentirne l’adozione? Ma poi, si obietta, vengono i rimorsi ecc. ecc. E allora perché non farlo nascere e dargli l’opportunità di volare nel firmamento della vita?
Come si possono dettare leggi per tutti?”. Credo che voler professare il proprio credo non significhi voler imporlo a tutti. Nel gioco democratico della società ognuno pone sul tappeto le sue visioni, e poi, a livello civile, vince la maggioranza. Noi abbiamo fatto le nostre battaglie : divorzio e aborto, e abbiamo perso. Abbiamo chiesto solo l’obiezione di coscienza per l’aborto, perché crediamo non si possa sostituire un integralismo laico ad un integralismo religioso, per il rispetto delle convinzioni religiose di tutti. Siamo convinti che la via maestra per annunciare il vangelo è il dialogo, nel rispetto delle reciproche posizioni, ma non a rinunciare a professare ciò che noi crediamo essere la Verità.
Gesù sicuramente si è accostato a tutti e ha affrontato i problemi concreti delle coppie della sua epoca : ma ha anche tuonato contro il divorzio e lo scandalo, contro l’adulterio e tante altre cose. E’ sempre stato unito a tutti i bisognosi, con le prostitute, i pubblicani e i peccatori, ma ha richiesto conversione, cambiamento di vita, del cuore e degli occhi.
Come mai la Chiesa allontana le donne?” Forse, il problema può apparire quello delle donne prete o delle diaconesse. In realtà nella Chiesa c’è una forte, fortissima presenza femminile che ha un suo ruolo sempre crescente, secondo ruoli propri e ben distinti. Penso ai tantissimi ordini religiosi, contemplativi ed attivi, alle numerose teologhe che ormai ci hanno soppiantato nell’insegnamento di religione, alle catechiste e a coloro che in terra di missione reggono praticamente le parrocchie, alle ministre straordinarie dell’eucarestia, alle chierichette, alle lettrici ecc. ecc. L’uguaglianza non è fare tutti le stesse cose, ma secondo la propria reciprocità assumere i ruoli che sono consoni. Gesù, il grande innovatore, non ha scelto tra i 12 apostoli nessuna donna, eppure, lui, grande amico delle donne in disprezzo della tradizione ebraica, poteva farlo. Qui, il mio amico Ratzinger, ha posto il fondamento sul perché la Chiesa cattolica non può concedere il sacerdozio alle donne, e Giovanni Paolo II, nella “Mulieris Dignitatem” ha comunque voluto riaffermare la dignità della donna nella Chiesa, con affermazioni – per noi oscurantisti – molto alte e profonde.
Quanto dei dogmi cristiani sono in realtà invenzioni paoline e prescindono dai Vangeli?” . La sua argomentazione, che sicuramente si basa sulla tesi di Pepe Rodriguez ed altri che Paolo avrebbe fondato la Chiesa esistente, restaurando il giudaismo cristiano, contro Pietro e gli altri, non è perfettamente plausibile. Nel Vangelo è Gesù Cristo stesso a fondare la pretesa di essere Figlio di Dio, uguale al Padre, e a parlare di Spirito Santo. I grandi Concili di Nicea, Efeso, Costantinopoli e Calcedonia non hanno fatto altro che precisare questo, condensato nel credo Niceno – Costantinopolitano. Paolo, nelle sue lettere pastorali, ha fornito chiavi di lettura esplicative, ma non ha detto altro dai Vangeli. A meno che Paolo non abbia scritto tutto… da solo o con i suoi collaboratori. Un po’ incredibile, non crede?
Dove Gesù ha istituito il clero professionale, il papato e il tempio come casa di Dio?”. Di sicuro ha chiamato in mezzo ai suoi discepoli 12 uomini a cui ha rivolto delle istruzioni particolari, affinché stessero in maniera più stretta con lui e condividessero la sua vita, che hanno partecipato con lui ai momenti fondamentali della sua vita, compresa l’Ultima Cena, a cui ha comandato di ripetere “in sua memoria” quei gesti espressione del suo sacrificio, a cui ha dato il compito di rimettere i peccati, di annunciare il vangelo a tutte le genti e di battezzarle nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Da qui è nato il ministero dei Vescovi, oggi chiamati “successori degli Apostoli”, per mezzo dell’imposizione delle mani che comunicava il dono dello Spirito, antica consuetudine presente fin dal libro degli Atti. In mezzo a loro ha scelto Pietro, che ha costituito in modo particolare come pietra della sua Chiesa verso cui le porte degli inferi non prevarranno, gli ha dato il compito di confermare i suoi fratelli nella fede, di pascere i suoi agnelli e le sue pecorelle, di legare e sciogliere, con la promessa che ciò che sarà legato in terra lo sarà nei cieli e viceversa. Quando poi si è recato al tempio di Gerusalemme, lì ha sempre insegnato, ha preso una sferza di cordicelle e ne ha cacciato fuori mercanti e cambiavalute, dicendo di aver fatto della casa di Dio una spelonca di ladri. Questo è scritto nei Vangeli e da qui tutto ha preso le mosse. Se poi il Vangelo è per lei una pia favoletta, liberissimo di crederlo.
Dove parla di inferno e di peccati da scontare?”. Proprio nel discorso della montagna in Matteo, in diverse parabole, quando Gesù invita a non peccare più, a convertirsi, a fare penitenza, quando rimette i peccati, parla di tutte queste belle cose. Strano che le sia sfuggito.
Che cosa c’entra la falsa donazione di Costantino?”. Sicuramente la donazione di Costantino è un falso, dimostrato da Lorenzo Valla, che riguarda la politica del momento (alto medioevo) e non la vita della Chiesa, sulla quale si possono muovere tutte le obiezioni opportune, ma in merito al discorso di Chiesa non costituisce alcun problema.
Sulla vendita delle indulgenze, non ho nulla da obiettare. Si è distorta per motivi venali la dottrina in materia ed è stata una cosa di cui vergognarsi. Infatti, adesso il problema è stato “purificato” adeguatamente.
Sull’aborto e sul divorzio : ora, essi sono casi dolorosissimi, sicuramente. Essere vicini alle persone non significa, come detto sopra, tradire quella che per noi è verità sull’amore umano. Quanto detto per la pillola del giorno dopo vale per l’aborto, in quanto è per noi sempre una soppressione di una vita. Sul divorzio il problema è per noi il tradimento del patto di Amore dei coniugi, che si sono promessi amore unico, fedele ed inesauribile, sull’esempio di Cristo che ama la sua Chiesa fino al dono della vita. Badi bene, il problema non è la separazione, ma il divorzio: cioè la rottura del patto. La separazione può essere anche medicinale: ma in virtù del matrimonio, i due coniugi dovrebbero far vincere tra di loro le dinamiche dell’amore, non dell’egoismo: il divorzio è la vittoria dell’io sul noi. Questo non significa essere freddi e distanti con coloro che hanno vissuto questa dolorosa esperienza: si può essere anche non colpevoli nella vicenda, e comunque noi Chiesa siamo chiamati a sostenere pastoralmente le coppie in difficoltà, i divorziati, ed anche i divorziati risposati : qui, per noi, il ragionamento si complica, perché la rottura del legame di amore è irreversibile, e per ora noi non li ammettiamo ai nostri sacramenti. Ciò, però, non è una scomunica, ma un invito alla riflessione. Tuttavia, si sta riflettendo e meditando seriamente sul problema, perché comunque è un problema doloroso. Sull’annullamento dei matrimoni – tecnicamente, lo dico – la Sacra Rota certifica semplicemente il vizio del consenso, non annulla il matrimonio. Da qui scaturisce che il matrimonio è stato un “non matrimonio”. Sull’operato della Rota Romana, non mi esprimo. So soltanto che molte volte abbiamo avuto sentenze troppo favorevoli, e spesso Giovanni Paolo II ha richiamato i giudici rotali a non emettere con facilità sentenze di scioglimento.
Sulla pena di morte: il testo, da lei citato a metà, prosegue: “Per analoghi motivi, i detentori dell’autorità hanno il diritto di usare le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla propria responsabilità. La pena ha come primo scopo di riparare al disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, la pena ha valore di espiazione. Inoltre, la pena ha lo scopo di difendere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone. Infine, la pena ha valore medicinale : nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole. Se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall’aggressore e per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana”. Il testo da lei citato si trova in un contesto discorsivo in cui si ricorda che nei secoli precedenti era stata teorizzata, come “estrema ratio” per difendere il bene comune, la pena di morte : e precisamente nella “Summa Theologiae” S.Tommaso aveva teorizzato l’uccisione del tiranno. Ma questa tradizione, prosegue il testo, oggi è a fondamento di quella prassi che considera guerra giusta la guerra di difesa dall’aggressore, e poiché la pena ha lo scopo di riparare al disordine introdotto e ha scopo medicinale, oggi la pena di morte va accantonata quasi completamente, perché sicuramente i mezzi incruenti sono sufficienti a difendere le vite umane. Letto tutto il discorso, l’argomento appare plausibile. Fermandosi al primo capoverso, avrebbe ragione lei… Ma la Chiesa che parla di pace ed insegna la non violenza crede che giustifichi veramente la pena di morte, quando uno dei motivi di forte contrasto con gli USA e la Cina è proprio questo?
Sulle leggi dello stato che sovvenzionano direttamente chi è dedito al culto forse è male informato: non esiste un finanziamento diretto, ma solo quello indiretto alla Conferenza Episcopale Italiana a mezzo dell’8X1000, che viene ripartito solo in minima misura per il sostentamento del clero (peraltro in costante calo). Qui si possono discutere forme e modalità, comunque da quando il Card. Attilio Nicora era delegato (parlo della fine degli anni 80, inizio anni 90) della CEI per tale materia, è iniziata una campagna sostenuta a favore delle offerte deducibili, secondo il principio che il clero dovesse pesare sempre meno dalla ripartizione di tali fondi ed essere sostenuto dalle parrocchie singole. Fino ad ora gli auspici si sono realizzati in parte, ma si è in cammino.
Sulla fecondazione artificiale noi non riteniamo la legge attuale una legge “moralmente cristiana”, ma la tolleriamo come il male minore. La nostra posizione in materia, sul rispetto della vita, si basa sostanzialmente sul fatto che il dono della vita è appunto un dono, e non è un diritto dei coniugi : esiste la possibilità di questo dono, non il “diritto al figlio”, né alla “produzione del figlio”: Questo non sarebbe amore, bensì soddisfacimento più che altro di un egoismo della coppia. Il “figlio a tutti i costi” non è frutto di amore, ma di altre logiche che vedono in lui una cosa, più che una persona. Per questo motivo, la fecondazione artificiale omologa viene da noi considerata una “produzione” più che un dono di vita : inoltre, il tutto avviene in laboratorio ed è il tecnico, alla fine, a decidere. Inoltre, nella fecondazione in vitro ogni spermatozoo feconda un ovulo, e si hanno più embrioni, che per noi diventano vite da tutelare. E sicuramente, dato il clima ottimale del laboratorio, con questa tecnica avvengono anche i concepimenti che in natura non avvengono spesso di embrioni con problemi genetici. Ora, la legge attuale impone l’equazione di tre embrioni, tutti da impiantare, e si creano nuovi problemi di gravidanze multiple o di nascituri a rischio malformazione, oppure, e purtroppo è così, di fallimento dell’impianto perché i gameti sono insufficienti a garantire il pieno successo della gravidanza, che espongono la coppia a ripetere tutte le pratiche del ciclo, con le conseguenze drammatiche di cui lei ci accusa. Non possiamo accettare le proposte che ci vengono di operare una selezione da parte del tecnico in laboratorio dei gameti, perché in questo modo la vita diviene prodotto e scelta eugenetica di laboratorio; non possiamo accettare, in virtù della dignità di persona umana che per noi ha l’embrione, l’ipotesi successiva di diagnosi prenatale tesa ad accertare le malformazioni dell’embrione per poi sbarazzarsene con l’aborto; esiste il problema degli embrioni soprannumerari : congelarli, sopprimerli, usarli per la ricerca sfruttando le loro cellule staminali? A questo punto, da oscurantista, io mi chiedo : dov’è il rispetto per la vita umana, la sua tutela tanto conclamata, il rispetto per l’uomo che il mio Signore ha tanto sostenuto? Se siamo dei “prodotti” abbiamo perso la nostra libertà ad esistere, per delegarla nelle mani di altri. Quindi può capire perché non possiamo accettare che l’inseminazione artificiale omologa, che sono tutte quelle cure atte a curare la sterilità, lasciando ai coniugi il compito di donare la vita. E ricordiamo a tutti quanti coloro che soffrono e vivono questa difficoltà che il desiderio di maternità e di paternità può esplicarsi anche attraverso l’adozione: c’è più gioia nel donare una famiglia – almeno secondo la nostra ottica arretrata cristiana – a chi non la ha che fabbricare un individuo. Aggiungo poi, sul piano della ricerca, che il problema delle cellule staminali embrionali può essere superato, perché esse si trovano anche nell’individuo adulto: occorre investire forse in più ricerca, ma forse – almeno per noi – si possono ottenere risultati migliori senza intaccare la dignità umana. Per non parlare della fecondazione eterologa che, già in atto all’estero da molti anni, ha gia dato vita a numerose cause di disconoscimento di paternità e maternità, delle madri in affitto, e via di questo passo. Se per risolvere un problema se ne devono aprire mille altri, io mi chiedo dove sia “ciò che è veramente e profondamente umano in tutto ciò”.
Aggiungo poi sugli omosessuali : essi vanno rispettati, compresi, capiti ma non si può dire che quello che fanno ha fondamento umanamente valido e giustificarlo. Ciò che è vero umanamente è che esiste il sesso femminile ed il sesso maschile, e che dall’incontro di maschile e femminile nella loro reciprocità nasce il dono della vita e la convivenza umana definita con il nome di matrimonio. Per noi, questo è un ordine naturale chiaro. Voler dichiarare che Matrimonio è anche un’unione tra persone dello stesso sesso non solo è svilire il senso di famiglia e di comunità umana, ma significa anche rinnegare quest’ordine naturale per imporne uno culturale ed artificiale. Ed anche affermare la possibilità di adozioni per coppie omosessuali o di fecondazione artificiale, significa creare situazioni che stravolgono l’ordine umano, in quanto le stesse scienze psicologiche sostengono che il bambino, per crescere, ha bisogno di identificarsi nella coppia con il maschile e con il femminile per il suo equilibrio psicofisico. Oppure, visto che l’uomo non vale nulla, non importa se “creiamo” persone instabili o infelici?
Sono profondamente convinto che chi ci segue è un’esigua minoranza, tuttavia, per dirla con una battuta, noi non dobbiamo avere il favore dei sondaggi, ma sostenere quella che – secondo noi – è la verità, anche se ciò dovesse ridursi al rango di una pura e semplice testimonianza. D’altronde, quando dopo il 325 d. c. quasi tutti i vescovi erano ariani la dottrina della Chiesa non ha mai seguito la moda di Ario…
Lei cita il caso Galileo e dice che la Chiesa è contraria ad ogni novità: se storicamente ci sono stati degli errori, essi vanno riconosciuti. Ma quanti hanno ed hanno avuto il coraggio di purificazione della memoria da noi intrapreso fin dalla “Terzio Millennio Adveniente” e poi seguito nella “Novo Millennio Inuente” attraverso le quali, anche contro il parere di illustri esponenti, la Chiesa con Giovanni Paolo II ha chiesto perdono degli errori dei cristiani contrari allo spirito del vangelo e che questi nel marzo 2000 ha depositato nel muro del pianto la richiesta di perdono contro le perfidie commesse dagli Ebrei? Non accettiamo uno sviluppo, una scienza che non rispetti l’uomo come persona ma lo distrugga, perché per noi ciò non è progresso, ma anticipo di morte e distruzione, mentre – lo ripeto – noi siamo per la vita.
L’evoluzionismo per noi non è un problema così grande : noi sosteniamo che Dio ha creato l’universo, il come è compito della scienza dimostrarlo, non nostro, perché la Bibbia non è un libro scientifico, e ci dice il “perché” del mondo, non il “come” sul mondo. Ciò che avviene negli USA lei mi deve spiegare dove, perché mi sembra alquanto strano che in un paese dove c’è libertà di istituire scuole in un “regime di competizione” le nostre non siano all’avanguardia in materia. Non abbiamo la pretesa di interferire negli affari italiani, ma non è colpa nostra se in questo Paese ancora l’80% figura battezzato con la Chiesa Cattolica: tuttavia, sentiamo il dovere – come tutti, del resto – di poter dire la nostra nelle materie che ci competono, e siamo coscienti del nostro essere, in realtà, piccolo gregge, e dei danni che il consumismo ha prodotto sull’indebolimento delle coscienze con materialismo e relativismo sempre più evidenti. Non è vero che non abbiamo mai messo in discussione ciò, anzi da qui lei dovrebbe trarre orgoglio per la nostra sconfitta in questo settore.
Mi fanno sorridere le citazioni di Consalvi e di Scalpellini, quando i progressi delle “nostre” scienze bibliche erano praticamente a zero… Le ricordo che c’è stato un Concilio, e che in materia scientifica non siamo esperti, ma lo siamo solo in materia di fede e di morale…
Sulle leggi razziali veramente è disinformato: anche un autore anticlericale come Cesare Rossi, ne “Il manganello e l’aspersorio” riconosce la contestazione di Papa Pio XI in materia…
In definitiva lei non pensa che la Chiesa (nelle sue gerarchie) sia stata sempre dalla parte dei padroni?” . Una sola cosa certa so: se qualche cardinale, o vescovo, è stato ossequiente, è pur vero che allora Leone XIII non avrebbe dovuto scrivere la Rerum Novarum, Giovanni XXIII la Pacem in Terris, Pio XI la Mit brenneder sorge, Paolo VI la Populorum Progressio, e Giovanni Paolo II… spesso avrebbe dovuto tacere….
Flores D’Arcais non penso abbia compreso molto il pensiero cristiano, il cui assunto può essere trovato nella prima lettera dell’apostolo Pietro : “rendere a tutti ragione della speranza cristiana”. Non c’è fideismo, non c’è fede senza ragione, ed entrambe non si escludono, ma per la nostra prospettiva, si completano a vicenda. Non esiste una ragione opposta alla fede, semplicemente esistono due campi di indagine, che sono propri e sono destinati ad incontrarsi. Inoltre, se per lei è un nonsenso parlare di statuto dell’embrione umano, non credo che una vita in sviluppo possa essere definita non essere.
La ringrazio per avermi offerto la possibilità, da uomo di Chiesa, di puntualizzare meglio il nostro pensiero. Poi, dopo il confronto, che comunque è sempre arricchente, ognuno può rimanere delle proprie opinioni.
Cordialmente.


Così rispondo io:

28 aprile 2005

Gentile Don Francesco Martino,

la ringrazio per la sua attenzione. Lei è davvero persona aperta al dialogo. Finché le cose avranno questo andamento, tutto si prospetta bene. Le faccio delle piccole osservazioni alla sua pregnante risposta, con la speranza che lei non s’adombri. Vado per successivi punti da lei trattati per maggiore semplicità e brevità.

 1) Scusi ma davvero non capisco due cose. Cos’è verità e chi l’ha rivelata a chi ? Se lei si riferisce a Dio che tramite lo Spirito Santo e Gesù, …. non ha alcun senso che lo dica ad un non credente. Lei capirà che queste sono racconti e neppure edificanti perché hanno l’alone del peccato.

2) Sull’amore, sulle coppie gay, sulla condanna del peccato e non del peccatore, su coppie di fatto, su aborto, fecondazione omologa ed eterologa come dirle che su ciò che lei dà per scontato vi è un mondo di differenze? Perché lei, senza colpo ferire, assegna il peccato ai gay ? A me sembra che nella visione assolutista (non relativista) della Chiesa, vi siano delle verità che avete creato al di là di quanto lo stesso Nuovo Testamento abbia mai sostenuto. L’idea dei gay che peccano è legato ad un a priori che non ha riscontri: la Chiesa nella sua gerarchia ritiene senza dubbio una malattia ed un disordine morale l’omosessualità. Per chiarezza e a beneficio di quanti non li conoscono, riporto di seguito i tre paragrafi (2357, 2358 e 2359) dedicati alla omosessualità dal Catechismo della Chiesa Cattolica promulgato da Giovanni Paolo II° nel 1992.

” 2357 L ‘omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, [Cf Gen 19,1-29; Rm 1,24-27; 1Cor 6,10; 1Tm 1,10 ] la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.

2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.”. 

Se si vuole poi vedere ogni articolazione del discorso, occorre andare a leggersi gli articoli nel sito. Si può inoltre vedere la posizione inquisitoria di Ratzinger contro i gay ed i suoi difensori cattolici in quanto da lui sostenuto a censura di Suor Jeannine Gramick e Padre Robert Nugent allo stesso indirizzo. Questa è la verità ? Scusi ma allora il relativismo è davvero una difesa eccellente. Di più. Neppure rispetto a 2000 anni fa ha senso la criminalizzazione del rapporto omosessuale. Che posizione ha la Chiesa sul puer ?

2bis) Premesso che Pepe Rodriguez è un moderato e che, se davvero vuole leggere la Storia della Chiesa , deve indirizzarsi alla Storia Criminale della Chiesa (10 voll.) di Karlheinz Deschner (Il Viandante, Milano, a partire dal 2000), resta il problema delle scritture dalle quali la Chiesa trae la sua storia. Lei sarà d’accordo che non è accettabile per uno storico che le fonti le fornisca chi deve essere raccontato. Uno storico non deve riferirsi solo a testi sacri ma a tutti quei testi e documenti che trattano la vicenda. Uno storico distingue tra fonti primarie e secondarie. Tra coincidenze, corrispondenze, storia interna ed esterna, tra documenti di ogni tipo. In tal senso i Vangeli apocrifi, ad esempio, ci raccontano di Maria che, altrimenti, troveremmo casualmente nei Vangeli canonici. Ci raccontano di quella  peste che era Gesù: ammazzava i bambini che lo deridevano; trasformava altri bambini in agnelli pronti per essere fatti arrosto, … Ma ci raccontano di uno splendido ed assolutamente diverso Gesù nel Vangelo di Tommaso … La Chiesa, con suoi criteri,  ha deciso che questo va bene e questo no. Ammetterà che uno storico non accetti criteri di selezione di questo tipo.

La sporcizia nella Chiesa corrisponde perfettamente alla sporcizia nella società ed io non condivido il fatto che un sacerdote omosessuale dovrebbe essere dimesso. A mio giudizio, data la castità nei casi di omo o di etero, l’omo ha esattamente lo stesso diritto dell’etero ad essere sacerdote. Oppure lei crede che l’omo è più perverso dell’etero? Crede cioè che l’etero sa essere casto mentre il malato omo no ?

3) E’ d’interesse quanto dice sulla punizione al cardinale Law, fatto solo arciprete di una delle più prestigiose cattedrali di Roma. Lei crede che Law sia solo ? Non crede che abbia molti sodali ? Tra gli austriaci ? i messicani legionari ? i baresi ? …Comunque, le ricordo, che Milingo è stato destinato a Zagarolo e, le assicuro, vicino Roma vi è certamente una Valmontone o una Collepardo (in Roma vi sono poi eccellenti prigioni). Più in generale, la pedoflilia è una vergogna immensa che richiede la CACCIATA dei criminali, cacciata che non è mai avvenuta. Pensi, gentile interlocutore, che le posizioni della Chiesa ingenerano completa confusione: il vostro insistere su una sorta di equiparazione tra omosessualità e pedofilia, permette non già l’assoluzione degli omosessuali ma quella dei pedofili. Quest’ultimo non è un peccato che si risolve con la confessione ma con la galera! Inoltre, al di là della condanna formale – pratica in uso nella Chiesa -, resta la risposta del cardinale  Castrillon che è un capolavoro di relativismo:

Con riguardo al problema degli abusi sessuali e casi di pedofilia, mi permetto di dare una sola ed unica risposta.
Nell’ambiente di pansessualismo e libertinaggio sessuale creatosi nel mondo, alcuni preti, anch’essi uomini di questa cultura, hanno commesso il gravissimo delitto dell’abuso sessuale.
Vorrei fare due rilievi:
1. Non c’è ancora un’accurata statistica comparativa con riguardo ad altre professioni, medici, psichiatri, psicologi, educatori, sportivi, giornalisti, politici o ad altre categorie comuni, inclusi genitori e parenti. Da quel che sappiamo, risulta da uno studio – tra gli altri – pubblicato nel Libro del Professor Philip Jenkins della ’Pensylvania State University’, che circa il 3% del clero americano avrebbe tendenze all’abuso dei minori e lo 0,3% del clero stesso sarebbe pedofilo.
2. Nel momento in cui la morale sessuale cristiana e l’etica sessuale civile hanno sofferto un notevole rilassamento mondiale, paradossalmente ma anche fortunatamente, si è sviluppato, in non pochi Paesi, un senso di rigetto ed una sensibilità congiunturale con riguardo alla pedofilia, con ripercussioni penali ed economiche per risarcimento di danni.

Lo ha meditato questo capolavoro fariseo ? Perché riconoscere un qualche primato a chi, quando serve, ritorna tra noi comuni mortali ? Ma, anche qui, lei potrà trovare ogni informazione in: http://www.ildialogo.org/Ratzinger/pedofiliachiese.htm# )

4) Amore come piacere ed egoismo individuale ? Spiacente ma l’uomo che soffre deve anche avere del piacere e quello dell’amore è uno di essi. E questo piacere non se l’è inventato l’uomo ma è insito nel rapporto sessuale. Se lei lo lega ad avere figli, fa dell’assolutismo illogico, analogo alle sciocchezze che la Chiesa sostenne contro Galileo riferendosi a Giosuè – fermati o Sole !. Quando si affermarono le cose che lei dice eravamo in un mondo con una mortalità infantile del 50% e con una vita media di 40 anni. Insistere su quello oggi potrebbe funzionare solo per i cattolici: voi avete strumenti potenti di costrizione, usateli contro chiunque ha rapporti senza avere figli. Lasci a me farlo, la prego. Ho tre figli, ho una pensione che è decurtata dai soldi che vanno alla Chiesa, non ho grandi disponibilità, ai miei sessanta anni perché vuole togliermi un rapporto con la mia adorata moglie ? O vuole che nasca un bambino che sarà orfano tra qualche anno ? Perché lei sa che le sue affermazioni sono proprio legate al fatto che si moriva giovani ed oggi, anche a settant’anni, vi è una importante potenza sessuale. Scusi, ma quando lei fa delle affermazioni, ha presenti tutte le ricadute ? Inoltre, rivolta l’intimazione minacciosa a popolazioni primitive che muoiono come mosche per il contagio AIDS, ha il solo sapore del genocidio programmato. Insegnate, come per fortuna fanno alcuni missionari che non hanno nulla che vedere con le gerarchie, l’uso del profilattico. Fatelo, per carità. E non sono solo a dirlo: l’intera comunità internazionale ancora a Durban, ha condannato la Chiesa per la sua posizione genocida). 

4bis) E stesso discorso vale per la pillola del giorno dopo anche se devo aggiungere una cosa: perché un frate francescano in una struttura pubblica (ONMI) ha fatto allontanare dall’ospedale mia moglie puerpera della mia primogenita perché non volevamo battezzarla ? La vita c’è solo a livello di  ovuli e spermatozoi o del signor embrione ? C’è solo se è all’interno della Chiesa cattolica ? Dal momento della nascita in poi, chissenefrega ? Con la schiavizzazioni delle puerpere da parte delle suore in quella strada parallela di Viale Regina Margherita a Roma … Sa che è giudizio comune nella Chiesa che anche la fanciulla che ha un figlio fuori del matrimonio è peccatrice ? Si rende cioè conto che la Chiesa è una entità riconosciuta come assistenziale là dove lo Stato ha delegato. Quest’ultimo paga fior di quattrini ad enti religiosi per assistenza di anziani, giovani e per gli orfani. E lei sa perché gli orfani italiani restano orfani per sempre ? Perché ogni orfano che va via da un orfanatrofio è una entrata in  meno … Spero che non si stupisca e si renda conto però del fatto che la vita non si difende così. Meglio avere dei genitori di coppie di fatto che un prete o una suora a vita. 

5) Sono convinto, con lei, che ogni religione debba poter essere professata in piena libertà. A lato di questo, sono altrettanto convinto che la legge per i credenti debba essere quella religiosa e non quella dello Stato. Lei ha certamente capito ma io lo spiego meglio: se uno vuole divorziare lo faccia per lo Stato e, se la Chiesa ritiene che non lo deve fare, cacci tale peccatore dalla comunità ecclesiale scomunicandolo, non costringa anche quella sola coppia che vuole divorziare a non farlo. Allo stesso modo per aborto, per fecondazione assistita, per pillole e per profilattici. Quindi perfetta libertà di culto ma perfetta estraneità tra le leggi della fede e quelle dello Stato.

6) Lei dice: Gesù sicuramente si è accostato a tutti e ha affrontato i problemi concreti delle coppie della sua epoca : ma ha anche tuonato contro il divorzio e lo scandalo, contro l’adulterio e tante altre cose. E’ sempre stato unito a tutti i bisognosi, con le prostitute, i pubblicani e i peccatori, ma ha richiesto conversione, cambiamento di vita, del cuore e degli occhi” . Ecco, con queste cose che qui dice, mostra che con chi ha una tale visione è impossibile il dialogo. Per questo avevo parlato di aut fides aut ratio. Gesù non ha mai tuonato contro il divorzio. In questo il Nuovo Testamento dà versioni contrastanti: in Marco e Luca viene assolutamente vietata la separazione; in Matteo viene approvata e viene approvata anche altrove in caso di adulterio della donna. Nello stesso discorso della Montagna Gesù fa un discorso assolutamente relativistico quando dice che chiunque rimanda la sua donna ne fa un’adultera … e chiunque sposa una ripudiata commette adulterio. Non le sembra che la ripudiata sia una reietta a vita ? Non le sembra che occorrerebbe un analogo discorso per le donne che volessero ripudiare un uomo con tutte le conseguenze ? Ma se lei è d’accordo con queste affermazioni mi dirà anche che ogni volta che digiuna si cosparge il capo di olio per apparire florido e riposato. Eppure questo lo dice Gesù nel discorso della Montagna. E se lei non si unge d’olio è in peccato di relativismo! E quando le chiedono qualcosa, perché giura ? Gesù ha detto che basta un si ed un no ! (ancora discorso della Montagna).

7) Sull’oscurantismo della Chiesa e di Ratzinger relativamente alle donne rimando agli articoli nel sito  ed aggiungo, con Rossanda, che “Per la chiesa i sessi sono sempre stati diversi, anche al di là del dato biologico, perché diversi Dio li ha creati assegnando una diversa funzione e definendo fra di essi una gerarchia. Che Ratzinger rimanda alla «antropologia biblica», riassumendo l’inizio del Genesi: Dio che ha creato per primo Adamo, poi lo ha visto triste e solo (lasciamo correre su quel prima e poi), allora ha tratto dalle sue carni e dalle sue ossa quella che sarebbe stata la sua compagna, stabilendo così – glossa il cardinale ad uso delle mie amiche femministe – che l’umanità ha «ontologicamente» bisogno della relazione“. E lei mi insegna che Dio, un poco distratto e ignorante di ciò che faceva, in una delle due creazioni, prima presentò ad Adamo degli animali e solo dopo, quando si accorse che il poveretto era ancora triste, gli fece …  la donna. In questo Paolo aveva capito tutto, assegnava alla donna il massimo a lei compatibile: il piacere per l’uomo e la prolificazione.

8) Relativamente a Paolo che ha stravolto il messaggio di Gesù  si potrebbero aprire molti tomi soprattutto perché lei sa bene come sono andate le cose mentre a noi offre la vulgata. In breve. Non è vero che Pepe Rodriguez sia il teorico della Chiesa che è Paolina. Tra la mole immensa di teologi, anche cattolici, tra cui Kung e Ricciotti cito solo due pensatori: Nietzsche – Morgenrote 1, 68 – che definisce Paolo l’inventore della Cristianità, colui che la fa emergere da un cumulo di sette ebraiche e G. B. Shaw. Ma poi lei sa che vi fu lotta tra Paolo e gli apostoli e che vinse Paolo ? Lo dicono i teologi cattolici Ehrard, Koestner, Lietzmann, … , lo hanno detto Kant, Lessing, Fichte, Shelling, … io non c’entro come non c’entra il cronista Rodriguez. Per informazioni molto maggiori si veda: K. Deschner,  Il Gallo cantò ancora. Storia critica della Chiesa, Massari, Bolsena 2000; pagg.133-180). Riguardo ai primi Concili, non scherzi. Vi era una tal confusione di tutti contro tutti che, davvero si crearono più eresie che numero di credenti. La trinità, ad esempio, fu imposta da Costantino medesimo che non poteva scontentare le religioni di provenienza egizia. Ma anche la mamma di Costantino, Elena, quella baldracca trovata in un postribolo dei Balcani, impose dogmi credenze e procurò infinite reliquie. In compenso fu fatta santa. Per favore lei racconti queste cose ai credenti che, per definizione, credono. In ogni luogo dove è arrivata qualche cronaca di storia, il Cristianesimo primitivo deve fare marcia indietro. Per altri versi il culto di Maria che nei Vangeli non esiste è paolino nel senso che da Paolo parte l’esaltazione della donna perfetta che non esiste. Riguardo all’antifemminismo della Chiesa, fermo il fatto che Gesù non ha mai discriminato una donna, in Paolo troviamo varie gravissime affermazioni. Alla donna viene vietato di parlare in pubblico e se vuole chiedere qualcosa lo può solo fare in casa (1 Cor. 11, 3 segg.; 14, 33 segg.); è egli che impone il velo alla donna durante i servizi religiosi ed il velo significa il pentirsi della donna per il peccato introdotto nel mondo; per Paolo l’uomo è immagine e gloria di Dio mentre la domma è gloria dell’uomo; l’uomo non deriva dalla donna ma la donna dall’uomo; la donna è stata creata PER l’uomo (1 Cor. 11, 3 segg.). Inoltre, per Paolo, il matrimonio è solo sesso. L’amore non può esistere.

9) Su come nasce la gerarchia a presunta imitazione delle vicende di Gesù, sulla cacciata dei mercanti dal tempio eccetera, osservo che sono degnissime questioni di fede, ma cosa c’entrano, ad esempio, con il rogo di Giordano Bruno ? Più in dettaglio: lei sa che è questione dibattuta quella dell’esistenza di Gesù. Una critica storica serrata non è riuscita a mostrarne l’esistenza certa. Nessuno storico dell’epoca ne ha mai parlato ed i racconti evangelici sono contraddittori. I suoi miracoli clamorosi non hanno richiamato particolarmente nessuno perché erano comuni a moltissimi maghi (magi) del tempo. Vi sono teorie piuttosto fondate che parlano dell’intersezione di due storie, di due Gesù: del guerrigliero Esseno che voleva cacciare gli invasori romani e quella del tranquillo erede dei sacerdoti del tempio – bar abbas = figlio di Dio – che spiega ragionevolmente perché gli ebrei avessero salvato la vita a bar abbas (Barabba) rispetto a Gesù l’esseno che rischiava di far distruggere il tempio. Sarebbe anche d’interesse capire come mai si inviano 600 armati romani ad arrestare il pio Gesù nell’Orto degli Ulivi. E come mai il pio Simone (fratello di Gesù?) abbia una spada con la quale taglia un orecchio ad uno dei militari. Come mai si esalta Gesù la domenica delle palme e solo cinque giorni dopo viene duramente abbandonato ? (In proposito si può leggere: David Donnini – Cristo – Massari, Bolsena 1994). Il Gesù, vero o falso, è sempre stato da me ritenuto un importantissimo filosofo. Non è banale avere una persona che si schiera con i diseredati del mondo, come non fa la Chiesa delle gerarchie da sempre! Lei si arrocca su affermazioni di fede ma non dice una parola, per restare vicini a noi, su Giovanni Paolo II e Pinochet, su Pio Laghi e Videla, su Pio XII ed Hitler, su Pio XI e Franco, su Pio XII e Franco su Montini e l’espatrio dei criminali nazisti, sulla santificazione del boia Stepinac, su quella dell’imbroglione da Pietralcina (non lo dico io ma i vari ispettori della Chiesa in molti anni). Ma se si torna indietro nella Storia i Papi sono sempre con le monarchie. Hanno sempre difeso il loro potere temporale, hanno ammazzato allegramente in piazza fino al 1870 …

10) Sul fatto che  mi sia sfuggito qualcosa sul peccato e sul pentimento le riporto un brano del Discorso della Montagna: “Chi, dunque, violerà uno solo di questi comandamenti, anche i minimi, ed insegnerà agli uomini a far lo stesso, sarà considerato minimo nel regno dei cieli; chi, invece, li avrà praticati e insegnati, sarà considerato grande nel regno dei cieli” – Mt 5, 19 – Come vede non mi è sfuggito ma si renderà conto che Gesù situa tutti, in diversi gradi, nel regno dei cieli. Niente inferno e peccati da scontare, mi spiace ma Gesù era più tollerante di lei.

11) Dal falso della falsa donazione ai falsi continui della Chiesa si potrebbero scrivere dei volumi. Il dogma della Trinità, lei sa che fu imposto da Costantino a Nicea. E sa pure che il consustanziale (nessuna gerarchia tra Padre e Figlio) è di Costantino. Come Atanasio fece tacere Ario, lo ricorda ? La questione di Giuliano l’apostata …

12) Sulle vicende dei divorzi della Chiesa attraverso la Sacra Rota prendo atto della sua posizione moderata e sulla vicenda in sé e sul suo non esprimersi. Ma, per chi ci legge, almeno una sentenza del ratus sed non consumatus debbo raccontarla. La Sacra Rota funziona ancora e non vi è stata la rapidità utilizzata con Boff per metterla a tacere. Un tal democristiano della corrente fanfaniana, Mauro Bubbico, dovette essere annullato (parlo di questo caso ma posseggo una casistica immensa). La cosa fu organizzata così. Il matrimonio era stato realizzato ma non consumato. ma come, se aveva più di un figlio ? Qualcuno avrebbe potuto obiettare spiacevolmente con il prosaico CORNUTO! Allora viene fuori tutto l’ingegno dei rotali e l’ipocrisia della Chiesa. Per essere potenti occorre avere il potere di penetrazione. SI MA QUANTA PENETRATIO? Ecco, non proseguo perché altrimenti andiamo sul porno perché si disquisisce per mesi su quel quanto, ma credo si sia capito.

13) Sulla Pena di morte prevista dal nuovo catechismo del 1992, lei mi fornisce la versione completa e la ringrazio. Io tagliavo per problemi di lunghezza e limitavo addirittura la polemica che ora, volentieri, proseguo. Ma inizio dalla fine.  La posizione della Chiesa sulla guerra è definibile utilitaristica. Anche qui il relativismo la fa peccare gravemente. La posizione sull’Iraq non ha un valore assoluto ma è minata da quella sulla Yugoslavia. In quest’ultimo caso si accettò, anzi si invocò, la guerra umanitaria. Qui vi era l’imperialismo di Giovanni Paolo II che comandava: riprendere nel seno di Roma le cattoliche Croazia e Slovenia (già riconosciute come stati indipendenti per distruggere l’unità nazionale yugoslava). Riguardo alla pena di morte, quello che lei aggiunge e che io non ho riportato, peggiora, se possibile, il tutto. Se si afferma che la pena deve redimere, mi spiega con la pena di morte chi e come si redime ? Non citi poi San Tommaso come tirannicida. Un adoratore del tiranno ed uno scansafatiche come lui non ha pari nella storia. Lo sa che è il primo che, dopo il grande San Benedetto, riteorizza che il prete non deve lavorare ? Ma poi, quando Tommaso si stupisce nel non vedere le sfere cristalline celesti bucate dal corpo di Gesù asceso al cielo, lei pensa che fosse più cristiano o aristotelico ? Comunque, visto che Giovanni Paolo II ha affermato nell’estate del 2002 che il Paradiso e l’Inferno sono luoghi dello Spirito e non entità materiali, mi aiuta a capire dove sono i corpi di Gesù e di Maria ? Sulla pena di morte in qualsiasi parte del mondo la mia repulsione è totale! La si tolga anche dal catechismo e dalla legislazione vaticana.

14) Sul finanziamento pubblico della Chiesa sono informatissimo e particolarmente sullo scandalo dell’ 8 x 1000…. e posso aggiungere che anche lei potrebbe farsi promotore almeno di un piccolo cambiamento: la quota in denaro dei cittadini che non firma sotto la dichiarazione dei redditi vada per la lotta contro il cancro e contro ogni altra malattia tipo sclerosi multipla e non sia ripartita proporzionalmente tra le varie confessioni religiose. Inoltre, se a lei non arrivano soldi dall’ 8×1000, protesti vivacemente con il Vaticano e con l’Istituto per il Sostentamento del clero della CEI (è in Via Aurelia, insieme alle TV vaticane …), prendono intorno ai 6 mila miliardi di vecchie lire l’anno solo per l’8 x1000!

15) Sulla fecondazione assistita e la vergogna della Legge 40. Naturalmente i risultati delle ricerche che cita sono quelli che vi fanno comodo. Anche qui però voi dovete essere precisi e netti nei vostri insegnamenti: chi appartiene alla Chiesa di Cristo NON DEVE affidarsi alla fecondazione assistita e NON si deve curare con i prodotti delle ricerche sulle cellule staminali. Chi sgarra lo scomunichiamo. Non intervenite su me o sui miei cari perché, lo avevo anticipato, si rischia la reazione violenta! E questo è uno dei casi che si somma a tantissimi altri già citati: Chiesa maestra con i suoi, consigliera con tutti ma la legge dello Stato è altra cosa. Le citazioni di strani casi che accadono all’estero non sono all’interno di statistiche note agli enti di ricerca. E’ invece certo che persone che soffrono disperatamente, e ne conosco per Giove, sono abbandonate da chi teoricamente dovrebbe essere loro vicino. Una parabola orrenda per la Chiesa di Gesù ma in pieno accordo con la Chiesa chiusa ed ottusa sempre più distante dalla realtà che viviamo. Ci spieghi, anche qui, dove avete estrapolato da Gesù.  Tra l’altro è di oggi la presa di posizione contraria a tale legge di oltre cento scienziati e premi Nobel che sono il fior fiore della ricerca in Italia.

16) Ancora sugli omosessuali. Lei dice: “Essi vanno rispettati, compresi, capiti ma non si può dire che quello che fanno ha fondamento umanamente valido e giustificarlo. Ciò che è vero umanamente è che esiste il sesso femminile ed il sesso maschile, e che dall’incontro di maschile e femminile nella loro reciprocità nasce il dono della vita e la convivenza umana definita con il nome di matrimonio. Per noi, questo è un ordine naturale chiaro“. Io dico: fate ciò che credete ed imponete ogni dogma a chi crede in voi. Un omosessuale è una persona e lei, probabilmente, fa Dio più piccolo di quello che è. Chi le ha detto che Dio ha creato maschi e femmine ? Si è accorto del genere neutro che saggiamente i romani tenevano in gran conto ? Insomma gli omosessuali non sono figli di Dio ma di Satana ? La prego, non scherziamo. Riguardo all’identificazione del pargolo con i genitori adottivi, se lei avesse ragione, dovrebbe essere vietato drasticamente a lui la frequentazione di luoghi equivoci quali gli oratori, gestiti da persone che, maschi o femmine che siano, rinunciano – o dovrebbero rinunciare alla loro natura di esseri che dovrebbero procreare.

17) Lei dice: “Sono profondamente convinto che chi ci segue è un’esigua minoranza, tuttavia, per dirla con una battuta, noi non dobbiamo avere il favore dei sondaggi, ma sostenere quella che – secondo noi – è la verità, anche se ciò dovesse ridursi al rango di una pura e semplice testimonianza. D’altronde, quando dopo il 325 d. c. quasi tutti i vescovi erano ariani la dottrina della Chiesa non ha mai seguito la moda di Ario…“.  Io rispondo: Infatti ha cominciato da Ario ogni tipo di persecuzione contro gli eretici.

18) Sul caso Galileo, la prego, non dica banalità. Non è da lei ! Sul caso Galileo ho già detto che si è trattato di un solo annuncio. Galileo è stato ricondannato con dileggio dalla Chiesa, per mano di Poupard e Garrone (e vari sciocchini incompetenti). 19) Sull’evoluzionismo e sulla libertà di professare la propria fede. Rispondo subito all’ultima questione: dite sempre ciò che volete. Se qualcuno un giorno ve lo impedisse mi dichiaro disponibile a difendervi dovunque siate. Sull’evoluzionismo e creazionismo negli USA vi è una guerra da molto tempo e personaggi come Bush sostengono il creazionismo con la conseguenza che finanziano le scuole dove si insegna questa sciocchezza.

Le scuole confessionali in Italia hanno ancora un infimo livello rispetto alle scuole di Stato. Solo i figli di papà vi ricorrono per salvaguardare i loro pargoli dalla contaminazione. Insegnate pure ciò che volete ma perché, in un ambito di liberismo, non vi finanziate le vostre scuole ? e perché non pagate voi i professori di religione, visto che li nomina il vescovo ?.

20) Sulla Cattedra di Fisica Sacra lei dice: “Mi fanno sorridere le citazioni di Consalvi e di Scalpellini, quando i progressi delle “nostre” scienze bibliche erano praticamente a zero… Le ricordo che c’è stato un Concilio, e che in materia scientifica non siamo esperti, ma lo siamo solo in materia di fede e di morale… “.  Sono felice che quelle sciocchezze la facciano ridere, il problema è che quella era la scuola universitaria dello Stato Pontificio fino alla liberazione del 1870. Prendo atto che non siete esperti in materie scientifiche, quindi perché insistete sempre ad intervenire in campi che non vi competono ?.

21) Lei mi dice: “Sulle leggi razziali veramente è disinformato : anche un autore anticlericale come Cesare Rossi, ne “Il manganello e l’aspersorio” riconosce la contestazione di Papa Pio XI in materia…“. Io le dico:  Se rilegge bene quanto ho scritto, il riferimento al razzismo non era rivolto alla Chiesa, anche se, poiché ne parla … Ha letto la Civiltà Cattolica ? I suoi articoli dell’epoca sono raccolti nel bel libro  R. Taradel, B. Raggi – La segregazione amichevole – Editori Riuniti, 2000. Non serve poi che le ricordi che la pratica della distinzione con una fascia al braccio è della Chiesa (inizia in Spagna con los reyes catolicos nel 1492) e che i ghetti che si aprivano al mattino e si chiudevano la sera sono ancora della Chiesa (a Roma, in alcune vie di accesso al ghetto, ancora sono visibili i cardini dei cancelli che si aprivano e chiudevano).

22) Lei, per contraddire la continua vicinanza della Chiesa con i padroni, dice: “Se qualche cardinale, o vescovo, è stato ossequiente, è pur vero che allora Leone XIII non avrebbe dovuto scrivere la Rerum Novarum , Giovanni XXIII la Pacem in Terris, Pio XI la Mit brenneder sorge, Paolo VI la Populorum Progressio , e Giovanni Paolo II… spesso avrebbe dovuto tacere…”. Ed io debbo osservare che  lei qui fugge a gambe levate  e mi dispiace. Scrivere delle encicliche è una cosa, operare è ben altra. Siete stati gagliardamente contro il comunismo non perché opprimeva ma perché vi emarginava. Stessa cosa infatti non è avvenuta con tutte le altre dittature del mondo nelle quale siete ben vissuti e foraggiati. Non serve che gliele citi una ad una a partire dai genocidi dell’America centro meridionale al servizio di Sua Maestà Isabela la Cattolica.

23) Lei dice:  “Flores D’Arcais non penso abbia compreso molto il pensiero cristiano, il cui assunto può essere trovato nella prima lettera dell’apostolo Pietro : “rendere a tutti ragione della speranza cristiana”. Non c’è fideismo, non c’è fede senza ragione, ed entrambe non si escludono, ma per la nostra prospettiva, si completano a vicenda. Non esiste una ragione opposta alla fede, semplicemente esistono due campi di indagine, che sono propri e sono destinati ad incontrarsi. Inoltre, se per lei è un nonsenso parlare di statuto dell’embrione umano, non credo che una vita in sviluppo possa essere definita non essere“. Io le osservo che si parla di cose non definite ed in discussione. Il fatto che vi sia l’arroccamento nell’assoluto e nella Verità, impedisce ogni dialogo. Per voi la scienza è tutto ciò che vi è utile, il resto è in discussione fino a che non vi è utile. La questione del relativismo è davvero limitante per la vostra azione ed il suo amico Ratzinger apre una fase preannunciata di scontro. Il grave problema è il monoteismo che, per sua definizione, tende ad essere assoluto ma da solo. Come si può essere monoteisti insieme ad altri monoteisti ? In epoca di politeismo i confini di tale politeismo erano labili e la tolleranza era molto maggiore. Molti pensatori, ancora a partire dal 3° e 4° secolo, affermavano che la meta si può raggiungere partendo da luoghi diversi. Più recentemente (1964), io che ho frequentato un monastero benedettino da ateo noto al priore – Don Carlo – ho avuto un messaggio di apertura anche se relativista da un credente laico – il pittore USA William (Bill) Congdon – che frequentava con me quel monastero di tolleranza superiore. Diceva Bill: Caro Roberto, Dio è tanto grande che non sapremo mai chi è più vicino a lui. Se chi lo combatte come tu fai o se chi lo adora come faccio io. Da allora, dalla Chiesa, mai mi è arrivato un tale messaggio. Anzi .. con la guerra al relativismo anche io dovrò mettere l’elmetto.

24) Lei conclude: “La ringrazio per avermi offerto la possibilità, da uomo di Chiesa, di puntualizzare meglio il nostro pensiero. Poi, dopo il confronto, che comunque è sempre arricchente, ognuno può rimanere delle proprie opinioni“. Io le rispondo: Anche io la ringrazio anche se è faticosissimo discutere di fede. Per me è metafisica ed io sono un fisico. Per il resto sono assolutamente d’accordo. Si espongano le opinioni ed ogni coscienza decida per sé. Io aggiungerei che si deve vincere la pigrizia e si deve studiare, è l’unico modo per capire davvero.

Altrettanto   cordialmente

Roberto Renzetti


BIBLIOGRAFIA

(1) Karlheinz Deschener – Storia criminale del Cristianesimo – Ariele 2000-2010

(2) Claudio Rendina – I Papi, storia e segreti – Newton Compton 1999

(3) Benny Lai – Affari del Papa – Laterza 1999

(4) Karlheinz Deschner – La política de los Papas en el siglo XX – Yalde, Zaragoza 2000

(5) Enrico Galavotti – Chiesa e Rivoluzione Francese

(6) A. Prosperi, P. Viola – Dalla Rivoluzione Inglese alla Rivoluzione Francese – Einaudi 2000

(7) Emilio Bonomelli – I Papi in campagna – Gherardo Casini 1987

(8) Giordano Bruno Guerri – Gli italiani sotto la Chiesa – Mondadori 1992

(9) Guenter Lewy – I nazisti e la Chiesa – Il Saggiatore 1965

(10) Giovanni Miccoli – I dilemmi ed i silenzi di Pio XII – RCS 2000

(11) David I. Kertzer – I papi contro gli ebrei – Rizzoli 2002

(12) M. Aarons, J. Loftus – Ratlines – Newton Compton 1993

(13) John Cornwell – El Papa de Hitler – Planeta Barcelona 2000

(14) Giuseppe Ardagna (a cura di) – Lo strano caso della morte di Albino Luciani

(15) David A. Yallop – In God’s name – Pironti 1992

(16) Paolo Flores d’Arcais – Aut Fides aut Ratio – MicroMega 5/98, pagg. 187/214




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1 replies

  1. Il tuo avversario più forte è la tua testa:
    Dai cannoni volano nuclei di pensiero.

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