Nasce a Sassari il 26/7/1928.
Si laurea in legge nel 1948.
Viene riformato alla visita militare, ciononostante nel 1961, in base a un articolo di legge del 1932, riesce a convincere l’allora presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, a nominarlo capitano di corvetta, poi riesce a convincere il presidente Leone a farsi promuovere capitano di fregata. Ma il Parlamento dopo che nel 1980, Cossiga si vanta del suo grado su un incrociatore, interrompe la sua carriera militare.
Egli stesso afferma che: “Alla vigilia delle elezioni del 1948 ero armato fino ai denti. Mi armò Antonio Segni. Non ero solo, eravamo un gruppo di democristiani riforniti di bombe a mano dai carabinieri. La notte del 18 Aprile la passai nella sede del comitato provinciale della DC di Sassari …Prefettura, poste, telefoni, acquedotto, gas non dovevano cadere, in caso di golpe rosso, nelle mani dei comunisti.
Nel 1956 è segretario della DC di Sassari. L’anno successivo è anche consigliere di amministrazione del Banco di Sardegna, a soli 29 anni, è iniziata la scalata al potere.
Tenta due volte di diventare professore ordinario all’università ma fallisce miseramente gli esami, il consiglio di facoltà voterà quindi la revoca dell’incarico, visto che non si fa mai vedere in ateneo, ma per non fargli perdere la qualifica di professore associato i suoi padrini inventeranno per lui una cattedra su misura, quella di diritto costituzionale regionale.
Nel maggio ’58 diventa deputato grazie alla sponsorizzazione di Antonio Segni, che gli affiderà un incarico non ufficiale e delicato, cioè fare da tramite fra la presidenza della Repubblica e il generale Giovanni De Lorenzo, a quel tempo capo del SIFAR.
Quando poi si tratterà di deporre davanti alla commissione d’inchiesta sul tentativo di colpo di stato del luglio ’64, Cossiga garantirà sulla “affidabilità democratica” del gruppo di ufficiali sotto inchiesta.
Nel 1966 diventa sottosegretario alla difesa, dove ha l’opportunità di apporre gli “omissis” alla relazione della commissione parlamentare sul piano “Solo” e di partecipare, come lui stesso dichiarerà “alla formazione di atti amministrativi concernenti Gladio”.
Nel 1974 diventa ministro della riforma burocratica, dove si occuperà quasi esclusivamente della riforma della polizia e dei servizi segreti.
Nel Febbraio 1976 è ministro dell’interno. Durante il suo mandato Giorgiana Masi viene uccisa durante un corteo da agenti in borghese dipendenti direttamente dal ministero dell’interno e non dalla questura.
Nello stesso periodo il SISMI e il SISDE prendono il posto del SID, ormai impresentabile, alla direzione dei due nuovi servizi segreti vengono posti i generali Santovito e Grassini, entrambi iscritti alla loggia P2.
Nel 1977 si sottopone a cure psichiatriche, dal prof. Franco Ferracuti, iscritto alla P2 e collaboratore dei servizi segreti americani.
Nel marzo 1978, quando viene rapito Moro dalle BR, è ancora al ministero dell’interno.
Egli crea ben due “comitati di crisi”, uno ufficiale e uno ristretto, tutti i componenti di entrambi i comitati erano iscritti alla P2, ne faceva parte lo stesso Licio Gelli sotto il falso nome di Ing. Luciani, tra i membri c’è anche lo psichiatra di Cossiga, Franco Ferracuti, con il quale elaborerà i cosiddetti piani “Mike” e “Victor” che prevedevano nel caso in cui Moro fosse stato liberato, di rinchiuderlo immediatamente in una casa di cura psichiatrica e nel caso in cui fosse stato ucciso, l’avvio di un’operazione a vasto raggio, con poteri eccezionali per forze dell’ordine e magistratura, che portasse all’arresto di tutti coloro in odore di estremismo di sinistra, proposta che poi non fu recepita dalla magistratura. Durante il sequestro inoltre il ministro ottenne l’unica copia delle versioni integrali delle intercettazioni telefoniche effettuate, che poi non volle consegnare alle commissioni parlamentari d’inchiesta, così come non consegnò i verbali dei comitati di crisi.
Dal 4/8/1979 al 27/9/1980 è presidente del consiglio. Soprattutto in questo periodo Cossiga intrattiene fitti rapporti con Licio Gelli, ma quando vengono sequestrati, in Uruguay, i fascicoli redatti dal capo della P2, su varie personalità politiche, il SISMI, con l'”operazione minareto”, fa sparire il fascicolo n. 208 intestato a Francesco Cossiga.
Nel Giugno 1985 diventa presidente della Repubblica. Poco dopo rivendica il comando delle forze armate in tempo di guerra. Poi rivendicherà di essere stato uno dei creatori di Gladio. Nell’Aprile del ’92 è finito il suo mandato presidenziale.
Democrazia e Legalità
Gelli è niente, Cossiga è un genio
di Marco Ottanelli
Ha suscitato molte fervide reazioni l’intervista di Licio Gelli a Repubblica. Fervide e giustificate. Sentir dire che il progetto della P2 (associazione peraltro ufficialmente assolta da ogni accusa, dobbiamo ricordarlo!) si sta realizzando, fa una notevole impressione. Anzi, forse, da democratici, le reazioni che ci saremmo attesi sarebbero state ancora di più. Come avrebbero potuto essere molto più potenti le reazioni il 16 aprile del 1997, quando, riferendosi alla Commissione Bicamerale per le Riforme presieduta da Massimo D’Alema, Licio Gelli commenta così le iniziative su magistratura e Giustizia: “Il mio piano di rinascita democratica? Vedo che, 20 anni dopo, questa bicamerale lo sta copiano pezzo per pezzo con la bozza Boato. Mi dovrebbero dare il copyright. Meglio tardi che mai.” Mentre Cesarone Previti esulta: “Quello che sostenevo nel ’94 si sta realizzando oggi in Bicamerale e in parlamento: dalla riforma del Csm alla revisione del 513”, è ai soliti incomodi che si lascial’onere della indignazione: il 17 maggio 1997, durante un convegno a Palermo, il magistrato Roberto Scarpinato, PM al processo Andreotti, sostiene che “ha ragione Gelli a pretendere i ringraziamenti del governo, che sta attuando il suo piano di rinascita democratica” (Scarpinato è stato recentemente allontanato dalla Procura di Palermo, ndr), mentre Agostino Cordova dichiara: “La riforma della giustizia in Bicamerale? E’ il trionfo di Licio Gelli e della P2” (Cordova è stato recentemente allontanato dalla Procura di Napoli, ndr). Da parte dei vertici del Centrosinistra, ci fu un sostanziale, forse imbarazzato, silenzio.
Nel 1997 era all’opposizione del Governo Prodi anche il gruppo parlamentare, o meglio, il gruppo di amici, di Francesco Cossiga, Presidente Emerito della Repubblica, che, nell’ottobre 1998, entrò a far parte della nuova maggioranza di Massimo D’Alema
L’unico che, oggi, 30 settembre 2003, abbia reagito con puntigliosa e lungimirante strategia alla intervista di Concita de Gregorio al venerabile è proprio lui. E lo fa con una lettera, una semplice lettera, pubblicata nella rubrica apposita, inviata al quotidiano La Repubblica. Se le affermazioni di Gelli appaiono ridondanti e scontate (aveva già detto tutto, appunto, nel 1997!), è interessante destrutturalizzare il testo di Cossiga per coglierne la portata, per apprezzarne la potenza, per individuarne la straordinaria capacità di mandare messaggi a vasto, vastissimo raggio.
1) Dopo i convenevoli, il Presidente lancia un paragone che è sostanzialmente un proclama: scrive che Licio Gelli fu “duramente perseguitato da una parte della magistratura e della polizia, così come poi lo furono Andreotti (condannato in appello per l’omicidio di Pecorelli e indicato come referente delle Mafia, ndr), Craxi (condannato in cassazione per svariati reati di corruzione, ndr) e Berlusconi (le cui vicende sappiamo, ndr)” Sostanzialmente, la frase imputa le vicende dei maggiori casi giudiziari degli ultimi 15 anni ad un complotto, una congiura, ordita, come sempre, da una parte della magistratura. Quindi Cossiga difende, ma contemporaneamente lega indissolubilmente fra loro Gelli, Andreotti, Craxi e Berlusconi.
2) Prosegue asserendo che “l’affaire P2 fu il primo caso di disinformatja condotto con successo”, essendo il secondo caso quello Moro. E, se del caso Moro, dice Cossiga, sappiamo “perfettamente quale sia stata l’origine dell’inquinamento anti-americano: il KGB”(inquinamento dal quale sarebbero stati contagiati anche i democristiani), ancora rimane oscuro chi abbia calunniato la P2. Non certo la sinistra, visto che, ci rivela Cossiga, essa ebbe ottimi rapporti con la P2 stessa per anni. E, con aplomb, rivela particolari sconvolgenti, facendo credere di conoscerli, o conoscendoli, nei più piccoli dettagli: “basti pensare al generoso, per ammontare e condizioni, finanziamento a Paese Sera da parte del Banco Ambrosiano, prima che questo giornale comunista ottenesse, all’insaputa del PCI, sostanziosi finanziamenti dal Pcus”. Geniale. Cossiga è geniale. Non solo ammette che P2 e Ambrosiano erano in relazione, erano, anzi, la stessa cosa, ma compromette in un colpo solo la dirigenza dell’allora Partito Comunista Italiano con finanziamenti occulti massonici e con illecite dazioni dall’estero. Si preoccupa pure di ironizzare sul grado di controllo del Pci sui suoi stessi giornali fiancheggiatori.
3) Tutti dentro, sembra dire il Presidente, erano tutti dentro: il presunto “contropotere” era la vittima dell’oscuro potere. La P2, ci spiega, era una organizzazione complessa. Di essa facevano parte un socialista della Resistenza, “voluto fermamente da Aldo Moro”,” un Capo di Stato Maggiore imposto da Pertini in opposizione al candidato del governo Cossiga”, uno “stretto amico di Ugo Pecchioli”, generale dei Carabinieri, e, lo descrive senza mai nominarlo, il Generale Dalla Chiesa. Quindi, a legger bene, tutti succubi alla P2, tranne lui, Cossiga, l’unico che tentò, per spirito di indipendenza e dello Stato, di non accettare una nomina impostagli dal grande sodalizio. PSI, PCI, una parte della DC, Società Civile, nostalgici della resistenza… tutti compromessi, tutti dentro. Tutti complici. Tranne lui.
4) L’ironia finale del colto Presidente investe la immediata attualità: nell’ultimo passaggio, sfida il giornalista D’Avanzo (proprio colui che nel 2001 condusse una durissima inchiesta sul malaffare nella trattativa Telekom Serbia) a fare luce, con le sue capacità investigative, su chi ha disinformato e sparlato sulla P2. In un augurio che odora di avvertimento, spera poi che Repubblica non sia costretta a fare un’altra “inversione a centottanta gradi” accusandola, fra le righe, di aver prima accusato il centrosinistra ed ora, invece, dichiararlo vittima di una macchinazione.
5) Nell’ultimo passaggio, e forse questo vale più di tutto il resto, si congratula con La Repubblica per “aver infranto il tabù Gelli”. Geniale. Adesso, ammonisce Cossiga, possiamo dire -tutti- la verità
Venerdì 7 novembre 2003. Il Caffè – anno I, numero 5.
FRANCESCO COSSIGA E LA P2
Intervista di Concita de Gregorio tratta da La Repubblica del 10 ottobre 2003.
Il senatore a vita Francesco Cossiga, in un’intervista a Repubblica, parla della massoneria, vecchia e nuova, dei suoi esponenti, di Licio Gelli, di Dalla Chiesa, di Berlusconi e Martino. Parla del sequestro Moro, del suo incontro con i brigatisti, dei rapporti con l’Argentina e i servizi segreti.
Dice che la massoneria ha “ripreso respiro” in Italia. “Non nei quadri altissimi, piuttosto ai livelli intermedi dello Stato”. Dice che la fase della grande epurazione che seguì lo scandalo della P2 è finita da tempo.
“Persino Licio Gelli, mi risulta, è stato riammesso mesi fa alla massoneria”. E’ vero: Gelli è stato riammesso a una delle logge, ed ha così ripreso anche ufficialmente la sua attività. Un rifiorire, insomma. Una nuova “cattedrale invisibile” che i liberi muratori riedificano sulle macerie della vecchia. Nella biblioteca dell’appartamento privato di Francesco Cossiga una parete intera è dedicata a testi esoterici: la sezione “massoneria” viene dopo quella “templari”. Ne conosce i capitoli e ne cita brani a memoria. Ha sempre avuto una passione per i misteri, in parecchi casi anche un ruolo. Per le intelligence “che -sillaba- non fabbricano segreti ma forniscono gli strumenti per conoscerli e difenderli”. Per le reti invisibili, per i dossier e per le spie. “A me piacciono le spie come ad altri piacciono i fiori”, si legge nel suo ultimo libro “Per carità di patria”. Qui parla dei suoi rapporti coi massoni, con Licio Gelli (“l’ho incontrato quattro volte, la prima a palazzo Chigi”), coi piduisti di allora e di oggi. Parla di Moro, perché è a proposito di Moro che Gelli lo ha chiamato in causa nella sua conversazione con Repubblica. Di Berlusconi e di alcuni suoi ministri e collaboratori. Infine della sua presunta pazzia, “una leggenda nata proprio da un dossier che il Sid confezionò su di me su commissione”. Nel corso di questo incontro squilla tre volte il telefono. Tre persone diverse, ogni volta l’ex presidente risponde: “Buonasera, generale”.
Senatore Cossiga, lei è massone?
“Au contraire, madame. Una volta me lo chiese anche un pm, voleva impugnare la mia deposizione perché riteneva che ci fosse comunanza di interessi fra me e l’imputato massone. Io non posso essere massone perché sono cattolico e credo fermamente che le due condizioni siano incompatibili”.
Non è mai stato tentato, nessuno glielo ha mai proposto?
“Mai. Tutti sanno che sono un fedele suddito di Santa Romana Chiesa”.
Tra i non massoni, è tuttavia uno dei massimi esperti del ramo.
“Massimo non so. Ho tre buoni motivi per occuparmi di massoneria. Il primo è familiare: la mia famiglia materna, borghesia commerciale sassarese, ha antiche tradizioni massoniche. Mio nonno Antonio Zanfarini, medico e politico repubblicano, è stato Venerabile della loggia di Sassari. D’estate quando ero ragazzo dormivo in casa sua, una volta scoprii in una libreria chiusa tutta la collezione della rivista della massoneria italiana, quella con la copertina azzurra. Purtroppo poi mia zia la distrusse”.
Seconda e terza ragione.
“Seconda: la curiosità. Terza: la cocciutaggine. Io sono un liberal, molto rispettoso delle idee altrui. La massoneria è stato oggetto di grandi pregiudizi. Intendiamoci: ci sono anche associazioni sportive di ladroni, come ci sono logge pulite e logge sporche. La massoneria tradizionale, quando gli altri la attaccavano io la difendevo”.
Ci sarà stata poi quella sua passione per i segreti, per le “cattedrali invisibili”.
“Si, guardi comunque che le reti di spionaggio e la massoneria sono cose diverse. La massoneria non è un mondo segreto, è un mondo esoterico, non un’associazione segreta ma un’associazione di segreti iniziatici. Quanto alle intelligence, è vero: la Dc che era un grande partito formava degli specialisti. I due che formò in questo ramo fummo io e Peppino Zamberletti. Amo i romanzi di Le Carrè, che è lo pseudonimo di un altro agente dell’intelligence inglese. Sono gli unici verosimili. James Bond è uno che verrebbe arrestato da un vigile urbano”.
I due mondi – reti spionistiche e massoneria deviata – si sono però spesso sovrapposti. Di Gelli si è detto che lavorasse per i servizi americani, e che facesse il doppio gioco coi sovietici.
“Gelli non aveva legami con la Cia. Con gli americani si: con ambienti iperatlantici, in chiave anticomunista. Fare il doppio gioco è stata sempre una delle sue caratteristiche. E’ un uomo complesso, Gelli. Aveva rapporti con tutti, a destra e a sinistra. Tra gli esponenti della P2 c’erano uomini vicini a Moro, a Pecchioli, a Pertini. L’ammiraglio Torrisi era grande amico di Pertini, e d’altra parte fu Teardo, altro piduista, il grande elettore del presidente socialista”.
Lei quando ha conosciuto Gelli?
“Lo convocai a palazzo Chigi da presidente del Consiglio. Il Corriere della Sera aveva iniziato una campagna violenta contro di me: erano pressioni per avere la famosa legge sulla stampa. Mi dissero sottovoce: dipende da Gelli. Venne da me, si presentava come ingegner Luciani. Gli chiesi: che succede, mi dicono che lei controlli il Corriere. Mi rispose sorridendo: ho alcuni amici”.
Da allora vi siete frequentati?
“L’ho visto quattro volte. La seconda fu lui a cercarmi, tramite un altro esponente Dc. Voleva mettermi in contatto con l’ammiraglio Massera, uno dei comandanti militari argentini che era uscito dal triumvirato militare, e voleva rifarsi una verginità creando nel suo paese un partito socialdemocratico. Era massone ma non piduista. Chiesi a Massera di aiutarci ad avere le liste dei desaparecidos detenuti nelle loro carceri. Volevamo aiutare gli italiani. Un lavoro in cui mi fece da mediatore Lelio Basso. Un giorno mi portò i referenti della guerriglia argentina che vivevano a Parigi”.
Non otteneste grandi risultati coi desaparecidos. Torniamo a Gelli. Dice che gli elenchi sequestrati ad Arezzo erano parziali.
“E’ vero, lo ha confermato anche a me. Intanto c’è quella pagina mancante, quella che conteneva i nomi del generale Dalla Chiesa e di suo fratello. Fu strappata perché se si fosse saputo che nella P2 c’era Dalla Chiesa la vicenda avrebbe avuto tutto un altro spessore”.
Non che non l’abbia avuto comunque.
“Guardi, le racconto un episodio. Io non conoscevo il contenuto degli elenchi della P2. Convocai il capo di stato maggiore dell’Arma dei Carabinieri generale Ferrara, gli chiesi cosa ne sapesse lui. Mi rispose: niente. Poi il responsabile della sicurezza del Viminale, un socialista, mi disse che con un’auto borghese il comandante generale dell’Arma si recava regolarmente ad Arezzo. Mi chiese se volessi saperne di più. Gli dissi di no: se avessero scoperto che pedinavamo il comandante dell’Arma, si immagina…”.
Senatore, all’epoca del sequestro Moro, c’erano piduisti al vertice dei Servizi e nel comitato di emergenza che lei riuniva al Viminale. Santovito, Grassini, Pelosi. Non ne sapeva niente?
“All’epoca non si sapeva della P2. Grassini era un vero galantuomo, amico di Pecchioli. Sa come si lavorava col Pci?”.
Dica.
“Io chiamavo Pecchioli, gli dicevo vorrei nominare Dalla Chiesa capo del Servizio. Lui andava al partito, tornava e diceva: no. Però senta anche questo. Quando ero presidente della Repubblica si doveva nominare il capo di stato maggiore della Marina, uno dei candidati, Cervetti, aveva fatto parte della P2. Venne da me, andò da Martinazzoli, un alto esponente del Pci. Disse: se non lo nominate non dite poi che siamo stati noi ad impedirvelo. E’ una partita tra voi e Anselmi”.
Sta dicendo che il Pci aveva rapporti con uomini della P2?
“E’ stato Gelli che ha fatto arrivare al Pci attraverso il Banco Ambrosiano il prestito per Paese sera, o no? Una volta ho chiesto a Gelli: ma come mai nessuno ha mai detto dei suoi rapporti con Moro? Lo sa che Gelli si adoperò, coi rumeni, per farlo liberare?”
Veramente Gelli ha detto a Repubblica che per liberare Moro non avrebbe fatto niente. Ha raccontato dell’antipatia reciproca. Ha invece manifestato grande stima per lei, senatore.
“Io non credo che Moro abbia contestato al diplomatico Gelli di essere il rappresentante di un governo autoritario: era troppo fine per una tale grossolanità. D’altra parte non è nemmeno vero che la politica di Moro dispiacesse agli Usa, almeno non più dal momento in cui nasce il governo Andreotti”.
La versione di Moro benvoluto dagli americani e di Gelli che si adopera per liberarlo è per lo meno stravagante.
“La verità è sempre più complessa di quel che sembra e quella che lei chiama stravaganza è un aspetto della storia. Sono convinto che la P2 nel sequestro Moro non abbia avuto un ruolo. L’intelligence americana era in contrasto con noi perché non volevamo trattare. Credo che il sequestro sia stato opera delle Br. I brigatisti non volevano soldi, né scambio di prigionieri. Volevano il riconoscimento politico. Sono gente di intelligenza e cultura superiore alla media. Li ho avuti qui, in questo salotto”.
Torniamo alla massoneria. Lei dice che oggi vive una nuova primavera.
“Si, dopo l’epurazione operata da Armando Corona. Fiorisce, come tradizione, fra le forze armate, soprattutto Marina, nella magistratura, al ministero dei lavori pubblici. E molto altro, ovviamente”.
Non le sfuggirà che, nonostante l’epurazione, le persone fisiche sono le stesse di allora.
“Non è così. Ci sono moltissimi nuovi massoni. Inoltre fra i pidusti non erano molti i massoni autentici. C’era gente che aveva aderito per opportunità”.
Berlusconi?
“Si è iscritto per convenienza, e difatti gli è convenuto. E’ completamente a-massone. Un uomo pratico. Si figuri cosa gliene importa del rito di Osiride. E anche la scelta che fa adesso dei suoi collaboratori non credo sia da ricondurre all’appartenenza massonica: di Cicchitto si fida perché è un ex socialista come lui, e perché conosce il mondo dei servizi segreti. Diverso il caso di Martino”.
Il ministro Martino?
“Massone di piazza del Gesù, loggia elegante, liberale, piemontese. Massone autentico, difatti uomo diversissimo da Berlusconi. Ma, scusi: non le ho raccontato di quando mandarono Pazienza ad Hong Kong per sputtanarmi?”.
No in effetti.
“Pazienza, che non era un uomo della P2 ma dei servizi, dicevano lavorasse per i servizi francesi, era molto amico del nipote di Santovito. Un giorno lo contattarono i servizi segreti italiani perché andasse ad Hong Kong in missione coperta. Quando arrivò nell’albergo dove doveva attendere il contatto seppe che in quello stesso hotel stavo arrivando io, che ero presidente del Senato in predicato per il Quirinale. Capì che il suo compito era di farsi fotografare accanto a me, e se ne andò. Di sicuro anche questa storia è nel dossier”.
Quale dossier?
“Quello del Servizio segreto su di me. Quello in cui si dice che andavo a fare l’elettrochoc in Romania”.
Ma ci andava in Romania?
“Si, ma non a fare l’elettrochoc. E nemmeno in cura da quel famoso psichiatra di Pisa, che ho sentito al telefono una sola volta per un amico. E neppure faccio uso di litio. Di farmaci antidepressivi si, ho avuto periodi di depressione. Ma fra essere depresso e essere pazzo c’è differenza. Questa faccenda della mia pazzia l’hanno messa in giro i miei colleghi di partito, e mi diverte molto. Quando ero presidente della Repubblica si facevano riunioni per decidere se sottopormi a perizia psichiatrica. Ma io parlavo così perché non avendo dietro nessuno del mio partito o usavo quel linguaggio o nessuno sarebbe stato a sentire”.
Le picconate erano un’astuzia, insomma.
“Un espediente per dire sempre a voce alta la verità. Io non parlo mai a sproposito, mi creda. Ho buona memoria e una certa esperienza di vita. Se dico che la massoneria in Italia sta riacquistando vigore ho gli elementi per farlo. Inoltre, vengo dalla politica e so cosa sia. Non siamo rimasti in tanti con questo curriculum, non sembra anche a lei, madame?”.
http://www.cronologia.it/storia/a1990a12.htm
ANNO 1990: MESE DI DICEMBRE
IL CASO GLADIO
A ottobre era esploso il “Caso Gladio” quando un giudice di Treviso, Felice Casson, che stava indagando sulla strage di Peteano (*) in uno degli incartamenti si imbatte in alcune rivelazioni fatte da un pentito che accennava a una struttura, parallela ai servizi di sicurezza collegata alla Nato.
Ha accertato che alcuni solo alcuni vertici militari e politici italiani erano a conoscenza di questa “rete clandestina”. La maggior parte la ignoravano; anche chi era stato capo del governo negli ultimi quarant’anni. A Montecitorio iniziano a rincorrersi voci confuse, ma anche inquietanti.
(*) La strage di Peteano avvenne il 31 maggio 1972. Vi morirono 5 carabinieri dopo essere caduti in una anonima telefonata-imboscata che li invitava a raggiungere una Fiat 500 parcheggiata nei pressi del confine. La vettura era imbottita di tritolo; appena gli agenti aprirono il cofano saltò per aria uccidendone tre e ferendo gli altri due. Ci furono arresti, si celebrò un processo nel ’79, ma furono tutti scagionati quelli chiamati in causa. Gli autori non vennero mai identificati, finchè saltò fuori la confessione di uno degli autori dell’imboscata, Vincenzo Vinciguerra, rivelando dei legami con un struttura parallela dei servizi segreti, dipendente dall’Alleanza atlantica. Le indagini continuarono per anni, finchè approdarono al giudice di Treviso, che si trovò appunto fra le mani queste rivelazioni e l’esistenza di questa struttura. Ora vuole vederci chiaro. Intende dunque interrogare anche Cossiga (che ai tempi della strage aveva incarichi di governo) arrivando a ipotizzare responsabilità di Gladio nella strategia della tensione degli anni Settanta.
Il 30 ottobre cominciano a circolare i primi nomi degli appartenenti alla “rete clandestina” della Gladio. Il 3 novembre esplode la polemica delle sinistre contro il Quirinale. L’8 novembre il presidente del Consiglio Andreotti interviene in Senato rivendicando la legittimità di Gladio. Nello stesso giorno il giudice Casson chiede la disponibilità del presidente della Repubblica a testimoniare in relazione al procedimento penale in corso (strage di Peteano) e su “altri fatti eversivi dell’ordine costituzionale”. L’11 novembre su Repubblica appare una lettera di Cossiga inviata al presidente del Consiglio, in cui dichiara la piena disponibilità “a rendere di (sua) iniziativa ogni opportuna informazione al Comitato parlamentare per i servizi segreti, così come all’ufficio di presidenza della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e sulle stragi…pronto a invitare a tal fine i suddetti organismi. “Io non ho nulla da nascondere”.
Il 17 novembre si svolge a Roma una manifestazione organizzata dal Pci, con circa 100-300.000 persone, per protestare contro la fantomatica Gladio, la mancanza di trasparenza delle inchieste sulle stragi e infine puntando il dito su Cossiga.
Ovviamente Cossiga reagisce violentemente. Il 23 novembre PSI e DC sono solidali col Quirinale. “Una reazione opportuna quella di Cossiga” dice Craxi. “Una campagna vergognosa quella di Occhetto” rincara Forlani. Occhetto sembra invece fare retromarcia. Mentre Casson frugando negli archivi della Commissione indagine P2, trova nella stessa commissione un senatore che figura tra gli “arruolati” della Gladio. Significa proprio nulla ma suscitano altre polemiche.
Il 5 dicembre si vara l'”operazione trasparenza”. Il Comitato per i servizi segreti potrà interrogare Cossiga. Sorgono però problemi istituzionali per l’alta carica del personaggio. L’11 dicembre sono superati anche questi: l’incontro con Cossiga sarà una “audizione” e non un “interrogatorio”.
Ma intanto monta la polemica, gli avversari (e non solo questi) strumentalizzano Gladio, Cossiga lo fanno passare per Cospiratore dello Stato; il presidente inizia a rispondere per le rime.
Poi improvvisamente muta tutta la situazione. Anche gli “amici” non sono più solidali.
Fin dall’inizio la richiesta di Casson aveva sollevato tante polemiche e un gran bel “pasticcio”.
“Lo Stato si è incartato. Ha creato un immenso pasticcio istituzionale, costituzionale, politico e – perchè no? – morale, e non sa più come uscirne”. (La Repubblica (quella riportata sopra) dell’ 8 dicembre 1990)
Si profila la minaccia di una crisi istituzionale.
Alcuni affermano, scrivono, cianciano, che la struttura è una organizzazione illegale, perchè operante all’insaputa del Parlamento italiano e in violazione dell’articolo 18 della Costituzione, che vieta il perseguimento, anche indiretto, di scopi politici da parte di organismi di carattere militare. Subito si avanzano affrettati sospetti circa il coinvolgimento di Gladio in trame cospirative interne ed episodi stragistici.
Il giorno 7, con una lettera al Consiglio dei ministri, Cossiga minaccia di “autosospendersi” se il governo non confermerà la tesi sulla legittimità di Gladio da lui sostenute.
Chiamato il presidente della commissione bicamerale -Libero Gualtieri,- che da anni anche lui sta indagando sulle varie stragi, consegna alla presidenza del consiglio il fascicolo inerente il ”sid parallelo” che parla in qualche punto (gli omissis in alcuni processi) anche dell’esistenza della fino allora segreta ”struttura Gladio”. Esplode così in Parlamento e sul Colle il “caso” con tutta la sua causticità tra gli inquilini dei due Palazzi.
La richiesta di Casson di interrogare Cossiga su una così delicata questione, era già sufficiente per offendere il Presidente, ma subito dopo Cossiga diventa furioso “andando sopra le righe”, quando alcuni politici su Gladio iniziano a fare a destra e a manca dichiarazioni “imprudenti e impudenti”; mentre altri lo accusano di “alto tradimento” e altri ancora decidono che non sia il giudice Casson a interrogare Cossiga ma un Comitato parlamentare composto da “saggi” nelle persone di cinque ex presidenti della Corte costituzionale per emettere un parere sulla predetta legittimità.
La polemica diventa infuocata, sta per sfociare in una crisi istituzionale, che rientra non appena Andreotti esprime a Cossiga la solidarietà del governo e di fronte alla Camera conferma la piena legittimità di Gladio.
Ma al governo c’è solo Andreotti e la Dc? No, c’è anche il PSI che sta pestando i piedi.
“I ministri socialisti – ha rivelato Martelli – hanno posto la loro riserva, e Craxi ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di difendere “l’infallibilità” di Cossiga e Andreotti”
Cossiga ha pure proposto ad Andreotti di “autosospendersi” e di passare i poteri a Martelli”
(La Repubblica, 8 dicembre 1990, quella di sopra). Sembra (o è) una provocazione.
Cosa accade ora? Cossiga lo avevano soprannominato il “presidente notaio” perchè si muoveva con molta discrezione. Un notaio estremamente pignolo. I caricaturisti lo avevano perfino raffigurano come un “signor nessuno” che si aggirava per il Quirinale.
Accade che ora la situazione è cambiata radicalmente. E anche lui cambia. Il “presidente notaio” lascia il posto al “picconatore”. E Cossiga a picconare non si fermerà più!
Quello di Craxi è un avventato processo al “cospiratore”. E ha commesso un gravissimo errore nell’attaccarlo. Perchè il Cossiga (costituzionalista) non vuole certo farsi processare da un Craxi e da un Martelli “qualunque”, nè dai cinque saggi che i socialisti avevano proposto per giudicare la legittimità del suo operato. Cossiga non doveva certo rendere conto a Craxi, a compagni, e compagniucci, ma semmai solo davanti agli italiani. “E dico come Moro – aggiunse – Non ci processerete nelle piazze”; infatti difende i compagni di strada anche facendo autocritica forte.
Infatti il presidente della Repubblica Cossiga, è di parere diverso sulla Gladio, ne prende infatti impavido le difese (“erano patrioti quelli della Gladio, brava gente”) e ne parlerà perfino nel tradizionale messaggio di fine anno, interrompendo, a sorpresa, la lettura del testo ufficiale e leggendo un foglietto di carta tirato fuori dalla tasca. Una sfida ai “corvi” di ogni colore.
Da notare che il 23 la Nato ha posto il segreto di stato internazionale sull’attività e i fini di Gladio.
Ma il bello di Cossiga “picconatore” deve ancora venire!! Anche se il 19, dalla Germania in visita privata aveva chiesto a tutti scusa “per essere andato sopra le righe” e aveva promesso di non parlare più, il prossimo anno inizia a togliersi tanti “sassolini dalla scarpa”, molti anche a costo di alienarsi le simpatie di vaste aree; a non temere di essere attaccato da più parti, compresi i vecchi amici del suo partito; e neppure teme quel “….nuovo “amico”. Il 23 marzo del prossimo anno (’91 – vedi) l'”amico” lo “piccona” forte anche senza farne il nome; “non lo temiamo, non ci troverà ne atterriti né silenziosi”
Le “picconate” diventano quasi settimanali; lo prendono perfino per matto, chiedono l’impeachment.
Lui si difende: “In realtà io non esterno. Io comunico; Io non sono matto. Io faccio il matto. E’ diverso. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno”.
Altra esternazione la fa mentre è a Parigi: “io sarò in strada, dove c’é la gente. Per parlare con la gente e possibilmente rappresentarla e tutelarla”.
Ma viene anche qui accusato di fare del qualunquismo e di ricercare il consenso emotivo.
Ma tornando dalla Germania aveva detto anche un’altra frase. “Sono successe tante cose all’Est; speriamo ora anche all’Ovest”. Piuttosto enigmatica, comunque profetica.
Il 26 novembre 1991 Cossiga si “autodenuncia”, chiedendo che gli sia contestato il reato di cospirazione politica mediante associazione in riferimento alla vicenda Gladio.
Il 23 gennaio 1992, Francesco Cossiga con una lettera, annuncia le sue dimissioni dalla DC.
Il 2 febbraio 1992 Francesco Cossiga firma il decreto di scioglimento delle Camere.
Il 17 febbraio 1992 con l’arresto di Mario Chiesa, comincia l’era di “Tangentopoli”. Psi nel fango, la Dc pure. Si aprono le dighe.
Il 5-6 aprile 1992 si svolgono le elezioni politiche in un clima di incertezze. Con un’aria molto pesante, che preannuncia tempesta. Infatti tutti i partiti tradizionali ne saranno travolti. La sorpresa sono i partiti della “protesta”.
Il 18 aprile Cossiga parla in televisione a reti unificate per 45 minuti. Dice che “al voto del 5 aprile è venuta una domanda di riforme istituzionali e una grande voglia di cambiamento nel modo di governare lo stato”. Il segnale c’è, ed è forte e chiaro.
Il 23 aprile 1992 comincia la nuova legislatura. Due giorni dopo, in un messaggio televisivo, il presidente Cossiga annuncia le sue dimissioni da Presidente della Repubblica, che saranno formalizzate il 28 aprile. Il “notaio” trasformatosi in “picconatore” lascia il Quirinale con dieci settimane di anticipo rispetto alla scadenza del mandato. Chiede di essere ascoltato dai tribunali. Ma su tutta la vicenda la magistratura archivierà l’indagine. La magistratura del resto da questo momento ha altro da fare: infatti è la protagonista. Sta scoppiando la “caldaia” Tangentopoli.
Cossiga se ne va beatamente in una lunga vacanza a Dublino.
Ma le scene di “mani pulite” comunque lo raggiungono anche lì. Gli viene perfino da piangere nel vedere la mediocrità di certa gente.
“Cossiga rompe il silenzio dell’auto-esilio e si lancia in un’esternazione terrificante. “E’ la Dc il nemico che ha tradito, incapace di modificare la sua arroganza, allo sbando. I dirigenti DC la gente li prenderà a sassate per la strada. Io non li ho buttati giù dalle scale, ma la gente non avrà i miei scrupoli (…). DC da lapidare. De Mita è il meglio. Forlani è un ipocrita: non mente, lui, nasconde la verità” (…) Ho scritto al Popolo una lettera, in cui spiegavo perché non mi sarei più iscritto al gruppo Dc del Senato. Hanno rifiutato di pubblicarmela; era più importante la seduta alla sezione della Garbatella” (da Il Secolo, venerdi 1° maggio 1992)
Tutto quello che accadrà dopo, insomma era scritto e annunciato (i maligni dicono “voluto”)
Di Gladio non se ne parlerà più, e del “nuovo amico” nemmeno.
ANNO 1991: MESE DI MARZO
Sono le tre frasi pronunciate dal capo dello Stato, FRANCESCO COSSIGA
…sabato 23 marzo alla Fiera di Roma, davanti ai microfoni e alle telecamere. Rappresentano uno sconcertante documento, di eccezionale gravità, un atto d’accusa, una denuncia contro il sistema politico e istituzionale. Tre frasi per dare l’allarme, sollecitando a più riprese la Grande Riforma e la Seconda Repubblica, che la maggior parte dell’opinione pubblica vuole. Gente che condivide nella sostanza, l’ispirazione e l’obiettivo di Cossiga, che proprio per questo appoggio popolare viene accusato di fare del qualunquismo e di ricercare il consenso emotivo.
Per i politici sono “picconate” disfattiste, che delegittimano il parlamento e la magistratura; ma per la gente che si muove nel quotidiano, dentro non una società “civile” ma nella inestricabile “foresta delle lobby”, sono “picconate” che stanno minando alla base molte certezze sull’operato di alcuni nomi eccellenti, che si ritenevano fino ad oggi intoccabili, o unti dal signore, pur avendo pochi meriti, e alcuni proprio nessuno.
Il degrado della vita pubblica, prodotto dalla partitocrazia, l’instabilità governativa, la precarietà delle maggioranze parlamentari che dal dopoguerra sono state sempre DC oppure tenute assieme con blandi alleati di comodo, ieri, e tracotanti e gonfi di prepotenza e arroganza oggi, è ormai una realtà davanti a tutti. E sta generando un profondo malessere anche e soprattutto nella grande imprenditoria.
Insieme, molti, moltissimi, hanno trasformato l’Italia in terra di conquista dove più nessuno è libero di muovere un passo se prima non si è piegato con tanti inchini se è un debole, e a tanti ricatti se è un forte. Tutto questo é già da tempo sotto gli occhi di tutti. Ma tutti tacciono.
Che ora a sostenere queste tesi sia il presidente della Repubblica in persona, massimo custode delle istituzioni (che non è un tipo “alla Pertini”) é quantomeno singolare, improprio e inusitato. Tanto più che lui (gli si ricorda) ha fatto parte integrante fino a ieri di quella partitocrazia di cui lamenta i tanti guasti. Dunque l’accusa del presidente Cossiga corrisponde in larga misura a una vera autodenuncia e a una vera autoaccusa, che l’Italia non ha mai visto e conosciuto in quasi cinquant’anni. Cossiga insiste e vuole addirittura dimettersi; chiede addirittura di essere processato.
Si sta togliendo i “sassolini dalla scarpa”, anche a costo di alienarsi le simpatie di vaste aree (ma lo dicono i sondaggi però, non la gente comune e i cittadini senza potere), o di essere attaccato da più parti da vecchi amici del suo stesso partito e da quel “….nuovo “amico” che ha le voglie di “raddrizzare l’Italia” con il qualunquismo, con il “Rimedio incorporato”, ma non prima però di aver “creato la sua casta con il diritto di fare strame di tutto e di tutti, di degradare la politica in affarismo, di arricchirsi con le tangenti, di spartirsi il bottino, di cuccarsi gli incarichi più lucrosi, di occupare gli enti pubblici e taglieggiare le aziende private, e persino di mandare in Parlamento non soltanto i propri cavalli, come si limitava a fare Caligola, ma anche i propri asini, gli sciacalli e le jene…” e aggiunge “… che sta organizzando la beffa. Anzi quello che vuole mettere in scena è un dramma. E a noi forse ci aspetta la tragedia. Dovremo forse fra poco dire, o saremo costretti a dire soltanto di si,. Si, si, si, sissignore signor presidente della Repubblica Presidenzialista. Una tragedia che, tuttavia, non ci troverà né atterriti né silenziosi”.
(Frasi che riportava Giampaolo Pansa, proprio all’interno del settimanale sopra del 7 aprile, a pag 21, con il titolo Il “burattinaio”)
PANSA ha anticipato uno scenario, perché gli attacchi a COSSIGA (alcuni furiosi, dove qualcuno propone perfino di farlo ricoverare in una casa di cura) dopo che è esploso il Caso Gladio (che Cossiga ne ha difeso -da impavido- la piena legittimità) vengono proprio dai ministri socialisti e dallo stesso CRAXI, quando si è sfiorata la crisi istituzionale con Cossiga sul punto di “autosospendersi” dopo che il governo aveva preso la decisione di nominare cinque saggi con il compito di giudicare sulla legittimità di Gladio, che dal presidente é stata interpretata come un atto di sfiducia nei suoi confronti. Il decreto di autosospensione era già pronto, poi in aiuto di Cossiga é corso Andreotti , ma i ministri socialisti hanno posto la loro riserva, e CRAXI ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di difendere “l’infallibilità” di COSSIGA.
Siamo dunque all’inizio dei grandi scontri: e tutti hanno nel loro cassetto qualcosa, ma Cossiga ha più degli altri. E’ dal 1948 che è al vertice di una specie di “Gladio” (anche se i primi studi di questa organizzazione risalgono al 1951 e l’accordo segreto tra Sifar e Cia fu stilato il 26 novembre del 1956). “Segni il mio predecessore nel ’48 mi ha mandato a prendere le armi…” (lo dichiara a Chicago, vedi Corriere del 13 gennaio 1992) “….in previsione di un possibile tentativo comunista di golpe nel 1948 dopo l’attentato a Togliatti o come risposta alla vittoria elettorale della DC. Giustificato perché a quel tempo i comunisti disponevano più armi loro che l’intero esercito italiano“.
Ma non è tutto, Cossiga chiama in causa anche un “gran laico” come firmatario dell’atto costituivo della Stay behind (questo era il vero nome della Gladio) : una trasparente allusione a GIOVANNI SPADOLINI. Repliche e smentite dai parenti dei due chiamati in causa, ma nessun stupore manifestano padre BAGET BOZZO e PISANO che prima di gioire accanto a Craxi (in seguito con Berlusconi) “militavano” in quella DC “organizzata” non solo evangelicamente.
Occhetto invece si limita a chiedere chiarimenti. Ma che agisse una struttura parallela armata del PCI a quel tempo, se ne ebbero poi concreti indizi, nemmeno più dubitabili oggi. Che vi fosse un altrettanto struttura parallela armata anche dentro la DC (perfino all’insaputa dei vertici democristiani) anche questo è ormai assodato. (Ma che qualcuno possa in questo quarantennio, immaginare che dentro la DC ci fossero dei “traditori” reclutati e pagati dal KGB, questo nessuno osa nemmeno immaginarlo. Ma il “muro” si è rotto, e da quel varco qualcosa sta ora passando, scottante, e sono raffiche di Mitrokinaglia (un giorno si capirà cosa vogliamo dire); e Cossiga che di spioni é da una vita che se ne occupa (dell’ est e dell’ ovest, e anche “dentro” la stessa penisola), sa molto, moltissimo. Qualcosa dirà nel prossimo gennaio (vedi). Ma pochi prestarono attenzione alle sue parole.
Insomma a stracciarsi le vesti dopo le rivelazioni di Cossiga sono stati in tanti, ma tutti hanno recitato la loro parte con tanta ipocrisia o con poca realistica visione dei fatti di allora, nonostante che da alcune settimane il mondo occidentale sia stato spettatore del totale fallimento e dello sfascio di quella ideologia che voleva prendere il potere in quei lontani anni, molto critici.
Rivelazioni senza reticenze quelle di Cossiga, con un motivo di soddisfazione per il fatto che per 45 anni tutti i componenti hanno mantenuto il segreto su Gladio e sui 139 nascondigli di “materiali” di pronto intervento in caso di occupazione “rossa”.
Il pericolo non erano i “rossi” dell’Est. Il comandante di un reparto speciale della Nato così si esprimeva a chi scrive che ne faceva parte: “Il pericolo è che il giorno dopo gli italiani diventino all’improvviso tutti comunisti (compresi gli industriali, i cattolici, i borghesi, i militari). Abbiamo già visto un “8 Settembre”. E chi ne ha fatto uno è capace di farne un altro”.
http://www.verademocrazia.it/modules.php?name=News&file=print&sid=134
Poteri occulti
Data: Venerdì, 06 dicembre @ 23:54:09 CET
Argomento: Democrazia in Italia oggi
I poteri che comandano davvero in Italia.
Poteri Occulti
Questo è un discorso che forse ti sembrerà eccessivo e datato. Forse penserai: “Ancora con queste manie di persecuzione in cui bisogna trovare per forza il Grande Vecchio o chissà quali trame eversive per ogni fatto o strage Italiana?”.
Ma i fatti sono fatti. Di tutte le stragi, attentati e disastri pianificati effettuati in Italia, solo in un paio di occasioni sono stati emessi verdetti definitivi contro delle persone. Per tutti gli altri casi la soluzione appare ancora oggi lontana, nonostante decenni di indagini. Non esistono colpevoli e fondati dubbi fanno sospettare che le persone coinvolte siano ancora nei loro posti di potere.
Dal libro “Il Grande Vecchio” di Gianni Barbacetto:
In quindici anni, tra il 1969 e il 1984, in Italia sono avvenute otto stragi politiche dalle caratteristiche simili: piazza Fontana (12 dicembre 1969), stazione di Gioia Tauro (22 luglio 1970), Peteano (31 maggio 1972), questura di Milano (17 maggio 1973), Brescia (28 maggio 1974), Italicus (4 agosto 1974), stazione di Bologna (2 agosto 1980), treno di Natale 904 (23 dicembre 1984).
Centocinquanta i morti, oltre seicento i feriti. Tutte le stragi (con qualche differenza solo per l’ultima, che una sentenza definitiva giudica promossa da Cosa Nostra) hanno caratteristiche comuni: tutte sono organizzate e realizzate da personaggi che appartengono alla destra, in tutte scattano solide protezioni per i responsabili da parte di organismi dello stato, tutte sono rimaste per molti anni senza spiegazioni ufficiali, senza colpevoli e mandanti. Tutte (tranne Peteano e 904) senza colpevoli e senza mandanti sono ancora oggi.
Coperture e depistaggi molto simili sono scattati anche per altri episodi: colpi di stato tentati o minacciati, piani eversivi, un gran numero di attentati ai treni e ad altri impianti, molte azioni del terrorismo nero, alcune di quello rosso. Uguale sorte hanno avuto alcune organizzazioni segrete: la loggia P2, la rete Stay Behind in Italia (Gladio). Gruppi occulti, strategie del terrore, episodi criminali negli ultimi decenni si sono anzi strettamente intrecciati nella storia segreta d’Italia.
Un’altra costante di questa storia nera è il tentativo di delegittimare chi ha indagato su stragi, strategie eversive, gruppi occulti, cercando di svolgere il suo lavoro con onestà e giustizia. I giudici dei grandi misteri d’Italia hanno sempre trovato come avversari non solo i gruppi eversivi, ma pezzi di quello Stato di cui si sentivano servitori.
Con sorprendente regolarità, molti magistrati sono stati trasformati in accusati.
Sempre dallo stesso libro, in cui parla il giudice Tamburino, che stava indagando sulla “Rosa dei Venti”, organizzazione che aveva progettato un colpo di Stato in Italia:
“Come eravamo impreparati, allora, a capire”, dice oggi Tamburino. Era la prima volta che affiorava alla superficie qualcosa sull’esistenza di un’organizzazione mista militari-civili, segretissima, posta sotto l’ombrello atlantico, che utilizzava gruppi operativi fuori dalla legalità ufficiale e coinvolgeva personaggi illustri delle forze armate, della politica, della finanza.
“Una cosa impensabile. Io, uomo d’ordine, provavo turbamento, sgomento. Le mie certezze cadevano a una a una. Ho cominciato ad avere paura: non soltanto delle minacce, delle pallottole che sono iniziate ad arrivarmi dentro lettere anonime. Ho cominciato ad avere paura soprattutto che potesse essere vera la rappresentazione del potere fatta da Cavallaro (terrorista nero indagato dal giudice n.d.A;): davvero la democrazia non è altro che una vertigine di scatole cinesi con nello spazio più interno il cuore del potere e tutt’attorno un gioco di finzioni? In quei mesi del 1974 ho subìto uno sconquasso psicologico: ho visto uno spiraglio aperto sull’inferno e ne sono rimasto inorridito.”
O la voce del giudice Libero Mancuso che era titolare dell’inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna:
… ”Imparai nomi per me sconosciuti: terroristi di destra, golpisti, eversori, personaggi che avevano tramato contro la repubblica. Imparai, con stupore prima, con orrore poi, a conoscere ciò che non avrei mai pensato: che pezzi dello Stato avevano rapporti e addirittura collegamenti diretti con quei personaggi. E’ stata un’esperienza sconvolgente anche dal punto di vista emotivo.”(…)
“Abbiamo avuto un capo dello stato, Francesco Cossiga, che ha confessato pubblicamente, come fosse un vanto, di essere stato armato in segreto, già nel 1948, di bombe e mitra. Nessuno, fino a qualche anno fa, avrebbe potuto dire o credere a cose del genere”.
“Noi, con le nostre indagini, abbiamo capito che la nostra è una democrazia limitata, con forti condizionamenti dall’esterno. Con ogni mezzo si è impedito qualunque processo di mutamento degli equilibri di potere in Italia. Tutti i tentativi eversivi avvenuti nel nostro paese hanno avuto alle spalle le forze armate, i servizi di sicurezza, la massoneria e i finanziamenti americani. Questo è stato il filo nero di questi nostri anni, coperto da segreti di Stato, menzogne, attacchi, processi insabbiati, conoscenze disperse.”
Dal libro “Il vizio della memoria” di Gherardo Colombo (il primo magistrato a scoprire e ad indagare sulla P2, finché tutta l’indagine non fu trasferita d’ufficio all’allora “porto delle nebbie” che era la Procura di Roma):
“Questo è il comandante del SISMI.”
“Questo è il nostro ministro!”
“E questo è il ministro per i rapporti commerciali con l’estero.”
“Va be’, questo lo sapevamo già.” Il nome del generale Giannini, comandante della Guardia di Finanza, ce lo avevano comunicato per telefono i suoi sottoposti, fedeli allo Stato, quando nel corso della perquisizione avevano ricevuto una sua telefonata: “Troverete degli elenchi, in quegli elenchi ci sono anch’io.”
“Orca, questo diventerà presidente del consiglio dei ministri tra tredici anni.”
E così via, scorrendo quelle carte, quando Giuliano Turone e io abbiamo potuto esaminare il risultato della perquisizione di Castiglion Fibocchi, il posto di lavoro di Licio Gelli.
Licio Gelli, condannato ora complessivamente, ancorché non definitivamente, a decine d’anni di carcere e ancora in libertà, ma allora noto come il signor P2.
E così via, perché dalla lista risultavano altri nomi, di magistrati, di prefetti, di dirigenti massimi e intermedi dei servizi di sicurezza – alcuni dei quali già coinvolti nei depistaggi dei processi per strage – di un altro ministro, di una marea di parlamentari, di ufficiali dell’esercito, dell’aereonautica, della Guardia di finanza, di imprenditori, giornalisti, individui compromessi con regimi dittatoriali stranieri.
E così via. (…)
Insieme a loro una serie di nomi di persone già scomparse, o che sarebbero scomparse per morte violenta: Mino Pecorelli, giornalista provocatore, assassinato due anni prima; Roberto Calvi, “padrone” del Banco Ambrosiano, la più grande banca italiana dopo il fallimento di quelle di Sindona, il cui corpo sarà trovato qualche anno più tardi sotto il ponte dei Frati Neri a Londra; lo stesso Sindona, deceduto in carcere per una tazza di caffé al cianuro.
E persone già note per gli scandali, o per le deviazioni istituzionali cui avevano legato il proprio nome: Raffaele Giudice e Donato Lo Prete, i vertici della Guardia di Finanza sconvolta da uno degli scandali che l’hanno toccata nella sua storia: la complicità dei finanzieri delle imposte sui petroli; Gianadelio Maletti, Vito Miceli, Antonio Labruna, che erano stati attivi nei servizi segreti delle mille “deviazioni”, dall’indagine di Piazza Fontana in poi…
E persone che altrove, in altri paesi, erano state promotrici o artefici di colpi di stato, come il generale Massera in Argentina…
Insomma, fatta qualche eccezione, proprio le persone di cui aveva parlato Gelli nella sua intervista a Maurizio Costanzo: “… Comunque confermo, per l’ennesima volta, che si tratta di un Centro che accoglie e riunisce solo elementi dotati di intelligenza, di un alto livello di cultura, di saggezza e, soprattutto, di generosità, che hanno un indirizzo mentale e morale che li spinge ad operare unicamente per il bene dell’umanità con lo scopo, che può sembrare utopistico, di migliorarla.” (…)
Arriviamo a Palazzo Chigi, ci accompagnano in anticamera e qui chi ci riceve? Il prefetto Mario Semprini, segretario particolare dell’onorevole Forlani (allora primo ministro), che dall’elenco della P2 risulta titolare della tessera d’iscrizione n. 1637. Non siamo nemmeno tanto stupefatti, sapevamo che il segretario particolare di Forlani risultava nella lista della P2. Pensavamo però che avesse il buon gusto di non venire ad aprirci la porta.
Alla fine l’indagine fu strappata dalla Procura di Milano e portata a Roma. Uno dei maggiori artefici di questo risultato fu Domenico Sica, che più tardi diventerà (forse per meriti “insabbiatori”) alto commissario per la lotta contro la mafia nell’incarico che fu del Generale Dalla Chiesa, assassinato anni prima.
Dal libro “Il vizio della memoria” di Gherardo Colombo:
Sfrondato di tanti e tanti rami, il troncone dell’inchiesta P2 si sarebbe concluso a Roma oltre dieci anni più tardi dal ritrovamento delle carte a Castiglion Fibocchi. Dopo un altro paio d’anni, la sentenza di primo grado della Corte d’assise di Roma. Condanne severe, severissime, per i tanti reati connessi, tra i quali la calunnia di Gelli a Turone, a Viola e a me, che ci eravamo costituiti parte civile devolvendo il risarcimento alle vittime della strage di Bologna e all’associazione delle nonne dei desaparecidos argentini.
Ma la vera natura della loggia P2 si era persa nella potatura dell’albero delle indagini e nell’oblio di cui tutto ricopre il passaggio del tempo. Nonostante l’impegno dedicato alle investigazioni dagli ultimi pubblici ministeri cui il processo era stato assegnato; nonostante le testimonianze, tra le quali le nostre; nonostante le conclusioni del Comitato amministrativo d’inchiesta nominato dal presidente Forlani; nonostante i documenti raccolti, le allegazioni, le valutazioni, i giudizi motivati categorici della Commissione parlamentare e del parlamento; nonostante la legge di scioglimento, la natura della loggia P2 si era persa, trasformata in un lecito comitato d’affari, quasi un club.
Ripenso spesso al 1981, e sempre più mi convinco che se l’inchiesta fosse rimasta a Milano, avrebbe anticipato di almeno dieci anni l’evoluzione di Mani Pulite.
Dal libro “Il vizio della memoria” di Gherardo Colombo, che cita le conclusioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2:
Abbiamo riscontrato che la Loggia P2 entra come elemento di peso decisivo in vicende finanziarie, … che hanno interessato il mondo economico italiano in modo determinante. … Si è trattato in tali casi… di due situazioni finanziariamente rilevanti in un contesto internazionale, che hanno sollevato… serie di difficoltà di ordine politico non meno che economico, allo Stato Italiano… la Loggia P2 si è posta come… centro di intersecazione di una serie di relazioni, di protezioni e di omertà che ne hanno consentito lo sviluppo secondo gli aspetti patologici che poi non è stato possibile contenere. In questo contesto finanziario la Loggia P2 ha altresì acquisito il controllo del maggior gruppo editoriale Italiano mettendo in atto, nel settore di primaria importanza della stampa quotidiana, una operazione di concentrazione di testate non confrontabile ad altre analoghe situazioni… Queste operazioni infine… si sono accompagnate ad una ragionata e massiccia infiltrazione nei centri decisionali di maggior rilievo sia civili che militari e ad una costante pressione sulle forze politiche… la Loggia P2 è entrata in contatto con ambienti protagonisti di vicende che hanno segnato in modo tragico momenti determinanti della vita del Paese… La Loggia P2 consegna alla nostra meditazione una operazione politica ispirata ad una concezione pre-ideologica del potere, ambìto nella sua più diretta e brutale effettività; un cinismo di progetti e di opere… un approccio strumentale con la massoneria, con gli ambienti militari, con gli ambienti eversivi, con gli uomini delle istituzioni, perché strumentale al massimo è la filosofia che si cela al fondo della concezione politica del controllo, che tutto usa ed a nessuno risponde se non a se stesso, contrapposto al governo che esercita il potere ma è al contempo al servizio di chi vi è sottoposto
Dal libro “Il Grande Vecchio” di Gianni Barbacetto:
Il potere della P2 nei confronti dei vertici militari è testimoniato da un episodio inquietante avvenuto nel 1973: Gelli riesce a convocare, per telefono e nel giro di poche ore, una riunione a villa Wanda a cui partecipano, oltre al procuratore generale della cassazione Spagnuolo e al colonnello Pietro Musumeci, tre altissimi ufficiali dei carabinieri: Giovan Battista Palumbo, comandante della divisione Pastrengo di Milano, Luigi Bittoni, comandante della brigata di Firenze, e Francesco Picchiotti, comandante della divisione di Roma. Ai tre generali Gelli impartisce istruzioni, “da diramare poi per via gerarchica”, sulla necessità di sostenere un governo di centro. I tre generali che corrono a casa di Gelli sono gli stessi che nel 1964 furono protagonisti (insieme a Romolo Dalla Chiesa) del piano Solo del generale Giovanni De Lorenzo (tentativo di colpo di stato n.d.A.).(…)
La P2, si legge nelle seicento pagine della requisitoria firmata dalla Cesqui (pubblico ministero del processo celebrato nel 1991 n.d.A;), è “una struttura occulta che con mezzi illeciti è in grado di creare sedi decisionali diverse e parallele a quelle legittime”, è “una vera struttura ombra rispetto agli organi dello stato e in grado di espropriarne di fatto il potere pur essendo naturalmente priva di qualunque legittimazione”.(…)
…esiste la testimonianza di Richard Brenneke, ex agente della Cia, che in una clamorosa intervista televisiva al TG1 nel luglio 1990 afferma che “il governo degli Stati Uniti ha mandato soldi alla P2. La somma ha toccato anche la cifra di dieci milioni di dollari al mese. I miliardi della Cia per la P2 sono serviti per contrabbandare armi e droga, ma soprattutto per destabilizzare. La loggia di Gelli, secondo Brenneke, sarebbe servita “per creare situazioni favorevoli all’esplodere del terrorismo in Italia e in altri paesi europei agli inizi degli anni Settanta”.(…)
E’ dunque improprio parlare, a proposito delle vicende accadute negli scorsi decenni dentro gli apparati dello stato, di “deviazioni”: ciò che è successo è stato semmai il rendersi parzialmente visibile (per incidenti di percorso quali, per esempio, le inchieste di giudici fedeli alla Costituzione) di catene di comando ufficiali, anche se sotterranee e sottoposte a regole segrete, in parte o in tutto diverse da quelle previste dalle istituzioni democratiche e dalle regole palesi.
E’ un caso se Berlusconi (iscritto alla P2 tessera n.1816) è capo del maggior partito di opposizione e possiede 3 TV nazionali e il più grande gruppo editoriale Italiano (la Mondadori e il Giornale)? E’ un caso se Maurizio Costanzo (iscritto alla P2) è direttore della più grande TV privata Italiana, Canale 5? E’ un caso se Cossiga negli anni della P2 più volte primo ministro e ministro dell’interno (e quindi superiore diretto dei capi dei Servizi Segreti, tutti e tre a quell’epoca iscritti alla P2) e che ha affermato più volte che Gladio era una struttura legale, sia tornato ad essere un punto di riferimento della politica Italiana? Sarebbe interessante fare una ricerca approfondita e obiettiva e vedere quanti nomi dei 950 affiliati alla P2 di cui si è venuti a conoscenza (sui più di 2000 che si è scoperto erano gli affiliati di questa loggia, e quindi i nomi di più di 1000 affiliati sono rimasti sconosciuti) hanno avuto la loro carriera interrotta e vedere quanti altri invece hanno fatto avanzamenti.
E va bene, la loggia massonica P2 era deviata, ma in fondo è stata sciolta… tutto bene allora? No, gran parte della massoneria, anche quella attuale (e in particolar modo quella Italiana) ha come motivo stesso della sua esistenza la ricerca del controllo del potere (anche se non affermato esplicitamente), formalmente nelle mani degli amministratori della democrazia, a vantaggio dei propri interessi personali. La massoneria “solo” per questo motivo, è la negazione di Vera Democrazia. Se in uno stato esiste una forte massoneria, in esso la democrazia sopravvive solo come aspetto esteriore. Alcuni dati per mostrare la forza della massoneria; forza che forse è buona sotto regimi dispotici, per spingere verso cambiamenti e riforme, ma certamente pericolosa nelle democrazie. In Italia grandi massoni furono Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi (entrambi iscritti al Rito di Menphis-Misraim), il primo deputato socialista Italiano Andrea Costa (Gran Maestro Aggiunto del Grande Oriente d’Italia e 32o grado del Rito Scozzese Antico e Accettato), Francesco Crispi (primo ministro Italiano dal 1887 al 1896), Giosuè Carducci, Adriano Lemmi ‘Banchiere del Risorgimento’ e Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia coinvolto nello scandalo finanziario della Banca Romana (1892), Giovanni Amendola, Vittorio Valletta direttore e poi presidente della Fiat dal 1929 al 1946. Anche il padre dell’ex – leader comunista Enrico Berlinguer, era massone. Su Gelli e la P2 i giudici che si sono occupati della strage alla stazione di Bologna hanno scritto:
“Nel contesto di una generale attenzione rivolta da Gelli agli ambienti militari, assume una concatenazione specifica quella dedicata alla ristretta elite di ufficiali succedutisi al comando dei vari servizi di sicurezza. La relazione della commissione d’inchiesta è pervenuta a due interessanti conclusioni: Gelli appartiene ai servizi e ne è il vertice; la Loggia P2 e Gelli sono espressione di una influenza che la massoneria americana e la CIA esercitano su Palazzo Giustiniani (sede Massoneria), sin dalla sua riapertura nel dopoguerra”.
In Italia si sta scoprendo “ufficialmente” solo da qualche decennio che la massoneria, la mafia e i partiti al governo spesso sono stati vari aspetti di uno stesso fenomeno diretto da forti paesi esteri (cioé gli USA) la cui unica preoccupazione era di fronteggiare la possibile minaccia comunista. Ogni illegalità, prevaricazione, strage, corruzione era tollerata purché raggiungesse il fine di non far salire i comunisti al governo. Poi dopo la caduta del muro di Berlino nell’89 tutto è finito, lasciando vedere solamente (e neppure tanto bene) tutto il marcio che c’era. E questo è quanto appare dagli atti di inchieste parlamentari e di indagini giudiziarie che finalmente si stanno con fatica facendo. Un ottimo libro ricchissimo di fatti, citazioni e dati è “I Mandanti” di Gianni Cipriani, Editori Riuniti. Ma attenzione se lo leggi, perché la storia recente della nostra bella Italia ti apparirà ben diversa, più squallida e succube a forze antidemocratiche di come ce l’avevano sempre presentata.
Anche nel resto del mondo la massoneria ha avuto ed ha un’influenza enorme in tutti i sistemi democratici. Le dittature hanno invece sempre combattuto la massoneria con tutti i mezzi, “quasi” fosse una delle antagoniste principali (anche se nell’ombra) del potere assoluto del Comandante Supremo. Ciò è avvenuto nel Fascismo, nel Nazismo, nel Comunismo, in Portogallo, in Spagna.
Negli USA gli affiliati sono più di 3 milioni e ben 14 dei suoi presidenti erano affiliati a logge massoniche: da George Washington (presidente dal 1789 al 1797) agli ultimi, Roosevelt (1932-1945), Truman (1945-1953), Johnson (1963-1968), Ford (1974-1976). Altri massoni furono Voltaire, Goethe, Lazaro Cardenas presidente della Repubblica del Messico dal 1934 al 1940, Salvador Allende eletto presidente del Cile nel 1970, Henry Ford, fondatore della casa automobilistica omonima. Anche Mustafa Kemal Ataturk presidente della Turchia dal 1923 al 1938 era massone. In Canada J. A. Mac Donald creatore della Confederazione e ben sei Primi Ministri furono di estrazione massonica. In Svezia il re è per tradizione Gran Maestro del Rito Svedese.
Sulla banconota da un dollaro americana (la più forte moneta del mondo) è disegnata una piramide tronca, sovrastata dall’occhio onniveggente del Grande Architetto dell’Universo. Con il motto in latino che tradotto dice: “Arride agli iniziati una nuova era.” Simbolo massonico presente anche nella Sala della Meditazione del Palazzo dell’Onu a New York.
Oggi in Italia esiste il Grande Oriente d’Italia cui fanno riferimento 600 logge e 18000 affiliati e la Gran Loggia Nazionale a cui obbediscono 250 logge e 6000 affiliati. Attualmente una settantina di parlamentari e moltissimi medici, avvocati, giuristi, fisici, docenti universitari, magistrati, sono affiliati alle varie logge.
Tra i vari fini nobili quali la sintesi tra scienza e libertà e il desiderio di elevazione spirituale esiste il principio solidaristico dell’aiuto fra ‘fratelli’ (termine con cui i massoni si autodefiniscono), con i quali moltissimi iscritti si aiutano nelle rispettive carriere (è risultato ad esempio che più di un primario d’ospedale è massone e questo è stato probabilmente il maggior merito per fargli raggiungere l’apice della carriera).
Questo è il diciasettesimo capitolo del libro “Vera Democrazia” di Paolo Michelotto.
http://www.macchianera.net/archives/2004/04/mi_manda_piccone.html
MI MANDA PICCONE
Credo che il picconatore abbia molti più scheletri nell’armadio di quanti ne abbiano il gobbo e il nano messi assieme. Che il logorroico sardo sappia molte più cose di quante non ne dica, e che sia il maggiore responsabile del clima politico basato su ricatti, allusioni e cose fatte sapere a chi di dovere, instauratosi in Italia a cavallo degli anni ‘70 e ‘80.
Credo anche che in Italia avessimo Batman, il personaggio di Enigma lo vorrebbe fare sicuramente Francesco Cossiga. Entrambi non stanno dalla parte dei buoni. Entrambi centellinano i segreti di cui sono a conoscenza, vincolandone la divulgazione alla soluzione di stupidi indovinelli. Da anni, infatti, man mano che l’Alzheimer galoppa, l’ex Presidente della Repubblica continua divertito a togliersi dalle scarpe i sassolini residui dell’epoca delle picconate, riguardanti gli anni più cupi della storia Italiana. E lo fa con cognizione di causa. Fateci caso, e pensate a qualche episodio oscuro del recente passato: lui, in qualche modo, c’era. Sempre. Ustica? Presidente del Consiglio. Rapimento Moro? Ministro dell’Interno. Strage di Bologna? Presidente del Consiglio.
Nell’agosto del 1991 raccontò al regista Zeffirelli (confermando in seguito) di «conoscere uno per uno» i terroristi coinvolti nel rapimento di Aldo Moro e di sapere dove fosse ubicata la prigione. Due anni fa, durante un convegno, ha dichiarato che secondo lui con la strage di Ustica gli americani non hanno nulla a che fare e, piuttosto, gli pare più verosimile che l’aereo sia stato abbattuto da «un missile». Voi lo leggete in italiano, ma lui l’ha pronunciato in francese: “an missìl”. I francesi, dopo aver colto l’insinuazione, hanno faticato ma sono riusciti a trovare un personaggio di pari autorevolezza che potesse controbattere all’insinuazione: «Me stiamo schersandò, quel màntitor! Con uno come Cossiga non starei nemmeno nella stessa stonsa», ha dichiarato l’ispettore Clouseau.
Per motivi che a noi comuni mortali non è dato conoscere, ma forse solo per rinnovare la propria assicurazione sulla vita, da anni, di tanto in tanto, l’ex presidente Francesco Cossiga bracca un giornalista e gli riempie la saccoccia di insinuazioni su questo, malignità su quello, pettegolezzi e illazioni sul tal altro, sempre con la faccia di uno che la sa lunga ma non la può raccontare tutta. Come uno che, appunto, ha visto cose che noi umani non possiamo neanche immaginare, senza neanche essersi dovuto recare al largo dei bastioni di Orione per scorgere le navi da combattimento in fiamme.
L’ultima allusione maligna – per quanto goffamente nascosta tra le righe – l’ha riservata all’ADNKronos qualche tempo fa, in occasione dell’avvicendamento alla direzione del Corriere della Sera tra Ferruccio De Bortoli e Stefano Folli: “Folli è un vecchio spadoliniano intelligente, ottimo scrittore, duttile che va d’accordo con tutti, dall’estrema destra all’estrema sinistra e poi ha due garanzie! Una il palazzo dei Quirinale, e l’altra il non più palazzo Giustiniani, non nel senso senatoriale del termine, ma via Giustiniani, anche se su di essa si affacciano solo due o tre stanzette, che io di più non riuscii da presidente del Senato ad assicurare all’Istituzione ai tempi del gran magistero del buon amico Armandino Corona, spadoliniano anch’esso. Auguri comunque se i fatti matureranno, a De Bortoli ed a Calabrese o Folli che entrambi io stimo”.
Rebus facile: Armando Corona è stato Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, eletto nel 1982 e confermato nel 1995 con il difficile compito di scindere, agli occhi dell’opinione pubblica, l’immagine della massoneria da quella della loggia P2. Palazzo Giustiniani e via Giustiniani (ai numeri civici 2 e 5) hanno invece ospitato la sede del Grande Oriente dal 7 luglio 1960 al 1987, e cioè fino a quando il locatore – il Governo italiano – decise di non rinnovare il contratto d’affitto in seguito agli effetti dello scandalo P2.
Cossiga, insomma, in quell’occasione, tenne a far sapere a qualcuno che lui sa. Quindi, che non gli rompano i coglioni. Che cosa, poi, sappia o stia millantando di sapere, noi umani lo riusciamo – questo sì – ad immaginare. Che Folli sia un massone? Amico di massoni? Che sia gradito ai massoni?
Io, dovendomi rapportare a Francesco Cossiga, continuo a mantenere la solita strategia. Che poi è semplice: una volta me lo sono trovato, seguito da una scorta armata, sul Pendolino. Sono salito in carrozza sereno: dal momento che lui si trovava lì, comodo comodo e seduto accanto a me, se c’era qualcosa al mondo che sarebbe potuta esplodere non era quel treno.
Detto tutto questo, il testo non è mio, ma degli ottimi Sergio Flamigni e Michele Gambino.
Data: 25/10/2004 18:14
Agli ex-appartenenti all’organizzazione anche un distintivo per l’uniforme militare
GLADIO, DDL COSSIGA PER RICONOSCIMENTO STAY BEHIND
L’ex presidente della Repubblica: ”Non era una struttura eversiva e i suoi iscritti hanno subìto una persecuzione politica e giudiziaria”
Roma, 25 ott. (Adnkronos) -Punta a dare ”un giusto riconoscimento politico e morale anche sul piano dello status militare” agli ex appartenenti della struttura della rete italiana Stay Behind, nota come ‘Gladio’, un disegno di legge presentato oggi dal presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Con il provvedimento viene ”sancita l’equiparazione del servizio volontario prestato presso la struttura Stay Behind al servizio presso le Forze Armate dello Stato. L’articolo 3 del provvedimento sancisce infatti l’equiparazione dell’associazione Stay Behind, costituita il 4 febbraio 1994 tra gli appartenenti alla disciolta struttura ‘Gladio’, alle altre Associazioni d’arma riconosciute dal Ministero della Difesa. Cossiga ricorda che con la sentenza n. 17 del 3 luglio 2001, la Corte di Assise di Roma ha statuito in via definitiva ”ciò che era già politicamente e storicamente evidente: la piena liceità e legittimità della struttura della rete italiana Stay Behind”, i cui membri ”hanno subìto durante tutto il periodo seguito allo scioglimento dell’organizzazione, sino alla sentenza anzidetta, una vera e propria persecuzione politica e giudiziaria, contraddistinta da pesanti illazioni sulla pretesa natura eversiva di ‘Gladio’, e sull’ingiusto collegamento della relativa organizzazione ai non ancora del tutto chiariti episodi di destabilizzazione sofferti dal nostro Paese dagli anni ’60 sino alla definitiva sconfitta del terrorismo e soprattutto alla fine della ”guerra fredda”. Il riconoscimento ”politico, morale e militare” chiesto da Cossiga esclude gli ex appartenenti a ‘Gladio’ possano ricevere prestazioni previdenziali e assistenziali. Il ddl presentato oggi da Cossiga prevede però anche ”l’istituzione di un distintivo onorifico per gli appartenenti alla struttura, che può essere portato dagli aventi titolo sull’uniforme militare in base alle disposizioni vigenti in materia”.
http://www.geocities.com/Pentagon/4031/
SCRIVE UN GLADIATORE
Dedicato a tutti coloro che c’erano e sono stati cancellati!
Scrivo questa storia ad Ajaccio, in Corsica, in questo 10 Febbraio 1997, anniversario del Tet, dell’anno della Tigre di Legno (1975), per evitare che, con la mia morte, la cancellazione mia e dei miei commilitoni giunga a compimento e di noi non restino altro che le diffamazioni e le calunnie che ci sono state riservate in questi anni di infamie. Se morirò prima di essere riuscito a portare a termine la mia ultima missione, affido a Voi, popolo di Internet, la nostra storia, quella vera !. La storia delle tre Centurie dei Gladiatori di Stay-behind Italia. I Gladiatori del S.I.D : ciò che furono e ciò che ne è stato ! !
Dio perdoni chi ci ha cancellato …io non posso!
La storia che vi racconto è incompleta, non posso raccontarvi ciò che non so. Posso narrare, per filo e per segno, le operazioni della II° Centuria di Gladio detta “Lupi” e più dettagliatamente della IX° Decuria di cui facevo parte e … la vita di G.71 VO 155 M (G.stava per Gladiatore ed M per Marina Militare Italiana) . Ciò perché io ero Lui … prima di essere cancellato, con tutti noi!. Perdonate qualche errore di grammatica, noi eravamo addestrati a combattere dietro le Linee nemiche e ad imparare presto ad usare qualsiasi tipo di arma, anche e soprattutto quelle del nemico. Ma, del nostro addestramento, non faceva parte lo scrivere !, non veniva considerata un arma e, ancor meno, un arma del nemico !. Con la Nostra storia Vi dimostrerò, invece, che mai arma fu più subdola e mortale. Si sbagliavano quanti ci addestrarono … avrebbero dovuto insegnarci a scrivere o, perlomeno, garantirci scrittori amici. Cosa che non si preoccuparono mai di fare. Io, ultimo (e forse unico) sopravvissuto di Gladio, ho dovuto imparare a farlo e, credetemi, mai un compito mi fu più arduo, mai un impresa fu più disperata, mai le forze più impari !. Ho dovuto anche imparare i Codici della Legge e dei Diritti per i quali ci siamo battuti con Onore sui campi di battaglia di mezzo mondo … e scoprire che coloro per i quali ci siamo battuti non li conoscono, li umiliano violandoli sistematicamente e vendendo la Patria al miglior offerente ! Ho imparato tutto questo. Ho dimostrato a me stesso, facendo Onore a chi non c’è più, che per Noi nessuna impresa era ed è impossibile … e del ritorno chi se ne frega ! Solo … se morirò anch’io … cosa resterà di Noi ! ? Solo quello che “Loro” hanno scritto ! ? Per questo ho imparato ad usare il Computer. Per questo ho imparato ad usare Internet. Per questo, come potrete leggere, ho denunciato l’Italia, ai sensi degli Artt.13 e 25 della Convenzione Europea per i Diritti e le Libertà fondamentali dell’Uomo di Strasburgo, per la violazione dei miei Diritti e per tutti gli abusi commessi dai Pubblici Ufficiali di questa Italia che non riconosco certo come mia Patria, ma come “Loro” Patria. Leggerete che questa mia ultima missione dura ormai da anni, … da quando fui cancellato. Cancellazione certo più comoda e conveniente, … piuttosto che pagare gli arretrati e le liquidazioni spettanti !. Tuttavia, non ebbi motivi provati per denunciare il saccheggio delle Nostre spettanze. Ma, dice il proverbio : “il Lupo perde il pelo, ma non il vizio !”.
“Quei Lupi” … non hanno perso il vizio del saccheggio ed hanno continuato con i miei beni di famiglia. Ormai vittoriosi, non si sono preoccupati nemmeno di non lasciare tracce dei Loro delitti. “Questo Lupo” … non ha perso il vizio di battersi a morte contro i Tiranni ed i loro servi … e così sia ! Ma se morirò prima di aver vinto ottenendo Giustizia, i traditori codardi ed assassini della Patria, li avrai conosciuti anche Tu ! ! !. La somma che ti viene richiesta è un contributo alle spese. Nessuno mi aiuta in questa guerra, gli Avvocati mi sono costati un occhio e ancora ne avrò bisogno ed anche Internet ha i suoi costi ed io …Non ho nessuna intenzione di arrendermi !!!
Inoltre, vorrei costruire un monumento funebre alla Nostra memoria e di tutti i caduti per la Libertà e la Democrazia! Se ce la farò … ad Alghero!
Del S.I.D, durante i corsi, ci fu detto che suo compito Istituzionale era :”Assolvere ai compiti informativi (III° Centuria “Colombe”) e di sicurezza per la difesa, sul piano Militare (I° Aquile e II° Lupi), dell’Indipendenza e dell’integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione. Le attività principali sono l’offensiva e la difensiva …” (e non è ciò che abbiamo fatto ! ?). Nelle pagine che seguono, leggerai che è proprio ciò che Noi abbiamo fatto : il nostro dovere verso la Nostra Patria e … ci è costato caro !.
Della N.A.T.O “North Atlantic Treaty Organization”, durante i corsi, ci fu detto che era stata costituita allo scopo di assicurare, in conformità e a integrazione delle finalità e dei principi della Carta delle Nazioni Unite, la sicurezza internazionale e il benessere dei rispettivi Paesi. In sostanza, si mirava a fronteggiare, con l’aiuto Americano e attraverso una preordinata collaborazione soprattutto militare, l’eventuale espansione della potenza Sovietica verso l’Europa Occidentale. Ci fu anche detto che, la “Guerra fredda”, per Noi, sarebbe stata calda, anzi caldissima! e negli anni che seguirono ci fu dimostrato quanto erano veritiere queste parole. Nelle pagine che seguono, leggerai che, anche in questo, sui campi di battaglia di mezzo mondo, Noi facemmo il Nostro dovere verso la Nostra Patria e … ci è costato altrettanto caro!.
QUANDO SI ACCUSAVA COSSIGA
Falco Accame
Liberazione 18 ottobre 1998
Ventinove i “reati” addebitati all’ex presidente della Repubblica: dai pesanti giudizi sulla commissione alla minaccia di sospendersi. Tutto archiviato.
Tutto fini con l’archiviazione, da parte del comitato parlamentare, dei procedimenti di accusa, come si legge negli atti parlamentari del 12 maggio 1993. Tra i firmatari di quegli atti di accusa nei riguardi dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga si leggono i nomi di Ugo Pecchioli e Luciano Violante, di Marco Pannella e Nando Dalla Chiesa, di Giovanni Russo Spena e Sergio Garavini, di Lucio Libertini e Lucio Magri, di Leoluca Orlando e Diego Novelli e tanti altri. Le accuse che il comitato ritenne tutte manifestamente infondate erano in numero di ben 29. Tra queste: a) l’espressione di pesanti giudizi sull’operato della commissione di inchiesta sul terrorismo e le stragi; b) la lettera del 7 novembre ’90 con la minaccia di «sospendersi» e di sospendere il governo onde bloccare la decisione governativa riguardante il comitato su “Gladio”; c) le continue dichiarazioni circa la legittimità della struttura denominata “Gladio” benché fossero in corso indagini giudiziarie e parlamentari; d) la minaccia del ricorso alle forze dell’ordine per far cessare un’eventuale riunione del consiglio superiore della magistratura, nonché del suo scioglimento in caso di inosservanza del divieto di discutere certi argomenti; e) i giudizi sulla Loggia massonica P2, nonostante la legge di scioglimento del 1982 e le conclusioni della commissione parlamentare d’inchiesta; f) la pressione sul governo affinché non rispondesse alle interpellanze, presentate alla Camera nel maggio 1991 da esponenti del Pds; g.) l’invito ad allontanare il ministro Formica dopo le sue dichiarazioni sulla struttura “Gladio”; h) la rivendicazione di un potere esclusivo di scioglimento delle Camere e la sua continua minaccia; i) la minaccia di far uso dei dossier e la convocazione al Quirinale dei vertici dei servizi segreti; 1) il ricorso continuo alla denigrazione, onde condizionare il comportamento delle persone offese e prevenire possibili critiche politiche.
Evidentemente, molta acqua è passata sotto i ponti. Eppure, fatti gravi del passato non sono stati ancora chiariti in merito ad alcune delle accuse mosse all’ex presidente. Basti pensare alla organizzazione “Gladio” e all’esercitazione Delfino compiuta dai suoi quadri, nella quale otto bombe da esercizio furono gettate sulla sede del Pci a Trieste. È un atto che dovrebbe aver lasciato qualche segno, specie in coloro che nel Pci hanno le loro origini. Ancora altri fatti relativi a “Gladio” sono preoccupanti, basti pensare alle organizzazione Ossi, gli operatori speciali dei servizi di informazione, un organo che la II Corte d’Assise di Roma ha dichiarato «eversivo dell’ordine costituzionale». Non sappiamo se la procura di Roma abbia indagato su quanto ha stabilito la II Corte d’Assise, ma ci auguriamo che lo abbia fatto.
Cerchiamo di tornare indietro negli anni per rivedere più in dettaglio il retroterra degli atti di accusa. Risaliamo a quando l’onorevole Cossiga ricoprì, nel primo governo Rumor, il posto di sottosegretario alla Difesa con l’incarico di dirigere un team di collegamento con la commissione parlamentare di inchiesta sui fatti eversivi del luglio 1964 (in pratica il cosiddetto piano Solo del generale De Lorenzo). Insieme all’onorevole Alessi e all’ammiraglio Eugenio Henke, capo dei servizi segreti (il Sid come allora si chiamava l’odierno Sismi), Cossiga si occupò del controllo sulla manipolazione dei nastri della commissione Lombardi che conduceva l’inchiesta.
Insieme ai deputati Gui e Moro, Cossiga fu tra i pochi a conoscere cosa accadde su questi nastri. Pare che Henke avesse coperto le deviazioni del Sifar e il tentato golpe del ’64, ma non si è mai saputo cosa nascondessero gli omissis del piano Solo.
Il piano prevedeva tra l’altro la deportazione dei dirigenti comunisti (e di parte della sinistra) a Capo Marangiu in Sardegna – che in futuro sarebbe diventata la base di Gladio. Cossutta ricorda certamente questo inquietante elenco di deportandi. E forse c’è qualcosa che ha a che fare con Gladio negli omissis. Fatto sta che tutte le dichiarazioni dei generali Azzari, Bittoni, Romolo Dalla Chiesa, Lepore, Picchiotti, Sottiletti e Zinza furono colpite da omissis. Forse la pianificazione di Gladio era già avviata. Ma che cosa dobbiamo pensare di questa organizzazione?
Scriveva Aldo Tortorella (la Repubblica, 10 marzo ’92) «Con Gladio il servizio segreto usciva da quella che avrebbe dovuto essere la sua attività istituzionale, cioè l’informazione, per diventare il titolare di una organizzazione combattente clandestina permanente». Concludeva Tortorella il suo scritto: «Cossiga non è soltanto un uomo bizzarro e non è affatto un uomo solo. All’inizio forse era preoccupato. Ora, esaltando Gladio, difendendo la P2, chiamando all’attivismo politico i generali e i carabinieri, se non ha rovesciato l’opinione pubblica, ne ha certo creata una sua. Quale che sia il destino di Cossiga emerge comunque quel partito trasversale che si stende fino all’Msi e che non ha mai sopportato le garanzie costituzionali: un parlamento forte, una magistratura indipendente. Non si tratta solo del fatto che si vuol seppellire ogni ricerca della verità, temo che l’allarme democratico non sia affatto sufficiente». Il ministro Formica (la Repubblica, 28-11-90) aveva detto: «A mio avviso la democrazia in Italia ha corso gravi rischi perché Gladio era nata come una formazione libera dal controllo dello stato democratico, che aveva il compito di inquinare e deviare la vita politica italiana, di indirizzare e contenere ed ostacolare l’evoluzione democratica del paese».
Su questi temi ebbe a intervenire in televisione Cossutta, ma fu querelato da persone legate a Gladio. Sulla vicenda Gladio, Cossiga smentì anche Andreotti e il governo. Su la Repubblica (31maggio ’91) Cossiga dichiarava: «Con Gladio la Nato non c’entra»… Si legge sull’articolo citato: «Il padre di Gladio non è la Nato, ma il Patto Atlantico». Francesco Cossiga a sorpresa, contraddicendo a 360 gradi la versione del governo e di Andreotti, riscrive lo stato giuridico internazionale della struttura clandestina Stay Behind. Non si sa se queste diverse versioni dipendano dall’incidenza di Gladio nel caso Moro. In proposito, si legge sull’Unità del 31 gennaio ’92 dell’esistenza della cosiddetta sezione K: «La sezione K era pronta a “controllare” il blitz dei carabinieri per liberare Moro. La notizia salta fuori dagli archivi della Difesa perché al Viminale non c’è più la documentazione sulla “operazione Smeraldo” voluta da Cossiga. E si scopre che i gruppi Gos-K che ufficialmente erano nati nell’86 esistevano già nel 1978».
E questo ci porta al documento sopracitato degli Ossi (Operatori speciali del servizio informazioni) che appunto erano nati dai Gos (Gruppi operativi speciali della sezione K). È emerso anni dopo, nella citata sentenza della seconda Corte di Assise di Roma, che il documento relativo agli Ossi «deve essere ritenuto eversivo dell’ordine costituzionale ai sensi dell’art. 12 secondo comma della legge 801/1977 e come tale insuscettibile di apposizione del segreto». La seconda Corte d’assise mette dunque in rilievo che esisteva un’organizzazione eversiva in periodi molto recenti nell’ambito dei servizi segreti. Si trattava di un’organizzazione armata. Ma com’era possibile che un’organizzazione armata esistesse nei servizi visto che la legge 801/77 prevede che i servizi siano solo di intelligence?
Forse la risposta sta in una misteriosa circolare riservata della presidenza del Consiglio, su cui sarebbe opportuno indagare a fondo. Del resto non sappiamo se Gladio esista ancora, ma è certo che nel ’91, dopo che il ministro Andreotti aveva affermato che Gladio era stata sciolta, esisteva ancora a Trapani una branca di Gladio chiamata Centro Scorpione e dotata tra l’altro di un aereo superleggero di cui non si è mai saputo lo scopo. Ma a parte le operazioni degli Ossi, vi sono operazioni di Gladio sulle quali, nonostante numerosissime interrogazioni parlamentari, non si è mai avuto notizie. E speriamo che, se nascerà, il governo D’Alema darà prontamente risposte. Infatti, nell’unico documento di grosso rilievo che non è stato distrutto (e ciò per circostanze del tutto casuali), e cioè il documento riguardante la cosiddetta operazione Delfino – della quale esiste l’ordine di operazione e il rapporto di operazione – si legge che dovevano essere eseguite operazioni del seguente tipo: a) esecuzione di attentati terroristici da attuare a filo-slavi; b) atti di terrorismo da addebitare all’insorgenza; c) azioni intimidatorie; d) azioni di sabotaggio mascherato; e) costituzione di gruppi di attivisti per disturbare manifestazioni pubbliche; f) disturbo di comizi; g) schedature e divulgazione di notizie personali sugli avversari politici; h) controllo sui sacerdoti ritenuti filo-slavi.
Non sappiamo, come sopra accennato, se la magistratura di Roma stia indagando sugli Ossi e sulla esercitazione Delfino, ma ci auguriamo che il nascendo governo di sinistra si faccia parte attiva nel chiarire queste ombre del passato.
Un’altra vicenda che lasciò molto perplessi riguardò il diniego di Cossiga, allora presidente della Repubblica e presidente del Consiglio superiore della magistratura, nei riguardi dello stesso consiglio circa un ricorso del sostituto procuratore Maria Cordova, in relazione alla vendita di armi alla Libia. Si era trattato di un affare di molte centinaia di miliardi di lire alla Libia con la supervisione dei servizi segreti. Furono inviati mezzi aerei e terrestri munizioni e sommergibili tascabili. Per aggirare la legge, i mezzi blindati (M113, di cui ci siamo occupati qualche giorno fa a proposito del regalo all’Albania alla Bulgaria e alla Macedonia) furono fatti passare per automezzi e gli elicotteri per forniture per la sanità. Dopo lunghe indagini presso la procura di Roma, il sostituto Maria Cordova chiese l’autorizzazione a procedere per numerosi militari e anche per dei ministri fra cui Andreotti. Ma il procuratore, Ugo Giudiceandrea, avocò a sé l’inchiesta e chiese l’archiviazione. Il tribunale dei ministri fu d’accordo, ma il sostituto Cordova contestò il procedimento di avocazione e presentò ricorso al Csm. Ricorso che doveva essere messo all’ordine del giorno il 20 novembre ’91. Ma ci fu opposizione, come s’è detto, da parte del presidente della Repubblica.
A parte queste vicende, il nome di Cossiga è tornato numerose volte alla ribalta in questi anni anche a volte per eventi che hanno destato preoccupazione. Vogliamo solo ricordare il caso di Giorgiana Masi, 12 marzo 1977, il comitato che fu nominato al Viminale per le indagini sul caso Moro (che risultò in seguito essere composto di tutti iscritti alla P2), la vicenda del figlio dell’onorevole Donat Cattin.
Ora il nome di Cossiga torna alla grande. Senza il suo consenso il governo D’Alema è un’ipotesi impossibile. Difficile dire quale sarà l’opera di Cossiga nel futuro del nostro Paese e in particolare in un governo di sinistra. Non dimentichiamo che tra l’altro egli è anche un capitano di fregata. Un’ultima riflessione: se è comprensibile che fatti lontani nel passato possano essere dimenticati e che forse è esagerato il ricordo ancor vivo nei serbi di una battaglia, quella del Kosovo, che fu combattuta 500 anni fa, forse è troppo presto per dimenticare fatti che pure furono richiamati all’attenzione del Parlamento solo cinque anni fa.
L’ira del Picconatore: “Non voglio una commissione per prestarmi a giochi di ricatti”
“La verità sui segreti del Pci o esco dalla maggioranza”
di ANTONELLO CAPORALE
ROMA – “
Il sì alla mia proposta è una truffa. A questo punto non me ne occupo più, esco e vado a teatro”. Sono le otto di sera, Francesco Cossiga è a Milano e decide – dopo giorni di buffetti maligni sulle guance – di assestare a Massimo D’Alema il colpo del kappaò. Notificata anche attraverso una inserzione pubblicitaria sul “Corriere della Sera”. Da tempo si sentiva il ronzìo dell’ex capo dello Stato intorno al governo, attenzione di cui il premier avrebbe volentieri fatto a meno. “Ho consigliato a quei ragazzi di palazzo Chigi…”, diceva Cossiga, e sfotteva, riepilogando quotidianamente i colloqui inutili che, al telefono, aveva con Marco Minniti, il sottosegretario alla presidenza (“un ragazzotto elegante di Botteghe oscure”). Ho consigliato, diceva Cossiga, ma lui niente. “E’ la terza volta che cerco di salvare i comunisti, l’ho fatto da ministro dell’Interno, poi da capo dello Stato, infine oggi, e loro continuano a distruggersi da soli. Hanno detto di sì alla commissione. Poi mi hanno mandato a dire che bisogna trovare un accordo sui contenuti. Vogliono un’inchiesta sulla guerra fredda. Gli ho risposto: ve la fate da soli”.
Chi lo conosce bene assicura che Cossiga adesso vuol presentare il conto a D’Alema. Conto, inutile aggiungere, salato. “Non vogliono accettare una commissione che certifichi i soldi presi dall’Urss. Io li ho trattati da uguali, ma loro vogliono continuare a sentirsi diversi… Li ho mandati al diavolo, io quella proposta non l’accetto”.
Per sempre al diavolo D’Alema, dunque? Oggi sapremo. Perchè stamane il presidente del Consiglio gli comunicherà che sì, va bene anche la commissione d’inchiesta linmitata ai finanziamenti sovietici, va bene discutere soltanto di comunisti e di spie, di Kgb e di Botteghe oscure, di Cossutta e dell’ambasciatore Rizhov. Sperando che finiscano questi orribili scricchiolii che turbano il sonno di troppi e allarmano i ministri come Guido Folloni, chiamati – a torto o a ragione – a lasciare per primi la poltrona quando Cossiga chiamerà. “Crisi? Nooo, secondo me Cossiga col suo pressing cerca giustamente di vederla davveroquesta commissione. Ho parlato con il presidente del Senato Mancino, in una settimana ce la dovremmo fare. Quando si accorgerà che si va avanti, e di corsa, comprenderà di aver ottenuto quello che voleva”. Così dice, e così spera Folloni. La pace, dovesse essere davvero firmata, sarebbe comunque fragilissima, dopo che il senatore a vita ha deciso di processare il premier sulle pagine del Corriere della Sera, in uno spazio preso a pagamento. “Caro D’Alema, difendi la storia d’Italia altrimenti…”, scrive la penna velenosa di Francesco Cossiga. Scrivila, altrimenti ti lascio al tuo destino. C’erano mille modi per comunicargli il messaggio. La fantasia cossighiana – sempre fertilissima – ha scelto la modalità più clamorosa, l’inserzione pubblicitaria, per esprimere il dissenso. Chi ha gli occhi, e soprattutto le orecchie allenate a riconoscere le intenzioni dietro anche alla più lineare delle mosse, si attende invece che il botto, la crisi di governo cioè, esploda nelle ore che seguiranno. “Se lo conosco un poco, credo che non ritornerà sui suoi passi – spiega per esempio Angelo Sanza, deputato classificato come fedelissimo – Altrimenti perchè ostentare così il suo dissenso? No la misura è colma, è proprio colma. D’Alema probabilmente dovrà fare a meno dei cossighiani. In termini numerici non è un problema, ma politicamente questo governo reggerà l’urto?”. Attendere per capire, “perchè certo la parola fine non è stata scritta e se si rimangiano tutto è possibile che Cossiga sia costretto a ritornare sui suoi passi”. Costretto, non voglioso di ritornarvi. Perché più passa il tempo e più Cossiga deve ascoltare i rimproveri di cardinali e grandi capitani d’impresa sulla sua scelta di far fuori Prodi e mettere sul trono D’Alema, “l’ex comunista”.
A Milano – dove l’ex presidente della Repubblica da qualche giorno si trova – la convinzione di aver fatto “una frittata”, come dice Sanza, si è ancora più radicata. Avrà sentito, forse anche da Cesare Romiti, le perplessità sul conto di D’Alema e l’invito a sganciare il carro dei moderati da quello di Botteghe oscure s’è fatto ancora più pressante. Anche l’ultimo dei dubbi è così svanito e Cossiga ha scritto il suo atto d’accusa. Lunghissimo, com’è nello stile: “Tu sei, diciamo anche per opera mia, il presidente del Consiglio ed hai il dovere di difendere e tutelare la storia d’Italia. Per questo io, pur se rappresento solo me stesso, faccio parte della tua maggioranza e ti ho finora sostenuto. Ma se sceglierai per un passato oscuro e inquietante, io sceglierò, e inviterò i miei amici a scegliere, per la dignità e l’orgoglio della Nazione”.
D’Alema non tergiversi e non tenti di diluire la storia comunista nel calderone dei “misteri d’ Italia”. Confondere i nomi e la storia, avvicinare le spie del Kgb alle azioni di Gladio è l’ultima ingiuria. Gladio, appunto. Cossiga rivela di essere stato informato di un’inchiesta aperta su di lui dalla procura di Palermo relativa al suo ruolo in Gladio. Esistono – scrive – “minacce che in queste ore vengono portate a mia conoscenza da autorità istituzionali e da ambienti giornalistici oscenamente formulate con il sistema della mormorazione e dei sussurri”. Cossiga sotto accusa “da sostituti procuratori ammalati di onnipotenza che sembrano star preparando uno dei soliti dossier pseudo- giudiziari”, proprio quando D’Alema e Veltroni si adoperano per far confluire l’inchiesta sulle spie del Kgb nel fiume velenoso dei “misteri d’Italia”? “Caro presidente del Consiglio, nessuno, almeno non io, è fesso. Non voglio certo una commissione d’ inchiesta per prestarmi a un gioco di ricatti e controricatti, di offerte e controfferte”. Al Paese “serve la verità”. E, caro D’Alema, il dossier Mitrokhin è, forse, il primo tomo di una lunga serie di dossier che da Mosca “eventualmente seguiranno”. Il conto, dicevamo, è salato: “Se altri, comunisti e no, hanno tradito il paese non c’è niente da archiviare”.
(14 ottobre 1999)
Il Presidente Cossiga si lascia andare a qualche indiscrezione sul vero significato del “ribaltone” Prodi/D’Alema, provocato non si sa bene da chi in vista della futura aggressione alla Serbia…
L’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, non nuovo ad esternazioni (che in effetti si potrebbero anche dire ammissioni, o forse meglio: “confessioni”) che gettano – per chi voglia “capire” davvero qualcosa della storia, e tenga quindi orecchie ed occhi aperti – barlumi di luce sui veri retroscena della vita politica del nostro paese, si lascia andare [sul settimanale “Sette” del “Corriere della Sera”, in edicola la settimana intorno al 25.1.01] alla seguente confidenza:
“- Ho dato vita all’operazione piu’ ardita contribuendo a portare a Palazzo Chigi il primo postcomunista.
– Si e’ pentito?
– Assolutamente no. Indegnamente ho fatto quello che aveva in mente Aldo Moro. E poi c’erano esigenze pratiche. Non saremmo stati in grado di affrontare la crisi del Kosovo se avessimo avuto un governo Prodi. D’Alema, come tutti quelli educati alla scuola comunista, non e’ un pacifista.
– D’Alema guerrafondaio?
– Il pacifismo comunista non esiste. Mentre esiste il pacifismo cattolico e certamente ne era parzialmente intriso Prodi.”
Ricordo ai lettori che il governo Prodi cadde, in modo che sembrava piuttosto casuale, e certamente “pittoresco”, il 10 ottobre 1998 [buffo che proprio il 10 ottobre dell’anno precedente segnasse la fine di un altro governo Prodi], quando della crisi del Kosovo i mezzi di propaganda di massa parlavano poco, e certo nessuno pensava all’effettiva possibilita’ che venisse scatenata una nuova vera e propria guerra in Europa. Con estrema e inusuale rapidita’ (“Nell’interesse del paese”, titolava “L’Unita’”), il governo D’Alema fu insediato il 22 ottobre successivo, e ancora nulla sulle prime pagine dei giornali in ordine alle tristi vicende della vicina ex Jugoslavia. Anzi, il 17 dicembre c’e’ spazio per un altro intervento militare del “partito della pace” nel mondo: “Diluvio di missili, inferno a Bagdad – Scatta l’operazione ‘Volpe del deserto’ per punire Saddam” [“Corriere della Sera”], in un teatro di guerra che l’opinione pubblica italiana sente “lontano”, e poi quel Saddam Hussein li’ e’ un “dittatore”, e le bombe se le merita (psicologicamente, ne prende forse anche la parte che la gente pure oggi destinerebbe retroattivamente ad Hitler). Per trovare la notizia “Missili sulla Serbia” bisogna aspettare il 25 marzo 1999, dopo un crescendo di ben orchestrata “preoccupazione” per la sorte degli albanesi del Kosovo, di fronte alla “crudelta’” dei serbi [bizzarra coincidenza, proprio lo stesso giorno a Romano Prodi viene offerto il contentino della Presidenza della Commissione Europea]. I salvatori proseguiranno a bombardare tutti, buoni e cattivi, usando anche il famigerato uranio impoverito (vedi il Dissenso N. 22), per ben 78 giorni, prima della cessazione delle ostilita’ il 9 giugno.
La storia raccontata da Cossiga e’ un’ulteriore conferma di quanto certe decisioni siano imposte oggi all’Italia da “centri di potere” e interessi che nulla hanno a che fare con quelli esplicitamente riconosciuti dall’apparente democrazia formale che vige nel nostro paese, e spiega forse anche perche’ il Parlamento non sia mai stato esplicitamente coinvolto nella decisione di aiutare sostanziosamente gli “alleati” durante l’aggressione alla Serbia.
Ripeto (vedi il Dissenso N. 7, ma anche il N. 22) una volta di piu’ che mi sento direttamente e personalmente offeso, in qualita’ di elettore che aveva designato il cattolico Prodi a capo del governo, perche’ la mia indicazione, comprendente anche quegli elementi di pacifismo astratto che spiacciono evidentemente a Cossiga, e’ stata completamente disattesa e stravolta allorche’ cio’ si rendeva “necessario”, da parte di chi ovviamente sa in anticipo come si svolgeranno certi avvenimenti, e “puo'” quindi intervenire come e quando meglio gli conviene (vedi anche, nell’appendice al punto D/8 della pagina Attualita’, l’ultima sezione dal titolo: “Cossiga: Governo, Poteri Forti e Polo”).
Nella stessa rivista viene fornito un altro esempio del distacco tra espressione della volonta’ popolare e potere effettivo (ma non si puo’ non ricordare un analogo “siluramento” di un governo regolarmente eletto – per quanto questa parola abbia un senso con le attuali regole – quello Berlusconi, e il sorprendentemente tempestivo “ruolo” esercitato dalla magistratura nell’occasione), che non puo’ non dirsi “inquietante” per coloro che credono in autentica alternanza, e in reali contrapposizioni di “ideali” politici, a decidere pro o contro i quali e’ chiamato a pronunciarsi in ultima istanza il “cittadino”:
“[Amato] da uomo dell’opposizione finira’ per trovar spazio nella prossima legislatura sotto le insegne del Polo. Perche’ a Berlino il Cavaliere ha affermato che la sua aspirazione sarebbe avere l’attuale premier ‘come mio futuro ministro degli Esteri'”.
L’autore dell’articolo avverte in effetti subito dopo che forse non sara’ cosi’, in quanto Amato avrebbe declinato l’offerta [“perfino al premier parve un’operazione troppo sottile”], ma resta il guaio che a certe cose si puo’ evidentemente “pensare”, e senza apparente “scandalo”. Del resto, il Prof. Amato, che viene definito nell’articolo in parola “simbolo di garanzia interna e internazionale” (?!), e’ la stessa persona nei confronti della quale il Cossiga dianzi citato si esprimeva con le seguenti parole (vedi la gia’ citata appendice al punto D/8 della pagina Attualita’):
“Chi conta, qui e fuori, sa bene chi è Amato”…
(UB, gennaio 2001)
CRONOLOGIA 1998
http://www.cronologia.it/la98.htm
29 MARZO 1998 – Corriere della Sera – Berlusconi: “Cossiga è un distruttore”. Il “picconatore” incassa e risponde caustico al Cavaliere “Lui preferisce servitori pronti a bassi servizi, tra cui quello di alterare le opinioni altrui e fare il mazziere dell’avversario”.
18 APRILE 1998 Corriere della Sera – COSSIGA fa l’analisi finale al Congresso di FI: “E’ un partito senza democrazia. Silvio deve smetterla di comportarsi da papà. Ho sentito gridare Silvio, Silvio! Ma lui avrebbe voluto che tutti lo chiamassero Papà, Papà”.
28 GENNAIO 1998 – Corriere della Sera – COSSIGA precisa la “Cosa”: “Nascera’ un movimento grande, laico. la sintesi tra gli eredi di De Gasperi, Einaudi, La Malfa, Saragat. I poli saranno due, sempre due, da una parte la sinistra, dall’altra noi; il centro riformatore, senza AN. Il Cavaliere? Venga nel mio Polo lui e altri di FI”
18 FEBBRAIO 1998 – Corriere della Sera – – UDR E COSSIGA – ROMANI: “Cossiga? mi sembra che il suo interesse sia quello di far fuori Berlusconi, di distruggere la sua leadership. Nel Polo, dentro Forza Italia, dappertutto”.
22 FEBBRAIO – 1998 – URD – COSSIGA risponde al Tg1 alle accuse “E’ vero, la nostra idea è di scompaginare i giochi e ci stiamo riuscendo. Vogliamo mettere in crisi il triangolo della morte: Berlusconi, D’Alema e Fini. Mi auguro di essere destabilizzatore di una situazione che si sta concludendo”.
22 FEBBRAIO – Corriere della Sera – Gianni Bozzo consigliere politico di Berlusconi, tuona al consiglio di Forza Italia “Drastica chiusura a Cossiga, dobbiamo fare resistenza in periferia, dobbiamo opporci (e con una esclamazione molto disinvolta) per Dio!!” . (adesso ringrazia per grazia ricevuta)
11 MARZO ’98 – Corriere della Sera – IL FILOSOFO COLLETTI esterna duro – Rilascia un’intervista e fa clamorose e inquietanti profezie sul futuro del suo partito e sul Cavaliere “Noi di FI faremo la fine dei socialisti e BERLUSCONI la fine di CRAXI. Il Cavaliere ha un numero di rinvii a giudizio a due cifre. Alla fine sarà costretto a scappare come Craxi. E come d’altra parte gli consigliano già i suoi avvocati. L’effetto sarà come se sul centrodestra fosse passata la diossina, per vent’anni non ci crescerà nemmeno la cicoria. FINI si ridurrà a fare l’ultimo dei Mohicani e per vent’anni ci terremo questi qua finché non esploderà il conflitto tra D’ALEMA e i cattolici di PRODI. –
BERLUSCONI letto il Corriere si è “arrabbiato come un drago”, …”ma come si permette, gli ho fatto la campagna elettorale tutta io, soldi e voti a disposizione, poi mi tratta così”. Fa seguire scongiuri e qualcuno giura che i reclutamenti d’ora in poi B. non li farà più cercando dentro le file di intellettuali, filosofi o professori. “Parlano troppo e sono irriconoscenti”.
18 APRILE 1998 – Corriere della Sera – Al Congresso di Forza Italia COSSIGA fa l’analisi finale: “E’ un partito senza democrazia. Silvio deve smetterla di comportarsi da papà. Dia ai suoi il potere, se vogliono, anche quello di cacciarlo. Non deve trattare i delegati come spettatori o invitati, ma trasferire a loro la possibilità di decidere; non li impacchetti se dicono cose che a lui non vanno bene. Ho sentito gridare Silvio, Silvio! Ma lui avrebbe voluto che tutti lo chiamassero Papà, Papà. Papà”. “La democrazia bloccata, prima era il fattore K, il PCI, ora sta emergendo il fattore B, la concezione patrimoniale del partito”.
Baget Bozzo in un’intervista (Corriere di domani 25 giugno 1998, pag. 5) “Berlusconi è un ingenuo e un bonario; non conosce la perfidia dei democristiani, il gioco dei quadrumurti: Scalfaro, Prodi, Mannino, Cossiga. Deve capire che adesso il suo nemico non è D’ALEMA ma COSSIGA, con il quale deve rompere i rapporti non avere rapporti ambigui con lui”
28 SETTEMBRE 1998 – Corriere della Sera -COSSIGA: “Berlusconi vuole arrivare dove comprende di non poter arrivare con il denaro. E’ un pusillanime, ha umiliato i suoi deputati e senatori, pensa di averli comprati (La “filippica” e la “strigliata” del 12, al suo vertice “io pago e dovete essere presenti!”) Poi Cossiga continua: “Non gli rimane altro che sciogliere il suo partito per consentire la nascita di un partito nuovo, credibile, moderno, un libero partito di centro”. Poi rispondendo ad AN Cossiga sferra una fiorettata: “Caro Fini, noi saremo anche gli straccioni di Valmy, ma abbiamo niente a che fare con i mercenari che si vendono a chi meglio paga”.
27 OTTOBRE – 1998 – Corriere della Sera – COSSIGA dopo aver preparato sul Colle il D’Alema capo del governo: ” “Appoggio D’Alema per patriottismo, e anche per coerenza con me stesso….”.
30 OTTOBRE 1998 – Corriere della Sera – AL SENATO per il voto di fiducia a D’Alema, duro scontro di Cossiga che torna ad attaccare il centrodestra: sul Cavaliere infierisce con invettive “Berlusconi si ritiri dalla politica, torni a fare il Cavaliere di Cernusco e io sono pronto a sciogliere l’UDR”. Se lui è De Gasperi allora io sono Alessandro Magno. Lo avevo votato anch’io nel’94, ma non perchè si arricchisse ancora di più, da 4 mila a 14 mila miliardi. Se diventa Presidente della Repubblica io chiederò asilo in Irlanda”. Infine un tiro birbone nel suo stile: regala a D’Alema un bambino in marzapane per far vedere a Berlusconi come i comunisti mangiano i bambini”.
3 DICEMBRE 1997 – DOPO VOTO – Nel Polo e’ giunta l’ora della resa dei conti. -COSSIGA interviene “Sono io l’unico oppositore del Cavaliere, forse a destra o sinistra ne esistono altri ?” – BUTTIGLIONE ” Si’ e’ l’ora di fondare un nuovo partito. Un Polo basato su FI e AN e’ destinato a perdere sempre, non vogliamo essere un soprammobile“- FINI azzera il suo stato maggiore e si prepara alla svolta. “L’organizzazione dev’essere cambiata radicalmente” – BOSSI soddisfatto dei risultati “Il Polo non ha piu’ ragione di esistere. Vie di uscite ? Berlusconi si penta pubblicamente e si iscriva alla Lega“.
QUANTO AI PROGETTI – “Non chiamatelo partito. La gente non vuol più sentire questa parola”. – “Stiamo costruendo un non-partito, un movimento all’americana. Non esisteranno sezioni, burocrazia, correnti”. – “Forza Italia è il primo tentativo storico, dal ’45, di creare un partito liberale di massa”. – “E’ tempo di cambiar sistema. La società civile lo ha capito, e storce il naso di fronte al riproporsi dei vecchi partiti e della vecchia politica”. – “Siamo uomini NUOVI alla politica, che vengono dalla trincea del lavoro e delle professioni, il meglio di un Paese pulito, ragionevole, moderno”. – “Basta con i vecchi arnesi della politica!”. – “Abbiamo sostituito la vecchia classe politica con manager, uomini d’affari, docenti senza legami col passato”. – “Ho detto dei “no” a molti per evitare l’ingresso nel governo di gente che ne avrebbe compromesso l’immagine, avrebbero dato un’immagine di vecchio”. – “Occhio alle vecchie volpi”. – Discorso del 24 marzo 1993: per 14 volte ha citato “la vecchia politica”, i “politicanti di mestiere”.
In quanto al “nuovo , il “vecchio” BAGET BOZZO (quello del ’48), è già dentro, il “vecchio” COSSIGA (quello del 48!) sta arrivando; il “vecchio” ANDREOTTI (quello del 48!) sta pensandoci su; ora manca solo il “vecchissimo” GEDDA (l’emblema del 48) e il 48 verrebbe interamente ricostruito. (Saranno rimesse in piedi “gli eserciti della fede”, e perchè non anche la Stay Behind (Gladio) ? Il ’48 sarebbe così completo! La lotta ai comunisti pure!
Del gesuita PADRE LOMBARDI (del ’48) il tuonante ” microfono di Dio”, non ne sentiremo la mancanza, ha lasciato in eredità “la Tivù di Dio” in buone mani.
Colta al volo dai forum: (1) – “Che fine ingloriosa! Non essendo riuscito a fare il De Gasperi vero, si é ridotto a fare, e verrà ricordato, come il valletto del neo-De Gasperi . Anche lui è ora disposto a chiamarlo Papà” (Si riferisce indubbiamente alla frase di Verona del 18 aprile sopra”.
Colta al volo dai forum: (2) -“Era nella DC (così ostinato con i comunisti che lo chiamarono K). Alla caduta di Berlusconi, stava per diventare premier con l’appoggio dei comunisti. Più tardi ha fatto (“con coerenza patriottistica”) eleggere D’Alema (di rimando “Cossiga mi appare come un elemento di garanzia democratica”) e adesso non ha resistito alla destra e al fattore B, anche lui è ora fra quelli che invocano “Papà Silvio”…. ” Besù fai i miracoli”.
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