Gesù. Alcune considerazioni ed una domanda: sono due ? 

______Roberto Renzetti_____

GESÙ

                Ripeto ciò che ho detto più e più volte. Io non credo alla divinità di Gesù. Neppure credo alle costruzioni manipolate e dell’impero di Roma (particolarmente da Costantino) e poi di alcuni sparsi presunti seguaci (tra cui Paolo di Tarso che ha stravolto il messaggio originale di Gesù, trasformandolo in una cosa che non era nelle intenzioni note dello stesso Gesù: una religione, una Chiesa), costruzioni di una povera teologia che si cibava in modo maldestro ma efficace di tutte le altre religioni mediorientali ed orientali. Ma quel personaggio, quell’eventuale uomo, fa e dice cose in grandissima parte condivisibili, in parte rivoluzionarie se situate in quella epoca (sono un relativista perché credo alla concezione materialistica della storia). Niente da  dire o denigrare su quella persona; moltissimo da dire sulle gerarchie che, a partire appunto da Costantino e dal Concilio di Nicea, andarono costruendosi, da subito, intolleranti  in quanto portatrici della verità che si affermava sempre con la repressione di coloro che la pensavano in modo diverso (cosa che si otteneva appoggiandosi ai poteri costituiti). In particolare le invenzioni di storie improbabili, di verità, di liturgie, di dogmi, di misteri, … Tutto questo è per me intollerabile. So che nell’immensa esplosione della nostra conoscenza, restiamo profondamente ignoranti. So che la gran parte dell’universo è sconosciuto e non accessibile, oggi, alla nostra mente. Il fatto fondamentale da comunicare a chi legge è che la nostra ignoranza si è potuta accrescere proprio perché sono cresciute le nostre conoscenze. In un mondo di magia e superstizione tutto è ignoto e misterioso, ma quel tutto è pochissima cosa. Questo è ciò che penso, essendo suffragato dalla storia del pensiero umano. Quanto detto non pone però alcun limite alla nostra capacità di conoscere, limite che esiste solo all’interno di quanto la stessa natura ci permette di scoprire (esempio: il principio di indeterminazione). Non ammetto limiti metafisici e non vi sono misteri non indagabili. Possiamo provare a farlo più e più volte e non riuscirci. Io dirò che ancora non ci siamo riusciti e mai che quella cosa è un mistero. In fondo il credente dovrebbe ammettere quantomeno che io esalto l’intelligenza che è il principale dono del presunto creatore.

            Ritornando a Gesù, credo sia d’interesse, con ogni rispetto per il personaggio, di conoscere alcune cose sulla sua storia per quel pochissimo che si sa, per quelle infinitesime informazioni documentarie che abbiamo (i Vangeli sono belli e d’interesse ma con la storia non c’entrano nulla).

R.R.


Inizio con una delle vicende più controverse a causa del dogma della verginità della madre di Gesù. Ammesso tale dogma, occorre fare i contorsionismi per giustificare, ad esempio, i fratelli di Gesù.

(tratto da: http://www.consapevolezza.it/notizie/ott-dic-2002/giacomo_fratello_gesu.asp)

Un rinvenimento importantissimo
La verità da sempre esposta nei Vangeli Apocrifi
ma bandita da Santa Romana Chiesa

L’annuncio della eccezionale scoperta è stato dato da Hershel Shanks a Washington il 21 ottobre 2002 in una conferenza stampa organizzata dalla “Biblical Archeology Review“.

L’urna funebre è stata rinvenuta in Israele, a Gerusalemme, e se da una parte offre una traccia materiale dell’esistenza di Gesù di Nazareth, dall’altra fornisce la prova che Maria ebbe altri figli, probabilmente sette, fratelli e sorelle di Gesù. Ma non solo quello….

L’ossario di pietra calcarea che gli archeologi hanno datato con precisione al 63 dopo Cristo (ricordo che Giacomo, detto “il Giusto”, morì lapidato nel 62) riporta una sorprendente iscrizione in lingua aramaica:
“   Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù   ”
Andre Lemaire — uno storico francese specializzato in iscrizioni antiche — parla di chiari riferimenti non solo a Gesù, ma al fratello Giacomo.

    Ya‘akov   bar   Yohosef   akhui   Yeshua    
ossario di Giacomo
particolare dell'iscrizione
" Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesu` "

A sostegno delle tesi di Andre´ Lemaire, dicono altri esperti, gioca il fatto che una iscrizione di quel tipo sarebbe atipica se non fosse riferita a un personaggio celebre, quale certamente era Gesù di Nazareth. Oltretutto quel tipo di sepoltura veniva praticata dagli ebrei soltanto nell’arco temporale che va dal 20 al 70 A.D.

L’autenticità del reperto è stata verificata dai più qualificati esperti del settore tramite test effettuati sia sulla pietra calcarea dell’ossario che sui residui di terra e altri elementi in esso rinvenuti. Oltre al Dr. Andrè Lemaire — famoso epigrafista a livello internazionale e specialista in iscrizioni antiche — esperti della Geologic Survey of Israel e studiosi della John Hopkins University.

Nessun manufatto ricollegabile direttamente a Gesù di Nazareth era stato mai rinvenuto, le testimonianze storiche in nostro possesso erano fino ad oggi connesse esclusivamente agli scritti evangelici, questo fattore conferisce all’ossario di Giacomo grande importanza culturale, a ogni livello, storiografico, cristologico, archeologico, teologico o religioso in genere.
Anche il Rev. Joseph Fitzmyer, biblista, docente alla Catholic University, dopo aver studiato l’ossario si è trovato completamente d’accordo con André Lemaire dichiarando che la iscrizione sull’ossario “corrisponde perfettamente allo stile degli altri esempi del primo secolo” e che “la combinazione dei tre famosi nomi impressi oltre a essere evidente è straordinaria”.

Molti Vangeli Apocrifi dunque esponevano quella verità che la cristianità istituzionale ha sempre respinto: Gesù aveva sorelle e fratelli, nati dalla normale relazione fra Maria e Giuseppe. Una verità tanto naturale quanto evidente — sostenuta nei secoli da migliaia di studiosi, da milioni di credenti sinceri e da semplici amanti della verità — che tuttavia le chiese istituzionalizzate rigettano tenacemente adducendo argomenti grotteschi, a volte offensivi dell’intelligenza.
Ovviamente quando è in gioco la sopravvivenza di corporazioni di questo tipo scattano i cosiddetti “istinti di conservazione del privilegio”, di conseguenza tutto diventa lecito, negazione dell’evidenza, contraffazione, occultamento, menzogna, impostura, inganno… il tutto, chiaramente, a scapito della Verità.


Smarrimento e angoscia soprattutto nel mondo cattolico, che non a caso sin dal primo giorno ha cercato di minimizzare o finto di ignorare la straordinaria scoperta. A molti curati è stato addirittura consigliato di obiettare ai fedeli che ponessero questioni che trattasi di:
a) un equivoco individuabile nella convergenza di significati fra cugino e fratello. Obiezione mendace e maldestra che, seppur considerata giusta se riferita all’Antico Testamento (scritto prevalentemente in ebraico; in aramaico solo Genesi 10, 11; Esdra 4, 8-6, 18; 7, 12-26; Daniele 2, 4-3, 23; 3, 91-7, 28), ignora invece l’assenza di tale convergenza nell’idioma greco in cui fu redatto tutto il Nuovo Testamento (incerta solo la tradizione sulla prima stesura del Vangelo di Matteo, probabilmente in aramaico).
bfratellastro, cioè di figlio avuto da Giuseppe in una precedente relazione.
Tesi immeritevole di qualsiasi commento poiché ascritta ad alcuni tardi scritti apocrifi, banditi sempre e risolutamente dalla teologia cattolica, opportunamente rievocati solo quando occorre sottrarsi alle incursioni della teologia critica o per corroborare tradizioni redditizie e culti.

San Giacomo quindi non è cugino di Gesu`, né tantomeno fratellastro, ma naturale e normalissimo fratello di carne, come attestano decine di documenti.

Del resto le forti preoccupazioni del mondo cattolico sono più che giustificate: importanti elementi (nascita miracolosa, vaticini biblici, natura divina di Gesù e condizione di “verginità perpetua”di Maria) su cui la tradizione cattolica poggia le proprie fondamenta, vacillano e si dissolvono uno dopo l’altro, senza tregua, nella realtà tangibile delle ingovernabili rivelazioni.
La storia e l’oggettività, a quanto pare, non guardano in faccia proprio nessuno.
Le prove portate negli ultimi secoli da storici, archeologi e teologi laici, a favore della “natura terrena” di Gesù, sono sempre più schiaccianti. Le accuse mosse alla Chiesa di aver «costruito la divinità»  intorno all’“uomo Gesù” (proclamata inizialmente nel Concilio di Nicea del 325, ribadita nel Concilio Costantinopolitano I del 381, nel II del 553 e poi ancora nel III del 680, contro il monotelismo, e via via confermata nei successivi) sulle spalle del virtuoso capo carismatico di una semplice comunità — e di averlo fatto su basi irrazionali, sfruttando miti antecedenti e superstizioni popolari — sembrano ormai incontrovertibili.

Da una parte dunque la scoperta dell’ossario di Giacomo, se confermata, rappresenterebbe la prima prova materiale tangibile dell’esistenza di Gesù, e dall’altra la conferma che Gesù di Nazareth non era unigenito, né aveva natura ultraterrena: Gesu‘, seppur autorevole Maestro, degno di massima lode, era uomo fra gli uomini.

Ma cerchiamo di andare più in profondità…..

Lo strettissimo legame di parentela con Gesù Cristo — legame che va ben oltre la fratellanza spirituale — e l’importanza di Giacomo (Iácobos, detto “…il Giusto, figlio di Maria e Giuseppe, fratello del Signore il quale si spegnerà nella morte, ma verrà trovato vivo…”) nell’ambito della chiesa primitiva sono da decenni oggetto di prolungate controversie politico-religiose, e trovano conferma in numerosi documenti…

San Giacomo, fratello di carne del Signore Gesù, oltre a essere il massimo esponente della corrente giudaico-cristiana — conclusasi nell’eresia ebionita e prima tenace antagonista al cattolicesimo antigiudaico guidato dal non-apostolo Paolo di Tarso, infausto inventore dell’attuale cattolicesimo — fu il primo vero grande capo della Chiesa più importante, quella di Gerusalemme, alla testa di Pietro e degli altri apostoli. La successione al Maestro Gesù, evidentemente, doveva essere dinastica, vincolata al sangue, alla stirpe di Davide, e non apostolica.

… eccone alcuni qui di seguito

  • Giuseppe Flavio, ‘Antichità Giudaiche’ XX, 9, 1
    “…convocò una sessione del sinedrio e vi fece comparire quel fratello di Gesù, detto Cristo, che si chiamava Giacomo…”
     
  • Paolo Epistola ai Galati I 19 (lettera alle Chiese della Galazia, controversia sul giudaismo)
    “…e non vidi nessun altro degli apostoli; ma solo Giacomo, il fratello del Signore…”
     
  • Eusebio Da Cesarea, “Historia Ecclesiastica” III, 20, 1
    «…della famiglia di Gesu` rimanevano ancora i nipoti di Giuda, detti fratelli suoi secondo la carne,
    i quali furono denunziati come appartenenti alla stirpe di David
    …»
     
  • Eusebio Da Cesarea, “historia ecclesiastica” II, 23, 4
    «…Giacomo, fratello del Signore, succedette all’amministrazione della Chiesa…»
     
  • Marco VI 2-3
    “…si mise ad insegnare nella sinagoga. E molti, udendolo dicevano: non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo… e le sue sorelle non sono qui fra noi?…”
     
  • Matteo XIII 55
    “…Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo …? E le sue sorelle non sono tutte tra di noi?…”
     
  • 1Corinzi IX 5
    “…non abbiamo noi il diritto di condurre attorno una moglie, che sia una sorella in fede, come fanno anche gli altri apostoli, i fratelli del Signore e Cefa?…”
     
  • Matteo XXVII 56 “…fra di loro c’era Maria Maddalena. Maria madre di Giacomo…” 
  • Marco XV 40 “…tra di loro vi erano anche Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo il minore…” 
  • Marco XVI 1 “…passato il sabato, Maria Maddalena e Maria madre di Giacomo…”
  • Luca XXIV 10 “…Or quelle che riferirono queste cose agli apostoli erano Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo e le altre donne…”
     
  • Eusebio Da Cesarea, “Historia ecclesiastica” I, pp. 12, 5
    «…poi Gesù comparve a Giacomo, uno dei suoi fratelli…»
     

Ecco infine ulteriori brevi informazioni sulla figura di Giacomo, il fratello di Gesù, sulla sua importanza nella primitiva comunità cristiana gerosolimitana e alcuni pareri degli studiosi:

Un legame molto particolare, evidentemente fraterno, fra Giacomo e Gesù si evince anche nel loghion 12 del Vangelo di Tommaso (altro documento — considerato di primaria importanza da numerosi studiosi — proscritto dalla Chiese Istituzionalizzate poiché insopportabilmente scomodo) che riporta:

  V.d.T.   § 12 —
I discepoli dissero a Gesù: “Sappiamo che ti allontanerai da noi. Dopo di te chi ci farà da guida?”
Gesù rispose loro: «Giunti a quel punto andrete da Giacomo, il Giusto, a cui spettano le cose che riguardano il cielo e la terra»

il 12.mo loghion del Vangelo di Tommaso mostra chiaramente che nella volontà di Gesù il primato nell’avvicendamento spettava al fratello Giacomo e non a Simon-Pietro (Cefa) come alcuni, erroneamente, continuano a credere.
Inoltre numerosi documenti — anche canonici, fra cui il Libro degli Atti, Epistole di Paolo e altri come ad. es. Protovangelo di Giacomo, Vangelo di Filippo etc. — nominano apertamente Giacomo il Giusto, fratello carnale di Gesù, come Capo della Comunità e Primo Vescovo della Chiesa di Gerusalemme.

  • Epistola di Giacomo
    A Giacomo il Giusto, fratello del Signore — che ricordo fu lapidato nel 62, su istigazione del sommo sacerdote Anano II e denominato “il Minore” per distinzione da Giacomo “il Maggiore”, martirizzato invece nel 44 sotto Erode Agrippa — viene anche attribuita una Epistola, scritta intorno all’anno 60, la quale si compone di cinque capitoli. In essa sono presenti inizialmente esortazioni alla costanza e all’importanza di accompagnare la fede con le opere e più avanti riflessioni sulla vera e falsa sapienza, sulla pace, la concordia, nonché numerosi ammonimenti ai ricchi senza cuore.
  • in Atti degli Apostoli XII 17 “…riferite questo a Giacomo…” Cefa (l’Apostolo Pietro) sente esplicitamente il dovere di informare innanzitutto Giacomo della propria scarcerazione. È ragionevole pensare quindi che l’autorità prima della Comunità gerosolimitana, il primus apostolorum, non era Cefa ma Giacomo il Giusto, frater Jesus.
  • Inoltre sempre a proposito di Giacomo, Saulo e Cefa, così si esprimono gli autori de “La Chiave di Hiram“, Robert Lomas e Christopher Knight:
    «…la pretesa avanzata da Paolo di godere del sostegno di Simone Pietro era soltanto una componente dell’impalcatura di menzogne che egli andava innalzando, perché fu lo stesso Pietro ad ammonire i discepoli contro l’emergere di un’ autorità altra da quella nazorea: “Pertanto siate assolutamente prudenti verso qualsivoglia maestro, ché solo si deve prestar fede a chi rechi con sé la raccomandazione di Giacomo, fratello del Signore, in Gerusalemme”.. ..Le interpretazioni dei manoscritti del Mar Morto attribuite a Robert Eisenman soccorrono l’ipotesi dell’identità di Paolo con la “fonte di menzogne” che si scontrò con Giacomo, il “Maestro di Giustizia“.. ..Il manoscritto intitolato Pesher su Abacuc accenna a un individuo che “fece versare su Israele acque di menzogna” e “allontana i fedeli dalla retta via, conducendoli in un deserto senza strada“, dove il gioco di parole costruito sul termine “strada” allude alla “trasgressione dei termini di confine” della legge. Noi diamo credito all’ipotesi che individua in Paolo il nemico di Giacomo. Paolo è il “Menzognero” che pronunciò il falso riguardo alla propria educazione fariseista, che inventò la missione di Cristo, che predicò la funzione provvisoria della Legge e autorizzò l’accesso alla chiesa agli individui incirconcisi…».
     
  • Luigi Moraldi annota: “…da sottolineare il rilievo straordinario dato alla persona di Giacomo, uno dei «fratelli del Signore»…”
     
  • Marcello Craveri così scrive interpretando il loghion 12 del Vangelo di Tommaso:
    “Il passo ricorda le discussioni tra gli apostoli, su chi di loro fosse da considerare il più grande * […] La tradizione di un primato di Giacomo, fratello del Signore Gesù, o almeno di una sua autorità pari a quella di Pietro, è confermata dagli Atti, dalle Lettere Paoline, dal Vangelo degli Ebrei, da Gerolamo (Comm. in Mich. VII 7), da Eusebio (Hist. Eccl. II 3), dai Philosophumena V 7, e, naturalmente, dai testi gnostici…”
  • Eusebio Da Cesarea, “Historia Ecclesiastica” II, 23, 4
    «…Giacomo, fratello del Signore, succedette all’amministrazione della Chiesa…»
     

Marco IX 34 “…ed essi tacquero, perché per via avevano discusso intorno a chi fra di loro fosse il più grande…”
Luca IX 46 “…poi cominciarono a discutere su chi di loro fosse il più grande….”
Luca XXII 24 “…Fra di loro nacque anche una contesa: chi di essi fosse considerato il più grande…”
Galati II 9 “…Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono considerati i più autorevoli…”
Galati II 11 “…quando Pietro venne ad Antiochia lo rimproverai perché aveva torto […] giunsero quelli che stavano dalla parte di Giacomo…”
 

  • Un primato assoluto di Pietro è effettivamente discutibile, per numerosi motivi (non approfonditi in questa sede per evidenti motivi di spazio) oltretutto in Marco VIII 33 si legge: “…Gesù si voltò e, guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro dicendo: Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini…” che Matteo ribadisce in XVI 23 “…egli, voltatosi, disse a Pietro: vattene via da me, Satana! tu mi sei di scandalo, perché non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini…”

Diversi elementi quindi mi portano a concludere che questo straordinario rinvenimento rappresenta un passaggio importantissimo ai fini della ricerca in ambito storico e teologico. Spero di poter offrire quanto prima interessanti sviluppi.

Spesso anche di fronte alla rivelazione più manifesta la nostra formazione culturale pone resistenze invalicabili, che hanno la meglio sulla volontà di verità.

La mediocre mente umana preferisce perseverare, ostinarsi comodamente, restare saldamente aggrappata alle sbarre della propria gabbia culturale. Eppure sono proprio quelle gabbie le prime responsabili della infelice condizione umana! Gran parte dei patimenti si deve a loro, al loro interno si sono svolti gli atti più brutali e ignobili, dal loro interno sono state impartite le più efferate disposizioni, al loro interno è stato trascinato il genere umano che oggi mestamente contempliamo.

Falsità, ipocrisie, moralismi, inganni, pretese di assolutezza e omologazione massificante, prevalgono sovente sulla volontà di verità, sulla reale conoscenza, sulla consapevolezza, e a uscirne sconfitta è sempre l’umanità, l’uomo.

Anche in casi come questo — di fronte a prove inconfutabili ma da molti vissute come una minaccia alla propria struttura mentale, poiché osano mettere in dubbio addirittura la divinità, quel Dio, quella idea di Dio, di cui siamo imbibiti nostro malgrado sin dalla prima infanzia e in cui si è riposta ogni speranza (e soprattutto si è delegata ogni responsabilità) — quella volontà, che io chiamo volontà di verità, soccombe pigramente.

So che è spesso inutile fare appello al senso critico o al cosiddetto libero arbitrio, illustri assenti nelle cognizioni massificate, ciononostante il mio invito è a fare uno sforzo, per provarci, tutti insieme, e poi, magari, a dirci anche che effetto fa….


Vediamo ora alcuni dubbi che possono essere posti su quanto si sa e si dà per buono dell’esistenza di Gesù.

http://www.consapevolezza.it/aetos/jesus/cristo.asp


Gesù Cristo … uno sguardo oggettivo

Chi era Gesù Cristo?


Cosa ci rivela la storia?
Quanto c’è di vero nelle narrazioni note a noi tutti e cosa invece è stato ignobilmente travisato?
Da cosa nacque l’esigenza di dire menzogne?

Perché furono adottate solo alcune fonti ed altre invece sfacciatamente disconosciute?
Perché già la Chiesa primitiva ritenne necessario bandire e distruggere tanti utili documenti, sopprimendo irreparabilmente importantissime testimonianze?

Perché la naturale ricerca interiore individuale, e la gnosi, seppur apertamente incoraggiate da Gesù, [vedi Vangelo di San Tommaso] furono ostacolate in maniera così subdola e sottile, o male interpretate al punto di ritenerle “eresia”, causa di scomunica, atroci sofferenze, tortura, morte?

Quale forza arcana spinse la Chiesa, definita cristiana, ad uccidere in nome di Dio?
A massacrare uomini e donne considerati empi e pertanto indegni di vivere: miscredenti, agnostici, pagani, semplici scettici o addirittura alienati e minorati mentali fraintesi nella loro disgrazia?
A istituire la Santa Inquisizione e le Crociate, fino al punto di meritarsi la qualifica storica di “istituzione responsabile del maggior numero di morti”?
Perché i cosiddetti eretici furono perseguitati così ferocemente? Erano davvero così pericolosi al messaggio che Gesù di Nazareth voleva diffondere fra gli uomini di buona volontà? O viceversa erano spesso proprio loro a diffonderlo nell’accezione più consona?

E poi…
Come si giunse a promulgare l’infallibilità pontificia?
E perché il clero da sempre ripudia il confronto con la grande schiera di studiosi e teologi che, con buone ragioni, non gli riconoscono il titolo di intercessore prediletto presso Dio? Non sarebbe più corretto sedersi intorno ad un tavolo, discutere, rendere trasparenti quei principi stabiliti con criteri ritenuti, anche da moltissimi credenti, eccessivamente rigidi e misteriosi sia nella sostanza che nel concepimento, e a volte addirittura offensivi dell’intelligenza? Perché allora Santa Romana Chiesa si è sempre sottratta al confronto preferendo ripiegare nei comodi misteri della fede o nelle trincee degli inoppugnabili dogmi, da essa stessa esposti come incontestabili oggetti di fede e come verità fondamentali e indiscutibili?
Lo stesso Alan Watts, onesto ricercatore e attento studioso della storia, non si stancò mai di ricordare che gli astronomi del Vaticano, pur opponendosi in ogni modo alle teorie di Galileo Galilei — e proferendo i più bizzarri insulti all’umana intelligenza — rifiutarono sempre di guardare attraverso i suoi telescopi. Sarebbe stato senz’altro più corretto e ragionevole farlo, ma quella è la sacra regola ed è incontestabile. E non ci sembra affatto difficile capire perché.

Quale volontà c’è, veramente, sotto le linee guida della Chiesa in quanto Istituzione?
Quella volta alla verità e alla comprensione del senso di questa misteriosa esistenza, oppure alla mera, tenace conservazione dei poteri acquisiti?

E in ultimo la domanda delle domande: Gesù Cristo, il Nazareno, avrebbe condiviso ed accettato l’operato di questi ordini religiosi che sostengono di parlare a suo nome, di fare la sua volontà? Eppure egli stesso si scagliò furiosamente contro quei farisei ché allora si comportavano come gli alti ecclesiastici oggi!

Quante domande ancora potremmo rivolgerci…

Ma… ce ne siamo poste già abbastanza per riempire qualche migliaio di tomi.
Proviamo dunque a dare risposta a queste, procedendo con calma, un passo alla volta, con semplice volontà di Verità.
Vediamo innanzitutto cosa ci dice la ricerca storico-critica.

Iniziamo col ricordare che non pochi storici giunsero a mettere in dubbio persino l’esistenza stessa di Gesù.

In effetti siamo costretti ad ammettere che (se escludiamo il recente eccezionale rinvenimento archeologico dell’ossario che custodisce i resti di Giacomo il Giusto, fratello di Gesu`) la storia non offre testimonianze inoppugnabili utilizzabili per provare tale assunto.
Il Nuovo Testamento non è storicamente affidabile, ma costituisce attualmente l’unica fonte di notizie che l’uomo possiede intorno a Gesù.
Gli storici ci informano che la storiografia contemporanea a Gesù lo ignorò quasi completamente.

Tutta la letteratura non cristiana del I secolo non prese nemmeno in considerazione questo meraviglioso ma controverso personaggio e proprio alla luce di questa singolare osservazione alcuni sono arrivati a scrivere: «i paralitici camminavano, i ciechi vedevano e i morti resuscitavano, ma gli storici di Palestina, Grecia e Roma non ne ebbero notizia».
Questa affermazione potrà apparire senza dubbio irritante, e potrebbe anche ferire gli affetti che ognuno di noi nutre per Gesù, ma rappresenta nel contempo uno spunto che deve quantomeno esortarci a riflettere sulla gran quantità di incertezze che orbitano intorno alla mitica narrazione che tutti più o meno conosciamo.

Credo che proprio l’imponenza di queste astrattezze dovrebbe spingere ognuno di noi a ben ponderare sull’opportunità di proseguire il proprio traballante cammino spirituale e ad operare una scelta.
O credere ciecamente ed affidare la propria spiritualità a uomini che hanno la pretesa di ergersi a delegati del Cristo stesso e calcare con loro le secolari e suggestive impronte fideistiche, figlie di un probabile subconscio condizionamento culturale; oppure aprirsi ad una verità più umana e verosimile, maggiormente comprensibile e vicina alle percezioni della propria coscienza e inoltre quasi sempre avallata da indicazioni storiche a tutt’oggi incontrovertibili.

Per quanto mi riguarda non ho alcun dubbio, credo fermamente che Gesù sia realmente esistito e che sia stato il più grande ed illuminato fra gli uomini che la storia ci ha permesso di conoscere,

Al contrario invece, nutro consistenti dubbi sulla veracità delle informazioni e sulla autenticità del messaggio giunto sino ai nostri giorni, nonché sull’interpretazione delle scritture che gli organismi chiamati a questo delicatissimo compito hanno fornito durante i secoli alla maggioranza degli ignari credenti.

Il Cristo ci ha fatto dono di un meraviglioso messaggio e di un equilibratissimo insegnamento che però, a mio avviso, è stato troppo spesso falsificato nei suoi contenuti più profondi.
Purtroppo un amaro destino volle far nascere quel magistero in un contesto culturale ostile ed instabile che non ne permise la corretta trasmissione.
Ritengo doveroso peraltro ricordare che il messaggio cristiano fu tramandato sostanzialmente tramite discordanti tradizioni orali le quali produssero le molteplici ed inevitabili scuciture da sempre oggetto di studio di tutti gli esperti del settore.
Le diversità presenti in queste diverse tradizioni orali sfociarono ineluttabilmente nel mare di contraddizioni (mai prosciugato) in cui a tutt’oggi naviga ogni tipo di ricerca.

Una cosa però si rivela senz’altro certa: la rivelazione del Cristo è stata oggetto, nel corso dei secoli, di numerose manipolazioni spesso gravissime.

È stato del resto dimostrato più volte che già l’esegesi ecclesiastica del III e IV secolo occultò e stravolse citazioni bibliche evidentissime.
Anche il giovane Goethe non era evidentemente molto convinto se scriveva: «…non fu Gesù il fondatore della nostra religione, la quale fu invece costruita in suo nome da alcuni uomini d’ingegno, e la religione cristiana non è altro che una ragionevole istituzione politica» definendo dapprima una simulazione l’intera dottrina di Cristo e aggiungendo in una lettera del 1789: «…la favoletta sul Cristo è causa del fatto che il mondo potrà ancora esistere per 10.000 anni e nessuno ne verrà a capo, poiché è necessaria egual forza di conoscenza, di intelligenza, di finezza intellettuale tanto per difenderla che per confutarla».

Personalmente sin dall’adolescenza, dai tempi cioè in cui frequentavo oratori e gruppi scout, sentii crescere fortemente nel mio cuore il desiderio di trascendere gli oscuri ed enigmatici insegnamenti che venivano offerti dalla vicina parrocchia, nacque così in me quel qualcosa che poi divenne uno degli scopi principali della mia vita: riscoprire il senso della nostra esistenza ed il reale messaggio del Cristo enucleandone l’autentica essenza.

Oggi conscio della limitatezza degli insegnamenti cattolici, e dell’adulterazione che rende inattendibili la maggior parte di quelle scritture che giungono fin sopra le nostre scrivanie, mi scopro sempre più spesso attivo nell’esercizio della pratica meditativa.
Ritengo la meditazione, se effettuata in maniera irreprensibile e perfezionata fino al massimo dei livelli, in grado di proferire un’elevata conoscenza di tutte le cose, ivi compresa la corretta interpretazione delle sacre scritture.

La naturalissima pratica meditativa, purtroppo non molto consueta nella nostra cultura delle falsità, mi aiuta non poco nella ricerca delle Verità più sincere, essa mi offre percezioni veritiere e profonde che quasi sempre vanno a suffragare le conclusioni che invece emergono dai miei lunghi studi nel settore.

Purtroppo quasi tutti sin da bambini, veniamo condizionati molto profondamente da una cultura deviante, impariamo così, durante il corso della nostra esistenza, a mentire sistematicamente a noi stessi e quasi sempre in modo estremamente arguto.
In questo modo subentra gradualmente in noi, senza che ne siamo troppo coscienti, un sottile autoinganno e si innesca un circolo vizioso, fatto di false convinzioni, che ci trascina inevitabilmente nel suo mondo illusorio.
Arriviamo così ad avere un pensiero inautentico che ci costringe a vedere la realtà da dietro un velo; di conseguenza assumiamo comportamenti ipocriti e ci ritroviamo, inconsapevolmente, ad indossare quella brutta maschera che copre il nostro vero volto, e che ci nasconde persino a noi stessi.

È veramente esaltante invece, scoprire come la sublime pratica della meditazione, riesca a profondere in noi quelle pure intuizioni che si rivelano frequentemente vere e proprie rivelazioni, e che oserei dire, aprono spesso la strada verso alcune profondissime Verità.
Questo è il motivo per cui spesso e volentieri mi abbandono con gioia, a quella pura ed inconfondibile “voce del cuore” che Cristo stesso ci raccomandò più volte di ascoltare.

Ritengo giusto ricordare che una buona pratica meditativa può indurre un cambiamento radicale nel meccanismo della percezione, portando con sé quella gioia che deriva dall’essersi liberati dal pensiero illusorio ed ossessivo che sovente ci spinge a procedere controcorrente.
La meditazione può aprirci finalmente la strada, e guidare chiunque lo voglia, verso una nuovo e corretto atteggiamento, fino a vedere la realtà così come essa è realmente.

L’uomo di oggi del resto tende a porsi domande sempre più profonde e complesse e nessuno puo’ più ignorare il gran numero di persone che tendono ad allontanarsi dai precetti cattolici, adducendo di non trovare in essi alcun riscontro alle domande, sempre più esigenti, riguardanti la realta’ ultima dell’essere e lo scopo dell’esistenza umana.

Una delle cose che non mi sono mai sentito di condividere delle varie Chiese sparse nel mondo è stata la loro pretesa di assolutezza:
Isaia (44, 6) ammonisce Israele: «Non c’è altro Dio all’infuori di Me», nel Nuovo Testamento ci sentiamo imporre (Phil. 2, 11): «Ogni lingua affermi apertamente che Gesù Cristo è il Signore» ed il Corano arriva addirittura a minacciarci: «Se qualcuno cerca una religione diversa dall’Islam… nell’aldilà sarà dei dannati» e così via.

Come muoversi allora, e come nutrire saggiamente la propria spiritualità, nel mare di affermazioni antitetiche che ci vengono somministrate da queste assolutistiche religioni?

Negli ultimi anni, ho dedicato moltissimo del mio tempo libero allo studio dei documenti relativi al buddhismo e al cristianesimo, siano essi riconosciuti dalla Chiesa cattolica o considerati apocrifi.

Cos’è emerso?

Cercherò di compiere un’ardua impresa: realizzare un “condensato ridotto di una sintesi abbreviata del riassunto” di ciò che altrimenti non mi sarebbe proprio possibile esporre. In questo modo rimango in sintonia con quanto riportato nel Vangelo attribuito a Giovanni quando dice: «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Giov. 21, 25).

Ma veniamo a noi. Per quanto riguarda i Vangeli osserviamo che non è possibile determinare con precisione le date della loro nascita, ho comunque notato che gli storici più qualificati collocano la prima stesura del Vangelo gnostico di Tommaso Apostolo (che la Chiesa Istituzionalizzata si ostina a disconoscere, ma che probabilmente è l’unico esempio di scritto riconducibile realmente ad un Apostolo di Gesù) e gli scritti di Paolo intorno all’anno 50, ‘Marco’ nel 70, ‘Matteo’ e ‘Luca’ alla fine degli anni 90 e ‘Giovanni’ invece non prima dell’anno 100.

Ora, se è vero che Gesù morì intorno all’anno 30 (e sappiamo che non vi è nessuna prova certa che dimostri questo, né tantomeno la Sua crocifissione), sorge spontaneo domandarsi: Perché si aspettò tutto quel tempo prima di trascrivere le parole annunciate dal Cristo? ed anche: Perché Cristo stesso o i suoi apostoli non scrissero nulla se era loro intenzione tramandare ai posteri la Parola di Verità?

Tentiamo un’analisi.
I maggiori esperti del settore sono concordi nell’affermare che nessuno osò scrivere nulla poiché nel messaggio del Cristo era chiara la profezia dell’imminente Fine dei Tempi.
Difatti gli Apostoli e la comunità cristiana primitiva si attendevano (probabilmente anche a causa della prima di una lunga serie di errate interpretazioni del messaggio di Gesù) la fine dei giorni da un momento all’altro, e forse proprio per questo motivo non sentirono il bisogno di trascrivere le Parole pronunciate da Gesù per le generazioni a venire.
D’altro canto chi è realmente convinto dell’imminente “Fine del Mondo” non si prodiga certo nell’arte di scrivere testi.

Riporto come avallo alle suddette considerazioni alcune autorevoli affermazioni di studiosi e teologi del settore.
Il teologo Bultmann sostiene: «Non è necessario spendere molte parole per affermare che Gesù s’ingannò sulla prossima fine del mondo», tale affermazione appare secondo me logica e comprensibile, soprattutto se analizziamo, ad esempio, i passi di Marco (Mc. 9,1; 1,15; 13,30), Matteo (Mt. 4,7; 10,7; 10,23; 16,28) e Luca (Lc. 11,51), senza la necessaria nonché doverosa decodificazione gnostica dell’insegnamento di Cristo.
Anche il teologo Heiler dichiara: «Oggi nessuno studioso serio e intellettualmente onesto può porre in discussione la chiara convinzione dei suoi seguaci intorno all’imminente venuta del Giudizio e della Fine dei Tempi» che concorda con quanto asserito dall’Arcivescovo Conrad Gröber: «…l’intera cristianità primitiva rimase delusa perché considerava imminente il ritorno del Signore, come attestano non solo singoli passi delle Epistole di S. Paolo, dei Santi Pietro e Giacomo e dell’Apocalisse, ma anche la produzione letteraria dei Padri apostolici e la vita della primitiva collettività cristiana» e con quanto ammesso dal teologo Harnack: «…la loro aspettativa è stata delusa: bisogna ammetterlo senza remore» ed infine con l’asserzione di H. J. Schoeps: «I discepoli di Gesù si attendevano certamente che con la sua morte avrebbe coinciso la concreta fine dei tempi. Il fatto che ciò non si sia verificato reca in sé la radicale delusione del movimento messianico che si richiamava a Gesù, ma certo non la fine della disperazione, della rassegnazione o del ridicolo».

Questo deve essere stato dunque il motivo per cui, con tutta probabilità, non fu scritta nemmeno una riga finché Gesù abitò il corpo fisico e per le due intere generazioni successive.

Ma allora chi ha scritto i Vangeli che conosciamo?

Ormai è diventata consuetudine citare i nomi di MarcoMatteoLuca e Giovanni come autori dei Vangeli canonici senza fermarsi più di tanto a pensare che, fatta eccezione per le Epistole paoline autentiche, non si hanno certezze sull’autore di nessuno degli scritti neotestamentari. Ritengo la rinomanza di Wikenhauser sufficiente per avvalorare questo assunto, egli dice: «La Chiesa ha fatto passare questi libri come opera dei primi Apostoli e dei loro discepoli, gettando così le fondamenta della loro autorità. In realtà essi non derivano dall’attività di nessun apostolo. Neppure il pubblicano Matteo può essere l’autore del cosiddetto “Vangelo di Matteo”, in quanto l’opera non venne composta in ebraico, secondo la tesi della più antica tradizione ecclesiastica (vescovo Papias), bensì in greco; e inoltre non può risalire a nessun testimone oculare. Questa è la posizione di quasi tutta l’esegesi biblica “non-cattolica”, mentre la Chiesa cattolica attribuisce questo Vangelo all’apostolo Matteo; ma anche i suoi esegeti sono costretti ad ammettere che non si conosce nessuno che abbia mai visto il presunto originale in aramaico, tradotto poi in greco, e che non esistono tracce di alcun genere del testo aramaico né di sue citazioni».

Si è osservata peraltro, nelle successive generazioni cristiane, la tendenza a collocare tutto ciò che era possibile sotto il “manto protettivo” degli Apostoli, questo al fine di conferire ad ogni scrittura una maggiore autorevolezza. Infatti molti si convinsero che «…nel cristianesimo è consentito l’inganno in nome e in onore di Dio» tesi difesa e avvalorata da Paolo (Rom. 3, 7; Philip. 1, 15), da Giovanni Crisostomo e dall’eminente Origene che, come afferma K. Deschner: «…sostenne con ferma decisione la liceità dell’inganno e della menzogna come “strumenti di salvezza” e Dio stesso, secondo lui, potrebbe mentire per amore (Origene Cels. 4, 19)» il quale poi prosegue dicendo: «…come in tutta l’antichità, dunque, anche nel Cristianesimo il “pio imbroglio” fu lecito fin dal principio; così agli Apostoli Matteo e Giovanni vennero attribuiti a torto dei Vangeli; non solo, ma venne inventato di sana pianta anche un Vangelo “secondo i 12 Apostoli“, in modo da ottenere i migliori attestati di credibilità, coinvolgendo tutta la santa congrega», opinione che Wikenhauser arricchisce così: «… al solo Pietro vennero attribuiti un Vangelo, un’Apocalisse, il Kerygma e due Epistole del Nuovo Testamento che oggi anche i teologi di parte cattolica considerano inautentiche e gli disconoscono…» anche perché Pietro, essendo quasi analfabeta, non avrebbe potuto esprimersi nel modo più assoluto in un greco così raffinato.

Nella “sacrosanta opera di limitazione nella divulgazione di erronee informazioni riguardanti la figura del Cristo” vorrei ora introdurre alcune informazioni riguardanti il Vangelo di Giovanni.

Da ormai più di 150 anni l’intera bibliografia critica non riconosce all’Apostolo Giovanni il cosiddetto “Quarto Vangelo” erroneamente ad egli attribuito.

Il primo a mettere in dubbio la paternità di Giovanni in relazione al Vangelo in questione, fu lo stesso S. Ireneo di Lione in (adv. haer. 3, 1, 1) sul finire del II secolo.
Ireneo… proprio lui, l’autore della «Confutazione e smascheramento della falsa gnosi» (citata spesso come Adversus haereses).

Successivamente (a partire dai teologi Karl Theophil Bretschneider, D. F. Strauß, F.C. Baur, passando per le conclusioni dei teologi David Friedrich e Ferdinand Christian per arrivare al frutto degli studi dei teologi HirschWikenhauserAckermann etc etc) è stato ampiamente dimostrato che il suddetto Vangelo fu “brillantemente ideato” «in vista di una determinata concezione dogmatica, senza alcun riguardo alla ricerca storica».

Questo scritto Evangelico ha dunque significati unicamente allegorici.
Il Vangelo di Giovanni non offre informazioni attendibili sulla predicazione di Gesù ma fornisce, per contro, utilissime informazioni che aiutano la comprensione degli sviluppi del Cristianesimo nei primi secoli.

Il teologo Ackermann scrive: «il Vangelo di Giovanni… è uno scritto dottrinale totalmente astorico», questa opinione trova conferma nelle conclusioni del teologo Hirsch: «…il Vangelo di Giovanni non fu composto dall’Apostolo Giovanni… è l’ovvio risultato di un’indagine non preconcetta, sul quale non può sorvolare nessuno storico serio e rispettoso della scientificità della ricerca. Fa semplicemente pena voler contrapporre degli espedienti apologetici all’evidenza dei fatti».

Anche il Vecchio Testamento, da quanto risulta a seguito degli studi effettuati su di esso, contiene false attribuzioni.
Il Pentateuco ad esempio (i cosiddetti Cinque Libri di Mosè) non può in alcun modo essere attribuito a Mosè (sempre ammesso che questo personaggio sia realmente esistito), ma da parte cattolica si continua ad insistere sulla sua paternità. Gran parte degli scritti attribuiti a Mosè, come altri che si è pensato fossero stati redatti da David o dal figlio Salomone, in realtà sono stati composti poco meno di un millennio più tardi da meno rinomati sacerdoti ebrei.

Ora, a te che leggi chiedo: in mezzo a tante incertezze, come può il cristiano identificare dei veri punti fermi, nel proprio percorso spirituale, se non dentro se stesso?

Come possiamo far scorrere sotto i nostri occhi le righe di un antico documento e credere ciecamente, per fede, senza fermarci a riflettere sul suo livello di attendibilità?
E soprattutto: come posso chiudere i miei occhi e avere fede, mentre così nitido, avverto dentro di me, quel chiaro segnale di ammonimento? Perché dovrei lasciare inascoltata la voce amica di quell’insostituibile coscienza, rivelatrice di falsi miti, che da sempre mi accompagna con i suoi saggi e preziosi consigli? Dimmi tu, per quale curioso motivo non dovrei prestarle ascolto?

E ancora: dopo ciò che la “coscienza” ci rivela, e dopo aver trovato conferma nelle conclusioni di moltissimi storici, come possiamo ancora credere che il messaggio evangelico non sia stato irrimediabilmente alterato?

Il fatto stesso che fra la morte di Gesù e la stesura dei Vangeli siano intercorsi tutti quei decenni (per altri scritti addirittura secoli), non può esimerci dal farci pensare che il suo originale messaggio abbia subito gravissime e imperdonabili deformazioni.

Anche il fatto che l’insegnamento di Gesù fu tramandato oralmente per quasi un secolo, mi porta inevitabilmente a supporre che potrebbe aver subito gravi contaminazioni, che sia scaduto nella leggenda popolare, e che sia stato trascinato, in balia dell’esaltazione collettiva, in una sorta di esagerato desiderio di mitizzazione del personaggio. A mio avviso proprio questa idealizzazione ha scalzato in secondo piano la vera essenza gnostica dell’originale insegnamento di Cristo.

Non credo sia facile per nessuno, oggi come oggi, convincermi del contrario.
Del resto ogni tradizione trasmessa oralmente è destinata a subire nel corso del tempo adulterazioni e mutamenti; qualcuno potrebbe negare questo?

La figura di Gesù fu sempre più idealizzata e ingigantita, ad essa si saldarono molte delle superstizioni tipiche della cultura primitiva cristiana, il suo annuncio si adattò, per dirla col teologo Leipoldt «non di rado ai bisogni e alle attese della comunità». Anche il teologo Knopf arrivò a concludere che «di Gesù si disse tutto il bene possibile» restando in sintonia con il pensiero di entrambi i teologi Pfannmüller e Hirsch convinti del fatto che la sua immagine venne già «modificata nei suoi tratti essenziali nei Vangeli in nostro possesso» e «fu fantasiosamente esaltata». Il teologo Jülicher ci conferma le analisi dei suoi colleghi quando asserisce che gli evangelisti recenziori non rivelarono nei loro scritti la figura di Gesù quale realmente fu ma «quale i bisogni dei fedeli desideravano che fosse».

Successivamente la Chiesa, credendo forse di ben operare, fece un grossolano errore quando decise di “stabilire il credo”. Così nel processo di divinizzazione di Gesù, elaborò un dogma che introdusse nel canone. In questo dogma Gesù dovrà essere concepito come preesistente e identico a Dio.
Ma… su quali basi la Chiesa fondò questo dogma?
Per caso sulla definizione Figlio di Dio che di Gesù forniscono i sinottici attribuiti a Matteo e Luca?
Ma oggi tutti sanno che anche gli angeli vennero definiti in tal modo nel Vecchio Testamento e (dice Bauer) lo furono anche figure storiche come PitagoraPlatoneAugustoApollonio di Tiana e molti altri personaggi dell’antichità. Questo è il motivo per cui, come riporta il teologo Windisch: «…abbiamo appreso a ben distinguere tra il Figlio di Dio del Vangelo di Giovanni e della teologia sinottica, e l’Uomo Gesù, Maestro messianico, taumaturgo e profeta, quale viene delineato dagli strati più antichi della tradizione».

Dopotutto… tale era la voglia di divinizzare la figura dell’uomo Gesù, che portò gli evangelisti recenziori a marchiani errori.

Nelle proto-recensioni Evangeliche c’è ad esempio chi decise di far nascere Gesù a Nazareth (che secondo molti studiosi nemmeno esisteva a quell’epoca), e chi, per ragioni squisitamente profetico-bibliche, preferì Betlemme (città che diede le origini, già mille anni prima, al Re Davide).
Ma perché far nascere Gesù a Betlemme?
Probabilmente perché, secondo la profezia di Michea, nella discendenza di Davide si sarebbe realizzata la promessa di salvezza che il Signore aveva fatto a Israele fin dai tempi più antichi… (Mic 5,1 sgg) per questo il Messia fu chiamato “figlio di Davide” e come tale acclamato dalla folla..

In seguito ci fu chi Lo volle “nato senza peccato” e chi si affanno’ invece ad inventare una discendenza che Lo collegasse allo stesso Davide.
In due ingenue genealogie, che vorrebbero legare artificiosamente Giuseppe e la *Nobiltà davidica*, gli antichi redattori si dimenticarono di far conciliare un particolare non poco spinoso (confusione che poi si pensò di risolvere proclamando un bel dogma): come poteva Gesù essere legato nel sangue alla “stirpe di Davide” (Giov. 7, 41) se suo Padre era lo Spirito Santo?
Che confusione ragazzi!
Nel Vangelo attribuito a Matteo, è infatti presente un albero genealogico che vorrebbe collegare Giuseppe a Davide tramite 42 generazioni; in quello attribuito a Luca troviamo invece un albero con nomi diversi e rami aggiunti, e le generazioni diventano così 56. Ma già sul nome del nonno di Gesù appaiono delle sconcertanti discordanze, secondo ‘Matteo’ si chiama «Giacobbe», ‘Luca’ invece sceglie per il Nobile Nonno un altro nome e così nella sua versione diventa «Elì».

Sembra quasi di vedere l’affanno e le spasmodiche corse che fecero già all’epoca per cercare di correggere queste chiarissime ed imbarazzanti discrepanze, pensate che addirittura «…si giunse ad inserire, sic et sempliciter, l’albero di Matteo nel Vangelo di Luca» (Klostermann).

A questo punto mi si perdoni la curiosità, ma sorge spontanea una nuova domanda: se, come insegna l’Enciclica di Leone XIII “Providentissimus Deus“, gli Evangelisti «esprimono con infallibile veridicità tutto ciò che Dio ha ordinato loro di scrivere e soltanto quello», domando: chi si è sbagliato?
Forse Dio?

Procedendo nello studio si può poi curiosamente notare come la divinità di Gesù diventi sempre più precoce e accresca man mano che la trascrittura dei Vangeli si allontana cronologicamente da Lui.

  1. Marco (il più vecchio ed attendibile fra i Vangeli sinottici) introduce il concetto “Figlio di Dio” soltanto, e giustamente, dopo il suo battesimo.
  2. Matteo (il secondo in ordine di tempo) dice che Gesù è generato divino dalla vergine Maria.
  3. Luca (l’ultimo dei tre sinottici) fa venerare la divinità di Gesù già da Giovanni il Battista ancor prima di nascere.

Personalmente concordo con le analisi di quegli studiosi che fanno risolutamente notare come, per i primi seguaci di Gesù, egli non fosse considerato il “Divino Figlio di Dio” né tantomeno Dio.

Solo dopo aver ricevuto l’ «Innocente Spiritualità» (per dirla con Pincherle), Gesù fu innalzato alla “comunione con l’Uno Vivente” e del resto il senso della vicenda del Cristo, a mio avviso, è proprio questo.

Se fosse realmente stato l’Unigenito Figlio di Dio dalla nascita, la ricezione dello Spirito Divino sarebbe stata senz’altro superflua e “Marco”, nel Vangelo più antico, non lascia dubbi in proposito quando scrive: «e subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto» (Mc. 1, 12). Questo fa chiaramente intendere l’effetto che l’accoglimento della nuova spiritualità ebbe su di Lui e sul suo cammino spirituale. Ritengo importante comprendere e sottolineare, quanto reale fu la coincidenza fra l’illuminazione ricevuta e l’inizio della attività spirituale di Gesù.
Solo dopo aver ricevuto l’Illuminazione Gesù avvertì nitidamente la divinità insita nel suo essere (divinità presente in tutti noi esseri umani) e per questo motivo, il più antico degli Evangelisti solo dopo quel momento inizia a definirlo “Figlio di Dio”.

Risulta estremamente chiaro come il senso del battesimo di Gesù fu completamente stravolto già a partire dal Vangelo di Matteo, il quale, aggrava la sua già scarsa attendibilità quando fa prima dire a Giovanni Battista di non essere degno di battezzare il “riconosciuto messia”, e poi lo fa tornare sui suoi passi facendogli dire: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?», perché questa resistenza di Giovanni Battista nel voler comprendere la sua “divinità”? La questione fa assai riflettere…

Le molteplici critiche, nate a causa di questi incomprensibili eventi, e sollevate già all’epoca dei fatti, crearono non poco imbarazzo soprattutto nella Chiesa antica, al punto che Sant’Ignazio arrivò ad affermare che, col battesimo, il Signore, intendeva purificare l’acqua del Giordano, e pensate che mille anni più tardi Tommaso D’Aquino ancora condivideva quest’assurda teoria.

Ora, se, come vuole l’artificiosa dottrina cattolica, il battesimo serve a cancellare il peccato originale, che bisogno aveva Gesù nella sua presunta iniziale “impeccabile purezza” di riceverlo?

Il battesimo probabilmente voleva essere, secondo lo stesso Gesù, da intendere come un semplice invito alla “consapevolezza del peccato” e soprattutto del male, e proprio per questo motivo, secondo me, è assolutamente necessario essere adulti e ragionevolmente maturi per “riceverlo”…

Ora però vorrei riprendere quei temi complessi e “scottanti” del processo di divinizzazione di Gesù e della sua misteriosa resurrezione.

Ai tempi di Gesù, la massa era abituata agli uomini divinizzati. Lo era talmente tanto che Petronio arrivò a scrivere: «Il nostro territorio pullula di presenze divine, a tal punto che si incontra più facilmente un dio che un uomo», questo pensiero già di per se ci offre un prezioso parametro di valutazione esaustivo e di facile comprensione, utilissimo per comprendere il contesto particolare di quel periodo storico.

Nel II secolo il numero delle divinità crebbe ancora di più, tanto che Celso (filosofo del II sec.) scrisse: «Molte persone anonime si aggirano dentro e fuori dei templi come volessero emettere responsi… ciascuna di esse è sempre pronta a dire: “Io sono un Dio”, oppure “Figlio di Dio” o ancora “uno Spirito Divino”» (Origene – contra celsum 7, 9).

Non credo sia utile soffermarsi troppo nel dire che in mezzo a queste “divinità pretendenti”, i ciarlatani erano senz’altro numerosi.

Probabilmente per i primi apologeti di Gesù la tentazione di fare di Lui una “divinità esclusiva”, di fatto superiore a tutte le altre, era forte nonché estremamente necessaria.
Essi credevano che solo concependo ed esaltando al massimo la sua divinità potevano essere ascoltati e riscuotere credito fra la gente. In quel periodo le gesta di un uomo “normale” non avrebbero ricevuto la debita attenzione, bisognava che fosse un essere “speciale”, “mitico”.

Ma la natura divina non era ancora sufficiente, bisognava creare una netta distinzione con le altre divinità di quel periodo, era perciò indispensabile un altro grande prodigio.
Cosa fare?

Un evento miracoloso che avrebbe potuto contribuire ad accrescere il prestigio di questo uomo meraviglioso, poteva essere rappresentato dalla sua resurrezione, ma anche questo evento era un fenomeno altrettanto frequente a quei tempi, ed infatti lo stesso Origene cita in proposito: «Questo miracolo non arreca ai pagani nulla di nuovo e ad essi non può apparire scandaloso» (Origene – contra celsum 2, 16).

Il “fenomeno” della resurrezione, come il miracolo della resuscitazione dai morti era molto diffuso a quell’epoca. Il mito del dio che soffre, muore e poi risorge, era tipico della maggior parte delle religioni misteriche dell’antichità. Lo stesso ‘Matteo’ non sembra scorgere nella resurrezione di Gesù l’unicità di un vero portento, e riduce sensibilmente la straordinarietà del fenomeno facendo intendere che sarebbe addirittura sufficiente una discreta mancia per convincere i guardiani del sepolcro a smentirlo.

In queste mie analisi non voglio considerare le teorie (comunque interessanti e degne di nota) elaborate da vari studiosi, i quali hanno ipotizzato una messinscena dei seguaci di Gesù ingegnata con il fine di favorire la sua fuga. Secondo questi studiosi questa fuga, molto ben architettata, generò in seguito il mito della resurrezione. Molte di queste ipotesi trovano riscontro in numerosi documenti, riscoperti recentemente, che vedono Gesù “riparare” in estremo oriente e rimanervi fino al decesso avvenuto in età avanzatissima.

Ritengo peraltro giusto ricordare che in periodi storici precedenti le narrazioni evangeliche, molti resuscitarono dai morti e fra questi troviamo:

#– il Dio mesopotamico Tammuz, il quale moriva l’inverno per risorgere in primavera (il culto del dio-pastore Tammuz, strettamente legato alla famosa dea Ishtar e conosciuto anche come Inanna-Dumuzi, risale a prima del 3000 a.C.. Esso fiorì dapprima nella terra dei Sumeri, e verso il 1000 a.C. entrò nel pantheon cananeo.
Si osserva che nel sec. VI a.C. il biblico profeta Ezechiele (8,14), rimproverò le donne di Gerusalemme che piangevano la morte di Tammuz, questo particolare ci rammenta che il culto di questo dio-pastore, il quale scendeva agli inferi per poi risorgerne, era penetrato anche in Israele, trovando anche lì numerosi seguaci)

#– l’egiziano Osiride (questo dio antichissimo, a differenza degli altri, morì per mano del fratello Seth e il suo corpo venne gettato nel Nilo. Osiride risorse il terzo giorno ed ebbe un figlio dalla sorella-sposa Iside, Horus, il quale lo vendicò uccidendo lo zio assassino)

#– il tracio Dioniso: (in breve, l’umano Dioniso nacque dalla mortale Semele e realizzò un’evasione dalla condizione umana diventando un dio. Anche Dioniso venne ucciso, ma il suo cuore rimase vivo, così egli risuscitò divenendo immortale. Il suo mito offrì in seguito agli uomini la prospettiva di una natura divina).
Di Dioniso (forse uno dei “personaggi” più interessanti e dal quale potrebbero essere scaturite forti influenze verso l’ambiente cristiano) e dei misteri dionisiaci si sa per certo che  erano ben conosciuti sia in Palestina che nello stesso Impero Romano già da prima del XIII sec. a.C. Molte e curiose sono le similitudini con il mito cristiano: una volta defunto Dioniso (uomo che divenne dio), discese negli inferi, ma dopo alcuni giorni tornò sulla terra. Proprio per questa sua capacità di tornare alla vita fu venerato nell’antichità come “dio liberatore”. Il culto di cui questo uomo-dio era oggetto, offriva ai suoi adepti la speranza di una vita ultraterrena resa possibile proprio dal suo divino intervento e si richiamava infatti ad un aspetto fondamentale: alla morte seguiva la resurrezione.
Altra curiosa corrispondenza si nota nel rituale che prevedeva l’ omofagia (un rito che consisteva nella consumazione della carne e del sangue di un animale, identificato appunto con Dioniso stesso), come segno di unione mistica con il corpo ed il sangue del dio. Ulteriore e singolare correlazione era che per poter essere ammessi al culto dionisiaco era necessario essere battezzati, introdotti al tempio e sottoposti ad un rigido digiuno. Questo dio inoltre, era strettamente connesso con i cicli vitali della natura, alla quale venivano legati appunto il concetto di resurrezione (primavera) e di morte (autunno) proprio come manifestazione della morte e della resurrezione di Dioniso stesso. Desta poi una discreta curiosità anche il vedere come questo dio fu strettamente legato agli stessi simboli (vite, ariete e melograno) con cui l’iconografia cristiana spesso riconobbe Gesù. Termino qui la parentesi sul dio Dioniso trascrivendo un frammento del Greek Myths di Robert Graves: “… Dioniso, anche detto «colui che è nato due volte»… una volta affermato il suo culto in tutto il mondo, ascese al cielo, e ora siede alla destra di Zeus come uno dei Dodici Grandi . . . . “

#– il siriano Adone (anche questa divinità di origine semitica, risorgeva annualmente “stimolato” da un culto caratterizzato da sofferenza e passione, la sua resurrezione non rappresentava ancora un “mistero”, ma ne costituì probabilmente l’embrione).

#– il traco-frigio Sabazio, dal quale tralaltro la cristianità ereditò la cosiddetta “benedizione latina” (la mano levata con le prime tre dita aperte e le altre due chiuse).

#– il frigio Attis, il quale rinuncia al mondo in vista di una salvezza oltremondana ed il cui corpo risorgendo, diventa incorruttibile (anche nel suo culto misterico – passato dall’Asia Minore in Grecia e presente a Roma già nel 205 a.C. – troviamo passione, flagellazione, morte, rinascita…)

Altrettanto degne di nota sono peraltro le seguenti parole che appartengono alla tradizione Indù sulla nascita del dio Krishna (una tradizione di mille anni più vecchia del Vangelo), sta poi a voi elaborare le debite riflessioni:
«…la volontà dei Deva fu compiuta; tu concepisti nella purezza del cuore e dell’amore divino. Vergine e madre, salve! Nascerà da te un figlio e sarà il Salvatore del mondo. Ma fuggi, poiché il re Kansa ti cerca per farti morire col tenero frutto che rechi nel seno. I nostri fratelli ti guideranno dai pastori, che stanno alle falde del monte Meru… ivi darai al mondo il figlio divino…» (E.Shurè, I grandi Iniziati, Bari, 1941)

Anche Apollonio di Tiana risorse, si presentò a due dei suoi discepoli, e li invitò a toccare la sua mano al fine di sincerarli dell’evento ultraterreno.

A dir poco curiose sembrano inoltre alcune corrispondenze temporali che intercorrono tra i “trapassi” e le “resurrezioni” di queste figure immortali: Osiride ad esempio risorge il terzo giorno, Attis nel quarto.

Risulta altresì sorprendente quanto riportato da Leipoldt (riscontrabile anche in alcuni scritti, da egli citati in nota, di M. BrucknerStaerck e W. Bauer): «…appaiono sorprendenti alcune analogie fra il culto cristiano e la resurrezione di Mel-Marduk, la principale divinità di Babilonia, creatore del mondo, dio della saggezza, dell’arte medica e dell’esorcismo, redentore inviato dal Padre, suscitatore dei defunti, signore dei signori, re dei re e buon pastore. Come il Cristo della Bibbia, Bel-Marduk fu arrestato, processato, condannato a morte, fustigato e giustiziato insieme a un malfattore, mentre un altro delinquente viene lasciato libero. Una donna asciugò il sangue del dio, fluito da una ferita inferta da un colpo di lancia e anche lui discese negli inferi per liberarne i prigionieri, la sua tomba fu ben nota agli antichi».

Tutto questo dimostra quanto fosse diffusa nelle varie mitologie la discesa agli inferi ed il successivo ritorno.
Dioniso, Teseo, Attis, Eracle (Ercole), Orfeo, Bel, Marduk, Tammuz, Ishtar (Inanna, Astarte, Anath, Ashera, Anahita), Osiride, Apollonio di Tiana, Adone, Zagreo, Enea, Sabazio, Horus, Chuchulain, Gwydion, Amathaon, Ogier le Danois, sono solo alcuni dei numerosi nomi che si palesano a chi affronta studi relativamente approfonditi…
Last, but not least: Asclepio (Esculapio), Mitra (Mithras, Helios*, Apollo), Zoroastro (Zaratustra, legato ad Ahura Mazda), Pitagora, Iside… etc etc etc
Mi auguro che ogni credente sincero rifletta profondamente su questo importante aspetto. Nell’arco della storia la figura di Gesù è stata caricata di troppi miti; ora necessita di un minuzioso lavoro di ripulitura che restituisca a Lui dignità e rispetto, e all’uomo moderno il sacrosanto diritto alla correttezza informativa. Onestà storiografica vuole che entri in funzione il famoso ed irreprensibile “rasoio di Occam”.
*«Quel che c’era di bello e di sublime nel mito del Sole venne fatto
    proprio dal Cristianesimo: Helios divenne Cristo».
        (Il teologo Carl Schneider, Geistesgeschichte, I, 258)

  Tornando alla descrizione della Resurrezione presente sulle narrazioni evangeliche , tutta la teologia storico-critica non esita nel porre l’accento sul fatto che in essa le contraddizioni sono talmente pacchiane e numerose da offuscarne seriamente il credito.

Argomentando sul mistero della Resurrezione il teologo Grass scrive: «…tutti i resoconti hanno un marcato carattere leggendario… il contributo storico agli eventi è scarso e discutibile» e il teologo Heiler implementa dicendo: «…contraddizioni su contraddizioni» mentre il teologo Von Campenhausen esprime così il suo “fastidio”: «…fra tutte le notizie a noi pervenute, non se ne trovano due che concordino fra loro» ritenendo inoltre che «…la versione dei fatti fornita da Matteo rigurgita di incongruenze e di assurdità. Tale spiacevole impressione sarebbe attenuata, se si decidesse di ignorare completamente i racconti più recenti di Matteo, Luca e Giovanni attenendosi esclusivamente, ma con la necessaria cautela, al più antico Marco».

Anche Goethe palesa chiaramente i suoi sospetti quando negli Epigrammi Veneziani scrive: «Il sepolcro è spalancato: che grandioso miracolo, il Signore è risorto! Chi ci crede! Furfanti, lo avete portato già via!».

Non mi sento di prescindere completamente la reincarnazione dal mio credo. Ripeto: queste mie considerazioni intendono solo commentare alcune conclusioni a cui la critica storica e quella razionalista sono giunte, e vogliono servire come semplici spunti di riflessione su cui riflettere, con il fine di migliorare la comprensione di questa enigmatica vicenda.
Potrei anche credere alla resurrezione di Gesù, la ritengo cosa verosimile, ma non miracolistica; non riesco a scorgere in questo fenomeno alcunché di straordinario o di particolarmente significativo per il cammino spirituale di ognuno di noi.
Sicuramente questo mio pensiero sembrerà più vicino al panteismo e a molte filosofie di tipo orientale; molte discipline dell’estremo oriente infatti sono spesso vere e proprie “scuole di pensiero” che non scorgono in fenomeni quali la resurrezione nulla di venerabile o di utile ai fini escatologici; in esse fenomeni come la trasmigrazione, la metempsicosi e la reincarnazione portano ad individuare, in un individuo come Gesù, unicamente un’anima evolutissima, perfettamente consapevole delle Verità superiori, giunta sino a noi per aiutarci nel cammino di conoscenza.

Gesù era indubbiamente molto progredito ed aveva raggiunto uno stato avanzatissimo nel proprio percorso evolutivo; egli dimostrò nelle parole e nei fatti di essere altamente consapevole, e di Conoscere bene le potenzialità presenti nell’essere umano, potenzialità a cui Lui aveva indubbiamente pieno e libero accesso.

Quello che voglio dire è che non vedo quale beneficio possa scaturire dall’atto del prostrarsi ai piedi del Cristo perché Egli è miracolosamente risorto nella carne, o perché ha resuscitato Lazzaro o ancora perché ha camminato sulle acque; io non riesco a basare su questi fenomeni la mia fede o il mio credo, lo troverei assurdo ed incomprensibile, e forse addirittura offensivo nei suoi confronti.

Ci sono dei Guru che riescono a compiere imprese impensabili, molto simili a quelle compiute da Gesù; dovrei considerare anche loro come “divini, unigeniti Figli di Dio”, prostrarmi ai loro piedi e fondare una religione per ognuno di essi?
Certamente no! Il mio interesse non procede in quella direzione…
Ringrazio certamente questi grandi “iniziati” per gli enormi sforzi che essi ininterrottamente compiono per il bene dell’intera umanità. I risultati a cui essi sono giunti sono senz’altro utili per palesare alla massa le possibilità, latenti in ogni essere umano, di poter trascendere i limiti del proprio corpo-mente, di invalidare i fuorvianti condizionamenti culturali e religiosi, di svincolarsi da convinzioni acquisite così distanti dall’autenticità, di enucleare la propria essenza più pura, ma non possono andare oltre: la Consapevolezza non è trasmissibile. Si può trasmettere un credo, una cultura, le personali o collettive convinzioni, non certo la Consapevolezza!

Spero vivamente di non essere frainteso per ciò che sto scrivendo e vorrei ricordare che ammiro ed amo infinitamente Gesù, per tutto ciò che Egli ha detto e fatto, per ciò che ha rivelato, per le sue Verità di Vita, per il suo inimitabile esempio, per la sua ferma ribellione al potere stantio, non per gli incomprensibili misteri con cui è stata sagacemente avvolta la sua figura.
Amo Gesù per le sue continue esortazioni (tuttora inascoltate) a condividere ogni bene terreno da buoni fratelli e a non accumulare inutilmente beni sulla terra, per i suoi inviti all’amore reciproco, per i suoi ammonimenti a non cadere in preda alle false illusioni e a cercare in se stessi consapevolmente la Verità e il Padre, non certo per gli strabilianti fenomeni narrati in alcune scritture.

Se amassi Gesù Cristo per i misteriosi fenomeni di cui sono piene diverse narrazioni e su di essi basassi la mia fede, (ad es. verginità, resurrezione, miracoli, annunci angelici, etc etc) mi sembrerebbe di essere come un Bukaua che adora il suo Totem o come un indigeno che adora il suo sciamano.
Ritengo molto più importante cercare di imitare il suo esempio, comprendere l’essenza della sua Parola e farne tesoro.
Moltissimi precetti del culto cristiano, per contro, sembrano invece essere orientati ancor’oggi verso un’insignificante ritualità, come se fossero rimasti ancorati al torpore spirituale dei tempi di Mosè, proprio quel torpore che Gesù con tanta tenacia cercò di rimuovere in ognuno dei suoi seguaci.

Molti credenti cristiani difatti rimangono arenati nell’azione cultuale e non procedono affatto verso un percorso di ricerca interiore che porta alla *conoscenza* (ma non per questo possono essere colpevolizzati). Essi vengono spesso “addestrati” a celebrare e basare la propria innata spiritualità imperniandola esclusivamente su cerimoniali e liturgie, si trovano così inconsapevolmente a seguire meccanicamente, e spesso per tutta la vita, un’insignificante sequenza di azioni prestabilite che nulla hanno a che vedere con l’essenza e gli obiettivi degli insegnamenti di Gesù.
Queste ritualità formano una sorta di vuoto nello Spirito e non aiutano a comprendere realmente il nucleo del messaggio cristiano.

  • Gesù disse: – Conoscerete la Verita’ ed essa vi fara’ liberi.
  • Gesù disse: – Colui che conosce tutto, ma ignora se stesso, è privo di ogni cosa.
  • Gesù disse: – Colui che cerca troverà, e a colui che bussa sarà aperto.
  • Gesù disse: – Molti si soffermano fuori della porta, ma soltanto i solitari entreranno.
  • Gesù disse: Maledetti i Farisei! Sono come un cane che dorme nella mangiatoia: il cane non mangia, e non fa mangiare il bestiame.
  • Gesù disse: – I farisei e gli scribi hanno ricevuto le chiavi della conoscenza, ma essi le hanno nascoste: non hanno saputo entrare essi stessi, né hanno lasciato entrare quelli che lo desideravano. Ma voi siate astuti come i serpenti e puri come le colombe.
  • Gesù disse: Beati quelli che sono stati perseguitati nei cuori: sono loro quelli che sono arrivati a conoscere veramente il Padre…
  • Gesù disse: Se esprimerete quanto avete dentro di voi, quello che avete vi salverà. Se non lo avete dentro di voi, quello che non avete vi perderà

Sia chiaro a tutti che questo mio lavoro di ricerca storica non è teso ad infangare la virtuosa immagine di Jesus Christus, né a sminuirla, al contrario ciò che ho veramente a cuore è spogliare la Sua figura da alcune secolari ed inutili zavorre.

Questi “pesanti fardelli” che caratterizzano fortemente gran parte del credo cristiano, appesantiscono ed offuscano l’essenza dell’autentico proclama di Cristo offendendolo spesso grandemente.
Molti oscuri tratti, frutto di fantasiose elucubrazioni di astuti esegeti, avevano a mio avviso il chiaro intento di confondere il credente ed orientarlo, sin dalle origini, verso quella che considero una nefasta mediazione ecclesiastica che alla fine conduce ad un epilogo lacunoso ed incomprensibile.
Alcune interpretazioni hanno adulterato la Parola di Cristo al punto da rendere inintelligibile gran parte del suo meraviglioso annuncio ed hanno allontanato molti credenti da quel sentiero che Egli indicò e invitò a seguire.
Secondo me a differenza di allora, l’uomo di oggi, può però “districare la matassa”, egli è in grado di liberarsi dall’ignoranza e dalle secolari superstizioni, che sempre hanno reso opaco ed enigmatico il vero *progetto* di Gesù Cristo; chi ama veramente Gesù ha il dovere di penetrare il reale senso di quel progetto per riscattarlo e ad aiutare finalmente l’umanità a metterlo in pratica.

Gesù non desidera essere adorato inconsapevolmente, non vuole essere creduto in funzione dei miracoli che ha compiuto, oppure a causa della sua natura divina esclusiva che lo situa come “unigenito Figlio di Dio”, o ancora per la sua resurrezione fisica.
Egli ha effuso un appello nel quale invita tutti al rispetto e all’amore reciproco, ci ha ricordato che siamo transeunti, di passaggio, ha voluto renderci consapevoli che il Padre è in ognuno di noi e che noi tutti siamo nel Padre.
Il suo grido richiama con risolutezza ognuno di noi a ricercare Dio in se stessi, alla divinità che ci è propria; ci invita ad evolvere seguendo quel percorso che Lui stesso ci mostrò.
Il suo meraviglioso appello non richiede erudizione né lunghi studi, è stato infuso nei nostri cuori ed è straordinariamente semplice ed attuabile.
Proviamo con tutte le forze a comprendere il vero senso del suo annunzio e non continuiamo ad offenderlo dedicandoci solo a vuote ed insignificanti ritualità, apriamo i nostri cuori ed ascoltiamo il suo incessante grido.

Inumazione e resurrezione

Per quanto concerne l’inumazione di Gesù, nei documenti attualmente a disposizione sono riscontrabili molteplici incongruenze.
Purtroppo la Chiesa delle origini decise di incenerire tonnellate di documenti considerati da essa “eretici”, con l’intento di eliminare ogni traccia delle accesissime e scomode controversie teologiche. Se ciò non fosse accaduto forse oggi avremmo potuto delineare un quadro più chiaro degli eventi, e del reale proclama di Cristo, ma la paura delle correnti gnostiche era grande, e i “Padri della Chiesa” preferirono far “tabula rasa” per eliminarne ogni traccia.

La Chiesa Cristiana ha sempre temuto grandemente la gnosi, sin dai primi secoli, e non abbandonò mai la presa contro chiunque fosse considerato nemico delle verità indiscusse da essa proclamate, accanendosi, a volte anche molto crudelmente, contro chiunque si opponesse ai suoi dogmi (se potessimo interrogare ad esempio Priscilliano e Asclepio il marcionita – fra i primi a pagare con la vita la propria eresia – e trarre preziose testimonianze dalla lunga schiera di esiliati, respinti, rinnegati, giustiziati, condannati, torturati o riammessi (per abiura o per capovolgimenti di potere) fra cui Ario, Ermogene, Nestorio, Cirillo d’Alessandria, Pràssea, Valentino, Gioviniano, Sabellio, Ipazia, Severo d’Antiochia, Aezio di Antiochia, Elipando di Toledo, Elvidio, Marcione, Montano, Mani, Pelagio, Novaziano, Donato, Maggiorino, Melezio, Epigone, Paolo di Samosata, Apollinare di Laodicea, Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia, Memnone di Efeso, Eutiche di Costantinopoli, Atanasio, Marcello d’Ancira, Fotino di Sirmio, Eudossio d’Antiochia, Macedonio di Costantinopoli, Ulfila il goto, Origene, Clemente d’Alessandria, Decio, Valeriano, Aerio, monaco Enrico, Eunomio di Cizico, Arnaldo da Brescia, Gherardo Segarelli, Fra‘ Dolcino, Giulio Cesare Vanini, Giordano Bruno, Pietro Carnesecchi, Còla di Rienzo, Paolo Sarpi, Girolamo Savonarola, Giovanna d’Arco, Galileo Galilei, Ferrante Pallavicino, Gerardo da Borgo San Donnino, Michele Serveto, Giovanni Tommaso Campanella, Daniel Papebrochius, Pierre de Bruys, Enrico di Losanna, Clement Marot, John Oldcastle, Matteo Gribaldi Mofa, Giorgio Siculo, aderenti o seguaci di Catari, Albigesi, Ariani, Valdesi, Francescani dissidenti, hussiti, Templari e moltissimi altri, ci renderemmo conto della ferocia con cui la Chiesa si scagliò nel perseguitarli).
L’uomo secondo la Chiesa, non deve arrivare a conoscere direttamente Dio, altrimenti verrebbe meno il senso della mediazione ecclesiastica.
Eppure Gesù ci invitò con estrema chiarezza ad intraprendere la via gnostica!
(Vedi Vangelo di Tommaso Apostolo). La Chiesa non aveva alcun diritto di distruggere quegli importantissimi documenti! Ma non vorrei perdermi nel campo delle congetture; desidero invece proseguire con le osservazioni sulle incongruenze Evangeliche relative all’inumazione e alla resurrezione di Cristo.

Nella sua narrazione “Marco” cita di tre donne che si recano al sepolcro per andare ad imbalsamare il corpo con oli aromatici, nella domenica successiva al suo trapasso e già a tal proposito si può osservare che in “Marco” le donne si procurano i balsami il giorno successivo al sabato, mentre in “Luca” si parla di giorno precedente (cfr. Mc. 16,1 con Lc. 23,56).

“Matteo” — che scrive vari decenni dopo “Marco”, ricalcando le sue orme — corregge la distrazione del confratello, il quale nel suo scritto non aveva considerato un particolare assolutamente non trascurabile: un periodo di tre giorni fra il trapasso e l’imbalsamazione erano sicuramente eccessivi, poiché con la temperatura tipica di quei luoghi, il processo di decomposizione sarebbe già iniziato.
“Matteo” nella sua successiva narrazione, decide allora di far inumare ben prima il corpo da Giuseppe di Arimatea (anche Giovanni opta per questa scelta, ma vi aggrega anche Nicodemo) e manda le donne — che secondo lui sono due e non tre — la domenica, a fare una semplice visita al sepolcro (Mt. 28,1).

Nella racconto di “Marco” le tre donne disubbidiscono al “giovane con veste bianca” che trovano seduto accanto all’uscita del sepolcro. Questi gli ordina di annunciare l’evento della resurrezione ma esse, per paura, disattendono questa disposizione e rimangono in silenzio (Mc. 16, 7-8).

Nella novella di “Matteo” invece le due donne corrono con gioia a dare l’annunzio ai discepoli (Mt. 28,8).

Nella descrizione offerta da “Luca” le tre donne — in questo caso sono tre ma con nomi differenti da quelli che fornisce “Marco”— annunziano tutto agli Undici e a tutti gli altri (Lc. 24,9).

Nell’ultimo Vangelo in ordine cronologico, si reca al sepolcro una sola donna, la quale accortasi della pietra ribaltata corre a rivelarlo, ma solamente a Pietro e Giovanni.

Un altro particolare bizzarro è poi quello dell’incontro con gli esseri angelici.
Per “Marco” l’angelo è “nel” sepolcro; per “Matteo” si trova “davanti”, seduto sulla pietra; in “Luca” inizialmente non c’è, ma poco dopo ne appaiono due; secondo “Giovanni” sono sempre due come in “Luca”, ma stanno già sul posto in attesa della donna.

A questo punto a chi dobbiamo credere? E a cosa?
Da chi è stato inumato il corpo di Cristo? E quando?
Quante erano le donne e quanti gli angeli?
Cos’è vero e cos’è inventato?

Quando risorse Gesù? A chi apparve? Dove?

Anche su questo punto le contraddizioni sono notevolissime.
Uno o due angeli (dipende dalla narrazione), annunciò a diverse persone (anche questo cambia in relazione alla narrazione che scegliamo di leggere), che Gesù era risorto nella carne. Un gran numero di documenti della proto-letteratura cristiana non contemplano affatto questo evento.
Cosa succede se prendiamo per buone le testimonianze offerte dai canonici?.

Dobbiamo ricordare che secondo una antica legge ebraica per poter considerare un evento autentico occorreva la testimonianza di almeno due o tre persone (vedi V Libro di Mosè Deut. 19, 15; Giov. 8, 17; 2Cor. 13, 1; 1Tim. 5, 19). Gli Evangelisti recenziori decisero allora di trovare, per convalidare la testimonianza, il maggior numero di testimoni possibile. Spaziando fra i documenti e citando solo i personaggi maggiormente conosciuti, noteremo allora che secondo alcuni Gesù apparve per primo a Maria Maddalena, per altri a Giacomo, per certuni a Nicodemo e a detta di certaltri a Sua Madre.

Ma cosa riferiscono a tal proposito i cosiddetti canonici?
Pur prendendo sul serio l’epilogo (chiaramente non autentico) di “Marco” e la narrazione dell’ultra-centenario “Giovanni” Apostolo saremmo portati a credere che Gesù apparve a Maria di Magdala (Mc. 16,9 e Giov. 20,11), ma invece “Matteo” parla di “due Marie” (Mt. 28, 9) e “Luca” di due discepoli sulla via di Emmaus (Lc. 24,13). E ancora, perché “Matteo” e “Marco” individuano nella Galilea il luogo di apparizione del Gesù redivivo e “Luca” invece vicino a Gerusalemme? (Mc.16,7 e 14,28; Mt.28,16 e Lc.24,13; nonché Atti 1,3).

….. continua ……
pagina in lavorazione, ultimo aggiornamento: Dicembre 2005


Presento ora un documento di estremo interesse di uno studioso molto serio dei documenti relativi a Gesù. Le cose qui scritte non sono banali, occorre seguirle con un poco d’attenzione  e si scopre un mondo nuovo.

http://freeweb.supereva.com/vangelo/vangelo.html?p

MANIPOLAZIONI NEL RESOCONTO DEL PROCESSO:

DUE GESU’?

di David Donnini

Si osservi attentamente il documento riportato qui sopra. Si tratta di alcuni passi tratti dalla pagina 101 del Novum Testamentum Graece et Latine (a cura di A. Merk, Istituto Biblico Pontificio, Roma, 1933). Nella parte superiore, evidenziato in rosso, troviamo il verso 16 del capitolo 27 del Vangelo secondo Matteo. Nella parte inferiore, sotto la riga orizzontale abbiamo la relativa nota a piè di pagina.

La versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana (1976) del vangelo secondo Matteo traduce quel verso nel seguente modo:

Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba

Mentre la Sacra Bibbia (Traduzione dai Testi Originali), edita dalle Edizioni Paoline nel 1964, traduce così:

Egli aveva allora in carcere un detenuto famoso, detto Barabba

Ancora, il Nuovo Testamento – Parola del Signore, pubblicato nel 1976 dalla Elle Di Ci (Leumann, Torino), traduce così:

A quel tempo era in prigione un certo Barabba, un carcerato famoso

E, infine, il Nuovo Testamento, Nuova Revisione 1992 sul Testo Greco, della Società Biblica di Ginevra, traduce così:

Avevano allora un noto carcerato, di nome Barabba

Innanzitutto notiamo che le traduzioni sono abbastanza diverse e che tali variazioni possono produrre importanti discordanze nei significati. Questo prigioniero famoso era “detto Barabba“, “un certo Barabba” o “di nome Barabba“?
E’ sicuro che “detto“, da una parte, e “di nome” o “un certo“, dall’altra parte, lasciano intendere due cose molto differenti. Nel primo caso Barabba sembra un soprannome, mentre nel secondo e nel terzo caso sembra trattarsi di un nome proprio: quel prigioniero si sarebbe chiamato proprio Barabba.
Naturalmente qualcuno potrebbe osservare che ci stiamo ponendo una questione abbasta irrilevante, ma non è affatto così. Infatti stiamo toccando uno dei problemi più delicati di tutta l’analisi della letteratura evangelica, perché dietro al personaggio di Barabba, alla sua vera identità e al suo ruolo nella circostanza del processo che Cristo ha subito dinanzi al procuratore romano Ponzio Pilato, si nasconde probabilmente una delle più importanti chiavi di comprensione del senso storico reale di quegli eventi.
Il testo greco usa il termine legomenon Barabban (leghomenon Barabban) che si traduce con “detto Barabba“, “chiamato Barabba“, “soprannominato Barabba“, e ciò lascia intendere che quello non fosse il nome proprio, ma un titolo o un soprannome.
Eppure tutti conosciamo Barabba come una persona che si chiamava proprio così, e sappiamo anche che era stato messo in prigione perché era un brigante, forse un ribelle. Almeno, questo è ciò che la tradizione ci ha sempre fatto pensare di lui.
Ma torniamo al Novum Testamentum e osserviamo la nota a piè di pagina che si riferisce al verso 16 del vangelo di Matteo. In essa sono riportate le varianti che si possono trovare in alcuni antichi manoscritti evangelici. Nel nostro caso la nota è duplice e le due parti sono sepatare da una breve linea verticale.
Cominciamo dalla seconda parte. Essa ci dice che dopo il termine “Barabba” alcuni antichi testi recano una frase non breve:

“eicon de tote desmion epishmon Ihsoun Barabban, ostiV hn dia stasin tina genomenhn en th polei kai jonon beblhmenoV eiV julakhn”

il quale era stato messo in carcere in occasione di una sommossa scoppiata in città e di un omicidio

In pratica, dai testi antichi è stata scartata una frase dalla quale si può capire abbastanza chiaramente che Barabba era stato arrestato nella circostanza di una sommossa, che si era verificata in città, durante la quale era stato commesso un omicidio. Chi aveva commesso l’omicidio? Barabba? Se consultiamo il vangelo secondo Marco (Mc 15, 7), in un passo parallelo, possiamo leggere:

Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere, insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio

Il verbo “avevano commesso” è coniugato al plurale, non al singolare, e si riferisce ai ribelli, non a Barabba. La frase significa semplicemente che Barabba era rinchiuso nel carcere in cui si trovavano i ribelli, non ci obbliga a credere che egli stesso fosse un ribelle e che avesse partecipato al delitto.
In fin dei conti nemmeno il vangelo secondo Matteo lo dice; anzi, affermando che costui era stato arrestato in occasione di quel tumulto e di quell’omicidio, non dà affatto l’impressione che Barabba fosse uno degli insorti né, tantomeno, l’omicida.
Il vangelo di Luca contiene una frase (Lc 23, 19) assolutamente identica a quella omessa dal testo di Matteo, di cui abbiamo già visto sopra il testo greco, ma essa (si faccia bene attenzione) viene tradotta comunemente in modo scorretto, attribuendogli così significati che essa non può e non deve avere; per esempio una versione del Nuovo Testamento, che si definisce “traduzione interconfessionale in lingua corrente“, la riporta nei seguenti termini:

…era in prigione perché aveva preso parte ad una sommossa del popolo in città ed aveva ucciso un uomo
[Parola del Signore, Elle Di Ci, Leumann (To), 1976]

La traduzione corretta, lo ripetiamo, è: “…si trovava in carcere, insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio…”, infatti le parole “dia stasin tina” possono essere tradotte con “in occasione di una sommossa“, “poiché c’era stata una sommossa“, “nel luogo della sommossa“, “durante una sommossa“, ma non si potrà mai tradurre “aveva preso parte ad una sommossa“, e neanche “aveva ucciso un uomo“. Questo non è assolutamente scritto nel testo originale, è una forzatura che altera molto il senso della frase, facendo diventare arbitrariamente Barabba il soggetto di una azione che, invece, è stata compiuta dagli altri ribelli.
La lettura dei vangeli sinottici, eseguita fedelmente alle versioni in lingua greca, ci dà buoni motivi per pensare che Barabba non fosse uno dei briganti che avevano commesso l’omicidio, ma solo che egli sia stato arrestato in concomitanza con la sommossa di cui altri erano responsabili. Ci dicono, tra l’altro, che costui non era uno sconosciuto ma un personaggio famoso.

La osservazione più interessante la facciamo senz’altro nel momento in cui osserviamo la prima parte della nota 16 presente nel Novum Testamentum. Essa ci dice che in alcuni antichi manoscritti, al posto di “legomenon Barabban” (leghomenon Barabban = detto Barabba), troviamo quest’altra espressione: “Ihsoun Barabban ” (Iesoun Barabban = Gesù Barabba). La nota ci conferma che il personaggio non si chiamava Barabba, ma che questo era un titolo, affiancato al suo vero nome: Gesù. Diciamo la verità, è quasi uno shock! Sembra che nel corso di quel processo, durante il ballottaggio per la scarcerazione di un prigioniero, Pilato abbia presentato al popolo due accusati: un certo Gesù, che i sacerdoti avrebbero condannato a morte perché aveva osato definirsi “figlio di Dio“, e un certo Gesù, molto noto a tutti col titolo “Barabba“. Due Gesù in un colpo solo. Forse è proprio per evitare questa eccezionale omonimia che i traduttori hanno omesso il nome del personaggio che è stato liberato, e l’hanno presentato solo come Barabba. Ma si tratta di semplice omonimia? Le nostre scoperte, e ne abbiamo già fatte tante, non sono finite. Adesso infatti si rende necessaria una domanda: qual’è il significato del soprannome Barabba?

Per giungere ad una risposta facciamo un passo indietro nel tempo, fino all’interrogatorio che Gesù, qualche ora prima, aveva subito in casa del sommo sacerdote. Costui, che aveva nome Caifa, vistosi nella difficoltà di trovare un capo d’accusa valido per emettere una sentenza di morte (così narra il vangelo), ad un certo punto avrebbe chiesto a Gesù: «sei tu il figlio di Dio?», e Gesù a lui: «tu l’hai detto». Attenzione: la vicenda del processo davanti alle autorità ebraiche, così come è descritta dalla narrazione evangelica, tradisce la presenza di gravi anomalie, anche perché l’idea di un procedimento svoltosi in quelle condizioni è del tutto inaccettabile. I tempi, i modi, il luogo e tanti altri elementi incompatibili con la prassi giudiziaria ebraica, ci mostrano che quello non poteva essere un processo regolare, come molti autori hanno validamente osservato. Al contrario, tutto lascia facilmente intuire che deve essersi trattato di un interrogatorio informale, svoltosi nel corso di azioni confusionarie e sbrigative, nell’intervallo di tempo che separava l’arresto dell’uomo sul monte degli ulivi e la sua consegna alle autorità romane, presso le quali avrebbe dovuto svolgersi il vero ed unico processo che ha condotto Gesù ad una condanna a morte e alla sua esecuzione. Un processo voluto dai romani per sedizione.

Ora, noi sappiamo che gli ebrei non potevano assolutamente pronunciare la parola tabù “Dio“, e che il sommo sacerdote non si sarebbe mai azzardato a pronunciarla in quella occasione. Ma se egli ha veramente posto la domanda, in che modo ha potuto chiedere a Gesù se era «il figlio di Dio»? La risposta è semplicissima, gli ebrei usavano molti termini diversivi per riferirsi a Dio (Adonai, Eloah, il Signore, il Padre…). Anche Gesù, nei racconti evangelici, parla spesso di Dio ma, rivolgendosi ad un pubblico di ebrei ed essendo egli stesso un ebreo, usa uno di questi termini diversivi: “il Padre mio“, “il Padre che è nei cieli“. Nel vangelo secondo Marco (Mc 14, 36) leggiamo: “Abbà, Padre, tutto è possibile per te“, in cui compare sia il termine tradotto (Padre) che quello originale usato dagli ebrei (Abbà). Ed ecco che per gli ebrei del tempo di Gesù “figlio di Dio” poteva essere reso piuttosto con “figlio del Padre“. Anche nella liturgia latina troviamo comunemente “filius Patris“, che è proprio la traduzione letterale dell’espressione usata dagli ebrei, nella corrente parlata aramaica, e quindi anche dal sommo sacerdote Caifa: “bar Abbà“. Mentre in italiano, in mancanza del tabù ebraico, essa si è potuta trasformare senza problemi in: “figlio di Dio“.
L’espressione “bar Abbà“, può essere condensata, e diventa così “Barabba“. La contrazione è del tutto normale: BarnabaBartolomeo… si tratta di termini di derivazione aramaica per “figlio di…“. E’ assolutamente sorprendente che, ai giorni nostri, a nessun cristiano educato e catechizzato sia mai stata fatta notare la questione, non del tutto irrilevante (!!!), che il termine Barabba corrisponda all’espressione usata dagli ebrei dei tempi di Gesù per dire figlio di Dio! Si è dunque voluta nascondere qualche evidenza?

Altro che shock! Infatti, se prima eravamo stati scioccati nello scoprire che Barabba si chiamava Gesù, ora siamo totalmente sconvolti nello scoprire il contrario, e cioè che… Gesù era definito Barabba! Ma quale razza di mistero si nasconde dietro questo intreccio straordinario di nomi e di titoli? E’ mai possibile che durante il processo Pilato abbia presentato al popolo queste due persone:

1 – Gesù, che era detto figlio di Dio, cioè Barabba, che fu condannato e giustiziato,

2 – e Barabba, che però si chiamava Gesù, che fu graziato e rilasciato.

Non ci credo nemmeno io che sto scrivendo queste cose. Non ci può credere nessuno. Ma soprattutto, non è possibile crederci perché non è affatto così che sono andate le cose:

1 – non c’è mai stato un autentico processo davanti al sinedrio, Cristo è stato arrestato per volontà di Pilato che ha inviato per questo una coorte romana sul monte degli ulivi, un corpo di 600 soldati con un tribuno al comando;

2 – gli ebrei non hanno consegnato al procuratore l’accusato con la scusa di essere impossibilitati ad eseguire la sentenza di morte; ne hanno eseguite innumerevoli e ce le testimonia lo stesso Nuovo Testamento (Giovanni Battista, l’adultera che stava per essere lapidata dagli ebrei, lo stesso Gesù che ha rischiato più volte la lapidazione da parte degli ebrei, Stefano lapidato dagli ebrei all’indomani della morte di Gesù, Giacomo lapidato dagli ebrei sotto le mura del tempio…);

3 – i romani non hanno mai avuto l’abitudine di applicare le amnistie in occasione delle festività di altri popoli non latini, ma solo delle festività romane, e tantomeno liberavano in Palestina i condannati per reati gravi di sedizione, i condannati a morte;

4 – Pilato non è rimasto lì imbambolato ad aspettare che il popolo decidesse quale dei due doveva essere rilasciato, per poi lavarsene le mani e scarcerare il ribelle giustiziando un maestro spirituale; questa è una immagine assolutamente non veritiera e ridicola del praefectus Iudaeae; si legga Giuseppe Flavio per sapere chi e come era Ponzio Pilato;

5 – e il popolo degli ebrei non ha mai gridato “il suo sangue ricada sopra di noi e sui nostri figli” (Mt 27, 25), preannunciando la persecuzione perpetrata dai cristiani contro i cosiddetti perfidi giudei nell’arco di lunghi secoli.

Tutte queste sono scuse palesi per spostare la responsabilità della condanna dai romani agli ebrei. Questo infatti è uno dei presupposti della catechesi neo-cristiana, che ebbe origine nella mente di Paolo, il nemico di Simone e Giacomo, in aperta e stridente opposizione con la catechesi giudeo-cristiana, al prezzo di un grave pregiudizio antisemitico. Ci troviamo di fronte ad una presentazione finalizzata ad alterare il significato storico dell’evento. Si tratta di una presentazione funzionale alla dottrina antiessena e antimessianica elaborata da Paolo e successivamente sviluppata dai suoi seguaci ed eredi spirituali. I quali hanno progressivamente aumentato le distanze dall’ebraismo e hanno trasformato l’aspirante messia degli ebrei in un salvatore medio orientale, e il regno di YHWH dei giudei nel regno dei cieli dei cristiani.

Dal rebus di Gesù e Barabba scaturisce una ennesima conferma del fatto che i redattori dei vangeli neocristiani erano non ebrei, che scrivevano per un pubblico non ebreo, e che erano interessati a de-giudaizzare l’aspirante messia degli ebrei, scorporando dalla sua figura tutto ciò che apparteneva ad una personalità messianica, ovverosia ad un ribelle esseno-zelotico che aveva commesso gravi reati di sedizione contro l’autorità romana.
La dinamica dell’arresto, del processo, della condanna e della esecuzione, così come queste fasi sono descritte nelle narrazioni evangeliche, le quali mostrano fra loro grandi contraddizioni, è tale da rivelare una precisa intenzione di mascherare chi fosse realmente l’uomo che venne crocifisso, perché fu arrestato, da chi fu arrestato, perché fu giustiziato, facendo credere, alla fin fine, la tesi storicamente insostenibile che i romani siano stati vittime di un raggiro e che la volontà e la regia della condanna di Gesù siano del tutto ebraiche.

Dal rebus di Gesù e Barabba non scaturisce invece una soluzione su chi siano state queste due persone:

– erano veramente due?
– si tratta di una persona sola che ha subito uno sdoppiamento, come tanti altri personaggi della narrazione evangelica?
– si tratta di due persone i cui nomi, titoli, ruoli e responsabilità sono stati intrecciati e confusi negli interessi della contraffazione storica?
– sono forse i due aspiranti messia degli esseno-zeloti, quello di Israele (il capo politico) e quello di Aronne (il capo spirituale)?
– se Gesù Barabba è il prigioniero che fu liberato, dobbiamo credere che Gesù non è mai stato crocifisso, coerentemente con quanto sostenuto dalla tradizione coranica e da altre tradizioni?

È già molto se siamo riusciti a raggiungere le domande. Per le risposte, se mai riusciremo a raggiungerle come vorremmo, occorre ancora molto lavoro. Se non altro è certo il fatto che il racconto evangelico del processo è pesantemente manipolato. Inoltre, nel contesto di questa analisi storica dei quattro Vangeli, abbiamo avuto un primo concreto assaggio di un fenomeno ricorrente nella redazione dei medesimi: la contraffazione delle identità dei personaggi. Ma questo aspetto sarà approfondito in seguito.



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