Roberto Renzetti
Per 450 anni dal Vaticano hanno fatto finta di esporre una reliquia che non c’è. Nel 1646, sotto il papato di Urbano VIII (Papa Maffeo Barberini, uno che ha fatto più danni dei barbari) e durante il fervore del completamento della costruzione della basilica di San Pietro, ci si rese conto che non c’era più. Qualcuno l’aveva sottratta. Sto parlando della più celebre reliquia della cristianità, la Veronica, che è l’immagine del volto di Gesù comparsa miracolosamente sul fazzoletto di bisso con il quale una pietosa donna (sembrerebbe si chiamasse appunto Veronica in latino – Bernike in greco), asciugò il volto di Gesù, mentre saliva sul Calvario. Tale immagine venne segnalata per la prima volta a Roma nel 705 e, come tutti possono capire, era certamente originale.
Il vaticanista tedesco del Die Welt, Paul Badde, avrebbe “ritrovato” la reliquia in un ostensorio sull’altare presso la Chiesa dei Cappuccini di Manoppello (Pescara), in Abruzzo dove sarebbe finita in modo misterioso (anche qui, senza misteri non si va avanti). Si trova tra due vetri un tessuto delicato, bianco, quasi trasparente, un velo sul quale solo dopo un’attenta osservazione, si individua un volto con una certa plasticità, il cui colore va dal marrone, al grigio, al roseo delle labbra. Fornisco quell’immagine:

Naturalmente, una volta entrati nell’idea del miracolo, è inutile chiedersi cose. Come sia possibile che, ad esempio, le pupille vengano fuori da una asciugatura di volto. Tant’è, il problema è credere o non credere. Con le dimostrazioni non si arriverà mai a convincere chi crede. Così come la datazione del Carbonio 14 sulla Sindone non convinse nessuno dei credenti del fatto che quel telo era databile intorno al secolo XI e non certo intorno al I.
Secondo A. Borrelli, dal secolo XV , in Occidente prende corpo la devozione verso la Veronica. Dopo la morte di Gesù, la donna sarebbe venuta a Roma, portando con sé la sacra reliquia; alcuni testi apocrifi come la “Vindicta Salvatoris”, dicono che il funzionario romano Volusiano, sequestra con la violenza il telo alla donna e lo porta a Tiberio, il quale appena lo vede guarisce dalla lebbra; Veronica abbandona ogni cosa in Palestina e segue il suo telo a Roma, riavutolo, lo tiene con sé e prima di morire lo consegna al papa s. Clemente.
Nei secoli successivi, la Veronica ebbe a fasi alterne un culto, non figurando però negli antichi Martirologi, né in quelli Medioevali, in qualche secondario martirologio è citata al 4 febbraio.
Sul nome Veronica vi è anche un’altra tradizione, dal volto di Gesù, comparso sul telo, sarebbe scaturito il nome Veronica ‘vera icona’. Comunque sia queste leggende hanno senz’altro avuto grande diffusione oscurando quasi del tutto, l’episodio della emorroissa (donna che perdeva sangue), che sarebbe secondo taluni, la stessa donna, anche se non vi sono certezze nei tanti documenti più o meno apocrifi (il nome della Veronica, ricorre per la prima volta nei Vangeli apocrifi, Atti di Pilato cap. 7, e si riferisce alla donna emorroissa che implorando Gesù per la sua guarigione, mentre passava stretto nella folla, riuscì a toccargli il lembo del mantello, guarendo all’istante).
Essa è stata rappresentata in tantissime opere scultoree e di pittura, che ne hanno prolungata l’immagine fino ai nostri giorni, inserendola anche nei personaggi della pia pratica della Via Crucis alla sesta stazione. Il lungo itinerario iconografico che la ricorda con il celebre Santo Sudario, primo ed unico ritratto del Volto Santo, ebbe il suo culmine con la grande statua della Veronica, opera dello scultore Francesco Mocchi del secolo XVII, posta nella Basilica di S. Pietro in Vaticano, centro della cristianità (in questa statua vi è anche scolpito il telo ma ha gli occhi chiusi (qualcuno dice che la scultura si riferiva a Gesù morto, mentre poi è risorto …).
Dal secolo XIII si venerò in S. Pietro a Roma, una immagine del volto di Cristo, detto ‘velo della Veronica’ (che anche Dante cita nel Par. XXXI, 104), che gli studiosi identificarono per lo più con l’icona tardo bizantina attualmente lì conservata (Badde, in Vaticano, avrebbe visto da vicino la reliquia ed afferma che non esiste: Das pure Nichts).
A queste devozioni è connessa l’origine del culto del Volto Santo. Santa Veronica ha un particolare culto in Francia, dove la si considera come la donna che dopo la morte del Salvatore, andata sposa a Zaccheo si reca ad evangelizzare le Gallie e sarebbe morta nell’eremitaggio di Soulac; chiamata anche s. Venice o Venisse, è patrona in Francia, dei mercanti di lino e delle lavandaie.
Insomma vi sono infinite storie e tradizioni che si intrecciano. Nessuna che risalga al I secolo. Al massimo vi è il racconto dello storico Eusebio (265-340). Nella sua Historia ecclesastica (VII, 18), egli racconta che a Cesarea di Filippo vi era la casa della miracolata emorroissa Bernike, supposta originaria di Edessa in Siria e che davanti alla porta della casa si ergeva una statua in bronzo, rappresentante una donna piegata su un ginocchio con le mani tese in atto d’implorazione, davanti a lei la statua di un uomo in piedi, avvolto in un mantello, che tende la mano alla donna; ai suoi piedi cresceva una pianta sconosciuta elevata fino al mantello e ritenuta di efficace rimedio per ogni tipo d’infermità.
La statua dell’uomo, si diceva rappresentasse Gesù ed Eusebio conclude dicendo, che al tempo del suo soggiorno in quella città, il gruppo bronzeo era esistente. Altro autore, Sozomeno, dice che il monumento eretto in onore del Redentore a Cesarea di Filippo, fu abbattuto durante la persecuzione di Giuliano l’Apostata (331-363).
La cosa più sorprendente emerge solo a partire dal 1978, quando suor Blandina Paschalis Schloemer, un’esperta iconografa, come risultato di alcune ricerche ed indagini, affermò che il volto di Manoppello e quello ritratto dalla Sacra Sindone di Torino, sono esattamente sovrapponibili. I tratti sono infatti gli stessi: viso ovale leggermente rotondo e asimmetrico, capelli lunghi, un ciuffo di capelli sopra la fronte, la bocca leggermente aperta, lo sguardo rivolto verso l’alto. In seguito ad ulteriori ricerche condotte dallo stesso Pfeiffer e Padre Bulst, sindonologo, la relazione tra la Sindone e il Volto Santo sarebbe quasi una certezza, ed alle loro scoperte è dedicata una mostra permanente all’interno del Santuario dove è possibile vedere i test e le prove fotografiche dei loro studi.
Ad avvalorare la loro ipotesi sarebbe anche il fatto che, almeno secondo le cronache storiche, la Sindone avrebbe avuto un percorso storico/geografico molto simile a quello fatto dalla Veronica. Secondo i due studiosi la Sindone ed il Velo, sarebbero stati poggiati entrambi sul volto di Cristo, e a questo deriva la loro sovrapponibilità. Parallelamente sarebbero quindi partiti da Gerusalemme alla volta di Camelia, per poi raggiungere Costantinopoli. Da qui le loro strade si sarebbero però divise.
Infatti Costantinopoli fu un centro incredibile di fabbricazione e traffico di reliquie che invasero l’Europa al tempo delle crociate. I pii crociati trovarono il modo di sbarcare abbondantemente il lunario con ogni sorta di reliquia.
La ricostruzione fantasiosa (nel 2000, in occasione del Giubileo) del gesuita tedesco, padre Pfeiffer S.J., delle vicende della Veronica è d’interesse. Il velo di Manoppello, alias Veronica romana, un tempo era conosciuto nell’Impero Romano d’Oriente come l’Immagine di Camulia. L’immagine che si riteneva acheropita — cioè non fatta da mani d’uomo, al pari della Veronica —, originaria della piccola città di Kamulia, o Kamuliane, in Cappadocia, viene traslata da Cesarea, capitale della regione, a Costantinopoli nel 574. In breve la Camuliana diventa il palladio, l’immagine protettrice della capitale: garantiva protezione alla città e vittoria agli eserciti imperiali. Si ritiene che la reliquia venisse accolta con entusiasmo a Bisanzio per sostituire il Labarum di Costantino I (280 ca.-337), andato perduto durante il regno di Giuliano l’Apostata (331-363), anche se le caratteristiche di questa insegna sono a noi tuttora ignote. Viene segnalata in Africa nella battaglia di Costantina, del 581, in quella sul fiume Arzaman, del 586, e in molti altri episodi bellici. L’imperatore Eraclio (575-641) in partenza per una campagna in Persia, nel 622, stringeva in mano uno stendardo sul quale era ricamata l’immagine di Camulia. E ancora nel 626, durante l’assedio di Costantinopoli da parte degli àvari, la santa immagine viene esposta sulle mura a difesa della città.
Un giorno l’immagine sparisce per non ricomparire più a Costantinopoli. Potrebbe esser andata distrutta in battaglia, ma l’ipotesi più ragionevole, sostenuta anche dal padre gesuita, è che sia stata inviata segretamente a Roma.
Nella Vita di Germano I, patriarca di Costantinopoli (715-730), si narra che questi mette in salvo l’Acheropita gettandola in mare; miracolosamente questa giunge al largo di Ostia, ove viene ripescata e portata a Roma. Malgrado il carattere in parte leggendario della narrazione sono noti altri documenti che sembrano confermare la sostanza dell’avvenimento, cioè l’invio della reliquia a Roma (9).
Padre Pfeiffer S.J. colloca la data di questo trasferimento negli anni che intercorrono fra il primo e il secondo regno di Giustiniano II (679 ca.-711), dal 695 al 705, ma, a mio avviso, questo potrebbe essere avvenuto almeno dieci o vent’anni più tardi (10).
Naturalmente la Camuliana, messa in salvo a Roma, rimaneva ancora proprietà del Patriarcato di Costantinopoli e non poteva essere assunta come protettrice di una città, ove era stata inviata in via temporanea con il tacito accordo che venisse restituita, quando fosse cessata la persecuzione delle immagini. Giustamente l’autore fa notare che la Veronica-Camuliana viene mostrata pubblicamente solo dopo il definitivo declino della potenza di Bisanzio, cioè dopo la caduta di Costantinopoli del 1204 (11).
Ma dove viene conservata per quasi cinque secoli prima che iniziassero le ostensioni pubbliche? Anche a questa domanda si è cercato di dare una ragionevole risposta. Da tempi antichissimi è noto che nell’oratorio di San Lorenzo, detto Sancta Sanctorum, situato nei Palazzi Laterani, si venera un’immagine del Salvatore. Quest’immagine, che si riteneva “non fatta da mano d’uomo”, era il palladio di Roma. Oggi si presenta come una tavola rivestita di lamine d’argento, al disopra delle quali appare un volto dai grandi occhi, con barba e baffi sottili, circondato dal nimbo inserito in uno spazio ottagonale. Per secoli fu impossibile condurre su di essa uno studio accurato e solo nel 1907 Papa san Pio X (1903-1914) concede a monsignor Joseph Wilpert (1857-1944), archeologo di chiara fama, questo eccezionale privilegio (12). Questi individua le tracce di tre successivi restauri. Quello nel nostro caso di maggior interesse è eseguito sotto il pontificato di Papa Alessandro III (1159-1181) e consiste nell’applicazione di un velo di seta dipinto sulla tavola sottostante, estremamente danneggiata dal tempo.
Sulla base di queste indicazioni padre Pfeiffer S.J. avanza l’ipotesi che il velo dipinto, applicato sopra l’immagine originale con un procedimento del tutto inconsueto, possa indicare che in passato nel Sancta Sanctorum si venerava un altro Velo, quello dell’Immagine di Camulia, forse nascosto da una maschera metallica. Quando questa può finalmente venir mostrata pubblicamente, sull’icona originaria si applica una copia dell’Acheropita, che era stata ormai trasferita definitivamente — fino al furto che si consumerà nei primi anni del secolo XVII —, con il titolo di Veronica, in San Pietro (13).
Non resta che aspettare un altro Dan Brown che ci racconti un’altra storia (non si capisce perché Dan Brown sia così duramente attaccato dalla Chiesa, le sue storie sono molto più credibili di queste pure fantasie).ù
Roberto Renzetti
PS. So che vi sono incongruenze di date. Le cose che ho riportato provengono da vari siti cattolici che si possono trovare con google alla voce “veronica reliquia“. Ho lasciato ogni dato così come l’ho trovato perché è bene si sappia che, pur nella totale incertezza storica di ogni fatto di fede legato alla persona di Gesù (nessuno storico contemporaneo a Gesù, neppure gli ebrei conversi come Flavio Giuseppe – Le guerre giudaiche – o Filone d’Alessandria, ha mai riportato nemmeno un cenno lontanissimo a questo fatto clamoroso – Gesù, miracoli, processo, resurrezione, fenomeni soprannaturali – che sarebbe accaduto in un luogo non secondario dell’Impero di Roma) e quindi a seguaci vari, nessuno si preoccupa neppure di raccordare le cose tentando da una parte una storia condivisa e dall’altro la denuncia degli eventuali imbroglioni. Ma sperare questo è credere ad una Chiesa che caccia la gran parte dei suoi fedeli.
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