LA FISICA NEL SETTENTO: NEWTON 1

Fiat Newton et lux fuit

Roberto Renzetti

PARTE   I

1 – INTRODUZIONE

        La prima cosa che devo dire è che qualunque critica potrò muovere o riprendere su Newton è dettata solo da critiche che furono fatte al suo lavoro e che hanno giustificazioni di carattere scientifico. La grandezza di questo scienziato è tanto imponente che non servirebbe neppure dire quanto ho detto, poiché i suoi meriti sono universalmente riconosciuti.

        Altra cosa che devo dire è che ho trattato di Newton in molti dei miei lavori per aspetti particolari del suo pensiero. Non ho mai affrontato una monografia sul personaggio e tal cosa tento di fare ora. Aggiungo solo che per fare ciò riprenderò quanto ho già detto qua e là e farò opera di collegamento tra le varie trattazioni fatte e di integrazione per quanto non ho mai trattato.

        L’opera di Newton è talmente vasta e complessa che l’idea di essere esaustivi è presuntuosa. Sono stati scritti, come con Galileo, centinaia di libri ed articoli a tutti i livelli di complessità. Da ciò discende che ben difficilmente si possono dire cose nuove su quanto ha realizzato questo grande.

        Per un migliore inquadramento inizio a raccontare la sua vita ed a sistemare cronologicamente le sue opere. Passerò poi ai contributi specifici nei singoli campi, ai suoi interessi metafisici, magici ed alchimistici, alle critiche che immediatamente vennero mosse ai suoi lavori.

2 – VITA E CRONOLOGIA DELLE OPERE

        Isaac Newton nacque, all’inizio della guerra civile tra realisti e puritani, nel villaggio di Woolsthorpe, nella contea di Lincoln in Inghilterra, il giorno di Natale del 1642, mentre moriva Galileo e quando suo padre era già morto da qualche mese (si osservi che nel continente, dove era in uso il calendario gregoriano, era il 4 gennaio 1643). Discendeva da famiglia di piccoli proprietari terrieri (ed analfabeti) da parte di padre e da una famiglia,  gli Ayschough, ricca (proprietari terrieri, uomini di chiesa, architetti, avvocati) ma decaduta da parte di madre, la sua personalità fu influenzata dal fatto di non aver conosciuto il padre. Tre anni

Casa natale di Newton

dopo la sua nascita (1646) la madre di Newton, Hannah (circa 30 anni), si risposò con una persona anziana, Barnabas Smith (circa 64 anni), che era però ricca, con molte proprietà, colta (si era dottorato in arti ad Oxford) e faceva il rettore di North Witham, un piccolo villaggio vicino a Woolsthorpe dove esercitò anche come chierico. Hannah accettò il matrimonio ma con la condizione che alcune terre del futuro sposo fossero intestate prima della cerimonia ad Isaac (queste terre che avevano una resa di 50 sterline l’anno, passarono a Newton quando nel 1663 raggiunse la maggiore età) e che fosse restaurata la casa di Woolsthorpe. Si celebrò il matrimonio che significò anche la separazione tra Hannah ed Isaac perché il secondo rimase nella casa natale accudito (per otto anni) dalla nonna materna mentre Hannah andò a vivere a North Witham dove convisse con il suo sposo fino alla sua scomparsa nel 1653 quando tornò alla casa nella quale aveva lascito Isaac, ricca e con altri 3 figli avuti da Smith (questi avvenimenti furono dolorosissimi per il giovane Newton, che in un suo diario scrisse di essere pentito di aver voluto bruciare i coniugi Smith nella loro casa, e lo resero incline ad isolarsi con la sua mente).

        Newton fu avviato ad una educazione primaria nei villaggi di Skillington e Stoke Rockford, raggiungibili a piedi, ed in scuole rette da dame, come si conveniva a chi sarebbe stato destinato a fare il proprietario terriero. A dodici anni, quando già sua madre era tornata, fu iscritto alla King’s School di Grantham a circa 11 chilometri di distanza, dove studiò latino e greco, la Bibbia, l’ebraico e un poco di aritmetica (alloggiò nella casa del farmacista del villaggio, Clark, poiché sua moglie era amica di Hannah e la cosa gli fu utile perché il farmacista era affabile con lui e lo faceva assistere alla preparazione di medicine). Fu questa un’epoca in cui Newton si costruì vari modellini e giochi meccanici tra cui un mulino mosso mediante un topo, vari aquiloni e lanterne, orologi solari, un orologio ad acqua. Per inseguire questa sua passione era necessario conoscere il disegno e Newton fu un buon autodidatta (suoi disegni furono ritrovati sulle pareti della sua casa quando fu restaurata intorno alla metà degli anni Quaranta del Novecento.

        Ma sembra che queste sue passioni lo distraessero dallo studio se il suo insegnante al secondo anno di scuola di secondo grado (e direttore della scuola), Stokes, lo valutò penultimo su ottanta studenti. Gli storici concordano nel fatto che egli non fosse semplicemente negligente, fatto ripugnante alla coscienza puritana, ma che i suoi interessi erano altri e non riuscivano ad integrarsi con ciò che si faceva in classe evento da unire alla sua grande timidezza. Si racconta che questa fase fu superata per un suo desiderio di vendetta. Era preso in giro dai suoi compagni ed un giorno uno di essi gli dette un calcio. Lo sfidò a lottare e, nonostante fosse fisicamente minuto, riuscì a picchiare il suo rivale ma la vendetta fisica non lo soddisfece, si impegnò anche a superarlo in tutto e particolarmente negli studi. Fu tanto vendicativo che non solo superò il suo immediato rivale ma, in breve tempo, divenne il primo della classe. Non si sa con certezza se tale episodio sia vero ma con certezza si sa che Newton, da adulto, agì sempre in modo da reagire con foga ad ogni sfida da parte di avversari, competitori,  e di disprezzare abbastanza i suoi estimatori. Egli, apparentemente calmo e tranquillo, diventava implacabile contro chi voleva umiliare, contro chi gli aveva fatto qualche vero o presunto torto.

        Quando Isaac aveva 16 anni, sua madre restò vedova per la seconda volta e pensò che fosse arrivato il tempo che il giovane Newton, finiti gli studi secondari, iniziasse ad occuparsi degli affari della famiglia. E fu proprio in questo momento che il suo insegnante lo convinse di avere grandi possibilità (chissà se l’impegno di Newton non fosse anche dettato dal timore di dover tornare con una famiglia che non gradiva, di dover fare una vita che non lo entusiasmava, di volere in definitiva dispiacere alla madre facendo qualcosa che lei neppure immaginava) e parlò con sua madre addirittura implorandola di mandare il giovane all’Università. Di fronte alle difficoltà economiche che la madre fece capire di avere (la guerra civile ancora in atto, quattro figli piccoli da tirare avanti e lei da sola), il direttore Stokes si offrì di dare lui un contributo importante (gran sacrificio per una persona che non aveva grandi disponibilità). Hannah chiese consiglio a suo fratello William che appoggiò le suppliche del maestro e la volontà di Isaac (sembra che lo zio William avesse visto il giovane Isaac alle prese con alcuni complessi problemi di matematica).

        Fu deciso che Isaac potesse andare all’Università, al prestigioso Trinity College di Cambridge (100 Km dalla casa di Isaac) per accedere al quale occorreva una grande preparazione soprattutto nei classici latini. Fu di aiuto ad Isaac la biblioteca del secondo sposo di sua madre, oltre 200 volumi (gran parte dei quali di teologia), che erano stati trasferiti a Woolsthorpe. Dopo altri due anni di studio alla scuola secondaria di Stokes a Grantham, finalmente, nell’estate del 1661, il diciottenne Newton fu ammesso al Trinity College, in quell’ala occupata da coloro che erano esonerati dal pagare rette, in cambio di servizi da rendere a professori e pensionati più abbienti. Iniziò una rigida amministrazione dei pochi soldi a disposizione di Isaac con la conseguenza di un carattere che si chiuse ancora.

Il Trinity College ai tempi di Newton

        I primi tre anni di studi di Isaac sono del tutto anonimi. Niente risulta se non che studiava teologia, che ebbe una crisi mistica nel 1662, che  aveva letto alcuni libri consigliatigli dallo zio William (tra cui la Logica di Saunderson e il Trattato di ottica di Kepler) e che prestava soldi (massimo una sterlina, da buon prudente puritano) ad interesse. Anch’egli, come Leibniz, tentò la costruzione di un linguaggio universale e di un inglese in cui scrittura e pronuncia fossero un tutt’uno. Ma queste attività non portarono a nulla. Debbo a questo punto avvertire che molte ricostruzioni della vita di Newton di questo periodo possono rispondere al vero ma anche essere fantastiche. Si possiedono delle agiografie di Newton più che delle biuografie ed è lecito dubitare di molte notizie. Vi è invece una nota del matematico francese A. De Moivre (1727) che probabilmente racconta fatti accertati. In questa nota si dice che ancora nel 1693 Newton non conosceva che una matematica elementare. La molla che lo spinse a successivi studi fu l’acquisto di un libro di astrologia alla fiera dell’usato di Stourbridge. In tale libro vi era un’illustrazione della volta celeste che egli non riusciva a capire e che era illustrata da alcune formule trigonometriche che, altrettanto, gli suonavano incomprensibili. Cercò di colmare le sue lacune acquistando un libro di trigonometria. Ma non riuscì a risolvere il problema perché capì che le lacune erano a monte. Passò allora a studiare Euclide e qui tutto gli fu chiaro (più avanti nel tempo lo stesso Newton dirà che l’aver letto prima Descartes e ad altri testi di algebra gli fece perdere tempo; sarebbe stato molto più utile partire prima da Euclide). Tanto chiaro che si chiese a cosa servivano le dimostrazioni di quelle proposizioni se erano evidenti. Da qui passò a studiarsi dell’algebra e, c’è da osservare, che senza questi studi preliminari, molto difficilmente Newton avrebbe potuto sviluppare alcunché di suo. E sembra sia proprio stato questo manifesto interesse per la matematica che abbia fatto sì che il suo tutore lo indirizzasse verso studi matematici piuttosto che filosofici. Gli studi ufficiali erano appunto incentrati sugli insegnamenti degli antichi greci con particolare attenzione alla filosofia aristotelica ma egli scoprì, agli inizi del 1663, alcuni autori più o meno contemporanei e di moda che lesse con passione: Galileo, Descartes, Gassendi, Boyle, Hobbes. Abbiamo testimonianza di ciò da un suo quaderno di appunti che, ad un certo punto, assume il titolo: Quaestiones Quaedam Philosophicae (Alcune questioni filosofiche) con l’annotazione Amicus Plato, amicus Aristoteles magis amica veritas che vuol dire “Amico Platone, amico Aristotele ma più amico della verità” e che è un rimaneggiamento di quanto lo stesso Aristotele aveva scritto di Platone: Amicus Plato magis amica veritas. Questo suo quadernetto segna il momento del cambiamento di Isaac e, sotto il titolo, vi sono elencate 45 questioni che formano una sorta di promemoria delle cose di cui egli intende occuparsi a partire da questo momento. Vi sono anche appunti che riguardano il sistema che egli dava a se stesso per verificare le proprie idee fino ad arrivare nell’estate 1664 quando scrisse che la natura è più conoscibile quando vediamo agire le cose tra loro, più di quanto la potremmo conoscere con le cose che agiscono sui sensi. Per far ciò occorre servirsi degli esperimenti che sono una via fondamentale per conoscere la natura. Dopo di ciò potremo passare a studiare i nostri sensi. Questo è un vero programma che esclude la semplice osservazione e l’empirismo ingenuo per riconoscere solo il metodo sperimentale come fonte di conoscenza. Gli esperimenti di cui sta parlando li inizia in ottica proprio in quell’estate e li spingerà oltre l’estate successiva (1665) con un prisma di vetro acquistato ad una fiera per provare alcune esperienze lette in Descartes.

        Sappiamo che alcune di queste sue osservazioni gli crearono gravi problemi alla vista che fortunatamente si sistemarono. Egli osservò direttamente la luce del Sole attraverso uno specchio e per molto tempo il brillante disco del Sole gli si sovrapponeva a qualunque altro oggetto osservasse. Tempo dopo quando ebbe superata questa disavventura, lo stesso Newton scrisse. “Scontratomi con il Sole“. In ogni caso iniziò qui il suo cambio radicale di punto di vista sull’ottica: non più la percezione della luce (la pressione che, secondo Descartes, avrebbe esercitato sul nervo ottico) ma la luce in se stessa. Nella primavera del 1664, terminato il primo ciclo di studi (scholar), gli fu assegnata una borsa di studio che gli avrebbe potuto permettere di seguire al College come insegnante. Per farlo doveva sostenere un esame nell’estate del 1664. Il famoso Barrow, un professore di matematica che dopo molti anni accedeva ad insegnare a Cambridge (la cattedra era stata istituita nel 1663 e finanziata con i lasciti di Henry Lucas e per questo della lucasiana), fu il suo esaminatore e la fortuna di Isaac fu che il rigore, in quei tempi di Restaurazione, era un ricordo del passato.  Barrow prese atto con Isaac che le sue conoscenze di matematica erano povere ed in particolare che non conosceva Euclide. Si mise allora a studiare con lena sia seguendo le lezioni di Barrow, sia su testi della biblioteca (nella biblioteca di tradizione aristotelica vi erano tutte la pubblicazioni più importanti dell’epoca meno due: il Dialogo sopra i due massimi sistemi ed i Discorsi e dimostrazioni matematiche di Galileo), sia su testi acquistati. Studiò la Géométrie di Descartes, la Clavis mathematicae di W. Oughtred, le Miscellanies di van Schooten e il De arithmetica infinitorum di John Wallis. Riuscì così ad ottenere nel 1665 il titolo di Bachelor of arts, prima che una minacciosa peste avanzante facesse chiudere per due anni l’Università.

Alcune immagini che illustrano la tremenda peste del 1665-1666 a Londra

        Intanto lo stesso, da questo momento non più Isaac ma Newton, ci dice che nell’inverno del 1664-1665 aveva scoperto il metodo delle serie infinite con le approssimazioni relative e la regola del binomio che porta il suo nome, scoperte, quelle sulle serie, che non pubblicò subito ma solo dopo le insistenze di Barrow, in occasione (1699) di salire alla cattedra di matematica, con il titolo De Analisi per aequationes numeri terminorum infinitas (scritto che Barrow sottopose al matematico John Collins per influenzare la nomina di Newton, con l’impegno che il lavoro fosse letto dal solo Collins. Ma questi ne fece una copia che fece leggere in giro e, tra coloro che la lessero vi fu anche Leibniz nel 1676 e questa eventualità sarà un’ulteriore elemento nella polemica che più tardi vedrà confrontarsi Leibniz e Newton).

        I due anni di sosta forzata, che lo avevano riportato a casa, furono definiti da Newton l’inizio della mia stagione inventiva. Iniziò a sviluppare della matematica avanzata, prese grande confidenza con la geometria,  iniziò i suoi lavori di ottica iniziando a sviluppare la sua teoria corpuscolare per cui diventerà famoso, abbiamo documenti che ci dicono che studiava le cause della gravitazione.

Ritratti diversi di Isaac Newton. Da una
incisione del 1778

        Egli stesso ci racconta questi anni ma non è troppo attendibile perché lo fa a 50 anni di distanza. Egli dice:

Al principio del 1665 trovai il metodo delle serie approssimate e la regola per ridurre qualunque grado di qualunque binomio a tali serie. Lo stesso anno, in maggio, trovai il metodo della tangenti di Gregory e Slusius ed in novembre ottenni il metodo diretto delle flussioni, mentre l’anno seguente, in gennaio, sviluppai la teoria dei colori e nel maggio seguente iniziai a sviluppare4 il metodo inverso delle flussioni. Lo stesso anno iniziai a pensare che la gravità si estendesse fino all’orbe della Luna e, avendo trovato il modo di stimare la forza con cui un globo che gira dentro una sfera preme sulla superficie della sfera stessa a partire dalla Legge di Kepler che stabilisce che i quadrati dei tempi che i pianeti impiegano nella loro orbita variano col cubo delle loro distanze medie dal Sole [3ª Legge di Kepler, ndr] dedussi che le forze che mantengono i pianeti nelle loro orbite devono essere reciproche ai quadrati delle loro distanze dai centri intorno ai quali girano: come conseguenza confrontai la forza necessaria per mantenere la Luna nella sua orbita con la forza della gravità sulla superficie della Terra e trovai dei risultati molto simili. Tutto ciò accadde nei due anni della peste del 1665 e 1666. [Citato da Christianson]

        Per i documenti a nostra disposizione, possiamo solo essere certi che Newton sviluppò in quegli anni la parte matematica. La teoria della luce e quella della gravitazione non sappiamo bene dove situarle, fermo restando che alcune intuizioni possono risalire a questo periodo.

        Ancora di quest’epoca la leggenda, della quale devo dire ma che fa davvero ridere, della mela. Vi sono personaggi che lavorano solo per far diventare la scienza un luogo di aneddoti e, dato che il pubblico sa poco, la scienza sparisce e l’aneddoto rimane. Come con la torre di Pisa da cui Galileo avrebbe fatto cadere oggetti.

        Vediamo di cosa si tratta in due righe. Secondo la leggenda, Newton avrebbe scoperto la gravitazione universale vedendo una mela cadere da un albero del suo giardino. Newton avrebbe ragionato così: come una mela cade perché attratta dalla Terra, anche la Luna è legata alla Terra a seguito dell’attrazione che quest’ultima esercita sulla Luna. E ciò vuol dire che se non vedeva cadere una mela, restavamo senza uno dei più grandi successi scientifici della storia. Non bastava vedere cadere dei piatti che sua sorella trasportava. Comunque questa cosa è una sciocchezza e basta.

2.1 – PROFESSORE A CAMBRIDGE

        Passano questi due anni e nel 1667, poi nel 1668, Newton fa ulteriori avanzamenti nella carriera universitaria e, nell’anno accademico 1669-1670, ottiene la cattedra lucasiana di matematica a Cambridge (tale cattedra comprendeva insegnamenti di: varia matematica, geometria, astronomia, geografia, ottica, statica), cattedra che era stata del suo maestro di matematica Barrow (che Barrow abbia insegnato matematica a Newton non è certo) che aveva preferito dedicarsi esclusivamente alla teologia. Occorre qui dire che Cambridge era al momento in decadenza e la cosa era stata in qualche moto resa possibile dal re filocattolico Carlo II Stuart per il rischio che l’università diventasse un centro che

La loggetta della stanza di Newton a Cambridge

fomentasse opposizione. Quindi in quel momento il posto di insegnante nell’università non era di prestigio ma solo un inizio per ottenere favori e clientele, un trampolino di lancio soprattutto verso carriere ecclesiastiche. Poiché nessuno si sottraeva a questo clima di decadenza si sospetta che anche Newton fosse entrato con una qualche raccomandazione. Newton mantenne il suo posto di docente durante 26 anni, dal 1669 al 1695, e non fu propriamente un ottimo insegnante. Il suo lavoro prevedeva tre trimestri di impegno docente, quattro ore settimanali di aiuto agli studenti che lo chiedessero, l’obbligo del deposito presso la biblioteca di 10 lezioni l’anno. Ma la dequalificazione dell’università, il clima di raccomandazioni, la sensazione d’inutilità facevano si che molti studenti non si recavano a lezione. E piano piano Newton dovette accettare la cosa. Così Newton depositò solo 4 lezioni fino al 1687, dopodiché niente più; fece lezione per un solo trimestre l’anno; le sue lezioni, quando c’erano potevano durare anche solo 10 minuti (nel caso non vi fossero studenti). In cambio riceveva vitto ed alloggio al Trinity College, libero accesso alla biblioteca, possibilità di realizzare esperimenti ed un salario di 100 sterline l’anno. Occorre dire che queste sono le sistemazioni che  hanno permesso agli scienziati di fare con tranquillità i loro lavori che, altrimenti, non sarebbero mai potuti nascere.

Cambridge

        Newton fu ammesso alla Royal Society di Londra l’11 gennaio 1672 su sollecitazione di Barrow anche se non aveva ancora pubblicazioni. Per ottenere l’iscrizione del suo raccomandato, Barrow inviò alla Royal Society il progetto di un telescopio a riflessione di Newton medesimo, ispirato ad un disegno del matematico scozzese James Gregory(1), ed un modellino di tale strumento.

Il modellino di telescopio a riflessione realizzato da Newton e conservato nel museo della Royal Society.

          In questo periodo Newton era particolarmente interessato alla sua teoria dei colori ed il telescopio era, a tal fine, inutile anche se Newton si era convinto, proprio dalla teoria dei colori, che fosse impossibile perfezionare il telescopio a rifrazione, motivo per il quale era passato a quello a riflessione mediante specchi(2).  E questo suo interesse si concretizzò in una sua memoria alla Royal Society, New Theory about Light and Colors, del 6 febbraio 1672 (pubblicata pochi giorni dopo, il 19 febbraio, nelle Philosophical Transactions) in cui raccoglieva ed ordinava i suoi studi precedenti e trattava proprio della sua teoria dei colori non senza falsificare quelle che erano più o meno in voga, a partire da quella di Descartes. E’ questa la prima monografia di Newton nella quale avanza la sua teoria corpuscolare della luce e introduce un suo criterio per decidere della validità di una teoria fisica, l’experimentum crucis (letteralmente: quando ci si trova ad un bivio, ad un crocevia, ad una croce in senso lato, e si è in dubbio su quale strada scegliere, ci si interroga in proposito. E l’experimentum crucis è l’esperimento che, di fronte a due possibilità, ci dice quale è quella corretta), che poi riprenderà nei Principia e che io discuterò più oltre.  Inoltre, in tale lavoro, egli affermò anche la superiorità del suo metodo basato sulla matematica rispetto al metodo ipotetico dei filosofi(3). Per prassi della Royal Society la memoria di Newton doveva avere l’assenso di alcuni revisori. Furono scelti: Robert Boyle, il vescovo di Salisbury (sic!) e Hooke(4). Ciò creò i primi problemi perché Hooke si mostrò in disaccordo con il metodo enunciato da Newton (e si indispettì anche per la prosopopea newtoniana). Sta di fatto che la superiorità del metodo matematico scomparve nell’articolo sulle Philosophical Transactions. Ma anche altri, tra cui Huygens, ebbero da ridire su tale lavoro di Newton. Della cosa ho già accennato quando ho discusso di Huygens. Ora si può completare il tutto con alcune considerazioni.

        Ho accennato al fatto che in questa memoria Newton avanza la sua teoria corpuscolare della luce. Si ricorderà che Huygens aveva invece avanzato la sua teoria ondulatoria, certamente molto più avanzata ma ancora incompleta e troppo precorritrice dei tempi. La divergenza non era però su questa fondamentale differenza ma sul metodo di lavoro. Secondo Huygens dovevano avere il primato le ipotesi dalle quali dovevano seguire esperimenti che confermassero o meno le ipotesi. Per Newton occorreva raccogliere esperienze e da esse ricavarne le leggi; le ipotesi erano solo immagini della realtà che in nessun caso si sarebbero dovute sostituire alla scienza. Vi è una differenza forse sottile ma certamente fondamentale. Per Huygens era asfittico un sistema che rendesse solo conto degli esperimenti realizzati e non aprisse ad ulteriori sperimentazioni che sarebbero dovute seguire a nuove fenomenologie che si fossero presentate. Per intenderci, dentro il metodo (parlo di metodo e non teoria) di Huygens c’era già la scoperta dell’interferenza e di altri fenomeni che fossero scoperti perché vi era un teoria della luce che di volta in volta veniva verificata da esperimenti. Inoltre, come si riteneva possibile, mediante soli esperimenti, sostenere che la luce fosse costituita da piccoli corpuscoli ? Nella teoria di Newton ogni nuovo fenomeno doveva essere completamente reinterpretato. Si tratta di un dibattito fondante della ricerca scientifica che nasce da fisici alla frontiera della ricerca. E’ utile osservare che non c’è epistemologo che tenga di fronte a problemi di ricerca che si pongono sul campo. C’è anche da ricordare, a questo punto, un altro obiettore delle sue teorie, il gesuita francese Pardies, al quale Newton rispose con calma spiegandogli tutto ciò che non aveva capito e dandogli una lezioncina di carattere più generale. Nella spiegazione delle leggi della natura, concludeva Newton, non bisogna lasciarsi condizionare da speculazioni preconcette. Egli si era solo limitato a fare esperienze che chiunque avrebbe potuto controllare. Padre Pardies fece ammenda nel riconoscere che non aveva letto con attenzione.

        Le critiche di Hooke (che confutava la teoria di Newton della luce bianca formata dai vari colori sostenendo che vi fossero due colori primari) non turbarono Newton più di tanto ma fu ferito particolarmente da quelle di Huygens. Di fronte a ciò che sosteneva Hooke, Newton minacciò ad Oldenburg le dimissioni dalla Royal Society; di fronte alla posizione di Huygens non fu in grado di reagire e pensò di ritirarsi per dedicarsi a studi alchemici e teologici ed il suo ritiro durò fino al 1683(5). Intanto, nel 1678, Hooke era diventato segretario della Royal Society al posto del deceduto Oldenburg. E nel 1679, anno della scomparsa della madre di Newton, cosa che fu durissima per il nostro, Hooke chiese a Newton di riprendere contatto con al Società e per sollecitarlo gli chiede l’opinione sulla sua opera del 1674, An Attempt to Prove the Motion of Hearth(4).  Questo episodio sarà all’origine di una nuova polemica perché in questa opera di Hooke si avanza l’idea di una gravitazione universale, anche se manca la legge dell’inverso del quadrato. Accade qui qualcosa di rimarchevole. Newton era rientrato a Cambridge nell’inverno del 1679. Rispose subito (27 novembre 1679) ad Hooke con aria polemica e tanto di fretta che la cosa si svilupperà male per lui. Inizia con il dire che ormai non ha più interesse per la filosofia naturale e quindi suggerisce ad Hooke un esperimento con il quale si poteva provare, secondo ciò che sostiene Newton, la rotazione della Terra su se stessa. Se lasciamo cadere un oggetto da una torre, poiché la velocità tangenziale è maggiore al vertice della torre che alla base, l’oggetto dovrebbe cadere leggermente deviato verso est. Nel dare questo suggerimento ad Hooke, Newton fa uno schizzo con cui intende mostrare quale sarebbe la traiettoria che seguirebbe quell’oggetto: una spirale che va a chiudersi nel centro della Terra. E sostiene la cosa con alcuni calcoli che gli direbbero che la

Il disegno che Newton realizza per Hooke mostra la traiettoria AFOGHIKL che un corpo che cade sulla Terra dovrebbe avere se soggetto ad una gravità uniforme

Il disegno precedente semplificato da Westfall

Il disegno  di Newton, semplificato da Westfall, rappresenta la traiettoria che dovrebbe avere un corpo lasciato cadere da una torre AB sulla Terra in rotazione.

Il disegno  di Newton, semplificato da Westfall, rappresenta la traiettoria AIKLMNOPC che dovrebbe avere un corpo lasciato cadere in un mezzo resistente sulla Terra in rotazione.

forza attrattiva (Fa) che si esercita tra la Terra e l’oggetto dovrebbe variare, attenzione, come l’inverso non già del quadrato ma del cubo della distanza (F~ 1/r3). Questo approccio di Newton al problema si basava sulla teoria dei moti curvilinei che egli e Huygens avevano sviluppato indipendentemente. Si consideravano velocità tangenziali e perpendicolari alla superficie della Terra trascurando il fatto fondamentale, che sarebbe dovuto discendere dalla Seconda Legge di Kepler (quella delle aree), della conservazione del momento angolare nei moti centrali (Newton ammetterà in seguito questo suo errore).

        Hooke ebbe buon gioco a riprendere Newton che dimenticava i fondamenti della fisica. Un corpo che cadesse sulla Terra in rotazione, rispose Hooke, in assenza di resistenza, non si dirigerebbe verso il centro della Terra ma proseguirebbe indefinitamente lungo un’orbita di tipo ellittico.

        Newton fu raggelato da questa risposta ma dovette riconoscere l’errore aggiungendo considerazioni poco interessanti. Hooke, sapendosi vincitore, rispose (13 dicembre 1679) una cosa del massimo interesse:

La mia ipotesi è che l’attrazione è sempre inversamente proporzionale al quadrato della distanza dal centro.

anche se, come accennato, Hooke non fu in grado di mettere in relazione questo andamento con una particolare orbita(6).

        Newton non rispose ma dovette masticare molto amaro perché egli quella legge dell’inverso del quadrato l’aveva già trovata. Utilizzando la legge di caduta dei gravi di Galileo e la terza legge di Kepler, Newton aveva trovato che le accelerazioni prodotte dalle forze centrifughe dei pianeti sono inversamente proporzionali al quadrato della loro distanza dal Sole.

        L’ulteriore risposta di Hooke a Newton (17 gennaio 1680) era l’ammissione dell’incapacità di trovare un’orbita che fosse d’accordo con l’andamento matematico dell’inverso del quadrato e il riconoscimento che, con il suo metodo, Newton avrebbe potuto riuscire nella risoluzione del problema.

        Sono di questo periodo di distanza dalla Royal Society, che durerà fino al 1683, le migliaia di pagine autografe di Newton su questioni di alchimia ed il suo Trattato sull’Apocalisse (di ciò mi occuperò più oltre). E poiché proseguiva con le sue lezioni a Cambridge, le trascrisse ed ordinò. Si tratta delle Lectiones Opticae che saranno pubblicate nel 1729 e l’Arithmetica Universalis che sarà pubblicata nel 1704. Prima però di passare ad altro periodo della vita di Newton, non può essere sottaciuto il fatto che la polemica di Newton con Hooke era continuamente tenuta in piedi da Oldenburg che odiava Hooke e che tale polemica andò avanti per molti anni passando da questioni ottiche a questioni meccaniche (se si ricordano le polemiche con Leibniz si potrà essere d’accordo che la Royal Society era un ambientino poco raccomandabile rispetto ai rapporti umani). Solo dopo la morte di Hooke avvenuta nel 1703, Newton si decise a pubblicare il suo lavoro fondamentale di ottica, l’Optiks del 1704 nel quale lavoro sono trattati nuovi fenomeni che lo stesso Newton aveva scoperto (anelli) e dei quali era venuto a conoscenza (diffrazione di padre Grimaldi). E’ d’interesse sottolineare che qui non vi è solo una trattazione corpuscolare della luce ma anche una trattazione ondulatoria per rendere conto dei nuovi fenomeni. La qual cosa avrebbe fatto piacere allo scomparso Huygens ma non può far piacere agli allegri storici contemporanei che insistono con il corpuscolarista Newton (della cosa mi occuperò più oltre).

Newton a 46 anni. Ritratto di  Godfrey Kneller del 1689

2.2 – RITORNO ALLA RICERCA: LA GESTAZIONE E PUBBLICAZIONE DEI PRINCIPIA

        Il primo tentativo di comprendere la gravitazione Newton lo fece negli anni mirabili del 1665-1666, quelli della leggenda della mela. L’intuizione fondamentale di Newton fu quella di mettere insieme la caduta di un oggetto, la Luna legata alla Terra e le leggi di Kepler. La Luna è evidentemente legata alla Terra da una qualche forza. Estrapolando ci si può chiedere se si tratta della stessa forza che lega la Terra al Sole e il Sole agli altri pianeti e così via. Insomma si tratta di capire se vi è una qualche unificazione tra forze, come si direbbe oggi.

        Kepler aveva stabilito che le orbite dei pianeti intorno al Sole sono ellittiche. Ma un moto su un’orbita quasi circolare (non rettilinea) deve prevedere delle forze centrifughe come Huygens aveva chiaramente stabilito e pubblicato nel 1673 (Horologium oscillatorium). Queste forze si potevano calcolare (per una circonferenza) e quindi si aveva la possibilità di capire quanto dovevano essere intense le forze centripete, quelle che tiravano verso il centro. Infatti, per mantenere un’orbita, vi deve essere equilibrio tra le due forze. E Newton fece questi calcoli nell’approssimazione di orbite circolari (non troppo lontane da come in realtà sono). Per fare i conti in modo più attinente alla realtà realizzò un’esperienza in cui si poteva valutare la pressione esercitata da una piccola sfera ruotante all’interno di una sfera cava sulla superficie interna della sfera stessa. Con la terza legge di Kepler si calcolò la forza centripeta che avrebbe dovuto trattenere un pianta nella sua orbita. Iniziò a capire che tale forza va come l’inverso del quadrato della distanza del pianeta dal Sole. Calcolò quindi la forza necessaria a mantenere la Luna in orbita intorno alla Terra e la confrontò con quella di gravità. Insomma, una linea di pensiero era stabilita anche se mancavano precisi raccordi, misure e calcoli. Visto il tutto a posteriori sembra che le cose stiano a posto ma incomplete. Ma Newton non portò avanti il suo lavoro che comunque era carente di un qualche dato sperimentale come la corretta lunghezza dell’arco di meridiano che sarebbe servita per una determinazione precisa della distanza della Terra dalla Luna. Se avesse disposto di una biblioteca, che non c’era nel luogo dove si era ritirato, avrebbe potuto avere dei dati che gli mancavano e si sarebbe accorto che la sola gravità non sarebbe bastata a controbilanciare la forza centrifuga della Luna intorno alla Terra. Inoltre vi era il problema di capire se la gravità, da sola, era in grado di originare la forza centrale che teneva la Luna intorno alla Terra o se fosse necessario ricorrere a qualche altra forza non nota (qui vi era il rischio che Newton avesse la tentazione di assegnare questa forza eventualmente non nota a qualche vortice di tipo cartesiano).

        Un fatto nuovo si verificò nel 1672. Nel 1667 Luigi XIV aveva fondato l’Osservatorio di Parigi e, nell’ambito delle attività di tale osservatorio, era stata affidata all’abate-astronomo Jean Picard (1620-1682) l’impresa di misurare un arco di meridiano per arrivare a determinare la grandezza della Terra. Picard, servendosi del metodo indicato nella Cosmographia di Francesco Maurolico (triangolazioni ed orientazione mediante la Stella Polare e la Stella Delta di Cassiopea) e di alcune misure già fatte da Snell, misurò la lunghezza di un arco del meridiano passante per Parigi (stabilì che un grado di meridiano corrispondeva ad una lunghezza di 111,196 chilometri con una precisione, come si vede, molto grande). Il lavoro era iniziato nel 1669 ed i risultati furono pubblicati proprio nel 1671 in una memoria dal titolo Mesure de la Terre. Questi risultati di Picard furono comunicati alla Royal Society da Oldenburg l’11 gennaio 1672 e Newton ebbe l’opportunità di rifare i suoi calcoli con molta maggiore precisione. Poiché si rese conto che tutto tornava il suo parossismo divenne tale che non riuscì materialmente a finirli dandone incarico ad un conoscente. Newton era arrivato a stabilire con esattezza la forza che lega la Luna alla Terra. E qui nasce subito una cosa del tutto incomprensibile: perché Newton tacque per quasi venti anni, fino alla pubblicazione dei Principia, senza far conoscere questo suo stupefacente risultato ? Vi doveva essere qualcosa che gli sfuggiva e che lo rendeva timoroso di squalificarsi per sempre. Intuiva che doveva esservi una attrazione universale ma egli lavorava solo con la forza di gravità. Come accordare le varie cose ? Inoltre vi era il problema di come tener conto della distanza Terra-Luna. In alcuni calcoli Terra e Luna erano considerate puntiformi ma quando si passava alla gravità, occorreva considerare la distanza tra i centri di Terra e Luna o quella tra le rispettive superfici ? Ed in ambedue i casi, qual era il raggio corretto della Terra ? Troppe incertezze. Newton preferì aspettare. Nel 1673 un’altro pezzo utile alla comprensione del problema si aggiunse: Huygens aveva pubblicato un suo lavoro sulle forze centrifughe, l’Horologium oscillatorium (l’altro, il De vi centrifuga, sarà pubblicato postumo nel 1703 ma forse alcuni risultati erano stati comunicati direttamente da Huygens a Newton). E la relazione trovata da Huygens è indispensabile per determinare la dipendenza dall’inverso del quadrato, occorre  metterla a sistema con la terza legge di Kepler per ricavare tale dipendenza.

        Per 6 anni questa ricerca sembrò cadere nel dimenticatoio da parte di Newton. Ma, nel 1679, nasce quella polemica con Hooke della quale ho trattato alla fine del paragrafo precedente ed evidentemente, dopo il tempo che Newton aveva dedicato al problema, doveva essere indispettito che un altro passasse per colui che stava risolvendo il problema. In ogni caso la polemica non gli fece fare passi avanti ma lo vide di nuovo rinchiudersi nei suoi studi teologici ed alchimistici. Anche se, sembra che in questo periodo abbia dimostrato alcune questioni sul moto orbitale di un punto materiale, al margine del problema ma fondamentali per la sua soluzione. Le leggo da Hayli:

la seconda legge di Kepler o legge delle aree, enunciata nel caso delle ellissi planetarie, è vera per ogni movimento, purché la forza che si esercita su un punto materiale sia una forza centrale, passi cioè da un punto fisso; se questa forza e inversamente proporzionale al quadrato della distanza dal centro d’attrazione al punto materiale, il movimento di questo avverrà secondo una sezione conica, cioè secondo un cerchio, una ellissi, una parabola o un’iperbole, essendo il centro di attrazione nel centro del cerchio o in uno dei fuochi della conica; inversamente un punto materiale che descrive una ellissi attorno ad uno dei suoi fuochi, come nel caso dei pianeti, è sottoposto ad una forza centrale diretta verso il fuoco, inversamente proporzionale al quadrato della distanza.

        Arriviamo ad una data molto importante, al 1684. Agli inizi di quell’anno vi era stato un incontro tra tre eminenti astronomi, fisici e matematici: Halley(7), Hooke e Wren(8). Avevano discusso della frontiera della conoscenza all’epoca, dell’argomento che tutti studiavano ma che aspettava una soluzione definitiva. Tutti e tre questi personaggi avevano studiato il problema ed erano arrivati, per vie diverse, a stabilire che la legge di attrazione cercata doveva avere un andamento con l’inverso del quadrato della distanza. Il problema comune era il conciliare tale legge con un’orbita ellittica. Si girava intorno alla forza di gravità e quindi agli oggetti in caduta e alla ricerca di analogia con la caduta della Luna sulla Terra per spiegarne la permanenza in orbita. Il tutto si originava da un passo del Dialogo sui Massimi Sistemi di Galileo nel quale si attribuisce a Platone un’origine del sistema planetario da un moto di caduta. Le conversazioni tra i tre  portarono ad un nulla di fatto. Ma Halley fu informato da Wren che Newton (che Halley aveva conosciuto nel 1682), si era in precedenza occupato del problema che li assillava e ciò lo convinse a recarsi a Cambridge per incontrarlo. La cronaca dell’incontro è raccontata da A. De Moivre(9). Halley chiese a Newton quale traiettoria orbitale dovrebbe seguire un corpo che ruota intorno ad un altro con lo attrae con una forza inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Newton rispose che tale traiettoria era un’ellisse. Halley gli chiese come faceva a saperlo e Newton rispose che lo aveva calcolato. Si diresse allora verso il luogo dove conservava i calcoli ma … non li trovò. Si accordarono allora che Newton avrebbe rifatto i calcoli e li avrebbe inviati ad Halley. L’impegno fu mantenuto ed a novembre Halley li ebbe inoltre ricevette anche un trattato, scritto da Newton, De motu corporum in gyrum, in cui erano risolti una quantità incredibile di problemi di movimento di differenti pianeti. Il lavoro era chiaro e convincente ed Halley tornò a Cambridge per convincere Newton a presentare i suoi lavori alla Royal Society. Al ritorno a Londra, Halley fece una relazione alla Società delle scoperte di Newton e parlò anche del De motu che sarà la base su cui Newton costruirà i Principia tra il 1685 ed il 1686 (i contenuti del libro saranno trattati in un paragrafo successivo).

        Newton, in quest’opera che è un caposaldo della storia della scienza, era riuscito finalmente a integrare tutti i singoli pezzi in una elaborazione unica molto solida ed in grado di sfidare tutte le obiezioni. Integrando quanto ho già detto, Newton aveva fatto ulteriori passi in avanti: aveva mostrato che la forza che si esercita tra due sfere omogenee è la stessa che agisce tra due masse puntiformi sistemate al centro delle sfere suddette. e che l’orbita che si ottiene da una legge dell’inverso del quadrato è proprio una sezione conica(10). Aver stabilito ciò diventa facilmente una parte fondamentale della gravitazione universale: la forza di cui sopra, risulta proporzionale al prodotto delle masse  ed inversamente proporzionale alla distanza tra i centri delle masse medesime, risolvendo uno di quei dubbi che probabilmente lo aveva fermato anni prima. Con questo in mano, insieme ai dati sperimentali e le misure che venivano effettuate (Picard) ed ai risultati teorico-sperimentali di Huygens sulla forza centrifuga, Newton riuscì finalmente a confrontare la forza di gravità terrestre con quella che tiene legata la Luna alla Terra ed a trovare la loro identità. Da questo momento era stabilita un’attrazione universale, un qualcosa che valeva per quella mela come per la Luna, come per il Sole e tutto lo spazio.

        Credo convenga dire le cose in modo più particolare e semplice. Il fatto che i pianeti ed il Sole nello spazio potessero essere assimilati a punti materiali, poteva essere accettato senza troppa fatica date le enormi distanze. La cosa che turbava era una mela che cadeva  a due metri dal suolo. Come è possibile qui fare le approssimazioni planetarie ? L’idea geniale di Newton è quella di affermare che la mela non si trova a due metri dalla superficie della Terra ma a circa 7000 Km dal suo centro ! Insomma la Terra si assimila ad una massa concentrata nel suo centro. Quando si va a fare il conto della forza centrifuga della mela la distanza da considerare non è 2 metri ma circa 7.106 metri. Questo è il succo della stupenda intuizione di Newton che egli tratta nel Primo Libro (dei tre) dei Principia.

Da Westfall. La distanza da considerare tra Terra-Luna è R e la distanza tra Terra-Mela è r + d, cioè, in pratica, r.

        In relazione a questa scoperta di enorme importanza, Newton riesce ad immaginare qualcosa di altrettanto evocativo da destare profonda emozione, perfino artistica. Egli ci presenta un esempio clamoroso del dove si può arrivare immaginando anche senza sperimentazione, un poco come Galileo che si diceva certo che anche senza esperienze le cose sarebbero andate in quel modo. Newton sta discutendo dei satelliti. Ed immagina un satellite artificiale per la Terra. Come metterlo in orbita? La figura che Newton ci offre spiega benissimo cosa egli pensi. 

        Vediamo il ragionamento aiutandoci con una figura utilizzata dallo stesso Newton, con quell’enorme enorme potenza evocativa di cui dicevo che, per chi sa leggere la scienza, è una vera imponente opera d’arte:

Se ci  mettiamo sulla cima di una montagna V e lanciamo un sasso o spariamo un proiettile, esso cadrà in D, in E, in F o in G a seconda della spinta che gli forniamo. Se la spinta è più grande ? Allora il proiettile continuerà a cadere … senza mai incontrare la Terra sotto di sé. Questa caduta continua è quella che sperimenta un satellite messo in orbita ed è quella che sperimenta la Luna che cade continuamente intorno alla Terra. Newton fece anche dei conti utilizzando tre dati: il periodo di rivoluzione della Luna intorno alla Terra, la distanza Terra-Luna, il raggio della Terra. Trovò alla fine il valore dell’accelerazione di gravità. Tutto questo a partire da un pregiudizio, da una ipotesi: il fenomeno di caduta è lo stesso per una mela, per un proiettile, per un satellite. La gravità unifica i tre fenomeni. E questa conclusione, che rappresenta uno dei primi tentativi di riportare la spiegazione dei fenomeni naturali a concetti generali, è fondamentale nell’epoca di Newton ed è permessa solo dalla matematica. Infatti, se Newton avesse sostenuto l’identità dei tre fenomeni con dei meri ragionamenti, non si sarebbe sottratto all’accusa di ricercare cause occulte.

        Con in mano la gravitazione universale, con tutta la meccanica costruita a lato, si apriva letteralmente un mondo di indagini e di formalizzazioni. Newton si buttò a capofitto dentro tali elaborazioni anche dimenticando i pasti ed il sonno (come ha raccontato il suo compagno di stanza a Cambridge, il suo omonimo Humphrey Newton), dividendo tale lavoro solo con le sue ricerche alchemiche.

        L’opera era quasi pronta alla fine del 1685 ma Newton era un perfezionista e volle mettere a punto alcuni conti. Si informò presso l’astronomo reale John Flamsteed(11) dei dati precisi dell’orbita di Saturno (che Newton considerava troppo piccola rispetto alla terza legge di Kepler), dei dati sui moti dei satelliti di Giove e di Saturno, delle congiunzioni di Giove con Saturno (se fossero state differenti da quelle osservate da Kepler e la risposta affermativa con i nuovi dati tolsero finalmente a Newton ogni dubbio sulla generale applicabilità della terza legge di Kepler), dello schiacciamento di Giove ai poli (che, a suo giudizio, avrebbe potuto aiutare alla comprensione della precessione degli equinozi) di alcune osservazioni della cometa del 1680 (la cui traiettoria egli riportò nei Principia) per calcolarne l’orbita e chiese informazioni sull’andamento delle maree, particolarmente alle loro anomalie ai solstizi ed equinozi.

La cometa del 1680

        Il 28 aprile del 1686 fu presentato alla Royal Society il manoscritto dei Principia. Hooke ebbe da ridire protestando rumorosamente tanto da ritardare l’imprimatur alla pubblicazione al 5 luglio. Fu Halley che informò Newton dell’accoglienza avuta dalla sua opera il 23 maggio con queste parole:

Egregio Signore,

I membri della Royal Society, ai quali il dottor Vincent presentò il 28 scorso l’incomparabile trattato Philosophiae naturalis Principia mathematica da lei scritto e a loro dedicato, furono talmente sensibili a questo onore che si sono affrettati a rivolgerle i loro calorosi ringraziamenti, decidendo inoltre di convocare un Consiglio per deliberare la pubblicazione dell’opera. Ma, data l’assenza del Presidente, in servizio presso il re, e dei vice presidenti che il bel tempo aveva allontanato dalla città, il Consiglio non si è ancora riunito per prendere le decisioni necessarie. E così l’assemblea della Royal Society, riunita mercoledì scorso, ritenendo che non si possa protrarre più oltre la pubblicazione di un’opera di così grande interesse, ha preso la decisione di farla stampare a proprie spese, in grande formato e a caratteri di lusso, aggiungendo che tale decisione sarebbe stata sottoposta alla sua autorizzazione, perché questo avvenga al più presto. Sono stato incaricato di sorvegliare la pubblicazione, ma vorrei prima conoscere i suoi desideri per quanto riguarda 1’illustrazione dell’opera e sapere se anche Ella preferisce, come molti di noi, che le figure siano ingrandite: ma, qualunque sia la sua decisione, i suoi desideri saranno scrupolosamente eseguiti.

La devo inoltre informare che il signor Hooke pretende di essere l’autore della scoperta della legge della gravità decrescente, inversamente proporzionale al quadrato delle distanze dal centro. Afferma che Ella gli è debitore dell’idea, benché riconosca che la conseguente dimostrazione delle curve è opera sua. Ella sa come stanno le cose esattamente, e come bisogna affrontare il problema, ma sembra che il signor Hooke pensi che nella prefazione, qualora Ella abbia l’intenzione di scriverla, debba essere citato il suo nome. Voglia perdonarmi se le dico tutto ciò, ma ritengo mio dovere informarla, perché possa agire di conseguenza. Sono persuaso infatti che dalla parte di una persona che non ha certo bisogno di usurpare la fama altrui, non ci si possa aspettare che la più completa sincerità. La pubblicazione inizierà non appena Ella mi avrà fatto conoscere le sue decisioni, e perciò la prego ancora una volta di farmele avere il più presto possibile 
[citato da Hayli].

Il 27 maggio Newton rispose:

La ringrazio di avermi informato delle pretese di Hooke, perché desidero mantenere con lui relazioni amichevoli. I documenti, ora in mano sua, non contengono nessun argomento che possa essergli attribuito. Non avevo perciò nessuna ragione di fare il suo nome, mentre invece parlo di lui e di altri ancora, quando tratto del sistema del mondo. Ma, poiché si è presentato questo problema, desidero chiarirlo. Se ben ricordo, così si sono svolte le cose: il signor Hooke si rivolse a me per chiedermi alcune delucidazioni filosofiche, ed io risposi esprimendo l’idea che la caduta di un corpo dovrebbe avvenire verso Est e non verso Ovest, come pensano i più, dato il movimento della Terra. Nella mia relazione affermai poi imprudentemente che nella sua caduta il corpo descrive una spirale verso il centro della Terra il che è vero in un mezzo resistente come l’aria che ci circonda. Il signor Hooke rispose che, a suo giudizio, non bisognava scendere verso il centro ma piuttosto risalire, dopo un certo limite. Scelsi allora per il mio calcolo il caso più semplice, cioè quello della gravità uniforme in un mezzo non resistente, supponendo che Hooke avesse potuto determinare questo limite grazie a un calcolo, e che avesse scelto, per iniziare, il caso più semplice. Accettai perciò la sua tesi, nel caso sopracitato, e determinai il limite nel modo meno approssimativo possibile. Hooke affermò allora che la gravità non era uniforme, ma cresceva via via che si avvicinava al centro, in rapporto doppiamente inverso alla distanza dal centro e che il limite non si trovava, come da me determinato, alla fine di ogni rivoluzione completa. Aggiungeva inoltre che, con il rapporto inverso, si potevano spiegare i movimenti dei pianeti e determinare le loro orbite. Ecco quanto ricordo. Se esiste qualche cosa d’altro o di più importante, desidero che Il signor Hooke mi aiuti a ricordare. Voglio aggiungere che nove anni fa, quando il dottor Donne e io ci recammo a fargli visita, Sir Christopher Wren ci intrattenne sul problema della determinazione dei movimenti celesti su principi filosofici, e questo prima di aver ricevuto le lettere del signor Hooke. Ella conosce sir Christopher. Gli chieda dunque come conobbe la diminuzione della forza in rapporto doppio della distanza dal centro.
 

        Vi furono ancora alcune difficoltà. Tra di esse due importanti. La prima era la minaccia di Newton di eliminare dai Principia la terza parte, quella rivendicata da Hooke. L’altra riguardava il denaro per realizzare l’edizione. La Royal Society era in difficoltà finanziarie perché vari soci (tra cui Locke) non pagavano le quote. Si chiese ad Halley, non certo un benestante, se era disponibile lui a finanziare l’impresa. Halley ne fu felice perché era un fervente ammiratore di Newton. Alla fine, nell’estate del 1687 uscirono i Philosophia naturalis Principia mathematica, in un’edizione di lusso di 500 pagine in soli 300 esemplari. Era scritta in latino in modo rigoroso per chi già aveva confidenza con la materia trattata. L’unica concessione era l’uso del metodo geometrico (utilizzò la nozione di ultimate and nascent ratios, un qualcosa di simile alla derivata geometrica) nelle dimostrazioni anziché quello delle flussioni del quale Newton già disponeva. e sul quale si era aperta una odiosa polemica con Leibniz sulla priorità della scoperta.

La prima pagina dei Principia (1687) con l’imprimatur del Presidente della Royal Society, Samuel Pepys

        Questa prima edizione era diventata introvabile nel 1691 ma Newton non sembrava intenzionato a mettere mano ad una seconda edizione. Flamsteed racconta che Newton gli chiedeva altri dati sulla Luna per porre fine a quel problema lasciato in sospeso che non lo faceva dormire da molto tempo. Ma Flamsteed era restio a farlo perché temeva che li avrebbe fatti conoscere ad Halley che non gli era simpatico. Newton era fuori di sé per questa reticenza e disse al suo amico Bentley(12) che Flamsteed non si rendeva conto del danno che provocava. Flamsteed lo venne a sapere e si indignò. Finché Newton non ebbe una violenta crisi depressiva dalla quale fu ripreso per miracolo da alcuni amici. E aveva molte ragioni Newton, senza toglierne a Flamsteed, si stava scontrando con uno dei problemi più complessi della storia della fisica, il problema dei tre corpi. I tre corpi sono Sole, Terra, Luna, tutti e tre in moto. Si tratta di trovare traiettorie e reciproche attrazioni dei tre corpi tralasciando (perché gli effetti sono piccoli) l’influenza degli altri pianeti e satelliti. Ancora oggi il problema si risolve con metodi approssimati (teoria delle perturbazioni) se solo si pensa che occorre anche tener conto dello schiacciamento della Terra ai poli: si studia, ad esempio, l’azione dell’orbita della Luna trascurando il suo effetto sull’orbita ellittica della Terra; si studia poi l’azione del Sole sulla Terra. La revisione minuziosa di quanto aveva già pubblicato, con i nuovi dati (egli conosceva le deviazioni dalle leggi di Kepler, le perturbazioni, da osservazioni accumulate in centinaia di anni) e con i nuovi conti, permise a Newton di interpretare tutto correttamente e di mettere mano alla seconda edizione.

        A complicare le cose intervenne una prestigiosa nomina di Newton come Amministratore Generale della Zecca d’Inghilterra nel 1696 (incarico che nel 1699 divenne addirittura di Governatore). Questo lavoro gli proporzionò denaro ma non era certo per quello che Newton lo aveva accettato. Era stufo dei suoi colleghi che si arricchivano a Cambridge solo per meriti ecclesiastici, essendo de gli inutili incapaci di dare nulla in cambio. Comunque questo impiego gli tolse molto tempo e la seconda edizione del Principia (750 copie stampate da Bentley) fu realizzata solo nel 1713.

        Per capire alcune impostazioni differenti nella seconda edizione, occorre tornare alla prima. La 1ª edizione dei Principia aveva trovato un ambiente scientifico in gran parte legato alla fisica cartesiana. Mentre alcune università, come ad esempio Cambridge, ignorarono ufficialmente i Principia per circa 30 anni, altre, come ad esempio Edimburgo, utilizzarono quasi subito questo testo per gli insegnamenti di matematica, fisica e geometria. Anche tra gli studiosi, non immediatamente legati al mondo accademico, si ebbero le medesime reazioni contrastanti, ma l’entusiasmo e l’attivismo dei sostenitori di Newton, tra cui spicca Samuel Clarke(13), riuscirono piano piano ad imporre incondizionatamente la fisica newtoniana in Gran Bretagna. Allo scopo contribuì certamente anche l’autorevole filosofo John Locke(14), conosciuto da Newton intorno al 1689, che nel suo Saggio sull’intelligenza umana (1690) si schiererà subito a sostegno delle teorie di Newton contro la pozione dei cartesiani (laddove, ad esempio, Locke, al contrario di Descartes, ammette lo spazio vuoto e la non identificabilità di esso con la materia). Certamente più difficile fu la penetrazione nel continente dell’opera di Newton. Anche qui era la fisica cartesiana che dominava. Ed in particolare nella Francia, l’accettazione del cartesianesimo da parte dei potenti gesuiti chiudeva al diffondersi di idee nuove: ci sarebbero voluti anni prima che l’opera di Newton potesse (non dico ‘essere accettata’) ma solo essere conosciuta compiutamente. Oltre alle difficoltà che nascevano dalla preesistente accettazione della fisica, cartesiana ve ne erano delle altre di natura teologico-metafisica che riguardavano presunte posizioni atee nell’opera di Newton. Queste accuse che oltre di ateismo erano anche di ‘materialismo’ erano principalmente mosse da Leibniz e Berkeley (si ricordi che la Chiesa, sia essa Cattolica che Protestante, aveva ancora un enorme potere alla fine del ‘600 ed agli inizi del ‘700). A queste accuse, molto insidiose soprattutto per la futura accettazione dell’opera da parte di un pubblico sempre più vasto, Newton rispose aggiungendo, a questa seconda edizione dei Principia, il famoso Scolio generale. Lo Scolio si apre con un attacco alla teoria cartesiana dei vortici che è soggetta a molte difficoltà. Indi, riconosciute certe regolarità nei moti planetari, Newton dice che tutti questi moti regolari non hanno origine da cause meccaniche …[ma, che] … non poterono nascere senza il disegno di un ente intelligente e potente … che regge tutte le cose non come anima del mondo, ma come signore dell’universo … Dio è il sommo ente eterno, infinito, assolutamente perfetto … Non è l’eternità o l’infinità, ma è eterno ed infinito; non è la durata e lo spazio, ma dura ed è presente … In esso gli universi sono tenuti e mossi, ma senza nessun mutuo perturbamento. Dio non patisce nulla a causa dei moti dei corpi: questi non trovano alcuna resistenza a causa dell’onnipresenza di Dio (insomma: nello spazio planetario il moto si mantiene indefinitamente e, se per caso da qualche parte venisse meno, Dio lo reintegrerebbe mantenendo le cose come le conosciamo. Non si confonda ciò, come del resto è evidente, con  questioni inerenti l’energia e sua conservazione che semplicemente per Newton non si pongono in alcun modo). In esso Newton ha modo di far conoscere, oltre ai limiti del suo metodo di ricerca (non invento ipotesi) che discuterò più oltre, le sue concezioni teologiche. Egli rigettò l’accusa di meccanicismo imputandola ai cartesiani che abbisognano di Dio solo al momento della creazione. Nel mondo newtoniano, invece, Dio è sempre presente come regolatore continuo dei vari fenomeni naturali (e quest’ultima affermazione valga come rifiuto dell’accusa di ateismo).

     Lungi però dal sopire le polemiche, la stesura, dello Scolio ne fece nascere delle altre soprattutto ad opera di Leibniz (questa polemica fu portata avanti per tre anni, fino a che la morte di Leibniz non pose termine ad essa, ad opera di Samuel Clarke, amico e discepolo di Newton che già aveva intrattenuto con Leibniz la polemica sulla scoperta del calcolo).

        La seconda edizione dei Principia differisce poi in un altro punto molto significativo dalla prima. Vi è una prefazione di Cotes(15) (con l’aiuto di Bentley, che però non figura) che difende Newton dall’accusa accennata di materialismo. Si accusava Newton di far funzionare il suo mondo senza Dio al contrario della sua ossessiva presenza in Descartes. Newton aveva pensato solo a sviluppare conti e a fornire teorie sull’organizzazione del mondo ma i cartesiani erano ora i nuovi difensori della fede, avendo dimenticato l’analoga persecuzione del loro maestro.

        A questa seconda edizione ne seguì una terza, quasi identica alla seconda, che vide la luce nel 1726 (con una prefazione di Henry Pemberton che, per l’occasione, scrisse anche un libro per esporre in modo organico tutta l’opera di Newton, A view of Sir Isaac Newton’s philosophy), un anno prima della scomparsa di Newton che, nel 1703 aveva assunto la carica di Presidente della Royal Society.

        Si erano gettate le basi della meccanica celeste ma anche degli ulteriori sviluppi della meccanica in meccanica razionale. Qui vi sarebbe un discorso affascinante da seguire che prende le mosse da alcuni fatti contingenti. Ho detto che Newton sviluppò i suoi Principia utilizzando metodi geometrici. I seguaci di Newton in Inghilterra intesero proseguire sulla strada della geometria e ciò bloccò ulteriori studi in Inghilterra. Diversamente nel continente, in cui si era più liberi dall’autorità di Newton, dove la meccanica venne immediatamente tradotta con il calcolo differenziale, sviluppato da Leibniz, che permise avanzamenti fondamentali fino alla perfezione formale della meccanica razionale costruita mirabilmente dai fisici matematici francesi.

2.3 – NEWTON A LONDRA

        Il finire del XVIII secolo era epoca di grandissimi rivolgimenti in Inghilterra. Uno degli aspetti principali era la lotta feroce tra cattolici e protestanti, lotta nella quale ciascuno, per differenti motivi, si trovò implicato. Ed anche Newton ebbe una storia all’interno delle dispute per le nomine di professori a Cambridge con un seguito in ambito politico. Riporto qui gli eventi di quegli anni come riassunti da Hayli:

Newton aveva condotto a Cambridge una vita molto solitaria, fino al momento della pubblicazione dei Principia. La preparazione del manoscritto l’aveva profondamente assorbito ed era così ben poco al corrente della situazione politica del suo paese, che stava per attraversare una gravissima crisi. Ma in seguito alla controversia che all’inizio del 1687 oppose il re Giacomo II all’Università di Cambridge, Newton cominciò a occuparsi di politica. Giacomo II era successo nel 1685 al fratello Carlo II, salito al trono nel 1660, un anno dopo l’abdicazione di Richard Cromwell. Carlo II, intelligente e aperto a ogni problema, era un protettore delle scienze; si era molto interessato agli esperimenti di laboratorio, che egli stesso conduceva e che comunque lo interessavano molto. Aveva seguito i lavori di Newton nel campo dell’ottica e aveva esaminato con grande interesse il primo telescopio. Malgrado la sua corte fosse disposta al compromesso ed egli nutrisse soltanto segretamente una certa simpatia per il cattolicesimo, non poté impedire che esplodesse una violenta reazione protestante: il Parlamento votò leggi che vietavano l’accesso dei non anglicani alle cariche pubbliche e alle università. Giacomo II invece, meno intelligente, non seppe temperare il suo cattolicesimo intollerante, sicché l’Inghilterra anglicana si trovò in una situazione paradossale che sarebbe durata fino alla rivoluzione del 1688, provocata appunto da questa situazione. Giacomo tentò di favorire i suoi correligionari, malgrado le leggi che impedivano loro l’accesso a certe cariche e, a questo scopo, promulgò una Dichiarazione d’indulgenza.

Il primo aperto dissidio fra Giacomo e le Università, sulle quali il re non aveva nessun diritto legale, sorse quando egli obbligò l’Università di Oxford ad accettare, come decano del collegio di Christ Church, un uomo che non aveva le qualità richieste, ma che era cattolico. Il 9 febbraio del 1687, mercoledì delle Ceneri, fu la volta dell’Università di Cambridge: il suo vice cancelliere ricevette infatti una lettera firmata dal re, che raccomandava Alban Francis, monaco benedettino, domandando che gli fosse concessa la laurea in lettere, senza che egli prestasse giuramento.

Newton si occupava allora della correzione delle bozze dei Principia, e ci si stupisce che malgrado un lavoro cosi impegnativo riuscisse a prendere parte alla resistenza opposta dall’Università ai voleri del re. Newton aveva un carattere complesso e una forte personalità: molto buono, era però cosciente del proprio valore, assai esigente verso di sé e verso gli altri: implacabilmente nemico dei compromessi, teneva in altissimo concetto quella libertà di pensiero che gli inglesi avevano cosi arduamente conquistata. Perciò si gettò nella mischia: era l’inizio di una carriera politica, e soprattutto amministrativa cui doveva dedicarsi quasi interamente dal 1696 in poi. In quanto all’affare Alban, come fu in seguito chiamato, Newton reagì violentemente contro l’atteggiamento dei suoi colleghi, che avevano praticamente deciso di piegarsi al volere del re, purché ciò non creasse un precedente; fece rilevare la gravità di un simile compromesso, e vi si oppose con fermezza(16). Poche settimane più tardi egli fece parte di una delegazione, guidata dal vice cancelliere dell’Università che doveva presentare a Westminster un’istanza davanti ad un’«alta commissione ». Ma la cosa ebbe esito negativo, e fu volta in ridicolo dal giudice Jeffreys, già famoso per le sinistre «assisi» sanguinose, ispezioni giudiziarie nelle contee sospette dopo la rivolta avvenuta sotto Giacomo II, allorché il nuovo re, all’indomani del suo avvento al trono, fece celebrare la messa nel suo palazzo senza nascondere la sua intenzione di riportare l’Inghilterra al cattolicesimo.

Nel 1688 scoppiava la rivoluzione. Una parte dell’opinione pubblica aveva lungamente sperato che la crisi potesse concludersi pacificamente, purché si avesse la pazienza di aspettare fino alla morte di Giacomo II. La Chiesa anglicana infatti considerava peccato mortale qualsiasi rivolta all’autorità reale, e del resto il re aveva due figlie, nate dal suo primo matrimonio, entrambe protestanti: Maria, la maggiore, aveva sposato Guuglielmo d’Orange, protettore d’Olanda, e Anna, la minore, il principe Giorgio di Danimarca. Ma nel giugno del 1688 la seconda moglie di Giacomo II, una principessa cattolica, dava alla luce un figlio, distruggendo cosi tutte le speranze di una successione protestante. Pochi giorni dopo i capi dell’opposizione domandavano l’intervento di Guglielmo d’Orange, per salvare la libertà inglese, e ristabilire la religione protestante. Il seguito è noto: Giacomo II, sconvolto dal terrore, tentò di negoziare e poi decise la fuga. Ricondotto a Londra, Giacomo II fuggi una seconda volta, aiutato dal temuto genero Guglielmo, che non desiderava la sua presenza in Inghilterra. Giunto in Francia, fu ricevuto da Luigi XIV con tutti gli onori dovuti a un sovrano. Nel 1689 si riunì una Convenzione del Parlamento. che dichiarò vacante il trono, e offrì la corona a Maria e a Guglielmo: dopo la morte della moglie, Guglielmo III regnò solo fino alla morte, sopraggiunta nel 1702.

Newton fu il rappresentante dell’Università di Cambridge presso il Parlamento del 1689 … e rientrò a Cambridge nel febbraio del 1690, soltanto qualche giorno prima dello scioglimento della Convenzione.

        Come si vede i tempi erano bui e, se si osserva bene, si nota che i motivi dell’instabilità in Europa erano dettati da successioni di case reali alle quali erano diversamente legate le chiese. Era uno scrollarsi di dosso il peso asfittico della conservazione per poter fare quel balzo avanti che la borghesia nascente iniziava a chiedere e che in alcuni paesi porterà a scontri violenti, come in Francia, ed in altri non si avrà mai, come in Italia.

        Gli eventi successivi, fino alla nomina a Governatore della Zecca (1699)(17), li ho già accennati perché riguardano il periodo che va dalla Prima edizione dei Principia (1687)all’inizio della sua rivisitazione (1696). Vi è da aggiungere che proprio nel 1699  Newton iniziò ad interessarsi con continuità alle vicende della Royal Society. Nel 1701 si dimise dalla cattedra lucasiana a Cambridge e nel 1703 fu eletto Presidente della Royal Society.

Newton a 83 anni

        Nel 1704, alla morte di Hooke, che lo aveva avversato in ogni modo, Newton diede alle stampe l’Optiks, l’altro suo grande lavoro che era in gran parte pronto già alla fine degli anni Ottanta e che raccoglieva suoi precedenti lavori, come la New Theory about Light and Colors del 1672 e la raccolta delle sue inedite lezioni d’ottica, Lectiones Opticae (pubblicate postume nel 1729), a Cambridge. Con qualche cambiamento, fu pubblicato un testo già pronto nel 1694. Era appena uscito da quella forma cronica di esaurimento nervoso e, nonostante avesse sollecitazioni dalla Royal Society per la pubblicazione, neppure rispose perché temeva di dover ricominciare a guerreggiare con Hooke. La pubblicazione di questo lavoro fu accolta molto favorevolmente di quanto non fosse stata la New Theory about Light and Colors. Il testo è suddiviso in Quaestiones (problemi) e, nella prima edizione, le questioni erano 16 mentre diventano 23 nella stessa edizione latina del 1706 ed infine 31 nella seconda edizione del 1717. Questa seconda edizione contiene quelle questioni che servirono a Newton per rispondere, come aveva fatto nello Scolio Generale dei Principia, ad alcune gravi obiezioni che gli erano state rivolte e che riguardavano sia i corpi celesti che si scambiavano forze a distanza, sia un qualcosa di analogo (ma solo analogo in quanto qui le forze non sono universali ma specifiche tra materie tra loro affini, come il magnete attira il ferro ma non il rame) che accadeva tra i corpuscoli di luce. L’idea di uno spazio vuoto che trasmettesse della azioni era indigeribile per molti (soprattutto meccanicisti) tra cui Huygens e Leibniz: si rimproverava a Newton la reintroduzione nella fisica delle qualità occulte. Il primo già lo conosciamo sostenitore dei vortici (anche se Newton lo convinse in molte parti delle sue teorie); il secondo invece aveva un argomento serio: i pianeti occupano tutti, nello spazio, uno stesso piano e  ruotano tutti nello stesso verso: questo suggerisce l’idea di vortice e non azioni a distanza alla Newton che dovrebbero poter agire in tutto lo spazio senza piani e versi privilegiati. La differenza tra i meccanicisti e Newton risiedeva in questo: i primi immaginavano un mondo completamente intelligibile ed aperto alla comprensione, mentre Newton ammetteva entità non completamente spiegate, come le forze,  che agivano ed i cui effetti siamo in grado di misurare. La forza è quindi utile nelle dimostrazioni ma non è spiegata in sé perché, come vedremo, Newton dice di non inventare ipotesi. Ma egli tenta di venire incontro ai suoi critici introducendo prima delle questioni (dalla 17 alla 24) in cui introduce l’etere (una sostanza estremamente sottile che sfugge ai sensi che permette la trasmissione delle azioni, senza offrire resistenza, un qualcosa di radicalmente diverso da quanto pensato da Descartes) e quindi riempiendo lo spazio precedentemente pensato vuoto. In tal senso la questione 31 (che era nel testo del 1706 con il numero 23) è molto importante:

lo considero tali principi non come qualità occulte, che si presume provengano dalle forme specifiche delle cose, ma come leggi generali di natura, da cui sono formate le cose stesse; la loro verità ci appare attraverso i fenomeni, anche se le loro cause non sono ancora scoperte. Si tratta infatti di qualità manifeste, solamente le loro cause sono occulte. Dire a noi stessi che ogni specie di cose è dotata di una qualità occulta specifica, mediante cui agisce e produce effetti manifesti, significa non dire nulla; ma trarre due o tre principi generali del moto dai fenomeni, e di conseguenza dire a noi stessi come le proprietà e le azioni di tutte le cose corporee derivano da quei principi manifesti, sarebbe un passo avanti enorme in filosofia, anche se non fossero ancora note le cause di quei principi; e quindi non mi faccio scrupolo di proporre i principi del moto suddetti, essendo essi di portata assai generale, lasciandone da scoprire le cause.
 

      Il resto della vita di Newton passò tra revisioni delle sue opere, riunioni della Società e la Zecca, nella quale si recava una volta a settimana. Nel 1724 iniziò a star male: prima la gotta e poi una tosse persistente. Il 28 febbraio del 1727, ad 85 anni, Newton morì.

La tomba d Newton nella cattedrale di Westminster a Londra. E, sotto, l’epitaffio:

H. S. E. ISAACUS NEWTON Eques Auratus,
Qui, animi vi prope divinâ,
Planetarum Motus, Figuras,
Cometarum semitas, Oceanique Aestus. Suâ Mathesi facem praeferente
Primus demonstravit:
Radiorum Lucis dissimilitudines,
Colorumque inde nascentium proprietates,
Quas nemo antea vel suspicatus erat, pervestigavit.
Naturae, Antiquitatis, S. Scripturae,
Sedulus, sagax, fidus Interpres
Dei O. M. Majestatem Philosophiâ asseruit,
Evangelij Simplicitatem Moribus expressit.
Sibi gratulentur Mortales,
Tale tantumque exstitisse
HUMANI GENERIS DECUS.
NAT. XXV DEC. A.D. MDCXLII. OBIIT. XXVII FEB. MDCCXXVII

3 – GLI ASPETTI SALIENTI DELLA MECCANICA DI NEWTON

        Alla fine del XVII secolo, sull’onda dei lavori di Galileo, una gran messe di risultati sperimentali e teorici, nel campo della filosofia naturale, era stata raccolta. Ma, intanto, per le note vicende che riguardarono lo stesso Galileo, l’asse della ricerca fisica si era spostato verso il Nord dell’Europa: in Francia (con qualche difficoltà), in Olanda, in Prussia (ed altri stati tedeschi), in Gran Bretagna.

        In quest’ultimo Paese, con i lavori di Newton, si realizzò la sintesi di quel filone di pensiero che, almeno da Copernico, prendeva le mosse. Tutte le innovazioni, le ricerche e le scoperte, in tutti i campi della ricerca fisica, che in molti anni si erano andate accumulando, in modo molto spesso frammentario e confuso, trovarono in Newton una mirabile sistemazione. E non solo: egli dette anche innumerevoli contributi all’analisi, all’astronomia, all’ottica, alla meccanica, … , che, oltre ad essere del tutto originali, risultarono anche fondamentali per lo sviluppo delle ricerche negli anni successivi.

        Per molti versi, quindi, Newton rappresenta, appunto, l’apice di un determinato periodo storico, ma, per molti altri, egli va considerato come il capostipite di una nuova era, nella quale la scienza classica arrivò a maturazione, cominciando ad esistere indipendentemente da ipoteche teologico-metafisiche e ad esercitare un’enorme influenza nei più’ svariati campi dell’attività’ umana. Ma non basta. Newton intraprese anche una grossa, battaglia, qualche volta contraddittoria, contro tutti quei filoni di pensiero che avevano una precostituita concezione del mondo, base di riferimento indipendente da ogni indagine scientifica. Egli si batté contro ogni costrizione che volesse bloccare lo sviluppo razionale dell’indagine e del pensiero scientifico, per la libera espressione di ogni attività umana (certamente in questo avvantaggiato dal clima economico-politico-culturale dell’Inghilterra del XVII secolo).

        Galileo ed Huygens avevano sviluppato una meccanica dei corpi sulla superficie della Terra; 1’opera di Newton se ne differenzia per la generalizzazione del principio d’inerzia, per l’introduzione del concetto di forza attraverso una definizione, alquanto discutibile, del concetto di massa e per l’estensione della validità delle leggi meccaniche a tutto l’universo.

        Questa ultima estensione è giustificata da Newton con alcuni principi (Regulae philosophandi) che, secondo il nostro, debbono essere di fondamento alla ricerca scientifica:

I) Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni”(una specie di principio di semplicità e di economia, di pensiero).

II) Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno attribuite ad effetti naturali dello stesso genere ( ad esempio: luce del fuoco e luce del Sole debbono agire allo stesso modo).

III) Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti, devono essere ritenute qualità di tutti i corpi (principio di induzione. Ad esempio: i corpi gravitano verso la Terra, il mare gravita verso la Luna, i pianeti gravitano verso il Sole => tutti i corpi gravitano l’un l’altro).

IV) Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni, devono, nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assoggettate ad eccezioni.

        Come si può vedere, si tratta di una sorta di breviario del metodo scientifico utilizzato da Newton, cui fa da complemento il ruolo che viene assegnato alle “ipotesi“.

    A questo proposito dice Newton:

In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi (Hipotheses non fingo). Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi e ne11a filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni, e sono rese generali per induzione.

        E Newton certamente non cercò spiegazioni della gravità, ma nel contempo (come vedremo) si servì di ipotesi, ad esempio, per la definizione dello spazio, del tempo e del moto e per la spiegazione dei fenomeni luminosi. Questa apparente contraddizione si risolve cercando di dare un senso più preciso al concetto di ipotesi, almeno nel significato che pare gli abbia voluto attribuire Newton. Egli rifiuta ogni ipotesi che sia fine a se stessa e che serva soltanto a dare una spiegazione formale al fenomeno oggetto di studio. Al contrario egli usa ipotesi ogni volta che esse manifestino la loro fecondità per comprendere, interpretare, studiare altri fenomeni come punto di partenza, quindi, ed eventualmente da rimettere in discussione quando la strada aperta da quelle ipotesi dimostri la sterilità della stessa.

        Con questo quadro di riferimento generale, Newton iniziò i suoi lavori di meccanica a partire dalla definizione di massa, sulle orme di quanto già fatto da G.B. Baliani (1638), allievo e amico di Galileo, il quale aveva nettamente distinto la massa dal peso (il paziente e l’agente) ed aveva stabilito una proporzionalità tra i due (sul concetto di massa in Newton vedi il paragrafo seguente).

        Secondo Newton:

“La quantità di materia è la misura della medesima ricavata dal prodotto della sua densità per il volume”. A questa quantità si può dare il nome di massa.

        Come si può subito osservare è una definizione circolare che non definisce nulla. Infatti: cos’è la densità ? Una stessa definizione non può valere contemporaneamente per due grandezze. Servono definizioni indipendenti. E questo sarà uno degli aspetti sul quale si appunterà la critica di Mach.. In ogni caso Newton utilizzò sempre in modo corretto (in senso moderno) questo concetto.

        Definita la massa il nostro passò a definire la quantità di moto e quindi ad enunciare il principio d’inerzia nella sua forma dinamica (con l’introduzione della forza in questo principio si passa dalle formulazioni cinematiche di Galileo e Descartes a quella dinamica):

La forza insita (vis insita) della materia è la sua disposizione a resister per cui ciascun corpo, per quanto sta in esso, persevera, nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.

        Questa ‘vis insita‘ non differisce dall’inerzia della massa, per cui forza insita può essere chiamata anche forza d’inerzia.

        Riguardo poi alla forza come causa del moto, Newton ci dà la seguente definizione:

Una forza impressa (vis impressa) è un’azione esercitata sul corpo al fine di mutare il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.

    Le successive definizioni, dalla quinta all’ottava si occupano della forza centripeta.

    Sono queste, per Newton, definizioni necessarie perché nuove. E, sempre secondo Newton, non è altrettanto necessario definire tempo, spazio, luogo e moto “in quanto notissimi a tutti” ma, poiché sussistono “vari pregiudizi“, “conviene distinguere le medesime quantità in assolute e relative, vere ed apparenti, matematiche e volgari“. E da queste “distinzioni” nascerà un quadro di riferimento per la fisica (spazio, tempo e moto assoluti) che, se da una parte resisterà per 200 anni, dall’altra fornirà grossi elementi di critica nei riguardi della fisica newtoniana.

        E queste sono le “distinzioni” di Newton:

I) Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno.

II) Lo spazio assoluto, per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, rimane sempre uguale e immobile; lo spazio relativo è una dimensione mobile o misura dello spazio assoluto, che i nostri sensi definiscono in relazione alla sua posizione rispetto ai corpi, ed è comunemente preso al posto dello spazio immobile; …

III) II luogo è quella parte dello spazio occupata dal corpo, e, a seconda dello spazio cui si riferisce, può essere assoluto o relativo. …

IV) II moto assoluto è la traslazione di un corpo da un luogo assoluto in un luogo assoluto, il relativo da un luogo relativo in un luogo relativo…

        Oltre a ciò Newton aggiunge alcune importanti considerazioni:

È possibile che non vi sia movimento talmente uniforme per mezzo del quale si possa misurare accuratamente il tempo. Tutti i movimenti possono essere accelerati o ritardati, ma il flusso del tempo assoluto non può essere mutato. Identica, è la durata o la persistenza delle cose, sia che i moti vengano accelerati, sia che vengano ritardati, sia che vengano annullati; per cui, a buon diritto, questa durata viene distinta dalle sue misure sensibili.”

    E fin qui per quel che riguarda il tempo assoluto. Riguardo al moto ed alla quiete, invece:

Vero è che, in quanto le parti dello spazio non possono essere viste e distinte tra loro mediante i nostri sensi, usiamo in loro vece le loro misure sensibili. Definiamo, infatti, tutti i luoghi dalle distanze e dalle posizioni delle cose rispetto ad un qualche corpo, che assumiamo come immobile; ed in seguito, con riferimento ai luoghi predetti, valutiamo tutti i moti, in quanto consideriamo i corpi come trasferiti da quei medesimi luoghi in altri. Cosi, invece dei luoghi e dei moti assoluti usiamo i relativi; né ciò riesce scomodo nelle cose umane: ma nella filosofia occorre astrarre dai sensi. Potrebbe anche darsi che non vi sia alcun corpo al quale possano venir riferiti sia i luoghi che i moti. La quiete ed il moto, assoluti e relativi, si distinguono gli uni dagli altri mediante le loro proprietà, le cause e gli effetti. La proprietà della quiete è che i corpi veramente in quiete giacciano in quiete fra loro. Di modo che, per quanto sia possibile che un qualche corpo, nelle regioni delle stelle fisse, o anche più lontano, sia in quiete assoluta, tuttavia, dalla posizione fra loro dei corpi nelle nostre regioni, non si può sapere se qualcuno di questi conserva o no una data posizione rispetto a quel corpo tanto lontano, né si può stabilire la vera quiete dalla posizione dei corpi fra loro.

        La prima cosa da sottolineare è ciò che Newton dice nelle prime righe, cioè che nel passato si è incorsi in molti errori proprio per voler considerare lo spazio, il tempo ed il luogo riferiti a cose sensibili (lo spazio come quell’entità compresa da una determinata sfera, il tempo come qualcosa legato al giorno ed alla notte e comunque a vari fenomeni periodici, il luogo come una nozione da riferire a particolari caratteristiche fisiche che differiscono appunto da quelle di un altro luogo).

        Con ciò Newton assegna una validità autonoma ai singoli concetti testè citati e, ad esempio, dà vita propria al tempo assoluto non legandolo, come era stato fatto nel passato, al movimento (ricordiamo che secondo Aristotele il tempo si desume dal movimento). Quello che invece noi percepiamo è il tempo relativo,che ha attinenza con fenomeni, per i quali è possibile misurare una durata.

        Anche per quel che riguarda lo spazio la situazione è analoga: noi percepiamo solo quello spazio che è oggetto di misure sensibili (spazio relativo) ma non riusciamo a renderci conto dello spazio assoluto proprio perché esso, essendo omogeneo ed indifferenziato, non presenta, ad esempio, dei riferimenti dai quali partire per misurarlo.

        Definiti così spazio e tempo, discende facilmente la distinzione esistente tra moto assoluto e moto relativo, il primo essendo la traslazione di un corpo da luogo assoluto a luogo assoluto, il secondo da luogo relativo a luogo relativo.

        C’è subito da osservare: come mai Newton non sceglie il cielo delle stelle fisse come riferimento assoluto, e si imbarca invece in un’impresa che sarà poi oggetto di aspre critiche?

        Egli era cosciente del fatto che ogni cosa che dovesse avere caratteristiche di assolutezza, non doveva essere relazionata a cose sensibili ed anche se le stelle fisse avevano fino ad allora dato grosse garanzie Newton temeva che in futuro non fossero più in grado di darle (come del resto è poi accaduto. Nel 1718 Halley provò che le stelle ‘fisse’ sono dotate di un moto proprio ma solo dopo la morte dello stesso Newton il fatto fu comunemente accettato).

        Newton in definitiva attrezza un possente apparato che ha lo scopo di rispondere ad ogni obiezione che sorge quando si introducono principio di relatività e principio d’inerzia (o 1ª legge del moto).

    Il principio di relatività di Bruno-Galileo è da Newton così enunciato:

I moti relativi dei corpi inclusi in un dato spazio sono identici sia che quello spazio giaccia in quiete, sia che il medesimo si muova in linea retta senza moto circolare

e non si fa alcuna menzione di quell’equivalenza di tutti i sistemi inerziali che si muovono di moto uniforme (e rettilineo) gli uni rispetto agli altri.

    Per la 1ª legge del moto Newton fornisce invece questa definizione (18):

Ciascun corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, eccetto che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse”. Ebbene, in ambedue questi principi si ha a che fare con quiete e moto. Ma quiete e moto rispetto a che ? Infatti, se si studia la posizione ed il moto di un dato oggetto in un dato riferimento, nessuno ci garantisce che questo riferimento sia in quiete od in moto rettilineo uniforme (principio di relatività). D’altra parte , come si può parlare, nel principio d’inerzia, di quiete o di moto rettilineo uniforme se questo moto rettilineo può essere percepito come svolgentesi su una linea curva da un osservatore che si trova su un altro riferimento ? Poiché un moto che noi percepiamo come rettilineo può essere percepito in altro modo da un altro osservatore è allora indispensabile, per la validità del principio d’inerzia, specificare rispetto a quale riferimento il moto deve essere rettilineo.

        Chiunque dirà, a questo punto, che ciò è ovvio perché la Terra non è un sistema inerziale. E noi non ce ne accorgiamo poiché le durate e quindi le traiettorie in gioco nei nostri esperimenti sono piccole rispetto alle dimensioni dell’orbita della Terra intorno al Sole. Allo stesso modo, chi ci garantisce l’«inerzialità» di ogni altro sistema se la leghiamo solo alla nostra osservazione che, come abbiamo visto, può risultare poco accurata ?

        Inoltre, chi garantisce quella uniformità del moto, annunciata nel principio d’inerzia, se non abbiamo un criterio assoluto per valutare il modo con cui ‘passa’ il tempo? Sembra indispensabile tutto ciò per dare una validità non precaria ad ogni formulazione fisica.

        E queste cose dovevano essere ben presenti a Newton quando egli richiedeva un riferimento assoluto per la validità della legge d’inerzia, allo stesso modo in cui non accetta quello delle stelle fisse. Ed il riferimento assoluto di Newton diventa il suo spazio assoluto che tra 1’altro risulta indispensabile per la definizione di uno stato di quiete. Questo spazio assoluto, in accordo con la concezione che Newton ha della matematica, ed in particolare della geometria, non può essere altro che l’estrapolazione di quella retta che si ottiene dalla traiettoria di un oggetto in moto uniforme ed, appunto, rettilineo. E l’estrapolazione allo spazio della retta in oggetto non è altro che lo spazio euclideo che, nella legge d’inerzia come formulata da Newton, può per la prima volta uscire dall’angusta condizione terrestre e diventare lo spazio assoluto (laddove, in Galileo, non c’era identità tra spazio geometrico e spazio fisico o meglio, tra spazio euclideo e spazio fisico).

        La stessa cosa vale per il tempo poiché anche qui è in gioco un aspetto del principio d’inerzia. Se infatti le misurazioni sensibili che noi facciamo del tempo sono legati a moti non perfettamente regolari, chi ci garantisce l’uniformità del moto ?

        Tornando poi allo spazio assoluto, un’altra questione che si pone è se esiste o meno la possibilità di distinguerlo da un qualunque altro sistema inerziale.

    Nel terzo libro dei Principia, Newton afferma:

Il centro del sistema del mondo è in quiete. Questo è accordato da tutti, sebbene alcuni discutano sul fatto se nel centro del sistema siano in quiete la Terra o il Sole

        La conseguenza che Newton ne trae è che:

Il comune centro di gravità della Terra e del Sole e di tutti i pianeti è in quiete. Infatti il centro … o è in quiete o si muove uniformemente in linea, retta. Ma se quel centro si muove sempre, anche il centro del mondo si muoverà contro 1’ipotesi

        Ed è così che Newton assegna una caratteristica particolare a questo spazio assoluto distinguendolo dagli altri sistemi inerziali anche se è impossibile pensare ad una qualche esperienza che accerti la pretesa immobilità del centro del mondo.

        Ma c’è un’altra argomentazione alla quale Newton fece riferimento per affermare lo spazio assoluto: la possibilità di individuare un moto assoluto avrebbe stabilito in modo incontrovertibile 1’esistenza dello spazio assoluto. Ed egli credette di riuscire in ciò pensando che fossero le forze centrifughe quelle che ci permettono di determinare un moto assoluto.

        Il famoso argomento della “secchia” è così introdotto da Newton:

Se si fa girare su se stesso un vaso appeso ad una corda, fino a che la corda a forza di essere girata non si possa quasi più piegare, e si mette poi in questo vaso dell’acqua e, dopo aver permesso all’acqua e al vaso di acquistare lo stato di riposo, si lascia che la corda si srotoli, il vaso acquisterà un moto che durerà molto a lungo; all’inizio la superficie de11’acqua contenuta nel vaso resterà piana, come era prima che la corda si srotolasse, ma in seguito, il moto del vaso comunicandosi poco a poco nell’acqua contenuta, quest’acqua comincerà a girare, a elevarsi verso i bordi ed a diventare concava, come ho esperimentato; quindi con l’aumentare del moto il livello dell’acqua crescerà sempre più fino a che, concludendosi le sue rivoluzioni, in tempi uguali ai tempi impiegati dal vaso per fare un giro completo, l’acqua sarà in riposo relativo rispetto al vaso.

    Schematizziamo l’esperimento di Newton in tre fasi successive e quindi vediamo le conclusioni che egli ne trae (vedi figura):

– in (a) prima fase: quella iniziale, il secchio gira su se stesso mentre l’acqua è ferma presentando una superficie piana;

– in (b) seconda fase: quella intermedia,  il secchio gira su se stesso ed anche l’acqua gira dentro il secchio presentando una superficie concava (paraboloide);

– in (c) terza fase: quella finale,  il secchio è fermo mentre 1’acqua gira ancora al suo interno presentando una superficie concava (paraboloide)

        Confrontando tra loro la fase iniziale (a) e quella finale (c) si può osservare che il moto relativo del secchio e dell’acqua è rimasto immutato mentre ciò che è variato è, secondo Newton, il moto “vero” dell’acqua.

        Confrontando invece la fase (b) con la (c), si può vedere che il moto relativo del secchio e dell’acqua è mutato mentre ciò che rimane inalterato è, secondo Newton, il moto ‘vero’ dell’acqua rilevato appunto dalla curvatura della superficie dell’acqua.

        In definitiva il confronto tra (a) e (c) ci permette di dire che il moto rotatorio non è puramente relativo poiché insorge in (c) un effetto (la curvatura dell’acqua) non presente in (a).

        Questo ragionamento è fortificato dal fatto che l’effetto di curvatura dell’acqua non è da ascriversi al moto relativo poiché dal confronto tra (b) e (c) si vede che questa curvatura rimane anche quando c’è una variazione del moto relativo.

        In conclusione la curvatura dell’acqua, dovuta all’esistenza di forze impresse (centrifughe), ci dice, secondo Newton, che questo moto dell’acqua è un moto assoluto e questo moto è assoluto in riferimento ad uno spazio assoluto.

        Su tutto questo argomentare avrà molto da ridire Mach(19).

        Il lavoro di Newton, nella sua prima parte, prosegue con lo studio del moto dei corpi soggetti a forze centrali ed in particolare dimostra che, se vale la terza legge di Kepler (il quadrato del periodo di rotazione di un pianeta intorno al Sole è proporzionale al cubo della distanza di tale pianeta dal Sole medesimo), le forze centrali debbono risultare inversamente proporzionali ai quadrati delle distanze.

        Questo risultato verrà ripreso nella terza parte dei Principia(20) nella quale Newton ai occupò dell’applicazione ai pianeti delle leggi della meccanica precedentemente trovate, costruendo il suo sistema del mondo e la famosa legge di gravitazione universale.

        Questa legge dice che: due corpi di massa m ed M si attraggono reciprocamente con una forza F che è proporzionale, secondo una costante G, al prodotto delle masse dei due corpi ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza r che, appunto, separa i due corpi. La G rappresenta la costante gravitazionale [che sarà misurata con precisione da Cavendish nel 1798 con una bilancia di torsione da lui stesso realizzata. Oggi disponiamo di misure accurate che per G forniscono: G = (6,67428 ± 0,0007).10-11m3.Kg-1.s-2].

         Fin qui quello che nella formula è scritto. Per noi è però interessante andare a vedere cosa non è scritto in questa relazione. L’azione F si esercita tra m ed M lungo la congiungente i centri delle due masse; si tratta quindi di un’azione rettilinea. Inoltre essa è istantanea e a distanza nel senso che non si richiede tempo (che appunto nella relazione non compare direttamente) affinché due masse si accorgano l’una dell’altra (si noti che questo tipo di azione tra massa e massa senza alcun intermediario era ostica allo stesso Newton). Per spiegarci meglio, supponiamo che nell’universo vi sia una sola massa M. Ebbene, se prendiamo in considerazione una seconda massa m, in questo universo, ambedue le masse cominceranno ad attrarsi reciprocamente all’istante. Questo fatto comporta una conseguenza importantissima: l’esigenza di azioni istantanee implica che ci siano delle entità dotate di una velocità infinita.

        Per quanto riguarda poi il mezzo attraverso cui l’azione si propaga vi sono alcune considerazioni di Newton relative ad un presunto etere e ad un presunto vuoto che vale la pena ricordare. Secondo quel che traspare dalla lettura dell’opera di Newton, egli appare indeciso e spesso contraddittorio nell’optare per l’etere o per il vuoto. Mentre a volte sostiene l’esistenza del vuoto (quando ad esempio ipotizza l’esistenza di atomi e quando osserva che le comete negli spazi non incontrano alcuna resistenza), altre sembra propendere per 1’etere (quando lo ipotizza nella sua teoria corpuscolare della luce per permettere la trasmissione dei corpuscoli luminosi).

        In definitiva, sembra si possa dire che Newton propende per l’etere, almeno per lo spazio che interessa il nostro sistema solare, mentre non lo pensa esteso all’infinito. Esso deve essere una sostanza sottilissima ed elasticissima che non deve avere una struttura continua ma corpuscolare proprio per rendere conto della sua elasticità che altrimenti non potrebbe esistere.

  


NOTE

(1) L’idea di un telescopio a riflessione è, per quanto se ne sa, di Cesare Caravaggio come risulta dalla corrispondenza di Galileo (lettera di Bartolomeo Imperiali del 21 marzo 1626 e di Cesare Marsili del 7 e 26 luglio 1626 in G. Galilei, Opere, Vol. XIII). Anche Bonaventura Cavalieri nel 1629 si era concentrato su questa possibile realizzazione ma non mostrò di averne fiducia (lettera di Cavalieri a Galileo del 15 dicembre 1629 in G. Galilei, Opere, Vol. XIV). Quando Barrow presentò alla Royal Society il telescopio di Newton, anche Hooke, lo sperimentatore ufficiale della Società, ebbe a dire che la priorità di tale telescopio era la sua.

(2) Più oltre, quando mi occuperò dell’ottica sviluppata da Newton, descriverò le differenze tra le due tipologie di telescopi. Qui basti dire che quello a rifrazione è l’ordinario telescopio a visione diretta, quello, per intenderci, realizzato ed usato da Galileo. Questo telescopio si compone di lenti attraverso le quali la luce proveniente dalla sorgente osservata subisce il fenomeno della rifrazione che, come si sa, separa la luce bianca nei suoi colori componenti. La cosa risulta un fastidio importante nell’osservazione nota come aberrazione cromatica.

Da http://www.photoactivity.com/

        Il fenomeno, nelle sue linee essenziali, consiste nel fatto che i vari colori vengono deviati diversamente dalla lente. Ciò comporta differenti fuochi per differenti colori e che la messa a fuoco risulta impossibile perché, se si mette a fuoco l’azzurro, sono fuori fuoco gli altri colori e così per ogni altro colore. Ci si arrangia (ma è un arrangiamento molto rozzo) mettendo un fuoco intermedio che, nella figura, sarebbe sul verde. Oggi si usano delle lenti correttive aggiuntive (con vetri crown flint) per risolvere un tale grave problema:

Da http://www.photoactivity.com/

        Riguardo all’accoglienza della Royal Society del telescopio a riflessione di Newton c’è da dire che  essa pensava di trarre un qualche guadagno da tale telescopio realizzandone di più grandi. Ma le enormi difficoltà di realizzare specchi metallici concavi estremamente precisi, impedirono questo affare (lo stesso Newton per le sue osservazioni usava telescopi ordinari a rifrazione). In questa occasione Newton venne in contatto con Oldenburg, segretario della Royal Society, che materialmente lo candidò all’associazione.

(3) Il brano in oggetto è il seguente ed è riportato da Mamiani (bibliografia 45):

Affinché non sembri che ho oltrepassato i limiti del dovuto nel dispormi a trattare la natura dei colori, a quelli che possono sembrare esclusivamente pertinenti alla matematica,  non sarà inutile ricordare di nuovo la ragione di questo tentativo […]. Così come l’Astronomia, la Geografia, la Navigazione, l’Ottica e la Meccanica sono considerate scienze matematiche anche quando in esse si tratta di cose fisiche […], allo stesso modo anche se i colori appartengono alle cose fisiche, la loro scienza deve essere considerata, senza alcun dubbio, matematica nella misura in cui essi sono trattati con ragionamenti matematici. Così, posto che una scienza esatta dei colori sembra risiedere tra le più difficili che un filosofo possa desiderare, spero, a modo di esempio, di mostrare di quanta utilità è la matematica nella filosofia naturale, e perciò esortare i cultori della geometria a sviluppare un esame più minuzioso della natura e gli amanti della scienza naturale a dominare come prima cosa la geometria, al fine che i primi non sprechino completamente il loro tempo in speculazioni inutili alla vita umana, ed i secondi, occupati da molto tempo con metodi inadeguati, non perdano per sempre la speranza ma, filosofando i geometri ed esercitando la geometria i filosofi, in luogo di congetture e cose probabili, che abbondano dappertutto, possiamo ottenere una scienza della natura confermata finalmente con maggiore evidenza.

Ci tengo a sottolineare che è uno dei momenti fondamentali nella storia della scienza. Si tratta non solo dell’applicazione di quanto aveva sostenuto Galileo a proposito della natura scritta con linguaggio matematico ma anche dell’affermazione che non si può davvero conoscere la natura e farne dei modelli di funzionamento se non si conosce la matematica. Quanto sia vera questa dichiarazione lo si può capire oggi. I filosofi hanno preso strade diverse da quelle indicate da Newton risultano oggi incapaci di comprendere la scienza nei suoi metodi e contenuti e di elaborare una qualche teoria utile ad essere sottoposta alla prova dell’esperienza. Si capisce quindi l’ostilità che tale affermazione ebbe.

(4) Robert Hooke (1635-1703) è uno degli scienziati più in vista del XVII secolo che ebbe la sventura di convivere con Newton. Meriterebbe una trattazione ampia ma non posso qui dilungarmi sui suoi eccellenti lavori. Racconto le poche cose che servono per comprendere i termini del problema in relazione a Newton.

Studiò ad Oxford e divenne assistente di Boyle. Nel 1662 ottenne un impiego presso la Royal Society  come curatore degli esperimenti ma raramente vide lo stipendio per la cronica carenza di denaro della Società. Ma egli restò perché poteva usare gli strumenti dei laboratori e perché quello era un osservatorio privilegiato per conoscere le menti scientifiche più avanzate d’Europa. Egli conservò il posto fino al 1678 quando, l’anno successivo alla morte di Oldenburg, divenne segretario generale della Royal Society. Le frequentazioni con i colleghi della Società non furono però né utili né distensive. Tutti temevano le sue critiche ed egli non smetteva ma di dire che qualunque cosa si facesse discendeva da un plagio ai suoi danni. Egli realizzò un ottimo microscopio con il quale fece eccellenti osservazioni

In basso vi è il microscopio di Hooke mentre in alto a sinistra il barometro di Hooke

che, grazie a suoi studi giovanili di disegno, riuscì a riportare in disegni molto belli, sia di microrganismi, che del tessuto di piante, che di cristalli. Il tutto fu pubblicato nel 1665 nell’opera Micrographia. A lui è anche dovuto un barometro  e l’idea di

Uno dei disegni di Hooke. La pulce.

Uno dei disegni di Hooke relativo alla struttura della pianta del sughero. Le strutture piccole che si ripetono furono chiamate da lui cellule.

usarlo per fare previsioni meteorologiche. Ancora a lui è dovuta l’idea dello zero sulla scala centigrada delle temperature, in corrispondenza del ghiaccio fondente. Si occupò poi di costruzione di orologi ed a lui è dovuto lo scappamento ad ancora

Scappamento ad ancora: le sporgenze dello scappamento non vanno più ad incastrarsi nella corona con il blocco dell’asse ma vanno ad ingranarsi in essa. L’ancora può oscillare quindi lateralmente sullo stesso piano della ruota dentata con la conseguenza che l’orologio può diventare più sottile e più leggero.

che è un’evoluzione di quello a volano. Hooke realizzò anche molti esperimenti con la luce, con la colorazione delle lamine di mica e delle bolle di sapone, fino a scoprire quell’importante fenomeno che è l’interferenza mediante lamine sottili. Questi risultati non furono pubblicati e questa scoperta, con il nome di anelli di Newton, fu attribuita a Newton. Hooke costruì anche una teoria della luce secondo la quale essa era costituita da due soli colori fondamentali, il blu ed il rosso. Dal 1680 subì suo malgrado, l’influenza di Newton ed iniziò a considerare la luce come una sostanza e quindi incompressibile. La sua propagazione avveniva o per onde o per emissione di corpuscoli dal corpo luminoso.

        Nel 1674 Hooke, ispirato dai lavori di Galileo e Borelli, aveva avanzato una teoria alternativa a quella di Descartes, sul moto dei pianeti, teoria che discendeva da suoi prcedenti lavori. Egli già sette anni prima (1666) aveva presentato una monografia alla Royal Society nella quale avanzava l’idea di una forza che doveva attrarre i pianeti verso il Sole e dei satelliti verso i rispettivi pianeti. Tale forza non era poi costante ma variava con la distanza del pianeta dal Sole o del satellite dal suo pianeta. Confessava però di non essere stato in grado di valutarla. Nel 1670 la teoria si arricchiva di un passo avanti perché Hooke parlò esplicitamente di una attrazione universale che lega Sole, pianeti e satelliti ed è della stessa natura della gravità. Hooke afferma di aver riferito alla Royal Society, nel 1671, il contenuto dei corsi su tale argomento che aveva tenuto al Gresham College di Londra, alla Royal Society nel 1671. In ogni caso tali corsi furono pubblicati finalmente nel 1674 con il titolo: An Attempt to prove the Motion of the Earth by Observation. In tale lavoro Hooke descriveva il suo sistema del mondo basato su tre presupposti così illustrati da Hooke medesimo:

Per prima cosa si ammette che tutti i corpi celesti, qualunque essi siano, hanno una forza di attrazione o di gravitazione verso il proprio centro, mediante la quale non si limitano ad attirare le diverse parti dei loro corpi, così che non si distacchino, come avviene per la Terra, ma attirano anche tutti gli altri corpi celesti che si trovano nella sfera di questa azione; di conseguenza il Sole e la Luna non sono i soli ad avere un’influenza sul corpo e sul movimento della Terra, e la Terra su di essi, ma anche Mercurio, Marte, Saturno e Giove hanno una considerevole influenza sui movimenti della Terra, grazie alla loro forza di attrazione, e ugualmente la forza di attrazione della Terra ha una considerevole influenza su tutti i loro movimenti.

Il secondo presupposto è che tutti i corpi, qualunque essi siano, una volta trascinati in un movimento semplice e rettilineo, continueranno a muoversi in linea retta, fino a che altre forze riescano a deviarli e a fletterli in un movimento che descrive un cerchio, una elisse o un’altra linea curva più complessa.

Il terzo presupposto è che queste forze di attrazione sono tanto più potenti quanto più il corpo sul quale agiscono è vicino ai loro centri. Fino ad ora non ho verificato. sperimentalmente il valore di questa proporzione, ma questa idea, una volta elaborata, darà all’astronomo la possibilità di ricondurre i movimenti celesti ad una legge sicura, senza di che dubito che vi si possa arrivare […] Colui che si dedicherà a questo compito – oso prometterglielo – scoprirà che questo principio influenza tutti i grandi movimenti del mondo e che si avrà la perfezione dell’Astronomia, quando questo principio sarà perfettamente compreso 
[citato da Hayli].

        Manca la legge dell’inverso del quadrato che elaborerà Newton, come vedremo nel testo, ma le idee erano chiare, mature per quel caso che si ripete spesso di scoperta simultanea. Naturalmente anche su questa vicenda riesploderà la polemica Hooke-Newton, polemica che almeno formalmente sembrava essersi placata nel 1676 con una apparente riconciliazione tra i due. E Newton riuscì dove Hooke lo avrebbe potuto precedere, grazie alla sua abilità di matematico.

        Altri contributi di Hooke sono stati: nel pendolo dimostrativo che oggi, anche qui) è noto come pendolo di Newton; nella realizzazione di una ruota dentata che metteva in vibrazione delle lamine metalliche per studiare questioni di acustica e questa ruota è oggi nota come ruota di Savart; nella, questa volta sua, Legge di Hooke (1678) che riguarda l’elasticità di una molla fino a che la sua dilatazione è lineare; ed in una moltitudine e varietà di altre cose che non è qui il caso di ricordare. 

(5) E’ di questo periodo un episodio che merita di essere raccontato. Il 27 aprile del 1675, Newton ottenne una dispensa reale perché non fosse considerata la sua ordinazione alla Chiesa Anglicana in occasione della sua nomina al Senato Accademico dell’università. Era una importante dispensa perché per accedere in quel posto era indispensabile l’ordinazione. Questo episodio dovrà essere messo in relazione ad un altro del 1687 che vedremo a suo tempo.

(6) Accenno qui, piuttosto che quando parlerò dei Principia, un fatto che è stato scoperto solo recentemente, nel 1989 (P.J. Pugliese, Robert Hooke and the Dynamics of Motion in a Curved Path, in M. Hunter and S. Schaffer, ”Robert Hooke, New Studies” ; Boydell, Woodbridge, 1989; pp. 181-205 e M. Nauenberg, Hooke, Orbital Notion, and Newton’s Principia, American Journal of Physics 62 (1994) 331-350; M. Nauenberg, On Hooke’s 1685 Manuscript on Orbital Mechanics Letter to the editor, Historia Mathematica 25 (1998), 89-93 M. Nauenberg, Robert Hooke’s Seminal Contributions to Orbital Dynamics, Physics in Perspective, March 2005).
        Nella controversia sulla priorità relativa alla legge dell’inverso del quadrato, Hooke non presentò un suo manoscritto di 28 pagine datato 1685 (quello che è stato recentemente ritrovato) nel quale, oltre ad importanti argomenti e considerazioni, Hooke presenta la seguente figura che descrive la costruzione geometrica per trovare la traiettoria che dovrebbe avere un corpo sottoposto a forza centrale

Disegno di Hooke

      Hooke, purtroppo, non pubblicò questo lavoro nonostante Halley lo spronasse tra l’altro scrivendo a Newton (29 giugno 1686) che vi era un metodo diverso dal suo per trovare le orbite planetarie (“… that unless he produce another differing demonstration [from Newton’s], and let the world judge of it, neither I nor any one else can believe it“).

        Se si confronta la figura precedente, dovuta ad Hooke, con quella che fornisce Newton nel De Motu (un breve scritto che aveva inviato alla Royal Society nel 1684 e che rappresenta la base su cui costruirà i Principia) per dimostrare la legge delle aree di Kepler

Disegno di Newton

(7) Edmond Halley (1656-1742) matematico, fisico ed astronomo inglese noto per aver stabilito che gli avvistamenti di una cometa nel 1456, 1531 1607 e 1682 erano relativi alla stessa cometa, e ne predisse il ritorno nel 1758. Quando in quell’anno tale cometa riapparve prese il nome di cometa di Halley.

(8) Christopher Wren (1632-1723) è principalmente un architetto noto per aver contribuito alla ricostruzione di Londra dopo il grande incendio del 1666. Si occupò anche di matematica ed astronomia.

(9) Abraham de Moivre (1667-1754) è un matematico francese i cui studi contribuirono all’elaborazione del calcolo delle probabilità. Il suo nome è legato a una formula per il calcolo della potenza di un numero complesso.

(10) E’ molto interessante sottolineare ciò che discende dalla scoperta di Newton. Quando sulla Terra lanciamo un sasso con una data velocità orizzontale, potrebbe apparire che la sua traiettoria sia parabolica. Si tratta in realtà di una ellissi con una grandissima eccentricità e con uno dei fuochi situato nel centro della Terra.

(11) John Flamsteed (1646-1719) è un Astronomo Reale che ebbe l’importante incarico di direttore dell’Osservatorio di Greenwich e passò la sua vita in continue ed accurate osservazioni.

(12) Richard Bentley (1662-1742) fu filologo rinomato.

(13) Samuel Clarke (1675-1729) fu un importante filosofo inglese, newtoniano convinto che intrattenne con Leibniz una estesa corrispondenza relativa alla disputa sull’invenzione del calcolo infinitesimale.

(14) John Locke (1632-1704) uno dei più grandi filosofi del Seicento noto come della libertà. Oltre a dare un contributo alle idee sul governo della legge, la separazione dei poteri, e lo Stato ad autorità limitata, anche le sue tesi sostenute in favore della tolleranza religiosa – espresse molto chiaramente nelle sue “Letters Concerning Toleration” – sono state d’importanza fondamentale nella storia del pensiero e del progresso civile.

(15) Roger Cotes (1682-1716) fu un astronomo e matematico inglese tra i più convinti newtoniani.Noto per la formula di Newton-Cotes.

(16) Vi è un episodio del 1687 (quando i Principia erano in stampa), relativo ai fatti politici della Chiesa che merita di essere raccontato. L’Università attraversò un periodo di crisi acuta a seguito di una ordinanza di Re James, che stava riconvertendo l’Inghilterra al cattolicesimo, che ammetteva un monaco benedettino, Alban Francis, quale Maestro di Arti senza che ne avesse i titoli e senza prestare giuramento. Non si riuscì a risolvere il problema quietamente, neppure con una lettera di Newton che denunciava il non rispetto della legge dell’università che lo stesso re aveva fatto. Così l’uomo che era stato eretico contro la sua Chiesa Anglicana, detesta e teme il potere della Chiesa Cattolica. Ed egli si appellò all’autorità della legge quando egli stesso aveva ottenuto una dispensa reale perché non fosse considerata la sua ordinazione alla Chiesa Anglicana in occasione della sua nomina al Senato Accademico dell’università (maggiori dettagli al sito: http://www.es.ucsc.edu/~smf/newtonbyflatte.html ). Si veda nota (5) e testo relativo.

(17) Fornisco un breve cenno al problema che dovette risolvere Newton presso la Zecca. Le monete, soprattutto quelle d’oro e d’argento erano sottili e senza bordi in rilievo. Così che vi era la pratica di ritagliarne un poco alla volta per appropriarsi del materiale prezioso e rimettere in circolazione la moneta con un peso inferiore (si era arrivati alle monete d’oro che pesavano la metà del momento del conio). Si pensò allora di creare il bordo con zigrinatura alle monete ma qui avvenne altro fenomeno truffaldino. Si iniziò a fare incetta delle nuove monete lasciando in circolazione quelle ritagliate. Il piano di Newton, che ebbe successo, previde di far ricomprare dallo Stato, in un tempo determinato, tutte le monete senza bordo ad un prezzo più alto del nominale. Il costo fu enorme ma da allora il problema fu definitivamente risolto. E da qui Newton fece carriera all’interno della Zecca, fino ad arrivare alla carica di Governatore.

(18) Le altre leggi del moto enunciate da Newton sono le seguenti:

II) Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa, ed avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza è stata, impressa.

III) Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia, le azioni di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte. Come corollario di questa terza legge Newton enuncia, tra l’altro, la conservazione della quantità di moto: La quantità di moto ottenuta prendendo la somma dei moti diretti in parti opposte, non viene mutata dall’azione dei corpi fra loro. Occorre notare che questa conservazione è affermata e per urti elastici che anelastici e mostrata sperimentalmente mediante urto di pendoli

(19) Riporto almeno la prima parte, quella non formalizzata, della critica di Mach (1912):

4. È appena necessario far notare che nei passi sopra citati, ancora una volta Newton non mantiene il proposito di prendere in considerazione solo il fattuale. Nessuno, a nostro parere, è in grado di dire qualcosa sullo spazio assoluto e sul moto assoluto, che sono puri enti ideali non conoscibili sperimentalmente. Come abbiamo già detto, tutti i princìpi fondamentali della meccanica sono conoscenze sperimentali su posizioni e moti relativi dei corpi. Perfino nel dominio in cui è riconosciuta la loro validità, essi non potrebbero essere accettati, e non lo sono, senza prove sperimentali. Nessuno è autorizzato a estendere questi princìpi al di là dei limiti dell’esperienza; e in verità parlare di estensione di princìpi in questi termini è cosa senza senso, dato che nessuno riuscirebbe a effettuarla.

Sappiamo che il mutamento prodotto da Copernico nel modo di concepire il sistema del mondo lasciò profonde tracce nel pensiero di Galileo e Newton. Mentre però Galileo nella sua teoria della marea scelse in modo ingenuo la sfera delle stelle fisse come nuovo sistema di coordinate, Newton ebbe dei dubbi sulla possibilità di stabilire se una data stella resti fissa realmente o solo apparentemente. Gli sembrò che questa incertezza rendesse difficile distinguere fra moto vero (assoluto) e moto apparente (relativo). Perciò si decise a statuire il concetto di spazio assoluto. Procedendo in quest’ordine di idee trattò il caso dei corpi rotanti con l’aiuto di una sfera legata a un filo e di un secchio d’acqua a cui è impressa mia rotazione, e credette di poter constatare che una traslazione assoluta non si verificava, ma una rotazione assoluta sì. Per rotazione assoluta egli intese una rotazione relativa alle stelle fisse, nella quale sono sempre presenti forze centrifughe. “In seguito sarà insegnato a riconoscere i moti veri dalle loro cause, effetti e differenze apparenti, c viceversa dai moti veri o apparenti le loro cause ed effetti.” A quanto pare, anche Newton si è interessato alla sfera delle stelle fisse! Sistema naturale di riferimento è per lui quel sistema che ha un moto traslatorio uniforme senza rotazione (rispetto alla sfera delle stelle fisse). …

Entriamo in qualche particolare. Quando diciamo che un corpo K cambia direzione e velocità solamente per influenza di un altro corpo K’, facciamo un’asserzione a cui sarebbe impossibile arrivare, se non esistessero altri corpi A, B, C … rispetto ai quali è definito il moto di K. Quindi noi riconosciamo l’esistenza di una relazione di K con A, B, C. .. Se poi facciamo astrazione da A, B, C … e parliamo di un movimento di K nello spazio assoluto, cadiamo in un duplice errore. Infatti da un lato ci è impossibile sapere come K si comporterebbe in assenza dei corpi A, B, C … , e dall’altro non possediamo alcun mezzo che ci permetta di valutare il comportamento del corpo K e di verificare la nostra asserzione. Essa perciò non ha alcun significato scientifico.

Due corpi K e K’, che gravitano l’uno verso l’altro, si comunicano accelerazioni inversamente proporzionali alle loro masse m e m’ nella direzione della loro linea di congiunzione. Questa proposizione enuncia non solo una relazione reciproca di K e K’, ma anche una relazione di questi corpi con gli altri corpi. Afferma infatti non solo che due corpi K e K’ si imprimono l’un l’altro l’accelerazione, x.[(m+m’)/r2], ma anche che K è animato dall’accelerazione – x.m’/r2 e K’ dall’accelerazione + x.m’/r2, entrambe orientate secondo la linea di congiunzione. Tutto questo non può essere accertato che in presenza di altri corpi.

Il movimento di un corpo K non può essere definito che in riferimento ad altri corpi A, B, C … Poiché possiamo prendere in considerazione solo un numero limitato di corpi relativamente fissi gli uni in rapporto agli altri, oppure di corpi le cui posizioni cambiano lentamente, non siamo obbligati a scegliere come sistema di riferimento un corpo determinato, e anzi possiamo fare astrazione ora da un corpo, ora dall’altro. Questo fatto ha generato la convinzione che tutti i corpi siano equivalenti.

Un’altra soluzione del problema potrebbe essere la seguente. I corpi isolati A, B, C … hanno un valore trascurabile nella determinazione del moto del corpo K, che è invece riferito al mezzo nel quale K si trova. Il mezzo, dunque, eserciterebbe la stessa funzione dello spazio assoluto newtoniano. Si può obiettare che questa è un’idea ben diversa da quella di Newton. Inoltre si constata subito che il mezzo a cui è riferito il moto non è l’atmosfera. Dovremmo allora immaginare che quasi tutto lo spazio sia riempito da un mezzo, sulla cui natura e sulla cui relazione con i corpi in esso immersi non possediamo conoscenze sufficienti. Tuttavia la cosa in sé non è impossibile. Recenti studi d’idrodinamica hanno mostrato infatti che un corpo solido, immerso in un fluido senza attrito, trova resistenza solo se la sua velocità cambia. Questo fenomeno può essere dedotto per via teorica dal concetto di inerzia, ma lo si potrebbe invece considerare come il fatto primario. Anche se la rappresentazione di un ipotetico mezzo non avesse per ora alcuna utilità pratica, si potrebbe sempre sperare che col tempo aumentino le nostre conoscenze sperimentali su di esso. In questo caso l’idea di un mezzo quale sistema di riferimento potrebbe avere un valore scientifico maggiore che non quella dello spazio assoluto, che tante difficoltà porta con sé. Tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze, considerando che è impossibile fare scomparire i corpi isolati A, B, C … e quindi stabilire sperimentalmente se la loro influenza è essenziale o secondaria, e che il riferimento a questi corpi è finora l’unico, ma sufficiente modo di distinguere i movimenti e descrivere i fenomeni meccanici, riteniamo opportuno che i moti siano definiti in riferimento a questi corpi.

5. Consideriamo ora i fatti sui quali Newton ha creduto di fondare solidamente la distinzione fra moto assoluto e moto relativo. Se la terra si muove con moto rotatorio assoluto attorno al suo asse, forze centrifughe si manifestano su di essa, il globo terrestre si appiattisce, il piano del pendolo di Foucault ruota ecc. Tutti questi fenomeni scompaiono, se la terra è in quiete, e i corpi celesti si muovono intorno a essa di moto assoluto, in modo che si verifichi ugualmente una rotazione relativa. Rispondo che le cose stanno così solo se si accetta fin dall’inizio l’idea di uno spazio assoluto. Se invece si resta sul terreno dei fatti, non si conosce altro che spazi e moti relativi. Relativi sono i moti nell’universo sia nel sistema tolemaico sia in quello copernicano, quando si astragga dal presunto misterioso mezzo che pervade lo spazio. Queste due teorie sono ugualmente corrette, solo che la seconda è più semplice e più pratica dell’altra. L’universo non ci è dato due volte, con la terra in quiete e poi con la terra in moto rotatorio, ma una sola volta, con i suoi moti relativi, i soli che siano misurabili. Non possiamo dire come sarebbero le cose se la terra non girasse. possiamo invece interpretare in modi diversi l’unico caso che ci è dato; se però la nostra interpretazione è tale da contraddire l’esperienza, vuol dire che è falsa. I princìpi fondamentali della meccanica possono essere formulati in modo che anche per i moti rotatori relativi risultino presenti forze centrifughe.

L’esperimento newtoniano del vaso pieno d’acqua sottoposto a moto rotatorio ci insegna solo che la rotazione relativa dell’acqua rispetto alle pareti del vaso non produce forze centrifughe percettibili, ma che tali forze sono prodotte dal moto rotatorio relativo alla massa della terra e agli altri corpi celesti. Non ci insegna nulla di più. Nessuno può dire quale sarebbe l’esito dell’esperimento, in senso qualitativo e quantitativo, se le pareti del vaso divenissero sempre più massicce, fino a uno spessore di qualche miglio. Davanti a noi sta quell’unico fatto; il nostro compito è metterlo d’accordo con gli altri fatti che già conosciamo, non con le nostre arbitrarie fantasticherie.

6. Esaminando i princìpi scoperti da Galileo, Newton si rese subito conto del grande valore che la legge d’inerzia, semplice e precisa, poteva avere per un’esposizione deduttiva della meccanica, e non rinunciò a servirsene. Egli però non poteva accettare questa legge nella sua forma ingenua, cioè riferita alla terra supposta in quiete. Infatti per Newton la rotazione della terra era un fatto non più discutibile: fuor d’ogni dubbio la terra ruota. La felice scoperta di Galileo poteva valere solo approssimativamente per piccoli spazi e tempi brevi, per i quali non si prende in considerazione la rotazione della terra. Le leggi newtoniane sui moti dei pianeti restano conformi alla legge d’inerzia anche se questi moti sono riferiti al cielo delle stelle fisse. Nel quinto corollario dei Principia Newton stabilì un sistema di riferimento universalmente valido. Immaginò un sistema istantaneo di coordinate, fissato alla superficie terrestre. fermo nello spazio senza alcuna rotazione rispetto al cielo delle stelle fisse, per il quale è valida la legge d’inerzia. Attribuì inoltre a questo sistema – senza pregiudicarne l’applicabilità – una qualunque posizione iniziale e una traslazione uniforme rispetto al sistema istantaneo terrestre prescelto. Le leggi newtoniane non risultano con ciò modificate; possono variare soltanto le velocità e le posizioni iniziali, le costanti di integrazione. In questo modo Newton ha dato un preciso significato alla sua generalizzazione ipotetica della legge d’inerzia galileiana. Constatiamo ancora una volta che il riferimento a uno spazio assoluto non è per nulla necessario. Anche nel caso qui esaminato, come in ogni altro, il sistema di riferimento è relativo. Newton, malgrado una certa propensione all’assoluto metafisico, si lasciò sempre guidare dalla prudenza dello scienziato. … Fino a che punto l’ipotesi delle stelle fisse possa valere anche in futuro, resta naturalmente da stabilire.

Il comportamento dei corpi terrestri rispetto alla terra può essere ricondotto al comportamento della terra rispetto a corpi celesti lontani. Se obiettassimo che sul moto dei corpi terrestri abbiamo conoscenze più sicure che sul comportamento della terra rispetto ai corpi celesti, che pure ci è noto per esperienza, diremmo una cosa falsa. Quando affermiamo che un corpo conserva invariate direzione e velocità nello spazio, enunciamo una breve regola per l’osservazione dell’intero universo. Questa formulazione abbreviata del principio d’inerzia non presenta problemi perché sappiamo che non vi sono difficoltà all’applicazione della regola. Meno agevole sarebbe superare ostacoli di altro genere, quale, per esempio, la scoperta che non esistono corpi rigidamente fissi l’uno rispetto all’altro [Mach; pagg. 246-250].

(20) Nella seconda parte dei Principia, Newton si occuperà di meccanica dei fluidi e di acustica. Riguardo a quest’ultimo argomento, va notato che egli riuscì a ricondurre l’acustica ad un capitolo della meccanica.


BIBLIOGRAFIA

(1) Gale E. Christianson – In the Presence of Creator. Isaac Newton and His Times – The Free Press (Mac Millan) 1984

(2) Isaac Newton – Principi Matematici della filosofia naturale – UTET 1965

(3) Newton – Optics – Encyclopaedia Britannica 1952.

(4) Salvo D’Agostino – Il contributo di Newton allo sviluppo dell’ottica – Giornale di Fisica, VI, 3, 1965.

(5) R.K. Merton – Ciencia, tecnología y sociedad en la Inglaterra del siglo XVII – Alianza, Madrid 1984.

(6) Maurizio Mamiani – Introduzione a Newton – Laterza 1990.

(7) Avram Hayli – Newton – Accademia 1971.

(8) E. N. Da Costa Andrade – Isaac Newton – Zanichelli 1973.

(9) Alberto Pala (a cura di) – Antologia di Newton – Paravia 1963.

(10) Alberto Pala – Isaac Newton – Einaudi 1969.

(12) Paolo Casini – Filosofia e fisica da Newton a Kant – Loescher 1978.

(13) David Park – Natura e significato della luce – McGraw-Hill 1998.

(14) Ludovico Geymonat (a cura di) – Storia del pensiero filosofico e scientifico – Garzanti 1970.

(15) Nicola Abbagnano (a cura di) – Storia delle scienze – Utet 1965.

(16) René Taton (a cura di) – Storia generale delle scienze – Casini 1964.

(17) Umberto Forti – Storia della scienza – dall’Oglio 1969.

(18) Paolo Rossi (a cura di) – Storia della scienza – Utet 1988.

(19) Vasco Ronchi – Storia della luce – Zanichelli 1928.

(20) Federigo Enriques, Giorgio de Santillana – Compendio di storia del pensiero scientifico – Zanichelli 1979 (ristampa anastatica dell’edizione 1936).

(21) Richard S. Westfall – La rivoluzione scientifica del XVII secolo – il Mulino 1984.

(22) Salvo D’Agostino – Dispense di Storia della Fisica (a.a. 1972/73) – IFUR 1972.

(23) Roberto Pitoni – Storia della fisica – S.T.E.N. 1913.

(24) Niccolò Guicciardini – Newton – I grandi della scienza, Le Scienze 1998

(25) Carl B. Boyer – Storia della matematica – Mondadori 1990

(26) Carl B. Boyer – Storia del calcolo – Bruno Mondadori 2007

(27) A. Perez de Laborda – Leibniz e Newton – Jaca Book 1986

(28) Morris Kline – Matematical thought from ancient to modern times – Oxford University Press, 1972

(29) Alexander Koiré – Studi newtoniani – Einaudi 1972

(30) Ernst Mach – La meccanica nel suo sviluppo storico-critico – Boringhieri 1968

(31) Paolo Rossi – La nascita della scienza moderna in Europa – Laterza 2000

(32) Richard S. Westfall – La rivoluzione scientifica del XVII secolo – il Mulino 1984

(33) Max Jammer – Storia del concetto di forza – Feltrinelli 1971

(34) Mary B. Hesse – Forze e campi – Feltrinelli 1974

(35) A. Rupert Hall – Da Galileo a Newton – Feltrinelli 1973

(36) Max Jammer – Storia del concetto di massa – Feltrinelli 1974

(37) Guido Castelnuovo – Le origini del calcolo infinitesimale nell’era moderna – Feltrinelli 1962

(38) C Webster – Magia e scienza da Paracelso a Newton – il Mulino, Bologna 1984.

(39) M. Boas – Il Rinascimento Scientifico 1450 – 1630 – Feltrinelli, Milano 1973.

(40) H. Butterfield – Le origini della scienza moderna – il Mulino, Bologna 1962.

(41) G. Preti – Storia del pensiero scientifico – Mondadori, Milano 1975.

(42) I. B. Cohen – La nascita di una nuova fisica – Il Saggiatore, Milano 1974.

(43) G. A. Franco Rubio – Cultura i Mentalidad en la Edad Moderna – Mergablum, Sevilla 1999.

(44) A. Koestler – The Sleepwalkers – Hutchinson, London 1959.

(45) M. Mamiani – Introduzione a Newton – Laterza, Bari 1990.

(46) I. Newton – Trattato sull’Apocalisse – Bollati Boringhieri, Torino 1994.

(47) M. White – Newton. L’ultimo mago – Rizzoli, Milano 2001.

(49) R. Lenoble – Le origini del pensiero scientifico moderno – Laterza, Bari 1976.

(50) D. McKie – Some Notes on Newton’s Chemical Philosophy… – Philosophical Magazine, Vol 33, 227, 1942.

(51) B. J. T. Dobbs – Newton’s Alchemy and His Theory of Matter – ISIS, 73 (269) 1982.

(52) M. Tamny – Newton, Creation, and Perception – ISIS, 70 (251) 1979.

(53) P. Farinella – Newton, Mago o Scienziato ? – Scuola e Didattica, XII, nº 8, 1995.

(54) AA. VV. – Numero monografico su Newton – Giornale di Fisica, 31, nº 1-2, 1990.

(55) AA. VV. – Numero monografico su Newton – Giornale di Fisica, 30, nº 1-2, 1989.

(56) Antonio J. Durán – Historia, con personajes, de los conceptos del cálculo – Alianza Universidad, Madrid 1996

(57) I. Bernard Cohen – La rivoluzione nella scienza – Longanesi 1988

(58) James Gleick – Isaac Newton – Codice 2004

(59) Mamiani, Pala, Ravera – Newton – Il Sole 24 ore 2006

(60) Maurizio Mamiani – Newton – Giunti Lisciani 1995

(61) Max Born – La sintesi einsteniana – Boringhieri 1969

(62) Gerald Holton, Stephen G. Brush – Introduction to Concepts and Theories in Physical Science – Addison-Wesley Publishing 1979

(63) Jay Orear – Fisica generale – Zanichelli 1982

(64) L. Eisenbud – On the Classical Laws of Motion – Am. J. Phys. 26, 144, 1958

(65) C. Truesdell – Ensayos de Historia de la Mecánica – Tecnos, Madrid 1975

(66) G. Diambrini-Palazzi – Evoluzione delle conoscenze fisiche fondamentali – Istituto di Fisica, Università di Roma, a.a. 1963-1964

(67) Salvo D’Agostino – Dispense di Storia della Fisica – Istituto di Fisica, Università di Roma, a.a. 1974-1975

(68) Mario Gliozzi – Il concetto di massa nella storia e nell’insegnamento – in Conferenze di Fisica (Vol. 2), Feltrinelli 1967

(69) H. Kearney – Origini della scienza moderna – Il Saggiatore 1966



Categorie:Senza categoria

Rispondi