LA FISICA NELL’ OTTOCENTO. PARTE VI: BIOGRAFIA SCIENTIFICA DI JAMES CLERK MAXWELL CON RIFERIMENTO AI SUOI LAVORI DI TERMODINAMICA, TEORIA CINETICA E MECCANICA STATISTICA

Roberto Renzetti

PREMESSA   

        Maxwell è noto soprattutto per i suoi contributi fondamentali all’elettromagnetismo. Di questi suoi contributi ho trattato ampiamente altrove e lì rimando. In questo articolo tratterò, oltre che la sua biografia, i suoi contributi alla termodinamica, alla teoria cinetica ed alla meccanica statistica.

BIOGRAFIA SCIENTIFICA DI MAXWELL

     James Clerk Maxwell nacque nel 1831 a Edimburgo, in Scozia, da John Clerk Maxwell e Frances Cay, famiglia di piccoli proprietari terrieri che aveva una piccola ma sicura rendita oltre ad essere illustrata da almeno tre secoli da personaggi importanti nei campi della giurisprudenza, della politica, della geologia, delle miniere, della poesia e della musica. E così come la sua nascita lo fa scozzese, la sua cultura è di Cambridge e poteva essere libera proprio per l’indipendenza economica.

     James perse sua madre quando aveva 8 anni e da questo momento si instaurò un forte legame con suo padre. La sua passione per la scienza tecnologia, che suo padre non scoraggiò, lo separò dagli interessi tipici di un proprietario terriero indirizzandolo verso orizzonti conoscitivi più ampi. Anche suo padre aveva tali passioni e, accontentandosi solo della rendita delle sue proprietà, passava molto tempo nella visita di fabbriche e soprattutto nelle riunioni della Royal Society di Edimburgo. Stessa cosa consigliava a suo figlio quando stava, in meditazione a Birmingham,  per decidere cosa fare all’Università. Gli scriveva di vedere armieri, fabbricanti e sperimentatori di polvere e di spade, fabbriche di papier-maché e di lacca, di rivestimento d’argento … e così con un lunghissimo via.

     Dopo la morte della moglie, John si risposò e fu questa l’occasione per il suo ritorno alle occupazioni di proprietario terriero. La sua nuova moglie, miss Cay, era persona molto attiva. Mister John disegnava e realizzava da solo camicie, vestiti e scarpe e li disegnava anche per James. Progettò e fece costruire una casa su un vecchio edifico esistente, Glenlair, curata in ogni dettaglio. James passò periodi molto felici nella sua giovinezza a Glenlair correndo nei prati e giocando nel torrente vicino casa dal quale prendeva le rane se le metteva in bocca per poi vederle da lì saltare.

Glenlair nel 1867, dopo la ristrutturazione

Giocava con i figli degli impiegati di suo padre e da essi mantenne sempre un modo di parlare dialettale del contadino scozzese, come lo erano i suoi compagni di gioco, anche se era e restava membro della classe che governava il Paese. Disponeva anche di molti giochi scientifici, vere e proprie novità che il padre gli procurava. Dopo la morte della madre, per due anni, l’educazione di James fu affidata ad un precettore che comunicava alla famiglia essere il giovanetto molto lento nell’apprendere. Finché la famiglia non si accorse che tal figuro pretendeva un apprendimento mnemonico aiutato con colpi di un regolo sulla testa del piccolo e con lo storcergli le orecchie fino a farle sanguinare. Fu anche James che per una sorta di sfida con la sua personalità e per non darla vinta ad una persona di condizione sociale più bassa, non si lamentò del precettore e lo sopportò fino a quanto durò. Il padre, anche se non sembra che la cosa lo sconvolgesse più di tanto, poiché considerava tutto ciò normale, ad un certo punto decise di affidare l’educazione del figlio, ai suoi 10 anni, alla Edinburgh Academy, scuola per ricchi nella quale rimase fino ai 16 anni. Una delle possibili conseguenze di tale precettore fu il balbettare che James si portò dietro tutta la vita. Di James fino ai 10 anni disponiamo di tre disegni che sua cugina Jamima Wadderburn realizzò.

Maxwell a fianco del violinista all’età di 6 anni mentre osserva un ballo polare scozzese (Da Crowther).

Maxwell nella tinozza all’età di 10 anni ed alla mercè del suo precettore  (Da Crowther).

Maxwell a 10 anni arriva nella casa di sua zia ad Edinburgh per frequentare la locale Academy (Da Crowther).

    Fatto non trascurabile è che in quella scuola, il giovane James andava con gli abiti a dir poco eccentrici disegnati dal padre con la conseguenza che divenne lo zimbello dei suoi compagni che lo soprannominarono Dafty, sciocco, e gli strapparono i vestiti. Questi episodi sembravano divertire più che irritare James e la cosa risulta almeno strana.

Un disegno del giovanissimo Maxwell con gli abiti disegnati dal padre

   Gli anni ad Edimburgo seguirono così con sembra alcun interesse per lo studio. Suo padre lo andava a trovare e lo portava spesso con sé a visitare fabbriche ed una volta, ai suoi 12 anni, a vedere macchine elettromagnetiche ed addirittura ad una riunione della Royal Society di Edimburgo. James scriveva spesso a suo padre raccontandogli sempre tutto dettagliatamente ed accompagnando le sue lettere con disegni. Ai 14 anni diede mostra di interessarsi in matematica dove vinse una medaglia (tra l’altro realizzava costruzioni di modelli di solidi regolari e non). Ma vinse anche una medaglia in poesia inglese avendo forse un qualche effetto su di lui una conferenza di D. R. Hay della Society of Arts alla quale aveva assistito con il padre  e nella quale si discuteva della interpretazione matematica della bellezza mediante forma e colore. In tale conferenza il relatore aveva sollecitato l’immaginazione del pubblico sul modo di costruire ovali perfetti. James studiò la cosa ed in poco tempo risolse il problema scoprendo il metodo per tracciare ovali mediante una matita guidata da un filo legato a due spilli. Crowther osserva qui che questo episodio mostra quanto sia importante la disponibilità economica. Il padre, colto a sufficienza, capì l’importanza di tale scoperta in un adolescente e la presentò subito a vari professori di sua conoscenza (lo stesso Hay e J. D. Forbes). Fu Forbes che redasse in una scrittura accettabile la scoperta di James per darne comunicazione alla Royal Society di Edimburgo. A soli 15 anni il giovane entrava in una istituzione prestigiosa come la Royal Society di quella città dove la discussione era incentrata su una sua scoperta ! Forbes mise in evidenza che la scoperta di Mr. Maxwell (era il giovane James!) era più semplice e generale di quello di Descartes e che nessuno si era accorto di tale semplicità, né Newton, né Huygens che pure si erano occupati lungamente di ovali nelle loro teorie sulla luce. Ciò che colpisce è l’immediato accostamento di un bambino con i grandi della scienza. Davvero un inizio fragoroso.

    James diventò amico di Forbes ed iniziò ad interessarsi con maggiore dedizione non solo alla matematica ma alla scienza in genere. Ciò non  lo aiutò negli studi perché lo distrasse a questioni diverse che non entravano direttamente nel corso. Nel 1846 non vinse medaglie ma nel 1847, ultimo anno di corso, rivinse la medaglia di matematica, vinse quella di lingua inglese e fu vicino a quella di latino.

    Aveva 16 anni quando, con una salute delicata, entrò all’Università di Edimburgo dove studiò per 3 anni. Era poco seguito e mancava spesso alle lezioni. Stava studiando da solo il problema degli anelli di Newton e della polarizzazione della luce. A questo proposito ebbe dallo zio il regalo di andare a vedere un  prisma di Nicol ed a conoscere lo stesso Nicol. I suoi interessi per le lezioni erano su questioni di logica, metafisica ed etica. Stava diventando un giovane colto ed emancipato ed ai suoi 17 anni era particolarmente interessato, come risulta dai suoi estesi appunti,  alle lezioni di metafisica di Hamilton che discuteva di materia, spazio, tempo, forze e sensazioni. In questi eventi sembra sia nascosto il metodo di ricerca di Maxwell che evitò sempre l’identificazione delle elaborazioni scientifiche con la realtà, riuscendo in un’impresa che pochi a quei tempi erano riusciti a conseguire. Riuscì anche ad evitare di essere profondamente ed acriticamente rispettoso dei vari filosofi del suo tempo, anche se aveva apprezzato il recente saggio, Analysis of Logic, di George Boole, come facevano vari suoi colleghi anche se di filosofia sapevano molto poco.

    La sua condizione gli fece ottenere il privilegio di utilizzare il laboratorio scientifico di Forbes ed anche gli strumenti di Nicol. E con tali strumenti prese confidenza con i laboratori tanto che riuscì ad ideare uno strumento per osservare alcuni fenomeni ottici che consigliò a Nicol. Questi restò entusiasta tanto da pagare la collaborazione con due suoi prismi per la somma felicità del giovane James.  Ma i suoi esperimenti relativi al passaggio di luce attraverso materiali sottoposti a tensione lo portarono a realizzare uno studio matematico sui solidi elastici. Sulla questione, a 19 anni, inviò un’ampia comunicazione alla Royal Society di Edimburgo. In essa vi erano studi avanzatissimi e raffinati, corredati da una matematica adeguata e dal resoconto di varie esperienze, su questioni tecniche e teoriche. Questo lavoro convinse Forbes a chiedere al padre di James di inviarlo a Cambridge. La cosa si fece subito e nel 1850 James entrò a Peterhouse, quel College prestigioso dove anni prima aveva alloggiato Kelvin. All’inizio, per i suoi modi strani, il suo dialetto scozzese e per la noia che provò il primo anno, non si sentì a suo agio. Passato questo primo anno si trasferì al Trinity College, anche perché consigliati in ciò dal rettore di Peterhouse che non credeva nelle capacità di James. Al Trinity il rettore lo ricevette non con entusiasmo ma si convinse quando vide  le referenze degli studi già fatti dal giovane.

    Entrò quindi in questo College e si fece subito molti amici che apprezzavano la sua originalità e la sua ironia. Nel 1852 ebbe una borsa di studio e la cosa gli permise di mangiare alla mensa dei borsisti. Fece amicizia anche con gli studenti di materie classiche e la cosa lo aiutò a raffinare i modi. Iniziò a stare a completo suo agio tanto che ricominciò a scrivere poesie come faceva a Glenlair.

    Divenne alunno del prof. Hopkins che aveva preparato Stokes, Kelvin e altri eminenti fisici e matematici. Kopkins rimase molto impressionato dalla quantità di conoscenze di James accompagnate da un disordine incredibile. Avanzò la previsione che il giovane James sarebbe potuto diventare il più prestigioso dei suoi alunni per la sua incapacità di pensare in modo sbagliato in fisica anche se con qualche difetto in matematica.

    Come era accaduto a Kelvin, alla fine del corso di laurea a Cambridge, nel 1854 quando aveva 23 anni, riuscì solo secondo (second wrangler) ai Mathematical Tripos, una gara matematica che si svolgeva ogni anno, che dava notorietà e permetteva l’accesso ai college più prestigiosi. Quel giorno James stava male e non riuscì a dare il meglio di sé. Suo padre, contrariamente a quello di Kelvin, fu molto soddisfatto di tale prova. Certo che se si dovesse misurare l’abilità di Maxwell a confronto con quella di Kelvin a quest’età dei due si dubiterebbe del primo. Kelvin aveva già pubblicato una dozzina di lavori, alcuni dei quali molto importanti. Maxwell aveva solo 4 lavori pubblicati.

    Subito dopo la laurea Maxwell scrisse al futuro Kelvin chiedendogli consigli per le sue ricerche e se riteneva adeguato lo studio dell’elettricità. Da ciò che Maxwell scrisse al padre sembra che Kelvin gli abbia risposto di sì e per di più incoraggiandolo.

    Il suo primo lavoro di grande rilievo è centrato sull’elettromagnetismo e la preparazione di Maxwell sull’argomento era basata sull’elaborazione matematica del metodo delle analogie sviluppato da Kelvin(1); sui contributi di Weber all’elettrodinamica; sulla matematica di Green e Stokes; sulla conoscenza di Helmholtz e della sua cinematica dei fluidi e la conoscenza approfondita  dell’opera di Faraday. Con tale bagaglio costruì nel 1856 la sua On Faraday’s lines of force.

    Questi primi anni risultarono comunque di sistemazione per Maxwell. Suo padre era malato ed egli fece domanda d’insegnamento al Marischal College di Aberdeen dove si trovava il padre. Il padre morì prima che egli potesse prendere

Disegno del Marischal College di Aberdeen

servizio. Il primo anno ad Aberdeen fu dedicato ad una memoria sul moto degli anelli di Saturno che gli serviva per concorrere all’Adam’s Prize dell’Università di Cambridge che comunque vinse mostrando di aver superato le sue difficoltà in matematica e diventando tra i più promettenti fisico-matematici di Gran Bretagna. E’ da notare che in questi anni segue a dare lezioni gratuite a lavoratori come aveva iniziato a fare a Cambridge. Nel 1858 si sposò con Mary Dewar, figlia del rettore della sua scuola. Nel 1859 al Congresso della British Association che si tiene ad Aberdeen presenta la sua memoria sulla Teoria dinamica dei gas che sarà pubblicata l’anno successivo. e che è la prima memoria che ci interessa discutere.

LA TEORIA DINAMICA PASSA DAL CALORE AI GAS

    Nel 1860 i due maggiori Colleges di Aberdeen, il Marischal ed il King’s, si fondono in un’unica Università. E’ l’occasione per l’abolizione della cattedra occupata da Maxwell che guadagna invece quella al King’s College di Londra. (anche se le sue richieste erano per Edimburgo). Quell’anno vide una prima pubblicazione di Maxwell, On the theory of compound colours, che gli valse la Medaglia Rumford della Royal Society di Londra. Quindi la pubblicazione, in due parti, della sua prima memoria sulla teoria cinetica dei gas: Illustrations of the dynamical theory of gases, (Phil. Mag19, p. 19-32; 20, p. 21-37, 1860, January and July).

Il giovane Maxwell nel 1855

    Quest’ultima memoria nacque non perché Maxwell avesse un particolare interesse al problema ma per alcune circostanze che si verificarono. A questo proposito vi sono due versioni, non necessariamente l’una escludente l’altra. La prima prevede un avvicinamento al problema che nasceva dalla lettura della memoria di Clausius, Über die mittlere Länge der Wege, welche bei Molecularbewegung gasförmigen Körper von den  einzelnen Molecülen zurückgelegt werden, … (Sulla lunghezza media delle traiettorie descritte dalle singole molecole dei corpi gassosi …, Annalen der Physik, 105, p. 239-241; 246-250), che egli aveva, appunto, letto in traduzione sul Philosophical Magazine (17, p. 81-91) nel 1859. La seconda versione riguarda una sorta di necessità di trattare in modo più completo alcune questioni che aveva incontrato nell’elaborazione del suo lavoro sugli anelli di Saturno, On the stability of the Motion of Saturn’s Rings del 1856 (The Scientific Papers of James Clerk Maxwell, Dover Publications, 1965), scritto per concorrere all’Adam’s Prize. In tale scritto, di enorme complessità che aveva di soli calcoli 60 pagine e del quale l’astronomo reale Airy aveva detto che mai aveva visto un’applicazione così notevole della matematica alla fisica, Maxwell partiva dalle seguenti ipotesi principali:

1. Gli anelli di Saturno sono corpi solidi, regolari od irregolari.

II. Gli anelli sono corpi fluidi, liquidi o gassosi.

III. Gli anelli sono composti da materiali sciolti.

I risultati dell’indagine matematica applicati al primo caso sono:

1. Che un anello uniforme non può avere un moto permanente.

2. Che è possibile, mediante l’appesantimento di un lato dell’anello, produrre la stabilità del movimento, ma che questo appesantimento deve essere molto grande rispetto all’intera massa del resto dell’anello, nel rapporto di 82 a 18.

3. Che questo appesantimento non solo deve essere molto grande, ma molto ben aggiustato, in quanto se fosse minore di 0,81 o maggiore di 0,83 del totale, il movimento sarebbe instabile.

Il modo in cui tale sistema verrebbe distrutto sarebbe mediante collisione tra il pianeta e l’interno dell’anello.

È anche evidente che, poiché nessun carico così enorme rispetto all’anello esiste realmente, siamo costretti a considerare gli anelli come fluidi, o almeno non solidi; e troviamo che, nel caso di un anello fluido, dovrebbero generarsi delle onde che lo romperebbero in parti il cui numero dovrebbe dipendere direttamente dalla massa di Saturno, ed inversamente da quella dell’anello.

Sembra perciò che la sola costituzione possibile per un anello del genere sia una serie di masse slegate che possono essere fluide o solide e che non occorre siano uguali. Si sono investigati i complicati movimenti interni di un anello del genere e si sono trovati consistere di quattro serie di onde che, quando combinate insieme, riproducono qualunque forma di disturbo primario con tutte le sue conseguenze.

    Maxwell quindi iniziava a trattare il problema come un problema ad n corpi, in cui i corpi erano le piccole parti costituenti gli anelli. A tale proposito ne, I nomi del tempo, Bellone scrive:

Il problema era di notevole complessità: se un anello era formato da parti, era infatti necessario studiare le situazioni in cui ciascuna parte era soggetta sia all’attrazione gravitazionale esercitata dal pianeta, sia a eventi dovuti «all’irregolarità delle altre parti». La ricerca sull’ «equilibrio dinamico» di un anello formato da un grandissimo numero di elementi e suscettibile di risentire effetti perturbativi aveva spinto Maxwell a indagare sul comportamento di sistemi nei quali la materia era dispersa nello spazio, in modo da formare una «collezione di particelle di dimensioni piccole in confronto alle loro distanze relative»: collezione la cui «densità media» era inferiore a quella del «gas più rarefatto» e la cui descrizione rendeva necessario 1’uso frequente del termine «irregolarità», dell’ espressione «tendenza all’ equilibrio», di considerazioni vertenti sugli effetti provocati da collisioni tra particelle, e di calcoli sulla perdita di energia dovuta all’attrito interno in uno sciame di corpuscoli.

     Probabilmente fu quindi questa sua trattazione che spinse Maxwell a leggere con particolare interesse il lavoro di Clausius per capire come altri avevano trattato un problema di n corpi. Come ricorda Bellone, la cosa lo aveva tanto interessato che, in proposito, Maxwell aveva indirizzato subito una lettera al grande della matematica George Gabriel Stokes, lettera nella quale egli riteneva opportuno controllare la validità della teoria di Clausius (o, piuttosto, di Herapath). A questa prima considerazione egli aggiungeva che sui fenomeni della diffusione gassosa vi era poco di sperimentale e che egli aveva esaminato il problema con la matematica come se si trattasse di un esercizio di meccanica. E ciò al fine di vedere se quanto scritto da Clausius fosse corretto, in quanto tale correttezza sarebbe discesa dal dedurre le leggi del moto di sistemi di particelle che tra loro interagiscono soltanto per mezzo di collisioni. La lettera concludeva dicendo che da tale esercizio matematico risultava una curiosa conseguenza e cioè che la viscosità di un gas risultava indipendente dalla sua densità. Queste erano dunque le premesse alla memoria letta nel 1859 alla British Association e pubblicata nel 1860 sul Philosophical Magazine. Maxwell iniziava a trattare il problema utilizzando in senso più stretto di quanto non avesse fatto nelle On Faraday’s lines of force il suo metodo delle analogie ipotizzando un modello meccanico che avrebbe avuto proprietà analoghe a quelle di in gas. L’assoluta novità del lavoro di Maxwell sta nell’aver rifiutato quanto fino allora si era sostenuto e cioè che le molecole di un gas avessero tutte la medesima velocità. Ma tale rifiuto lo poneva di fronte alla non piccola difficoltà di stabilire le singole velocità delle molecole. La cosa fu, e non poteva essere altrimenti, affrontata con metodi probabilistici e statistici, metodi che egli conosceva essendo stato un estimatore di Laplace. A questo punto c’è da osservare che questa sola ipotesi non era sufficiente a definire e risolvere il problema. Ne occorreva almeno un’altra: la collisione di due molecole devono prevedere rimbalzi in ogni direzione e da ciò consegue che la distribuzione di probabilità per ogni componente della velocità deve essere indipendente dal valore delle altre componenti (questa seconda ipotesi, come lo stesso Maxwell riconoscerà nella successiva memoria è tutt’altro che evidente e comprensibile essa sarà derivata solo nel 1867). Nasce così la legge maxwellina di distribuzione delle velocità. Lo scritto iniziava ricordando i vari contributi alla teoria cinetica e riconoscendo la grande utilità del cammino libero medio, che egli utilizzò, per descrivere microscopicamente comportamenti macroscopici di un gas:

Sono tante le proprietà della materia, specialmente quando essa si trova nella forma gassosa, le quali possono essere dedotte dall’ipotesi secondo cui le sue parti più minute sono in rapido movimento con una velocità che cresce con la temperatura, che la natura precisa di un tale moto diventa l’oggetto della curiosità razionale. Daniele Bernouilli, Herapath, Joule, Kronig, Clausius e altri hanno mostrato che le relazioni fra la pressione, la temperatura e la densità in un gas perfetto possono essere spiegate supponendo che le particelle si muovano con velocità uniforme su linee rette, colpendo la superficie interna del recipiente che le contiene e cosi producendo una pressione. Non è necessario supporre che ciascuna particella compia viaggi su lunghe distanze seguendo la stessa linea retta: infatti l’effetto che consiste nel generare una pressione rimane lo stesso anche se le particelle possono entrare in collisione le une con le altre, cosi da ridurre di molto la lunghezza dei tratti rettilinei percorsi. Clausius ha determinato la lunghezza media della traiettoria in termini di distanze medie tra particelle e la distanza tra i centri di due particelle quando si verifica una collisione. Non abbiamo, attualmente, alcun mezzo per accertare alcuna di tali distanze; ma certi fenomeni, quali ad esempio l’attrito interno dei gas, la conduzione del calore attraverso un gas e la diffusione di un gas entro un altro, sembrano indicare la possibilità di determinare accuratamente la lunghezza media della traiettoria che una particella descrive tra due collisioni successive. Al fine di porre la fondazione di tali ricerche su principi strettamente meccanici, io dimostrerò le leggi del movimento di un numero indefinito di particelle piccole, dure e perfettamente elastiche, agenti le une sulle altre solo durante le collisioni reciproche.
Se le proprietà di un simile sistema di corpi saranno corrispondenti a quelle dei gas, si sarà stabilita una importante analogia che potrebbe condurre ad una conoscenza .più accurata delle proprietà della materia. Se invece gli esperimenti sui gas sono inconsistenti con le ipotesi di tali proposizioni, allora la nostra teoria, pur essendo. consistente in se stessa, viene dimostrata incapace di spiegare i fenomeni dei gas. In entrambi i casi è necessario seguire le conseguenze dell’ipotesi.
Invece di dire che le particelle sono dure sferiche ed elastiche, possiamo, se vogliamo, dire che le particelle sono centri di forza, la cui azione non è sensibile se non a certe piccole distanze, quando cioè essa appare improvvisamente sotto la forma di una forza repulsiva di grande intensità. Al fine di evitare la ripetizione di frasi lunghe su queste forze repulsive io procederò sulla base dell’assunzione relativa a corpi sferici perfettamente elastici.
 

    La premessa non richiede ulteriori spiegazioni. Risulta molto chiara come chiaro è l’affidare il risultato che troverà teoricamente a successive esperienze. Iniziava allora l’elaborazione matematica del suo modello di gas costituito da sfere rigide che è sviluppata proprio come si trattasse di un esercizio di matematica con la non indifferente introduzione di concetti probabilistici:

Proposizione I. Due sfere si muovono in direzioni opposte con velocità inversamente proporzionali alle loro masse, e entrano in collisione; determinare i loro movimenti dopo la collisione.

Siano P e Q le posizioni dei centri al momento della collisione; siano AP, BQ le direzioni e le grandezze delle velocità prima della collisione, e Pa, Qb le stesse dopo la collisione; allora, risolvendo le velocità nelle componenti parallele e perpendicolari alla linea dei centri PQ, troviamo che le velocità parallele alla linea dei centri sono esattamente rovesciate, mentre quelle che sono perpendicolari a tale linea rimangono invariate. Componendo nuovamente tali velocità troviamo che la velocità di ciascuna sfera è la stessa prima e dopo la collisione, e ,che le direzioni prima e dopo la collisione giacciono sullo stesso piano con la linea dei centri e fanno- angoli eguali con essa.

Proposizione II. Trovare la probabilità che la direzione della velocità dopo la collisione sia compresa entro limiti dati.

Affinché una collisione possa avere luogo, la linea del moto di una delle sfere deve passare ad una distanza inferiore alla somma dei loro raggi rispetto al centro dell’altra; e cioè, essa deve passare attraverso una circonferenza il cui centro coincide con il centro dell’altra sfera e il cui raggio s deve essere la somma dei raggi delle due sfere. Entro questa circonferenza ogni posizione è egualmente probabile, ed allora la probabilità che la distanza dal centro sia compresa tra r ed r + dr è data da:

                                              2rdr/s2

Sia ora Φ l’angolo APa tra la direzione originale e la direzione dopo la collisione : allora APN = ½Φ ed r = s sin ½Φ, e la probabilità diventa:

                                            ½ sinΦ dΦ

L’area di una zona sferica compresa tra gli angoli di distanza polare Φ  e Φ + dΦ è data da:

                                          2π sin Φ dΦ;

pertanto, se ω è una piccola area sulla superficie di una sfera di raggio unitario, la probabilità che la direzione di rimbalzo passi attraverso quest’area è data da:

                                              ω/4π

di qui si vede che la probabilità è indipendente da Φ: il che significa che tutte le direzioni di rimbalzo sono egualmente simili.

Proposizione III. Date la grandezza e la direzione delle velocità delle due sfere prima della collisione, e la linea dei centri al momento della collisione, trovare le velocità dopo la collisione.

Indichiamo con OA, OB le velocità prima della collisione, di modo che, qualora non si abbia azione alcuna tra i corpi, allora essi si debbano trovare, dopo un secondo, in A e in B. Uniamo A e B, e sia G il loro centro di gravità, la cui posizione non è modificata dalla loro azione reciproca. Tracciamo GN parallela alla linea dei centri al momento della collisione (non necessariamente nel piano AOB). Tracciamo aGb nel piano AGN, di modo che NGa=NGA, con Ga=GA e Gb=GB; allora, grazie alla Proposizione I, Ga e Gb saranno le velocità relative a G; e componendo queste con OG, abbiamo Oa e Ob per le velocità vere dopo la collisione.


Grazie alla Proposizione II tutte le direzioni della linea aGb sono egualmente probabili. Ne risulta pertanto che la velocità dopo la collisione è composta dalla velocità del centro di gravità e da una velocità eguale a quella della sfera relativa al centro di gravità, che può, con eguale probabilità, trovarsi su una direzione qualsiasi.

Nel caso che molte particelle sferiche ed eguali tra di loro si trovino in moto in un recipiente perfettamente elastico, si verificheranno collisioni tra le particelle stesse e le velocità di queste ultime saranno modificate ad ogni collisione; in tal modo, dopo un certo intervallo di tempo, la vis viva sarà divisa tra le particelle secondo una qualche legge regolare, e il numero medio di particelle le cui velocità sono comprese entro certi limiti diventa accertabile anche se la velocità di ciascuna particella cambia ad ogni collisione.

Proposizione IV. Trovare il numero medio di particelle la cui velocità è compresa entro certi limiti, dopo un gran numero di collisioni tra un gran numero di particelle eguali.

Sia N il numero complessivo delle particelle. Indichiamo con x, y, z le componenti della velocità di ciascuna particella rispetto a tre direzioni fra loro perpendicolari, e indichiamo con N f(x) dx il numero di  particelle  per  le quali  x  è compresa tra x e x + dx, dove f(x) è una funzione di x che deve ancora essere determinata.

Il numero di particelle per le quali y è compresa tra y e y + dy sarà N f(y) dy; e il numero con z compreso tra z e z + dz sarà N f(z) dz, dove f rappresenta sempre la stessa funzione.

Ora, l’esistenza della velocità x non perturba in alcun modo quella delle velocità y e z, in quanto queste sono tutte ad angolo retto tra di loro e sono mutuamente indipendenti, ragione per cui il numero di particelle le cui velocità sono comprese tra x e x + dx, ed anche quelle relativi a y e y+dy e z e z+dz, è:

                                 N f (x) f (y) f (z) d x d y d z.

Se supponiamo che le N particelle partano dall’origine nello stesso istante, allora questo sarà il numero nell’elemento di volume (dxdydz) dopo l’unità di tempo, ed il numero relativo all’unità di volume sarà:

                                         N f(x) f(y) f(z).

Ma le direzioni delle coordinate sono perfettamente arbitrarie, ed allora questo numero deve dipendere unicamente dalla distanza rispetto all’origine, e cioè:

                          f (x) f (y) f (z) = Φ (x+ y2 + z2).

Risolvendo quest’equazione troviamo che:

                  
                        

                 

Se poniamo A positivo, il numero delle particelle crescerà con la velocità, per cui troveremmo che il numero complessivo delle particelle stesse è infinito.  Poniamo quindi A  negativo  ed  eguale a – 1/α2, così che il numero α2 relativo a x e x+dx sia:


Integrando fra x = – ∞ e x = + ∞ troviamo il numero totale delle particelle:



                                                 

f ( x) è di conseguenza pari a:

                                       


A questo punto possiamo trarre le seguenti conclusioni:
In primo luogo, il numero delle particelle le cui velocità, secondo una certa direzione, sono comprese tra x e x+dx, è dato da:


In secondo luogo, il numero di particelle le cui velocità effettive sono comprese tra v e v + d v è dato da:

In terzo luogo, per trovare il valor medio di v occorre sommare le velocità di tutte le particelle e poi dividere per il numero di queste ultime; il risultato è

:In quarto luogo, per trovare il valor medio di v2 occorre sommare tutti i valori e poi dividere per N:

Quest’ultimo valore è maggiore del quadrato della velocità media, come ci si doveva aspettare.

Da questa proposizione risulta che le velocità sono distribuite tra le particelle secondo la stessa legge per cui gli errori sono distribuiti tra le osservazioni entro la teoria dei minimi quadrati. Le velocità vanno da 0 ad ∞, ma il numero di quelle che hanno valori molto alti è relativamente piccolo. In aggiunta a tali velocità, che sono egualmente distribuite in tutte le direzioni, vi può anche essere un moto generale di traslazione dell’intero sistema di particelle che deve essere composto insieme al moto delle particelle stesse l’una rispetto alle altre. Chiameremo l’un moto come moto di traslazione, e l’altro come moto di agitazione.
 

    La funzione f(x) che Maxwell aveva trovato, la sua legge di distribuzione delle velocità molecolari:

è ancora oggi nota come maxwelliana ed è una relazione formalmente simile a quella che si incontra nella distribuzione degli errori. Si trattava di una legge regolare, come Maxwell aveva  auspicato di trovare, che emergeva dallo studio di una notevole quantità di collisioni tra coppie di molecole immerse in un mare di altre molecole. Si trattava di capire che significato fisico avesse questa trasformazione da teoria cinetica a teoria statistica. Si può solo osservare una cosa intuitivamente accettabile: essa tende a zero quando v tende a zero e quando v tende ad infinito mentre ha un massimo per v = α. Insomma vi sono poche molecole che hanno sia piccole che grandi velocità e ve ne sono molte con velocità intermedie (la velocità media delle molecole risultando essere v = 2α/π½).
 

    E’ utile aggiungere qualche altra considerazione. Il risultato trovato è quello che va sotto il nome di legge di distribuzione delle velocità di Maxwell secondo cui le molecole costituenti un gas, con i loro numerosi urti, non hanno tutte le stesse velocità, come aveva ricavato Clausius e come tutti i precedenti autori ammettevano, ma hanno velocità differenti l’una dall’altra, che variano da zero ad infinito, e le cambiano continuamente, ma il numero delle molecole che mantengono una velocità fissata rimane globalmente costante. C’è una velocità più probabile delle altre originata dal fatto che i numerosi urti che si susseguono non permettono alle molecole di acquistare velocità molto distanti da quella più probabile. In definitiva quasi tutte le molecole hanno velocità che si discostano poco dal valore più probabile, e le cose possono essere trattate come se tutte le molecole avessero la stessa velocità. Nel corso della memoria che stiamo discutendo, Maxwell ebbe modo di precisare il concetto, già introdotto da Clausius, di cammino libero medio di una molecola (la lunghezza media di un percorso molecolare tra due urti successivi) e di fornirne un metodo di calcolo. Disponendo dei due concetti ora accennati fu possibile passare ad altre importantissime elaborazioni della teoria, che via via fornivano interpretazioni microscopiche di fatti fino ad allora conosciuti solo macroscopicamente e/o solo empiricamente e magari non ben compresi. Si riuscì a dare una spiegazione ai fenomeni di diffusione, di soluzione, di attrito e di propagazione del calore; si scoprirono delle interdipendenze fra questi fenomeni che precedentemente apparivano nettamente distinti; diventarono comprensibili alcune ‘irregolarità’ dei calori specifici dei gas e dei solidi e le deviazioni dalla legge di Dulong (1785-1838) e Petit (1791-1820); si cominciarono a capire le ragioni delle deviazioni del comportamento dei gas reali da quello dei gas perfetti; si calcolò il numero di molecole contenute in un centimetro cubo di gas in condizioni normali; si calcolò il numero di molecole contenute in una grammomolecola; si calcolarono le dimensioni delle molecole; ci si avviò alla soluzione del problema della liquefazione di tutti i gas; si dettero le prime spiegazioni del moto browniano.

    Ma quella distribuzione, pur con risultati corretti, a quel tempo non risultava ancora chiara. James Jeans (1877-1946) sostenne, in occasione del centenario della nascita di Maxwell (1931), che il ragionamento di Maxwell non sembra avere avuto nulla a che fare con le molecole o con la dinamica del loro moto, con la logica ed il senso comune elementare eppure Maxwell  arrivò ad una formula  che d’accordo con tutti i precedenti e tutte le leggi della filosofia scientifica dovrebbe essere sbagliata con certezza. Nonostante ciò, più avanti, si dimostrò che era corretta. Comunque alcuni errori vi erano nella memoria di Maxwell errori che aveva fatto in una delle tre parti in cui la memoria era divisa e che Clausius aveva rimarcato (1862) e che Maxwell aveva riconosciuto.

    In questa memoria Maxwell aveva derivato le equazioni per i processi di trasporto dei gas, la viscosità o attrito interno, la conduzione termica e la diffusione, e la conferma sperimentale della sua previsione che la viscosità fosse indipendente dalla pressione (e quindi dalla densità) convalidò l’ipotesi di una teoria cinetica dei gas (questo era il risultato che Maxwell considerava sorprendente e che affidava a verifiche sperimentali). La viscosità, che assumerà un ruolo importante nella memoria di Maxwell, non è altro che la quantità di moto delle molecole trasmessa da uno strato di gas all’altro e tale trasmissione si realizza solo tra strati la cui distanza può essere percorsa da una molecola e sarà, di conseguenza, proporzionale al cammino libero medio delle molecole ed alla loro velocità. La relazione tra viscosità e temperatura dipendeva tuttavia dal particolare modello molecolare assunto. Maxwell aveva stabilito che per un gas costituito da molecole sferiche ed elastiche, la viscosità poteva variare con la radice quadrata della temperatura. I suoi esperimenti dimostrarono invece che la viscosità variava direttamente con la temperatura, un risultato che contraddiceva l’ipotesi delle molecole sferiche ed elastiche. Questi esperimenti condussero Maxwell a riconsiderare la natura della struttura molecolare dei gas; egli abbandonò il modello delle molecole sferiche ed elastiche dell’articolo del 1860 in favore di una teoria delle molecole intese come «centri di forza». E’ importante invece il fatto che nella memoria comparivano alcune grandezze che risultavano suscettibili di essere misurate con possibilità quindi di mettere a prova la teoria. Tra queste il coefficiente di viscosità di un gas, che risultava indipendente dalla pressione(2), e che acquistò subito interesse soprattutto per lo stesso Maxwell che, insieme alla moglie, cercò di misurare.

Apparato utilizzato da Maxwell e sua moglie per misurare la viscosità di un gas in funzione della pressione (1866). L’esperimento consisteva nell’ osservare le oscillazioni dei dischi di vetro f, g e h sospesi in una camera sigillata. La pressione del gas nel recipiente poteva essere variata, ad era rilevata dal barometro ACB. La temperatura del recipiente poteva essere variata riempiendo il recipiente di latta (fig. 10) con acqua calda, vapore o acqua fredda, e facendolo salire fino a fare immergere in esso la camera; la temperatura veniva letta sul termometro T. Attaccando un piccolo filo di acciaio magnetizzato ns, all’asse a cui i dischi di vetro erano attaccati e mettendo un magnete sotto n, Maxwell poneva i dischi in moto. (Da Harman)I risultati delle ricerche sperimentali di Maxwell e sua moglie verranno pubblicati nel 1866 nell’articolo On the viscosity or internal friction of air and other gases. Maxwell trova risultati in accordo con quanto aveva teorizzato e cioè che il coefficiente di viscosità rimane costante per un ampio campo di variazioni della pressione. (i risultati erano in accordo con quelli che Oskar Emil Meyer trovava negli stessi anni).

     La memoria di Maxwell si concludeva confrontando  le misure note dei calori specifici dei gas e ciò che la sua teoria aveva ricavato, confronto del tutto negativo. Tale evidenza faceva dire a Maxwell che, pur avendo raggiunto risultati soddisfacenti, la sua teoria dinamica non si accordava con l’esperienza e quindi occorreva rinunciare all’ipotesi di gas costituito da sfere elastiche.

   L’introduzione di metodi statistici, che inaugura quella oggi nota come meccanica statistica, per la soluzione del problema dei moti di molecole in un gas era una novità assoluta (una vera svolta che fa passare da un’interpretazione causale deterministica ad una appunto probabilistica) che, una volta conquistata, ebbe grande applicazione nello studio di molti altri fenomeni naturali. E Maxwell aveva già in mente un tale passaggio nel 1850, quando scriveva a Campbell le cose seguenti:

[…] la vera logica di questo mondo è il Calcolo delle Probabilità […] Questa branca della Matematica, che di solito viene ritenuta favorire il gioco d’azzardo, quello dei dadi e le scommesse, e quindi estremamente immorale, è la sola “Matematica per uomini pratici”, quali noi dovremmo essere. Ebbene, come la conoscenza umana deriva dai sensi in modo tale che l’esistenza delle cose esterne è inferita solo dall’armoniosa (ma non uguale) testimonianza dei diversi sensi, la comprensione, che agisce per mezzo delle leggi del corretto ragionamento, assegnerà a diverse verità (o fatti, o testimonianze, o comunque li si voglia chiamare) diversi gradi di probabilità.

    Gibbs, nel ricordo di Clausius che fece nel 1889 dopo la sua scomparsa, ebbe modo di dire: Nello studiare Clausius ci sembra di studiare la meccanica; nello studiare Maxwell, come pure succede per la gran parte del lavoro di Boltzmann, ci sembra invece di studiare la teoria delle probabilità.
 

I LAVORI DI MAXWELL FINO ALLA MEMORIA SULLA TEORIA DINAMICA DEI GAS DEL 1867

    Come ho anticipato non mi occupo qui dei fondamentali lavori di Maxwell riguardanti l’elettromagnetismo. Fornisco quindi solo una scaletta dei suoi lavori rimandando all’articolo nel quale ho trattato tali lavori con dettagli.

    Tra il 1861 ed il 1862 Maxwell tornò ad affrontare problemi elettromagnetici nella sua ponderosa memoria On Physical Lines of Force che fu pubblicata in quattro parti sul Philosophical Magazine (le prime due nel volume 21 del 1861 e le seconde due nel volume 23 del 1862). In tale lavoro presenta un insieme di analogie e modelli meccanici a sostegno delle idee di Faraday che, quasi certamente, lo stesso Faraday avrebbe respinto. Le linee di forza non sono più una mera rappresentazione di come le forze del campo sono distribuite; esse assumono ora un carattere fisico. Si tratta di linee immerse in un fluido elastico, l’etere, sottoposto ad uno stress, ad uno stato di sforzo proprio per il fatto di trovarsi situato tra due polarità. La linea di forza viene allora pensata come una corda tesa, cioè in tensione, su cui si esercitano delle pressioni laterali, perpendicolari e di uguale intensità. In accordo con Kelvin, è come il moto vorticoso di un fluido che nel suo realizzarsi espande il fluido nella zona equatoriale, mentre lo contrae ai poli (si pensi alla forma fusiforme di una tromba d’aria) per effetto delle forze centrifughe. In definitiva si tratta di vortici che si avvitano intorno alle linee di forza che nascono con un piccolo diametro da un determinato polo e, dopo essersi dilatati lungo il cammino, muoiono sull’altro polo con lo stesso piccolo diametro di partenza. La memoria inizia a delineare la teoria delle onde elettromagnetiche e la prima delle equazioni di Maxwell.

    A partire dal 1861 Maxwell lavorerà in laboratorio per stabilire la correttezza delle sue ipotesi sulla natura dei gas. Queste ricerche lo porteranno a scrivere nel 1866 la memoria On the viscosity or internal friction of air and other gases (Philosophical Transactions della Royal Society, 1867). In essa sono riportati i risultati che Maxwell e sua moglie avevano trovato e che erano in accordo con quanto aveva teorizzato lo stesso Maxwell nella memoria del 1860 e cioè che il coefficiente di viscosità rimane costante per un ampio campo di variazioni della pressione. Tali risultati erano in accordo con quelli che Oskar Emil Meyer trovava negli stessi anni.

    Nel 1862 Maxwell fu nominato membro del Comitato organizzato dalla British Association per definire i campioni delle unità elettriche e dette importanti contributi nella definizione del campione di resistenza. Ma il suo lavoro teorico continua senza soste.

    Nel 1865 vedrà la luce la sua fondamentale memoria riguardante l’elettromagnetismo,A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field(Philosophical Transactions della Royal Society). Questo lavoro contiene tutti i principali risultati che Maxwell aveva precedentemente ottenuto e può essere considerato come la prima formulazione completa, dal punto di vista analitico, della teoria del campo elettromagnetico e della teoria elettromagnetica della luce. Le proprietà di questo campo sono descritte da 20 equazioni generali. Lo stesso Maxwell, all’inizio della memoria, annunciava che la sua era una teoria dinamica nel senso che si serve di materia in moto nello spazio per rendere conto dei fenomeni elettrici e magnetici. Essa riguarda essenzialmente lo spazio circostante i corpi elettrizzati o magnetizzati che dovrà essere riempito di un mezzo (permeante anche i corpi) in grado di essere posto in moto e di trasmettere quel moto da una parte all’altra con grande ma non infinita velocità. Questo etere ha una natura elettromagnetica ma poiché ha le stesse proprietà (elasticità, densità, …) di un etere ottico, può essere identificato con esso (è interessante notare che le proprietà dell’etere elettromagnetico Maxwell le assegnava a priori in modo che esso avesse poi avuto le caratteristiche che si richiedevano, ad esempio, per trasportare vibrazioni trasversali ad una data velocità). Vi sono infine le questioni energetiche. Per Maxwell l’energia è localizzata in tutto lo spazio ed è tutta di natura meccanica: egli considera un etere costituito da una enorme quantità di piccolissime cellule che, all’interno di un campo magnetico, ruotano tutte nello stesso verso attorno ad assi paralleli alle linee di forza. Così Maxwell può affermare che l’energia cinetica di questo movimento vorticoso non differisce dall’energia magnetica …[e], in ogni punto del dielettrico sottoposto ad un campo, si accumula una energia che, nel modello, è elastica, ma che in realtà non è altro che energia cinetica. Egli considera quindi l’energia elettrica come energia potenziale meccanica e l’energia magnetica come energia cinetica di natura meccanica. E, come già detto, questa energia meccanica – elettromagnetica risiede in tutto lo spazio e, in particolari condizioni, si può propagare sotto forma di onde elettromagnetiche. Il mezzo, l’etere, si può polarizzare in virtù della sua elasticità e quando è polarizzato è in una condizione di accumulo di energia potenziale (elettrica) che ridarà, sotto forma di energia cinetica (magnetica), quando lo sforzo cesserà. In definitiva la propagazione di onde elettromagnetiche nello spazio è dovuta alla trasformazione continua di una di queste forme di energia nell’altra e viceversa, e, istante per istante, l’energia totale nello spazio è ugualmente divisa tra energia potenziale (elettrica) e cinetica (magnetica). È quanto oggi sappiamo: si originano onde elettromagnetiche ogniqualvolta ci si trovi in presenza di una variazione o di un campo elettrico o di un campo magnetico (è interessante notare che la connessione tra materia e moto avrà importanza per Maxwell anche nello sviluppo della teoria cinetica dei gas). È certo che con questa terza memoria Maxwell si sbarazza di quel grande ingombro che erano vortici e ruote inattive. Rimane però un etere con caratteristiche quasi materiali che Faraday non avrebbe mai condiviso. Allo stesso modo però a Maxwell non andava giù quella interconnessione di materia e forza che Faraday assumeva dalla tradizione romantica.

    Nello stesso anno 1865 Maxwell decise di abbandonare l’insegnamento e di ritirarsi a Glenlair dove dedicherà la gran parte del tempo a scrivere il suo famoso Trattato di elettricità e magnetismo che vedrà la luce nel 1873 ed il suo breve Trattato del calore che sarà pubblicato nel 1877. In questi anni avrà relazioni con l’Università di Cambridge fino a farsi convincere a tornate all’insegnamento nel 1871. La molla sarà la possibilità che gli viene offerta di realizzare un laboratorio di fisica sperimentale, la cui cattedra andrà ad occupare. Egli, in tre anni, riuscirà a mettere su uno dei più prestigiosi laboratori del mondo, il Cavendish. Si pensi solo che, fino al 1874, l’Università di Cambridge non disponeva di un laboratorio di fisica e che le esperienze i ricercatori se le facevano nelle loro casa. Anche la creazione di una cattedra di fisica sperimentale, necessaria in epoca di rivoluzione industriale, fu una novità quasi oscena in una cultura che disprezzava le attività manuali.

Maxwell, sua moglie ed il loro cagnolino in Scozia.

SULLA TEORIA DINAMICA DEI GAS

      Nel 1866 Maxwell lesse alla Royal Society di Londra la sua più importante ed elaborata memoria sulla teoria cinetica di gas che, da questo momento, diventa certamente una memoria di meccanica statistica, la memoria dalla quale partirà Boltzmann per i suoi lavori che congiuntamente a quelli di Maxwell daranno origine alla statistica (classica) di Maxwell-Boltzmann (che si può leggere qui e qui). Si tratta di On the Dynamical Theory of Gases, pubblicata l’anno successivo nelle Philosophical Transaction della Royal Society, CLVII, 1867, pp. 49-88(3).

Una delle ultime foto di Maxwell

    Maxwell aveva ora presenti le difficoltà che nascevano dalla sua precedente memoria e le critiche di Cluasius. Riesce a superare ogni obiezione ed intralcio con delle ipotesi nuove alla base della teoria dinamica dei gas. Intanto rinunciava alle sfere rigide ed elastiche come modello delle molecole e passava all’altro modello che aveva annunciato come possibile all’inizio della sua memoria del 1860, quello dei centri di forza (le particelle sono centri di forza, la cui azione non è sensibile se non a certe piccole distanze, quando cioè essa appare improvvisamente sotto la forma di una forza repulsiva di grande intensità). Stabilisce anche l’andamento della forza repulsiva tra particelle che deve avere un andamento inversamente proporzionale alla ennesima potenza della distanza tra i loro centri, cioè 1/rn, e ciò vuol dire che le molecole si respingono anche in modo indipendente da un loro urto meccanico e cioè attraverso urti di tipo coulombiano. Quale valore di scegliere ? Maxwell, evidentemente dopo aver fatto dei conti e qualche confronto con i dati sperimentali, sceglieva n = 5 e tutto rispondeva a quanto si riprometteva di dimostrare (il valore elevato di n garantiva la libertà di movimento delle molecole a grandi distanze ed una forte repulsione quando si trovavano vicine). E la scelta di n = 5 viene semplicemente annunciata all’inizio della memoria senza ulteriori giustificazioni:

In thc present papcr I propose to corisider the molecules of a gas, not as elastic spheres of definite radius, but as smalt bodies or groupe of smaller molecules repelling one another with a force whose direction always passes very nearly througit thé centres of gravity of the molécules, and whose magnitude is represented very nearly by some function of the distance of the centres of gravity. I have made this modification of the theory in consequence of the results of my experimcnts on the viscosity of air at different temperatures, and 1 have deduced from these experiments that the repulsion is inversely as the fifth power of the distance.

    Con tale valore si sbarazzava della difficoltà sorta nella prima memoria e relativa alla viscosità (essa, contrariamente all’esperienza, risultava proporzionale alla radice quadrata della temperatura) e si toglieva dall’enorme difficoltà di una certa velocità relativa delle molecole che compariva nelle espressioni di ogni parametro macroscopico del gas (viscosità, diffusione, conduzione, pressione, … ), che risultava del tutto incomprensibile e del tutto  intrattabile e che ora fortunatamente spariva.

    Maxwell era conscio della correttezza della funzione di distribuzione che aveva trovato nella memoria del 1860 (these results are independent of the law of force between the molécules) pertanto non rifece ora tutti i calcoli che aveva fatto allora ma ne fece a partire dall’accettazione come ipotesi di quella funzione di distribuzione che doveva rappresentare il fatto che le nuove ipotesi sulla costituzione delle molecole non cambiavano la distribuzione delle loro velocità (in the present investigation we do not require to know the form of this function). Da qualunque distribuzione iniziale si fosse partiti e cioè qualunque fosse stato il numero di collisioni, si sarebbe  raggiunto un equilibrio stabile, quello descritto dalla funzione di distribuzione. A proposito scrive Bellone ne I nomi del tempo:

La questione era, semmai, quella di stabilire che lo stato «finale» era espresso da una specifica funzione di distribuzione. All’equilibrio, scriveva allora Maxwell, gli scambi di velocità su grandi numeri di particelle non dovevano introdurre perturbazioni nel sistema. E ciò doveva significare che, data una collisione tra due molecole grazie alla quale le due velocità iniziali OA e OB diventavano OA’ e OB’ , si verificava una collisione simmetrica grazie alla quale OA’ e OB’ diventavano OA e OB. In caso contrario si sarebbero prodotti eventi grazie ai quali, ad esempio, gli scambi tra OA e OA’ non si compensavano tra loro, così da far crescere il numero di molecole con velocità OA’ a scapito del numero di quelle con velocità OA. Era allora ragionevole credere che l’eccesso relativo a OA’ fosse in qualche modo compensato da congrui spostamenti su OA”, e poi su OA”’ e così via: ciascuna particella avrebbe avuto una sorta di tendenza a percorrere un ciclo OA, OA’, OA”, … , OA. Ma, commentava Maxwell,

è impossibile trovare una ragione per cui le velocità successive di una molecola debbano disporsi secondo questo ciclo, piuttosto che nell’ordine opposto. Pertanto, se lo scambio diretto tra OA e OA’ non è eguale, allora l’eguaglianza non può essere preservata da scambio su un ciclo. Di conseguenza lo scambio diretto tra OA e OA’ è eguale, e la distribuzione che abbiamo determinato è l’unica possibile.

L’indifferenza tra i due sensi del ciclo era un modo per negare l’instaurarsi di una freccia temporale lungo la quale far agire perturbazioni dell’equilibrio: nell’equilibrio non si manifestavano tendenze d’alcun genere.

    Ma su quest’ultima questione vi saranno importanti considerazioni che farà Boltzmann.

    Per ciò che concerne i calcoli di Maxwell in questa memoria (una quarantina di pagine), essi sono particolarmente complessi e non possono trovare qui posto. Tenterò di fornirne le conclusioni, avvertendo che quei calcoli di Maxwell si possono trovare, con qualche modifica utile alla comprensibilità, nel mio articolo “La distribuzione delle velocità molecolari di Maxwell“.

    Maxwell utilizzava il metodo, derivato ancora da considerazioni statistiche, del calcolo dei valori medi di differenti grandezze, tutte fornite come funzioni delle velocità di molecole di un certo tipo in un dato elemento di volume. Egli studiava poi le variazioni di tali medie quando si realizzano urti con molecole o dello stesso o di altro tipo. Ma egli teneva anche conto di come influiscono alle variazioni di tali medie altre forze esterne (come la gravità) e il passaggio delle molecole attraverso la superficie dell’elemento di volume. Utilizzando una forza repulsiva che va, come accennato, come l’inverso della quinta potenza della distanza tra molecole, trovava i risultati cercati per le grandezze macroscopiche dei gas (viscosità, coefficiente di diffusione, …). C’è solo da notare che ora, data la dinamica del moto delle molecole in un gas non più in linea retta ma in orbite complesse, perde significato il concetto di cammino libero medio che infatti Maxwell sostituisce con l’altro concetto, quello di modulo del tempo di rilassamento delle tensioni di un gas (utilizzando il quale si calcola il coefficiente di viscosità).

    Con questi strumenti in mano e con la legge di distribuzione delle velocità egli si calcolava a questo punto le varie proprietà dei gas che lo interessavano (effetti termici dovuti alla diffusione, calori specifici a pressione ed a volume costante, viscosità in gas isolati o in miscele, coefficienti di conduttività, conduzione del calore, raffreddamento per espansione, condizioni di equilibrio, …).

    Posso a questo punto presentare la funzione di distribuzione di Maxwell (quella ricavata nel 1860) nel modo in cui oggi è conosciuta. Si ha che il numero di molecole (o qualunque altra particella classica) d(Nvche abbiano una velocità v

compresa tra v e dv è data da:

    E questa espressione è valida ad una data temperatura, in corrispondenza della quale si ha una curva a campana analoga a quella che si ha nella teoria degli errori. Dice Maxwell che le velocità sono distribuite tra le particelle secondo la stessa legge con la quale gli errori sono distribuiti tra le osservazioni nella teoria del metodo dei minimi quadrati. Al crescere della temperatura del gas la curva si allarga sempre più, come è mostrato nella figura seguente (aumenta cioè il numero delle molecole che hanno una velocità maggiore insieme al fatto che le molecole del gas hanno un numero maggiore di velocità su cui distribuirsi)(4).

GLI ULTIMI LAVORI
 

        Il grande impegno profuso per scrivere la memoria che ho or ora discusso aveva affaticato Maxwell che, insieme alla moglie, si concesse un riposo in Italia, unico viaggio fatto da Maxwell fuori dalla Gran Bretagna. Diceva di voler imparare l’italiano per la voglia che aveva di discutere nella sua lingua con due scienziati italiani che egli apprezzava grandemente, i professori a Pisa, Carlo Matteucci (1811-1868) e Riccardo Felici (1819-1902), con i quali aveva avuto

Carlo Matteucci

Riccardo Felici

Ottaviano Fabrizio Mossotti

contatti proficui. Ma anche per avvicinarsi alla memoria dell’altro grande pisano Ottaviano Fabrizio Mossotti (1791-1863), scomparso prima di poter veder l’Unità d’Italia per la quale aveva combattuto, che a Cambridge fu negli anni seguenti definito, insieme a Faraday e Kelvin, uno degli anticipatori dello stesso Maxwell. Seguiva la strada che era molto frequentata fino a non molto tempo fa, quando l’Italia non era ancora distrutta da speculazioni selvagge. Prima di lui Faraday ma anche Goethe, Stendhal e molti altri. Era noto come Grand Tour. Era, appunto.

    Oltre alle tappe della vita di Maxwell alle quali ho già accennato vi sono altre sue opere importanti che debbono essere ricordate (egli fu fecondissimo e scrisse moltissime cose anche divulgative nelle più svariate riviste di prestigio e non).

    Nel 1876 viene pubblicato un suo libro, Matter and Motion, in cui Maxwell presenta le sue concezioni sulle leggi fondamentali della meccanica. In questo periodo il nostro si trovava a Cambridge e l’anno successivo sarà pubblicato il suo Theory of Heat, al quale ho già accennato. Gli ultimi suoi lavori sulla teoria cinetica seguiranno subito dopo e sono: On stresses in rarified gases arising from inequalities of temperature (Roy. Soc. Proc., 27, 1878) e On Boltzmann’s theorem on the average distribution of energy in a system of material point (Cambr. Phil. Soc. Trans. 1878). Nel primo Maxwell applicava i risultati ottenuti nel suo lavoro del 1867 al calcolo di altre proprietà dei gas trovando le formule degli sforzi e del flusso di calore ed anche alcune caratteristiche del comportamento gassoso (moti molecolari su superfici mobili) che saranno fondamentali nella comprensione della pressione di radiazione, del comportamento del radiometro scoperto da William Crookes (1832-1919) all’inizio degli anni Settanta e, più in generale, della dinamica dei gas rarefatti. Nel secondo articolo, Maxwell applicava una matematica più avanzata, quella sviluppata da Hamilton come  generalizzazione di quella introdotta da Lagrange, alla teoria cinetica dei gas. E’ d’interesse notare che, nel discutere l’importante teorema H(5) che  Boltzmann aveva ricavato nel 1872, Maxwell utilizzò concetti ancora poco diffusi ed ancora oggi fondamentali nella meccanica statistica, come lo spazio delle fasi, l’ipotesi ergodica, l’insieme statistico.

    Ai fini di questo articolo resta solo da discutere una delle sue elaborazioni forse più note di Maxwell, quella che va sotto il nome di diavoletto di Maxwell (con un nome felice che gli assegnò Kelvin ma che Maxwell non apprezzò).

    Maxwell aveva molto riflettuto sul Secondo Principio della Termodinamica e trovava in esso un qualcosa di fondamentalmente diverso dal resto delle teorie fisiche. Era un qualcosa che dipendeva da eventi probabilistici e statistici e non era stabilito in modo certo come altri fondamenti della fisica. Estendendo il principio all’Universo si scopre che la vita di esso è troppo breve per capire se vi sono possibilità di violazione in natura di tale Secondo Principio. Ma, rifletteva Maxwell, tale violazione è pensabile ed egli iniziò ad elaborare tale possibilità nel 1867 in una lettera al suo amico Tait e quindi in una lettera del 1870 all’altro suo amico John William Strutt divenuto Lord Rayleigh (1842-1919) per meriti scientifici:

Glenlair, 6 dicembre 1870

Caro Strutt,

se questo mondo fosse un sistema puramente dinamico, e se si rovescia con cura il moto di ogni sua particella a un istante dato, tutto accadrebbe alla rovescia sino a giungere al principio di ogni cosa: le gocce di pioggia si raccoglierebbero da sole al suolo e volerebbero verso le nubi, eccetera, e noi vedremmo gli amici passare dalla tomba alla culla sino a che noi stessi diverremmo il rovescio di chi è nato, quale che sia il significato di ciò. Parleremmo allora dell’impossibilità di conoscere il passato se non per mezzo di analogie tratte dal futuro, e così via. È dubbio che si possa eseguire un esperimento del genere, ma non penso che sia necessario compiere una tanta impresa per rovesciare la seconda legge della termodinamica.
Se c’è un qualcosa di vero nella teoria dinamica dei gas, le diverse molecole di un gas a temperatura uniforme si muovono con velocità molto differenti. Poniamo questo gas in un recipiente diviso in due scomparti A e B e facciamo nella parete divisoria un buco di così piccole dimensioni. che lasci passare solo una molecola alla volta. Forniamo poi un coperchio a chiusura per questo buco, e ingaggiamo un portinaio molto intelligente e straordinariamente rapido, dotato di occhi microscopici, e che pure sia ancora una creatura essenzialmente finita. Ogni volta che egli vede una molecola molto veloce dirigersi verso l’apertura da A verso B, egli la lascia passare, ma se la molecola è lenta egli le deve chiudere la porta. Permetterà inoltre alle molecole lente, ma non a quelle veloci di passare da B verso A. (Questo, se necessario, può anche essere fatto da un altro portinaio e a una seconda porta). Naturalmente deve essere molto svelto. perché le molecole cambiano continuamente di direzione e di velocità.
Operando in questo modo la temperatura di B può essere fatta crescere mentre quella di A viene fatta diminuire senza impiegare lavoro. ma solo per l’azione intelligente di un agente che si limita a guidare il sistema (come un deviatore su una linea ferroviaria con scambi perfetti che mandi un treno espresso lungo una linea e un treno merci lungo un’altra). E non vedo il motivo per cui non si potrebbe anche fare a meno dell’intelligenza e rendere tutta l’operazione automatica.
Morale. La seconda legge della termodinamica ha lo stesso grado di verità dell’affermazione che se getti in mare un bicchiere d’acqua non potrai ritirar fuori lo stesso bicchiere d’acqua …

   Lo stesso argomento con le stesse parole fu riportato poi da Maxwell nel suo Theory of Heat del 1877. In tale lavoro si aggiungevano alcune frasi:

Questo è solo uno degli esempi in cui delle conclusioni tratte dalla nostra esperienza su corpi composti da un immenso numero di molecole, possono risultare non applicabili ad osservazioni ed esperimenti più delicati che possiamo supporre effettuati da qualcuno capace di osservare e toccare le singole molecole.
Dovendo trattare di corpi materiali nel loro insieme e non potendo osservare le singole molecole, siamo costretti ad adottare quello che io ho descritto come il metodo statistico di calcolo, e abbandonare il metodo strettamente dinamico, in cui seguiamo con il calcolo ogni movimento. Sarebbe interessante chiedersi fino a che punto le idee circa la natura e i metodi della scienza derivati da esempi di investigazione scientifica in cui si segue il metodo dinamico, siano applicabili alla nostra reale conoscenza delle cose concrete, che, come abbiamo visto, è di natura essenzialmente statistica, perché nessuno ha ancora scoperto un qualche metodo pratico per tracciare il cammino di una molecola o per identificarla ad istanti successivi.

    E’ utile riportare, a questo proposito, il pensiero che Kelvin espresse in una Conferenza tenuta alla Royal Institution il 28 febbraio del 1879, dal titolo, Il demone selettore di Maxwell (Opere, pp. 578-580):

Il termine «demone», che in greco aveva originariamente il significato di essere soprannaturale, non è mai stato realmente usato per indicare una personificazione, reale o ideale, della malvagità.
Il «demone» di Clerk Maxwell è una creatura dell’immaginazione che ha certe capacità d’azione perfettamente definite, di carattere puramente meccanico, ed è stato inventato per aiutarci a comprendere la « Dissipazione dell’Energia» in natura.
Si tratta di un essere che è privo di qualità extranaturali, e che differisce dalle creature viventi reali unicamente per la sua estrema piccolezza ed agilità. Egli può, a piacer suo, bloccare, colpire, respingere o lasciar passare ogni singolo atomo della materia, moderando così il naturale svolgersi del suo movimento. Idealmente dotato di braccia, mani e dita – due mani e dieci dita sono sufficienti – egli può fare, nei confronti degli atomi, tutto ciò che un pianista è in grado di compiere con i tasti del pianoforte – anzi, può fare un qualcosa di più, e cioè spingere o tirare ciascun atomo in ogni direzione.
Egli non può creare od annullare l’energia; ma, proprio come un animale dotato di vita, egli può immagazzinare delle quantità limitate di energia, e riprodurle a piacer suo. Operando in modo selettivo sui singoli atomi egli può rovesciare la dissipazione naturale dell’energia, e può far sì che una metà di un recipiente chiuso e contenente dell’aria (o che una metà di una sbarra di ferro) divenga straordinariamente calda, mentre l’altra metà diviene fredda come il ghiaccio; può dirigere l’energia delle molecole mobili in un recipiente d’acqua in modo tale da lanciare tutta l’acqua sino ad una certa altezza e lasciarvela in uno stato di appropriato raffreddamento (1 grado Fahrenheit per una salita di 772 piedi); può «scegliere» le molecole in una soluzione di un sale, oppure in una miscela costituita da due gas, e produrre la concentrazione della soluzione in una certa porzione dell’acqua, lasciando acqua pura nella parte rimanente dello spazio occupato; oppure, nell’altro caso, concentrare i due gas in parti differenti del recipiente che contiene la miscela.
La «Dissipazione dell’Energia» è un risultato, nella natura, del fortuito incrociarsi degli atomi. La motività che viene perduta non è essenzialmente recuperabile se non mediante una capacità d’agire secondo modalità concernenti i singoli atomi; e questa modalità d’azione vertente sugli atomi al fine di reintegrare la loro motività è essenzialmente un processo di scelte, che consiste nell’indirizzare in un certo modo tutti gli atomi di un dato genere o classe, in un altro modo tutti quelli di un diverso genere o classe.
La classificazione in base alla quale il demone ideale deve scegliere gli atomi può essere correlata al carattere essenziale degli atomi in questione; per esempio, tutti gli atomi di idrogeno vanno lasciati liberi di muoversi verso sinistra attraverso una interfaccia ideale, oppure si può impedire che essi la attraversino da sinistra a destra; il criterio di scelta può anche dipendere dalla velocità che tocca a ciascun atomo quando esso si avvicina all’interfaccia: se tale velocità è maggiore di un certo valore prestabilito, allora l’atomo deve andare verso destra; se la velocità è inferiore a quel valore, allora l’atomo deve andare verso sinistra. Quest’ultimo criterio di scelta, nella misura in cui viene realizzato dal demone, porta alla diseguaglianza della temperatura, e impedisce la naturale diffusione del calore, il criterio precedente impedisce una naturale diffusione di materia. [ … ]
Il concetto di «demone selettore» è un concetto puramente meccanico, ed è di grande valore nelle scienze puramente fisiche. Non è stato inventato per aiutarci a trattare problemi relativi all’influenza della vita e della mente sui moti della materia, problemi che, per la loro stessa essenza, escono dai limiti della pura dinamica.

    Non entro ora nei dettagli dei problemi posti dal demone di Maxwell. Esso è stato criticato da moltissime parti e qualcuno (Bridgman) ha addirittura sostenuto che quel demone non conosce la fisica. Il discorso sarebbe davvero molto lungo e riguarderebbe l’immissione di energia nel sistema da parte dei movimenti del diavoletto energia anche indispensabile per accumulare tutta l’informazione (ed anche in essa vi è una gran quantità di termodinamica) che il diavoletto deve avere per poter decidere.

    Nel 1879, dopo aver scritto il libro The electric researches of the Hon. Henry Cavendish, Maxwell lasciava il lavoro per dedicarsi a sua moglie che stava male. Ma sarà egli stesso ad ammalarsi a Glenlair nell’estate di quell’anno. Sarà trasportato a Cambridge per impossibili cure ad un cancro allo stomaco. Ritornerà la sua salma a Glenlair per essere sepolta nella chiesetta di Parton. Aveva 48 anni.

Progetto per una statua di Maxwell davanti alla Royal Society di Edimburgo


NOTE

(1) E’ utile soffermarsi su alcuni approcci di Maxwell alla ricerca. Inizio da quanto egli premetteva alla sua prima memoria Sulle linee di forza di Faraday (1856). Questa memoria rappresenta un riconoscimento di difficoltà che un ricercatore incontra nel voler formalizzare la scienza elettrica. Questo ricercatore ha a disposizione, da una parte, la gran mole di risultati sperimentali che vengono continuamente sfornati e, dall’altra, la necessità di familiarizzarsi con una gran quantità di matematica molto complessa “la cui sola memorizzazione già di per sé interferisce materialmente con altre ricerche“. È quindi necessario, secondo Maxwell, trovare nuovi metodi di lavoro. Uno di questi è proprio quello delle analogie che Kelvin aveva introdotto (questo metodo permette di ottenere idee fisiche senza adottare teorie fisiche). Il fatto che colpiva Maxwell era, da una parte, la completa diversità di due fenomeni come il moto uniforme del calore in un mezzo omogeneo (dove sembra esservi un’azione a contatto da particella a particella) e l’azione a distanza e, dall’altra, l’identità formale delle leggi matematiche che descrivevano i due fenomeni: basta solo sostituire sorgente di calore con centro di attrazione, temperatura con potenziale, … Con questo apparato concettuale egli mostrò che alle concezioni di Faraday era possibile applicare gli stessi metodi matematici con i quali erano state trattate la teoria dell’elasticità e l’idrodinamica. (le equazioni differenziali alle derivate parziali). Ma ciò che fa un poco pensare è il fatto che una matematica nata per la descrizione di fenomeni punto per punto riesca a descrivere una azione a distanza (sembra che anche la matematica dia una mano al superamento delle differenze tra azioni a distanza ed a contatto).

Sul metodo delle analogie troviamo poi alcune annotazioni del giovane Maxwell. Egli, in un saggio dal titolo: Esistono nella natura vere analogie ? scrive:

Non vi è nulla di più importante per la corretta comprensione delle cose che la nozione di relazioni numeriche. Intanto c’è da dire che la nozione stessa di numero implica un atto preliminare di intelligenza. . Prima di iniziare a contare un numero qualunque di oggetti è necessario isolarlo dall’universo …, finché non abbiamo realizzato questo, l’universo dei sensi non è né uno né multiplo, ma solo indefinito …, i limiti evanescenti delle cose osservabili si sovrappongono tra loro, a meno che non li osserviamo con la lente della teoria …, in quanto allo spazio ed al tempo, ognuno dirà  che “è cosa già saputa e riconosciuta, che sono multiple modificazioni della nostra mente”, … ma “se ammettiamo che possiamo concepire differenze che siano indipendenti da una sequenza, e sequenze senza differenze, abbiamo conseguito ciò che è sufficiente per poter basare su ciò  la possibilità delle nozioni di spazio e tempo … Forse il chiamato “libro” della natura risulta impaginato in modo ordinato. Se è così non v’è dubbio che nelle pagine iniziali si troverà la spiegazione delle pagine seguenti e che i metodi esposti nei primi capitoli saranno dati come conosciuti e si useranno come esempi nelle parti più avanzate del corso. Ma se non ha le caratteristiche del “libro” e solo di una “rivista”, non c’è niente di più assurdo che supporre  che una parte può gettare alcuna luce su un’altra”. .. “Le  uniche leggi della materia sono quelle che la nostra mente deve fabbricare, e le uniche leggi della mente sono quelle che la materia determina”.

(2) Maxwell commentava ciò in una lettera a Stokes con le seguenti parole:

E’ veramente inaspettato che l’attrito debba essere altrettanto grande in un gas rarefatto che in uno denso. La ragione è che nel gas rarefatto il cammino libero medio è più grande in modo che l’azione dell’attrito si estende a distanze maggiori.

(3) Questa memoria è molto difficile da trovare, anche su internet vi è solo il meritorio sito francese, Gallica, che la pubblica ma pagina per pagina separatamente (per intenderci: su 40 pdf). Ho pensato di fare cosa utile fornendo io l’intera memoria in lingua inglese, On the Dynamical Theory of Gases, consultabile in un unico pdf.

(4) Lo stesso Maxwell spiegò in modo semplice i risultati da lui trovati in una conferenza che tenne il 18 febbraio del 1876 alla Società di Chimica, conferenza dal titolo On the Dynamical Evidence of the Molecular Constitution of Bodies che fu pubblicata su Nature (Vol. XI, 1876 e riportata in Sci. Pap. II, pp. 418-438). Egli scriveva:

Clausius, almeno nelle sue prime indagini, non tentò di determinare se le velocità di tutte le molecole di uno stesso gas sono uguali o se, nel caso ineguali, vi è una qualche legge secondo cui sono distribuite. Egli perciò, come prima ipotesi, sembra aver assunto che le velocità sono uguali. Ma è facile vedere che se avvengono scontri tra un gran numero di molecole, le loro velocità, anche se originariamente uguali, diventeranno disuguali, in quanto, eccetto che sotto condizioni che solo raramente possono essere soddisfatte, due molecole aventi velocità uguali prima del loro incontro acquisteranno velocità disuguali dopo lo scontro. Distribuendo le molecole in gruppi secondo le loro velocità, possiamo sostituire l’impossibile compito di seguire ogni singola molecola attraverso tutti i suoi scontri con quello di registrare l’aumento o la diminuzione del numero di molecole nei diversi gruppi.
Seguendo questo metodo, che è il solo disponibile sia sperimentalmente che matematicamente, passiamo dai metodi strettamente dinamici a quelli della statistica e della probabilità.
Quando avviene uno scontro tra due molecole, esse si trasferiscono da una coppia di gruppi ad un’altra, ma dal momento che moltissimi scontri hanno luogo, il numero che entra in ciascun gruppo è, in media, né più né meno che il numero che esce da esso durante lo stesso tempo. Quando il sistema ha raggiunto questo stato, i numeri in ciascun
gruppo devono essere distribuiti secondo qualche legge definita.
Appena mi familiarizzai con le indagini di Clausius tentai di scoprire questa legge. […] L’investigazione matematica, sebbene sia piuttosto difficile, come tutte le parti della scienza delle probabilità e della statistica, non sembra fallire. Dal lato fisico, comunque, porta a determinate conseguenze, alcune delle quali, essendo chiaramente vere, sembrano indicare che le ipotesi sono ben scelte, mentre altre sembrano essere così irreconciliabili con i risultati sperimentali noti che siamo costretti ad ammettere che qualcosa di essenziale alla formulazione completa della teoria fisica degli scontri molecolari deve esserci finora sfuggito.
Devo ora cercare di darvi qualche cenno dello stato presente di queste ricerche senza, comunque, entrare nella loro dimostrazione matematica. Devo cominciare con lo stabilire la legge generale della distribuzione delle velocità tra molecole dello stesso tipo. […]
Le velocità delle molecole hanno valori variabili tra zero e l’infinito, così che nel parlare della velocità media delle molecole dobbiamo definire ciò che intendiamo.
La quantità più utile ai fini del confronto e del calcolo è detta «velocità quadratica media». È quella velocità il cui quadrato è la media dei quadrati delle velocità di tutte le molecole. Questa è la velocità data sopra come calcolata dalle proprietà dei diversi gas. Una molecola moventesi con la velocità quadratica media ha un’energia cinetica uguale all’energia cinetica media di tutte le molecole nel mezzo, e se un’unica massa uguale a quella dell’intera quantità di gas si muovesse con questa velocità avrebbe la stessa energia cinetica che il gas realmente ha, solo che sarebbe in forma visibile e direttamente disponibile per compiere lavoro.
Se nello stesso recipiente vi sono differenti tipi di molecole, alcune di massa maggiore di altre, risulta da questa indagine che le loro velocità saranno distribuite in modo tale che l’energia cinetica media di una molecola sarà la stessa, tanto che la sua massa sia grande o piccola.
Abbiamo qui forse la più importante applicazione finora fatta dei metodi dinamici alla scienza chimica. Infatti, supponiamo di avere due gas nello stesso contenitore. La distribuzione finale dell’agitazione tra le molecole è tale che l’energia cinetica media di una singola molecola è la stessa in entrambi i gas. Questo stato finale è anche, come sappiamo, uno stato di uguale temperatura. Quindi la condizione affinché due gas abbiano la stessa temperatura è che l’energia cinetica media delle singole molecole sia la stessa nei due gas. Ora, abbiamo già mostrato che la pressione di un gas è due terzi dell’energia cinetica per unità di volume. Quindi se la pressione, così come la temperatura, sono le stesse nei due gas, l’energia cinetica per unità di volume è la stessa al pari dell’energia cinetica per molecola. Dev’esserci perciò lo stesso numero di molecole per unità di volume nei due gas. Questo risultato coincide con la legge dei volumi equivalenti stabilita da Gay Lussac. Questa legge, comunque, ha finora poggiato su un’evidenza puramente chimica, le masse relative delle molecole di differenti sostanze essendo state dedotte dalle proporzioni in cui le sostanze entrano in combinazione chimica. Essa è ora dimostrata in base a principi dinamici. La molecola è definita come quella piccola porzione della sostanza che si muove come un tutto durante il moto di agitazione. Questa è una definizione puramente dinamica, indipendente da qualunque esperimento di combinazione [ chimica].
 

(5)  Dico in breve solo il perché questo teorema si chiama H, riservandomi di parlarne diffusamente quando tratterò la biografia scientifica di Boltzmann.  Nel suo lavoro del 1872, quello in cui introdusse il teorema H, Boltzmann studiò il comportamento di una qualunque distribuzione di molecole monoatomiche (in funzione delle coordinate e delle velocità) e trovò come la distribuzione variava al passare del tempo in seguito agli urti. Per i suoi calcoli introdusse una funzione H (da cui il nome del suo teorema) che dipendeva dalla distribuzione e che egli dimostrò  poter solo diminuire o restare costante nel tempo (quest’ultima ipotesi verificandosi solo per una distribuzione di Maxwell).


BIBLIOGRAFIA

(1) AA. VV. – Scienziati e Tecnologi dalle origini al 1875 – EST Mondadori 1975

(2) Emilio Segrè – Personaggi e scoperte nella fisica classica – EST Mondadori 1983

(3) Ernst Peter Fisher – Aristotele, Einstein e gli altri – Raffaello Cortina 1997

(4) Articoli di Enrico Bellone su: Paolo Rossi (diretta da) – Storia della scienza – UTET 1988

(5) Enrico Bellone – I nomi del tempo – Bollati Boringhieri, 1989

(6) Enrico Bellone – Le leggi della termodinamica da Boyle a Boltzmann – Loescher 1978

(7) A. Baracca, S. Ruffo, A. Russo – Scienza e industria 1848 – 1915 – Laterza 1979

(8) Mario Gliozzi – Storia della fisica – in: N. Abbagnano (diretta da) – Storia delle Scienze, UTET 1965

(9) René Taton (diretta da) – Storia generale delle scienze – Casini 1965

(10) James Clerk Maxwell – Escritos científicos – Circulo de Lectores (Ciencia), Barcelona 1997

(11) J.G. Crowter – British Scientists of the Nineteenth Century – Hesperides Press, 1935

(12) E. Whittaker – A History of the Theories of Aether and Electricity – Nelson and Sons, 1953

(13) C. De Marzo – Maxwell e la fisica classica – Laterza 1978

(14) Peter H. Herman – Energia, forza, materia – il Mulino 1984

(15) Cesare Maffioli – Una strana scienza – Feltrinelli 1979

(16) Giulio Peruzzi – Maxwell – I grandi della scienza, Le Scienze 1998

(17) Maxwell (a Cura di Evandro Agazzi) – Opere – UTET, 1973



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