La scuola al servizio dei mercati

LA SCUOLA AL SERVIZIO DEI MERCATI

Roberto Renzetti

Marzo 2012

          Sono 15 anni che è in gestazione la svendita della scuola pubblica ai privati ed ora siamo vicini al parto. Iniziarono Berlinguer e Bassanini nel 1997 con una serie di leggi che iniziavano il concepimento e, attraverso le cure di De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini-Aprea-Brunetta, arriviamo al lieto evento con l’ostetrico Profumo.

          Si può drammatizzare a piacere, avendo sempre ragione, ma qui si tratta di capire se siamo di fronte ad un branco di incompetenti o a lucidi esecutori. Credo si possa dire che le due categorie lavorano unite allo stesso fine ma non è rivangando e allungando la lista del cahier de doleance che riusciamo a capire di più di quanto alcuni, tra cui io, denunciano ormai da oltre un decennio. Per cogliere il passaggio epocale che si sta tentando con la scuola occorre fare una sorta di rivoluzione copernicana e cercare il centro del sistema di riferimento abbandonando gli effetti periferici. E’ un percorso un poco lungo ma conviene seguirlo per andare al cuore dei problemi e tentare di capire chi manovra l’intera vicenda.

Alcune vicende internazionali

          Nel 1992 vi è un evento che è l’anno zero del mondo che attualmente viviamo. Il crollo dell’URSS apre intere praterie al mondo occidentale. Finalmente si può fare a meno delle ipocrite socialdemocrazie per sistemare l’intero pianeta ai voleri ed agli appetiti dei pochi potenti che lo abitano. L’impegno è gravosissimo e passa per l’impadronirsi delle riserve energetiche, l’accerchiamento delle nazioni riottose che devono essere rese inoffensive. Alcuni Paesi debbono essere trattati con cura (Cina, Russia, India, Brasile), altri in modo brutale (Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Iran). Questi ultimi Paesi comparivano già nei piani del 1998 di Zbigniew Brzezinsky, consigliere per la sicurezza nazionale prima di Kissinger poi di Jimmy Carter, una delle menti strategiche degli USA, piani descritti con chiarezza e precisione nel suo libro The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives (La grande scacchiera). Nel libro, con una durezza e spietatezza esemplari, Brzezinsky sostiene che “la capacità degli Stati Uniti di esercitare un’effettiva supremazia mondiale dipenderà dal modo con cui sapranno affrontare i complessi equilibri di forza nell’Eurasia: e la priorità deve essere quella di tenere sotto controllo l’ascesa di altre potenze regionali (predominanti e antagoniste) in modo che non minaccino la supremazia mondiale degli Stati Uniti“.

Per usare una terminologia che riecheggia l’epoca più brutale degli antichi imperi, tre sono i grandi imperativi della geo-strategia imperiale: impedire collusioni e mantenere tra i vassalli la dipendenza in termini di sicurezza, garantire la protezione e l’arrendevolezza dei tributari e impedire ai barbari di stringere alleanze”. Si tratta di recuperare le capacità produttive degli USA che nel dopoguerra rappresentavano il 50% del Pil mondiale ed ora meno del 25% e per far questo occorre anche ricondurre a ragione “la periferia occidentale” (è l’Europa per Brzezinsky) e poiché nel campo della competizione economica gli USA non sono in grado di dominare il mondo e di subordinare i propri stessi alleati/concorrenti come Unione Europea e Giappone occorre spostare la competizione sul terreno militare, dove la potenza Usa è ancora di gran lunga preponderante, usare cioè la guerra come strumento di egemonia economica e politica. Tutto questo risale a 15 anni fa ed ognuno di noi è giudice di cosa è accaduto in questi anni con una nuova arma da guerra, possibile dopo la messa a punto di molte altre strategie in campo economico, la guerra economica senza scampo.

          Si, ma questo cosa c’entra con la scuola ? Un poco di pazienza e ci arriviamo.

La società 20:80 (2)

Con la caduta dell’URSS, l’Impresa, il Mercato, la Finanza, l’Economia si sono fatte sempre più invadenti. Fino a 20 anni fa la mediazione della politica era efficace per arginare e per garantire un minimo di difesa dei cittadini. Da allora le lobby del settore hanno preteso di intervenire sempre più nelle scelte strategiche del Paese fino al punto da avere ormai preso completamente il timone delle grandi scelte nazionali e sovranazionali. La politica in senso stretto, nel contempo, risponde sempre meno ai cittadini nel loro complesso e sempre più alle richieste di tali lobbies. Le politiche sono ormai neoliberiste sempre più selvagge, a seconda dello schieramento politico. Le scelte di fondo, che riguardano molto da vicino la vita di tutti, vengono fatte in riunioni riservate evitando che siano dibattute dai cittadini interessati. E’ quindi dalle scelte di economisti, imprenditori, finanzieri e manager che occorre partire per capire cosa si progetta per questo secolo e, per quel che ora interessa, per la scuola.

           La scuola è una delle istituzioni alla base di una società democratica. Essa permette la crescita di tutti, senza distinzioni di sorta. Da quando si è capito che, attraverso la scuola, si possono realizzare grandi affari ed un possibile indottrinamento capillare, essa è nelle mire di appetiti neppure nascosti. Con operazione di lobbying, sia a livello di governi nazionali sia a livello di Commissione UE, si sta tentando di mettere le mani in questo settore, ancora in parte vergine in Italia, per farlo diventare una azienda che deve dare profitto.

Intanto una indagine OCSE (1998) stima in 2000 miliardi di dollari l’investimento per la scuola nel mondo ed in 1000 miliardi negli Stati membri (circa: 4 milioni di insegnanti, 80 milioni di studenti, 315 mila istituti e 5 mila università)(1). Un vero gigantesco affare che ha anche un eminente teorico liberista, Milton Friedman, che nel 1955 scriveva: “Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti.  A questo scopo serve un sistema statale di buoni scuola emessi all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle famiglie degli studenti, anche private e/o confessionali”. Ed in questa enunciazione manca programmaticamente la scuola statale pubblica che Friedman e tutti i liberisti aborriscono.

            Si può allora capire che l’efficienza di cui parla Friedman, il consigliere economico di Reagan, l’ispiratore della Tatcher, di Pinochet e di Berlusconi, è legata allo sfruttamento della scuola a fini di mercato. Ma è possibile pensare una cosa del genere? Soprattutto in Europa? Se si, dove possiamo rintracciarne i sintomi, le linee di tendenza, gli eventuali iniziali successi?

            Per capire di cosa si tratta occorre risalire a conferenze internazionali, ad accordi presi nel recente passato, a tutta una serie di documenti in gran parte sconosciuti agli addetti (e non) ai lavori o che non era utile diffondere.

           Al Fairmont Hotel di San Francisco, nel settembre 1995, si riunirono 500 persone, l’élite del mondo, il braintrust globale (Bush senior, M. Thatcher, G. Schultz, T. Turner, G. Rifkin – quello de La fine del lavoro piuttosto che de l’Economia  all’idrogeno -, D. Packard, J. Gage, Z. Brzezinski, …), sotto l’egida della Fondazione Gorbaciov, per “decidere delle prospettive del mondo nel nuovo millennio che porta ad una nuova civiltà”. Tutti furono d’accordo nel prefigurare un modello di società in cui solo il 20% dei cittadini del mondo sarebbe stata necessaria per mandarlo avanti. Il rimanente 80% sarebbe stata da considerarsi massa eccedente [“surplus people”: questa l’espressione utilizzata]. Si passava quindi dalle pur nere prospettive degli anni Ottanta, la società in cui 1/3 dei cittadini del mondo avrebbe avuto accesso al benessere, ad una società 1/5 con molta massa eccedente. Si prospettavano riforme selvagge ben anticipate da John Gage, dirigente di Sun Microsystem, “assumiamo i nostri operai con il computer, lavorano con il computer e li cacciamo con il computer!” (con lo scavalcamento completo di ogni legge a tutela del lavoro) e, naturalmente, progettando una società senza classe media, ci si poneva il problema di come farla accettare alla massa eccedente. Gage aggiungeva che in futuro si tratterà “to have lunch or be lunch”, di mangiare o essere mangiati. Fu Zbigniew Brzezinski che fornì una prima soluzione per tranquillizzare chi sarebbe stato mangiato: tittytainment, una parola coniata a proposito che sta per tits = tetta (nel senso di dispensatrice di latte) e entertainment = gioco, il  panem et circenses della Roma imperiale. Ed a quelli che obiettavano che il circo sarebbe stato insufficiente per chi chiedeva autostima, il moderatore, R. Roy, rispondeva che volontariato, associazioni sportive, … “potrebbero essere valorizzate con una modesta retribuzione per promuovere l’autostima di milioni di cittadini“. I numeri della massa eccedente, continuava Roy, non dovrebbero comunque preoccupare perché, a breve, vi sarà nei Paesi Occidentali, una nuova richiesta di lavori precedentemente rifiutati: pulizia strade, collaborazioni domestiche, … Intanto occorre iniziare a colpevolizzare questa massa: non si lavora abbastanza, si guadagna troppo, la produttività è bassa, le pensioni vengono erogate troppo presto, sono troppo elevate, si è malati per troppo tempo, troppo assenteismo, la maternità, viviamo al di sopra delle nostre possibilità, servono sacrifici, troppe vacanze, troppi servizi gratuiti, vi è troppo spreco, le società asiatiche della rinuncia devono essere prese ad esempio … Insomma, “ad un tratto la partecipazione di massa dei lavoratori alla produzione generale di beni e valori economici appare solo come concessione che nel periodo della guerra fredda doveva sottrarre il fondamento all’agitazione comunista”.  

            In questo scenario (e nell’uso ormai irresponsabile di ogni bene comune) la scuola diventa funzionale a quanto si va delineando.   Questa istituzione è un fondamentale veicolo per il consenso ed occorre che entri nel circuito del potere. Inoltre, la scuola così come è costa troppo ed è una spesa superflua per i fini che si vogliono conseguire. Occorre pensare una scuola che costi molto meno e che prepari dei cittadini a livello di buoni consumatori in questa società tecnologica; non è invece in alcun modo necessario che conoscano i meccanismi scientifico-tecnologici che sono dietro questi nomi. Per intenderci: occorre che si abbia la preparazione tecnologica sufficiente per essere consumatori ma non tale da essere creatori di scienza e tecnologia. Questo almeno a livello di impegno di scuola statale pubblica, di quella che è pagata dalla fiscalità generale. Vi è naturalmente necessità di cittadini preparati a livelli superiori, ma è del tutto inutile e soprattutto è un vero spreco di risorse pensare di formare tutti in modo che possano pensare all’accesso a queste superiori specializzazioni. Chi serve per tali fini verrà preparato in scuole speciali. La selezione per accedere a queste scuole la faranno: le stesse scuole private e le imprese. Non ha senso continuare a dissipare denaro nell’istruzione statale pubblica. Quest’ultima deve solo servire in quanto diventa produttiva. Il mercato è buono e gli interventi dello Stato sono cattivi: derergulation anziché controllo statale, liberalizzazione di commercio e capitali, privatizzazione di ogni cosa abbia il sapore del pubblico (Friedman). Questa è la scuola che sta nello sfondo della tre giorni di stringenti dibattiti (due minuti ad intervento) della Fondazione Gorbaciov.

L’Europa, che scalpitava per entrare nel gioco, si allinea

L’Europa delle imprese, dovendo recuperare molto in deregulation, rispetto agli USA, era da tempo in fibrillazione. Già nel 1989 l’European  Round Table of Industrialist(3), l’ERT (4), potentissima lobby di industriali europei, che ha da sempre grande influenza ed entratura presso la UE, aveva pubblicato un rapporto dal titolo: “Istruzione e competenza in Europa” in cui  si sosteneva che “l’istruzione e la formazione (…) sono (…) investimenti strategici vitali per la competitività europea e per  il futuro successo dell’impresa” e che  “l’insegnamento e la formazione [sono purtroppo] sempre considerati dai governi e dagli organi decisionali come un affare interno (…). L’industria ha soltanto una modestissima influenza sui programmi didattici che devono essere rinnovati insieme ai sistemi d’insegnamento“. Si aggiungeva poi che gli insegnanti  “hanno una comprensione insufficiente dell’ambiente economico, degli affari, della nozione di profitto … e non capiscono i bisogni dell’industria“.

            Nel  1992 la  UE, con il trattato di Maastricht (articolo 126), inizia ad avere competenze in materia d’Istruzione. Nel 1993, il Libro Bianco della UE (5) apre all’industria (“apertura dell’educazione al mondo del lavoro“) proponendo incentivi fiscali e legali al fine di far investire la stessa nell’Istruzione. La supposta sfida viene raccolta, in un gioco delle parti, dall’ERT che nel 1995(6) spinge gli industriali a “moltiplicare i partenariati tra scuole ed imprese” e sollecita il mondo politico in tal senso. L’ERT insiste nel denunciare che “nella gran parte d’Europa le scuole [sono] integrate in sistemi pubblici centralizzati, gestiti da una burocrazia che rallenta la loro evoluzione o le rende impermeabili alle domande di cambiamento provenienti dall’esterno“. E passa ad avanzare i suoi intendimenti: “la responsabilità della formazione deve, in definitiva, essere assunta dall’industria.  Sembra che nel mondo della scuola non si percepisca chiaramente quale sia il profilo dei collaboratori di cui l’industria ha bisogno. L’istruzione deve essere considerata come un servizio reso al mondo economico.  I governi nazionali dovrebbero vedere l’istruzione  come un processo esteso dalla culla fino alla tomba. Istruzione significa apprendere, non ricevere un insegnamento [ERT, 1995]“. “Non abbiamo tempo da perdere. (…) Ci appelliamo ai governi perché diano all’educazione un’alta priorità, perché invitino l’industria al tavolo di discussione sulle materie educative, e perché rivoluzionino i metodi d’insegnamento con la tecnologia [ERT, 1997 (7)]”.

            Quanto sostenuto dall’ERT 1995 viene immediatamente ripreso dal Libro Bianco della UE 1995 (8) in cui si fa esplicito riferimento all’ERT: “Il rapporto della Tavola Rotonda Europea degli industriali ha insistito sulla necessità di una formazione continua polivalente (…) incitando ad imparare ad imparare nel corso di tutta la vita [lifelong learning][e quindi] una iniziazione generalizzata alle tecnologie dell’informazione è diventata una necessità“.

Ad evitare facili illusioni e fraintendimenti era l’OCSE che, nel 1996(9), facendo riferimento ad una tavola rotonda svoltasi negli USA (Filadelfia) nel febbraio dello stesso anno (Adult Learning and Technology in Oecd Countries, Ocse, Parigi, 1996),  spiegava che “l’apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere assicurato da ‘prestatori di servizi educativi’ (…). La tecnologia crea un mercato mondiale nel settore della formazione” e, mediante TV ed Internet, si possono produrre programmi da una parte e proporli in tutto il mondo (educazione a distanza o e-learning: si sente qui la presenza nell’ERT di vari colossi informatici europei, Philips, Siemens, Ericsson, Bertelsmann, … ed anche delle telefonie privatizzate che potranno incrementare a piacere i loro traffici). Ad evitare possibili obiezioni su programmi didattici che travalichino le frontiere interferendo sui sistemi scolastici nazionali, la Commissione UE si preoccupa di affermare che l’insegnamento privato a distanza costituisce un servizio e come tale rientra nell’articolo 59 del Trattato CEE(10); sarà la UE a rilasciare una Tessera personale delle competenze [il portfolio, ndr. Vedi: The European Skill Accreditation System] che potrà essere racchiusa in un CD da immettere nel computer nel momento della richiesta di lavoro. In  tal modo si scavalcano le normative ed i titoli di studio dei singoli Paesi. In ogni caso la stessa OCSE avvertiva che era necessario “un maggiore impegno da parte  degli studenti nel finanziamento di gran parte dei costi della propria istruzione(11). Gli insegnanti residuali (sic!), che occorrerà portarsi dietro fino alla loro estinzione, si occuperanno della popolazione non redditizia. Ed ecco che si può intravedere la stessa conclusione alla quale erano arrivati a San Francisco: anche qui si scoprono masse eccedenti. Ed un plauso a questo Libro Bianco viene dagli USA. M. Murphy, della Northern Illinois University, osserva che “la decisione politica di incoraggiare l’apprendistato a vita è destinata a fornire alle grandi imprese europee l’infrastruttura educativa essenziale al mantenimento dei loro tassi di profitto(12). Viene infatti a realizzarsi uno degli scenari che la stessa Commissione Europea aveva delineato tra il 1990(13) ed il 1991(14): un grande mercato degli strumenti didattici offerti sul mercato dell’insegnamento permanente secondo le ordinarie leggi della domanda e dell’offerta. In tale mercato i corsi sono i prodotti e gli studenti sono i clienti. “Un’università aperta, si dice, è un’impresa industriale e l’insegnamento superiore a distanza è una nuova industria.  Quest’impresa deve vendere i suoi prodotti sul mercato dell’insegnamento permanente“.

          Scrive Susan George del Transnational Institute di Amsterdam: “E’ scritto, fatale, ineluttabile che la politica della UE si ispiri esclusivamente alla dottrina neoliberista? Che la sua strategia economica si limiti a promuovere la competitività mondiale, la deregolamentazione, il libero scambio, il tuttomercato ? Che l’ambito sociale e l’ambiente siano disprezzati e trascurati, relegati allo stretto necessario? No, tutto ciò non è né scritto né fatale, né ineluttabile: bensì pensato, organizzato e finanziato dalle società transnazionali più potenti d’Europa”(15).

            Purtroppo la brava Susan George sbagliava. Le cose sono andate così avanti, rispetto a quando diceva queste cose (1998), che oggi, ancora a 15 anni di distanza, misuriamo un’Europa completamente dipendente dai mercati internazionali, dalle banche e dalle fondazioni, un’Europa in cui è sparito ogni rapporto tra politici e cittadini, in cui la democrazia non esiste più. I colpi violenti di Delors (Rapporto UNESCO 1996)(16), di Cresson (Libro Bianco UE 1996)(17), di Lamy (Memorandum della UE del 30/10 del  2000)(18), Lisbona 2000(19), Bologna 1999(20), … hanno assecondato in tempi rapidi i voleri dell’ERT intervenendo sulla scuola nell’opera di privatizzazione. E come si privatizza la scuola? Così come era, l’impresa sembrava impossibile. Nessun privato si accolla tanti insegnanti utili per un’istruzione di qualità ma non per i profitti. E chi si accolla i ragazzi con handicap che richiedono insegnanti di sostegno (le scuole confessionali, ad esempio, già respingono l’handicap) ? Chi edifici, laboratori, trasporto, preparazione docenti (quest’ultima cosa è oggi altra fonte di guadagno per potentati collaterali al potere politico e sindacale)? Nessuno fa questo, di modo che l’affare sfuma ed i tanti soldini che si tirano fuori dalla scuola, ad esempio negli USA, da noi niente!

Ma anche se ci fosse stato qualcuno che avesse voluto acquistare in blocco tale sommo bene non avrebbe rischiato di fare lui l’operazione finalizzata al profitto perché sarebbe stato chiaro che si veniva meno in servizi e qualità con proteste popolari non prevedibili. Berlinguer, Bassanini e i pedagogisti buoni per ogni stagione  (pagati con innumerevoli inutili cattedre, un vero spreco) hanno risolto il problema, allineandosi subito ai voleri dei potentati economici, con documenti che ricalcano quasi pedissequamente quelli di organizzazioni sovranazionali come OCSE, WTO, IMF (come vedremo), con le seguenti operazioni. Primo: destrutturare, cioè togliere ogni rigidità al sistema e renderlo liquido. In tale situazione, poiché si aveva a che fare con giovani fanciulli e non con idrocarburi o caselli autostradali insensibili a scelte politiche, gli utenti giovani della scuola hanno iniziato a credere che si potesse giocare a scuola così come teorizzavano i pedagogisti di regime al servizio del mercato (Vertecchi, Maragliano, Tagliagambe, Bertagna, Ribolzi, Ceruti & C) che volevano una scuola che non sapesse di scuola, che inventavano l’autonomia scolastica (ogni scuola fa per sé ed è in concorrenza con l’altra… poi c’è il premio), che caparbiamente insistevano su di essa con i POF, che introducevano i percorsi educativi per gli studenti (ognuno si fa il suo curriculum e studia ciò che vuole con la strana coincidenza che discipline dure non sono mai presenti in tali percorsi) e che se ne fregavano dell’impegno e dell’indispensabile fatica. Scriveva Gramsci [Volume III dei Quaderni dal Carcere]:

“Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola “disinteressata” (non immediatamente interessata) e “formativa” o di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di signori e di donne che non devono pensare a prepararsi un avvenire professionale e di diffondere sempre più le scuole professionali specializzate in cui il destino dell’allievo e la sua futura attività sono predeterminati”.
Ed aggiungeva:

“Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. … Occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato”.

E gioca oggi e gioca domani, con i genitori di tali sfortunati fanciulli (formatisi negli anni del rampantismo craxiano) che hanno creduto di partecipare al gioco facendo i sindacalisti dei figli, la scuola si è completamente dequalificata tanto da dare risultati completamente insoddisfacenti (e non mi riferisco solo alle indagini internazionali ma a quello, ad esempio, che lamentavano sempre con maggior forza gli insegnanti del primo anno di università, quella indegna del 3 + 2: i ragazzi non sanno leggere, scrivere e far di conto; e neppure capire concetti elementari). Intanto a lato della destrutturazione suddetta avanzava subdolamente una scuola direttamente funzionale all’impresa. Pochi se ne sono accorti ma, nella Sintesi Maragliano del 1997, documento ufficiale che annunciava le riforme Bassanini e Berlinguer, si dice esplicitamente con brutale chiarezza ciò che oggi è patrimonio comune degli estremisti del liberismo al potere:

“[…] Far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova cultura del lavoro significa investire su due fronti: l’orientamento e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il superamento della ‘cultura del post’ a vantaggio di una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la preparazione all’autoimprenditorialità. Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano all’impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme dell’apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell’educazione permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo.”

Per far questo, che è il vero fine delle riforme che si rincorrono, non serve sprecarsi tanto con una massa eccedente di insegnanti per di più preparati e, per quanto pagati miseramente, pur sempre costosi. Bastano insegnanti raccogliticci chiamati direttamente dalla scuola e pagati ancora peggio solo quando usati. E’ inutile reclamare le scuole di Gentile, Lombardo Radice, Gramsci, … bastano le scuole di Luigi Berlinguer, quelle che come dice Maragliano non sanno di scuola ed insegnano con figure, filmati, dibattiti, molti dibattiti, internet e, come no !, videogiochi.

“Maggiore attenzione, nell’ambito della didattica, dovrebbe essere data alla utilizzazione di una pluralità di strumenti educativi, quali:
testi di buona divulgazione, per tutti gli ambiti disciplinari, scritti con abilità narrativa e capaci di attrarre l’interesse degli allievi;

…. pratiche di gioco, e non solo a livello elementare. Il vero gioco e’ vivace, lieve, ma anche appassionato, e quindi serio. L’esigenza di alleggerire il carico culturale e materiale della nostra scuola va inteso anche in questo senso: vale a dire come invito a proporre, tutte le volte che ciò sia possibile, contesti didattici all’interno dei quali apprendere sia esperienza piacevole e gratificante;
impiego delle macchine della conoscenza e dell’elaborazione di informazioni e problemi. In particolare, gli strumenti multimediali sono estremamente motivanti per bambini e ragazzi, perché non hanno affatto odore di scuola, danno loro il senso di disporre di risorse per il saper fare e consentono di non disperdere, ma valorizzare, in un quadro intellettuale più strutturato, forme di intelligenza intuitiva, empirica, immaginativa, assai diffuse tra i giovani.”
[dalla Sintesi Maragliano, http://www.fisicamente.net/SCUOLA/index-430.htm]  

Negli USA intanto …

          La situazione scolastica americana resta sempre il riferimento della nostra impresa. E’ lì che sono già avanti nella destrutturazione della scuola statale pubblica (in realtà lo sono da oltre 200 anni). E’ lì dove le eccellenze provengono da scuole private che costano anche 40 mila dollari l’anno, a fronte di una scuola pubblica (che serve 50 milioni di alunni) assolutamente dequalificata (insegnanti privi di titoli specifici, mancanza di essi, classi superaffollate, mancanza di fondi, diversità di curricoli da Stato a Stato, da scuola a scuola, discipline assenti dai curricoli, disomogeneità nel richiedere un esame finale, meno del 3% degli alunni con una preparazione che permetta di accedere all’Università e comunque di resistere per più di due anni, assenteismo, abbandoni, metal detector, apartheid di fatto, bullismo, …) ed individuata, senza soluzioni però, come emergenza nazionale già da Clinton(21). Ma gli imprenditori americani vogliono di più.  Non contenti degli “cheques education” [educazione attraverso buoni scuola, ndr] che proprio da quell’anno 1996 avevano iniziato a togliere fondi alla scuola pubblica per indirizzarli alla privata, sulla spinta suggerita da (attenzione !) Lehman Brothers di iniziare ad investire nel settore molto promettente della scuola (oltre che della sanità, che resta comunque l’Eldorado), si riuniscono a Nashville (1997)(22) per delineare una strategia di intervento che prevede intanto un “accordo sulle misure suscettibili di rendere l’industria [sic] scolastica redditizia: ridurre il numero degli insegnanti aumentando il numero degli alunni per classe; ridurre la massa salariale degli insegnanti arruolando un maggior numero di giovani e di non abilitati; ridurre o sopprimere gli organismi che rilasciano diplomi di insegnamento ed affidare la valutazione delle competenze degli insegnanti ai manager  delle scuole” [si sta dicendo che si può assumere personale insegnante indipendentemente da una sua qualificazione oggettiva, ndr]. Si tratta solo di rendere inoffensivi i sindacati degli insegnanti (AFT, fortissimo sindacato corporativo) e pare che ciò si farà, visto il vento politico favorevole che si respira negli USA. Tutto questo viene giustificato con la necessità di ridurre i costi della globalizzazione che imporrebbero risparmi anche legati alla riduzione delle tasse [sic!]. Anche negli USA si punta all’educazione mediante TV ed Internet ed in tal senso hanno esempi di ottima resa economica. Emblematico è il caso della rete TV Channel One.

          I fondi che lo Stato fornisce alle scuole USA sono del tutto insufficienti. Occorre arrangiarsi, soprattutto se si vuole restare al passo in infotecnologie. Circa 12 mila scuole per oltre 8 milioni di studenti tra USA e Canada hanno stretto un accordo con Channel One secondo il quale la rete Tv fornisce alla scuola materiale audiovisivo, televisori e video (solo per opportune dimensioni, si ottiene anche il computer), in cambio la scuola si impegna a far vedere agli studenti la programmazione quotidiana di 20 minuti, dedicata alle scuole, di Channel One (reportage, sport, meteo e due minuti di pubblicità). Questi 2 minuti sono ambitissimi dalle aziende che pagano 200 mila dollari ogni spot di 30 secondi (il doppio della media del costo di uno spot). I danni di tutto questo non nascono certo da questa pubblicità che fa vendere scarpe, hamburger e caramelle ma dal fatto che quella programmazione ha assunto lo status di programma educativo moderno e disinvolto, da contrapporre agli obsoleti libri degli insegnanti(23). Si immagini ora quali paradisi si aprirebbero dalle parti nostre …

          Ma Channel One ha fatto di più: ha reclutato insegnanti perché spingessero gli alunni a progettare campagne pubblicitarie per marchi del tipo: Starburst, Colorado Springs, Burger King.  Le migliori campagne, nate a spese della scuola pubblica, sono premiate ed utilizzate.

          Sull’onda di esperienze come queste, che si vanno diffondendo soprattutto in USA ed Australia (questo Paese già oggi esporta 7 miliardi di dollari di educazione a distanza), proprio questi due Paesi spingono da anni affinché la scuola (oltre che la sanità e l’ambiente) entri tra le merci previste per il libero scambio dal World Trade Organisation (WTO) e dal General Agreement of Trade in  Service (GATS). Ed anche la Banca Mondiale chiedeva di sbrigarsi nell’integrare la scuola alle strategie globali dei Paesi(24). In tal senso è attivissimo Robert Zoellick (dal 2007 Presidente della Banca Mondiale), rappresentante dell’ U.S. Trade, l’Agenzia USA per il Commercio Estero, che è in sintonia con  il Commissario europeo per il commercio, Pascal Lamy. Questi tenne un discorso all’International Council for International Business di New York nel quale sostenne: “Se vogliamo migliorare il nostro accesso ai mercati esteri, allora non possiamo mettere al riparo i nostri settori protetti. Dobbiamo essere pronti a farne materia di negoziato se vogliamo conseguire un accordo globale (big deal, ndr). Per gli Stati Uniti, come per l’UE, questo significherà dare un qualche dolore a qualche settore, ma realizzare guadagni in molti altri, e credo che noi sappiamo, da una parte e dall’altra, che bisognerà acconsentire a dei sacrifici” e cioè cedere sui pubblici servizi (tra cui la scuola)(25). Lamy parlava dopo Seattle  e dopo che l’OCSE aveva resistito ad iniziative liberiste selvagge (AMI) ed avvertiva che si dovevano trarre degli insegnamenti da quelle sconfitte. Tali insegnamenti erano solo relativi alla maggiore discrezione se non al segreto quando si trattavano certi argomenti. Come aggirare le normative nazionali nel caso vi fosse resistenza? Ricatalogando le voci. Così che, ad esempio, i dati dei pazienti o degli studenti non rientrerà più alla voce sanità o scuola ma a quella di dati informatici; la gestione delle scuole, degli ospedali, delle pensioni sotto la voce management(26).  Recentemente però, a precise richieste, Lamy ha sempre fornito risposte che negavano l’inserimento della scuola nell’elenco delle merci, anche se l’argomento è già arrivato alla discussione (31 marzo 2003) in seno alla Commissione UE (era segretamente all’ordine del giorno) ed è recentissimo l’argomento capzioso che porterebbe al colpo definitivo sulla scuola pubblica: poiché essa è un servizio per il quale i cittadini pagano allora, secondo le ferree regole del WTO, non può ricevere aiuti dallo Stato. E’ elementare comprendere che ciò significherebbe la fine della scuola statale. E, sgomberato il campo da questo ultimo orpello (l’aggettivo statale), si potrebbe dispiegare in ogni sua forma l’ingresso dei privati in una entità ormai solo privata. Sta di fatto che la UE, nel vertice di Lisbona del 2000(27), ha deciso di occuparsi in prima persona delle scuole nazionali, con il solito slogan di scuola per tutta la vita, affermando

La sorte dell’insegnamento non è oggetto di un intendimento unanime. Deve anch’esso essere oggetto di una privatizzazione? In quale misura? Secondo quali modalità? Non si tratta pertanto di stabilire se la concorrenza tra gli stabilimenti scolari sia auspicabile o pericolosa, ma di analizzare se essa è concretamente realizzabile, sapendo che in certi paesi essa è stata chiaramente inscritta nelle politiche educative. (…) I sistemi di insegnamento primario e secondario inferiore sono organizzati secondo la logica dell’economia di mercato? Concretamente, si tratta di esaminare se le condizioni di messa in opera di una concorrenza perfetta tra stabilimenti scolari sono presenti nei paesi toccati dallo studio“.

            Ritornando in USA, molte aziende si stanno dirigendo verso la conquista del mercato della scuola sull’onda di Channel One. Una delle più note è la Edison School Project che nasce proprio dalla stessa persona, Chris Whittle, che aveva fondato Channel One, e che è normalmente quotata in borsa dal novembre 1999. La società già nel 2000 aveva raccolto fondi per 120 milioni di dollari, disponeva di un investimento privato pari a 230 milioni di dollari, gestiva a livello nazionale 79 scuole, con 38 mila studenti, in 36 città distribuite in 16 stati, occupava quasi 4 mila dipendenti tra insegnanti e personale amministrativo. In Borsa capitalizzava circa 700 milioni di dollari, cioè 1.400 miliardi di vecchie lire. Vi sono poi: la Honeywell, l’American Bankers e la Walt Disney. Riguardo proprio alla Disney, lanciata sul mercato educativo ed esaltata dal suo Presidente, Eisner, come industria di intrattenimento che esprime ogni libertà di scelte individuali che la gente cerca, il suo critico B. R. Barber, direttore del Walt Whitman Center della Rutgers University del New Jersey, afferma semplicemente ciò che è i nostri pedagogisti non hanno capito (o l’hanno capito, ma …) e cioè che la Disney rappresenta la colonizzazione della cultura globale  ed “il suo successo  poggia sull’impari gara tra difficile e facile,  lento e veloce, complesso e semplice. Il difficile, il lento ed il complesso sono propri delle creazioni culturali che suscitano la nostra ammirazione, il facile, il veloce ed il semplice corrispondono alla nostra indifferenza, spossatezza e pigrizia.  E Disney si appella al facile, al veloce, al semplice.”

          Sugli effetti di tali politiche che prevedono tra l’altro un ruolo crescente per la TV, particolarmente sui bambini e sugli adolescenti, vi è una interessante indagine del CENSIS(28), anche in relazione al fatto che in Italia sono già partiti progetti di salesiani per l’educazione a distanza (EDULIFE)(29).

          Resta da aggiungere che la Commissione UE ha iniziato ad essere operativa nell’e-Learning  con il progetto del 2001 “Pensare all’istruzione di domani” (questa volta organizzato dalla DG Istruzione e Cultura) per la realizzazione di studi ed elaborazione di strategie innovative per il miglioramento dei sistemi di formazione e per la generalizzazione delle buone prassi [?, ndr], ad esempio tramite centri di collegamento, e per la ricerca di soluzioni che coinvolgano le imprese e il mondo dell’istruzione per migliorare la definizione delle competenze richieste e l’accesso alla formazione. La prima importante realizzazione sostenuta dalla Commissione UE è il progetto Career Space, consorzio che riunisce BT, Cisco Systems, IBM Europe, Intel, Microsoft Europe, Nokia, Nortel Networks, Philips Semiconductors, Siemens AG, Telefonica SA, Thales, EICTA (European ICT Industry Association), CEN/ISSS et EUREL (Convention of National Societies of Electrical Engineers of Europe)(30).

Più recentemente (5 dicembre 2003) il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno approvato la Decisione N. 2318/2003/CE 5 riguardante la messa in marcia di un programma pluriennale (2004-2006) per l’effettiva integrazione delletecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC) nei sistemi di istruzione e formazione in tutta  Europa (programma e-Learning)(31).

Il ruolo dell’OCSE

Vediamo innanzitutto cos’è l’OCSE (o OCDE):

            L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) è stata istituita con la Convenzione di Parigi firmata il 14dicembre 1960 ed entrata in vigore il 30 settembre 1961. Attualmente aderiscono all’OCSE una trentina di Paesi industrializzati, che rappresentano i due terzi dell’intera produzione mondiale di beni e servizi ed i tre quinti delle esportazioni complessive. La possibilità di diventare membri dell’OCSE è condizionata all’impegno da parte dello Stato richiedente di avere un’economia di mercato ed una democrazia di tipo pluralistico.

            In base al proprio statuto, l’OCSE si occupa delle più rilevanti questioni in campo economico e sociale nell’ottica di:

  • favorire lo sviluppo economico e la crescita dell’occupazione;
  • contribuire ad un sano sviluppo nei Paesi membri e non membri, fornendo aiuti e assistenza tecnica ai Paesi in via di sviluppo;
  • favorire l’espansione del commercio mondiale su base multilaterale e non discriminatoria, cercando di eliminare o, comunque, di ridurre gli ostacoli di qualsiasi tipo agli scambi internazionali.

            L’attività dell’OCSE si articola su diversi piani:

  • raccolta di dati;
  • elaborazione di analisi e studi;
  • predisposizione di un foro intergovernativo nel quale i rappresentanti dei governi dei Paesi membri possano discutere, programmare e sviluppare le politiche economiche e sociali;
  • definizione di principi comuni per un più efficace coordinamento delle politiche nazionali ed internazionali;
  • adozione di strumenti normativi internazionali come decisioni, accordi, raccomandazioni, anche con effetti vincolanti per i Paesi Membri (ad esempio, i Codici per la liberalizzazione dei flussi di capitali e di servizi o gli Accordi per contrastare la corruzione internazionale).

L’OCSE è anche l’agenzia che promuove le indagini comparative sulla scuola dei vari Paesi membri. L’interesse per la scuola di una agenzia per lo sviluppo economico è tutto un programma finalizzato ad armonizzare i sistemi d’istruzione con un mondo globalizzato. E’ d’interesse iniziare con il vedere cosa  raccomandava l’OCSE nel 1967, in una non casuale identità di vedute con Bassanini, Berlinguer e liberisti comunisti, convertiti come primi della classe sulla via del potere.

Alcuni dati possono essere utili a questo punto perché non si pensi che i governi che dirigono l’economia globale vogliano solo costruire un sistema d’istruzione più efficiente. L’altra mira è chiara e deriva dalla definizione stessa di società del capitale. I vari sistemi di potere, nei decenni, sono passati da una benevolenza caritatevole verso l’istruzione ad una lamentela continua sui costi dell’apparato che presiede l’istruzione medesima. Il fatto è che l’istruzione, da un certo punto in poi, si definisce oggi come l’unico momento intrinsecamente e potenzialmente antagonista agli stessi sistemi di potere. Inoltre, ad un benessere diffuso in un numero sufficiente di persone, deve poter corrispondere a questa istruzione, un ritorno economico importante. L’istruzione è quindi oggi un potenziale oggetto di mercato con un valore enorme in tutti i Paesi del mondo.

Una stima approssimata per difetto fornita da un documento ufficiale dell’OCSE, informa che il giro di affari sarebbe pari a 30.000 miliardi di dollari, ossia l’equivalente del 3% del totale dei servizi dei Paesi industrializzati.
I dati parlano chiaro; nel mondo 900 milioni di persone sono analfabete (il 70% donne), circa 120 milioni di bambini (per la maggior parte bambine) non hanno accesso alla scuola, mentre 150 milioni di bambini che cominciano la scuola di base abbandonano gli studi dopo il quarto anno.

A questi dati vanno aggiunti gli oltre 250 milioni di bambini lavoratori (tra i quali vi sono anche i bambini sokldato), oltre al fatto che i 2/3 dei governi del mondo investono meno del 6% del PIL per l’istruzione.

Questo quadro si realizza in un contesto di aumento delle percentuali relative alla scolarizzazione di base (nei paesi poveri il tasso di iscrizioni scolastiche è passato dal 50% del 1970 all’ 82% del 1995 e le persone analfabete sono diminuite dal 57% del 1970 a meno del 30% del 1995), ma contestualmente anche di aumento delle disuguaglianze di accesso ai saperi che colpiscono in primo luogo i settori più fragili della popolazione.

Su scala planetaria assistiamo ad una radicale messa in discussione della  dimensione fondamentale culturale ed umana dei processi educativi, con tentativi sempre più pressanti di far retrocedere lo Stato lasciando spazio all’insegnamento privato, il negoziato GATS (vedi oltre, ndr) è solo l’ultimo tentativo, il più pericoloso, in ordine temporale, per la completa privatizzazione della scuola.

Gli appetiti della privatizzazione sono concentrati soprattutto sull’istruzione superiore per due motivi precisi:

  • il numero dei giovani che seguiranno gli studi universitari raddoppierà nei prossimi vent’anni;
  • in questo segmento dell’istruzione è possibile esercitare una forte egemonia culturale.

In sostanza il GATS impegna i membri del WTO alla liberalizzazione, non solo  attraverso l’eliminazione delle barriere al commercio e agli investimenti nei servizi, ma anche incoraggiando la privatizzazione (determinando le modalità di accesso al mercato) riducendo i servizi pubblici e ampliando la deregolamentazione.
L’introduzione dell’educazione nel negoziato GATS conduce allo smantellamento dei sistemi pubblici di istruzione e al rafforzamento delle tendenze alla privatizzazione.
In teoria il GATS esclude esplicitamente dal suo mandato (art. 1.3) “i servizi forniti nell’esercizio dei poteri governativi, servizi, cioè che non sono forniti su base commerciale o in concorrenza con uno o più fornitori”. A rigor di logica anche scuola e sanità sono requisiti del potere pubblico, ma in pratica, nella maggior parte dei paesi, sono già oggetto di liberalizzazione e di concorrenza tra pubblico e privato.

Cerchiamo ora di avvicinarci sempre più all’agenzia OCSE, che lavora per il GATS, per il WTO e per la Banca Mondiale. Negli scopi dell’OCSE vi è la promozione del commercio e, come accennato, per i propri scopi ha bisogno di creare nei vari Paesi industrializzati del mondo il migliore ed uniforme clima perché vi possano operare le varie multinazionali, operare, anch’esse, in clima di flessibilità che dovrebbe loro permettere l’abbandono di un Paese quando esso non sia più vantaggioso economicamente ed il trasferimento in un altro equivalente per strutture e servizi (tra cui primeggia la scuola). E’ ciò che oggi conosciamo come delocalizzazioni.

OCSE/PISA, IEA/PIRLS,  IEA/TIMSS, INVALSI

Possiamo ora discutere dell’INVALSI, Istituto Nazionale per la VALutazione del Sistema d’Istruzione. Esso nasce per produrre in Italia le famigerate prove PISA-OCSE. Riprendo dall’ articolo di Chiara Croce, Finalità e struttura  del programma OCSE-PISA, http://www.treccani.it/site/Scuola/Osservatorio/pisa/croce.htm

“PISA (Programme for International Student Assessment) è l’acronimo che definisce un programma di valutazione degli apprendimenti degli studenti quindicenni lanciato dall’OCSE nel 1997.

In quanto ‘programma’, PISA è qualcosa di più e di diverso rispetto alle tante indagini internazionali attraverso le quali i Paesi hanno finora misurato e confrontato gli esiti dei loro sistemi educativi in determinati ambiti disciplinari e in diversi momenti del percorso formativo. PISA, infatti, è lo strumento di cui i Paesi OCSE si sono dotati per acquisire, a scadenze regolari, dati affidabili su cui calcolare gli indicatori di risultato degli studenti.

La produzione degli indicatori internazionali dell’istruzione è stata avviata dall’OCSE alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, attraverso il progetto INES (Indicators of Education Systems), quando l’esigenza di fronteggiare i gravi problemi della recessione economica e della disoccupazione spinse i Paesi più sviluppati a guardare con interesse diverso alle questioni dell’istruzione e della formazione e a considerarle come leve essenziali dello sviluppo economico. Si capì subito dopo il potenziale di queste pretese prove oggettive nell’intervento autoritario sulle politiche educative dei vari Paesi.

In questa prospettiva furono avviate significative azioni di riforma dei sistemi formativi e, in molti Paesi, furono impiantate strutture di valutazione dell’efficacia ed efficienza dei sistemi stessi. Parallelamente si rafforzarono la cooperazione e la comparazione internazionale nei Paesi dell’area OCSE, anche attraverso la costruzione di un sistema di indicatori internazionali dell’istruzione. Da circa 15 anni, quindi, gli indicatori dell’istruzione forniscono informazioni sull’organizzazione e sul funzionamento dei sistemi educativi così come informazioni sulla realtà socioeconomica dei Paesi membri sono fornite dagli indicatori economici che l’OCSE pubblica da diversi decenni e che sono ben più noti al vasto pubblico.

Gli indicatori dell’istruzione sono pubblicati, in media ogni due anni, nel volume intitolato Education at a Glance (Regards sur l’éducation nella versione francese), nel quale gli indicatori sono presentati non isolatamente, ma raggruppati in modo da rappresentare le caratteristiche strutturali, il funzionamento e i risultati dei sistemi formativi.

Così nell’edizione del 2001 di Education at a Glance (EAG 2001) i 31 indicatori sono raggruppati nei seguenti sei ambiti (tali indicatori non sono sostanzialmente cambiati negli anni successivi):

  • contesto dell’istruzione (3);
  • risorse umane e finanziarie investite in istruzione (6);
  • accesso e partecipazione all’istruzione (6);
  • ambiente educativo e organizzazione degli istituti scolastici (7);
  • risultati dell’istruzione in termini di risultati individuali, sociali e come sbocchi sul mercato del lavoro (5);
  • risultati dell’istruzione in termini di ‘apprendimento’ degli studenti (4).

Dei 4 indicatori presenti nell’ambito dei risultati di apprendimento degli studenti, tre sono stati calcolati su dati forniti dalle indagini TIMSS (Third International Mathematics and Science Study, la terza indagine internazionale su matematica e scienze) e TIMSS R (Third International Mathematics and Science Study Repeat, la seconda fase della stessa indagine), rispettivamente nel 1995 e nel 1999. Queste indagini sono state condotte dalla IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), un’organizzazione privata cui aderiscono istituti di ricerca educativa di diversi Stati che dal 1959 conduce studi internazionali sui risultati degli studenti in matematica, scienze, composizione scritta, lettura, educazione civica. Il quarto indicatore è stato elaborato su dati forniti dall’indagine IALS (International Adult Literacy Survey), condotta negli anni 1994-98 da Statistics Canada. La popolazione di riferimento è nel caso di TIMSS quella dei tredicenni, mentre nel caso di IALS è quella adulta oltre i 25 anni.

In alcuni ambiti sono compresi indicatori ‘solidi’, quelli, cioè, calcolati su dati che per lunga tradizione sono raccolti in tutti i Paesi (spese per l’istruzione, tassi di scolarizzazione, numero degli insegnanti, dei diplomati e dei laureati); nell’ambito relativo ai risultati di apprendimento degli studenti, invece, non è stato possibile costruire fino al 2001 indicatori pienamente affidabili per mancanza di una solida base di dati.

Si è cercato di sopperire alla lacuna utilizzando, di volta in volta, i dati acquisiti in precedenti indagini internazionali condotte prevalentemente dalla IEA, indagini che hanno riguardato, nel corso degli anni, gli ambiti più diversi (dalla Reading Literacy alla Computer Education) e le popolazioni scolastiche più diverse (dalla scuola della prima infanzia alla secondaria superiore). La produzione regolare degli indicatori, invece, richiede un altrettanto regolare produzione di dati, proprio quella che il programma PISA intende assicurare”.

Fu proprio l’OCSE nel 1997 che raccomandò all’Italia alcune riforme scolastiche poi realizzate dai citati Berlinguer e Bassanini.

Noi raccomandiamo che sia istituito un sistema di valutazione indipendente, che incentri la sua attività sulla definizione di parametri di valutazione, per mettere le scuole nella condizione di autovalutarsi con riferimento a tali parametri, sviluppi test, svolga verifiche ai vari livelli scolastici e fornisca consulenza su come devono essere allocate le risorse perché si ottengano risultati più equi e migliori.

Raccomandiamo altresì che il Governo consideri l’opportunità di istituire un ente indipendente incaricato di svolgere ricerche indipendenti in materia di istruzione utilizzando sia fondi pubblici che fondi provenienti da altre fonti, se c’è interesse ad avere un parere indipendente sul funzionamento del sistema formativo.

Siamo convinti che un sistema scolastico ben saldo, soprattutto se alle scuole è riconosciuto un notevole grado di autonomia, abbia bisogno dì un solido corpo ispettivo in grado di prestare la sua opera per il miglioramento della qualità delle scuole e per la valutazione dell’efficacia del lavoro degli insegnanti.

Raccomandiamo che il Governo riesamini il ruolo dell’ispettorato alla luce delle mutate condizioni delle scuole in relazione alle riforme. Gli ispettori dovrebbero, in particolare, essere coinvolti nel programma di miglioramento delle scuole e valutarne i risultati.

Raccomandiamo la creazione di un sistema di testing per valutare gli alunni in determinati momenti del corso di studi o in determinate classi, specialmente al termine della scuola dell’obbligo. Spetta al governo decidere quale tipo di estensione debba avere la valutazione: se a campione o per l’intera coorte, in modo che ogni allievo e la sua famiglia possano conoscere il livello medio di rendimento della scuola frequentata.

Raccomandiamo, inoltre, che i risultati di questa valutazione vengano messi a disposizione dei genitori e della comunità, in genere sotto forma di media delle scuole, in modo che si possa decidere come le singole scuole possano migliorare e come le pratiche che hanno successo possano essere disseminate a favore di un maggior numero di insegnanti.

Il miglioramento della scuola e la trasparenza sono, a nostro avviso, fondamentali per le riforme, dove l’autonomia è il principio guida miglioramento, mentre il decentramento rende possibile la trasparenza dei vari livelli del sistema scolastico. Per assicurare il successo delle riforme in questi termini sono necessari quattro elementi basilari:

  • un sistema nazionale indipendente di valutazione, che renda possibile comparare tra una scuola e l’altra il livello raggiunto dagli studenti nell’apprendimento del programma previsto. Un sistema di questo tipo garantirebbe la trasparenza, elemento essenziale per il processo di miglioramento della scuola;
  • l’autonomia e l’autogestione delle istituzioni scolastiche, grazie a quali le scuole potrebbero avviare pratiche innovative per migliorare il livello di apprendimento degli studenti, e insegnanti e genitori potrebbero concentrarsi sui risultati del processo educativo invece che sugli input;
  • una sufficiente assistenza tecnica offerta dagli uffici provinciali e regionali, per favorire il miglioramento delle scuole a più basso rendimento e divulgare più rapidamente i risultati delle innovazioni efficaci;
  • se si vuole ottenere il miglioramento auspicato, è essenziale che buoni insegnanti e capi di istituto lavorino come gruppo. E’ necessario che costoro consolidino le loro competenze pedagogiche e padroneggino appieno i processi e le tecniche per aiutare i giovani ad apprendere.

A questo punto debbo fare un inciso che ritengo importante ed è relativo proprio a quest’ultima affermazione. La UE, nell’estate del 2011, tra le varie imposizioni di carattere economico all’Italia, faceva anche domande relative alla scuola considerando gli insuccessi degli studenti alle prove INVALSI (di tali pretesi insuccessi dirò poi)(32). La domanda UE che ora mi interessa è la 14 (che si lega alla 13) seguente:

13. Quali caratteristiche avrà il programma di ristrutturazione delle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti ai test INVALSI?
14. Come intende il governo valorizzare il ruolo degli insegnanti nelle singole scuole? Quale tipo di incentivo il governo intende varare?

Confrontiamola con quanto la stessa OCSE sostiene in Education at a Glance (EAG 2011):

Gli insegnanti delle scuole secondarie inferiori raggiungono, in media nei Paesi OCSE, il livello più alto della loro fascia retributiva dopo 24 anni di servizio, mentre in Italia, ciò avviene solo dopo 35 anni di servizio.

• Nei Paesi OCSE, tra il 2000 e il 2009, gli stipendi degli insegnanti sono aumentati in media del 7%, in termini reali, ma in Italia sono leggermente diminuiti (-1%).

• Gli stipendi relativi degli insegnanti della scuola primaria, secondaria inferiore e secondaria superiore sono bassi in Italia, dove essi guadagnano meno dello stipendio medio di altri professionisti con livello d’istruzione terziaria. Gli stipendi degli insegnanti sono di circa il 40% inferiori agli stipendi di lavoratori con livello d’istruzione comparabile.

Ebbene si ricavano dati noti a qualunque operatore della scuola e che non sono MAI entrati in nessun programma di governo. In questa situazione, i governi padronali che infestano l’Italia stanno operando per modificare la scuola in senso liberista (discuterò in altro articolo del progetto di Legge Aprea, il 953, in discussione alla VII Commissione della Camera e per fortuna scalciato). Ogni cambiamento nel senso suddetto è ammesso ma niente va mai nel senso di quella domanda della UE, anche se, si scusi la ridondanza, è una richiesta della UE.

Tornando all’INVALSI che opera proprio per destrutturare la scuola, occorre subito dire che i cosiddetti ricercatori che operano in tale ente sono intercambiabili con IEA-PIRLS e OCSE-PISA. Attualmente sono comandati all’INVALSI 3 laureati in statistica (1 dei quali è dirigente); tre laureati in psicologia; 1 in lingue e letterature straniere; 1 in scienze politiche; 2 dirigenti sono laureati in economia e commercio (1 esperto in lavoro precario, 1 in Croce Rossa Italiana). Uno proviene dalla cattolica di Milano, un altro ha frequentazioni alla Lumsa (Libera Università di Maria Santissima Assunta). Tutti hanno rapporti con l’OCSE e sono in pratica esecutori OCSE in Italia che hanno lavorato per analizzare i risultati dei test OCSE-PISA. In ogni caso, in linea generale, si tratta di persone che non hanno nulla a che fare con la scuola, il peggio dei fornitori di ogni giustificazione al sistema di potere regnante, che operano costruendo e copiando tests utili, ad esempio, per le assunzioni in alcune fabbriche. Se si aggiunge a questo il clamoroso errore nelle griglie di valutazione del giugno 2011, ci si deve chiedere con molta ragione chi valuta chi? richiedendo la rimozione degli incompetenti valutatori [sic!].

Costoro sanno, perché se non lo sapessero sarebbero da scalciare e cacciare con disonore, che non esiste una valutazione interna al sistema d’istruzione indipendente dai fini (obiettivi) che ci si è prefissi. Altra cosa è la valutazione che farebbe un datore di lavoro che volesse assumere. Altra dallo Stato che deve garantire una corretta e sana preparazione e non si deve occupare delle esigenze di chi vuole assumere (se non in seconda battuta). Dico meglio. Nonostante la quantità spropositata di pedagogisti, sociologi e docimologi al servizio dei vari governi (non importa quali), nessuno ha mai osservato che una valutazione risponde ad una data finalità che ci si è data per raggiungere determinati obiettivi. Ma l’OCSE/INVALSI si nasconde dietro una accattivante  enunciazione: non vuole misurare quanto si è appreso dalla scuola stricto sensu, ma le competenze che sono state acquisite nella scuola ed utilizzabili al di fuori di essa. E, fatto importante, occorre tendere alla standardizzazione delle misure delle competenze acquisite. Ad evitare reazioni sociali che possono essere incontrollabili coloro che hanno di mira la privatizzazione della scuola operano un vero, continuo lavoro istituzionale, di diffusione ideologica, di programmazione delle controriforme. Con prove apparentemente asettiche, assegnate uguali a tutti gli studenti, occorre convincere i cittadini che la scuola, qualunque scuola statale pubblica, così com’è non funziona risultando uno spreco enorme del denaro pubblico.

NON HA ALCUN SENSO INTERVENIRE DALL’ESTERNO su processi didattici in corso con dei tests preparati altrove che ingannevolmente vorrebbero misurare le conoscenze in determinati ambiti per ricavarne competenze. In realtà questi test servono per modificare il piano di intervento dell’educazione formale che, non a caso, è decaduta da quando sono iniziati gli interventi OCSE ed UE a partire da Luigi Berlinguer, attraverso i tests PISA. Sono anni che sentiamo i vari ministri dell’istruzione, che ignorano l’ABC della didattica in senso lato, affermare che occorre modificare l’insegnamento in modo da rendere i nostri studenti in grado di rispondere a quei tests (la Moratti ha ancora lo scettro da dividere con la Gelmini).

I cosiddetti esperti INVALSI, non avendo mai insegnato e comunque girando intorno ad improbabili discipline, spiegavano a chi lavorava senza raccomandazioni nella scuola, come si faceva scuola. Hanno dedicato una vita ai test e, poveretti, non ci hanno mai capito un tubo. Ora si lanciano verso questa scelta non perché le cose siano cambiate rispetto alla bestialità della prova ma perché il padrone OCSE ordina e lor signori, sempre ubbidienti, eseguono.

Ma assumiamo un tono didascalico prendendo il discorso da lontano. Un insegnante preparato, come la gran parte degli insegnanti che lavorano in Italia, sa che non esiste un programma a priori da somministrare ad una data classe di una data scuola di una data città. Quella classe, quella scuola, quella città, … qualificano i fruitori del servizio scuola e l’insegnante non può partire come se nulla fosse. Anche i patiti dei tests, coloro che hanno letto letteratura anglosassone inutilmente perché non hanno appreso nulla, devono sapere che esistono le prove di ingresso, DOPO le quali, è possibile capire cosa fare e come farlo. Esemplifico per un personaggio a livello della Lega. Se si è in una città con nefaste influenze di camorra occorre recuperare i ragazzi riportandoli anzitutto alla conoscenza ed al rispetto della legalità. Questo tempo è perso rispetto allo studio delle poesie o del Teorema di Pitagora ma è fondamentale per il Paese. Alla fine del ciclo di studi i ragazzi riconquistati vanno premiati su valutazioni che non siano fiscali sulle poesie e su Pitagora. Che facciamo, questa scuola la vendiamo ai privati, cioè alla camorra che potrà educare a suo modo i pargoli ? Se in alcune zone del Paese la scuola deve occuparsi di inserire stranieri, extracomunitari o no, farà inizialmente più fatica e non dovrà essere penalizzata per questo rispetto al Collegio delle Fanciulle frequentato (inutilmente) dalla Moratti.

Non so se il leghista ha capito, ogni persona pensante però lo ha fatto.

Ma oltre ai casi citati vi sono motivazioni molto più interne all’insegnamento. Ogni classe è differente e ve ne sono alcune che ti tirano e ti portano rapidamente molto avanti nei programmi, negli approfondimenti, nelle discussioni extra programmi. Insomma il programma di un insegnante, nella sua articolazione e nei tempi relativi da dedicare a differenti argomenti, si costruisce lungo la strada e, attenzione !, la prova di valutazione deve avvenire su ciò che si è fatto in sintonia con quegli obiettivi prefissati e che, alla fine del percorso educativo, possono trovare una qualche modifica. Che senso ha, a questo punto, che arrivi una prova INVALSI ? Che ricercatori sono quei personaggi che lì lavorano (?) ?  Come si può con un test evidenziare le capacità di dimostrazione di un teorema ? La stretta logica che vi è dietro ? E come si possono evidenziare acquisizioni di capacità logiche, astrattive, analitiche e sintetiche ? Ora mi aspetterei che gli esimi (rac)comandati INVALSI ci dicessero qualcosa in proposito e che poi lo sussurrassero all’orecchio del ministro da cui dipendono.

Poiché il test dovrebbe avere una valenza epistemologica superiore al rapporto o scritto o orale che nella massima parte si è sempre tenuto nelle nostre scuole, chiedete ai docimologi qual è tale valenza epistemologica superiore, quali prove sono state fatte con quali risultati, quante classi, quante di controllo, a che livello, con test preparati da chi e su quali discipline. Insomma: dove si fanno i tests ? come funzionano ? le scuole dove si fanno tests forniscono risultati migliori nella preparazione degli studenti ? se si, dove, come e quando ? I docimologi di oggi, che si suppone abbiano letto Gattullo, hanno l’obbligo di dire tutte queste cose ed aggiungere: chi prepara i tests ? chi li testa ? dove si testano ? sono state previste classi di controllo ? oppure andiamo come sempre random ? Oppure ancora, e forse è questa l’eventualità più probabile, costoro non lavorano neppure per individuare competenze(33) ma solo per uniformare ad una conoscenza gregaria, funzionale ad uno scopo più subdolo, e quindi le domande precedenti non hanno alcun senso ?

Scrive Chris Hedges(34):

Il superamento di test a scelta multipla celebra e premia una forma peculiare di intelligenza analitica, apprezzato dai gestori e dalle imprese del settore finanziario che non vogliono che dipendenti pongano domande scomode o verifichino le strutture e gli assiomi esistenti: vogliono che essi servano il sistema. Questi test creano uomini e donne che sanno leggere e far di conto quanto basta per occupare posti di lavoro relativi a funzioni e servizi elementari. I test esaltano quelli che hanno i mezzi finanziari per prepararsi ad essi, premiano quelli che rispettano le regole, memorizzano le formule e mostrano deferenza all’autorità. I ribelli, gli artisti, i pensatori indipendenti, gli eccentrici e gli iconoclasti – quelli che pensano con la propria testa – sono estirpati.[…] I test di alto livello, possono essere privi di valore dal punto di vista pedagogico, ma sono un meccanismo eccezionale per minare il sistema scolastico, instillando paura e creando una giustificazione perché se ne impossessino le imprese. C’è qualcosa di grottesco nel fatto che la riforma dell’istruzione sia diretta non da educatori bensì da finanzieri e speculatori e miliardari. […] Sospetto che i gestori di fondi speculativi che stanno dietro il nostro sistema delle scuole parificate – il cui interesse principale non è certo l’istruzione – siano felicissimi di sostituire i veri insegnanti con istruttori non sindacalizzati e scarsamente addestrati. Insegnare sul serio significa instillare i valori e il sapere che promuovono il bene comune e proteggono una società dalla follia dell’amnesia della storia. L’ utilitaristica ideologia industriale abbracciata dal sistema dei test standardizzati e delle “accademie della leadership” non ha tempo per le sottigliezze e le ambiguità morali tipiche di un’educazione alle arti liberali. L’industrialismo ruota intorno al culto dell’io: è incentrato sull’arricchimento e il profitto personale come solo fine dell’esistenza umana, e quelli che non si adeguano sono messi da parte. […] Come mai gli amministratori dei fondi speculativi siano improvvisamente tanto interessati all’istruzione dei poveri delle città? Perché lo scopo principale di questa mania dei test non è valutare gli studenti, ma di valutare gli insegnanti […] A New York ai dirigenti scolastici è stato dato ogni incentivo, sia finanziario sia in termini di controllo, perché sostituiscano gli insegnanti esperti con reclute di 22 anni fuori ruolo: costano meno, non sanno niente e sono malleabili e licenziabili. […] Quelli che pensano pongono domande, domande che coloro che detengono l’autorità non vogliono siano poste: ricordano chi siamo, da dove veniamo e dove dovremmo andare. Restano eternamente scettici e diffidenti nei confronti del potere, e sanno che questa indipendenza morale è l’unica protezione dal male radicale che deriva dall’incoscienza collettiva. Questa capacità di pensare è un baluardo contro ogni autorità centralizzata che cerchi di imporre un’ottusa obbedienza.

Sono stessi concetti che uso da almeno 15 anni ma se le cose le dice uno statunitense può darsi che abbiano peso maggiore. Il disegno, credo si sia capito ormai bene, ha ampiezza mondiale. Dove l’impero del capitale senza regole è arrivato, a lato devono arrivare le sue riforme barbare per riportare l’umanità al periodo feudale. Pochi eletti che sono preparati in modo funzionale al potere ed una massa di consumatori tanto ubbidienti quanto miserabili.

Si vogliono pian piano creare degli ubbidienti (non solo nel consumo) a stimoli predefiniti, con risposte uguali negli oltre 30 Paesi industrializzati aderenti all’OCSE. Gli addetti ai lavori sanno di cosa parlo. Per i non addetti valga un esempio semplice. Per risolvere un problema di matematica dello scientifico sono necessarie alcune abilità, per risolvere un test OCSE di matematica ne servono altre. Tutti sanno che lo studente dello scientifico ha bisogno di un paio di mesi per imparare a risolvere un test OCSE mentre uno che risolve agevolmente i test OCSE ha bisogno di qualche anno per imparare a risolvere i problemi dello scientifico. Allora che facciamo? Bocciamo i nostri studenti dello scientifico? Evidentemente non si vuole più uno studio approfondito e critico ma solo l’impadronirsi di alcune tecniche molto meno dispendiose per la società che bada solo al dané. Ma nessuno lo dice e ci fanno sembrare ineluttabile ciò che accade in modo programmato, demoralizzando studenti ed insegnanti.

In estrema sintesi i passi seguiti, nello specifico scolastico, a partire da Berlinguer per arrivare a Gelmini/Profumo sono stati i seguenti:

– si è destrutturata la scuola con l’abolizione dei programmi nazionali;

– al loro posto è subentrata una offerta formativa (POF) che, nelle intenzioni, sarebbe dovuta servire per mettere in concorrenza vari istituti (al soccombente nessun finanziamento);

– restavano aboliti gli esami di riparazione (D’Onofrio) e non sostituiti da nulla in termini di diritto ma solo in termini di buona volontà (recupero senza prove finali eventualmente sanzionatorie con corsi di recupero penalizzanti i soli insegnanti);


– incertezza di canali di assunzione per gli insegnanti, con abilitazioni e passaggi di cattedra finalizzati solo al posto di lavoro e non alla professione;


– salari che dissuadevano i più preparati dal fare l’insegnante professionista;


– istituzione di dirigenti-manager non in grado di svolgere il loro ruolo per la loro generale impreparazione ma ottimi cani da guardia e repressori del dissenso (con ciò ripagando l’autorità per la loro assunzione con un esame inesistente);


– mancanza continua di mezzi e finanziamenti con impossibilità di portare avanti qualunque progetto;


– accumulo di burocrazia che fa stare a scuola indefinitamente senza concludere nulla;


– con tutto ciò la scuola si è andata rapidamente dequalificando anche perché senza diritto hanno buon gioco le famiglie a trasferire i giudizi in tribunale e gli studenti ad avere elementi per denigrare scuola ed operatori scolastici;


– ed il bullismo è figlio di questa anarchia;


– una scuola così fa pensare a molte famiglie ad una scuola diversa, in cui vi sia ordine e si studi;


– e ciò che volevano Bassanini e Berlinguer nel dequalificare per arrivare a privatizzare è riuscito;


– manca il solo passo, imminente, del privatizzare quasi tutto l’economicamente e politicamente fruibile , lasciando al pubblico ciò che è vecchio e fatiscente, classi numerose, assenza di continuità didattica, …


         Esemplificative in tal senso sono le scuole elementari. Sono tra le migliori al mondo per unanime riconoscimento nazionale ed internazionale. Hanno funzionato benissimo per moduli di tre insegnanti su due classi (senza che ciò significasse riduzione di orario per gli insegnanti). Le ore eccedenti servivano per il tempo pieno (che, deve essere chiaro, non è un doposcuola) che deve prevedere anche una mensa in cui vi sia la presenza dei medesimi insegnanti. Si è detto da più parti che da trent’anni a questa parte il mondo è cambiato parecchio e le competenze richieste nella scuola primaria sono aumentate. Non più solo il leggere, scrivere e far di conto ma anche, educazione alimentare, informatica, accoglienza, lingua straniera, … tenendo conto della multiculturalità nella quale oggi siamo immersi con bambini di altri Paesi ed altre culture. Da ultimo, e non per la sua importanza, l’integrazione completa di bambini con handicap.

 
             Vi è un difetto grave dietro questa articolazione di nuovi compiti non più individuabili in un solo insegnante (questo è ciò che tutti dicono, con ragione). Se un insegnante non copre tutto, tre insegnanti con la stessa preparazione non risolvono il problema. E, nei settori più avveduti, questa questione era ben presente. Ma la CISL (sì, questo sindacato cattolico e padronale) si è sempre opposta a chi proponeva un curriculum per gli insegnanti elementari che differenziasse via via le aree (aree non discipline!) di intervento. Di fronte ad insegnanti che coprissero, ad esempio, tre aree (come: area sociale e curricolare, area tecnico scientifica, area linguistica), oggi nessuno avrebbe potuto aprire bocca, neppure per un solo fiato. Ma si può fare i dinamitardi che si accordano su tutto con il governo, facendo i più realisti del re come mosche cocchiere, essendo sindacato, cattolico, padronale ed opportunamente governativo (leggi: CISL). Un insieme esplosivo, appunto. E gli altri ? Volevano ma non hanno insistito come avrebbero dovuto.

Siamo così arrivati ad un tentato crimine in Parlamento



          Il 22 marzo 2012 in sede referente della VII Commissione della Camera dei Deputati è stato approvato il testo  unificato sulla scuola (Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti) che partiva anche da un disegno di legge (il n° 953) presentato da una vera esperta di problemi della scuola, Valentina Aprea (addirittura Presidente di tale Commissione), che ha la stessa grazia delle cose che sostiene e merita pertanto che il grande pubblico la conosca almeno in foto (di più non posso fare).

Valentina Aprea: un nulla all’istruzione

          Dico subito che la Commissione si è sbarazzata delle genialità della Aprea che avrebbero di fatto già messo la scuola in vendita. Tanto per non restare nel vago accenno ad alcune invenzioni della mente raffinata in oggetto nel suo ddl  953:

ART. 1. (L’autonomia scolastica e le autonomie territoriali).

[…]

2. Ogni istituzione scolastica autonoma, che è parte del sistema nazionale di istruzione, concorre ad elevare il livello di competenza dei cittadini della Repubblica e costituisce per la comunità locale di riferimento un luogo aperto di cultura, di sviluppo e di crescita, di formazione alla cittadinanza e di apprendimento lungo tutto il corso della vita. […]Vi contribuiscono, altresì, le realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, ciascuna secondo i propri compiti e le proprie attribuzioni.

ART. 2. (Trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni).

[…]. Le istituzioni scolastiche che sono trasformate in fondazioni devono prevedere nel loro statuto l’obbligo di rendere conto alle amministrazioni pubbliche competenti delle scelte effettuate a livello organizzativo e didattico e svolgere una costante azione di informazione e di orientamento per genitori e studenti.

ART. 3. (Organi delle istituzioni scolastiche).

[…]

b) il consiglio di amministrazione di cui agli articoli 5 e 6;

[…]

e) il nucleo di valutazione di cui all’articolo 10.

ART. 5. (Consiglio di amministrazione).

1. Il consiglio di amministrazione, nei limiti delle disponibilita` di bilancio e nel rispetto delle scelte didattiche definite dal collegio dei docenti, ha compiti di indirizzo generale dell’attivita` di istruzione scolastica […]

ART. 10. (Nuclei di valutazione del funzionamento dell’istituto).

1. Ciascuna istituzione scolastica costituisce, anche in raccordo con i servizi di valutazione di competenza regionale, con il Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e con l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), previsti dal decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286, e successive modificazioni, un nucleo di valutazione dell’efficienza, dell’efficacia e della qualita` complessive del servizio scolastico, […]

ART. 11. (Decentralizzazione).

[…] trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessari per l’esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti alle regioni e agli enti locali nell’ambito del sistema educativo di istruzione e di formazione,

ART. 14. (Albo regionale).

Coloro che hanno conseguito la laurea magistrale o il diploma accademico di secondo livello e l’abilitazione all’insegnamento, ai sensi dell’articolo 13, sono iscritti, sulla base del voto conseguito nell’esame di Stato abilitante, in un apposito albo regionale, istituito presso l’ufficio scolastico regionale,  […]

A parte il “nucleo di valutazione” e la possibilità di far rientrare le fondazioni e i privati nel Consiglio delle autonomie come furbescamente è detto nell’articolo 1 al comma 2 (da eliminare da un ddl che si occupi di una scuola pubblica di Stato) tutto il resto è sparito nel testo approvato dalla VII Commissione. Anche onorevoli non proprio preparati hanno capito che si rischiava di essere inseguiti con gli ormai noti forconi. E’ restato comunque quel nucleo di valutazione che, con tutto il battage OCSE/PISA/INVALSI, era d’obbligo ed il pericolo dell’ingresso di fondazioni. Vediamo cosa dice il testo approvato sui nuclei di autovalutazione.

Art. 8.(Nuclei di autovalutazione del funzionamento dell’istituto).

  • 1.Ciascuna istituzione scolastica costituisce, in raccordo con l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), di cui al decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286, e successive modificazioni, un nucleo di autovalutazione dell’efficienza, dell’efficacia e della qualità complessive del servizio scolastico. Il regolamento interno dell’istituzione disciplina il funzionamento del nucleo di autovalutazione, la cui composizione è determinata dallo statuto da un minimo di tre fino a un massimo di sette componenti, assicurando in ogni caso la presenza di almeno un soggetto esterno, individuato dal consiglio dell’autonomia sulla base di criteri di competenza, e almeno un rappresentante delle famiglie.


2. Il Nucleo di autovalutazione, coinvolgendo gli operatori scolastici, gli studenti, le famiglie, predispone un rapporto annuale di autovalutazione, anche sulla base dei criteri, degli indicatori nazionali e degli altri strumenti di rilevazione forniti dall’INVALSI. Tale Rapporto è assunto come parametro di riferimento per l’elaborazione del piano dell’offerta formativa e del programma annuale delle attività, nonché della valutazione esterna della scuola realizzata secondo le modalità che saranno previste dallo sviluppo del sistema nazionale di valutazione. Il rapporto viene reso pubblico secondo modalità definite dal regolamento della scuola.

Art. 9. (Conferenza di rendicontazione).

1. Sulle materie devolute alla sua competenza e, in particolare, sulle procedure e gli esiti dell’autovalutazione di istituto, il consiglio dell’autonomia, di cui all’articolo 1, promuove annualmente una conferenza di rendicontazione, aperta a tutte le componenti scolastiche ed ai rappresentanti degli enti locali e delle realtà sociali, economiche e culturali del territorio ed invia una relazione all’Ufficio scolastico regionale.

            Non posso non sottolineare quanto gli onorevoli deputati siano ligi a linguaggi e mode ormai radicate. Quando leggete efficienza ed efficacia, andate a cercare gli onorevoli membri della Commissione e chiedete loro la differenza esistente tra i due termini e, con attenzione, ascoltate le risposte. Se non sanno associare i termini suddetti i loro significati sono scarsini. Ma magnanimamente e gratuitamente (e come altrimenti ?) fornisco una dritta agli onorevoli poco preparati: i due termini non vengono fuori dalle scienze ma dall’economia aziendale (e non poteva essere altrimenti: essi furono introdotti in ambito scolastico da Bassanini, il politico sempre disponibile sia a sinistra – si fa per dire – che a destra). Il termine efficacia viene generalmente impiegato per indicare la capacità di produrre l’effetto voluto. In economia aziendale il suo uso serve ad intendere la capacità di programmare e di raggiungere degli obiettivi compatibili con quelle che sono le attese dei portatori di interessi dell’azienda. L’azienda scuola è cioè efficace quando ha raggiunto con successo gli obiettivi prefissati (quali sarebbero tali obiettivi ? anche essi definiti al di fuori della scuola ?). Invece, il termine efficienza viene normalmente usato per intendere la competenza e la prontezza nell’assolvere le proprie mansioni o, anche, per indicare la capacità di raggiungere i risultati richiesti. In economia aziendale questo termine è usato per indicare la capacità di rendere massimo il profitto partendo da quelle che sono le risorse a propria disposizione. L’azienda scuola è cioè efficace quando utilizza in maniera economica le risorse a propria disposizione. Si tenga conto che l’essere efficaci non comporta l’essere efficienti e viceversa.

          In definitiva si può, ancora qui, ben capire cosa hanno in mente questi politici al servizio attivo dei padroni dell’economia. La scuola è un’impresa e non conviene perdere tempo con alcuni ammennicoli come il disagio sociale, l’handicap e tante altre cosette che ora tralasciamo.

          E la dimostrazione dei livelli di supponenza ed ignoranza del vecchio governo trasferiti nel nuovo, con un ministro dell’istruzione detto Chanel, che cederemmo volentieri agli USA, quando riesce ad emanare nel Decreto semplificazioni (comma 2 dell’art. 51 del decreto legge 5 del febbraio 2012) una norma secondo la quale l’erogazione e la correzione dei test Invalsi rientra nella attività ordinaria d’istituto: i dirigenti non dovranno più chiedere la delibera dei collegi dei docenti per determinare le modalità di partecipazione alle prove, né contrattare compensi aggiuntivi per gli insegnanti volontariamente coinvolti. In altre parole: l’attività connessa è obbligatoria e non necessita di risorse ulteriori.  Insomma una ulteriore violazione costituzionale là dove nella nostra Carta (ora “straccia” anche per l’aiuto fattivo di Napolitano) si prevede la libertà d’insegnamento della quale parte determinante è la valutazione.

Il valore legale del titolo di studio

          Forse pochi sanno che un tal Profumo è il ministro della Pubblica Istruzione che ha sostituito la nullità Gelmini, che però sedeva sulle spalle del gigante Aprea. Profumo è certamente più preparato, è un ingegnere ex Rettore dell’Università di Torino ed ex Presidente del CNR (ed è uno di quelli che cumula molti incarichi in vari consigli di amministrazione tra cui Telecom, Pirelli, Unicredit, Reply, FIDIA, Il Sole 24 ore, Italianieuropei (di D’Alema ed Amato), … Ma la preparazione c’entra poco quando si è all’interno del sistema di potere e si portano avanti scelte funzionali al privato e solo a quello. Tra le tante cose che hanno distinto il ministro tecnico da quando ha preso possesso dell’incarico, oltre alla boutade di insegnare con i tablet, vi sono i suoi ricorsi al TAR per contestare l’eleggibilità a suffragio universale dei membri dei nuovi cda degli atenei. Alcuni docenti hanno scritto al ministro una lettera(35) in cui si dice “Con atto di estrema gravità, mai precedentemente messo in atto contro scelte così rilevanti nell’ambito dell’autonomia universitaria, l’attuale ministero “tecnico” ha deciso di ricorrere alla giustizia amministrativa contro gli atenei (fino ad ora i ricorsi sono stati presentati contro il Politecnico di Torino e l’Università di Genova) che avevano confermato il proprio orientamento a tutela di uno dei pochi spazi di democrazia consentiti da una legge come la 240/10, profondamente influenzata da una visione gerarchica ed antidemocratica del sistema universitario“. E’ d’interesse notare che Profumo, da ex Rettore dell’Università di Torino, ricorre contro se stesso, contro cioè uno statuto che egli stesso aveva recentemente approvato. E’ un vero biglietto da visita di chi non si muove da tecnico ma da rappresentante del potere privato con zanne ben più taglienti di quelle Gelmini. Ad un mese dalla sua nomina a ministro dichiarava(36): «La riforma Gelmini non si cambia, bisogna solo oliare il sistema», illustrando, in estrema sintesi, le linee programmatiche della sua azione di governo. E poiché la sottile mente dell’Aprea, vera anima pensante della Gelmini, che appunto era più in basso, aveva qualche dubbio sul fatto che si fosse capito il pensiero di Profumo-Chanel, traduceva fornendo l’interpretazione corretta e completa del pensiero di Chanel:

«Nel caso della riforma dell’Università, bisogna ricordare che il professor Profumo ne è stato uno dei promotori e che da rettore del Politecnico di Torino, che è una delle eccellenze italiane, è sempre stato consultato in merito al suo impianto, di cui ha contributo fattivamente a impostare i principi». Apprendiamo così che, mentre approvava lo statuto dell’università di Torino negava tale operazione con Gelmini.

E l’Aprea continua:

Alcuni suggerimenti del ministro Profumo si sono tradotti in pratica. «L’Ateneo torinese, oltre ad esser sempre stato tra i più attivi nella ricerca, è stato il primo a sperimentare le fondazioni e la chiamata dei professori dall’estero, una serie di misure pioneristiche divenute in seguito parte integrante della riforma». Non solo: «la sintonia tra Profumo e la Gelmini, del resto, è testimoniata dal fatto che è stato proprio l’ex ministro e indicarlo per la presidenza del Cnr». Veniamo alla riforma della scuola: «al di là della riforma degli ordinamenti – continua Aprea –, ormai consolidati e in via di attuazione, le innovazioni con cui si stava confrontando la Gelmini credo siano pienamente condivise dal ministro. Si parla, infatti, di valutazione, qualità ed eccellenza». Il ministro ha anche detto che bisogna oliare il sistema. «Significa – spiega l’onorevole – che occorre proseguire nell’attuazione di quanto messo a punto sinora, individuando punti di forza e di debolezza, rafforzando i primi e superando i secondi. Mi auguro, ad esempio, che con il ministro si possa riprendere velocemente la questione del reclutamento e dello stato giuridico dei docenti nell’ottica di rafforzamento dell’autonomia. E che si superino le vecchie logiche del secolo scorso, che parlavano di gestione burocratica della docenza italiana e di una governance decisamente più centralizzata». Apprendiamo ancora dal fluido eloquio di Aprea che Profumo è una Gelmini in do maggiore e che continuerà su quella infame strada senza preoccuparsi … stavo per dire di chi ha una visione diversa ma poi mi sono reso conto che il Parlamento è ad una sola dimensione, quella berlusconiana. In ogni caso, «come Commissione – conclude Aprea –, abbiamo deciso di udire il ministro sulle sue linee programmatiche a gennaio, per verificare, alla prova dei fatti, le azioni che intende effettivamente promuovere».

            Ma la vera mission di Profumo riguarda l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Con tale abolizione questo governo, che esiste solo per attaccare e mettere a tacere una volta per tutte l’80% della popolazione, quella non privilegiata, quella che paga le tasse, questo governo, appunto, tende a togliere a chi ha studiato impegnando molte delle risorse familiari la possibilità di far valere il suo titolo in settori pubblici dove fino ad ora è richiesto. Più in generale ma si può capire che di queste sottigliezze Chanel non si occupi, eliminare il valore legale del titolo di studio vuol dire ridimensionare il valore sociale dell’istruzione.

          La proposta parte da un principio in teoria (qui eccellono i bocconiani) condivisibile: la preparazione fornita, ad esempio, da differenti università non è la stessa. Per cui dire che uno si è laureato in N piuttosto che in S con la stessa votazione non vuol dire avere la stessa preparazione. Caspita ! E pensare che questo argomento andrebbe utilizzato contro tutti i governi della Repubblica che hanno permesso l’istituzione di infinite università solo per rispondere alle clientele politiche locali ed ora, uno di quei medesimi governi ci viene a dire che vi sono università non affidabili. Ma poi, un governo sa che tale Università non prepara adeguatamente e non provvede fornendola di tutto il necessario per elevare il suo livello ? Intanto navighiamo sul sentito dire, oppure è d’obbligo per il governo tirare fuori i nomi di tali università entrando in valutazioni di merito che necessariamente sarebbero esterne alle medesime e con ciò violando addirittura la Costituzione. Ma lasciamo perdere questo argomento ed entriamo in qualche dettaglio.

          Fin dai tempi della Destra Storica, quando Ministro dell’Istruzione era il fisico Carlo Matteucci, costui ebbe a lamentarsi in Parlamento per la facilità con cui si permettevano aperture di nuovi atenei senza possibilità di chiudere quelli fasulli. Diceva Matteucci: “In Italia è più facile cambiare la capitale che chiudere una Università”. Ed era ed è così. Cosa fare allora se si sa e si comunica che certe università non fanno bene il loro lavoro ? Si apre una vertenza con tale università che si dovrebbe concludere con la sua chiusura. Oppure la si mette in grado di funzionare al meglio, restando fermo che a quella chiusura ci si può comunque arrivare. Quindi un governo deve poter operare sui servizi che lo Stato offre e non penalizzando chi usa tali servizi.

          Ma andiamo un poco più in dettaglio. Generalmente le università che risultano più qualificate dovrebbero essere al Nord, N, (anche se ciò non è vero perché è la Sapienza di Roma al massimo livello delle graduatorie internazionali). Al Sud, S, vi sarebbero università molto meno qualificate (infatti la Gelmini ha usato Reggio Calabria e non Bergamo per accedere alla professione di avvocato e Brunetta ha usato Teramo e non Venezia per il suo concorso a professore universitario). Restando in questa ipotesi (tutta da dimostrare, sia chiaro), cosa dovrebbe fare uno studente che volesse accedere ad una università più qualificata ? Avere tanti soldi (ma tanti) che gli permettessero di spostarsi dal Sud al Nord oppure restare al Sud. E’ chiaro che si sta creando un’ulteriore violazione costituzionale distinguendo barbaramente la popolazione per censo. Infatti, alla fine del percorso, il posto di lavoro si avrebbe con la laurea presa al Nord e non con quella presa al Sud.

          A cosa serve dunque il valore legale del titolo di studio ? Quando lo Stato attraverso i suoi governi ha garantito ai cittadini pari opportunità in ingresso all’Università e nelle dotazioni universitarie, allora tutte le università forniscono la medesima preparazione.  E poiché i governi non hanno garantito ai cittadini pari opportunità in ingresso all’Università e nelle dotazioni universitarie, allora si interviene di nuovo contro i cittadini meno abbienti. Infatti e non a caso si scatenano su questo i bocconiani, la destra ignorante con la Lega in testa, la sinistradigoverno saccente e radical chic, con proposte che suonano nel modo seguente. Come faranno le università a garantirsi i migliori professori (e qui il discorso vale solo per discipline umanistiche perché per quelle scientifiche vi è la ricerca con i laboratori connessi) ? Pagandoli di più, per Giove ! Ma per legge tutte le università hanno medesimi finanziamenti perché gli ingressi dalle rette universitarie non possono superare il 20% del finanziamento statale. Bisognerebbe che all’abolizione del valore legale del titolo di studio seguisse anche l’abolizione del tetto del 20% e quindi la liberalizzazione totale delle rette universitarie, misura tra l’altro contenuta nella famosa lettera di Berlusconi alla Bce sulla cui condivisione si è costruita l’attuale maggioranza parlamentare Pdl-Pd-Udc. In tale lettera, tra l’altro, era scritto(37):

a) Promozione e valorizzazione del capitale umano. L’accountability delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti; si valorizzerà il ruolo dei docenti (elevandone, nell’arco d’un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo); si introdurrà un nuovo sistema di selezione e reclutamento.

Si amplieranno autonomia e competizione tra Università. Si accrescerà la quota di finanziamento legata alle valutazioni avviate dall’ANVUR e si accresceranno i margini di manovra nella fissazione delle rette di iscrizione, con l’obbligo di destinare una parte rilevante dei maggiori fondi a beneficio degli studenti meno abbienti. Si avvierà anche uno schema nazionale di prestiti d’onore.

Da ultimo, tutti i provvedimenti attuativi della riforma universitaria saranno approvati entro il 31 dicembre 2011.

Così se N aumenta le rette si avrà poco da dire perché quella è una università qualificata che offre sbocchi. Ma se lo fa S non ha alcun senso. Dopo un poco di anni di questa cura S sarà al vero disastro ed  N prolificherà con molti studenti con ottime disponibilità economiche. E questo aumento delle rette, accompagnato dalla possibilità di fare mutui per affrontare gli studi, è una proposta, che vuole importare il sistema britannico, fatta dai due Ichino, da Giavazzi, Alesina e vari altri(38). Se solo si pensa che questa proposta viene fatta in Italia che è il Paese dove già oggi siamo al terzo posto nella classifica delle rette universitarie più alte d’Europa e al penultimo in quella dell’investimento pubblico sull’università ci si rende conto di dove navigano i nostri pensatori bocconiani e non. Questi baroni non hanno neppure il coraggio delle loro azioni. Stanno lavorando, senza comunicarlo apertamente, per sbarazzarsi del sistema universitario pubblico di Stato e per introdurre il sistema anglosassone in cui lo Stato non paga più e, ancora una volta, aprendo nuovi spazi di redditività ai famelici operatori finanziari all’interno del sistema formativo.

          Ma a cosa serve oggi il valore legale del titolo di studio ? Per partecipare a concorsi pubblici di Stato, per essere iscritto all’albo dei professionisti. E, anche se non è scritto da nessuna parte, serve a capire con chi si ha a che fare quando lo si assume. In realtà qui nascono complicazioni. C’è chi sostiene che basterebbe non menzionare il voto nell’uso del titolo: sarà poi il concorso a far emergere l’effettiva preparazione. Ma se deve essere il concorso, come dovrebbe !, a far emergere l’effettiva preparazione allora si può anche mettere il voto. Ed il problema sta proprio qui: da anni ormai si salta completamente il concorso e, se va bene, si procede per titoli (ed allora vi sarebbe l’uso distorto del voto), se va male (come va), vi sono chiamate dirette a completa discrezione dell’autorità politica al potere. E’ infatti da molti anni che i posti più prestigiosi (in termini di retribuzioni) non passano più per concorsi e neppure per una qualche sbirciatina al voto o, peggio, alla laurea. E’ chiaro che i concorsi statali pubblici a cui si è ammessi se si ha quel titolo di studio sono la soluzione di ogni problema. Per i posti offerti dai privati non vi sono norme ed ognuno farà come crede, come del resto ha sempre fatto.

          In una conferenza stampa che seguiva uno degli ultimi consigli dei ministri, Monti, che pensava di inserire l’abolizione del valore legale nel ddl semplificazioni, ha detto: “Ci siamo accinti a questo tema con animo sgombro da pregiudizi ideologici. Abbiamo scoperto che è un tema molto più complicato di quanto possa sembrare e abbiamo deciso di non affrontare in questo decreto legge il tema”, precisando di essere in linea di principio favorevole a superare “il simbolismo e il formalismo del valore legale del titolo di studio”.

            Fin qui ho detto cose che riguardavano atenei e scuole pubbliche di Stato. Ma, attenzione, perché noi abbiamo a che fare con scuole paritarie che forniscono titoli, magari a pagamento, che sono equivalenti a quelli dello Stato e, soprattutto, abbiamo a che fare con università private che nascono in un giorno e sfornano titoli a piacere su richieste specifiche. Siamo nell’infelice condizione, grazie a governanti imbelli ed ignoranti, di finanziare come Stato delle scuole private poi diventate paritarie ad opera di Luigi Berlinguer; da prevedere poi che lo Stato confronti le sue scuole con queste; da riconoscere CEPU (e le università telematichesostenute da una legge permissiva di Berlusconi, che ha a cuore il CEPU, e l’assenza di programmazione di sistema, dal 2003 sono proliferate con una velocità senza pari nei paesi europei), Universitalia, Cardinal Cusano, e compagnia, oltre a Cattolica, Bocconi eccetera e metterle sullo stesso piano delle nostre Università. Il Cepu del resto continua a godere della qualifica di università “non statale”. Proprio come la Cattolica o la Bocconi. E a un concorso le lauree sono tutte sullo stesso piano. Si prospetta un rischio: che la rimozione del vincolo legale apra alla proliferazione di “fabbriche di titoli” e “fabbriche di accreditamento”, in grado di rendere plausibili istituzioni d’istruzione superiore prive di qualunque forma di legittimità. Per non dire che diventerà possibile avere università che rispondono a credi ed ideologie.

          Il nostro ministero avrebbe istituito un ente (ancora ed ancora), l’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione dell’università e della ricerca) che dovrebbe valutare le università. Ma questa è operazione molto ma molto complessa e non esiste alcun sistema diretto per valutare quanto un ateneo abbia capacità nell’informare, preparare e stimolare i suoi studenti, ed ogni strumento utilizzato fino ad ora mostra limiti pericolosi che introducono effetti distorsivi. Inoltre è ormai abbondantemente provato che i valutatori, anche se in buona fede, tendono a stilare classifiche che hanno poco a che fare con la qualità e molto con i loro particolari interessi. E per convincersene basta pensare al Giavazzi che parla della sua Bocconi e che ha sommo credito nel PD dei Tocci e dei Modica (i liberisti della scuola) tanto da elaborare proposte con la teodem Garavaglia. Ma poi chi dovrebbe fare il valutatore ? Coloro i quali hanno dato autorizzazioni facili ad università fai da te dovrebbero indicare coloro che le valutano ? O schizofrenici o scemi. Cosa sostituirebbe poi il numero che compare nel titolo ? Un test fatto dai soliti presunti creatori di tests alla INVALSI che sostituirebbero con le loro sciocchezze quel numero assegnato dopo dure fatiche ?

          Quanto sono andato dicendo mostra che anche con l’abolizione del valore legale del titolo di studio è il mercato che si impadronisce delle università ed ancora il mercato sarà quello che darà il suo giudizio di valore su quanto prodotto in quanto gli serve. La competizione di mercato selezionerà così pochi atenei eccellenti trasformando l’università in una questione di censo, e condannare il paese alla barbarie. Ma in Italia le cose tendono a prospettarsi al peggio e quindi occorre prevedere un uso ancora più distorto di quanto ho accennato. Se non varrà più un pezzo di carta comune a tutti, a contare sarà soltanto il “nome” dell’ateneo di prestigio, dell’istituto privato. E chi creerà un nome di prestigio, oltre ai pochi che si conoscono ? Saranno i potentati economici che, ad esempio, danno per prestigiosa la Bocconi quando, nelle classifiche internazionali, figura molto più in basso della Sapienza o di Pisa. Saranno i media che intervisteranno, come già accade, professori di provenienza università private piuttosto che coloro che lavorano in quelle statali. Insomma, anche sul nome, nessuna garanzia.

Un intervento chiaro in proposito è di Luigi Bua dell’Università di Sassari(39):

Verrebbe da dire chi lo fa l’aspetti. Infatti l’abolizione del valore delle verifiche noi nell’università lo abbiamo già attuato nei confronti dei colleghi che insegnano alle superiori.

Per noi non conta nulla, o poco, che degli insegnanti lavorino cinque anni con uno studente, che lo aiutino a crescere e maturare, che lo valutino un bel po’ di volte e infine che una commissione lo valuti ancora all’esame di stato; vuoi mettere un bel test in ingresso!


Conta niente che da un punto di vista scientifico si possa obbiettare che i test non permettano di valutare, che non viene assolutamente colta la propensione e la motivazione agli studi … fa comodo fare il test, si lavora meno e si scansano le responsabilità.


Ora tocca a noi. Almeno venti docenti fanno il loro lavoro: viene svolta un’attività didattica di varia complessità, vengono svolte prove e valutazioni, non conta, non conta nulla. Il voto di laurea è la media del lavoro svolto con profitto dallo studente e valutato da degli specialisti, non conta.


Qual è allora il messaggio e l’obiettivo? Molti, e non secondari.


1) Così come noi abbiamo fatto con leggerezza, delegittimare il lavoro che viene svolto a livello di formazione pubblica (conta ed è proficuo solo la formazione “che si paga”, di tasca propria, la forma privatistica autoreferenziale o auto certificata; dai corsi di formazione alla scuola privata, alle università online, sempre con le dovute eccezioni).


2) Creare quindi un nuovo business, quello della formazione permanente (per ora si è creata la fortuna delle case editrici per i test, ma è solo l’inizio, già diversificano le loro iniziative, fanno anche i corsi …).


3) Basandosi su diffusi luoghi comuni differenziare le professioni: il valore legale, il controllo quindi del raggiungimento di uno standard riguardo alle competenze, deve riguardare solo alcune professioni. Tutti prontamente affermano che per operare, in senso “medico” intendono, siano necessarie grandi competenze “certificate”, altrettanto per progettare una casa. Ed invece per far crescere un bambino, per istruirlo? Per avere affidata la responsabilità di un servizio sociale? Per garantire i diritti? Per gestire organizzazioni complesse? Gli esempi possono essere tanti. Ma su cosa si basa questo luogo comune? Su una vecchia visione per cui le scienze umane “abusano del titolo”: le scienze sono solo quelle hard. Niente conta che in questi ultimi decenni le scienze biologiche e fisiche si definiscano in nuovi paradigmi che comprendono, strutturalmente, la storia, l’evoluzione; la complessità, i limiti della razionalità e della prevedibilità sono il nesso tra i vari saperi, ma si continua a negare che le scienze umane sono intrinsecamente complesse. Si accetta che l’occhio umano sia un sottosistema complesso, non si accetta che una relazione tra due menti e due soggetti sia infinitamente più complessa e dinamica. Le scienze umane sono “arretrate”, forse perché tutti gli scienziati sociali sono “poco dotati”? Forse è più giusto pensare che c’è complessità e complessità.


4) Differenziare le professioni significa gerarchizzare i saperi, non solo economicamente, ma, più importante, nel sentire collettivo: per manipolare i cittadini serve questo. Se le scienze umane non sono scienze, solo il “tecnico” ha diritto di affermare, tutto il resto è opinabile e quindi prevale la forza.


5) In più si raggiunge anche l’obiettivo di confinare la formazione nel puro apprendimento di competenze strumentali. Poco conta che queste diventino rapidamente obsolete se non si “possiedono le basi”, il linguaggio, i concetti, i modelli interpretativi, quello che è importante è che si crei dipendenza: l’aggiornamento lo compreremo nella “formazione ricorrente”, la capacità di porsi le giuste domande e quindi di procedere nell’auto aggiornamento non è previsto.


Quello che manca del tutto è una visione diversa della formazione, Quello che lo Stato assicura e deve assicurare è la formazione del cittadino prima, e della forza lavoro poi. Per rendere chiaro quanto intendo per formazione del cittadino faccio un solo “piccolo” esempio, l’abolizione dello studio della geografia: questa “castroneria” è stata accettata come una cosa magari sbagliata, ma marginale. Non è così. Una persona che viene privata delle competenze fornite dallo studio della geografia è potenzialmente, specie nel mondo contemporaneo, un cittadino di serie inferiore, un cittadino a cui sono sottratti gli strumenti per poter comprendere autonomamente gli avvenimenti, un cittadino dipendente dal giudizio e dall’autorità degli altri. Bisogna avere dimestichezza con gli strumenti idonei a collocare i fenomeni negli spazi e nei tempi specifici. Gli aspetti, apprendimenti, strumentali sono fondamentali “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” afferma Wittgenstein, ma sono molto più ampi della loro “utilizzabilità e spendibilità sul mercato del lavoro”.


Si potrebbe dire che tutto questo ha poca attinenza col problema del voto di laurea….. ma si può obiettare che ogni singola parte di un sistema concorre a creare le proprietà emergenti del sistema nella sua totalità: una università senza valutazione, senza voto di laurea, non è una università. Per non sfuggire comunque la proposta: se si ritiene che alcuni regalino le lauree, e questo inquini il mercato ed i concorsi, bene si proceda col chiudere le facoltà e gli atenei che non fanno il loro dovere [e si sbattano in galera coloro che fanno questi odiosi commerci, ndr], ci si assuma la responsabilità che è propria di chi governa un sistema, onori ed oneri, non si sfugga il problema rimandando ad altri la responsabilità o “vendendo” ad altri la possibilità di manipolare il mercato della formazione e la vita delle persone.

Ed ancora Bua scrive(41):

La proposta di abolire il valore legale del titolo di studi ha in realtà un altro obiettivo: limitare la spendibilità del titolo nel mercato del lavoro. La spendibilità non discende dal valore legale, che ne è solo un prerequisito, ma dalla forza dei contratti collettivi di lavoro. E’ nei contratti collettivi di lavoro che si stabilisce, in modi differenti nel tempo e secondo la composizione degli interessi contrapposti, quali requisiti debba possedere chi chiede di partecipare ad una selezione. Mai nessun titolo ha dato automaticamente accesso ad un posto di lavoro o ha definito l’inquadramento: questo dipende, sia nel settore privato sia nel pubblico, dai rapporti di forza del momento tra coloro che organizzano la domanda e coloro che organizzano l’offerta. E’ a questo punto chiaro il vero obiettivo: fare saltare la contrattazione collettiva. Quando si chiede l’abolizione del valore legale del titolo di studi si sta chiedendo di superare la contrattazione collettiva. Nel momento in cui non si dovesse più certificare la conclusione di un percorso formativo, relativamente omogeneo, ogni singolo lavoratore sarebbe lasciato alla mercé del mercato senza regole. In più, con la devoluzione, la riforma costituzionale delle attribuzioni e competenze delle Regioni e degli Enti locali, potrà succedere che ogni istituzione definisca autonomamente l’organizzazione del lavoro e degli organici e “inventi” requisiti ed inquadramenti molto eterogenei, contribuendo a fornire un deciso contributo al superamento dell’istituto della contrattazione collettiva.

Ma il disegno riformatore è più ampio e articolato: oltre ad una netta separazione tra laurea triennale e specialistica, di cui si è già parlato, si prevede anche di portare fuori degli atenei pubblici la ricerca, che verrebbe confinata in luoghi di eccellenza, sottoposti ad un forte condizionamento politico. Gli atenei pubblici, trasformati in esamifici di secondo ordine, verranno privati degli organici di personale docente ed ogni facoltà sarà “libera” di comprare sul mercato le ore di docenza necessarie per la propria offerta formativa (es. 60 ore di lezioni di diritto privato, 25 per gli esami, 10 per altri adempimenti). Si elimina così anche per i docenti la possibilità strutturale di un contratto collettivo. Ogni docente potrà vendersi ai vari atenei, nella libera professione, come vuole e permette la propria disciplina di appartenenza. Come non vedere le conseguenze devastanti che tali soluzioni potrebbero avere su interi settori scientifici, come non cogliere la valenza di controllo che tale tipo di rapporti contrattuali avrebbe nei confronti dei docenti?

A questo punto nove secoli di storia delle università e della scienza vengono abbandonati per costruire un modello del tutto estraneo alle nostre tradizioni, incompatibile con la restante parte dell’organizzazione sociale. Nel contempo un istituto quale la contrattazione collettiva, che ha segnato il secolo appena passato, permettendo di superare le forme più estreme di sfruttamento, viene abbattuto per riconsegnare i lavoratori all’alea del mercato.

          Per rendere più truffaldino il tutto, il ministro Profumo di Chanel ha lanciato un sondaggio via internet sul sito del MIUR. Incredibile come qualcuno crede di poter prendere per i fondelli 60 milioni di italiani. Quel sondaggio è stato concepito o da analfabeti o in modo da predeterminarne l’esito a favore della eliminazione del valore legale del titolo di studio. Non vi è luogo, infatti, dove sia possibile esprimere la propria contrarietà al progetto(40). Tanti sabaudi messi insieme spiegano bene perché in Italia si è scelta la Repubblica.

          Ancora su Profumo, ormai fuori da ogni logica democratica e rispondente solo alla ristretta cerchia dei sabaudi, vi è da aggiungere l’ultima perla. Nel 2007 il governo Prodi aveva introdotta una norma eccellente per i ricercatori nelle Università: i progetti di ricerca per ricercatori under 40 non dovevano essere valutati da baroni e da burocrati ministeriali e non con la conseguenza che costoro avrebbero fatto un boccone dei giovani e dei loro progetti per incamerare ogni briciola a loro esclusivo uso e consumo. I progetti di costoro sarebbero stati valutati da altri ricercatori italiani e straniere anch’essi over 40. Nell’impresa ora detta si giocava il 10% dei fondi nazionali destinati alla ricerca. Su iniziativa di Chanel questa possibilità è stata cancellata con scuse fumosissime (la difficoltà di trovare dei ricercatori stranieri che valutassero i progetti di ricerca. Una vera sciocchezza sesquipedale). Ora, con il voto banditesco anche del PD, tutti i fondi per la ricerca tornano ad essere gestiti dai baroni o dai capoccioni ministeriali con una divisione analoga a quella delle mazzette.

          Ed altre imprese da profumeria chic seguiranno, statene certi, con la collaborazione complice ed irresponsabile di chi avrebbe dovuto vigilare proprio sulle violazioni democratiche.

In definitiva …

          Siamo partiti da molto lontano, dalla caduta dell’Impero Sovietico e dalla frenesia di accaparramento del mondo da parte del capitalismo mondiale. Non si è trattato di un golpe violento nei Paesi Occidentali ma di graduali adattamenti che hanno reso dominante il pensiero unico del mercato che ambiva a diventare mondiale, senza alcun freno, senza alcun limite. Si trattava di coinvolgere tutti Paesi che condividessero il fine per poi passare a convincere con la guerra altri Paesi. Per l’operazione, non troppo chiara all’inizio, serviva impadronirsi prima di tutto della zona chiave per l’energia. Abbiamo visto che i progetti in tal senso erano americani e ben raccontati da Brzezinski. Conquistare l’Eurasia, la via del petrolio dai Paesi ex sovietici ad Est del Caspio, ed i Balcani, lo sbocco nel Mediterraneo di alcuni oleodotti. Si è passati da un lato alla distruzione ed assoggettamento dell’Iraq uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo. Poi all’Afghanistan che non ha petrolio ma che è la via, appunto, per il passaggio degli oleodotti (UNOCAL) che dal Turkmenistan, dal Kazahstan, dall’Uzbekistan, …, arrivano fino al Mare Arabico dopo l’ulteriore attraversamento del Pakistan, Paese già controllato. Si è passati ancora al controllo delle rotte lungo il Canale di Suez con la completa destabilizzazione di Somalia ed Eritrea. Infine, l’attenzione è stata rivolta a chi ancora resisteva nel Balcani, la Jugoslavia, spezzettata e fatta sparire dalle mappe. A parte le cataste di morti, il piano ha funzionato tanto che ci si è potuti, in tempi rapidi, spingere molto più in là. Il controllo doveva diventare completo mettendo sotto stretta sorveglianza l’Iran per completare l’accerchiamento a Cina e Russia, le uniche vere potenze anche militari che spaventano ma che, con l’economia integrata dalla globalizzazione è possibile ricondurre sotto un controllo unificato (proprio oggi, 27 marzo 2012, ho letto che Monti in visita a Seul ha avuto i complimenti dal leader cinese per come ha condotto le riforme economiche in Italia. Anche l’OCSE ha detto che Monti è promosso. Non credo servano commenti oltre al fatto che l’POCSE la paghiamo noi e fornisce dei giudizi su di noi, con la conseguenza che questo ente potrebbe tagliare le gambe ad uno dei Paesi che lo fanno vivere). L’accerchiamento aveva ed ha inoltre il fine di sottrarre approvvigionamenti, soprattutto energetici, alla Cina (la cosa non è pensabile per la Russia che ha enormi giacimenti energetici). Ecco, per poter passare alla citata mondializzazione si è trattato di creare enti sovranazionali e potenziarne altri già esistenti. Così abbiamo visto l’espansione incredibile dei potentati di Banca Mondiale, FMI, WTO, GATS, OCSE, …. Sono queste le organizzazioni che dirigono la globalizzazione decidendo mediante il movimento di capitali quali sono i Paesi da sostenere e quali da mettere in crisi. Decidendo, a latere, quanti milioni di bambini debbano essere sacrificati per fame in un dato periodo di tempo. La globalizzazione ha permesso l’estensione dello sfruttamento selvaggio ormai su scala mondiale con il ridimensionamento di quelle organizzazioni dei lavoratori che avevano lottato per secoli per raggiungere degne condizioni di lavoro. Le delocalizzazioni sono diventate ormai quotidiane con la messa in crisi di interi territori ed interi Paesi. Il profitto cresce all’aumentare dello sfruttamento. Ma poiché quanto si prelevava da queste operazioni non era sufficiente agli appetiti dei padroni , banditi famelici, ha iniziato ad operare la finanza con i suoi interventi che noi tutti abbiamo conosciuto negli ultimi 3 anni. Il Dio (questo sì) Mercato ha cancellato le democrazie di molti Paesi, dettando esso i modi di operare anche e soprattutto sulla testa dei servi della gleba che non avevano fatto che lavorare e pagare tasse. Avevano vissuto al di sopra delle loro possibilità, era giusto riprendersi il maltolto riducendo alla fame e disperazioni milioni di persone. E’ il capitalismo liberista bellezza ! che, per maggiore offesa a tutti noi, non ha rivali a livello mondiale. Anzi, i Paesi che sono ancora fuori da questo circuito infernale, premono per entrarvi. Dopo un periodo relativamente lungo in cui credevamo di emanciparci siamo di nuovo stati ridotti in catene e dipenderà solo da noi il togliercele anche se è estremamente difficile.

Il governo di questo mondo così ridotto non poteva e non può passare solo mediante cannoniere e bombardamenti. Lo abbiamo visto nella UE, dove la Germania ha risollevato la sua economia questa volta senza la guerra tradizionale ma con quella economica che ha fatto e farà più disastri di quanti i bombardamenti provocavano e  che conteremo alla fine. Perché questo sistema globale funzioni nel modo migliore possibile, compatibilmente con le difficoltà, occorre avere consenso. Ed ora torno a quanto argomentavo all’inizio di questo articolo. Da un lato lo strumento è quello che ancora Zbigniew Brzezinski inventò nel 1995 a San Francisco. Per tranquillizzare la massa eccedente (la maggior parte di noi persone normali) che rischia di essere mangiata egli fornì una prima soluzione: il tittytainment, una parola coniata a proposito che sta per tits = tetta (nel senso di dispensatrice di latte) e entertainment = gioco, il  panem et circenses della Roma imperiale. E le TV, oggi accompagnate da Internet e videogiochi (so che Maragliano, se leggerà queste righe, si commuoverà a sentir nominare il suo grande amore), rispondono egregiamente allo scopo. Poi vi è il calcio europeo, quello americano, la pallacanestro, … Ma il tutto è episodico e poi, dagli scalmanati tifosi non si raccoglie molto in termini produttivi, ed il luogo dove poter plasmare massa eccedente ricavando anche qualche utile è la scuola. Ho raccontato le varie operazioni che sulla scuola si sono fatte (altre analoghe sono molto più avanzate e riguardano la sanità). Il fine è molteplice: da una parte fare soldi, una montagna di soldi privatizzando quasi tutto e facendo pagare cara una istruzione di alto livello. Dall’altra ricavare quel 20% di  eletti che servono come menti per mandare avanti il sistema. Dall’altra ancora preparare l’80% restante a diventare esercito di bravi consumatori ai quali si fornisce il necessario per vivere e consumare. Da questo 80% si dovranno ricavare le braccia da usare in fabbrica o nei campi o nei servizi. E, ricordo, a quelli che a San Francisco obiettavano che il tittytainment, il circo, sarebbe stato insufficiente per chi chiedeva autostima, il moderatore Roy rispondeva che volontariato, associazioni sportive, … “potrebbero essere valorizzate con una modesta retribuzione per promuovere l’autostima di milioni di cittadini“. I numeri della massa eccedente, continuava Roy, non dovrebbero comunque preoccupare perché, a breve, vi sarà nei Paesi Occidentali, una nuova richiesta di lavori precedentemente rifiutati: pulizia strade, collaborazioni domestiche, … Intanto occorre iniziare a colpevolizzare questa massa: non si lavora abbastanza, si guadagna troppo, la produttività è bassa, le pensioni vengono erogate troppo presto, sono troppo elevate, si è malati per troppo tempo, troppo assenteismo, la maternità, viviamo al di sopra delle nostre possibilità, servono sacrifici, troppe vacanze, troppi servizi gratuiti, vi è troppo spreco, le società asiatiche della rinuncia devono essere prese ad esempio … Insomma, “ad un tratto la partecipazione di massa dei lavoratori alla produzione generale di beni e valori economici appare solo come concessione che nel periodo della guerra fredda doveva sottrarre il fondamento all’agitazione comunista”.

          Caspita, chi non riconosce quanto accade intorno a noi da una decina d’anni a questa parte ? Ma anche qui si è andati oltre i buoni propositi [sic !] di San Francisco. Ora si è passati alla brutalità, l mettere in strada chi non serve e ad ammazzarlo prima civilmente poi fisicamente. Ha vinto John Gage, dirigente di Sun Microsystem, “assumiamo i nostri operai con il computer, lavorano con il computer e li cacciamo con il computer!” (con lo scavalcamento completo di ogni legge a tutela del lavoro) che aggiungeva che in futuro si tratterà “to have lunch or be lunch”, di mangiare o essere mangiati.

          E così i nostri servizievoli politici, in gran parte a loro insaputa (qui davvero, vista la loro ignoranza crassa su tutto meno che su mazzette, favori ed escort) si sono fatti portatori degli interessi dei padroni del mondo. Alcuni di tali politici (ed anche sindacalisti)  addirittura autoconvincendosi che ciò che facevano era il meglio auspicabile per il benessere della nostra società e dei nostri studenti. Ci hanno esaltato l’autonomia, i percorsi individuali, i POF, … come panacee quando erano solo l’inizio della destrutturazione che portava alla fine della scuola pubblica di Stato.

          E lo smantellamento prosegue ed oggi è possibile vedere meglio quanto veniva progettato nel 1995. In questa fase si sta lavorando su scuola da affidare a fondazioni, a scuola gestita localmente, ad un sistema valutato dall’esterno teso ad omogeneizzare tutti i servi della gleba, all’abolizione del valore legale del titolo di studio. In tutto ciò attaccando pesantemente la nostra Costituzione che, lo ricordo, è nata dalla Resistenza al nazifascismo, alla negazione cioè di ogni valore umano e sociale. I prossimi passi che saranno fatti riguarderanno l’attacco all’articolo 1 ed all’articolo 33 (quest’ultimo già stravolto dai centrosinistri di Prodi e D’Alema con la riforma del Titolo V(42)).

          Si prenda coscienza di quanto ho detto e si passi all’azione. Altrimenti il nostro futuro segnato: servi della gleba del Mercato dei potentati mondiali.

Roberto Renzetti

Riporto di seguito alcune proposte che dovrebbero disegnare una base di discussione relativa alla Scuola che Vogliamo

Una piattaforma politica che indichi un progetto scuola esaustivo è cosa estremamente complessa e richiede il contributo di varie competenze. Di seguito riporto solo alcuni punti che, a mio giudizio, dovrebbero trovar posto in qualunque riforma della scuola che faccia riferimento alla democrazia, alla laicità, in una parola: alla nostra Costituzione ed al suo articolo 33. In quanto seguirà terrò conto di quanto è oggi esistente. Si tenga ben presente che tutto è emendabile, cassabile e discutibile. Inoltre ogni suggerimento integrativo è benvenuto.

  1. La scuola è divisa in cicli sia in senso verticale che orizzontale. Nella divisione orizzontale non vi sono cicli più qualificati o qualificanti di altri. La scuola è obbligatoria e gratuita fino al 18-esimo anno di età. In tal senso non è pensabile una scuola che viene scelta in funzione delle disponibilità economiche della famiglia. Lo studio deve essere garantito da un efficace sistema di borse di studio a priori. Lo Stato garantisce alla scuola tutti i finanziamenti necessari per salari, edilizia, laboratori, … Lo Stato non deve disperdere le sue risorse in scuole private, confessionali o meno, in accordo con l’articolo 33 della Costituzione. La parità scolastica deve essere cancellata allo stesso modo dell’immissione in ruolo degli insegnanti di religione. La scuola deve essere accogliente ed aperta ad altre culture e a studenti di altri Paesi. I governi devono attivare specifici corsi di preparazione alla multiculturalità.
  2. La scuola dell’infanzia è fondamentale per la formazione dei futuri cittadini. Essa non è un parcheggio e non può essere delegata a privati e/o ad enti confessionali ma necessita di tutte le risorse che permettano ad essa di svolgere appieno la sua funzione di prima socializzazione.
  • La scuola primaria è la naturale prosecuzione della scuola dell’infanzia. Anche qui è fondamentale il ritorno ai moduli (per i primi tre anni) ed al tempo pieno che deve vedere l’insegnante come parte qualificante anche della mensa. Il lavoro scolastico deve prevedere il passaggio graduale dal ragionamento concreto ad una prima fase di quello astratto attraverso l’apprendimento di metodi di lavoro che inneschino una dialettica tra mani e cervello e che stimolino tutte le capacità che in questi anni cruciali vengono sviluppate da giovani menti. Occorre utilizzare strumenti che permettano all’individuo lo sviluppo delle proprie abilità mentali. In questo senso l’imparare a memoria brevi brani, il fare riassunti, l’esercizio di analisi logica e grammaticale, sono ritenuti utili allo scopo.
  • L’attuale scuola media dovrebbe confluire nella scuola primaria che diventerebbe di 7 anni complessivi con i primi 3 dedicati alla formazione di base ed alle conoscenze minime e gli altri ad una prima organizzazione della formazione di base in ambiti disciplinari. Nel corso dei 7 anni dovrà essere data grande importanza al lavoro manuale, ai laboratori di qualunque tipo, alle uscite che mettano i giovani di fronte al mondo reale dell’ambiente, della cultura e della produzione.
  • Dopo questi primi 7 anni inizia la Scuola di Secondo Grado che potrebbe avere una scansione 2+3. Il primo dovrebbe avere carattere unitario dove si distinguono in modo più preciso le aree disciplinari e dove lo studio diventa più sistematico con un crescente ricorso al pensiero astratto. I 3 anni successivi dovrebbero essere completamente disciplinari e sempre più specialistici con una suddivisione orizzontale in 3 indirizzi: liceale (classico, scientifico e magistrale), tecnico (in un numero limitato di aree) e professionale con assoluta pari dignità e disponibilità di risorse e di personale qualificato. L’indirizzo liceale prevede necessariamente la prosecuzione universitaria mentre gli altri due indirizzi possono prevedere anche una uscita laterale. I programmi di insegnamento dovranno avere carattere nazionale. Soprattutto per istituti tecnici e professionali devono essere possibili per gli studenti formativi distacchi professionalizzanti presso aziende che aderiscano a tale compito e che utilizzino i distacchi esclusivamente a fini didattici. La scuola deve pretendere il massimo dagli studenti e la valutazione, scritta ed orale, programmata in date prefissate, deve essere molto rigorosa e puntuale con sua discussione aperta in classe.
  • Sarebbe possibile pensare ad un anno in più, recupero di quello guadagnato nella scuola primaria, per avere un tempo in cui i ragazzi si preparino esclusivamente per le discipline del corso universitario che intendono seguire.
  • Quanto ora detto prevede la fine dell’autonomia scolastica, dei POF, dei percorsi individuali e delle scuole in concorrenza tra loro. Allo stesso modo il personale della scuola, da quello ausiliario, a quello ATA, a quello insegnante deve essere interno alla scuola e non esternalizzato o scelto dal dirigente e, soprattutto, deve provenire da concorsi nazionali e/o da corsi qualificati e qualificanti e/o da tutoraggio. Si deve tornare alla continuità didattica, ad un numero di alunni per classe che permetta un lavoro efficace, alla legge che garantisce l’esistenza di un insegnamento alternativo alla religione cattolica.
  • La scuola deve educare alla cittadinanza attiva e responsabile, dando strumenti per interpretare la realtà (il reale è interpretabile e quindi si può intervenire su di esso per trasformarlo) e per comprendere il proprio ruolo all’interno della società. Occorre fornire agli studenti tutti i linguaggi di decodifica della realtà (comune, matematico, grafico, statistico, simbolico, musicale, …) convincendosi che non è necessario fornire tutto lo scibile e che non devono esservi argomenti tabù: in questo senso è fondamentale il metodo di studio, appreso il quale ognuno sarà in grado di costruirsi da solo il suo sapere (imparare ad imparare). In questo senso la scuola diventa un laboratorio aperto non solo agli studenti ma alla comunità che serve. I suoi spazi, le sue biblioteche, i suoi laboratori, la sua aula di lingue e di informatica, i suoi tecnici di laboratorio e di informatica, i suoi insegnanti devono poter essere fruibili dai cittadini ed a tal fine potrebbe essere utile pensare ad un orario di 36 ore (18 + 18) per il personale insegnante e di laboratorio distinguendo così tra insegnanti a tempo pieno e part-time (questi ultimi ad esaurimento). Ciò aiuterebbe ad avere nella scuola solo professionisti e non secondi lavori (ciò si prospetta in modo diverso per insegnanti di materie tecniche in istituti tecnici e professionali).
  •         La libertà d’insegnamento deve essere garantita all’interno della comune metodologia didattica e di valutazione che il Consiglio di Classe ha scelto.
  • L’Università è uno spazio pubblico di formazione e promozione del sapere, a beneficio della società nel suo complesso e non degli interessi privati. Essa deve autogovernarsi: nessun esterno, sia esso rappresentante di un ente locale o di aziende pubbliche o meno, può entrare negli organi di governo dell’ateneo. Il MIUR si assumerà il compito di controllare i bilanci degli atenei. Nessuna riforma, che voglia potenziare l’università, è possibile senza un’adeguata copertura finanziaria. Il denaro pubblico che va all’università è un investimento sul futuro del Paese.
  1.  L’università deve riacquistare il suo ruolo centrale di luogo deputato alla formazione ai massimi livelli. Per fare ciò occorre sbarazzarsi di 3 + 2, di CFU, crediti acquisiti altrove ed amenità del genere. E’ necessario lavorare per convincere il prossimo che scuola di massa non equivale a scuola dequalificata. Per questo servono indicazioni di studio agli studenti sugli sbocchi professionali ed un elevamento del livello scientifico e didattico delle singole università. Occorre promuovere e finanziare, in ogni campo, la ricerca che è l’unico motore per la ricerca di un Paese che non dispone di materie prime e di mano d’opera a salari schiavistici. Occorre altresì tagliare le università nate per creare posti di prestigio a politici e a parentele baronali. Allo stesso modo, il proliferare di corsi di laurea per garantire cattedre deve finire (valga come esempio lo scandalo delle pedagogie, docimologie e psicopedagogie che hanno garantito cattedre a tutti coloro che dalla fine degli anni Novanta hanno affossato la scuola pubblica).  Occorre infine far chiarezza su alcune università private che sono solo diplomifici mangiasoldi. Il titolo di studio conseguito, a tutti i livelli, deve avere valore legale da far valere nei concorsi che permettono l’accesso a professioni pubbliche. Non è rendendo banali gli studi che si risolve il problema del basso numero di laureati. Il problema nasce dalla mancanza di sbocchi professionali che distorsioni economico-politiche hanno creato.
  2. Gli insegnanti dovranno essere valutati sulle loro discipline solo da altri insegnanti che siano o siano stati per vari anni in servizio attivo. Le psicopedagogie non sono in grado di offrire valutazioni efficaci. Un formidabile strumento di valutazione periodica è la relazione che deve essere fatta (e letta dagli organi competenti) dal commissario di una data disciplina in ogni sessione d’esami.  

____________________

NOTE

Avvertenza: dovendo dare referenze a pagine pubblicate su siti web, quando è stato possibile ho dato la referenza al sito di origine; quando invece, per qualunque motivo, quella pagina era non raggiungibile o era in altra lingua, allora ho dato la referenza secondaria di un sito che l’aveva pubblicata o tradotta.

(1) Regards sur l’éducation. Les indicateurs de l’Ocde, Paris 1997. La stima OCSE per la sanità è di 3500 miliardi di dollari.

(2) Hans Peter Martin, Harald Schumann – Die Globalisierungsfalle. Der Angriff auf Demokratie und Wohlstand – Reinbeck bei Hamburg 1996. In italiano: La trappola della globalizzazione – Raetia, 1996. I brani citati nel paragrafo provengono da questo testo, gli autori del quale sono due redattori di Der Spiegel.

(3) L’Ert, fondata nel 1983 con il sostegno determinante dell’allora Commissario Europeo all’Industria Etienne Davignon e dell’ex Ministro francese François Xavier Ortoli, , riunisce i maggiori gruppi industriali e finanziari europei, con interessi nei più diversi settori: Air Liquide, BP, Bertelsmann, British Telecom, Cofide-Cir, Ericsson, Fiat, General Electric, Lufthansa, Nestlé, Petrol Fina, Philips, Renault, Rhône-Poulenc, Siemens, Société générale du Belgique, Suez- Lyonnais des eaux, Telefonica, Volvo, … con gli italiani Romiti, Tronchetti Provera, Marzotto, De Benedetti, …. Con la Presidenza della UE di Jacques Delors (dal 1985 al 1994) e successivamente con Santer, l’ERT si è consolidato come gruppo privilegiato d’influenza, partecipando ad ogni incontro che progettasse il futuro della UE.

Le cose che dirò in questo primo paragrafo prendono spunto da:                                      

Gérard de Selys – La scuola, grande affare del XXI secolo – Le Monde Diplomatique, 16 giugno 1998.  L’autore è un giornalista belga che si batte contro la privatizzazione dell’insegnamento.  Ha scritto sul tema Tableau noir, EPO, Bruxelles, 1998. 

 N. Hirtt – All’ombra della Tavola Rotonda degli industriali – Extrait de Cahiers d’Europe, n° 3, inverno 2000 e, in italiano, http://www.edscuola.it/archivio/famiglie/poledue.html.              

N. Hirtt – L’Europa, la scuola, il profittohttp://users.skynet.be/apedù   e, in italiano, http://www.edscuola.it/archivio/ped/europa_scuola_profitto.htm .

Si tratta di lavori molto importanti e di estremo interesse.

(4) ERT, Education et compétence en Europe, Etude de la Table Ronde Européenne sur l’Education et la Formation en Europe, Bruxelles, Février 1989.

(5) Commission of the European Communities, White Paper on growth, competitiveness, and employment – The challenges and ways forward into the 21st century, COM (93) 700 final, Brussels, 5 December 1993 (chapitre 3, emploi). E’ utile ricordare che gli anni che vanno dal 1989 al 1996 sono pieni di iniziative della UE per realizzare I desiderata ERT. Intanto si investono 1200 miliardi (lire) per il programma Leonardo da Vinci (Leonardo Da Vinci, programma d’azione per l’attuazione di una politica di formazione professionale della comunità europea, 1995-1999, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle comunità europee, Lussemburgo. Si veda altresì il Journal Offciel des Communautés Européennes, L 340 del 29 dicembre 1994, p. 8) e 1700 miliardi (lire) per il programma Socrates (Journal officiel des Communautés européennes, L 87 del 20 aprile 1995). Quindi si realizzano studi sull’educazione a distanza: L’educazione e la formazione a distanza, Sec (90) 479, 7 marzo 1990; Rapporto sull’insegnamento superiore aperto e a distanza nella comunità europea, Sec (91), 388 finale, 24 maggio 1991; Memorandum sull’apprendimento aperto e a distanza nella comunità europea, Com (91) 388 finale, 12 novembre 1991. Si passa infine a programmare in grande ”Creare entro la fine del 1995 centri di telelavoro per almeno 20.000 lavoratori in venti città. Si passerebbe quindi al telelavoro, entro il 1996, per il 2% dei colletti bianchi, e a 10 milioni di posti di telelavoro entro il 2000. (…) I fornitori del settore privato (…) si lanceranno sul mercato dell’insegnamento a distanza (…)” (L’Europa e la società dell’informazione planetaria, Cd-84-94- 290-IT-C, 26 maggio 1994).

(6) ERT, Une éducation européenne, Vers une société qui apprend. Un rapport de la Table Ronde des Industriels européens, Bruxelles, Février 1995.

(7) ERT, Investir dans la connaissance. L’intégration de la technologie dans l’éducation européenne, Bruxelles, Février 1997.

(8) Commission des Communautés Européennes, Livre Blanc sur l’Education et la formation. Enseigner et apprendre; vers la société cognitive, 29 novembre 1995.

(9) OCSE, Adult Learning and Technology in Oecd Countries, Paris, 1996

(10) Commissione UE, L’insegnamento a distanza nel diritto economico e nel diritto dei consumi sul mercato interno, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee, Lussemburgo, 1996.

(11) OCSE, Internationalisation of Higher Education, Paris, 1996. Les Technologies de l’information et l’Avenir de l’enseignement post-secondaire, Ocse, Parigi, 1996.  In quest’ultimo rapporto si dice : “Negli Stati uniti, il progetto Annenberg/Cpb collabora con i produttori in Europa, in Giappone e in Australia per la creazione di vari tipi di nuovi corsi, che dovranno essere utilizzati nel teleinsegnamento (…) Gli studenti diverranno clienti, e gli istituti di studi saranno concorrenti in lotta tra loro per ottenere quote di mercato (…). Gli istituti sono incitati a comportarsi come imprese”.

(12) Mark Murphy, Capital, class and adult education: the international political economy of lifelong learning in the European Union, Northern Illinois University, USA, 1997

(13) L’educazione e la formazione a distanza, Sec (90) 479, 7 marzo 1990.

(14) Rapporto sull’insegnamento superiore aperto e a distanza nella comunità europea, Sec(91), 388 finale, 24 maggio 1991.

(15)  Susan George, Quinta colonna nella UE,  Le Monde Diplomatique,  gennaio 1998. Quanto sostenuto è dimostrato dal Corporate Europe Observatory di Amsterdam.

16) J. Delors, L’Education un trésor est caché dedans, Paris 1996. In italiano: Nell’Educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo – Armando Editore, Roma 1997.

(17) UE, Libro Bianco sull’istruzione e la formazione. Insegnare ed apprendere: verso la società cognitiva. COM (95) 590 finale.  

(18) http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-policy/doc/policy/memo_it.pdf.  E’ il documento in cui si lancia  “La formazione lungo l’intero arco della vita” e si dice:

 […] il buon esito della transizione ad un’economia e una società basate sulla conoscenza deve essere accompagnato da un orientamento verso l’istruzione e la formazione permanente […] nel quadro dell’apprendimento non formale e informale; […]

E qui occorre spiegare perché altrimenti si potrebbe credere in una UE fatta di brave persone che lavorano solo per il bene dei cittadini. Leggiamo dal Memorandum della UE del maggio  2002. Esistono tre tipi di educazione: “quella formale che fornisce diplomi alla fine di un ciclo di studi; quella non formale fuori dagli istituti d’istruzione che non porta a diplomi; quella informale che è un corollario della vita quotidiana”.  Questa disquisizione è fatta per sostenere che occorre puntare sull’educazione informale, riserva considerevole di sapere e possibile sorgente d’innovazione per metodi e contenuti. Ma dove si  può educare informalmente? Lo dice la stessa UE: Per avvicinare l’offerta di formazione al livello locale bisognerà anche riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine di creare dei centri appropriati di acquisizione delle conoscenze nei luoghi della vita quotidiana in cui si riuniscono i cittadini, non solo gli istituti scolastici, ma anche i centri municipali, i centri commerciali, le biblioteche i musei, i luoghi di culto, i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e autostradali, i centri medici e i luoghi di svago, le mense dei luoghi di lavoro“. Insomma, ci vediamo in piazza o al biliardo e ci educhiamo vicendevolmente. Che ipocriti imbroglioni !

Si deve anche sapere che, l’Allegato 2 inserito alla fine del Memorandum lancia le prove di valutazione PISA su scala europea, affermando:

Il cambiamento di prospettiva attuale, che consiste nel considerare con maggiore attenzione l’istruzione e la formazione permanente non solo a fini educativi, ma anche dal punto di vista dell’occupazione, della crescita economica, dell’esclusione sociale ecc., dovrebbe modificare la prospettiva d’analisi della maggior parte delle fonti succitate [Pisa, Timss, Ials, ndr], rivelando informazioni nascoste, fino ad oggi non sfruttate per mancanza di un’espressa necessità politica. In questa nuova prospettiva, tali fonti potranno essere modificate al fine di migliorare la copertura dei diversi aspetti dell’istruzione e della formazione lungo l’intero arco della vita.

(19) http://www.europarl.europa.eu/summits/lis1_it.htm#b  In tale documento si dice anche:

25. I sistemi europei di istruzione e formazione devono essere adeguati alle esigenze della società dei saperi e alla necessità di migliorare il livello e la qualità dell’occupazione. Dovranno offrire possibilità di apprendimento e formazione adeguate ai gruppi bersaglio nelle diverse fasi della vita: giovani, adulti disoccupati e persone occupate soggette al rischio che le loro competenze siano rese obsolete dai rapidi cambiamenti. Questo nuovo approccio dovrebbe avere tre componenti principali: lo sviluppo di centri locali di apprendimento, la promozione di nuove competenze di base, in particolare nelle tecnologie dell’informazione, e qualifiche più trasparenti.

26. Il Consiglio europeo invita pertanto gli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali, il Consiglio e la Commissione ad avviare le iniziative necessarie nell’ambito delle proprie competenze, per conseguire gli obiettivi seguenti:

  • […]
  • le scuole e i centri di formazione, tutti collegati a Internet, dovrebbero essere trasformati in centri locali di apprendimento plurifunzionali accessibili a tutti, ricorrendo ai mezzi più idonei per raggiungere un’ampia gamma di gruppi bersaglio; tra scuole, centri di formazione, imprese e strutture di ricerca dovrebbero essere istituiti partenariati di apprendimento a vantaggio di tutti i partecipanti;
  • un quadro europeo dovrebbe definire le nuove competenze di base da fornire lungo tutto l’arco della vita: competenze in materia di tecnologie dell’informazione, lingue straniere, cultura tecnologica, imprenditorialità e competenze sociali; dovrebbe essere istituito un diploma europeo per le competenze di base in materia di tecnologia dell’informazione, con procedure di certificazione decentrate, al fine di promuovere l’alfabetizzazione “digitale” in tutta l’Unione;
  • […]
  • dovrebbe essere elaborato un modello comune europeo per i curriculum vitae, da utilizzare su base volontaria, per favorire la mobilità contribuendo alla valutazione delle conoscenze acquisite, sia negli istituti di insegnamento e formazione che presso i datori di lavoro.

(20) http://europa.eu/legislation_summaries/education_training_youth/lifelong_learning/c11088_it.htm. La riunione dei ministri dell’Istruzione della UE si tenne a Bologna nel 1999 su sollecitazione di Berlinguer. Da questo incontro nacque il famigerato 3 + 2 che ha portato l’Università italiana al disastro.

“Il processo di Bologna ha lo scopo, tra l’altro, di far convergere i diversi sistemi di insegnamento

Rendere i titoli accademici comparabili e promuovere la mobilità

La dichiarazione di Bologna si articola in sei azioni:

  • un sistema di titoli accademici facilmente riconoscibili e comparabili. Comprende l’attuazione di un supplemento al diploma condiviso per migliorare la trasparenza;
  • un sistema fondato essenzialmente su due cicli: un primo ciclo utile per il mercato del lavoro di una durata di almeno 3 anni e un secondo ciclo (Master) che richiede il completamento del primo ciclo;
  • un sistema di cumulo e trasferimento di crediti del tipo ECTS, utilizzato nell’ambito degli scambi Erasmus;
  • la mobilità degli studenti, degli insegnanti e dei ricercatori: l’eliminazione di tutti gli ostacoli alla libertà di circolazione;
  • la cooperazione per assicurare la qualità;
  • la dimensione europea nell’insegnamento superiore: accrescere il numero di moduli e di filoni d’insegnamento e di studio, il cui contenuto, orientamento o organizzazione presentino una dimensione europea”.

(21) E’ estremamente utile, a questo punto, leggere il bel lavoro di Chiara Nappi  (Autonomia locale e scuole pubbliche – Sapere, Ottobre 1999) dove si traccia un quadro di grande interesse della scuola pubblica USA con la sua autonomia. Il rapporto governativo sullo stato inaccettabilmente basso sui livelli di istruzione in USA è: US National Commission on Excellence, A Nation at Risk, Government Printing Office, Washington DC, 1983 (il libro creò scalpore). Un resoconto dettagliato del livello deplorevole della scuola negli USA si può trovare in: OCSE, Education in a Glange: Oecd Indicators 1998, Paris 1998.   Una storia succinta e documentata della scuola USA fino al disastro si trova al Cap. 8 di: C. Lash, La ribellione delle élite, Feltrinelli, Milano 2001. Recentemente (2002) si è varata una riforma (Education Bill: No Child Left Behind) che lega il finanziamento delle scuole pubbliche ai risultati di alcuni test valutativi annuali. Se si supera un certo valore nelle qualificazioni per alunno che poi diventa qualificazione del centro scolastico, si avranno fondi. Ciò che ancora oggi non si è chiarito è come regolarsi con i test. Se li prepara la scuola sono gratuiti ma non si immagina scuola che si bocci. Preparati in modo scientifico costano invece una media di 25 dollari  per  studente.  Questa cifra, moltiplicata per il numero degli studenti dà 7 miliardi di dollari l’anno. Ma il finanziamento per la voce test prevede  370 milioni di dollari per il 2002.                                    

(22) Stati Uniti: l’impresa privata all’assalto della scuola, Classe Struggle n° 26, gennaio-febbraio 2000. In questo articolo della rivista USA, si possono trovare anche dei dati sulla scuola USA.

(23)  N. Klein, No Logo, Cap. IV, Baldini & Castoldi, Milano 2001.

(24) Banca Mondiale, L’educazione nel mondo che cambia, 1999. Vi sono anche critici di grande peso culturale alle posizioni dei vari organismi come WTO, Banca Mondiale, Tesoro USA, FMI, … tra questi c’è il premio Nobel per l’economia del 2001, Joseph Stiglitz, che in varie opere, tra cui La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi 2003, ha sostenuto cose come le seguenti: Così come non può funzionare il protezionismo generalizzato, anche una liberalizzazione troppo rapida del commercio genera danni. Costringere un paese in via di sviluppo ad aprire le proprie frontiere in modo indiscriminato può avere conseguenze disastrose sia sociali che economiche. È così che sono stati distrutti milioni di posti di lavoro e la povertà non solo non è stata sradicata ma, al contrario, è aumentata. … Sono dunque le regole della globalizzazione a essere sbagliate e questo accade perché gli organismi che le dettano si basano su una miscela perversa di ideologia e politica che impone soluzioni a favore degli interessi dei paesi industrializzati più avanzati.” Queste posizioni che pure non negano la globalizzazione in quanto tale e mantengono una grande fede nell’assolutismo della concezione di democrazia USA: “la globalizzazione può essere una forza positiva. Essa ha cambiato il modo di pensare della gente e ha diffuso l’ideale di democrazia e il benessere”, queste posizioni, dicevo, non incidono per ora nelle politiche neoliberiste più nefaste soprattutto verso i Paesi più poveri del mondo. Sono nettamente minoritarie come dimostra l’avanzata, che sembra inarrestabile, di tali politiche.

(25) Lamy Adresses Need for New WTO Round, 8 giugno 2000.   L’intervento di Lamy si può leggere in: http://europa.eu.int/comm/commissioners/lamy/speeches_articles/spla23_en.htm I vari interventi di Lamy in qualità di Commissario UE al commercio, si possono trovare in http://europa.eu.int/comm/commissioners/lamy/speeches_articles/speech_lamy.htm

(26)  Si veda Susan George e Ellen Gould, Sanità ed Istruzione consegnate alle transnazionali, Le Monde Diplomatique, Luglio 2000.  Si veda: http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Luglio-2000/0007lm03.01.html, anche per altre vicende che vedono la UE implicata in altri scavalcamenti di normative nazionali, al fine di aderire completamente al mercato globale.

(27) Vedi nota 16a.

(28) http://www.censis.it/censis/ricerche/2002/minori/index.html

(29) http://www.edulife.it/Portal/DesktopDefault.aspx

(30)  http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2001/com2001_0172it01.pdf e http://www.career-space.com.

(31) Il testo completo della Decisione lo si può trovare in italiano al seguente indirizzo: http://europa.eu.int/comm/education/programmes/elearning/programme_en.html. Se si vogliono ulteriori informazioni su eLearning si può andare a http://www.elearningeuropa.info/index.php?lng=5&doclng=5

(32) E’ utile ricordare che, anche nelle vituperate prove PISA, la scuola privata (confessionale) italiana è uscita con le ossa rotte rispetto alla scuola pubblica di Stato. Dalle prove PISA risulta che gli studenti delle scuole private hanno un livello di competenze acquisite nettamente inferiore a quello degli studenti delle scuole pubbliche sia nelle conoscenze matematiche, sia nella comprensione del testo, sia nelle competenze scientifiche. Si noti che queste statistiche non tengono conto del livello di istruzione e di reddito dei genitori (più alto nella scuola privata) che mediamente porta a risultati migliori dei figli. Qualora si controllasse per questi fattori il divario sarebbe ancora più accentuato.

(33) Il Memorandum della UE del 3 ottobre del 2000 (vedi nota 18) elenca alcune competenze che è utile tenere presenti:

Come spunto di discussione il presente Memorandum definisce le nuove competenze di base come le competenze indispensabili alla partecipazione attiva nella società e nell’economia della conoscenza – sul mercato del lavoro e sul luogo di lavoro stesso, in senoa comunità “reali” e virtuali, nonché in una democrazia – in quanto persona dotata di unapercezione coerente della propria identità e dell’orientamento della propria vita. Alcune diqueste competenze, quali l’alfabetizzazione digitale, sono del tutto nuove, mentre altre, tra cuila conoscenza delle lingue straniere, acquisiscono rispetto al passato un’importanza sempremaggiore e per un numero sempre maggiore di persone. Anche le competenze sociali, quali lafiducia in sé [sic !] stessi, l’autodeterminazione e la capacità di assumere dei rischi, sono sempre piùdeterminanti, in quanto si suppone che le persone acquistino sempre maggiore autonomiarispetto al passato. Le competenze relative allo spirito imprenditoriale si traducono nellacapacità dell’individuo di migliorare la sua prestazione sul piano professionale e nellacapacità di diversificare le attività di una società. Esse favoriscono anche la creazione diimpiego, sia nelle società esistenti, in particolare nelle PMI, che nell’ambito del lavoroindipendente. Imparare ad apprendere, sapersi adattare al cambiamento e gestire i grandiflussi d’informazione sono le competenze generali di cui ciascuno di noi oggigiorno dovrebbedisporre. I datori di lavoro esigono sempre più dalla manodopera la capacità di apprendere, diassimilare rapidamente le nuove competenze e di adattarsi alle nuove sfide e situazioni. Benché la padronanza di tali competenze di base sia di capitale importanza, essa costituisce solo la prima fase di un percorso continuo di formazione lungo l’intero arco della vita. Il mercato del lavoro odierno è caratterizzato dalla costante evoluzione dei profili professionali per quanto riguarda le competenze, le qualifiche e l’esperienza. La carenza di personale qualificato e la carenza di competenze non adeguate al profilo della domanda, in particolare nelle TIC [Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ndr], sono tra le principali ragioni del persistere di un elevato tasso di disoccupazione in talune regioni, comparti dell’industria o categorie sociali sfavorite. Coloro che non sono stati  in grado, per qualsivoglia ragione, di acquisire un livello minimo di competenze di base, devono avere la possibilità di colmare in qualsiasi momento tale lacuna, anche se in passato hanno fallito o non hanno saputo approfittare delle occasioni che si sono loro presentate.

(34) Chris Hedges, Why the United States Is Destroying Its Education System (Perrché gli Stati Uniti distruggono il loro sistema scolastico), 23 gennaio 2012. http://www.zcommunications.org/why-the-united-states-is-destroying-its-education-system-by-chris-hedges

(35) http://www.andu-universita.it/2012/03/17/statuti-lauree .  Le università di Palermo, Pisa, Trieste si sono aggiunte a quelle citate nella lettera.

(36) http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2011/12/15/SCUOLA-Aprea-vi-spiego-le-intenzioni-di-Profumo-su-scuola-e-universita/2/229357

(37) http://www.retedellaconoscenza.it/news/392-se-con-una-lettera-aumentano-le-tasse-agli-studenti-e-cancellano-il-futuro.html

(38) http://www.radicali.it/comunicati/20120111/vogliamo-liberare-l-universit-prime-firme-allappello-risposte-alle-domande-sulla Giavazzi, il bocconiano, ha detto : “basta con le schiere di impiegati pubblici che cercano la laurea facile, talora con lo sconto in forza di convenzioni, solo per fare un passo avanti nella carriera”. Mi permetto di ricordare a tanto ingegno, che tutto il mondo c’invidia, che dai tempi di Frege la logica aristotelica è passata in disuso. La sua frase avrebbe senso se indicasse le università soggetto del mercimonio e ne chiedesse la chiusura e l’arresto di chi opera illegalmente. Per svariati ladroni che operano dovunque, non si possono penalizzare tutti i cittadini. Non piacerebbe al Giavazzi che mi rivolgessi a lui chiamandolo “Betulla”.

A chi sostiene la necessità di dare pesi diversi a diverse università secondo le valutazioni ANVUR, Luca Schiaffino osserva giustamente (http://www.lavoce.info/commenti/281002866.html):

Prescindendo dal merito, del tutto non condivisibile, l’idea di assegnare persi diversi alle lauree conseguite in atenei diversi poteva eventualmente funzionare all’epoca del fascismo, ma oggi si dà il caso che facciamo parte dell’unione europea e i concorsi pubblici sono aperti a tutti i cittadini europei. Cosa dovrebbe fare l’ANVUR, allora? Una classifica degli atenei di tutta Europa? E se un Italiano si è laureato negli USA o in Canada? Lo escludiamo dal diritto di partecipare ai concorsi o mettiamo direttamente l’ANVUR a fare una bella classifica mondiale? Chiediamo a tutti i professori universitari del mondo di mandare tre pubblicazioni a piazzale Kennedy?”

(39) http://www.andu-universita.it/2012/03/05/consultazione 

(40) http://blog.ilmanifesto.it/quintostato/2012/03/22

(41) http://cnu.cineca.it/notizie06/valore_legale_-_gigi_bua.pdf

(42) L’articolo 114 del Titolo V oggi recita:

Art. 114

La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.

Questa apparente inutile precisazione è servita a scavalcare l’articolo 33 nella parte in cui si dice:

La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

Infatti è lo Stato che non deve finanziare le scuole private e/o confessionali ma la Repubblica può farlo !

    




Categorie:SCUOLA

1 replies

  1. 1989

    "Mi piace"

Rispondi