La sintesi Maragliano

LA SINTESI MARAGLIANO

La destrutturazione colpisce tutto, anche la storia: “Per quanto riguarda la storia recente, va tenuto presente che il Novecento non si caratterizza solo per un insieme notevolmente complesso di avvenimenti ma anche per l’affermarsi di ottiche, teorie, linguaggi assai diversi da quelli tradizionalmente adottati dalla scuola …. Gli attuali strumenti di studio vanno dunque adeguatamente integrati, ad esempio, con l’impiego di repertori di dati, immagini, ricostruzioni visuali”. Insomma cronaca e non storia, immagini per non fare fatica e taglio drastico sulla storia antica, sulle radici, cosicché, quando ad esempio si studierà la questione palestinese, chi conoscerà la storia di quelle terre? E senza questo riferimento ogni disciplina umanistica e scientifica non ha più basi. La Sintesi prosegue: “Maggiore attenzione, nell’ambito della didattica, dovrebbe essere data alla utilizzazione di una pluralità di strumenti educativi, quali:

testi di buona divulgazione, per tutti gli ambiti disciplinari, scritti con abilità narrativa e capaci di attrarre l’interesse degli allievi;

…. pratiche di gioco, e non solo a livello elementare. Il vero gioco è vivace, lieve, ma anche appassionato, e quindi serio. L’esigenza di alleggerire il carico culturale e materiale della nostra scuola va inteso anche in questo senso: vale a dire come invito a proporre, tutte le volte che ciò sia possibile, contesti didattici all’interno dei quali apprendere sia esperienza piacevole e gratificante;

impiego delle macchine della conoscenza e dell’elaborazione di informazioni e problemi. In particolare, gli strumenti multimediali sono estremamente motivanti per bambini e ragazzi, perché non hanno affatto odore di scuola (sottolineatura mia), danno loro il senso di disporre di risorse per il saper fare e consentono di non disperdere, ma valorizzare, in un quadro intellettuale più strutturato, forme di intelligenza intuitiva, empirica, immaginativa, assai diffuse tra i giovani.”

Insomma: illustrazioni, foto, filmati, disegni, immagini, divulgazioni, libri con molta iconografia, gioco, tutto piacevole, dibattiti, gite, conferenze, uscite, … Walt Disney insomma. Il bagaglio su cui si è formato Maragliano con i risutati a tutti visibili. Tutto meno che scuola perché quest’ultima ha odore sgradevole. Al fine del saper fare! E di adagiarsi su capacità intuitive, empiriche, immaginative.

Anche le scienze, forti di intuizione, empirismo ed immaginazione degli studenti, hanno il privilegio della citazione:

“La ricerca sulla matematica non scolastica indica la necessità di insegnare agli studenti ad usare idee e tecniche di tipo matematico nella soluzione di problemi diversi (sia di scienze fisico-naturali sia di scienze sociali). Sembra essenziale, a questo riguardo, che bambini e ragazzi non perdano il piacere del matematizzare, non siano demotivati da eccessi di formalismo e siano aiutati dagli insegnanti e dagli stessi compagni a pensare a percorsi alternativi di soluzione e ad utilizzare in positivo le dinamiche degli eventuali errori.”

Qui si sta dicendo che uno degli ultimi luoghi dove si conquistano le abilità astrattive, va demolito, con tutto ciò che segue. E si dice anche che il formalismo matematico è da buttare (era inevitabile che dopo il latino si attaccasse la matematica). La fisica, poi, fa un poco di paura ad un pedagogista. Parla di simulazioni al computer, riuscendo con un colpo di penna, a vanificare gli sforzi di chi, per anni, ha tentato di fare la prima rivoluzione scolastica, quella galileiana. Simulare un esperimento, al livello scolare di cui si discute, è fuorviante se non si conosce bene cosa è un trasduttore (un certo evento che diventa segnali elettromagnetici che poi traduciamo in dati di spazi e tempi) e se non si è ancora in grado di cogliere l’onestà dello strumento. Insomma: il fenomeno è prodotto dallo strumento o è simulato da esso? Riguardo poi al pedagogista che parla di scienza con “contrasti con altre forme del pensiero”, lasciamo perdere.

Occorre togliere alla scuola ciò che sa di scuola perché la scuola non interessa, soprattutto se è scuola pubblica:

“Bisogna intervenire sull’editoria scolastica, sollecitandola a (e fornendole le condizioni per) maturare nuove scelte produttive, a favore di testi essenziali (per gli studenti) e più ampi e documentati (per i docenti); ………

quindi i testi scolastici devono essere concisi e non disperdersi in cose, magari importanti, che fanno perdere tempo;

sono i docenti che devono sapere di più e quindi, loro, debbono avere testi più ricchi su cui prepararsi;

si intende puntare seriamente sulla riqualificazione permanente dei docenti;

dalle opportunità offerte da un mercato interno e internazionale in cui si fa sempre più forte la domanda di prodotti di divulgazione di elevato profilo culturale e che utilizzino al meglio le risorse della tecnologia”.

In definitiva i testi più ricchi per i docenti servivano a questo. Sono sempre possibili poi corsi a distanza per aggiornare chi non conosce il proprio mestiere e soprattutto chi non sa divulgare (e tali corsi, senza che per questo si vergognino, li fanno proprio i pedagogisti, facendosi pagare fior di quattrini). Ma ciò a cui si tiene di più è al fatto che gli insegnanti sappiano usare le nuove tecnologie, cioè internet (perché immagino che la TV ed il video venga concesso loro come acquisito). Come poi ci si istruisca con internet, senza avere una importante preparazione di base, i pedagogisti non lo spiegano.

“L’istruzione e la vita famigliare dovrebbero essere maggiormente connesse che nel passato. ……..

Dibattiti e discussioni, rigorosamente preparati, sono strumenti cruciali, anche all’interno del gruppo classe, per la creazione di quel “mettere in questione” e di quella autonomia intellettuale che idealmente formano le basi di una moderna società civile.”

Dibattere quindi, come in TV. E, dati i livelli di preparazione di base, questo dibattere scimmiotterà proprio la TV. Ma quale sarebbe questa società civile? Lo dicono, lo dicono, non sono reticenti:

“Far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova cultura del lavoro significa investire su due fronti: l’orientamento e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il superamento della “cultura del posto” a vantaggio di una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la preparazione all’autoimprenditorialità. Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano all’impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme dell’apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell’educazione permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo.”

Le intenzioni sono chiarissime: la scuola deve preparare secondo i voleri dell’Impresa neoliberista educando anche alla sottomissione ed all’accettazione dell’esistente.

I miti pedagogisti (Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe, Maragliano, Vertecchi, Mario Vegetti) utilmente ricercati dai cultori della didattica delle varie discipline, hanno smesso le vesti dell’agnello per trasformarsi in animali famelici. Hanno instaurato una sorta di perverso sistema epistemologico senza verifiche. Mentre i cultori della disciplina, a scuola, avevano un qualche confronto con prove di valutazione od esame, lor signori sfuggivano e sfuggono a ciò, potendo cambiare olimpicamente i loro postulati in corso d’opera. A me (e non solo) è sembrata un’operazione di potere che i pochi onesti rimasti (e ve ne sono, per Giove!) hanno tentato inutilmente di ridimensionare. A riprova di quanto dico basti vedere la crescita abnorme degli Istituti di Scienza dell’Educazione che proliferano sul territorio nazionale. E, fatto straordinario per nulla da intendersi come coincidenza, questa crescita è diventata patologica proprio nel momento della maggiore caduta verticale della parte formativa della nostra scuola. Occorre ammettere che lor signori non difettano di fantasia, di giustificazionismo, di bla bla bla … pur di ottenere una qualche misera ma appagante cattedra. In fondo, tra tante, una cattedruccia non si nega a nessuno. Abbiamo infatti a che fare con una miriade di esse: psicologia dell’educazione, psicologia dell’età evolutiva, sociologia dell’educazione, antropologia dell’educazione, semiotica dell’educazione, didattica generale, educazione degli adulti, educazione permanente, scienza della valutazione, didattiche varie, didattiche della didattica, …. Non è da stupire tale ricaduta accademica. Se un gruppo sociale ti permette di giustificare risparmi e lavora per il consenso, merita di essere premiato. Cosa fa la pedagogia? la teorizzazione cavillosa degli enunciati più banali; l’elevazione a scienza ed alla formalizzazione di: istanze ideologiche, motivi di moda, comportamenti non definiti. L’idealismo, in questo assolutamente preveggente, l’aveva messa tra le ancelle della cultura. Oggi è assurta a protagonista accademica avendo prodotto per partenogesi gli insegnamenti di cui sopra.

Con questi apprendisti stregoni, la scuola passa gran parte del suo tempo a discutere se stessa e la sua modificazione e, a forza di percepire l’oggetto dal punto di vista della sua riforma (in sé), ci dimentichiamo dell’oggetto per sé. In particolare i contenuti non esistono più, ingombrano e basta, anche perché i nostri pedagogisti hanno poca dimestichezza con essi (si leggano le pagine liriche di Maragliano sui videogiochi per comprendere). Inoltre se sommiamo al pedagogista di moda il populismo di certo cattolicesimo, alla Bertagna (addirittura digiuno di Don Milani), che ricopre di disprezzo i saperi astratti e complicati dei borghesi, per vantare i saperi concreti e semplici delle classi popolari (come dire: tu popolaccio, occupati solo della produzione! Quello è il tuo destino!), ci possiamo avvicinare alla comprensione del potere distruttivo del pedagogista.



Categorie:Cultura Generale

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