BERLINGUER-BASSANINI
“Quadro di riferimento e linee guida della riforma.
In un mondo nel quale l’evoluzione dell’organizzazione sociale e del lavoro fa presumere che ciascun individuo, nel corso della propria esistenza, sia chiamato a cambiare più volte la propria attività lavorativa, è evidente che la pretesa della scuola di consegnare saperi, abilità e capacità definitive deve essere in parte abbandonata e che si deve, invece, puntare allo sviluppo di requisiti quali la capacità di apprendere, di scegliere, di cooperare, di risolvere i problemi; occorre inoltre che il sistema dell’istruzione perda la sua caratteristica di struttura fortemente piramidale, dove ogni ciclo di studio ha funzione fondamentalmente propedeutica rispetto ai cicli successivi, per assumere una struttura modulare nella quale ogni segmento identifichi precise soglie da raggiungere e consolidi risultati spendibili in termini culturali, scientifici e professionali. Solo una struttura siffatta può garantire l’apertura del sistema dell’istruzione a momenti diversificati di approfondimento e di specializzazione e la sua valorizzazione come risorsa utilizzata in modo sinergico con la formazione professionale e con le altre offerte culturali.
L’innalzamento della qualità del sapere richiede, poi, necessariamente, una rinuncia alla quantità eccessiva delle nozioni. In una società traboccante di informazioni e risorse culturali la scuola oltre alla funzione fondamentale di fornire un approccio sistematico alla conoscenza, deve offrire ai giovani le chiavi per la lettura dei dati, la capacità di orientarsi e di appropriarsi degli elementi necessari per la crescita, per l’impostazione dei problemi, per la scelta dei settori ai quali dedicare un approfondimento. […]
La capacità di apprendimento deve essere potenziata e sviluppata per favorire la crescita di autonomie individuali capaci di riconversione professionale e di apertura alle evoluzioni dei saperi nel corso dell’intera vita”.
La prima legge pesante che interveniva sulla scuola era quella che introduceva l’Autonomia scolastica (Legge Bassanini), legge annunciata dal documento Berlinguer ora visto. La parola autonomia è apparentemente affascinante ma, nel contesto scuola, è ambigua ed assume significati preoccupanti in quanto propedeutici alla paventata privatizzazione (oltre al fatto, non trascurabile, che così come è stata imposta l’autonomia è la negazione di quella culturale della scuola stessa). Nella suddetta Legge sono sostenute varie cose e, sempre, autonomia è coniugata con flessibilità, in contemporanea con l’approvazione del pacchetto Treu (Legge 196/97) sulla precarizzazione e flessibilità del lavoro (l’introduzione di una sfilza di lavori flessibili fatta ancora dal centrosinistra, senza alcun sostegno a chi sarebbe restato senza lavoro tra un lavoro flessibile ed un altro). Leggiamo alcune delle cose previste nella Bassanini, rimandando a più oltre la discussione sull’autonomia scolastica:
– estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche;
– compensi di incentivazione o similari;
– razionalizzare gli organi collegiali esistenti anche mediante soppressione;
– criteri di flessibilità;
– sistemi per la valutazione;
– elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati;
– collegare l’esito dell’attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse;
– realizzare l’autonomia (vedi oltre);
– obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi;
– ai capi d’istituto è conferita la qualifica dirigenziale contestualmente all’acquisto della personalità giuridica e dell’autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche;
– attribuzione della dirigenza ai capi d’istituto attualmente in servizio, assegnati ad una istituzione scolastica autonoma, che frequentino un apposito corso di formazione.
Quanto scritto è sufficientemente chiaro. Ma sono utili alcune specificazioni. E’ da notare che solo se la valutazione della produttività scolastica di cui sopra darà esito positivo le scuole avranno dei soldi, non essendo mai ben chiarito cosa questi concetti provenienti dal mondo dell’impresa c’entrino con il mondo della scuola. Si interviene sugli insegnanti differenziando il loro status non tanto sulle funzioni quanto sui salari variabili. L’artefice della gestione complessiva dovrà essere il vecchio preside o direttore didattico che ora diventa dirigente (ultimo punto) in qualche modo inteso come manager. Questa figura (anche in relazione allo spoils system introdotto dallo stesso Bassanini) merita attenzione per il ruolo che ha svolto in termini di conflitto d’interessi e di coinvolgimento sindacale confederale e non alla digeribilità sociale di quanto si faceva.
E’ ancora Bassanini che definisce la Dirigenza, che dovrebbe essere la guida illuminata dell’Autonomia.
“Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare il dirigente scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali … Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti, ed è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con autonomia operativa, nell’ambito delle direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell’istituzione scolastica, coordinando il relativo personale”.
E, tra le altre competenze, gli viene assegnato anche “l’esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie” che si fa un poco di fatica a capire a meno di non confrontare questo con quanto ha fatto qualche anno dopo la Moratti e quindi con l’integralismo cattolico. Nel Decreto in oggetto si stabilisce anche che diventeranno dirigenti coloro che supereranno un corso-concorso selettivo (al quale potranno partecipare tutti i Presidi e Direttori Didattici in servizio ed anche coloro che sono distaccati, in gran parte sindacalisti) e che il contratto di lavoro di tali dirigenti sarà regolato in apposita contrattazione sindacale.
Ed arriva il contratto, una delle cose di cui più si dovrebbe preoccupare ogni cittadino. Al punto 6 dell’articolo 41 (Valutazione dei Capi d’Istituto), in riferimento a quel famoso corso-concorso, si dice: “Prima di procedere a formalizzare una valutazione non positiva, i nuclei [di valutazione] acquisiscono in contraddittorio le deduzioni del dirigente scolastico interessato, il quale potrà essere assistito da un rappresentante dell’organizzazione sindacale cui egli aderisce o comunque conferisce mandato e/o da un legale di sua fiducia”.
Il paragrafo 8 dell’articolo 21 della legge 59/97 così recita:
Capitolo IV, Capitolo 21, Comma 8 – L’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali, fermi restando i giorni di attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione dell’attività didattica in non meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere assolti invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di un’apposita programmazione plurisettimanale.
Comma 9 – L’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale d’istruzione, nel rispetto della libertà d’insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto ad apprendere.
Si tratta di una destrutturazione completa della scuola che, come si dice altrove, dovrà servirsi di criteri di flessibilità, di lavoro incentivato, di criteri di valutazione dai quali dipenderà il finanziamento delle singole scuole. Per far fronte a questa rivoluzione occorre un vero e proprio manager che assicuri la gestione unitaria dell’istituzione, ne abbia la legale rappresentanza, sia responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio ed al quale spettino autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare il dirigente scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali. Ed abbiamo già visto in quale modo indegno sono stati reclutati questi manager e l’operazione la dice lunga sulla serietà dell’intera operazione che di fatto è rimasta in mano a burocrati diventati dirigenti ope legis. Inoltre, a lato di norme che in un contesto di scelte comunicate e condivise potrebbero avere un loro significato, vi sono le prime rotture democratiche che aprono sfacciatamente alla privatizzazione. Si dice infatti che il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti.
La parte didattica prevedeva la fine dei programmi nazionali di studio con l’istituzione inizialmente di un Piano Educativo d’Istituto (PEI), poi diventato Piano di Offerta Formativa (POF), che ogni scuola deve preparare anno per anno per offrirlo ai suoi clienti al fine di accaparrarne il più possibile battendo la concorrenza della scuola vicina (più clienti più soldi, uno dei motivi per cui le bocciature sono sparite). I POF ed i percorsi individuali degli studenti (ciascun studente si prepara un percorso di studio in cui artificiosamente mette insieme pezzi stravaganti di tutte le discipline cercando di costruire un discorso unitario da presentare agli esami e nel quale non si è mai vista entrare la matematica), uniti all’abbandono dei programmi nazionali, hanno rappresentato la fine di ogni approccio serio allo studio. Di fronte alla rinuncia di impegno e metodo nei riguardi degli studenti (alla quale si affiancava un loro statuto, DPR 249/98), si perdeva ogni riguardo verso gli insegnanti che, per buon peso, per la loro funzione completamente svalutata dovevano essere valutati.
E qui è d’obbligo un definitivo chiarimento. Questa valutazione degli insegnanti, che era addirittura sistemata all’interno del Contratto di Lavoro 1998, ha assunto il nome di concorsone (Articolo 29 del CCNL, Comparto Scuola 1998-2001 e DM 317/99). Era pensato come una tantum per assegnare all’incirca 120 euro lordi in più al mese non già a tutti coloro che lo avessero superato ma solo ad una percentuale al 20% del personale di ruolo della scuola (e se la prova fosse stata superata dal 30% del personale a chi si sarebbe dato l’aumento?). Inoltre, ed è la cosa più grave, ma in accordo con la destrutturazione della scuola che non deve inseguire saperi specifici, la prova di concorso sarebbe stata un test con quesiti a risposta multipla preparato non già da esperti nelle singole discipline ma da psicopedagogisti, come si usa per le assunzioni in fabbrica (La prova sarà articolata in sezioni comuni ai vari ordini e gradi dell’istruzione e in settori specifici, strutturati in modo da consentire l’accertamento sia delle competenze pedagogiche metodologico-didattiche, dell’aggiornamento professionale nelle discipline di insegnamento). Questo concorso, fino all’ultimo sostenuto dagli stessi sindacati scuola confederali che lavoravano in perfetta sintonia con la Pubblica Istruzione e non con gli iscritti, decadde per le dure proteste degli insegnanti innanzitutto contro il sindacato (!). Senza che nessuno dei dirigenti sindacali abbia sentito il dovere morale di dimettersi.
Tra le righe di questa frenesia riformatrice merita distaccare il comitato per valutare il prodotto educativo (Direttiva 307/97), l’introduzione dei citati crediti e debiti (DM. 24/00), che nascono in vista di una carta europea extrascolastica ed in vista dell’educazione permanente preconizzata dall’ERT e dall’OCSE, insieme a tanti altri orpelli utili solo al divertimento dei pedagogisti (pause didattiche, PEI, POF, funzioni obiettivo, valutazioni formali intermedie, statuti degli studenti – populisti, ndr -, valutazioni spersonalizzate con sistemi discutibili che tendono via via a portarci alle esperienze anglosassoni con la sparizione, ad esempio, del momento fondamentale della valutazione orale), … l’immissione in ruolo dei professori di religione (che sarà realizzato da Moratti) e la contraddizione, rispetto alle premesse, delle abilitazioni e passaggi di cattedra facili ed infine la perla della parità scolastica tra scuola pubblica e privata (Legge 62/00). Su quest’ultimo provvedimento mi ripeto perché gravissimo: poiché vi era l’articolo 33 della Costituzione che impedisce allo Stato il finanziamento di scuole private, nella riforma della Costituzione è stato inserito un marchingegno truffaldino. Nel nuovo articolo 114 della “nuova” Costituzione (Riforma del Titolo V) si legge: “La Repubblica Italiana è costituita dai Comuni, dalle Città metropolitane, dalle Province, dalle Regioni, dallo Stato”. Quindi lo Stato è uno tra i vari enti citati. La conseguenza è che si è saltato bellamente l’articolo 33 della Costituzione che riconosceva le scuole private ma ne vietava il finanziamento sotto qualsiasi forma da parte, appunto, dello Stato. Con la nuova dizione questa porta era e resta spalancata. In pratica se i soldi provengono, ad esempio, dalle Regioni e non dallo Stato il finanziamento pubblico diventa lecito (la Regione Emilia Romagna ha iniziato seguita dalla Regione Lombardia e quindi … La buona notizia è che un referendum popolare a Bologna nel 2013 ha detto no al finanziamento per un milione di euro/anno alle scuole d’infanzia). Ma a tutt’oggi (2015) il governo Renzi vuole detassare i genitori che iscrivono i loro figli alle private fregandosene del tutto di quell’odioso articolo 33.
Categorie:Didattica
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