di ENO SANTECCHIA
Non tutti sanno che anche nella cittadina di Caldarola (MC), da quasi 90 anni, vi è un monumento al grande filosofo Giordano Bruno. La lapide di marmo e bronzo era originariamente fissata su una colonna del porticato del Palazzo Pallotta nella piazza Maggiore (piazza Vittorio Emanuele II). Durante il ventennio fascista, essa fu tolta dall’originale sede e murata su una parete nell’atrio dello stesso palazzo, attuale residenza del Municipio. Prima di vedere come si svolse l’inaugurazione, cerchiamo di scoprire di che stoffa era quest’uomo che, quando gli venne letta la sentenza di condanna a morte, esclamò la famosa frase: “Forse voi che pronunciate questa sentenza avete più paura di me che la subisco”.
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L’inaugurazione del monumento – Sabato 12 giugno 1909, ad opera di 64 cittadini, fu costituito a Caldarola un comitato “per un ricordo a Giordano Bruno”. Tra i promotori dell’iniziativa alcuni caldarolesi residenti a Newark (USA). Presidente onorario del comitato era il dott. Leopoldo Sabbatini segretario generale della Camera di Commercio, vice presidente il maestro Antonio Buscalferri, sergente garibaldino di Esanatoglia, tra i consiglieri l’ingegner Filippo Amici.
Si voleva ricordare colui: “… che volle svelare il gran mistero che avvolgeva la natura, scardinando con vigorosa dialettica la concezione geocentrica e la fantastica impalcatura dogmatica della Chiesa”.
Domenica 3 settembre 1911, data dell’inaugurazione, fu una soleggiata e splendida giornata che registrò una notevole partecipazione di liberi pensatori. Aprì il numeroso corteo la banda musicale di Macerata diretta dal maestro Ottino Ranalli, seguita dai garibaldini in divisa. Parteciparono, tra gli altri, rappresentanti di associazioni culturali in onore di Giordano Bruno, circoli repubblicani, Reduci Patrie Battaglie (non si chiamavano ancora Combattenti e Reduci), Società Operaie di Mutuo Soccorso della provincia.
L’effigie di bronzo, il volto serio e pensoso del filosofo sovrastante un drago, fu opera dello scultore Ettore Strolin di Fano. Il discorso venne pronunciato dall’avvocato caldarolese Vincenzo Amici e dall’oratore Francavilla che fece una requisitoria energica e convincente.
Pur non presenti, aderirono alla manifestazione con telegrammi e lettere anche numerose personalità da tutta Italia.
Qualcuno del comitato di onoranze si lamentò che il consiglio comunale, a suo dire composto da “clericali purosangue”, concesse solo la modesta somma di lire 50 e si disinteressò in parte alla manifestazione. Ma questa giornata di ricordo a Giordano Bruno ebbe anche un seguito.
Il seguito – Nella successiva domenica 10 settembre 1911, il preposto Nazareno Cervigni nella chiesa collegiata di San Martino di Caldarola, pronunciò un lunghissimo, articolato e infiammato discorso-predica ai fedeli ivi convenuti per la S. Messa.
Nel discorso si criticavano i promotori dell’iniziativa, nonché coloro che la settimana precedente avevano partecipato alla cerimonia d’inaugurazione della lapide. Il prelato cita più volte Papa Leone XIII il quale aveva definito Bruno: “… Uomo doppiamente apostata, convinto eretico, ribelle fino alla morte all’autorità della Chiesa…”.
Proseguì la sua accesa invettiva con: “… uomo indegno di questo nome pel quale tutto era lecito quanto era caro ai sensi guasti e corrotti. … Se dalle loro tombe sorgessero e mirassero tanta vergogna le figure gloriose del Cardinale Evangelista Pallotta, e del Beato Francesco, giustamente ne fremerebbero d’ira, e ne domanderebbero riparazione solenne!”.
La SENTENZA8 febbraio 1600
…Invocato dunque il nome di Nostro Signore Gesù Christo et della sua gloriosissima Madre sempre vergine Maria, nella causa et cause predette al presente vertenti in questo Santo Offitio tra il reverendo Giulio Monterentii, dottore di leggi, procurator fiscale di detto Santo Offitio, da una parte, et te fra Giordano Bruno predetto, reo inquisito, processato, colpevole, impenitente, ostinato et pertinace ritrovato, dall’altra parte: per questa nostra difinitiva sententia, quale di conseglio et parere de’ reverendi padri maestri di sacra theologia et dottori dell’una et l’altra legge, nostri consultori, proferimo in questi scritti, dicemo, pronuntiamo, sententiamo et dichiaramo te, fra Giordano Bruno predetto, essere heretico impenitente, pertinace [et ostinato], et perciò essere incorso in tutte le censure ecclesiastiche et pene [dalli sacri] Canoni, leggi et constitutioni, così generali come [particolari, a] tali heretici confessi, impenitenti, pertinaci et ostinati imposte; et come tale te degradiamo verbalmente et dechiaramo dover esser degradato, si come ordiniamo et comandiamo che sii attualmente degradato da tutti gl’ordini ecclesiastici maggiori et minori quali sei constituito, secondo l’ordine dei sacri Canoni; et dover essere scacciato, si come ti scacciamo, dal foro nostro ecclesiastico et dalla nostra santa et immaculata Chiesa, della cui misericordia ti sei reso indegno; et dover esser rilasciato alla Corte secolare, si come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente. per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilatione di membro. Di più, condanniamo, riprobamo et prohibemo tutti gli sopra detti et altri tuoi libri et scritti come heretici et erronei et continenti molte heresie et errori, ordinando che tutti quelli che sin’hora si son havuti, et per l’ avenire verranno in mano del Santo Offitio siano publicamente guasti et abbrugiati nella piazza di san Pietro, avanti le scale, et come tali che siano posti nell’ Indice de libri prohibiti, si come ordiniamo che si facci. Et così dicemo, pronuntiamo, sententiamo, dechiaramo, degradiamo, commandiamo et ordiniamo, scacciamo et rilasciamo et preghiamo in questo et in ogni altro meglior modo et forma che di ragione potemo et dovemo.
L’ESECUZIONE
mercoledì 16 febbraio 1600
A hore due di notte fu intimato alla Compagnia che la mattina si dovea far giustitia di un impenitente; et però alle 6 hore di notte radunati li confortaori e cappellano in Sant’Orsola, et andati alla Carcere di Torre di Nona, entrati nella nostra cappella e fatte ìle solite orazioni, ci fu consegniato l’infrascritto a morte condennato, cioè: Giordano del quondam Giovanni Bruni, frate apostata da Nola di Regno, eretico impenitente. Il quale esortato da’ nostri fratelli con ogni carità, e fatti chiamare due Padri di San Domenico, due del Gesù, due della Chiesa Nuova e uno di San Girolamo, i quali con ogni affetto et con molta dottrina mostrandoli l’error suo, finalmente stette sempre nella sua maledetta ostinatione, aggirandosi il cervello e l’intelletto con mille errori e vanità. E tanto perseverò nella sua ostinatione, che da ministri di giustitia fu condotto in Campo di Fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu brusciato vivo, acconpagniato sempre dalla nostra Compagnia cantando le letanie, e li confortatori sino a l’ultimo punto confortandolo a lasciar la sua ostinatione, con la quale finalmente finì la sua misera et infelice vita.
http://www.paginecattoliche.it/gbruno_damico.htm
Il processo di Giordano Bruno e l’Inquisizione: un viaggio nelle procedure e negli archivi del Sant’Uffizio romano
Le ragioni di un mito
Si è da poco celebrato il quattrocentenario della morte di Giordano Bruno, arso in piazza Campo de’ Fiori la mattina del 17 febbraio 1600, e numerosissimi interventi di storici, filosofi e teologi hanno accompagnato questo anniversario con riflessioni volte a chiarire ancor meglio il senso complessivo della sua figura e del suo pensiero.
In effetti non molti altri protagonisti della cultura moderna hanno visto accendersi intorno a sé un dibattito critico intenso come quello che si è svolto attorno alla figura di Bruno. Molteplici i motivi di questo interesse oltre, ovviamente, a quelli derivanti dal valore del suo pensiero. In età risorgimentale Bruno è lentamente divenuto un “caso”, utilizzato dalle forze laiche e liberali di ispirazione massonica (come è noto erano affiliati a logge della massoneria molti dei protagonisti del Risorgimento, da Mazzini, a Cavour, a Garibaldi, a Crispi, etc.) come elemento di punta in quella accesissima battaglia anticlericale e antipapista che accompagna e segue il processo che conduce all’unità d’Italia. Lo Stato Pontificio rappresenta infatti un ostacolo formidabile sulla via dell’unificazione della penisola e, anche dopo la presa di Roma nel 1870, il Vaticano continua ad essere sentito come un insidioso nemico, da combattere con ogni mezzo. E’ in questo clima di latente “guerra civile” che sorge e trova alimento il mito di Bruno come martire del libero pensiero, presentato come un vero e proprio Socrate moderno, morto per non tradire le sue idee e per difendere il diritto al libero esercizio della ricerca filosofica, al quale saranno intitolate innumerevoli logge e onorificenze massoniche sia in Italia, che all’estero. Precedentemente a questo mito ne era sorto un altro ad esso speculare, sulla scorta delle invettive di Voltaire e degli illuministi nonché del successivo giacobinismo europeo, ovvero quello della Chiesa Cattolica come di una istituzione retriva e biecamente conservatrice, che trova la sua essenza ben rappresentata da una sua particolare istituzione : il tribunale inquisitoriale. La settecentesca “leggenda nera” dell’Inquisizione diventa così lo scenario ideale su cui si staglia ancor più nettamente la modernità di Bruno : il suo diventa lo scontro fra i lumi della ragione e la presunta barbarie e l’oscurantismo ecclesiastici. Leggenda nera che va considerata appunto tale in quanto i dati relativi alle condanne alla pena capitale, ad esempio nella città di Roma, ammontano in totale a 97 persone per il periodo che va dal 1542, quando l’Inquisizione viene nuovamente istituita, al 1761 : una media di meno di una condanna ogni due anni, che basta a far comprendere con quanta moderazione e prudenza procedesse l’istituzione che doveva difendere il cattolicesimo dal pericolo rappresentato dall’eresia protestante.
Fortunatamente negli ultimi decenni gli studiosi del filosofo di Nola (questa la città in cui Bruno nasce nel 1548) hanno saputo illuminare con grande acume molti aspetti della sua vita e del suo pensiero, andando oltre la tradizionale immagine retorica ed agiografica, ed evitando di utilizzarlo in una battaglia ideologica anticlericale sterile quanto scontata. Si sono inoltre enormemente arricchiti gli studi sull’Inquisizione, e possiamo perciò dire di avere tutti gli elementi per comprendere in modo rinnovato lo scontro che ha opposto, nell’ultimo decennio del Cinquecento, Bruno alla Chiesa.
Vita di un mago
Ma chi è Giordano Bruno ? Frate domenicano apostata, fuggito nel 1576 dal convento napoletano di San Domenico Maggiore per sottrarsi a un processo per eresia, ha attraversato l’Europa conquistandosi una fama crescente di grande mago, di iniziato ai misteri della tradizione ermetica; la dote che più lo distingue e lo fa notare è il possesso di una memoria prodigiosa, risultato di una sofisticata mnemotecnica che coltiva fin dalla giovinezza. Intimo di re e principi, si muove ai più alti livelli in un’Europa straziata dalle guerre di religione. Le sue esperienze più importanti le compie a Ginevra nel 1579, dove aderisce al calvinismo per poi essere scomunicato, processato e costretto ad un’umiliante abiura ; in Francia, alla corte di re Enrico III di Valois, che lo accoglie e lo protegge ; in Inghilterra dove frequenta la regina Elisabetta e i circoli di corte scrivendo, fra il 1583 e il 1585 alcune delle sue opere più celebri, come La cena de le ceneri, De la causa, principio et Uno e lo Spaccio de la bestia trionfante. Secondo la studiosa inglese Francis Yates Bruno è in realtà stato inviato in Inghilterra dal re francese con un preciso mandato politico-culturale : convertire i circoli colti che ruotano attorno alla corte inglese alla nuova forma di religiosità egiziana, di natura magica, della quale Bruno appare come l’annunciatore e il maestro in virtù della sua profonda conoscenza e rielaborazione della tradizione ermetica. Enrico III spera che, anche sulla base di questa nuova forma di religione neopagana (che avrebbe dovuto mantenere i tratti esteriori del cattolicesimo e il cui punto di forza sarebbe dovuto consistere nella capacità di superare gli odi e i conflitti di religione), sia possibile -mettendo al bando in entrambi i paesi gli opposti estremismi religiosi, cattolico e puritano- un riavvicinamento fra il regno di Francia e il regno d’Inghilterra in funzione antispagnola. In questi anni infatti sta divampando il conflitto che oppone Filippo II di Spagna ai Paesi Bassi e che sfocerà, alla fine degli anni ottanta, nell’attacco dell’Invencible Armada all’Inghilterra. La tesi della Yates, decisamente ricca di fascino, non è in contrasto, ma anzi si sposa perfettamente, con la tesi rivoluzionaria sviluppata dallo storico inglese John Bossy nel suo testo Giordano Bruno and the Embassy Affair (1991) in cui viene mostrato, sulla base di una ricca e complessa serie di riscontri documentali, come, con grande probabilità, Bruno abbia operato in qualità di spia all’interno dell’ambasciata francese a Londra, presso la quale viveva come ospite dell’ambasciatore Michel de Castelnau. Bruno avrebbe collaborato con i servizi segreti inglesi di sir Francis Walsingham per sventare i progetti dei cattolici inglesi, appoggiati dalla potente famiglia francese dei Guisa, contro Elisabetta. In questo ruolo occulto Bruno, oltre a tradire la fiducia dell’ambasciatore che lo ospita e lo protegge in più occasioni e al quale dedica diverse delle sue opere, non esita ad usare la sua attività di sacerdote, che esercita segretamente all’ambasciata, per carpire in sede di confessione informazioni utili alla sua attività spionistica. Secondo Bossy la motivazione fondamentale di questa sua attività è un profondo e inestinguibile odio per il papato e la Chiesa cattolica.
Dopo l’intensa esperienza inglese Bruno torna per un breve periodo a Parigi e, successivamente, vive in diverse città dell’area tedesca per periodi più o meno lunghi, come Marburgo, Wittemberg, dove tesse un appassionato elogio di Lutero, Praga, Helmstadt (dove riceve la terza scomunica, dai luterani, dopo quella cattolica e calvinista), Zurigo, Francoforte. Qui viene raggiunto da un invito a recarsi a Venezia, dove giunge prima dell’agosto del 1591.
Il pensiero di Bruno
In questi lunghi anni caratterizzati da un continuo peregrinare da una città all’altra, per lo più in terra protestante, Bruno viene anche elaborando il suo complesso sistema filosofico che si fonda su una ripresa originalissima di contenuti propri della grande tradizione neoplatonica, che aveva dominato larga parte della cultura umanistica e rinascimentale. Operano inoltre contenuti mutuati dai pensatori presocratici, dall’amatissimo Lucrezio, dal Corpus Hermeticum, dal pensiero critico di Erasmo. Sconfinata per profondità e ampiezza la conoscenza che ha del pensiero di Platone ed Aristotele, nonché della tradizione scolastica. Importantissimi infine gli influssi della dottrina eliocentrica di Copernico, che Bruno adotta fin da giovane, correggendola però in senso infinitista grazie all’apporto di Cusano.
La sua filosofia mette capo a una forma di radicale monismo immanentista : la natura è un tutto divino e animato , vita pervasa da un Intelletto a lei totalmente intrinseco, principio mobile e dinamico di infinite forme e cangiamenti che eternamente si riproducono e si modificano. Universo infinito, e quindi privo di centro, privo di alto e di basso, come di ogni distinzione aristotelica fra mondo celeste e mondo terrestre o sublunare ; universo che rappresenta il rovesciamento della tradizionale visione cristiana del mondo.
In questo cosmo nuovo e privo di confini -che non molto tempo dopo riempirà di angoscia Pascal- Bruno ritiene che vadano rovesciati anche tutti i tradizionali valori morali, che sia necessaria una nuova etica e una nuova idea di verità : a un’etica materiale basata su valori morali stabili e sovratemporali, va sostituita un’etica pragmatica, un’etica dell’azione dell’uomo, che viene pensata come manifestazione suprema dell’infinita creatività della natura. L’ideale di vita bruniano, ritratto in particolare in De gl’ heroici furori , è quello di una vita puramente razionale, chiara anticipazione dell’amor dei intellectualis spinoziano, dove l’uomo giunge infine a contemplare la meravigliosa infinità e unità della natura e a identificarsi pienamente in essa.
La metafisica di Bruno rappresenta il primo sistema filosofico posto consapevolmente oltre l’orizzonte del pensiero cristiano che per mille e cinquecento anni ha dominato la tradizione filosofica occidentale. Il cristianesimo in Bruno rappresenta anzi il rovesciamento più radicale di una verità più antica e profonda ed è pertanto il nemico più impegnativo sia sul piano culturale, che storico e politico., rappresenta un ordine che va sovvertito in modo totale perché l’umanità ritrovi la vera “religion de la mente”, riscopra il suo “oriente”, magico, ermetico ed egiziano.
Il processo
Come è largamente noto, tornato a Venezia nell’estate del 1591, Bruno viene ospitato dal Mocenigo, che ha letto i suoi libri e desidera apprendere da lui l’arte della memoria. Resta il mistero del perché il filosofo abbia accettato di tornare in terra cattolica, in uno stato, come la Repubblica di Venezia, dove operava l’Inquisizione. Il più suggestivo fra i tentativi di risposta è forse quello tentato da Corsano, che in un suo scritto del 1940 (Il pensiero di Giordano Bruno nel suo sviluppo storico) ha avanzato l’ipotesi, basata su un attento studio degli scritti di magia redatti da Bruno nella parte finale del suo soggiorno tedesco, che egli torni in Italia avendo in realtà lo scopo ultimo di recarsi dal papa e di soggiogarlo con i poteri magici di cui si ritiene ormai in possesso, spingendolo ad una riforma in senso magico-egiziano della religione cattolica.
Le cose comunque vanno in modo decisamente diverso : il Mocenigo dopo pochi mesi, deluso dall’insegnamento ricevuto dal filosofo di Nola, ferito dal fatto che egli intende andarsene e tornare a Francoforte, e infine disgustato e spaventato al tempo stesso dalle violenze verbali e dai costumi del suo illustre ospite, il 23 maggio 1592 lo denuncia al tribunale dell’Inquisizione.
Inizia così uno dei più lunghi e complessi procedimenti della storia dell’Inquisizione. Su di esso abbiamo una documentazione decisamente abbondante, ancorché largamente incompleta quanto alla sua fase romana ; i documenti constano infatti dei verbali completi della fase veneta del processo, di un importantissimo Sommario scoperto nel 1940 dal Mercati, che sintetizza tutte le fasi del processo e tutte le accuse mosse al filosofo, del testo ridotto della sentenza e, infine, della testimonianza epistolare di un testimone oculare dell’esecuzione, Gaspar Schoppe. La maggior parte dei verbali degli interrogatori romani, unitamente a diversi scritti giovanili bruniani è andata perduta in seguito al saccheggio degli archivi del Sant’Uffizio operato da Napoleone e alla successiva messa al macero di gran parte dei documenti ordinata a Parigi dall’incaricato della Curia pontificia Marino Marini negli anni 1815-1819. E’ una perdita gravissima se si pensa alla scrupolosità e all’accuratezza con cui venivano redatti i documenti dell’Inquisizione e all’eccezionale ricchezza di spunti che offrono per il lavoro dello storico. Fra l’altro è ormai oltre ogni possibile dubbio accertato che i verbali dei processi inquisitoriali posseggono un tasso altissimo di affidabilità e veridicità : come scrive Tedeschi “Di ogni tribunale dell’Inquisizione era membro un notaio che verbalizzava ogni domanda e ogni risposta, compresi i lamenti degli interrogati sotto tortura. Gli inquisitori, poi, non ritenevano di avere niente di vergognoso da nascondere. Punendo un cristiano che aveva rinnegato la sua fede, ma soprattutto tentando di riconciliarlo con la Chiesa, essi erano convinti di mettere in opera il necessario per riparare a un’offesa a Dio e salvare un’anima dall’eterno castigo”. A conferma del fatto che la Chiesa riteneva del tutto scontato di compiere un suo dovere imprescindibile in difesa della retta religione e quindi anche della compattezza e integrità della stessa società civile, vi è il fatto che nella bolla Licet ab initio, con cui nel 1542 Paolo III istituiva il Tribunale del Sant’Uffizio, non venivano addotte, ma semplicemente sottintese, le giustificazioni teologiche consuete, risalenti a San Tommaso.
Il processo, che è diviso in due grandi fasi, quella veneziana e quella romana (l’imputato viene infatti trasferito a Roma nel febbraio del 1593) consterà di una lunga serie di interrogatori ; le sue tappe fondamentali sono così divisibili : i sette interrogatori veneziani che si concludono con l’abiura e la richiesta di perdono e di clemenza da parte di Bruno; gli innumerevoli interrogatori romani; la censura dei libri del filosofo; infine la condanna e la morte.
Nella fase veneta Bruno probabilmente si sente favorito dal fatto che era ben noto il desiderio di indipendenza di Venezia rispetto a Roma anche sul piano della persecuzione dell’eresia, della quale peraltro la città lagunare con i suoi traffici e i suoi intensi scambi con il territorio tedesco, rappresentava una delle principali vie di penetrazione nella penisola, soprattutto a livello di mercato librario. In effetti il tribunale inquisitoriale veneziano godeva di uno statuto particolare perché di esso facevano parte i Tre savi sopra l’eresia, tre patrizi veneziani che garantivano un controllo “politico” delle attività degli inquisitori.
Le accuse che il Mocenigo ha scagliato contro Bruno sono comunque molto gravi e ben circostanziate ; esse sono raggruppabili in alcune aree fondamentali : il grande mago è accusato di avere opinioni avverse alla Santa Fede e di aver fatto dei discorsi contrari a essa e ai suoi ministri ; di avere opinioni gravemente errate sulla Trinità, la divinità di Gesù Cristo e l’incarnazione ; di avere opinioni erronee sul Cristo ; di avere opinioni erronee sulla transustanziazione e la S. Messa ; di sostenere l’esistenza di molteplici mondi e la loro eternità ; di credere alla metempsicosi ; di occuparsi di arte divinatoria e magica ; di non credere alla verginità di Maria. A queste si aggiungono numerose altre accuse minori. La situazione processuale di Bruno è però resa meno drammatica dal fatto che, in base al principio giuridico del testis unus, testis nullus, in assenza di una confessione spontanea dell’accusato è difficile che si giunga a una condanna, e tanto meno a una condanna grave. Va ricordato inoltre che lo stesso principio impediva di sottoporre a tortura un imputato che non avesse a suo carico almeno due testimonianze pienamente valide, di persone incensurate e di provata moralità. Di fronte alle accuse che il suo insidioso avversario gli ha scagliato contro Bruno adotta una precisa strategia difensiva, che manterrà inalterata fino alla fine : ammette tutto ciò che gli sembra avere una rilevanza minore sul piano processuale ; nega le accuse più infamanti e offensive verso la Chiesa ; sottolinea che la ricerca filosofica che lo ha portato ad affermazioni eretiche è sempre stata condotta da lui esclusivamente secondo il “lume naturale”, senza ne’ pretese teologiche, ne’, tanto meno, intenzioni consapevolmente eretiche. Quanto al suo rapporto con la Chiesa ribadisce di aver sempre rispettato i divieti derivanti a lui dal suo stato di apostasia, ma di aver tentato ripetutamente di rientrare nel suo seno.
E’ una strategia complessa e, per più di un aspetto, non priva di rischi, giocata tutta in realtà sulla sua capacità di impressionare favorevolmente i giudici. E senz’altro a Bruno non mancano le doti di grande parlatore, capace di incantare gli ascoltatori e di sedurli con la sua cultura.
Il processo “offensivo” veneziano (ovvero la parte in cui l’imputato viene invitato una prima volta a difendersi e a rendere ragione delle accuse che gli sono rivolte) si sviluppa in modo lineare, senza che intervengano elementi particolari, ed è in sostanza favorevole a Bruno, anche perché gli altri testimoni coinvolti dal Mocenigo hanno rilasciato testimonianze molto neutre o addirittura assolutorie. Il 30 luglio 1592, data dell’ultimo costituto (interrogatorio) veneziano Bruno si getta in ginocchio davanti agli inquisitori ed implora il loro perdono :
“Domando humilmente perdono al Signor Dio e alle Signorie Vostre illustrissime de tutti li errori da me commessi ; et son qui pronto per essequire quanto dalla loro prudentia sarà deliberato et si giudicarà espediente all’anima mia. (…) et se dalla misericordia d’Iddio et delle Vostre Signorie illustrissime mi sarà concessa la vita, prometto di far riforma notabile della mia vita, ché ricompenserò lo scandalo che ho dato con altretanta edificatione”
Si tratta di un gesto di grande effetto che avrebbe probabilmente sortito un esito positivo se il Sant’Uffizio non avesse chiesto di avocare la causa a Roma. Nel 1581 infatti la Congregazione Generale del Sant’Uffizio aveva stabilito che da tutte le province italiane gli Inquisitori inviassero regolarmente a Roma un sommario di tutti i processi in corso, per poter ricevere in tal modo istruzioni quanto al modo di procedere o alla sentenza. E’ interessante notare che da Roma i giudici venivano invitati a far redigere verbali analitici e precisi di quanto avveniva durante gli interrogatori senza omettere nulla e mantenendo la lingua in cui venivano date le risposte, cioè in genere il volgare. Solo in arduis causis, ovvero nelle vertenze più complesse e difficili, veniva però inviata copia alla Congregazione inquisitoriale romana di tutti gli atti processuali. E ciò è appunto quanto accade nel caso di Bruno, la cui causa il Sant’Uffizio chiede a Venezia di poter trasferire a Roma. Questo fitto scambio di incartamenti fra il Sant’Uffizio romano e i diversi uffici provinciali ha fatto sì che si sviluppasse un sistema di doppia archiviazione, locale e centrale, rivelatosi spesso molto utile per il lavoro di ricostruzione storica. Di fatto si rileva che forse nessun altro organismo della Chiesa Cattolica aveva sviluppato un così rigoroso e preciso sistema di archiviazione e ciò del resto per ragioni facilmente comprensibili : nessuna battaglia era più importante, fra sedicesimo secolo e prima metà del diciassettesimo, di quella contro l’eresia ; ma, soprattutto, in nessun campo, come in quello che implicava il coinvolgimento della sfera spirituale e religiosa, si avvertiva una equivalente esigenza di precisione e di esattezza nell’applicazione dei regolamenti e delle procedure. Ila conoscenza da Roma di quanto avveniva nei tribunali provinciali aveva il fine fondamentale di evitare abusi o evidenti errori giudiziari e di garantire un’applicazione omogenea delle procedure.
La richiesta di avocazione della causa di Bruno viene accolta con insolita facilità dal Senato veneziano, normalmente custode geloso delle proprie prerogative e della propria sovranità, e Bruno giunge a Roma il 27 febbraio 1593, per venire rinchiuso nel carcere del Sant’Uffizio, che aveva sede nel vecchio palazzo signorile del Cardinal Pucci, vicino alla cattedrale di San Pietro. Contrariamente a quanto si è abituati a pensare la cella in cui Bruno viene rinchiuso e dove rimarrà per sette anni è tutt’altro che una segreta buia e inaccessibile, ma è al contrario un luogo abbastanza vivibile, ampio e luminoso, situato al piano terra, dove la biancheria viene cambiata due volte alla settimana e dove l’imputato può usufruire di vari servizi come il barbiere, i bagni, la lavanderia, la rammendatura. A ogni carcerato veniva fornita una scorta di vestiti e il vitto era di buona qualità includendo, fra l’altro, anche il vino. I cardinali membri del Sant’Uffizio visitano i carcerati regolarmente per ascoltare loro eventuali bisogni particolari ; nei verbali rimane ad esempio traccia della richiesta avanzata da Bruno di avere un cappello di lana per l’inverno e una copia della Summa di Tommaso, richieste prontamente soddisfatte.
Pochi mesi dopo l’arrivo di Bruno a Roma la sua situazione viene inaspettatamente compromessa dalla comparsa di un nuovo testimone dell’accusa, il frate cappuccino Celestino da Verona, suo compagno di carcere a Venezia, che morirà a sua volta sul rogo nel 1599. Il suo ex concarcerato denuncia Bruno lanciandogli contro un insieme di accuse gravissime, che in parte confermano l’impianto accusatorio del Mocenigo, in parte aggiungono nuovi capi d’accusa a suo carico. Inoltre Celestino chiama in causa come testimoni altri quattro compagni di carcere di Bruno a Venezia, che a loro volta confermano gran parte delle accuse. E’ una svolta gravissima per Bruno che col suo folle atteggiamento (leggendo i verbali ci si accorge che in cella non solo aveva un atteggiamento opposto a quello che teneva durante le sedute del processo, dove simula un pieno pentimento e dove giunge a chiedere perdono ; ma anzi si permette confidenze e comportamenti che tradiscono, come minimo, una sicurezza eccessiva di sé oltre a un animo incline alla volgarità e alla blasfemia) ha compromesso quella che fino a quel momento era una posizione processuale abbastanza solida proprio perché doveva difendersi da un solo accusatore. Ora vi sono invece sei testimonianze abbastanza concordi, anche se, non va dimenticato, cinque di queste sono di carcerati a loro volta sospettati o condannati per eresia, e quindi meno attendibili di quella del Mocenigo.
Terminato il processo offensivo con l’interrogatorio di Bruno su tutte le nuove accuse ha inizio il processo ripetitivo ; questo aveva luogo se dopo la conclusione dell’interrogatorio dell’imputato, questi non era riuscito a dimostrarsi innocente, né si era confessato colpevole. In tal caso riceveva una copia di tutti gli atti processuali e aveva del tempo a disposizione per studiare gli incartamenti che lo riguardavano e per preparare una difesa basata su un elenco di interrogatoria, ovvero di domande volte a confutare o a indurre a contraddirsi i testimoni dell’accusa nonché a verificare l’attendibilità della loro persona e della loro testimonianza e i loro costumi. Bruno sceglie dunque la strada del processo ripetitivo, una strada resa difficile dalla compattezza e dall’ampiezza dell’impianto accusatorio, e rinuncia all’alternativa che consisteva nel non preparare gli interrogatoria e nell’affidarsi alla clemenza della corte, confessandosi implicitamente colpevole.
Il processo ripetitivo si conclude con una completa disfatta di Bruno, che vede confermate e rafforzate tutte le accuse.
Dopo il processo ripetitivo resta a Bruno un’ultima possibilità di difesa : ricevuta copia anche di tutto il processo ripetitivo egli ha il tempo per studiarla e per preparare un lungo documento difensivo di un’ottantina di pagine che consegna agli inquisitori il 20 dicembre 1594. Va notato, per inciso, che la possibilità di preparare con cura la propria difesa lavorando su copie autentiche degli atti del processo era una prerogativa particolarmente avanzata e moderna del procedimento inquisitoriale ; nei tribunali secolari del tempo, ad esempio, le prove e gli indizi a carico dell’imputato erano letti ad alta voce ed egli doveva improvvisare la propria difesa sul momento (allo stesso modo del resto l’Inquisizione istituisce il diritto per l’imputato di avvalersi di un avvocato difensore, diritto che in Inghilterra sarà negato fino al 1836).
All’inizio del 1595 i giudici, resi particolarmente prudenti forse dal fatto che solo il Mocenigo era un testimone irreprensibile e incensurato, essendo gli altri concarceratos criminosos, ordinano che venga recuperato il più ampio numero possibile di testi pubblicati da Bruno per poter unire alle prove raccolte attraverso le testimonianze, quelle, irrefutabili, derivanti dai suoi testi. Per due anni il processo langue, essendo il tribunale probabilmente impegnato nella ricerca dei libri del nolano. Finalmente nell’aprile del 1596 viene istituita una commissione di sei teologi, per lo più dell’ordine dei domenicani, affinchè valutino i testi e ne estrapolino proposizioni o tesi palesemente eretiche e nel marzo del 1597 Bruno riceve le censure dei libri dove emergono con chiarezza alcune sue posizioni eretiche. Probabilmente a ridosso di questo momento va collocato l’unico episodio di tortura al quale Bruno fu probabilmente sottoposto. Naturalmente va sottolineato che nei verbali gli inquisitori registravano come tortura anche semplicemente la minaccia di tortura. Le procedure inquisitoriali prevedevano la tortura, che peraltro era assoggettata a limitazioni del tutto sconosciute alla giustizia secolare del tempo e che, anche presso i tribunali dell’inquisizione provinciali, nel sedicesimo secolo poteva essere autorizzata solo da Roma, in due casi fondamentali : se l’imputato confessava le sue colpe, ma vi era ragione di temere che non avesse detto tutto quanto riguardava la vertenza (ad esempio i nomi dei complici); o nel caso in cui si ostinasse a negare anche di fronte a prove inoppugnabili di colpevolezza. E’ evidente che il caso di Bruno era quest’ultimo. Le censure dei libri enucleano e condannano alcune delle fondamentali tesi della metafisica bruniana, ritenute in evidente contrasto con fondamentali aspetti della visione cristiana del mondo : ad esempio condannano il principio, sostenuto con vigore in particolare nel De la causa, per cui da una causa infinita debba derivare un infinito effetto, tesi eretica in quanto implicherebe un Dio necessitato a produrre un dato effetto e non onnipotente; la quinta censura condanna il moto della Terra difeso ne La cena de le ceneri ; la settima condanna l’idea bruniana della terra come di un grande animale dotato di un’anima sensitiva e razionale. Bruno non si difende con troppa efficacia : logorato dai lunghi anni del processo, dalle infinite pause ed attese, probabilmente sfiduciato quanto alle possibilità di ottenere un’assoluzione, perde in parte lucidità nelle argomentazioni.
Poiché il processo langue da troppo tempo (va fra l’altro ricordato che il caso di Bruno è del tutto anomalo ed eccezionale nel panorama dei processi inquisitoriali, che si distinguevano in genere per la loro rapidità) si giunge infine, grazie al cardinal Bellarmino, che pochi anni dopo sarà grande protagonista del caso Galileo, ad identificare una possibile via d’uscita dall’impasse in cui si trova il procedimento. Bellarmino, autorevolissimo teologo gesuita, autore di un importantissimo catechismo e futuro santo, propone di sottoporre a Bruno un gruppo di proposizioni sicuramente eretiche estratte dagli atti del processo chiedendo all’imputato -del quale , va ricordato, la Chiesa cerca innanzitutto un pieno reintegro nel suo seno e nella fede- di abiurarle. L’elenco viene proposto a Bruno il 18 gennaio 1599 con un limite temporale di sei giorni per prendere una decisione conclusiva. Si tratta di una scelta decisiva : se abiura, non essendo relapsus, ovvero non essendo già stato condannato per eresia in passato, il filosofo di Nola quasi sicuramente andrebbe incontro a una detenzione probabilmente non troppo lunga, seguita da una reintegrazione nell’Ordine ; se rifiuta di abiurare non ha praticamente nessuna speranza di sfuggire al rogo.
Dopo sei giorni Bruno si mostra disposto ad abiurare ma fallisce il suo tentativo di ottenere la condanna come eretiche delle sue proposizioni solo ex nunc, ovvero a partire dal momento del processo, e non ex tunc, ovvero per dottrina costante della Chiesa. Dopo un nuovo ultimatum di quaranta giorni, il 15 febbraio Bruno, nel corso del suo ventesimo interrogatorio, si dichiara disposto ad abiurare totalmente. Mentre si procede a preparare il testo della condanna, il 5 aprile Bruno ritorna sui suoi passi e avanza dei dubbi in un documento su due dei punti da abiurare. I giochi vengono così riaperti e devono passare molti mesi per arrivare a un nuovo conclusivo ultimatum : il 10 settembre 1599 il filosofo si dichiara nuovamente disposto all’abiura più completa, per ritornare suoi passi in una lettera a papa Clemente VIII pochi giorni dopo. Ricevuto un secondo ultimatum (che rappresenta un’eccezione nelle procedure inquisitoriali) di quaranta giorni per decidersi ad abiurare ; Bruno però allo scadere del periodo che gli era stato concesso dichiara di non aver niente da abiurare. E’ la fine. Il papa ordina che egli venga condannato come eretico impenitente e che la causa “venga spedita”, ovvero che si emetta la sentenza e che il condannato venga preso in consegna dalla giustizia secolare per l’esecuzione. E’ il 20 gennaio 1600. In questa stessa data un memoriale di Bruno, molto probabilmente un’ennesima manifestazione di disponibilità ad abiurare, non viene letto, essendo ormai scaduti i quaranta giorni.
Il 17 febbraio, sul far dell’alba, in piazza Campo de’ Fiori , viene acceso il rogo forse più discusso della storia ; una testimonianza racconta che nei suoi ultimi istanti di vita Bruno abbia pronunciate le seguenti parole :
“Et diceva che se ne moriva martire e volentieri, et che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in paradiso”.
Naturalmente rimangono molti punti oscuri riguardo al processo di Bruno e alla sua tragica conclusione, in parte dovuti alla carenza di molti documenti essenziali, in parte per l’oggettiva difficoltà di interpretazione di molti passaggi cruciali. Concludiamo cercando di stabilire alcuni punti fermi. E’ evidente che, più che in altri processi simili per struttura, la Chiesa tentò in modo particolare con Bruno tutte le strade possibili per cercare di ricondurlo su posizioni ortodosse ; ciò spiega probabilmente la insolita durata del processo e, nella fase finale, il prolungato gioco di ultimatum da parte dell’Inquisizione e di promesse di abiura, poi smentite da parte di Bruno.
Un altro punto fermo è che, stante la ovvia condanna della tortura e della violenza (recentemente ribadita anche dalla Chiesa nel documento Memoria e riconciliazione : la Chiesa e le colpe del passato del 12 marzo 2000), condanna lecita moralmente, anche se storicamente anacronistica ed ingenua, è riconosciuto ormai da tutti gli studiosi di Bruno, in particolare da Luigi Firpo, che sul piano giuridico e formale il processo da lui subito è un esempio di assoluto rispetto giuridico e formale dell’imputato e del suo diritto alla difesa. Il Sant’Uffizio, già normalmente rigoroso garante della trasparenza e correttezza delle procedure inquisitoriali, nel caso di Bruno si distinse davvero per l’attenzione e la prudenza con cui procedette, giungendo a una condanna che, anche se non inevitabile (affermare il contrario significherebbe negare la libertà degli attori in gioco, e ogni dinamismo storico) era coerente con la tradizione giuridica, le leggi, le convinzioni, gli usi del tempo. Il rogo per gli eretici fra l’altro era un’eredità del Codice di Giustiniano, adottato anche in ambito protestante, come nel caso, ad esempio, della condanna di Michele Serveto nella calvinista Ginevra.
Dunque la morte di Bruno, per quanto tragica, se contestualizzata nel momento e nelle condizioni storiche in cui avvenne, non ha nulla né di misterioso, né di barbaro ; è un esito, al contrario, perfettamente coerente con la vita spericolata e trasgressiva del filosofo di Nola, con i suoi “giochi proibiti” all’ambasciata francese di Londra, con i suoi continui cambiamenti di fronte in terra protestante e cattolica, con la sicurezza, forse un po’ eccessiva, nei suoi mezzi. Ma, soprattutto, la morte del grande mago e filosofo annuncia una sorda guerra intestina che travaglierà l’Occidente nei secoli successivi : quella fra cristianesimo e modernità.
Bibliografia
V. Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Gela editrice, Roma, 1988
L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice, Roma 1993
F, Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno, La Nuova Italia, Firenze, 1968
M. Ciliberto, Giordano Bruno, Laterza, Bari, 1990
F. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, Bari, 1995 (ed. or. 1964)
J. Bossy, Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata, Garzanti, Milano, 1992
S. Ricci, Giordano Bruno, Salerno editrice, Roma, 2000
M. D’Amico, Giordano Bruno, Piemme, Casale Monferrato, 2000
J. Tedeschi, Il giudice e l’eretico, Vita e Pensiero, Milano , 1997
A. Prosperi, Tribunali della coscienza, Einaudi, Torino, 1996
N. Benazzi – M. D’Amico, Il libro nero dell’Inquisizione, Piemme, Casale Monferrato, 1998
PARTE PER IL BOX
Dai verbali dell’Inquisizione : gli atti del processo a Giordano Bruno
I.
Di seguito presentiamo alcuni estratti del processo di Giordano Bruno. Il primo brano è il testo della prima deposizione d’accusa fatta dal Mocenigo ai giudici del tribunale veneziano. Come si può notare facilmente in essa compaiono sia tesi schiettamente metafisiche di Bruno, sia affermazioni fortemente critiche o irridenti verso la religione cattolica e il clero, sia, infine, affermazioni riferite alle pratiche magiche cui il nolano si dedicava. Il testo, come anche il successivo, è tratto dalla “Rubrica del processo bruniano nell’archivio dell’Inquisizione di Venezia”, quale riportato in L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Salerno, 1993, pp. 143- 145
Denuncia di Giovanni Mocenigo all’inquisitore di Venezia Giovan Gabriele da Saluzzo (Venezia, 23 maggio 1592)
“Molto reverendo Padre et signore osservandissimo,
io Zuane Mocenigo fo del clarissimo messer Marco Antonio dinuntio a Vostra Paternità molto reverenda per obligo della mia conscientia, et per ordine del mio confessor, haver sentito a dire a Giordano Bruno Nolano, alcune volte che ha ragionato meco in casa mia : che è biastemia grande quella de’ cattolici il dire che il pane si transustantii in carne ; che lui è nemico della messa ; che niuna religione gli piace ; che Christo fu un tristo et che, se faceva opere triste di sedur populi, poteva molto ben predire di dover esser impicato ; che non vi è distintione in Dio di persone, et che questo sarebbe imperfetion in Dio ; che il mondo è eterno, et che sono infiniti mondi, et che Dio ne fa infiniti continuamente, perché dice che vuole quanto che può ; che Christo faceva miracoli apparenti et che era un mago, et così gl’appostoli et che a lui daria l’animo di far tanto, et più di loro ; che Christo mostrò di morir malvolentieri et che la fuggì quanto che puoté ; che non vi è punitione de’ peccati, et che le anime create per opera della natura passano d’un animal in un altro ; et che come nascono gli animali brutti di corrutione, così nascono anco gl’huomini, quando doppo i diluvii ritornano a nasser. Ha mostrato dissegnar di voler farsi autore di nuova setta sotto nome di nuova filosofia ; ha detto che la Vergine non può haver parturito et che la nostra fede cattholica è piena tutta di bestemie contra la maestà di Dio ; che bisognarebbe levar la disputa et le entrate alli frati, perché imbratano il mondo ; che sono tutti asini, et che le nostre opinioni sono dotrine d’asini ; che non habbiamo prova che la nostra fede meriti con Dio ; et che il non far ad altri quello che non voressimo che fosse fatto a noi basta per ben vivere ; et che se n’aride di tutti gli altri peccati ; et che si meraviglia come Dio supporti tante heresie di cattolici. Dice di voler attender all’arte divinatoria et che si vuole far correr dietro tutto il mondo ; che San Tomaso et tutti li dottori non hanno saputo niente a par di lui, et che chiariria tutti i primi theologi del mondo, che non sapriano rispondere.
M’ha detto d’haver havuto altre volte in Roma querelle a l’inquisitione di cento e trenta articuli, et che se ne fugì mentre era presentato, perché fu imputato d’haver gettato in Tevere chi l’accusò, o chi credete lui che l’havesse accusato a l’inquisitione. Io dissegnavo d’imparar da lui come le ho detto a bocca, non sapendo che fosse così tristo come è et havendo notato tutte queste cose per darne conto a Vostra Paternità molto reverenda, quando ho dubitato che se ne possi partire, come lui diceva di voler fare, l’ho serrato in una camera a requisitione sua ; et perché io lo tengo per indemoniato, la prego far rissolutione presta di lui”.
II.
Il secondo brano che presentiamo è tratto dal terzo interrogatorio di Bruno a Venezia. Qui Bruno espone succintamente gli elementi di fondo della sua nuova metafisica e della sua visione cosmologica, e lo fa con uno slancio e una decisione che appaiono volti, almeno in parte, a cercare di portare i giudici a comprendere il valore delle sue argomentazioni. E’ un Bruno ancora convinto delle proprie possibilità, che cerca di difendere le sue teorie in base a una qualche forma di dottrina della “doppia verità” (teologica e filosofica), che peraltro i giudici rifiuteranno totalmente di adottare. Siamo qui di fronte a uno scontro che anticipa in modo straordinario quello che, non molti anni dopo, opporrà Galileo alla Chiesa. (citazione tratta da L. Firpo, op. cit., p. 167)
Terzo costituto del Bruno (Venezia, 2 giugno 1592)
(…) Interrogatus se publicamente o privatamente nelle lettioni ch’egli ha fatto in diversi luochi, secondo ha detto di sopra nelli altri suoi costituti, ha mai insegnato, tenuto o disputato articulo contrario o repugnante alla fede catholica et secondo la termination della Santa Romana Chiesa.
Respondit :
Direttamente non ho insegnato cosa contra la religione catholica christiana, benché indirettamente, come è stato giudicato in Parisi ; dove pur me fu permesso trattare certe disputationi sotto il titolo de Centovinti articuli contra li Peripatetici et altri volgari filosofi, stampati con permissione de superiori, come fusse lecito trattarne secondo la via de ‘ principii naturali, non preiudicando alla verità secondo il lume della fede. Nel qual modo si possono leggere et insegnare li libri d’Aristotile ed di Platone, che nel medesmo modo indirettamente sono contrarii alla fede, anci molto più contrarii che gli articuli da me filosoficamente proposti et diffesi ; li quali tutti possono esser conosciuti da quel che è stampato in questi ultimi libri latini da Francoforte, intitolati De minimo, De monade, De immenso et innumerabilibus et in parte De compositione imaginum. Et in questi libri particularmente si può veder l’intention mnia et quel che ho tenuto ; la qual , in somma, è ch’io tengo un infinito universo, cioè effetto della infinita divina potentia, perché io stimavo cosa indegna della divina bontà et potentia, che possendo produr, oltra questo mondo un’altro et altri infiniti, producesse un mondo finito. Sì che io ho dechiarato infiniti mondi particulari simili a questo della terra ; la quale con Pittagora intendo uno astro, simile alla quale è la luna, altri pianeti et altre stelle, le qual sono infinite ; et che tutti questi corpi sono mondi et senza numero, li quali constituiscono poi la università infinita in uno spatio infinito ; et questo se chiama universo infinito, nel quale sono mondi innumerabili. Di sorte che è doppia sorte de infinitudine de grandezza dell’infinito et de moltitudine de mondi, onde indirettamente si intende essere repugnata la verità secondo la fede”.
III.
L’ultimo passo estratto dai verbali è il testo della sentenza di condanna letta l’8 febbraio in Piazza Navona alla presenza di tutta la Congregazione del Sant’Uffizio dal notaio Flaminio Adriani. E’ un momento altamente drammatico e carico di tensione. Secondo una testimonianza Bruno, che ha ascoltato la sentenza in ginocchio, al termine della lettura si alzò in piedi e con volto minaccioso gridò : “Forse con maggiore timore pronunciate contro di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla !”. (Il passo che segue è tratto da L. Firpo, op. cit., p. 342)
“ (…) Per il che, essendo stato visto et considerato il processo contra di te formato et le confessioni delli tuoi errori et heresie con pertinacia et ostinatione, benché tu neghi essere tali, et tutte le altre cose da vedersi et considerarsi : proposta prima la tua causa nella congregazione nostra generale, fatta avanti la Santità di Nostro Signore sotto il dì ventesimo di gennaro prossimo passato, et quella votata et risoluta, siamo venuti alla infrascritta sententia.
Invocato dunque il nome di Nostro Signore Gesù Christo et della sua gloriosissima madre sempre vergine Maria, nella causa et cause predette al presente vertenti in questo santo Offitio tra il reverendo Giulio Monterenti, dottore di leggi, procurator fiscale di detto Santo Offitio, da una parte, et te fra’ Giordano bruno predetto, reo inquisito, processato, colpevole, impenitente, ostinato et pertinace ritrovato, dall’altra parte : per questa nostra diffinitiva sententia, quale di conseglio et parere de’ reverendi padri maestri di sacra theologia et dottori dell’una e dell’altra legge, nostri consultori, proferimo in questi scritti, dicemo, pronuntiamo, sententiamo et dichiaramo te, fra Giordano Bruno predetto, essere heretico impenitente, pertinace è [et ostinato], et perrciò essere incorso in tutte le censure ecclesistiche et pene [dalli sacri] Canoni, leggi et constitutioni, così generali come[particolari, a] tali heretici confessi, impenitenti , pertinaci et ostinati imposte ; et come tale te degradiamo verbalmente et dechiaramo dover essere degradato, sì come ordiniamo et comandiamo che sii attualmente degradato da tutti gli ordini ecclesistici maggiori et minori nelli quali sei constituito, secondo l’ordine dei sacri Canoni ; et dover essere scacciato si come ti scacciamo dal foro nostro ecclesistico et dalla nostra santa et immaculata Chiesa, della cui misericordia ti sei reso indegno ; et dover esser rilasciato alla Corte secolare, sì come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governator di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemenete che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilatione di membro.
Di più condanniamo , riprobamo et prohibemo tutti gli sopradetti et altri tuoi libri et scritti come heretici et erronei et continenti molte heresie et errori, ordinando che tutti quelli che si’hora si sono havuti, et per l’avenire verranno in mano del Santo Offitio siano publicamente guasti et abbrugiati nella piazza di san Pietro , avanti le scale, et come tali che siano posti nel Indice de’ libri prhibiti, sì come ordiniamo che si facci”
© KOS (San Raffaele di don Verzè) numero 178 del luglio 2000
http://www.giordanobruno.info/stampa11.htm
Come ogni anno, all’avvicinarsi del 17 febbraio, Giordano Bruno torna ad essere protagonista delle pagine culturali dei quotidiani.
Ad articoli originali e interessanti, come quello di Umberto Galimberti su Repubblica, fanno da contraltare i malevoli attacchi dei soliti noti.
Ecco allora spuntare sul Corriere della sera tal Richard Newbury, ultimo alfiere dell’anti-brunismo anglosassone, che si affanna a rispolverare le ormai patetica favoletta di Bruno-spia inventata da John Bossy. Meraviglia anche che un giornale importante come il Corriere dia ospitalità ad articoli che, al di là del loro contenuto, sono privi di qualsiasi originalità.
Riporto qui un mio commento all’articolo e la replica di Nuccio Ordine, apparsa sullo stesso quotidiano ed invito, come sempre, tutti Voi ad esprimere i Vostri pareri sull’argomento.
sabato, 27 dicembre, 2003
Uno 007 nel 1500. «Mi chiamo Bruno, Giordano Bruno» |
ITALIANI in INGHILTERRA | |
Newbury Richard |
Giordano Bruno non si sentì mai così felicemente a casa quanto nel corso dei suoi due anni in Inghilterra dal 1583 al 1585, quando riuscì a diventare il guru del momento e come tale oggetto della satira di Shakespeare in Pene d’ amor perdute, nella parte di Berowne: «Andiamo allora, io giuro di studiare / per sapere qualcosa che m’ è proibito imparare». A Oxford venne respinto come professore perché seguace di Copernico e per plagio di Marsilio Ficino, così furono Londra e la Corte reale a divenire – così lui decise – il suo spazio d’ azione e non una Oxford popolata da «ciechi somari che non si preoccupano di cercare la verità ma solo di studiare e giocare con le parole». Bruno fu un’ ispirazione per il «New Drama» e la «New Science», frutto di un fermento da alchimista di magia e matematica, astronomia e astrologia, tutti fusi nel falso oro della scienza moderna. Il Nolano ispirò la controcultura anti Aristotelica e «ateistica» della School of Night di Sir Walter Raleigh, il cui esperimento pratico fu la colonia alla Prospero in Virginia e quello creativo il Dr Faustus di Kit Marlowe, un personaggio in parte basato su Bruno. Anche Bruno studiava come Faustus a Wittenberg, come pure non solo Amleto (che come Bruno capovolge una corte aristotelica) e il suo amico «spirito calmo» Orazio ma anche i suoi nemici, le spie Rosencranz e Guildenstern. A venire assassinato non fu solo il padre di Amleto, ma anche i capi di Stato dell’ epoca di Scozia, Olanda e Francia (per ben due volte). Il fatto che una scomunicata Elisabetta non abbia patito lo stesso destino è in gran parte dovuto a Bruno la Spia, al servizio del fondatore dei servizi segreti di Elisabetta Sir Francis Walsingham, per il quale «nessuna informazione è troppo costosa». Enrico III inviò Giordano Bruno, il suo lettore domenicano rinnegato, a fare da cappellano, confessore ed elemosiniere presso Michel de Castelnau, suo ambasciatore francese a Londra in un periodo nel quale l’ ipotesi di matrimonio tra Elisabetta e suo fratello il duca di Alençon e d’ Angiò – «la mia ranocchia», lei lo chiamava – era caduta. Ora Castelnau negoziava ufficialmente per un esilio in Francia della regina scozzese Maria, mentre complottava per farla diventare regina d’ Inghilterra. Giordano Bruno, nelle sue vesti di 007, ebbe un ruolo cruciale nello sventare questi piani. Odiava il papato e la dottrina protestante della Predestinazione quasi allo stesso modo, ma era a favore della politica estera protestante di Elisabetta perché era la più contraria agli interessi del Papa. Bruno agiva già sotto copertura nell’ Inghilterra protestante come il prete cattolico in borghese nell’ ambasciata e venne presentato a Elisabetta come il gentiluomo di Castelnau. Quando il polacco Palatine Laski arriva, Elisabetta lo fa alloggiare con i cattolici italiani a Winchester House e la regina (con Walsingham) chiede a Bruno di accompagnarlo in un viaggio sul fiume fino a Oxford. Qui incontra l’ esperta spia William Herle e a Mortlake incontra John Dee, il primo alchimista e matematico inglese che parte con Laski alla volta della Polonia, lasciando così il ruolo di guru a disposizione di Bruno. Questi sistemò l’ altro rivale filosofico Lord Henry Howard con la falsa accusa di essere in segreto un prete e persino un cardinale – cosa per cui l’ erudito Lord rischiò una morte da traditore, terribile quanto quella che sarebbe stata la fine dello stesso Bruno. Scrivendo prima a Walsingham sotto lo pseudonimo di Henry Fagot (che in inglese significa «fascine per rogo»), poi tramite la spia Herle e infine direttamente a Elisabetta, Bruno corrompe il segretario dell’ ambasciatore, il cattolicissimo signore di Courcelles, per ottenere accesso a tutta la corrispondenza segreta tra Maria e la Francia, compresi i depistaggi. Può così confermare la notizia che Angiò ora progettava un matrimonio spagnolo e un’ alleanza tra Francia e Spagna in funzione antinglese; Bruno inoltre apprende che Fowler, la spia di Walsingham, faceva il doppio gioco e procura l’ unica prova tangibile del complotto di Francis Throckmorton, risalente al 1583 e abortito grazie allo stesso Bruno, di invadere l’ Inghilterra con truppe francesi e spagnole, assassinare Elisabetta e incoronare Maria, mentre il duca di Guise doveva succedere a Enrico III. Così Throckmorton viene processato e giustiziato, mentre Bruno osserva la reazione di un Castelnau in preda al panico. Questo complotto fu la più seria minaccia alla vita di Elisabetta fino all’ Invincibile Armata del 1588. Bruno fu un genio di invenzione immaginativa. I suoi rapporti sui tentativi di avvelenare i profumi e la biancheria intima di Elisabetta e l’ informazione sadicamente falsa – ottenuta confessando un prigioniero irlandese – che sotto tortura Throckmorton non aveva ancora rivelato tutti i cospiratori erano sbagliati almeno nei dettagli, se non in generale. Riuscì a scoprire in tempo Thomas Babington: il suo complotto del 1586, ancora una volta fallito e organizzato con la connivenza di Maria, portò al processo e stavolta all’ esecuzione della stessa Maria. Bruno era una spia eccellente: coraggioso, arguto, sicuro, ottimo osservatore e privo di scrupoli morali nei confronti di amici e nemici. C’ è una giustificazione cifrata nell’ opera Spaccio de la bestia trionfante (1584): «La Simplicità, pedissequa de la Veritade non deve lungi peregrinare dalla sua regina, benché talvolta la dea Necessitade la costringa di declinare verso la Dissimulazione, a fine che non vegna inculcata la Simplicità o Veritade, o per evitar altro inconveniente. Questo facendosi da lei non senza modo ed ordine, facilmente potrà essere fatto ancora senza errore e vizio».
Ancora fascine sul rogo di Bruno
Guido del Giudice
“Una costellazione di pedantesca ostinatissima ignoranza e presunzione mista con una rustica inciviltà”. Questa la descrizione che Giordano Bruno dà nella Cena delle Ceneri, del clima culturale che egli avvertì a Oxford quando, nel 1583, tenne lezioni in quella università.
Quelle parole, che già all’epoca provocarono una piccola rivolta con tanto di assalto all’ambasciata francese dove Bruno alloggiava, tanto da indurlo a mitigarne il tono nel De la Causa principio et uno, pesano ancora come un macigno sulla coscienza culturale degli inglesi. La missione di vendicare quell’onta si tramanda di generazione in generazione tra i discendenti dei dottori oxoniensi, che però non riescono a far nulla di meglio che rendersi degni di quel giudizio.
Cominciò già nel 1604 George Abbot, futuro Arcivescovo di Canterbury, allora vice-cancelliere a Oxford, a parlare con disprezzo di quell’omiciattolo italiano […] che rimboccandosi le maniche come un giocoliere…. intraprese il tentativo, fra moltissime altre cose, di far stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre, in verità, era piuttosto la sua testa che girava, e il suo cervello che non stava fermo.
In tempi più recenti Frances Yates fornì un supporto critico ai detrattori del Nolano con la sua sciagurata interpretazione del “mago ermetico”, tanto efficace nel ricercare il profondo rapporto di Bruno con l’ermetismo, quanto incapace per mentalità e sensibilità di comprenderne il senso vero e di valutarne il giusto peso nel complesso della sua filosofia.
Nel 1991 toccò allo storico John Bossy cimentarsi nell’impresa di ricacciare in gola al Nolano le sue offese: nel suo “Giordano Bruno and the Embassy Affair”, egli compie il più infame e meschino tentativo di infangare il genio di un Italiano, mai perpetrato da un inglese. Inventa un racconto poliziesco, nemmeno tanto interessante, e pretende di spacciarlo per storia: Bruno viene così identificato con un certo Fagot (in inglese “fascine per rogo”!), spietato e cinico prete-spia al servizio di Sir Francis Walsingham. Con forzature oltre ogni credibilità (addirittura arriva ad asserire che Bruno scrivesse con due grafie diverse: una per le sue opere e una per le missive segrete di Fagot!), l’ineffabile Mr. Bossy trasforma l’ispirato profeta dell’universo infinito in uno squallido, blasfemo sbeffeggiatore, maestro dell’inganno e della turpitudine.
Eppure basterebbe pensare alle opere immortali che il Nolano scrisse nel breve periodo dell’esperienza inglese, per capire che sarebbe stato impossibile conciliare l’ispirata e geniale riflessione filosofica dei Dialoghi Italiani con le ciniche informative del delatore. E’ un sistematico e premeditato sovvertimento della figura morale del filosofo: è lui il Giuda, non più Mocenigo! L’attitudine alla beffa dissacrante del Candelaio diventa l’habitus consueto di colui che girò il mondo per diffondere le proprie idee, non certo le proprie burle o facezie. Al culmine della sua “fatica” Bossy getta la maschera e conclude”: “Ben gli è stata la sua sorte!”, dando libero sfogo al livore e alla furia iconoclasta che l’hanno ispirato.
Col tono del gossip di fine anno, è ora la volta di Richard Newbury di riesumare e condire il peggio delle invenzioni scandalistiche di Bossy e riproporle con l’aggiunta di qualche malignità personale .
Il titolo dell’articolo sembra già suggerire che gli “Italiani in Inghilterra” il minimo che possano fare è comportarsi da spie amorali e senza scrupoli, poco importa che si tratti di pensatori del calibro di Giordano Bruno. Anche Shakespeare e Marlowe, che subirono il fascino potente del Nolano, sono obbligati ad abiurare : il ghigno satanico di Bruno trasfigura i volti del Berowne di Pene d’amor perdute e del Dr. Faustus. Perfino Amleto divide con lui la colpa di aver studiato a Wittenberg! Per il resto si tratta del resoconto poco originale delle malefatte del filosofo-spia nei due anni trascorsi in Inghilterra, alla luce della ricostruzione di Bossy.
La citazione di sapore machiavellico che conclude l’articolo, scovata con forzato acume nello Spaccio della bestia trionfante, sull’opportunità della Dissimulazione ben si attaglia, più che a Bruno-Fagot, a questi falsari della storia che, nel meschino tentativo di consumare una vendetta, aggiungono onta da onta, ridicolo a ridicolo.
Guido del Giudice, 2004
venerdì, 9 gennaio, 2004
DISCUSSIONI 2 Una tesi senza prove obiettive |
Ma Bruno non era una spia | |
Ordine Nuccio |
I miti, si sa, non sempre giovano agli autori che ne sono oggetto. Capita spesso, infatti, che le grandi figure finiscano per essere ingiustamente coinvolte in vicende leggendarie con il solo scopo di provocare scandalo e clamore. Mi pare che in questo contesto vada collocata la fantasiosa ipotesi di un Giordano Bruno spia al servizio degli 007 inglesi, teorizzata da John Bossy nel 1991 e di cui Richard Newbury fa indirettamente menzione nel «Corriere» del 27 dicembre. Il filosofo di Nola sarebbe l’ autore di una serie di missive inviate, con lo pseudonimo di Henry Fagot, al segretario Walsingham. Ma su quali basi viene fondata l’ identificazione tra Fagot e Bruno? Nessuna. La grafia della spia non coincide con quella di Bruno? Non c’ è da meravigliarsi: il filosofo, per non farsi scoprire, ha contraffatto la sua scrittura. Come avrebbe potuto il Nolano redigere quelle missive in francese? Non è un problema: nelle opere italiane non mancano i francesismi. Com’ è possibile che una delle lettere sia inviata da Parigi fine ottobre-inizi novembre 1586, mentre i documenti attestano che Bruno lasciò la capitale francese nel giugno di quell’ anno in seguito a una violenta disputa tenuta nel Collège di Cambrai e che intorno a quella data si trovasse già in Germania? Semplice: Bruno era sì in Germania, ma nessuno può smentire che si fosse recato a Parigi, solo per qualche giorno, proprio per spedire le sue informazioni a Londra! Altre perle si potrebbero aggiungere alla collana. Su questi castelli in aria, insomma, Bossy costruisce l’ immagine di un uomo privo di scrupoli, assetato di denaro, pronto a tradire gli amici e il re di Francia. Un’ immagine, insomma, di uno spregiudicato che in nome delle sue malefatte avrebbe addirittura ben meritato l’ atroce rogo di Campo de’ Fiori. Indipendentemente dall’ infondatezza della tesi, bastava leggere con attenzione le sue opere, i documenti e le più accreditate biografie per prendere subito coscienza di un Bruno diametralmente opposto a quello fantasioso disegnato da Bossy. Raramente, in un’ epoca dominata dal servilismo, è possibile ritrovare una profonda coerenza tra biografia e pensiero. L’ esperienza umana e intellettuale del filosofo, infatti, testimonia che la conquista del sapere e il diritto alla parola è frutto di una battaglia quotidiana, di un rigoroso impegno, di un forte sacrificio. E proprio per difendere la sua filosofia dell’ infinito e il suo amore disinteressato per la conoscenza, il Nolano non ha mai esitato a scontrarsi con potenti avversari nelle corti e nelle aule universitarie di molte città europee, rinunciando, volta per volta, a privilegi e a onori. Fino a concludere la sua esistenza, come la farfalla degli Eroici furori, nella luce di un rogo. Ma tra quelle fiamme, alimentate da una feroce intolleranza, Bruno, da uomo libero, ha scritto una delle pagine più eloquenti della sua filosofia.
Sabato 10 gennaio 2004
L’EREDITA’ DI UN FILOSOFO
GIORDANO BRUNO
L’uomo non è affatto il padrone del mondo
Umberto Galimberti
Un pensiero controcorrente che in qualche modo anticipava addirittura Darwin per l’evoluzione del corpo.
Ora disponiamo di riedizioni molto accurate delle opere basate su studi profondi come quello di Nuccio Ordine
Ce n’era abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo a Roma in Campo de’ Fiori il 17 febbraio del 1600. Aveva anticipato troppo i tempi, aveva detto verità che. solo oggi noi sentiamo familiari. Aveva messo in discussione la centralità dell’uomo nell’universo, si era spinto a negare la trascendenza di Dio. Dubitava che lo sguardo matematico degli scienziati fosse quello idoneo a comprendere la natura, e che lo sguardo teologico dei preti avvicinasse a Dio. Leggeva la filosofia in chiave comica e la commedia in chiave filosofica per relativizzare tutte le verità che pretendono l’assolutezza. Ai preti, a cui assegnava solo il compito di garantire l’ordine sociale con gli strumenti della fede, preferiva i maghi impegnati a reperire le costanti della natura (i vincoli) e quindi la sua conoscenza. Denunciava le violenze del cristianesimo perpetrate in America Latina dal quel “pirata” che era, a suo parere, Cristoforo Colombo, il quale barattava battesimi con oro e argento. Ce n’era abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo. Sto parlando di Giordano Bruno (1548-1600) di cui, in occasione dell’anno bruniano, la Utet ha editato le Opere italiane in due volumi per complessive 1856 pagine, già apparse in Francia da Les Belles Lettres e in procinto di essere tradotte in tedesco, spagnolo, svedese, rumeno, giapponese e cinese. L’edizione italiana, che si avvale degli studi di Giovanni Aquilecchia, maestro per cinquant’anni di studi bruniani, è stata curata da Nuccio Ordine, autore di una magistrale, e per me entusiasmante, Introduzione di 200 pagine, che sono parte di un più ampio saggio che, col titolo: La soglia dell’ombra. Letteratura,filosofia e pittura in Giordano Bruno, è stato pubblicato da Marsilio in Italia e da Les Belles Lettres in Francia. La prima opera in lingua italiana di Bruno è una commedia: Il candelaio, pubblicato a Parigi nel 1582. Ad essa seguirono sei dialoghi filosofici pubblicati a Londra tra il 1584 e il 1585. La commedia Il candelaio non fu ospitata dalla raccolta delle opere di Bruno curata da Giovanni Gentile, perché non ritenuta un’ opera filosofica. In realtà Gentile non aveva capito che l’intento,di Bruno era di destabilizzare i generi letterari e dimostrare che si poteva parlare comicamente di filosofia e filosoficamente della commedia, per relativizzare, tutte le verità credute assolute, a partire dall’ ordine cosmologico allora ipotizzato, che fungeva da supporto teologico per affermare la centralità dell’uomo nell’Universo e la sua destinazione” celeste. Bruno, che rifiutava la concezione geocentrica di Tolomeo, vuole liberare la terra dalla falsa immobilità e dai falsi principi di una filosofia teologizzante che, ponendo l’uomo al centro dell’universo ne fa il “dominatore e il possessore del mondo” come qualche anno dopo dirà Cartesio. Ma a Bruno non basta superare Tolomeo, cosa che aveva già fatto Copernico e dopo di lui Galileo e Cartesio. Bruno vuole superare anche l’eliocentrismo copernicano perché, pur avendo ammesso la centralità del sole rispetto alla centralità della terra, Copernico, a parer di Bruno, rimaneva ancorato a una cosmologia tradizionale, chiusa e delimitata, senza approdare a un universo infinito, senza centro e senza limiti, popolato da innumerevoli mondi e difficilmente conciliabile con le esigenze della “ragione calculatoria” tanto cara agli scienziati del suo tempo. Così dicendo, Bruno si pone contro sia gli scienziati che ritengono la natura indagabile solo con strumenti matematici, sia i teologi che vedono sconvolta l’architettura dell’universo, secondo la quale Dio ha creato un mondo finito, con al centro l’uomo, dominatore della natura e al contempo così bisognoso di salvezza da richiedere la discesa in terra del figlio di Dio. Questa presa di posizione su entrambi i fronti consente a Bruno di smascherare quella sotterranea parentela che, al di là delle dispute, lega la tradizione cristiana all’agnosticismo scientifico. L’una e l’altro infatti condividono la persuasione che l’uomo, disponendo dell’anima come vuole la religione o della facoltà razionale come vuole la scienza é, tra gli enti di natura, l’ente privilegiato che può sottomettere a sé tutte le cose. A questa enfatizzazione cartesiana del soggetto (Ego cogito) preparata dalla tradizione giudaico-cristiana (per la quale l’uomo è immagine di Dio. e, quindi nel diritto di dominare su tutte le cose), Giordano Bruno contrappone un percorso radicalmente diverso da quello che caratterizzerà per secoli il pensiero europeo. Non il primato dell’uomo, ma il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra tutti gli enti di natura che, al di fuori di ogni scala gerarchica) godono tutti di pari dignità, perché la più minuscola pulce è al centro dell’universo allo stesso titolo della più luminosa delle stelle. Spezzare l’ordine gerarchico significa distruggere la scala dei valori che faceva da sfondo sia alla visione teologica sia a quella scientifica del mondo che, a parere di Bruno vanno sostituite dalla visione magica che non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell’invisibile armonia”. Per questa concezione filosofica, antitetica sia alla scienza matematica che si alimenta della progettualità umana, sia alla religione che, se da un lato subordina l’uomo a Dio, non esita a considerarlo, fin dal giorno della sua cacciata dal paradiso terrestre, dominatore di tutte le cose, Giordano Bruno fu trascurato dagli scienziati del suo tempo che stavano inaugurando il sentiero che sarà poi percorso dal pensiero occidentale, e bruciato vivo a Roma, in Campo de’ Fiori, dalla Chiesa che allora, per dire la sua, disponeva di metodi più spicci. Ma oggi che il potere dell’uomo sulla natura inquieta l’uomo stesso, perché il suo potere di “fare” è enormemente superiore al suo potere di “prevedere” e di “governare” la propria storia, forse è opportuno un ritorno al pensiero di Bruno, per scorgervi, oltre all’anticipatore degli “infiniti mondi” contro il geocentrismo del suo tempo, colui che, proprio in forza degli “infiniti mondi” dubita che l’uomo possa essere pensato come il centro dell’universo e quindi in diritto di disporne secondo i modesti e al tempo stesso terribili schemi della sua acritica progettualità, perché alla legge del Tutto, a cui si volgeva la magia bruniana, impone la legge dell’uomo (occidentale) sul Tutto. Ma chi è l’uomo per Giordano Bruno? Con un’anticipazione che potremmo dire “darwiniana” l’uomo, al pari di tutti gli animali, è deciso dalla sua conformazione corporea, e la sua, superiorità non è dovuta tanto all’anima, alla ragione, alla mente, ma alla forma del suo corpo. A differenza del primate più evoluto, l’uomo infatti ha la mano libera nel cammino, e ciò consente a tutto il suo corpo di liberarsi nella manipolazione del mondo. Questa manipolazione si chiama “lavoro”, in cui è la specificità dell’uomo e la sua differenza dall’ animale, per cui non Adamo nel paradiso terrestre che oziava nella più assoluta incoscienza di sé, ma Adamo dopo il peccato originale che assume su di sé la “condanna” del lavoro (che a parere di Bruno è l’unica condizione per costruire cultura e civiltà) è la vera immagine dell’uomo. Non più impiegata come utensile la mano, che due secoli dopo Bruno, Kant definirà: “il cervello esterno dell’uomo”, è capace di gesti espressivi che sono negati agli animali, perché questi non disponendo di una mano libera, si trovano nell’ impossibilità di esplorare il mondo, con tutte le conseguenze-comportamentali e cognitive che, una volta acquisite grazie all’uso della mano, verranno messe in conto all’anima. Se non disponesse di una mano libera infatti, scrive Bruno: “L’uomo in luogo di camminare serperebbe, in luogo d’edificarsi palaggio si caverebbe un pertuggio, e non gli converrebbe la stanza, ma la buca”. Nonostante questo depotenziamento dell’ origine dell’uomo,’ più parente dell’animale che di Dio, Giordano Bruno è un grande umanista che non cade nell’ errore in cui, due secoli dopo, sono caduti gli illuministi che, come vuole la denuncia di Rousseau: “Confondono l’uomo di natura con gli uomini, che hanno sotto gli occhi. Sanno assai bene cos’è un borghese di Londra e di Parigi, ma non ‘sapranno mai cos’ è un uomo”. Di qui la condanna di Bruno ne La cena de le ceneri contro la spedizione di Cristoforo Colombo, contro una “conquista mascherata da scoperta”. Le popolazioni ameroinde, scrive Bruno, avevano una loro cultura, una loro lingua, una loro religione. Avevano insomma il diritto di vivere in pace secondo le loro leggi e i loro costumi. Ma la brama spregiudicata del profitto ha trasformato presunti marinai animati dal desiderio di conoscenza in vili pirati assetati di oro e argento che sulle loro navi, scrive Bruno ne Lo spaccio de la bestia trionfante, imbarcarono: “L’ abominevole Avarizia, con la vile e precipitosa Mercatura, col disperato Piratismo, Predazione, Inganno, Usura e altre scelerate serve, ministre e circostanti di costoro”. Bruno aveva capito che non basta celebrare l’uomo, come nell’ età umanistica si faceva, per conoscere l’uomo. E non si può conoscere l’uomo se lo si pensa, come vuole la religione e la scienza “padrone e dominatore del mondo”. Meglio una filosofia che lo riconosce negli “infiniti mondi” e così lo relativizza, armonizzandolo con tutti gli enti di natura, su cui l’uomo non può esercitare il suo incontrastato dominio, ma di cui deve prendersi semplicemente cura. Perché la sorte dell’uomo non è disgiunta dalla sorte dell’ altro uomo e neppure dagli enti di natura, come l’acqua, l’aria, gli animali, le piante, la terra, verso cui, soprattutto oggi, abbiamo dei doveri che nessuna morale, ad eccezione di quella bruniana, ha finora contemplato.
IL TRIBUNALE DELL’INQUISIZIONE |
Fino alla seconda metà del XII secolo l’eresia non era considerata un problema assillante della pastorale. Per le singole eresie presenti nell’ambiente intellettuale del convento e della scuola bastavano i meccanismi di repressione già esistenti. La concentrazione delle eresie popolari, soprattutto nella Francia meridionale, ed il loro irradiarsi in ampie parti dell’Europa portò, dalla seconda metà del XII secolo, sotto la guida del papa, ad unificare e a rendere più rigorosa la legislazione sugli eretici; venne così creata l’inquisizione come nuova misura di difesa della Chiesa Cattolica. Il vescovo, quale giudice della fede, nominava dunque degli inquisitori, che dovevano mettersi sulla traccia delle eresie e portare i seguaci di queste davanti al tribunale vescovile.
Sembra tuttavia che non si sia giunti a una caccia sistematica degli eretici da parte degli inquisitori vescovili. Inoltre, soprattutto i vescovi della Francia meridionale facevano difronte ai loro compiti con negligenza. In un primo momento l’inasprimento della legislazione, unito alla nuova procedura, conseguì scarso successo. Proprio per questo motivo Innocenzo III ricorse al mezzo della crociata contro gli eretici. Dal 1231 Papa Gregorio IX, visti gli insuccessi della crociata, nominò degli inquisitori dotati di ampi poteri per singole provincie ecclesiastiche contagiate dall’eresia. Questi agivano per incarico del papa e possedevano funzioni non solo inquisitorie, ma anche giudiziali, risultando così al tempo stesso accusatori e giudici. In forza della competenza giurisdizionale universale del papa, Gregorio IX attribuì agli inquisitori che il potere di emettere sentenze.
Clamorose infrazioni del diritto, trasgressioni di competenze e durissima prassi inquisitoria nelle indagini come nel giudizio sugli eretici condussero fra il 1238 e il 1241 a una diffusa opposizione e a una crisi dell’inquisizione papale appena creata. Sotto Innocenzo IV si venne ad una organizzazione dei tribunali. Le competenze vennero precisate, la procedura regolata fin nei particolari, rimase in vigore la più ampia esenzione dalla giurisdizione episcopale, fu posto l’accento sull’incarico pontificio. Soltanto con la nomina di accusatori e di delegati, quali inquisitori papali, la lotta contro l’eresia divenne efficace.
Dopo la riorganizzazione, sotto Innocenzo IV, furono posti dei limiti anche all’arbitrio e alla prassi terrorizzante dei singoli inquisitori. La procedura era formalmente corretta, in rapporto alla prassi giurisdizionale e procedurale, tuttavia il tribunale, che agiva a porte chiuse, era incontrollabile e privava gli accusati di qualsiasi diritto. Di regola all’inquisitore, in quanto giudice, interessava veder confermati nel processo i propri accertamenti: all’imputato la confessione veniva estorta per mezzo di tortura. Per la loro qualità i processi dell’Inquisizione erano, per così dire, processi-spettacolo, in cui la sentenza era stabilita a priori, perchè la procedura era congegnata in modo da condurre regolarmente alla condanna l’accusato.
I giudici erano prigionieri del loro procedimento e convinti della regolarità del loro operato e della compiacenza divina per la loro funzione. All’inizio l’Inquisizione era pensata come una misura d’emergenza a termine e per determinate zone. Alcuni paesi, come l’Inghilterra non avevano affatto l’inquisizione papale. In altri essa rimase invece un fatto transitorio.
In Francia, Italia e Spagna, invece già nel XIII secolo ne nacquero istituzioni permanenti per un distretto giurisdizionale circoscritto. Alla guida di questi uffici con sede, personale e archivio propri, i papi nominarono prevalentemente, secondo la prassi di Gregorio IX, religiosi degli ordini mendicanti. Nella fase organizzativa, con Gregorio IX, per questo ruolo vennero dapprima incaricati i domenicani dotati di una preparazione scientificamente approfondita.
Oltre a questi naturalmente vi erano anche inquisitori provenienti dai sacerdoti secolari e da altri ordini. Ad esempio, non pochi francescani erano attivi inquisitori. Sia domenicani sia francescani fecero ben presto del loro incarico una finalità dell’ordine e videro nei loro fondatori i primi inquisitori. Eresia significava semplicemente delitto meritevole di punizione e non più bisognoso di predicazione mirante alla conversione.
IL CODICE INQUISITORIO
Il codice inquisitorio deriva dall’editto imperiale di Teodosio e fu utilizzato dai tribunali speciali istituiti da Gregorio IX. Il semplice sospetto di eresia autorizzava gl’inquisitori a confiscare i beni dell’accusato e a procedere con torture per ottenere confessioni, a torture peggiori per avere ritrattazioni e a una diminuzione della pena per chi denunciava eventuali complici o avvalorava questa o quella tesi. Ad essere perseguiti come eretici erano in prevalenza gli uomini: liberi pensatori che criticavano o non si assoggettavano ai dettami della Chiesa Cattolica (filosofi, scienziati, alchimisti) ma anche omosessuali, storpi e chiunque rientrava fra i cosiddetti “segnati da Dio”. Per le donne, invece, l’accusa era spesso quella di stregoneria. Il prendersi cura di uno o più gatti neri, ammaliare un uomo o avere comportamenti atipici era motivo sufficente per accendere un rogo.
Questi i sintomi medici su cui si basavano i giudici dell’inquisizione per stabilire il crimine di stregoneria:
-malattia che i medici non conoscono;
-malattia che aumenta nonostante le cure;
-sintomi e dolori violenti;
-sintomi variabili che il paziente non riesce a localizzare;
-sospiri tristi e pietosi senza legittima causa;
-perdita di appetito e vomito della carne mangiata;
-spasmi acuti al petto e sensazione di calore;
-impotenza sessuale;
-sudore anche leggero quando fa freddo;
-sensazione di membra legate;
-sensazione malinconica, sguardo storto, visione di fantasmi;
-sudore dopo l’unzione del prete sugli occhi;
IL LIBRO NERO
1278
200 catari e valdesi sono arsi vivi nell’arena di Verona per ordine dell’inquisizione.
1370
20 ebrei sono arsi vivi dai cattolici a Bruxelles.
1377
2500 abitanti di Cesena sono massacrati dai mercenari pontifici in quanto ribelli antipapali.
1391
4000 ebrei sono massacrati dai cattolici a Siviglia in Spagna.
1397
100 valdesi di Graz in Austria sono impiccati e bruciati per ordine dell’inquisizione.
1405
12 cittadini romani sono massacrati da mercenari pontifici guidati dal nipote di Innocenzo VII.
1415
Il predicatore e teologo boemo Jan Hus, viene bruciato a Praga per aver criticato il commercio delle indulgenze.
1416
300 donne accusate di stregoneria sono arse nel comasco per ordine dell’inquisizione.
1485
49 persone sono giustiziate per ordine dell’inquisizione a Guadalupe in Spagna.
1485
41 donne accusate di stregoneria sono bruciate a Bormio per ordine dell’inquisizione.
1486
31 ebrei sono giustiziati a Belalcazar in Spagna per ordine dell’inquisizione.
1483/1498
L’inquisitore spagnolo Tomas de Torquemada condanna personalmente 10220 sospettati di eresia.
1505
14 donne accusate di stregoneria sono ammazzate a Cavalese su ordine del vicario del vescovo di Trento.
1507
30 persone accusate di stregoneria sono bruciate a Logrono in Spagna per ordine dell’inquisizione.
1513
15 cittadini romani sono massacrati dalle guardie svizzere del papa.
1514
30 donne accusate di stregoneria sono bruciate a Bormio per ordine dell’inquisizione.
1518
80 donne accusate di stregoneria sono bruciate an Valcamonica per ordine dell’inquisizione.
1538
Il professore universitario B. Hubmaier viene condannato al rogo.
1545
2740 valdesi sono massacrati dai cattolici in Provenza.
1559
15 protestanti sono arsi vivi a Valladolid in Spagna su ordine dell’inquisizione.
1559
14 protestanti sono arsi vivi a Siviglia in Spagna su ordine dell’inquisizione.
1561
2000 valdesi sono massacrati dai cattolici in Calabria.
1562
300 persone accusate di stregoneria sono arse vive a Oppenau in Germania.
1562
63 donne accusate di stregoneria sono bruciate a Wiesensteig in Germania su ordine dell’inquisizione.
1562
54 persone accusate si stregoneria sono bruciate a Obermachtal in Germania su ordine dell’inquisizione.
1567
17000 protestanti delle Fiandre sono massacrati dagli spagnoli.
1573
5000 servi della gleba croati in rivolta sono massacrati per ordine del vescovo cattolico Jurai Draskovic.
1580
222 ebrei sono condannati al rogo per ordine dell’inquisizione in Portogallo.
1600
il filosofo Giordano Bruno viene bruciato vivo a Roma.
1655
1712 valdesi sono massacrati dai cattolici.
1680
20 ebrei sono condannati al rogo a Madrid per ordine dell’inquisizione.
1686
2000 valdesi sono massacrati dai cattolici penetrati nelle loro valli per sterminarli.
1691
37 ebrei sono bruciati a Maiorca in Spagna per ordine dell’inquisizione.
1697
24 protestanti sono giustiziati dai cattolici a Presov in Slovacchia.
1680
20 ebrei sono condannati al rogo a Madrid per ordine dell’inquisizione.
1691
37 ebrei sono bruciati a Maiorca in Spagna per ordine dell’inquisizione.
www.kattolico.it Il rogo di Giordano Bruno di don Luigi Negri L’inquisizione ha distrutto la creatività dell’uomo moderno?Intendo fare come premessa un’osservazione metodologica che serve sia retrospettivamente per il problema delle crociate, sia per il problema molto più complesso e spinoso di Giordano Bruno e che servirà anche per tutti i punti scottanti della storia della Chiesa.Il problema della conoscenza storica è un problema di conoscenza globalrnente morale. Non si tratta di conoscenza scientifica dell’avvenimento storico. L’avvenimento storico, infatti, in quanto è un atto di persone e di gruppi di persone che hanno intenzioni e subiscono condizionamenti non può essere studiato come un qualsiasi fenomeno scientifico. La verità ultima di tutti gli avvenimenti storici sfugge allo storico, che la può conoscere solo per approssimazione. In questa approssimazione c’è certamente un aspetto di considerazioni morali, ma non soltanto morali, infatti l’aspetto interessante sta nel vedere come attorno al giudizio morale si raccolgono fatti, valori positivi, condizionamenti che ci mostrano la struttura sottostante, per cui la conoscenza di un fenomeno storico è ultimamente la conoscenza della sua struttura. Ora, nella struttura di questo periodo, mi sembra che il movente non unico, ma determinante, che convive con moltissime cadute o incoerenze, sia un movente che trova la sua origine nella fede e nell’impegno della testimonianza cristiana nel mondo.L’osservazione che nel fenomeno delle crociate ci sono stati dei fatti immorali sarebbe inutile a farsi. io non ho avuto l’intenzione di dire che non ci sono stati fenomeni di violenza, ho semplicemente cercato di scardinare l’idea laicista della crociata, cioè che nella crociata la religione mostra il suo fondamentalismo utilizzando la violenza per un’operazione di carattere ideologico-politico: questo è quello che io ho messo in discussione. Ciò che ci preme dire circa il cedimento morale è che non si tratta di un problema delle crociate, ma di quell’epoca: durante tutto quel periodo il contatto era rozzo e si avevano le mani piuttosto pesanti, non solo fra cristiani e musulmani, ma fra cristiani e cristiani, fra musulmani e musulmani, eccÉ chiaro che ovunque si ammazza un uomo si compie un delitto. Il problema è vedere il gioco di questo giudizio morale all’interno di un fenomeno che è complesso e sfaccettato, denso delle più diverse implicazioni.Per quanto riguarda Giordano Bruno, la complessità si rivela nel fatto che la sua vicenda va situata nel suo nucleo teologico-filosofico-ecclesiale, nell’ottica di quella particolarissima situazione della Chiesa e della società civile che caratterizzava ancora il Seicento.La soppressione di una vita (che dal punto di vista morale è sempre un grave errore, sia esso compiuto nel 1600 al Campo dei Fiori oppure nei campi di concentramento, oppure sparando all’amante della moglie) assume connotazioni, valori anche morali diversi a seconda che si cerchi di individuare il contesto in cui è operata e le motivazioni profonde che l’hanno determinata. Quindi vi è certamente una valenza morale, ma non si può ridurre la conoscenza storica alla valutazione morale, poiché la conoscenza storica è conoscenza di un complesso di istanze che si intrecciano in ogni gesto umano. In ogni gesto umano esiste l’aspetto dell’intenzione, dei valori, del condizionamento, dell’incoerenza. L’interesse di uno studio storico è allora mettere in evidenza che cosa è Stato determinante come intenzione, che cosa è stato determinato come esperienza e quali sono stati eventualmente i valori che l’hanno resa più o meno coerente e che, quindi, rendono più o meno comprensibile il gesto.Veniamo ora alla questione di Giordano Bruno.Intendo immedesimarmi nella domanda che è stata posta a titolo di questa parte: “L’inquisizione ha spento la creatività dell’uomo moderno?”. Cercherò di rispondere tentando di delineare almeno gli aspetti fondamentali dell’episodio di Giordano Bruno.1. Giordano Bruno è un fenomeno assolutamente eccezionale nella storia della cultura del Rinascimento italiano. E l’espressione di quel particolare momento, la pienezza del Rinascimento italiano, in cui l’uomo è la misura di tutte le cose, si concepisce veramente come l’origine di tutte le energie intellettuali e morali.Rileggendo il fenomeno di Bruno, Schelling diceva: “È una personalità ebbra di Dio”. Bruno è una personalità di ricchissima cultura, normalmente acquisita in modo autodidattico, pur avendo fatto studi regolari che, seguendo l’itinerario dell’ordine domenicano cui apparteneva, avevano una impostazione sostanzialmente non ancora tomistica, ma che comprendeva una forte componente agostiniana. Infatti il pensiero di san Tommaso si fa strada faticosamente anche all’interno dell’ordine, arricchendosi di influssi e correnti diverse.La sua stessa vita, se ripercorsa, ci mostra una capacità straordinaria di produzione culturale e di rapporti. Quest’uomo, che nasce tutto sommato in una piccola città di provincia (Nola) e che nel giro dei pochi anni giovanili ha già rotto con l’ordine, si è secolarizzato e arriva nel 1581 a Parigi. Qui entra a contatto con le cerchie più interessanti della cultura e della politica ed i suoi rapporti con Enrico III, re di Navarra, sono qualcosa che deve essere ben studiato perché io mettono anche in una posizione di particolare rilievo a livello politico nel confronto Francia, Inghilterra, Spagna che domina in quel momento la storia politica. Passa in Inghilterra nel 1583; a Oxford scrive le opere fondamentali in italiano: La cena delle Ceneri; Della causa principio et uno; Dell’infinito universo et lo mundi; Lo spaccio della bestia trionfante; Gli eroici furori.Si scontra con la cultura di Oxford; commentando questo episodio, è sempre stato detto che è l’uomo del Rinascimento a mettere in crisi la struttura medievale che sopravvive a Oxford. Non è assolutamente vero: la Oxford che egli incontra è protestante, ha rotto con la tradizione filosofica del Medioevo, quindi con la grande scolastica, e si è ridotta ad essere sostanzialmente un luogo di filologi, un luogo di letterati.Quindi, la lotta, il confronto è fatto da Giordano Bruno nel tentativo di recuperare i termini della grande cultura oxoniense ed è all’inizio di un movimento di recupero della cultura tradizionale che passa attraverso l’università, su impulso anche suo e di altri grandi personaggi del mondo elisabettiano, attraverso dei cenacoli liberi. Egli si trasferisce in seguito a Praga, dove viene a contatto con una tradizione di carattere ermetico-magico. Torna finalmente a Parigi nel 1586, dove la morte improvvisa di Enrico III di Navarra che apre l’ascesa al trono di Francia ad Enrico IV, lo convince a tornare in Italia nel 1591.Appena tornato a Venezia, in una situazione di fondamentale libertà nei confronti della struttura ecclesiastica, viene denunziato dal patrizio che l’aveva chiamato, Giovanni Mocenigo. Incomincia qui quel lungo processo di cui parlerò come terzo argomento del nostro lavoro: iniziato nel 1591 si conclude, per quanto riguarda la fese veneta, nel 1593 con un sostanziale “non luogo a procedere” di fatto se non di diritto. A seguito di ciò abbiamo l’estradizione a Roma nel 1593, una seconda fase del processo che si conclude con il rifiuto alla ritrattazione e con l’esecuzione capitale nel febbraio del 1600 in Campo dei Fiori.E certamente un personaggio straordinario, frate di un convento di una piccola provincia italiana, che gestisce una responsabilità di carattere culturale e in qualche modo politico che assume connotazioni di carattere sociale e politico di rilievo internazionale. Ma non è l’unico. Nello stesso periodo, più o meno coevo, Tommaso Campanella ha una situazione di carattere culturale, storico e politico analoga.Bruno è un uomo che non ha retroterra culturali determinati, che riesce a valorizzare san Tommaso e la cultura del Rinascimento italiano; riesce anche a valorizzare la filosofia neoplatonica nella versione fondamentalmente ortodossa di Marsilio Ficino. Ma, attraverso Agricola, viene a contatto con il pensiero ermetico e magico o con quella che vien chiamata la filosofia e la religione egiziana. Dopo aver mostrato l’eccezionalità di questa figura, che dimostra realmente come il Rinascimento italiano ha determinato un’immagine d’uomo e di cultura assolutamente nuova e creativa, dobbiamo ora cercare di entrare nel vivo del pensiero di Giordano Bruno.2. A questo scopo noi possiamo utilizzare oggi le opere di una studiosa, la Yates, che ha dedicato a Giordano Bruno tutta la sua ricerca filosofica ultraquarantennale favorendone un’interpretazione in qualche modo nuova e più adeguata.Bruno non vuole essere un filosofo cristiano, ma un mago rinascimentale propagatore dell’antica religione egiziana, poiché attraverso Agricola valorizza e si fa promotore di tutta la corrente mnemotecnica e magica. Si tratta della corrente della teoria della memoria, che nasce come letteratura (come studi di struttura letteraria, diremmo noi oggi), ma che ha un valore molto più ampio della struttura letteraria, perché viene accostata alla capacità magica. In questa accezione, Giordano Bruno è innanzitutto un mago rinascimentale, che crede dì poter realizzare una visione universale di carattere precristiano e fondamentalmente anticristiano perché il cristianesimo è, secondo lui, responsabile della distruzione di questa antica religione egiziana che permette il massimo nell’intervento e nella trasformazione della realtà materiale e sociale attraverso la magia in senso stretto.La sua preoccupazione fondamentale, lo vedremo nel processo, è quella di attutire il più possibile i punti di contrasto con la tradizione cattolica e addirittura con la disciplina ecclesiastica. Egli vuole dimostrare una capacità di formulazione culturale assolutamente nuova, che non ha e non vuole avere legami immediati con la tradizione cristiana, anche se non la rifiuta. Ecco perché a Oxford è il difensore di san Tommaso, ovvero il difensore dal punto di vista culturale di un’altissima tradizione filosofica che le vicende del protestantesimo, con una sorta di distruzione dell’immediato passato cattolico, avevano cancellato. A Oxford c’erano stati dei veri e propri roghi di centinaia di migliaia di manoscritti dell’antica tradizione filosofica; Giordano Bruno e un uomo di cultura, che non può accettare che un momento fondamentale della storia, della cultura precedente venga distrutto per fanatismo.Si tratta dunque di un uomo che, nella sua straordinaria libertà di approccio con il passato, non ha come preoccupazione quella del dialogo con la tradizione cattolica, ma quella di formulare un’immagine assolutamente nuova dell’uomo e del suo rapporto con la realtà. Nello Spaccio della bestia trionfante si afferma: “Non sai come l’Egitto sia l’immagine del cielo? La nostra terra è tempio del mondo, ma tempo verrà che apparirà l’Egitto. Invano esso è stato religioso cultore della divinità. O Egitto, delle religioni tue solamente rimarranno le favole, la morte sarà giudicata più utile della vita, nessuno alzerà gli occhi al cielo. Il religioso sarà stimato insano, l’empio sarà giudicato prudente, il furioso forte, il pessimo buono; ma non dubitare Asclepio, perché dopo che saranno accadute queste cose, allora il Signore, Padre e Dio governatore del mondo, senza dubbio darà fine a tal macchia richiamando il mondo all’antico volto”.Dunque, c’è una posizione del tutto originale, che è quella della religione egiziana e della magia a essa conseguente, fenomeno che si lega al progetto globale di una riformulazione radicale e definitiva della cultura proprio del Rinascimento. Anche Campanella, infatti, parlerà di una instauratio magna della filosofia e delle scienze; anche Telesio ha parlato di una instaurazione da capo del sapere, proprio perché l’uomo che fa cultura non ha più nessuna vincolo, ed in questo senso è realmente l’uomo moderno, che si sente e vive svincolato da qualsiasi condizionamento.Su questo progetto si innesta una preoccupazione di tipo strettamente politico: Giordano Bruno è filofrancese. Quando soggiorna a Oxford abita a casa dell’ambasciatore di Francia, presso la corte di S. Giacomo. Infatti, la Cena delle Ceneri, che è l’opera programmatica, è la descrizione di una cena, svoltasi nell’ambasciata francese, in cui egli dialettizza con i rappresentanti della cultura ufficiale di Oxford.Sostanzialmente la sua preoccupazione religioso-politica è quella di operare una mediazione che isoli gli estremismi.Quali sono per lui gli estremismi? Il regno di Spagna e la sua politica ultrapapale, ultracattolica e il fanatismo luterano. Stando così le cose, lo scontro e inevitabile e la possibilità di ricostruire in Europa una situazione sociale e politica non turbata dagli scontri religiosi si annulla.Ecco perché intorno ad Enrico III c’è, certamente appoggiato all’azione culturale di Giordano Bruno, il tentativo di tessere le trame di un’alternativa moderata alla controriforma da un lato e al radicalismo luterano, calvinista, protestante e anglicano. La morte di Enrico III e la salita al trono di Enrico IV che si converte perché “Parigi val bene una messa”, mette fine a questo progetto.É fuori discussione che uno potesse pensare di essere mago rinascimentale, cioè di creare un tipo di struttura intellettuale e tecnologica (perché, in fondo, la scienza è un aspetto della tecnologia o, almeno, ha delle applicazioni tecnologiche) per modificare la vita e il comportamento degli uomini e, al di là di esso, i comportamenti sociali e, quindi, la struttura della società ma è chiaro che tale posizione non possa più essere considerata cattolica.Dunque, la Chiesa con Giordano Bruno si trova di fronte a un fenomeno che ha più volti e che pretende giocare anche un peso di sostanziale rilievo all’interno della politica. Occorre tener presente che sono gli anni in cui il cattolicesimo era ridotto a Italia e Spagna; sono infatti gli anni della massima avanzata del luteranesimo in Europa e, con Elisabetta, della sistemazione dell’anglicanesimo in Inghilterra e Bruno è certamente il ponte fra i settori moderati che sono attorno ad Elisabetta regno di Francia per creare un’intesa moderata.Che questa sia la sostanza del pensiero di Bruno, credo che si possa più mettere in discussione: mi che sia un dato acquisito dalle ricerche più rea compreso il contributo della Yates, come riconoscimento unanime di tutti gli studiosi, primo fra tutti il Garin, che si erano occupati del problema della filosofia rinascimentale in Italia.É un fenomeno, dal punto di vista culturale, di assoluta eccezionalità, nuovo e che pretende di essere nuovo, che nelle sue radici travalica, a monte, il cattolicesimo portando a galla una tradizione gnostica, sofistica, magica che ha permeato tutta la tradizione, anche tutta la cultura medievale, senza mai essere completamente eliminata.Quindi, in Giordano Bruno viene a galla il volto anticattolico della modernità, il massimo della creatività; ma questa creatività, evidentemente, non può che essere “diversa”: si tratta di una creatività nuova che prende atto di vivere in un contesto determinato dalla tradizione. La tradizione, però, è sostanzialmente da rinnegare perché il cattolicesimo, come struttura ecclesiale ed ecclesiastica, è per Bruno responsabile della eliminazione della religione naturale universale.La religione egiziana come religione naturale: è una tematica che tutto il Seicento affronterà, dove viene messo a tema il rapporto fra le religioni naturali e le religioni storiche e se le religioni storiche, e in particolare il cattolicesimo, siano una corruzione o un inveramento delle religioni naturali.Si tratta perciò di una problematica che vede un mutamento antropologico: questa gente non aveva nessun pregiudizio né rispetto per niente, perché voleva costruire una visione originale dell’uomo e della realtà e portarla, il più rapidamente possibile, dall’aspetto teorico all’aspetto pratico. Quindi, viene recuperata anche quella istanza fondamentale della modernità che si sarebbe espressa compiutamente dopo l’illuminismo, cioè l’ideologicità, ovvero il passaggio dalla teoria alla prassi e la modificazione della prassi, soprattutto della prassi sociale, a partire dalla teoria.Questo è Giordano Bruno. Egli non è soltanto un frate ribelle; è una personalità che si pone sul piano teorico, pratico, ecclesiale e politico dei problemi che sono assolutamente obiettivi.Dopo aver chiarito l’immagine, ricordiamo che già nella sua biografia gli studiosi si sono chiesti chi ha finanziato la sua enorme capacità di viaggio, non potendo evidentemente essere pagata da lui stesso. Qualche anno fa un certo filone di studi storici ha individuato la possibilità che egli fosse una spia in Inghilterra a servizio della Francia.Anche queste ipotesi tendono a indagare livelli di eccezionale complessità nella vicenda bruniana, la quale, nella sua realtà ultima, appare in tutta la sua perspiquità.3. Arriviamo al processo. Su di esso dobbiamo certamente soffermarci in quanto è questo il punto dello “scandalo” per la storiografia e la cultura laicista.Qualche mese fa, quasi provvidenzialmente, è uscito in Italia Il processo a Giordano Bruno a cura di Luigi Firpo.Luigi Firpo è stato un grande filosofo del diritto e della morale, un grande storico della filosofia di formazione laicista, uno dei migliori allievi di Saitta e Gentile, che ha studiato per quasi quarant’anni le carte del processo di Giordano Bruno. Con questi documenti è stato possibile ricostruire con assoluto rigore tutte le vicende giudiziarie di Bruno, ad esempio le varianti delle accuse nelle denunce scritte e nelle accuse orali.Il processo di Giordano Bruno è il tipico processo inquisitoriale; noi diremmo, provocatoriamente, un processo altamente garantista. Il processo si muove a partire da alcune accuse, orali o scritte, che vengono registrate e di cui viene data immediata notizia a colui che è inquisito perché possa difendersi; sono decine, e son tutti in archivio i memoriali che Bruno stende per rispondere alle singole accuse. Le accuse non hanno valore probatorio se non sono confermate da almeno tre testimoni; per cui, un’accusa di un solo testimone, per esempio il Mocenigo, quello che lo denunziò, viene ritenuta invalida fino agli ultimissimi giorni del processo.Dopo la conclusione del processo a Venezia, che resta una cosa a parte, inizia la prima fase del processo romano nel 1593. Egli è detenuto a Roma nelle prigioni del S. Uffizio, che sono prigioni che prevedevano che il carcerato avesse una sua cella a disposizione, potesse scrivere, leggere, entrare a contatto periodicamente con quelli che potevano essere coinvolti nella sua difesa. Ogni tre mesi, infatti, gli inquisitori (non soltanto i funzionari, ma i cardinali inquisitori) incontravano i prigionieri, i quali esprimevano le loro istanze, le loro richieste: ci sono documenti in cui Giordano Bruno chiede vestiti pesanti perché fa freddo, chiede una modificazione del vitto perché è sempre quello, chiede di poter leggere e scrivere, chiede penne, inchiostro, breviari, chiede la possibilità di consultare la Summa Theologiae. Quindi, anche dal punto di vista del rapporto con gli accusatori pubblici, il processo è fatto perché l’imputazione possa essere contestata.C’è, dunque, una prima fase che è quella della individuazione delle accuse, della interrogazione dei testi, della loro verbalizzazione e contestazione, motivo per cui l’udienza si chiama “constituto”; ci sono ventun “constituti” in cui Bruno è presente, in cui vengono contestate le accuse e gli vien dato, normalmente, uno spazio adeguato di tempo per la risposta.Quando si è in fase di conclusione del processo romano (siamo nel 1595), c’è un intervento diretto del Papa il quale, siccome le accuse hanno messo in evidenza le opere, chiede a una commissione di teologi di valutare se, nella lettura dei testi stampati e anche di quelli non ancora stampati, ma manoscritti, ci siano conferme alle accuse già fatte o nuove accuse. Questa censura (come si dice) dei libri dura due anni: dal 1596 al 1597.Nel 1597 si rifà integralmente il processo, perché l’Inquisizione richiede che, discussa una prima volta la causa, escussi i testi, archiviate le accuse e risposto l’inquisito alle accuse, non sia sufficiente: è necessaria una ripetizione, che può essere fisica o documentale, cioè il testimone può tornare per riproporre le accuse oppure può affermare, per iscritto, che le accuse precedentemente presentate sono confermate.Dal punto di vista del rigore giuridico, non si può fare nessuna accusa al processo inquisitoriale perché questo è esattamente lo schema di tali procedimenti.Alla fine di questo lungo processo (leggendo Firpo ci si rende conto del passaggio) alcune accuse vengono fatte cadere e alcune sono confermate. Le quattordici proposizioni che vengono sottoposte negli ultimi due “costituti” a Giordano Bruno e sui quali gli viene chiesta la ritrattazione, non sono tutte le accuse del primo processo del 1591; non sono neppure quelle del secondo processo del 1594, ma sono ciò che è rimasto di tutta l’azione giurisdizionale di carattere inquisitoriale e che rappresentano qualche cosa nei confronti della quale la Chiesa non può ammettere che un cristiano le affermi impunemente. Esse sono: negare la Transustanziazione, che riprende la quarta accusa della prima denuncia; mettere in dubbio la Verginità di Maria; aver soggiornato in Paesi eretici, vivendo alla loro guisa; aver scritto contro il Papa lo Spaccio della bestia trionfante; sostenere l’esistenza di mondi innumerevoli ed eterni, in una concezione totalmente panteistica, per cui l’universo è Dio e Dio è l’universo, e il rapporto tra l’uno Dio e il mondo è un processo emanativo, quindi sostanzialmente necessitato, e quindi non è più affermato il principio della creazione del mondo da parte di Dio; asserire la metempsicosi e la possibilità che un’anima informi più corpi, ritenere la magia buona e lecita; identificare lo Spirito Santo con l’anima del mondo, quindi dare una versione non cristiana di un dogma fondamentale della fede; affermare che Mosè simulò i miracoli e inventò la Legge; dichiarare che la Sacra Scrittura non è che un sogno; ritenere che perfino i demoni si salveranno; asserire che Cristo non è Dio, ma ingannatore e mago, e che a buon diritto è stato ucciso; asserire che anche i Profeti e gli Apostoli furono maghi e quasi tutti vennero a mala fine.Ciò che è accaduto negli ultimissimi mesi rimane, anche nello studio delle carte processuali un fatto enigmatico. Giordano Bruno, non soltanto nella fase veneta (1591-1593), ma anche lungo tutto il corso della fase romana si era detto disponibile alla ritrattazione e aveva sostanzialmente ritrattato tutti i punti di più grave frizione con il dogma cattolico e con la disciplina ecclesiastica, ribadendo, nei casi del dogma, che si trattava il più delle volte di discussioni di carattere puramente teorico fatte con gente che non ci credeva; dal punto di vista della disciplina, aveva ribadito che, essendo vissuto come errabondo per tutta l’Europa in Paesi non cattolici, poteva avere certamente assunto un modo di fare e di dire non propriamente ecclesiastico.Quindi, se si seguono le carte del processo, per quanto riguarda il patrimonio dogmatico-cattolico e la ecclesialità Giordano Bruno è morbidissimo.La ritrattazione nel processo inquisitoriale comporla sola comminazione di pene canoniche, non di pene civili. Il reo che ha ritrattato, che ha riconosciuto avere sbagliato, al massimo ha una serie di pene cache, nel caso di frati, consistevano nel confinamento in qualche convento e nell’esercizio di una serie di pratiche di pietà da realizzare evitando, quindi, di essere consegnato al braccio secolare, come invece chi non ritrattava. Al contrario, chi non ritrattava assumeva esplicitamente e pubblicamente una posizione alternativa alla Chiesa; e siccome la Chiesa informava la società, consegnava il reo al braccio secolare perché la vicenda da religiosa e canonica assumeva un rilevo di carattere civile.Ora, è indubbio che il processo stia andando verso la ritrattazione quando accade un evento gravissimo: un anno prima della conclusione un frate che era stato imprigionato a Padova e a Venezia con Giordano Bruno, tal frà Celestino da Verona, che vive in un convento delle Marche e sta ponendo fine ad una condanna di carattere canonico che aveva ricevuto dall’Inquisizione, si presenta spontaneamente a Roma con un accusa circostanziata a Giordano Bruno.Era un’accusa tremenda, così grave, dice il Firpo che ha studiato le carte, che viene segretata direttamente da Clemente VIII per cui non se ne trova traccia. Essa è comunque un’accusa gravissima, di cui Celestino si dice anch’egli responsabile, tant’è vero che viene giustiziato sei mesi prima di Giordano Bruno.C’è dunque questo fenomeno aberrante, incomprensibile di uno che sostanzialmente accusa Giordano Bruno di una tale eterodossia e probabilmente di una doppiezza invincibile nei confronti della Chiesa che non solo il suo caso ha una conseguenza tragica, ma che il processo a Giordano Bruno, con una testimonianza così giurata e spontanea, si trova di fronte a una svolta veramente drammatica.Giordano Bruno sembra sostanzialmente dire: “Sono disposto a ritrattare tutto, meno i principi della mia filosofia”.Questa è la questione. Sostanzialmente il rifiuto di Giordano Bruno è di mettere in discussione, con una istanza culturale e morale come la (Chiesa, il contenuto della sua creatività. I suoi errori dogmatici e la sua disobbedienza erano per lui in fondo degli avvenimenti secondari. Il cuore della sua vicenda umana e culturale era la sua filosofia, questa nuova o antica visione della realtà recuperata e portata in vigore, su cui si poteva in qualche modo creare un momento nuovo della storia dell’umanità. Su tutto avrebbe potuto ritrattare, su questo no.Ma le proposizioni su cui la Chiesa ha chiesto la ritrattazione sono ugualmente di carattere dogmatico, di carattere disciplinare ed ecclesiastico e di carattere filosofico. Credo che il dramma (e Firpo dice dramma tra la libertà di coscienza e l’autorità) è davvero nel senso che la visione cattolica dell’uomo ritiene che la creatività non sia l’assoluto; la creatività è una capacità soggettiva ed individuale che deve misurarsi con una Presenza che ritiene di essere la rivelazione definitiva dell’Essere, di Dio e che, quindi, in qualche modo si pone come normativa della creatività.Allora, è indubbio che il processo ha la sua conseguenza inevitabile: il rifiuto della ritrattazione dà alla questione un carattere prevalentemente civile.La ritrattazione rifiutata comporta l’itinerario solito, cioè la consegna al braccio secolare e l’esecuzione; ma affinché avvenga la ritrattazione dei dieci, quindi dalla comminazione della sentenza all’esecuzione, vi è stato (come ricordano le carte dei processo) un susseguirsi continuo di tentativi di aiutarlo a trattare attraverso i migliori rappresentanti degli Ordini Predicatori di Roma (agostiniani, francescani, gesuiti). Ma Giordano Bruno è irremovibile e, essendo irremovibile, la questione ha la sua conseguenza di carattere civile. Infatti la legge non prevedeva eccezioni: l’itinerario fu seguito fino al suo esito ultimo, fino all’esecuzione capitale.Vorrei ora fare due osservazioni conclusive, sperando di avervi dato il senso della drammaticità della questione:- Prima osservazione. Indubbiamente la creatività intesa nel senso moderno della parola è una creatività che, dove la Chiesa ha avuto un suo influsso determinante, si è in qualche modo ridotta, questo è fuori discussione. La controriforma ha rappresentato, dal punto di vista della espressione, della espansione della creatività individuale, un reale ed obiettivo condizionamento. Ma questa creatività di tipo assoluto, in cui l’uomo si concepisce come il creatore della cultura in quanto in qualche modo si concepisce come il creatore della realtà, non può essere pensata puntualmente riferita a Giordano Bruno, il quale non può non essere collegato, al di là della sua vicenda, alla secolarizzazione dell’Occidente e alla nascita di una cultura alternativa a quella cattolica, a quella che dall’Illuminismo in poi si è trasformata sostanzialmente nelle ideologie e nei grandi sistemi totalitari da esse derivati.Non si può, quindi, idealizzare la creatività nella storia: la creatività non cattolica nella storia dell’Occidente significa la creazione di una società in cui il riferimento religioso viene contestato, dove c’è una presunta centralità dell’uomo cui segue la distruzione ideologica dell’uomo stesso, la sua obiettiva “manipolazione” da parte del potere ideologico.Noi non facciamo la storia di Giordano Bruno cento anni fa; noi rileggiamo la storia di Giordano Bruno alla fine della parabola moderno-contemporanea, ed è fuori discussione che, al di là di tutta l’enfasi sull’assolutezza della persona, la persona umana alla fine di questa parabola risulta molto più manipolata e negata di quanto non fosse all’inizio.Quindi, indubbiamente, la creatività riceve un “freno”; ma stiamo attenti a valutare i termini oggettivi e storici di questa creatività.- Seconda osservazione. Per capire questa vicenda, che è drammatica, si devono rilevare due aspetti ben distinti.Anzitutto, che il rifiuto del dogma e dell’ethos cattolico implicava sostanzialmente il rifiuto dei fondamenti su cui poggiava la società; se volete un paragone con cui si possono capire certe cose è l’equivalente del terrorismo degli anni ’70. Dal punto di vista culturale e sociale è un fenomeno che attacca i fondamenti stessi della società; allora la società e la Chiesa, in quanto forma della società, autorizza la difesa fino all’estrema ratio della soppressione della vita, che non viene giustificata, ma utilizzata come forma estrema di difesa.É per questo che, senza malignità e senza doppiezza ritengo che l’apparato ecclesiale ed ecclesiastico-sociale non si sentisse personalmente responsabile del delitto, ma si sentisse necessitato ad un intervento particolarmente duro perché era in questione la possibilità stessa dell’esistenza della società, la quale prima di arrivare a questa estrema ratio aveva battuto tutte le strade del convincimento: primo, aveva dato l’esempio di un processo singolarmente oggettivo, senza pregiudizi a priori sulla colpevolezza; secondo, con una preoccupazione che l’accusato potesse prendere conoscenza delle accuse e rispondervi; terzo, l’accertamento che le cose erano obbiettive, cioè l’esistenza di testimonianze e confermavano o addirittura ammissioni proprie ‘imputato (Bruno in più di un’occasione ammette: “Sì, ho pensato così, ed ho sbagliato”; ma per quanto riguarda la sua filosofia, in tutte le risposte di Bruno c’è una difesa ad oltranza della originalità del suo pensiero, di cui non si preoccupa e della cui obiezione al contenuto dogmatico fondamentale cattolico non si interessa.Allora, concludendo, credo che il dramma di Giordano Bruno sia il dramma certamente della libertà di coscienza e della libertà di ricerca che trova sulla sua strada un punto di obiezione radicale, ma motivato in quanto c’è una dissonanza totale dalla dottrina della Chiesa e c’è la volontà a oltranza di rifiutare di rientrare nell’ambito della Chiesa; e, poiché si vive in una società che è influita dalla presenza della Chiesa, questa si difende.È così oggettiva la preoccupazione che, secondo me, in questo caso l’aspetto morale non passa in secondo piano, ma non è quello rilevante, perché per la giurisdizione del tempo non è rilevante nel senso che quello è un modo in cui la società si difende.Uno o due secoli dopo si potrà dire: “E una difesa eccessiva, è una difesa colposa” oppure si può obiettare che c’è una evoluzione della coscienza morale personale e sociale che dà alla società strumenti di difesa che non sono di questo tipo; ma tutto questo, secondo me, è secondario nella comprensione della vicenda di Giordano Bruno.Riassumendo:1)Si tratta di un fenomeno culturale assolutamente nuovo, che dice la maturità del Rinascimento italiano come capacità di creazione di un’antropologia originale e che vive una volontà di creazione totale di cui la frase “ebbro di Dio” è certamente un’immagine significativa. La vita testimonia questa creatività nell”impegno su più fronti: teorico, filosofico, religioso, politico, ecclesiastico-politico; quindi, fa diventare il fenomeno di enorme importanza.2) L’aspetto del pensiero lo configura come non più cristiano e che non ha nessuna preoccupazione di affermare il suo non-cristianesimo di affermare una concezione sostanzialmente monistica-panteistica. Lo stesso eliocentrismo di carattere copernicano, ad esempio, viene assunto non in termini scientifici, ma magici; quindi, la visione dell’infinità dei modi, dell’Uno che si esprime nell’infinità dei mondi determina quella che potrebbe essere chiamata una polarizzazione dialettica nell’Essere, per cui l’Essere è insieme uno e molteplice.Tutto ciò dice certamente il vigore e la genialità filosofica di questo personaggio, ma dice anche la rottura radicale con un passato, che viene valorizzato dove è necessario, perché è un uomo di cultura (ad esempio, quando la posizione che Bruno ha di fronte non è culturale, non rifiuta di difendere il tomismo, perché il tomismo ha più cultura di quello che domina ad Oxford quando vi parla).Quindi, il fenomeno culturale è di una grande imponenza e di una grande e significativa articolazione.3) Il processo. Sul processo non c’è niente da dire, trattandosi di un processo oggettivo, di cui il Firpo dice: “La condanna è stata oggettiva. Dal punto di vista giuridico del tempo non esisteva alternativa. Dal punto di vista del procedimento è un procedimento esemplare”; e in questo Firpo dà ragione ad un altro grande storico dei processi inquisitoriali che è il francese Leo Moulin. E un processo altamente garantista, di cui si è in qualche modo tentato di mettere in evidenza l’aspetto delle varietà delle componenti, nessuna delle quali poteva essere ignorata dalla Chiesa: non poteva essere ignorata la visione globale della realtà al di là degli indizi per cui si è anche pensato ad un Improvviso impazzimento, ma sono tutte ipotesi sulle quali sta il fatto grave della testimonianza di frà Celestino da Verona, ma sta soprattutto la non volontà di Bruno di identificare l’aspetto dogmatico con quello filosofico e la difesa a oltranza della propria posizione filosofica contro tutto e contro tutti.Certamente la creatività ne risulta ridotta, ma non dobbiamo dire come Gentile e come dice la cultura laicista che l’Italia e la Spagna non conoscono la libertà di cultura e di ricerca, mentre la conoscono solo i Paese protestanti.È indubbio che Giordano Bruno rappresenta un punto di scontro drammatico; però questa creatività va letta storicamente. Essa, infatti, è all’inizio di una parabola in cui la creatività alla fine è servita a distruggere l’uomo. Non diciamo che Giordano Bruno voleva distruggere l’uomo; ma se vogliamo fare un’osservazione storica, dobbiamo legare il 1600 al 1900, che è l’espressione storica coerente di questa creatività assoluta dell’uomo per cui egli diventa padrone della realtà. Ma diventandone padrone, diventa padrone anche dei suoi simili, cioè realizza sui suoi simili un progetto ideologico per il quale non risponde a niente e a nessuno, perché essendo l’ideologo il rivoluzionario può fare dei suoi simili tutto quello che vuole.Allora, chi ha in qualche modo frenato questa creatività ha certamente ridotto la libertà di ricerca in un punto, ma forse ha anche messo le condizioni perché la parabola non fosse così rovinosa. Questa è almeno un ipotesi da verificare, e io ritengo che la presenza della Chiesa cattolica, che ha duramente contestato una certa antropologia e una certa vita politico-sociale, non ha fatto solamente la difesa dei propri interessi, o la difesa del passato (come dice la storiografia laicista), ma anche creato quello che Giovanni Paolo Il chiama “un grande movimento per la liberazione della persona umana”.Queste sono tutte le osservazioni che, in questa ricerca spassionata e appassionante, io ho fatto ed ho messo a vostra disposizione perché, almeno quando si tratta di una questione così drammatica che coinvolge anche la libertà e la vita della persona, siano evitate le approssimazioni, gli equivoci o le esasperazioni particolari che non servono mai alla comprensione del dramma della storia, ma, semplificando eccessivamente la storia, danno l’illusione di conoscere. Al contrario, al di là di questa illusione di conoscenza, c’è tanta ignoranza; e l’ignoranza è anche sempre fonte di violenza.Tratto da False accuse alla Chiesa, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 145-165. |
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