I MECCANICI DI ALESSANDRIA
Tanto perché si capisca il livello di difficoltà che si incontra nel ricostruire una storia inmassima parte perduta è utile il paragone seguente: è come il voler descrivere la Basilica di San Pietro guardando dal buco della serratura di una porta laterale. E provo a dare un’immediata dimostrazione di ciò. Uno di coloro che è stato più prolifico nel raccontarci il passato è Vitruvio Pollione, un soprintendente alle macchine da guerra nell’esercito dinAugusto, poi ingegnere ed architetto, che scrisse il De architettura in 10 libri intorno al 30 a.C. Egli, nella sua opera, elenca 12 autori di cose meccaniche: Archita di cui non possediamo nulla, Archimede che per altri versi Plutarco dice che non si era occupato di meccanica, Ctesibio e Filone di Bisanzio di cui sappiamo poco e di cui parlerò, infine ne cita altri otto che non abbiamo mai altrove sentito. A questi otto (che erano sullo stesso piano dei grandi citati) c’è da aggiungere un tal Mosco del quale Vitruvio non dice nulla ma che troviamo citato come autore di un grande trattato di meccanica da Ateneo(12).
Russo riferisce di un testo, Laterculi Alexandrini (probabilmente II secolo a.C.), in cui sono elencati i massimi creatori in ogni campo (vedi anche 13-13 di nota 12). A fronte di Prassitele e Fidia tra i 5 scultori nominati, viene citato il meccanico Abdaraxo, costruttoredelle macchine di Alessandria. Doveva avere la fama nel suo campo che spettava a Fidia e Prassitele nella scultura. Eppure noi non sappiamo nulla di questo meccanico e tantomeno abbiamo idea di quali macchine possa aver realizzato. Ciò mostra senza dubbio che coloro che ci hanno raccontato quel passato straordinario in età imperiale, cristiana e tardomedioevale, hanno avuto poco interesse a raccontarci questioni tecnico scientifiche.
Eppure l’età alessandrina vide la nascita della scienza della meccanica, dello studio sistematico e teorico delle macchine, con l’abbandono del puro empirismo dell’interpretazione ingenua della realtà. Pur nella scarsità di documentazione, abbiamo esempi straordinari del superamento dell’epoca in cui l’approccio alla natura era meramente empirico. Ora si costruiscono teorie elaborate, si formalizza, si introduce la matematica come strumento che permette di prevedere determinati esiti e quindi far capire prima se una data cosa è fattibile e fino a che punto potrà essere utile. E tutto ciò permetterà delle realizzazioni stupefacenti. In proposito vi sono discussioni importanti da fare per sfatare una delle cose che più stancamente ed ormai in modo poco meditato vengono fatte. Si parla di greci come di inventori della statica, quasi che la meccanica non inglobasse una dinamica. E gli esempi non mancano se solo si pensa al lancio di oggetti con catapulte ed allo spostamento di grandi masse mediante macchine. Si afferma che la statica rappresentava bene quel mondo immutabile, quando abbiamo intravisto gli enormi cambiamenti che si susseguivano. In definitiva si sostiene che in quella società di schiavi era impensabile pensare a delle macchine che sostituissero il loro lavoro.
Disponiamo di molti nomi di architetti, di meccanici, di scienziati che vengono citati dai commentaristi. Opere scarse se non nulle per alcuni. Soprattutto, per tutto ciò che ho già detto, quando le opere erano molto tecniche e poco comprensibili a chi doveva riciclare le pergamene, erano le prime a cadere. Quando si doveva fare spazio in una biblioteca e lo spazio lo faceva chi non capiva cosa togliere e cosa no, è facile immaginare cosa si toglieva. Ma, soprattutto, in epoca di decadenza (a partire dalla metà del II secolo), non si prestò attenzione a questi problemi. Naturalmente gli uomini avevano sempre avuto problemi di questo tipo e molti ne erano riusciti a risolvere sin dal Paleolitico (epoca in cui si erano usati levee cunei). All’epoca degli antichi imperi erano note anche le tenaglie e senzal’uso di molte macchine non sarebbe stato possibile costruire le piramidi. I Greci dell’età classica conoscevano certamente la puleggia e il verricello (il cui uso era stato introdotto probabilmente nella costruzione delle navi o nel teatro). Questa lunghissima evoluzione della meccanica empirica era basata sul lento accumulo dell’esperienza degli artigiani. Il salto di qualità permessodalla scienza, che si ha in epoca ellenistica, consiste nel fatto che si impara acalcolare teoricamente il vantaggio meccanico e si ha quindi, per la primavolta, una progettazione teorica di macchine. È certo che tale salto di qualitàavvenne già nel IlI secolo a.C. Sappiamo infatti da Pappo e da Plutarco che Archimede aveva risolto il problema di sollevare un dato peso con una forza assegnata; egli sapeva cioè progettare macchine con vantaggio meccanico dato. Non vi è motivo di dubitare di queste fonti, giacché le basi teoriche di questi calcoli sono esposte da Archimede nell’opera che ci è rimasta e varie applicazioni dei suoi progetti sono state tramandate da diversi autori.
Sappiamo inoltre che in quell’epoca, forse grazie ad Archimede stesso, fu introdotto per la prima volta l’elemento tecnologico che ancora oggi usiamo per risolvere problemi dello stesso tipo: la ruota dentata.
Nella scienza ellenistica la meccanica è strettamente connessa alla geometria.
Diogene Laerzio afferma che Archita (nella prima metà del IV secolo a.C.) non solo aveva introdotto per primo elementi di meccanica nello studio della geometria (usando linee generate da figure in moto nella costruzione dei due medi proporzionali tra due grandezze), ma aveva anche per primo trattato questioni di meccanica servendosi di principi matematici.(13)
Lo stretto legame tra geometria e meccanica, intese come due teorie scientifiche, è chiaro in Archimede. Innanzitutto Archimede, nel trattato Sull’equilibrio delle figure piane, in cui fonda lo studio delle macchine semplici, trae dalla geometria non solo la forma generale dello schema deduttivo, ma anche molti risultati tecnici particolari. Inoltre, cosa per noi ben più sorprendente, Archimede usa le leggi della meccanica per scoprire teoremi di geometria.
L’opera di Archimede è costruita al modo degli Elementi di Euclide e di altri lavori dello stesso Archimede. Si inizia con 7 postulati e si segue con complessive 25 proposizioni o teoremi (15 nel libro 1 relativi alla leva e 10 nel libro 2 relativi al baricentro). I postulati sono i seguenti:
I. Chiediamo [che si ammetta] che pesi uguali a distanze uguali si facciano equilibrio; che pesi uguali a distanze disuguali non si facciano equilibrio, ma producano pendenza dalla parte del peso che si trova a distanza maggiore.
II. Che se dati dei pesi che si facciano equilibrio essendo a certe distanze, si aggiunga qualcosa ad uno dei pesi, non si abbia più equilibrio, ma pendenza dalla parte del peso al quale si è fatta l’aggiunta.
IlI. Che similmente se da uno dei pesi si tolga qualcosa, non si abbia più equilibrio, ma pendenza dalla parte del peso dal quale non si è sottratto nulla.
IV. Che se figure piane uguali e simili coincidono l’una sull’altra, anche i centri di gravità coincideranno tra loro.
V. Che per figure disuguali ma simili i centri di gravità saranno similmente posti. Diciamo che punti in figure simili sono similmente posti se rette condotte da essi ai vertici degli angoli uguali formano angoli uguali con i lati omologhi.
VI. Che se grandezze a certe distanze si fanno equilibrio, anche grandezze ad esse uguali poste alle stesse distanze si faranno equilibrio.(14)
VII. Che per ogni figura il perimetro della quale è concavo dalla stessa parte, il centro di gravità debba trovarsi nell’interno della figura.
Con questi postulati come premessa, Archimede passa a dimostrare tutte le leggi sulla leva (le cui dimostrazioni, secondo Kline, dipendono da un’altra opera di Archimede, Sulle leve, andata perduta). Anche questa opera fece entrare Archimede nella leggenda, quella che coglie aspetti appariscenti dimenticando sempre la complessità dei contenuti (vedi figura).

Affresco di Giulio Parigi (1600) dello Stanzino delle Matematiche nella Galleria degli Uffizi (Firenze). E’ la rappresentazione del famoso datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo.
La sostanza delle proposizioni di Archimede del libro 1 verte sulla dimostrazione del principio di equilibrio della leva. Sia data un’asta rigida AB girevole attorno ad un fulcro C. Siano rispettivamente p e q i pesi applicati in A e B, ed a, b le distanze dei punti di applicazione da C. Se l’asta è in equilibrio orizzontale possiamo scrivere A (a,p) = B (b,q). In tal caso abbiamo a : b = q : p tanto se p e q sono commensurabili quanto se non lo sono. Nel libro 2 Archimede si occupa invece di centri di gravità o baricentri di figure piane e solide. Egli non ci fornisce una vera definizione di baricentro ma lo ricavava empiricamente per sospensioni successive. Sospeso il corpo per un punto P osservava che il baricentro doveva trovarsi sulla linea verticale tracciata da quel punto al suolo; sospeso il corpo per altro punto, si trovava un’altra linea verticale; e così via. Tali rette si possono chiamare assi centrali e ciascuna di esse deve passare per il baricentro. Quindi esse si incontreranno in un punto che sarà il baricentro del corpo(15). Nel libro 2 Archimede studia a fondo i baricentri di figure geometriche e trova quello di un segmento parabolico. Trova anche l’area di tale segmento parabolico. Vi sono poi altri risultati, come la determinazione della posizione di equilibrio del parabolide ellittico di rotazione immerso in acqua, per discutere i quali occorrerebbe disporre di opere perdute di Archimede, come la De Insidientibus aquae, opera della quale disponiamo di pochissimi frammenti che fecero direa Lagrange uno dei più bei monumenti del genio di Archimede, contenente una teoria dei galleggianti alla quale i moderni hanno aggiunto ben poco.
E’ di estremo interesse notare per coloro i quali parlano di Archimede fermo alla statica che con queste leve Archimede resistette per tre anni agli assalti di Roma alla città di Siracusa e riuscì a spostare una nave carica. Una interessante discussione della questione la fa Russo.
Leggiamo:
“La confutazione dell’ argomentazione aristotelica da parte di Archimede, secondo una tradizione riferita da Plutarco e da Proclo, fu molto persuasiva.
Archimede avrebbe progettato, all’interno della sua teoria scientifica della meccanica, un congegno con il quale un uomo solo (se stesso o il sovrano Gerone II, a seconda delle versioni) sarebbe riuscito a spingere in acqua una nave tirata in secco nel porto di Siracusa (secondo Proclo si sarebbe trattato addirittura di un trealberi a pieno carico). La macchina effettuava proprio quella divisione della forza che Aristotele aveva giudicato impossibile e che in effetti nel caso particolare della nave probabilmente non aveva precedenti. Era un modo chiarissimo di dimostrare la superiorità del metodo scientifico … sullafilosofia naturale. Anziché riflettere il mondo nella speculazione filosofica, il metodo scientifico aveva permesso di cambiarlo, progettando una macchina che annullava l’impossibilità osservata da Aristotele(16).
Il valore metodologico dell’esperimento dimostrativo raccontato da Proclo e da Plutarco, emerso più chiaramente dal confronto con il passo di Aristotele, è naturalmente indipendente sia dalla eventuale volontà di Archimede di fare esplicito riferimento ad Aristotele sia dalla realtà storica dei dettagli riferiti.
L’essenziale è che, poiché sappiamo che Archimede aveva realmente sviluppato la possibilità di progettare macchine con vantaggio meccanico elevato, non si tratta certamente di una leggenda nata dal nulla. Il racconto, in quanto ci tramanda da una parte il tipo di realizzazioni che la meccanica elaborata da Archimede rendeva possibili e dall’altra il diffuso interesse per questa nuova tecnologia, è certamente attendibile. In genere l’episodio della nave viene invece ricordato all’interno della descrizione leggendarioaneddotica del personaggio di Archimede, privandolo completamente del suo significato.
Si legge in genere che gli scienziati greci avevano sviluppato la statica ma non la dinamica. Essi conoscevano cioè le condizioni di equilibrio, ma non le leggi del moto dei corpi. Queste affermazioni lasciano l’impressione che gli antichi scienziati, grazie alla loro natura contemplativa, si dilettassero ad osservare corpi in equilibrio, guardandosi bene dallo smuoverli. L’episodio di Archimede che progetta e usa una macchina con cui da solo può trainare una nave mal si concilia con questa impressione. In realtà nel III secolo a.C. non si era sviluppata la nostra dinamica; ma la teoria quantitativa, che certamente si era sviluppata, di macchine come argani e ingranaggi demoltiplicatori deve essere considerata una forma di dinamica, giacché ciò che interessa non è certo il solo equilibrio di queste macchine. L’idea che Archimede abbia creato la statica ma non la dinamica nasce dal fatto che mentre la nostra statica coincide essenzialmente con quella archimedea, non si può dire lo stesso per la dinamica. La meccanica di Archimede (cioè, letteralmente, la sua scienza delle macchine) era però una teoria scientifica che si occupava sia dell’equilibrio che del moto, anche se, come tutte le teorie scientifiche, era applicabile solo ad un ambito limitato di fenomeni.
… [Con analogia all’odierna termodinamica] il principale problema meccanico del III secolo a.C. era lo studio di macchine che, pur compiendo un lavoro, potevano essere studiate supponendo che le forze agenti fossero in ogni istante quasi in equilibrio. È questo il caso di una gru che sollevi lentamente un peso.
I problemi riguardanti sistemi meccanici di questo tipo (in particolare il calcolo del loro vantaggio meccanico) possono essere risolti usando lameccanica di Archimede. La nostra meccanica classica è superiore a quellaarchimedea poiché, oltre a includerla, può essere applicata anche in molti casi nei quali !’ipotesi precedente non è verificata. Tale differenza è però esattamente della stessa natura di quella che la rende inferiore, ad esempio, alla meccanica relativistica. Il salto qualitativo essenziale, dalla filosofia naturale alla scienza, in Archimede è già compiuto. Si tratterà poi “solo” di sviluppare teorie capaci di fornire il modello di classi sempre più generali di fenomeni, ma la strada è tracciata, come è dimostrato dal fatto che varie teorie scientifiche ellenistiche, quali la teoria delle macchine semplici, l’idrostatica o l’ottica geometrica, sono state incluse sostanzialmente immutate nella scienza moderna.”
L’altro lavoro di Archimede al quale ho accennato è quello sui Galleggianti (che non ci è giunto completo). Su questo avoro si baseranno tutte le macchine idrauliche che realizzerà Erone nella sua Pneumatica ed alle quali accenneremo in seguito. Qui, si gettano le basi dell’idrostatica, si forniscono metodi per determinare i pesi specifici delle sostanze e si stabilisce il fondamentale principio che ancora oggi prende il nome da Archimede. Si premette una frase che vale come se fossero due postulati:
Si supponga che il liquido abbia natura tale, che delle sue parti ugualmente disposte e continue, quella meno compressa venga spinta da quella più compressa, e che ciascuna delle sue parti sia compressa secondo la perpendicolare dal fluido situato sopra di essa, a meno che il liquido non sia contenuto dentro un [recipiente], e non sia compresso da qualunque altra [causa].
Delle proposizioni che seguono ne sottolineo alcune:
– la 2, che è una sorta di constatazione della geografia della Terra, dice: La superficie di ogni liquido che si trovi in riposo avrà la figura di una sfera avente come centro lo stesso centro della Terra.
– Si passa a discutere poi dell’immersione dei corpi nei liquidi distinguendo i casi possibili (che noi distingueremmo in: solido con peso specifico maggiore, minore od uguale a quello del liquido).
– la 6 è il Principio di Archimede: I corpi solidi più leggieri del liquido, introdotti a forza nel liquido, vengono rinviati verso l’alto con una forza tale quale è la differenza di cui il peso del liquido che ha lo stesso volume della grandezza [solida] supera il peso della grandezza [solida stessa].
– la 7 dice che se i solidi sono più pesanti del liquido, vanno a fondo ma alleggeriti di tanto quanto è il peso del liquido spostato. E la spinta verso l’alto che ricevono è secondo la verticale condotta per il loro centro di gravità.
– Si passa al Libro 2 che approfondisce lo studio dei corpi nei liquidi, a partire dal Principio noto come Principo di Archimede.
Vengono introdotte scoperte più complesse, quali le posizioni di equilibrio di sezioni di parabola immerse, appunto, in un fluido.
Da numerosi studi di questo tipo, Archimede dedusse che tale equilibrio è condizionato non solo dal tipo di liquido, ma anche dal peso specifico (argomento introdotto già nel primo libro) del paraboloide solido immerso. A conferma di ciò, leggiamo le parole di Archimede stesso:
“Dato un segmento retto di un paraboloide di rivoluzione il cui asse a sia maggiore di 3/4p, e il cui peso specifico sia inferiore a quello di un fluido, ma abbia rispetto ad esso un rapporto non inferiore a (a – 3/4p)2: a2, se il segmento del paraboloide viene immerso nel fluido con l’asse inclinato secondo qualsiasi inclinazione rispetto alla verticale, ma in modo che la base non tocchi la superficie del fluido, non resterà in quella posizione, ma ritornerà nella posizione in cui l’asse è verticale. (II,4).


Meccanismo di Erone per prelevare un liquido mediante un sifone dal quale si aspira aria con la bocca (è quello che ancora oggi usiamo per aspirare liquidi da botti)
Questi studi avevano, in ogni caso, un risvolto pratico, sono infatti alla base della progettazione dello scafo delle navi, ai più svariati tipi di sifoni (ricurvo, concentrico, con scarico uniforme, …) e a recipienti in vetro dalle particolari proprietà (non riporterò neppure oggetti molto poco significativi). La sezione 9 ci presenta un recipiente in grado di produrre un getto d’acqua quando con una pompa si immetta aria compressa in esso:

Dispositivo di Erone in grado di produrre un getto d’acqua mediante immissione di aria compressa.
La sezione 10 descrive una valvola per una pompa. La 11 è già quello che è definito gioco o apparato per divertire o per carpire la buona fede dei credenti; si tratta di un altare per libagioni mediante il fuoco. Ora fare delle libagioni anticamente voleva dire spargere vino o latte o miele sul fuoco in onore del dio del momento. Nell’altare di Erone tutto avviene automaticamente accendendo il fuoco sull’altare che è a tenuta stagna e dentro cui c’è aria. Sotto l’altare, nel piedistallo vi

L’altare per libagioni di Erone
è un liquido. L’aria dell’altare scaldata esce a pressione nel foro in basso C. L’acqua de piedistallo non ha altra via d’uscita che i tubi che camminano sui manichini e terminano aperti nelle coppe. Finché c’è il fuoco acceso (e l’acqua nel piedistallo) continuano le libagioni. Una variante di questo altare è presentato nellasezione 60 in cui, a lato delle libagioni vi è un serpente che sibila. La sezione 14 presenta

un altro aspetto divertente, la fontana che produce il cinguettio di un uccello. Senza più troppi dettagli, quando l’acqua esce dalla bocca della fontana,

La fontana cinguettante di Erone
entra nel recipiente sottostante in cui c’è aria la quale non può che uscire attraverso appositi fori fatti in quel finto ramo ed uccellino. Dimensionando opportunamente i fori si ottiene un suono simile ad un cinguettio. La sezione 15

Altra fontana cinguettante ad intervalli regolari di Erone
descrive un’altra fontana con effetti speciali e le 16, 43, 44 delle varianti della fontana che invece di far cantare gli uccelli, fa suonare delle trombe o altro; allo stesso modo la sezione 28 in cui un uccellino beve acqua solo quando gli viene offerta e la 29 e la 30. La sezione 17 presenta un meccanismo che produce un

Porte del tempio che fanno suonare una tromba quando sono aperte
suono all’ apertura delle porte di un tempio; la 18 un bicchiere in grado di

Bicchiere dispensatore di acqua o vino
dispensare acqua o vino; la 21 presenta unrecipiente che dispensa acqua solo

Dispensatore d’acqua a pagamento
quando si immette una moneta; la 27 descrive una pompa per spegnere incendi

Pompa per spegnere incendi
(pompa attribuita a Ctesibio); la 31 un dispensatore d’acqua in un tempio; la33 una lampada ad olio con accensione automatica (vi è una variante nella sezione 71 in cui si può aumentare o diminuire opportunamente l’intensità della luce ed altre varianti vi sono in 72, 73); la 37 la famosa apertura automatica delle porte del


Apertura delle porte del tempio all’accensione del fuoco
tempio all’accensione del fuoco che produce delle depressioni che dal recipiente sferic inviano acqua al pentolone che scende per il peso aprendo le porte; e la 38 un meccanismo analogo; giochi veri e propri sono quelli riportati nella sezione 40 (Ercole ed il dragone), 45 (palla sospesa da un getto d’acqua, 46 (rappresentazione della Terra al centro dell’universo); la 47 rappresenta una fontana solare che versa

Fontana solare
acqua quando la sfera è calda a sufficienza; nella sezione 50 c’è la famosa eolipila uno strumento di divertimento che utilizza il vapore che produce movimento meccanico di rotazione di una sfera che ruota intorno al suo asse alimentata da getti di vapore prodotti dalla pentola sottostante (la rotazione avviene per reazione, attraverso l’espulsione del vapore dalla sfera mediante i due ugelli sbuffanti di

Eolipila
figura);
nella 57 è descritto il funzionamento di una siringa; nella sezione 63 viene

Siringhe
mostrato il funzionamento di uno speciale orologio ad acqua; nella sezione 68 vi è

Orologio ad acqua

Organo ad aria compressa azionabile manualmente

Organo ad aria compressa azionabile mediante mulino a vento
sezioni 74 e 75 vi sono due varianti di boiler a vapore (un getto di aria calda o mista a vapore viene inviato sul fuoco; immettendo aria fredda nel sistema, esce

Boiler a vapore

Una variante del precedente
calda); l’ultima sezione presenta un animale automa al quale viene tagliata completamente

Automa
il taglio si mette a bere.
Dopo questa carrellata, credo esauriente, delle meraviglie di Erone, sono indispensabili delle considerazioni. Intanto nella Pneumatica non abbiamo più la felice intersezione tra meccanismo in operazione e discussione teorica del fenomeno. Ci troviamo di fronte a dispositivi per realizzare i quali vi è l’elaborazione di una quantità di concetti che riguardano l’energia dell’aria compressa e riscaldata, del vapore; l’uso di valvole, stantuffi, sifoni, ruote dentate, carrucole, viti di precisione, cremagliere, catene di trasmissione, alberi a camme, eliche e di tutti i meccanismi che sono certamente entrati nell’uso pratico durante il periodo alessandrino (ruote dentate viti, viti senza fine, ingranaggi demoltiplicatori). La sola descrizione del funzionamento non può più, a questo punto, soddisfare nessuno. E’ chiaro che nel leggere queste cose e situarle al tempo di Augusto e Cleopatra rende tutti ammirati ma deve essere altrettanto chiaro che chi sa un poco diqueste cose non può accontentarsi. Sembra qui che ci troviamo di fronte ad un catalogo di un venditore di prodotti, che li presenti ai suoi acquirenti magnificandone gli effetti e/o le proprietà disinteressandosi completamente dei loro principi teorici che, per Giove, da qualche parte dovevano essere. Sulla strada aperta da Russo, credo che queste cose dovessero avere elaborazioni perdute. Credo che ci siano rimaste le banali e divertenti realizzazioni di un’era già in gran parte perduta.
Le opere di Erone forniscono quindi una testimonianza preziosa ma tarda eincompleta sul livello tecnologico ellenistico e non possono essere usate senza grande cautela per dedurne le motivazioni con le quali secoli prima, in un clima culturale e politico completamente diverso, la tecnologia descritta era nata e si era sviluppata. A questo, scopo possono essere utili alcune osservazioni.
Sia la meccanica che la pneumatica erano nate in stretta connessione con la tecnologia ed entrambe avevano permesso sin dal III secolo a.C., come abbiamo visto, la progettazione di molte macchine economicamente utili.
Lo stesso Erone descrive anche congegni che non sono certamente giocattoli, come armi da getto, vari tipi di presse, macchine per sollevare pesi, la diottra e la filettatrice di madreviti.
Un numero crescente di elementi della tecnologia eroniana è stator iconosciuto come usato in epoca ellenistica a scopi ben più seri. Ad esempio:
– sapevamo dello sfruttamento dell’energia idraulica nei modellini di Erone. Ora sappiamo che a quei modellini corrispondevano da secoli impianti basati su efficienti ruote idrauliche verticali;
– sapevamo dell’uso della pressione dei fluidi nei giocattoli di Erone. Dagli scavi archeologici di questo secolo abbiamo appreso che gli stessi principi erano stati usati per costruire condotte forzate per rifornire d’acqua le città e per realizzare pompe di uso diffuso;
– sapevamo dell’uso nelle opere di Erone dei principi dell’idrostatica. Abbiamo visto come gli stessi principi nel III secolo a.C. fossero stati usati con ogni probabilità nella tecnologia navale.
A volte Erone si riferisce a una preesistente tecnologia produttiva su cui è fondato il nuovo uso ludico proposto. Ad esempio, come abbiamo già notato, per illustrare uno dei suoi organi, Erone spiega che funziona come nelle ruote a vento.
Gli automi, per i quali viene mostrato interesse sin dal III secolo a.C., non sono altro che meccanismi in grado di trasformare un semplice moto di rotazione in movimenti complessi, analoghi a quelli effettuati nel lavoro umano. Meccanismi del genere erano stati usati sin dal primo ellenismo per scopi bellici e per risparmiare forza lavoro, … e nello stesso periodo erano state introdotte anche macchine agricole automatiche.
Gli inventori del Settecento non solo avevano, come osserva Dijksterhuis, altrettante possibilità fisiche e tecniche quante ne aveva avute Erone, ma avevano proprio le sue stesse possibilità. Poiché la tecnologia, esattamente come le teorie scientifiche, non è univocamente determinata dal nostro corredo genetico, ma è un prodotto culturale, questa coincidenza deve far riflettere.
Essa non può che essere dovuta al fatto che all’ origine della tecnologia settecentesca vi erano le opere ellenistiche, studiate sin dal XII secolo grazie soprattutto ai manoscritti posseduti dagli Arabi di Spagna e poi, più intensamente, in tutta Europa, dal XV secolo in poi. …
In conclusione, molti degli apparecchi di Erone potrebbero essere interpretati come sottoprodotti della tecnologia ellenistica (inizialmente sviluppata per altri scopi) che proprio grazie alla loro natura ludica erano riusciti a sopravvivere e svilupparsi nelle nuove condizioni dell’età imperiale.
Altrimenti, accettando le opinioni in genere espresse su Erone, bisognerebbe trarne la deprimente conseguenza che la civiltà europea moderna, per sviluppare la propria tecnologia, non abbia saputo far di meglio, per secoli, checontinuare ad attingere idee dal lavoro isolato di un antico costruttore di giocattoli”.(18)
Ad Erone sono attribuite ancora molte cose e vale la pena farne una rapida rassegna.
Intanto troviamo nella Meccanica, opera in cui Erone discute essenzialmente di macchine semplici (verricello, leva, pulegge variamente sistemate e combinate, cuneo, vite,ruote dentate), la descrizione di una filettatrice per viti e la cosa è notevole perché, come osserva Russo, nella diottra e in altri apparecchi descritti da Erone sono usate piccole viti di metallo, ma quando (nella Meccanica) si occupa della realizzazione delle viti Erone descrive solo due metodi … facilmente riproducibili, ma utili solo per costruire grandi viti di legno.

Una delle filettatrici per viti di Erone (ricostruzione da Singer)
Sempre nella Meccanica vi sono descritti sistemi per il sollevamento di pesi con l’apparato per l’aggancio a grossi massi. Troviamo anche una pressa a vite ed una

Pressa a vite di Erone
quantità incredibile di altri congegni. Tra di essi ancora uno merita menzione: l’odometro, uno strumento in grado di calcolare la distanza percorsa, una specie di contachilometri. Lo cito anche in relazione alla superficialità con cui si è discusso delle combinazioni fortunate di Eratostene. Questo strumento sembra infatti risalire ad Archimede ed era diffuso in Egitto proprio per l’agrimensura. Si applicava all’asse della ruota di un carro e si tarava in base alla circonferenza di tale ruota. Si poteva leggere su un quadrante quanto cammino era stato percorso, ma si disponeva anche di un sistema che lasciava cadere un sassolino in un recipiente per ogni unità di lunghezza percorsa.


Odometro di Erone (in alto). Nella figura qui sopra l’odometro è monyato su un carro. Nella figura più in basso si può vedere una ruota attrezata per essere montata su un odometro. Essa, scorrendo sul terreno, mediante ruote e particolari demoltiplicatori, faceva muovere l’indice superiore su un quadrante che dava la distanza percorsa. L’odometro veniva applicato all’asse di una ruota di un carro opportunamente tarato per la circonferenza della ruota medesima Da: http://www.mlahanas.de/Greeks/HeronAlexandria.htm

Meccanismo applicabile all’odometro che faceva cadere unsasso ogni prefissato numero di giri.
A lato delle parti descrittive e teoriche sono formulati e risolti vari problemi: perché un debole rematore può spostare un grosso carico ? Qual è il motivo della maggiore facilità di trasporto di un carro a 4 ruote rispetto ad uno a due ? Perché il traino su terreno sabbioso è difficile sia con carri a quattro che con carri a due ruote ? Perché un bastone ha minore resistenza quando è lungo ? Perché per rompere un bastone di legno occorre mettere il ginocchio proprio nella sua metà ? …
Fatta questa premessa, Erone descrive in 4 proposizioni lo strumento dioptra (il quale ho già brevemente descritto) e subito dopo propone dei problemi da risolvere a partire dallo strumento presentato. Di tali problemi fornisce una soluzione che io tralascerò. Vediamo i problemi:
VI. Determinare la differenza di livello fra due punti dati.
VII. Congiungere mediante una retta due punti, dall’uno dei quali non si può vedere l’altro.
VIII, Misurare Il!’ distanza, ridotta all’orizzonte, tra il punto dove si trova l’osservatore ed un punto lontano.
IX. Misurare la larghezza di un fiume.
X. Misurare la distanza di punti inaccessibili.
XI. Data una retta, condurre ad essa una perpendicolare da un estremo, senz’avvicinarsi alla retta od all’estremo.
XII. Misurare l’altezza di un punto inaccessibile.
XIII. Determinare la differenza di altezza di due punti inaccessibili, la loro distanza e la direzione della loro congiungente.
XIV. Determinare la profondità di una fossa.
XV. Traforare una montagna secondo una retta che congiunga due punti dati sulle sue falde.
XVI. Scavare in una montagna dei pozzi che cadano verticalmente su di una caverna.
XVII. Data una galleria sotterranea di forma arbitraria, determinare sul terreno sovrastante un punto tale che, scavando ivi un pozzo verticale, si arrivi ad um punto assegnato della galleria.
XVIII. Tracciare il contorno di una sponda secondo un arco di cerchio od una curva qualunque.
XIX. Fare un mucchio di terra avente la forma di un dato segmento sferico,
XX. Dare ad un terreno una assegnata inclinazione.
XXI. Fissare, su una retta orizzontale avente per un estremo l’osservatore, un punto che disti di una data lunghezza dall’osservatore stesso.
XXII. Trovare un punto che disti di una lunghezza data da un dato punto
XXVI. Dividere un campo in parti assegnate col mezzo di rette uscenti da un punto interno.
XXVII. Misurare un campo nel quale non si può penetrare …
XXVIII-XXIX. Dividere un trapezio od un triangolo in un dato rapporto mediante una parallela alla base.
XXX. Trovare l’area di un triangolo in funzione dei lati.
XXXI. Determinare l’efflusso di una fontana.
XXXII. Determinare la distanza angolare fra due astri.
XXXIII. Critica dell’istrumento detto “asterisco” o “stelletta”.
XXXIV. Descrizione ed uso dell’ “odometro”
XXXV. Misura del cammino percorso da una nave.
XXXVI. Determinare la distanza fra due punti posti in climi differenti.
XXXVII. Muovere un dato peso con una data potenza servendosi di un sistema di ruote dentate [sembra che questo problema sia stato aggiunto da altri.
La questione XXX è quella che merita particolare interesse perché, risolvendo la quale, Erone, ci fornisce la formula che permette di trovare l’area di un triangolo qualunque in funzione dei soli lati. Basta notare che qualsiasi poligono irregolare è sempre scomponibile in triangoli, per capire la grande portata di tale risultato e la sua evidente discendenza dall’antico problema dell’agrimensura. Vediamo qual è la soluzione che Erone dà del problema XXX riferendoci alla figura seguente.

Dato il triangolo ABΓ e ciascuno dei suoi lati. Vogliamo trovarne l’area. Si

La radice del qual ultimo prodotto è l’area del triangolo E ciascuna delle quattro prime rette è data; imperocché ΓΘ è la metà del contorno; BΘ è l’eccesso di questa metà sopra BΓ; ΓE è quanto la stessa supera AB; ed EB è il di più della stessa metà sopra il lato AΓ. Dunque l’area del triangolo è data.
In linguaggio moderno si può dire che, chiamati i lati del triangolo a, b, c ed indicato con p il suo semiperimetro (a + b + c)/2, l’area S del triangolo è data da:

La formula di Erone permette di calcolare l’area di un triangolo conoscendo la lunghezza dei suoi tre lati a,b,c. Questa formula è molto usata perchè rende più facile il calcolo delle aree. Essa non viene impiegata solo nei triangoli, ma anche nei poligoni irregolari, dopo averli scomposti in triangoli, proprio come si vede nella figura [molto diffuso è il suo impiego nelle misure dei terreni].
Ad Erone matematico si deve anche una incursione nell’aritmetica. A lui è dovuto un metodo per l’estrazione della radice quadrata basato sulle quattro operazioni ed uno per l’estrazione di radice cubica. Vediamo il primo tratto dalla sua Metrica e basato sull’uso di frazioni ordinarie a base 10.
Scrive Erone:


Sempre nella Metrica vi è indicato un metodo, almeno un esempio, per l’estrazione dell radici cubiche. Dice Erone:
Come poi si possa trovare la radice cubica di 100 unità vogliamo dire ora: Prendi i due cubi più prossimi a 100 [e qui è chiaro che Erone disponeva di una tavola di cubi], il maggiore ed il minore; sono 125 e 64; e determina di quanto il primo è maggiore (di 100), cioè 25, e di quanto il secondo è minore, cioè 36. Moltiplica allora 36 per 5; risulta 180. Aggiungendo 100, si ottiene 280: dividendo 180 per 280 viene 9/14. Aggiungi questo alla radice del cubo minore, cioè a 4, e risulterà 4.9/14. Questa è la radice cubica di 100 con la massima esattezza possibile.
Varie congetture sono state fatte per stabilire il percorso logico di Erone. Chi fosse interessato può trovarle in Gino Loria a pagg. 790-791.
Per finire con Erone occorre ricordare che scrisse anche un lavoro di ottica, la Catottrica, in cui stabilì alcune leggi fondamentali mediante un principio che oggi chiameremmo variazionale: un principio che prevede per la luce il cammino più breve che ora è inteso come quello rettilineo (principio di minimo). Leggiamo un passo, senza entrare in dimostrazioni:
L’affermazione che la nostra vista procede in linea retta provenendo dall’occhio può essere fondata come segue. Ciò che si muove con velocità costante si muove in linea retta. Le frecce tirate da un arco possono servire da esempio. Ciò avviene poiché la forza impressa costringe l’oggetto a muoversi per la distanza più breve possibile dal momento che non ha il tempo per un moto più lento, cioè per un moto su un percorso maggiore. La forza impressa non permette un tale ritardo e così, a causa della sua velocità, l’oggetto tende a muoversi sulla traiettoria più breve. Ma la più breve delle linee avente gli stessi punti estremi è la linea retta. Che i raggi provenienti dai nostri occhi si muovono con velocità infinita può essere compreso dalla considerazione seguente: quando, dopo aver chiuso gli occhi li apriamo e guardiamo il cielo, il raggi visuale non ha bisogno di tempo per raggiungere il cielo. Infatti vediamo le stelle nello stesso istante in cui le guardiamo sebbene la distanza sia, per così dire, infinita. E anche se questa distanza fosse maggiore il risultato sarebbe lo stesso, pertanto è chiaro che i raggi sono emessi con velocità infinita. Per conseguenza essi non subiscono interruzione, incurvamento o deviazione ma si muoveranno lungo il percorso più breve, la linea retta.
Abbiamo mostrato a sufficienza che la nostra vista procede in linea retta. Ora mostreremo che i raggi incidenti sugli specchi e anche sull’acqua e sulle superfici piane sono riflessi [….] In base a considerazioni sulla velocità di incidenza e di riflessione, dimostreremo che questi raggi sono riflessi ad angoli uguali nel caso degli specchi piani e sferici.
Per la nostra dimostrazione faremo ancora uso di linee di minimo.
Dico allora che di tutti i raggi incidenti, riflessi in un punto dato da uno specchio piano o sferico, i più brevi sono quelli che sono riflessi ad angoli uguali e, se accade ciò, la riflessione ad angoli uguali è conforme a ragione [Erone, Catottrica , II, pp. 263-64; citato da http://ppp.unipv.it/Silsis/Pagine/Epistemologia/Rifrazione/Erone.htm%5D
I MECCANICI DIMENTICATI
Faccio ora un passo indietro per ricordare alcuni meccanici citati come grandi ma dei quali si conosce poco, oltre al fatto che furono autori di molte delle cose di cui ha trattato, come visto, Erone. Il primo tra questi meccanici è Ctesibio di Alessandria (vissuto intorno al 282-222). Fu probabilmente il primo direttore del Museo di Alessandria. E’ considerato in ogni citazione uno tra i più grandi meccanici ed ingegneri dell’antichità ellenistica. Fu lui ad inventare la pneumatica, lo studio di pressioni e depressioni dell’aria che provocano movimento (e, attenzione, in modo ciclico). Le sue opere Dimostrazioni pneumatiche (carattere teorico) e Commentari (carattere applicativo) furono da guida a chiunque si fosse occupato dei problemi connessi all’aria, alla sua condensazione e rarefazione e più in generale all’arte di maneggiare i fluidi comprimibili ed è la prima testimonianza certa dello studio scientifico di tali argomenti. Mediante l’aria compressa Ctresibio realizzò delle pompe ed anche delle armi. Questa sua opera e tutte le altre che abbiamo letto in citazioni, sono andate perdute. C’è Vitruvio che in un brano del De Architectura [IX, 8; 2] cita Ctesibio:
Item sunt ex aqua conquisitae ab eisdem scriptoribus horologiorum rationes, primumque a Ctesibio Alexandrino, qui etiam spiritus naturalis pneumaticasque res invenit. Sed uti fuerint ea exquisita, dignum studiosis agnoscere. Ctesibius enim fuerat Alexandriae natus patre tonsore. Is ingenio et industria magna praeter reliquos excellens dictus est artificiosis rebus se delectare. Namque cum voluisset in taberna sui patris speculum ita pendere, ut, cum duceretur susumque reduceretur, linea latens pondus deduceret, ita conlocavit machinationem.
Si dice che fosse figlio di un barbiere, che si era occupato di pneumatica, che aveva costruito macchine mirabili ma anche che era un costruttore di orologi. E qui viene fuori una cosa interessante in relazione a chi sosteneva e sostiene che per i greci il tempo era unqualcosa che, in quanto legato al moto, alla dinamica, non aveva importanza. C’è Russo che taglia la testa al toro, citando brani in cui si racconta della prostituta Metica (IV secolo) che concedeva i propri favori a tempo segnato da un orologio ad acqua. Gli orologi, ed il tempo che misuravano, erano di grande importanza ed uno dei massimi ingegneri dell’epoca se ne occupava con grandi risultati. Eravamo restati ai semplici orologi ad acqua. Ora abbiamo applicati a tali orologi, perfezionati in sommo grado, dei trasduttorisommamente efficaci. Con la realizzazione di due fori nel serbatoio dell’acqua di diametri differenti si operava al fine di mantenere una pressione costante, particolari materiali, come vedremo tra qualche riga, evitavano la corrosione e le incrostazioni (addirittura si era considerato l’errore originato dalla variazione di densità conseguente alla variazione di temperatura). Si osservino i due disegni che seguono. In A il classico orologio ad acqua ha un sistema che indica il trascorrere del tempo costituito da un galleggiante solidale con un’asta ed un indice. Tale indice si sposta su una striscia graduata. In B il sistema di lettura è più sofisticato perché, in luogo dell’indice di A, abbiamo una figurina umana che mantiene uno stilo che produce un segno su un cilindro rotante (vedi figura seguente).

La figura successiva mostra un sistema ancora più interessante che riproduce in qualche modo un quadrante di orologio moderno. Ora sul galleggiante è montata un’asta dentata che ingrana su una ruota dentata solidale con un indice che si sposta su un cerchio graduato. Ancora Vitruvio ci fornisce qualche altro particolare [De Architectura, IX, 8]:

Servendosi di tali principi fu il primo a fare macchine idrauliche, getti d’acqua, automati e molte altre specie di giochi, fra le quali cose spiegò anche il modo di fare orologi ad acqua. In primo luogo fece un foro in un massello di oro o in una gemma traforata (giacché tali sostanze non si logorano al passaggio dell’acqua, né ritengono impurità che possano ostruirle). Da tale foro uscendo l’acqua sempre in modo uguale solleva una coppa rovesciata; che gli artefici dicono timpano o sughero, sulla quale è infissa un’asticciola con denti uguali a quelli di una ruota girevole. Spingendosi gli uni con gli altri essi fanno girare la ruota. Si aggiungono altre asticciole e ruote ugualmente dentate, che, mosse dalla stessa causa, producono vari effetti emovimenti, per cui vediamo statuette che si agitano o “mete” che ruotano, o palline sferiche od ovali lanciate, mentre si ode il suono di trombe, ed agiscono altri accessori.
Altro strumento dovuto a Ctesibio, oltre all’invenzione dei sifoni, è la pompa aspirantepremente per spegnere incendi e per l’azionamento di argani idraulici (inventati sembra dallo stesso Ctesibio). La figura seguente mostra il principio di tale pompa: due pistoni si muovono alternativamente in due cilindri dotati sul fondo di due valvole. Se la pompa è immersa in acqua, quando si solleva il pistone di sinistra, si apre la valvola in basso e dell’acqua entra nel cilindro (dall’altro lato il pistone è in basso ed il cilindro è vuoto d’acqua). Abbassando il pistone di sinistra si richiude la valvola e l’acqua esce per l’unica via permessa che porta verso il tubo centrale che sale in alto. Da questo momento si ripete il tutto operando con il pistone ed il cilindro di destra.

L’acqua che sale, mostrata nel disegno che segue, è quella che sarà diretta verso un incendio o servirà posteriormente ad Erone per costruire oggetti che danno effetti spettacolari.

La figura che segue mostra una ricostruzione della pompa di Ctesibio azionata da una ruota idraulica. Tale uso poteva essere pensato per prosciugare acquitrini o svuotarepozzi allagati.

Non occorre poi dimenticare, per finire con il poco che si sa di Ctesibio, che l’invenzione dell’organo idraulico, quello che abbiamo visto in Erone, è opera sua.
Allievo di Ctesibio fu Filone di Bisanzio (circa 280-220), che si occupò anch’egli di macchine da guerra, di pneumatica, di automi e di meccanica. Si sa che scrisse: Isagoge (matematica), Mochlica (meccanica), Limenopoeica (ingegneria dei porti), Belopoeica (macchine da guerra per la difesa), Paraskeuastica (macchine da guerra per la difesa), Pneumatica, Automatiopoeica (giochi meccanici), Poliorcetica (macchine per assedio eper difesa), Peri Epistolon (lettere) ed altre opere a lui attribuite tra cui De septem mundi miraculis (sulle sette meraviglie del mondo) ed una Philo line di carattere matematico in cui si studia la duplicazione del cubo. Di tali opere ci restano 65 capitoli in un testo arabo e varie opere in latino, tutte con evidenti manomissioni e cattive trascrizioni e traduzioni dagli originali greci, principalmente sulle macchine da guerra, sui giochi e sulle applicazioni pratiche (ruote idrauliche e macchine per sollevare acqua). Riporto di seguitouna pag ina del codice arabo degli scritti di Filone.

Codice arabo di alcuni scritti di Filone di Bisanzio
C’è da sottolineare in particolare ciò che c’è nella Pneumatica: non si tratta di giochi o effetti mirabolanti ma di macchine dimostrative di particolari principi fisici come, a solo titolo di esempio, quello del sifone. Tra l’altro, Filone risulta essere l’inventore ed il realizzatore del primo mulino ad acqua con l’applicazione di una vite senza fine che ingrana con una ruota dentata permettendo di trasformare l’uno nell’altro movimenti di rotazione eseguiti su piani differenti. E’ il caso di una macina orizzontale che viene mossa dall’azione di una corrente d’acqua su una ruota verticale
Aggiungo che nel campo delle armi di offesa, sia Ctesibio che Filone (non sembra vi siano priorità), sostituirono il sistema di spinta delle catapulte basatosulle funi attorcigliate (la prima delle figure che seguono) con molle metallichedi bronzo (seconda figura) e con l’aria compressa(19) (terza figura). Non sembra però che tali sistemi abbiano avuto successo applicativo.



A Filone si deve anche una lampada ad olio con alimentazione e regolazione automatica del livello e i vari automi che riporto di seguito.

Lampada con controllo automatico del livello dell’olio

Fontana

Martellatore automatico
Ultimo tra i meccanici noti e dimenticati vi è Stratone di Lampsaco (circa 335-269) città situata sui Dardanelli vicina a Cizico. Di lui si sa poco: studiò ad Atene e fu allievo di Teofrasto. Fu poi chiamato ad Alessandria (circa 300) a seguito dell’opera di richiamo deipiù noti personaggi colti che fece Tolomeo I. Ad Alessandria egli fu precettore di Tolomeo II Filadelfo ed amico ed allievo di Aristarco. Quando Teofrasto morì egli tornò ad Atene a succedergli nella direzione del Liceo. Abbiamo addirittura un elenco di oltre 50 opere, fornitoci da Diogene Laerzio, che egli avrebbe scritto, opere delle quali ci restano solo pochi frammenti. Era tanto interessato alla natura da avere il nomignolo di Fisico ed a lui si attribuisce l’approccio alla natura mediante l’esperimento. Non vi è altro da aggiungere ed è un vero peccato.
ANTIKYTHERA
Nel 1902, sui fondali dell’isola di Antikythera, in un tratto di mare tra Peloponneso e Creta, un sommozzatore, Elias Stadiatos, rinvenne a fianco del relitto di una antica nave, uno strano oggetto di rame (dimensioni: circa 20 per 15 per 5 cm), un blocco incrostato e quasi irriconoscibile e vari altri detriti metallici.

Parte principale del ritrovamento di Antikythera

L’insieme dei componenti ritrovati ad Antikythera

Uno dei frammenti della macchina

Iscrizione trovata nel frammento precedente
Il ritrovamento era completamente estraneo ai reperti aspettati e divenne subito un qualcosa di strano capitato casualmente lì in epoca successiva al relitto della nave. Si pensò ad un qualche orologio moderno caduto in mare in qualche banale circostanza. La cosa restò in sospeso per molti anni, con gli sciocchi ufologi che si scatenarono con misteri ed alieni vari, finché a metà del secolo scorso il ritrovamento non fu sottoposto ad analisi accurate mediante raggi X, che hanno permesso di individuare delle scritte, Carbonio 14 e paleografica delle iscrizioni presenti sui frammenti, che ne hanno permesso la datazione.
Risultò databile intorno all’80 a.C. (Jacques Cousteau nel 1985 trovò sul relitto alcune monete coniate a Pergamo nell’86 a.C. ed il naufragio risale probabilmente a non molti anni più tardi) e D.J. de S. Price ne fece una prima ricostruzione nel 1959 per la rivista Scientific American del mese di giugno (l’articolo si può trovare in http://www.mlahanas.de/Greeks/Kythera.htm ). Le figure che seguono riportano i disegni della ricostruzione (le cifre forniscono le misure in millimetri):



Commentando il valore scientifico di tale scoperta, che sembra essere quella di un calcolatore astronomico molto progredito, De Santillana dice che in confronto i congegni di Erone sembrano una enciclopedia di passatempo per ragazzi. Il meccanismo è simile ad un orologio astronomico senza scappamento, cioè ad un calcolatore analogico moderno che sfrutta parti meccaniche per risparmiare calcoli lunghi e complessi. Secondo Price, come dice de Santillana si arrivò a progettare un ingranaggio azionato da un quadrante munito di una ruota dentata che girava nel corso di un anno, e questo ingranaggio metteva in movimento altre ruote, che a loro volta muovevano delle lancette indicanti il mese siderale, sinodico e draconitico. Si conoscevano simili cicli per i pianeti e furono studiati specie in relazione all’astrologia; in effetti, questo tipo di teoria aritmetica è il tema centrale dell’astronomia babilonese dei Seleucidi, che fu introdotta negli ultimissimi secoli avanti Cristo. Tali schemi aritmetici sono del tutto distinti dalla teoria geometrica dei cicli e degli epicicli in astronomia, che fu essenzialmente greca. I due tipi di teoria furono unificati e sviluppati al massimo, nel secolo II d.C., da Tolomeo.
La ricostruzione ipotetica del dr. Price può dare un’idea della complicazione del meccanismo. La forza motrice era immessa da un asse (forse connesso con un meccanismo d’orologeria) che passava attraverso un lato della scatola e metteva in moto una corona a denti frontali. Questa metteva a sua volta in movimento una grossa ruota motrice a quattro raggi che era collegata a due treni di ingranaggi disposti rispettivamente su e giù lungo la lamina, e collegati da perni ad altri ingranaggi dalla parte opposta della lamina. Da quella parte proseguivano gli ingranaggi che si trasmettevano il moto sulle due facce della lamina e portavano ad un piatto girevole epiciclico per terminare poi ad un sistema di alberi azionanti le lancette dei quadranti. Quando veniva azionato l’asse motore si muovevano tutte le lancette a varie velocità sui loro quadranti.
Mentre sul quadrante anteriore si leggeva il movimento annuale del sole nello zodiaco, su quelli posteriori si leggevano non solo i fenomeni lunari, ma anche le aurore e i tramonti, le stazioni e le retrogradazioni dei pianeti. La macchina di Antikythera è l’antenata diretta dei meccanismi arabi notevolmente più semplici, a noi noti; e poiché quei meccanismi sono il fondamento di ogni altra invenzione europea successiva nel campo dell’orologeria, la macchina greca è quindi l’antenata dei nostri congegni. Con la sua graduazione scientifica e il suo lavoro di precisione, essa ci rivela uno sfondo di complessa tecnologia irrimediabilmente perduto per noi.
A ciò Russo aggiunge
una serie di ingranaggi trasferivano il movimento da una ruota che rappresentava il ciclo solare a un’altra che indicava le rivoluzioni siderali della Luna, secondo il rapporto di 254 rivoluzioni siderali della Luna ogni 19 anni solari.
Dal punto di vista tecnologico due sono le caratteristiche più rilevanti delmeccanismo. La prima è la complessità degli ingranaggi, che producono il rapporto desiderato, 254:19, con l’impiego di una ventina di ruote dentate. E questa complessità che fa istintivamente classificare l’oggetto tra i lavori di “orologeria”. La seconda caratteristica è la più notevole ed è la presenza di un differenziale, cioè di un meccanismo che permette di produrre una rotazione di velocità pari alla differenza (o alla somma) di due rotazioni date. La funzione del differenziale era quella di mostrare, oltre ai mesi lunari siderali, anche le lunazioni (ottenute sottraendo il moto solare al moto lunare siderale).
Price arriva alla conclusione che la presenza di questo singolo oggetto di “alta tecnologia” è sufficiente per modificare le nostre idee sulla civiltà classica e smentire definitivamente i luoghi comuni sul disprezzo dei Greci per la tecnologia e sull’insuperabile solco che l’istituzione della schiavitù avrebbe creato tra la teoria e le scienze sperimentali e applicative.
Recentemente (metà novembre 2006) un gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Mike Edmunds e Tony Freeth dell’Università britannica di Cardiff, ha stabilito che il meccanismo di Antykithera era molto più sofisticato di quanto si ritenesse fino ad oggi.
Oltre ad essere la prova dello “straordinario potenziale tecnologico dei greci, perso con l’impero romano”. I ricercatori hanno stabilito con esattezza funzioni e pregio tecnologic del meccanismo, svelando, per esempio, la questione dei due display, uno anteriore, l’altro posteriore presenti su Antykithera. Grazie ad una Tac tridimensionale si è arrivati a leggere le iscrizioni che compaiono sul meccanismo e a decifrare il funzionamento dei display. In sostanza sul display anteriore si trovavano lancette che segnavano il passaggio del Sole e della Luna nelle costellazioni dello Zodiaco, oltre che indicazioni per le fasi lunari. Il display posteriore invece indicava il tempo in termini di due cicli astronomici con lancette per calcolare il ciclo Callippico, un ciclo (76 anni, di 365 giorni e 1/4 ciascuno), messo a punto dall’astronomo Callippo nel IV secolo per correggere il ciclo Metodico (19 anni, di 365 giorni e 5/19 ciascuno). Un’altra lancetta è per il ciclo di Saros, usato per predire le eclissi lunari e solari. Secondo un approfondimento pubblicato su Nature da Francois Charette, dell’università tedesca Ludwig Maximilians, l’importanza dello studio riguarda anche gli ingranaggi che segnano la variazione sinusoidale nel movimento della Luna nel cielo. In pratica, secondo i ricercatori, l’apparecchio rappresenta una realizzazione meccanica dei calcoli sull’irregolarità del moto lunare, modello geometrico sviluppato da Ipparco.
E’ d’interesse notare che Cicerone, nel De natura deorum [II, 88] aveva scritto:
Se qualcuno un giorno portasse a Cizia o in Britannia il planetario recentemente costruito dal nostro amico Poseidonio che ad ogni rivoluzione riproduce gli stessi movimenti che hanno luogo nei cieli, ogni giorno e notte, del Sole, della Luna e dei cinque pianeti, i nativi crederebbero che questo è il lavoro di un essere razionale ?(20)
LA FINE DELLA RIVOLUZIONE ELLENISTICA
L’espandersi dell’Impero di Roma mise fine al miracolo ellenistico. Qualcosa restò ed anche qualche personaggio di rilievo, come Claudio Tolomeo, ma inesorabilmente, apartire dalla seconda metà del secondo secolo a.C. iniziò un inarrestabile declino. Provo ora a dire qualcosa sulle cause ed a fare qualche considerazione.
Alcuni riferimenti possono essere utili. Nel 212 era stata saccheggiata Siracusa. Per molti anni Roma continuò a distruggere e saccheggiare molte città di cultura alessandrina.
Gli abitanti venivano resi in massa schiavi di Roma ed erano la merce colta per i ricchi patrizi che li assegnavano come istitutori per i figli i quali, crescendo erano un poco meno barbari. I libri, depredati da ogni biblioteca meno che da quella di Alessandria, facevano parte del bottino ma spesso, a parte gli schiavi greci, non vi era chi fosse in grado dileggerli, anche se erano un bell’ornamento in casa di ricchi barbari di Roma. Servivano divulgazioni senza troppi conti e complicazioni. Ed abbiamo visto che ciò gradualmente si fece. Apprezzate erano la letteratura e la poesia. La stessa filosofia suonava strana e forse pericolosa per il potere quando era compresa; e proprio perché era complicato seguire le differenti argomentazioni ci si ferma su Aristotele, Platone e Pitagora (quest’ultimo, grazie alla numerologia dei neopitagorici, permette ancora una flebile esistenza della matematica). Il ciclo distruttivo si concluse nel 146 a.C. quando Roma si impadronì di tutto con la distruzione di Cartagine e Corinto. Naturalmente i sovrani ellenistici (Tolomeo VIII) trovarono modo di ossequiare il padrone romano e lo aiutarono con lacacciata della comunità greca da Alessandria. Vi fu una diaspora, una fuga, soprattutto verso le uniche strade aperte, quelle che portavano ad Oriente. Ed una comunità scientifica, sradicata dal suo contesto è finita per sempre. Si mantengono le singole persone ma poi tutto finisce quando si secca la scuola come fonte(21).
Con Roma, alcuni fenomeni di irrazionalismo, mantenuti al margine dalla cultura positiva, avanzarono inesorabilmente. Gli apparati di potere dei regni ellenistici avevano optato per divinizzare l’autorità cui si dedicavano culti appositi; lo Stato aiutava al diffondersi di superstizioni; le prime conoscenze chimiche mescolate con la sempiternamagia originavano l’alchimia; la complessa e possente astronomia diventava uno straccio di astrologia; la Fortuna cieca diventava una divinità che si sbarazzava degli dèi antropomorfi; a fronte degli scienziati emigrati in Oriente, dall’Oriente arrivavano culti misterici misti a Vangeliesotici che annunciavano la Redenzione, a magie e riti particolari. Le pseudoscienze avanzarono inesorabilmente e restano in ottima salute anche oggi. Vi era stato un passaggio della scienza dalle mani di uomini liberi e rispettati a funzionari pagati dallo Stato ed ossequienti al sovrano. La scienza divenne il commentario di un tale autore a manuali estremamente semplici che via via sostituivano gli originali che si perdevano inesorabilmente. La letteratura invece, nella sua veste di retorica ad imitazione dei classici antichi, prosperava e diventava anche palestra per maestri di virtù e formatori del carattere.
C’è anche una conseguente caduta dell’economia dell’intera area mediterranea, precedentemente facente capo ad Alessandria. Ora è sempre Alessandria che produce merci e le esporta a Roma (più di quante ne partano da Roma verso Alessandria, come attestano varie testimonianze dai porti di Roma) ma i benefici di tali commerci tornavano a Roma, ad esempio, mediante il sistema di tassazione.
In ciò che ho detto abbiamo visto dei romani colti che si avvicinavano a quella culturama ne capivano molto poco. Anche chi secoli dopo, come Seneca e Plinio, era affascinato dalle opere scientifiche, riusciva a leggere solo le conclusioni tralasciando procedimenti logici e metodo Descrivevano i risultati eclatanti, come oggi fanno i giornalisti che parlano di scienza, ma dimenticavano i principi, la teoria, la fatica e la scuola che li produceva.
Anche un tecnico come Vitruvio (che pure ammette la difficoltà di capire le fonti), pur vicinissimo alle fonti medesime, riesce a dire cose penose sulla scienza che avrebbe dovutoalmeno lontanamente conoscere. Ce lo racconta Lucio Russo:
Vitruvio, che è stato certamente il principale autore romano sull’argomento, nel De architectura cerca di offrire un quadro completo della tecnologia: dalla costruzione degli edifici a quella degli automi, da quella degli orologi a quella degli organi e delle macchine belliche. Mostriamo con un esempio il suo livello di comprensione della tecnologia scientifica. Dopo avere descritto le livelle ad acqua, egli osserva:
Forse chi ha letto le opere di Archimede dirà che un vero livellamento non può attenersi con l’acqua, poiché egli afferma che la superficie dell’acqua non è livellata ma è la superficie di una sfera il cui centro è il centro della Terra [De Architectura, VIII, 5, 3]
Vitruvio non capisce quindi né che la superficie degli oceani può essere allostesso tempo orizzontale e sferica, né che la sfericità della superficie terrestre non può avere alcun effetto su oggetti delle dimensioni di una livella ad acqua.
Egli crede di superare la presunta difficoltà con l’osservazione seguente:
È necessario che dove viene versata l’acqua si abbia una curvatura al centro, ma è anche necessario che gli estremi destro e sinistro siano livellati tra di loro.
Non si tratta naturalmente di limiti personali, ma di una conseguenza inevitabile dell’assenza del concetto di “modello teorico”. Nell’opera di Vitruvio l’idrostatica di Archimede viene ridotta alla scoperta che,immergendo un corpo in una vasca piena, ne trabocca una quantità di liquido
eguale in volume al corpo immerso. Dopo avere riferito questa “scoperta”
come una delle più geniali di Archimede, Vitruvio conclude il suo resoconto dell’idrostatica raccontando la storiella di Archimede che corre a casa nudo e urlante. […]
Quello di Vitruvio è il massimo livello raggiunto da un trattato tecnico romano. Gli altri scrittori latini di argomenti tecnologici sono di livello inferiore. Ad esempio Frontino, che è l’autore del principale trattato latino sugli acquedotti, confonde sistematicamente la portata di una conduttura con l’area della sua sezione, ignorando così, in particolare, il ruolo della pendenza.
L’alto livello tecnologico degli acquedotti romani sembra conciliarsi male con questo livello di incompetenza, ma non bisogna dimenticare che Frontino nonè un ingegnere bensì il funzionario sovrintendente all’approvvigionamento idrico di Roma (il potente curator aquarum), mentre gli architetti addetti alla costruzione e alla manutenzione degli acquedotti sono schiavi che non possono certo permettersi di scrivere trattati.
In questo dilagare di impoverimento culturale a cascata, la vittima designata era la matematica che faticosamente si faceva strada uscendo dal fecondo terreno geometrico, intersecandolo con l’aritmetica, con i metodi analitici e con notazioni più avanzate. Tutto finito.
Tra i vari movimenti irrazionalisti che avanzavano si preparava il campo per la nascita del Cristianesimo che fu il colpo di grazia a ciò che restava del mondo ellenista.
Nel 46 a.C. fu saccheggiata Rodi, uno degli ultimi baluardi ellenistici; nel 30 a.C. fu conquistata Alessandria (anche se una qualche autonomia fu concessa alla città, tanto dasopravvivere addirittura all’Impero romano).
Dal movimento mistico Cristianesimo furono sferrati attacchi durissimi, anche cruenti contro ogni forma di cultura classica, particolarmente se scientifica. A partire dal III secolo d.C. riuscirono a fare il deserto nel mondo completando l’opera di distruzione dell’ultimo tempio di quell cultura, la biblioteca di Alessandria, con i noti fatti tragici che videro il linciaggio della matematica Ipazia quando, nel 415, ai Ctesibio ed agli Euclide di Alessandria si passò a San Cirillo della medesima città.
RINASCIMENTO ?
Dalla fine del mondo alessandrino passarono un migliaio d’anni prima che si ricominciasse effimeramente a costruire qualcosa di scientifico: Simplicio, Filopono, Eutocio, … Altri mille anni per arrivare a quello che chiamiamo Rinascimento. Ecco, deve essere ora chiaro che la parola è riferita alla rinascita di quel mondo, della rivoluzione scientifica che, con Russo, è tuttora dimenticata. Ogni autore di quel Cinquecento e Seicento richiama le opere del passato, quelle poche rimaste ed arrivate mediante ulterior spoliazioni dei crociati che le rapinavano a Costantinpoli, arrivate da commerci, da scambi diretti con il mondo arabo (Spagna e Sicilia) e quindi con enormi difficoltà tradotte e riportate alla luce. Valgano per tutti le parole di Giordano Bruno:
Sono amputate radici che germogliano, sono cose antique che rinvengono, sono veritadi occulte che si scuoprono: è un nuovo lume che, dopo lunga notte, spunta all’orizzonte ed emisfero de la nostra cognizione, e a poco a poco s’avvicina al meridiano de la nostra intelligenza.(22)
e serva una breve considerazione sulle radici a cui si riferisce Bruno. Sono quelle le nostre radici e non altre, sono quelle della cultura greca ed ellenistica che con fatica i nostri filosofi e scienziati del Seicento hanno riscoperto ed elaborato. Non certamente quelle di chi ha continuato a distruggere con colpi di maglio quel lume che mi auguro arrivi al meridiano dell’intelligenza di ogni essere umano per conservarci il Rinascimento contro l’oscurantismo e la superstizione di caste millenarie e di loro cantori.
Un’ultima considerazione suggeritami dalla lettura del libro di Russo. Occorre che tutti noi si presti molta attenzione ad un qualcosa che non è controllabile da un singolo ma da tutti insieme come fatto politico rilevantissimo. La conservazione delle nostre conoscenze è molto ma molto precaria. I supporti su cui il tutto viene trasferito sono oltremodo fragili e, attenzione, inutilizzabili qualora la tecnologia dei computer dovesse perdersi. Un CD rom, un video sono pezzi di plastica, pezzi di memorie magnetiche estremamente volatili.
Occorre convincersi e convincere che è indispensabile realizzare supporti indipendenti da una data tecnologia e durevoli il più possibile nel tempo.
NOTE
(1) Fornisco brevissimi dati biografici, per situare gli astronomi dei quali discuterò e dei quali non ho parlato altrove.
Eudosso nacque a Cnido, città dell’Anatolia vicina ad Alicarnasso (la Città di Erodoto che lavorò molto a Sibari nella Calabria della Magna Grecia), all’incirca nel 408. Si recò ad Atene dove studiò all’Accademia di Platone appena aperta. Fu allievo di Archita di Taranto che era stato a sua volta allievo di Filolao. Viaggiò a Menfi in Egitto dove fu allievo di uno scienziato egiziano. A Cnido fondò una scuola (ed una scuola fondò anche a Cizico) e costruì un osservatorio dal quale individuò nuove costellazioni. Non siamo a conoscenza se Eudosso ritenesse le sfere del suo sistema fisicamente esistenti o solo un espediente matematico per calcolare le posizioni planetarie.
Certamente Aristotele le considerò come fisicamente esistenti. Non ci sono giunte sue opere; possediamo solo un poema in versi (Fenomeni) di argomento astronomico del poeta ellenista Arato di Soli (III secolo a.C.) in cui raccontano in versi le scoperte di Eudosso e di altri astronomi.
Callippo nacque a Cizico (370-325), una città sulla costa del Mar di Marmara a nord di Pergamo.
Fu giovane allievo di Eudosso anche se era critico con il suo sistema perché non spiegava la variazione di luminosità dei pianeti. Studiò al Liceo di Atene dove insegnava Eudosso e per un certo periodo collaborò con Aristotele. Sue notizie le abbiamo dalla Metafisica di Aristotele, da Simplicio.
Aristarco nacque a Samo, isola della Ionia nell’Egeo, all’incirca nel 310. Fu studente di Stratone di Lampsaco (a sua volta allievo di Teofrasto) che dirigeva il Liceo di Aristotele. Scrisse Sulledimensioni e distanze del Sole e della Luna che conosciamo nella traduzione di F. Commandino (Pesaro 1572). Ogni altro suo contributo lo abbiamo appreso attraverso ciò che ha lasciato scritto Archimede nell’Arenario. Plutarco ci dice qualcosa e Vitruvio lo pone tra i grandi del pensiero. La vicenda della condanna per empietà per aver insegnato la teoria eliocentrica merita il commento di Russo. L’idea che Aristarco fosse troppo in anticipo sui tempi per influenzare durevolmente il corso della scienza è suggerita anche dall’episodio, spesso ripetuto, dell’accusa di empietà che l’eliocentrismo avrebbe provocato nei suoi confronti. La notizia sarebbe riferita da Plutarco (De facie in orbe lunae, 923A). In realtà l’accusa di empietà ad Aristarco risale al filologo del XVII secolo G. Ménage, il quale (evidentemente influenzato dai processi a Bruno e a Galileo) per poter leggere l’accusa in Plutarco scambiò tra loro un accusativo e un nominativo, stravolgendo il significato del passo. Gli editori successivi, considerando forse inevitabile la relazione tra eliocentrismo ed empietà, hanno accettato quasi senza eccezioni l’emendamento al testo di Plutarco, che è divenuto canonico nella versione “modernizzata” dal Ménage.
Ipparco nacque nel 190 a Nicea ma è conosciuto anche come Ipparco di Rodi perché passò gran parte della sua vita in quest’isola della Ionia nell’Egeo. Sappiamo che scrisse almeno 14 libri, tutti perduti meno una sua opera minore del 140: Commentario ai Fenomeni di Arato e di Eudosso in 3 libri. Sue notizie ce le forniscono: Tolomeo (II secolo d.C.) nell’Almagesto, Pappo, Teone di Alessandria (IV secolo d.C.), Plinio il Vecchio. Ebbe una qualche relazione con Alessandria e con Babilonia ma non sappiamo altro.
(2) Se si eccettuano alcune elaborazioni di Eraclide Pontico (385-322 a.C.), nato ad Eraclea nel Ponto (Mar Nero) ed emigrato da Atene, dove fu allievo di Platone all’Accademia e probabilmente di Aristotele al Liceo. Eraclide, vicino alle idee dei pitagorici, per spiegare il moto diurno dei cieli, pensò ad un moto della terra intorno al proprio asse da occidente ad oriente (tali notizie le abbiamo da Aezio del I secolo d.C., Plutarco e Simplicio del VI secolo d.C. che scrive: pensando di salvare i fenomeni, Eraclide supponeva che la Terra sta al centro e ruota, mentre il cielo è in quiete. Salvare i fenomeni dunque è inteso come spiegare i fenomeni con il minor numero di ipotesi aggiuntive e quindi con la maggiore semplicità possibile); giunse probabilmente a teorizzare un movimento di Venere e di Mercurio intorno al Sole, continuando questo a ruotare intorno alla Terra, un’anticipazione del sistema di Thyco Brahe (tali notizie le abbiamo dallo storico latino Calcidio nel suo Commento al Timeo di Platone). Da un simpatizzante pitagorico come Eraclide questo interesse per i moti planetari mostra che si tentava di mettere insieme i modelli matematici teorici con spiegazioni fisiche.
In un controverso ed oscuro passo del Timeo (40 bc) lo stesso Platone sembra aver parlato di Terra che ruota su se stessa. Il termine usato illomenen si può tradurre con si avvita o ravvolta intorno al Polo. La traduzione di cui dispongo, quella di Cesare Giarratano del 1928, dice: Quanto alla terra, nostra nutrice, costretta intorno all’asse che si distende per l’universo … Ma davvero non si capisce bene.
(3) Matematicamente una tale proporzione non ha senso ma la si può capire come un’esemplificazione che debba rendere conto di una cosa enorme rispetto ad una piccola. E’ evidente che Aristarco voleva qui dire che l’orbita della Terra è ben piccola cosa rispetto alla distanza della sfera delle stelle fisse. La cosa è confermata da Archimede che non dice nulla e riporta tale affermazione con tranquillità.
(4) Dice Russo: “Osserviamo che, mentre l’attribuire moti alla Terra genera naturalmente posizioni “relativistiche”, queste posizioni, a loro volta, possono far apparire poco rilevante la questione degli eventuali moti della Terra. I punti precedenti possono quindi spiegare anche perché le fonti ellenistiche successive ad Aristarco, a cominciare da Archimede, siano apparse ai moderni così “fredde” sulla questione dell’eliocentrismo da generare la convinzione che esso fosse stato subito abbandonato.
Una conferma a quest’ultima osservazione viene da uno dei maggiori studiosi moderni dell’astronomia antica. J.L.E. Dreyer, che aveva certamente studiato con grande cura tutte le testimonianze riguardanti sia Aristarco che gli astronomi successivi, scrive:
Aristarco fu l’ultimo dei grandi filosofi o astronomi del mondo greco a proporsi seriamente di indagare il vero sistema fisico del mondo. Dopo di lui troviamo varie teorie matematiche geniali che rappresentavano in modo più o meno fedele i moti osservati dei pianeti, ma i cui autori giunsero gradualmente a considerare queste combinazioni di moti circolari come un semplice espediente per poter calcolare la posizione di ogni pianeta in un momento qualsiasi, senza insistere sulla verità fisica del sistema.
Questo passo è molto istruttivo: il fatto che Dreyer pensi che la verità fisica di una teoria astronomica sia qualcosa di diverso dalla sua capacità di prevedere la posizione osservabile di ogni pianeta in ogni momento fa sospettare che la metodologia scientifica ellenistica non fosse stata ancora pienamente recuperata all’epoca di Dreyer (la Storia dell’astronomia da cui è tratta la citazione è del 1906). Ma in cosa consiste per Dreyer la verità fisica di un sistema astronomico?
Evidentemente nella sua capacità di determinare i moti veri dei pianeti. Dreyer infatti certamente crede a uno spazio assoluto rispetto al quale i moti debbono essere individuati dagli astronomi.
Egli, non ritrovando lo stesso concetto negli antichi astronomi, ne trae la facile (ma incauta) deduzione che tale mancanza costituisse un grave limite dell’astronomia ellenistica”.
(5) I conti fatti da Aristarco sono riportati da Gino Loria, pagg. 481-487.
(6) Eratostene era nativo di Cirene nel Nord Africa (attuale Libia). E’ un contemporaneo più giovane di Archimede ed Aristarco. Trascorse parte della sua giovinezza ad Alessandria, dove fu allievo del poeta Callimaco, e parte ad Atene dove su allievo dello stoico Zenone. In quest’ultima città subì gli influssi dello stoicismo e dell’Accademia di Platone. Quando morì Callimaco, direttore della Biblioteca di Alessandria, fu chiamato (intorno al 240) dal re Tolomeo III Evergete a sostituirlo ed a fare da tutore al proprio figlio. Era famoso per la sua cultura che spaziava dalle scienze umane a quelle naturali. Gli sono attribuite oltre 50 opere delle quali non possediamo che pochi frammenti. Era ad Eratostene che Archimede aveva indirizzato il suo scritto Sul metodo. Egli descrisse il suo procedimento, che discuto nel testo, nel trattato Sulla misura della Terra, che oggi è perduto. Alcuni passi di tale lavoro ci sono pervenuti tramite Cleomede, Teone di Smirne e Strabone. Si lasciò morire di fame per aver perso la vista.
(7) Le differenze tra differenti valori dello stadio discendevano in gran parte dalla sua definizione che era di 600 piedi. Era la differenza del valore assegnato ai piedi che dava differenti valori dello stadio. Nella Grecia continentale (Attica) il suo valore poteva oscillare tra 177 e 213; in età alessandrina, oltre alla utilizzazione dello stadio attico, si consideravano stadi più piccoli, variabili tra 149 e 165 metri.
(8) I poli celesti sono i due punti in cui l’asse di rotazione interseca la sfera celeste: il polo Nord celeste è la proiezione del polo Nord terrestre e il polo Sud celeste è la proiezione del polo Sud terrestre. Una conseguenza del moto dell’asse terrestre a doppio cono è la variazione dei poli celesti e quindi, per noi sulla Terra, la variazione del riferimento celeste che ci indica il Nord. Oggi è approssimativamente la Stella Polare (la stella più luminosa del piccolo carro, a Ursae Minoris) ma non è stato sempre così e non sarà sempre così. La stella Polare indicava il Nord 26 000 anni fa, lo indica ora e per riaverla ad indicare il Nord dovranno passare altri 26 000 anni. In questo intervallo di tempo, altre stelle si cambieranno posto ad indicare il Nord (vedi figura).

Da http://www.opencourse.info/astronomy
(9) Riporto di seguito delle figure orientative ed una minima descrizione degli strumenti citati nel testo.

Quadrante da http://www2.unibo.it/musei-universitari/PercorsoNS/dodici.html . Il quadrante è un quarto di cerchio con un’asta imperniata nel centro. Esso consente la misura dell’altezza di un astro. L’altezza dell’astro è l’angolo formato tra la direzione sotto cui vediamo l’astro e la linea orizzontale. Tale angolo è uguale (angoli formati da lati tra loro perpendicolari) a quello formato tra il filo a piombo (verticale del luogo) e lo zero del goniometro. Il quadrante si rende statico quando si vuole avere un riferimento stabile nel tempo: allo scopo si fissa ad esempio ad un parete (come mostrato nella figura seguente) o, addirittura, si costruisce in muratura come quello che fu realizzato per Thyco Brahe intorno al 1580 (come mostrato nella figura ancora successiva).



Il triquestro (da Singer). Il triquetro è formato con tre aste articolate, poste sul piano meridiano (quello che contiene i punti cardinali Sud e Nord e lo zenit del luogo). Un’alidada è imperniata all’estremità superiore di una scala graduata. L’estremità libera dell’alidada è applicata a un’assicella mobile, in modo che la sua distanza dal perno sia sempre uguale alla distanza fra il perno superiore e quello inferiore della colonna graduata. Con l’uso di opportune mire consente, come il quadrante, di determinare le altezze degli astri quando attraversano il piano meridiano. La distanza fra gli estremi mobili dell’assicella serviva a misurare la corda dell’angolo formato dall’alidada e la colonna verticale. La lunghezza della corda veniva ricavata su una tabella delle corde.

Dioptra semplice. L’osservatore metteva l’occhio in B e traguardava l’astro in C.

Astrolabio piano. Secondo alcuni l’astrolabio fu realizzato dallo stesso Ipparco.

Sfera armillare da http://spiro.fisica.unipd.it/servizi/servizi.html . La sfera armillare (o astrolabio sferico) è un modello della sfera celeste realizzato con cerchi che rappresentano i cerchi fondamentali che vengono tracciati sulla stessa sfera celeste: il cerchio meridiano, l’equatore, l’eclittica e alcuni altri cerchi (paralleli, meridiani). Lo strumento è dotato di mire che consentono la misura delle coordinate stellari. La sfera di Ipparco disponeva di due anelli rappresentanti i cerchi principali della sfera celeste. Mediante un sistema di puntamento dell’astro permetteva di stabilirne le coordinate celesti.

Una ricostruzione del planetario di Archimede. Pappo ci racconta che Archimede aveva descritto la costruzione di un planetario nella sua opera perduta Sulla costruzione delle sfere. Cicerone, nelle Tusculanae disputationes (I, 63) racconta: In realtà, quando Archimede racchiuse in una sfera i movimenti della luna, del sole e dei cinque pianeti, fece lo stesso che colui che nel Timeo edificò l’universo, il dio di Platone, e cioè che un’ unica rivoluzione regolasse movimenti molto diversi per lentezza e velocità. E se questo non può avvenire nel nostro universo senza la divinità, neanche nella sfera Archimede avrebbe potuto imitare i medesimi movimenti senza un’intelligenza divina. Tale strumento quindi riproduceva il moto apparente del sole, della luna e dei pianeti intorno alla Terra.
(10) Fu, io credo, per queste ragioni, e specialmente per non aver avuto dai suoi predecessori una quantità di osservazioni precise paragonabile a quelle che ha lasciato a noi, che Ipparco, che amò la verità sopra ogni cosa, si limitò a studiare le ipotesi del Sole e della Luna, dimostrando che era possibile render perfettamente ragione delle loro rivoluzioni mediante combinazioni di moti circolari e uniformi, mentre per i cinque pianeti, almeno negli scritti che ci ha lasciato, non ha neppure cominciato ad affrontarne la teoria, accontentandosi di raccogliere sistematicamente le osservazioni e mostrando che non s’accordano con le ipotesi dei matematici del suo tempo. Di fatto egli fece vedere non solo che ogni pianeta ha due generi di ineguaglianze, ma anche che le retrogradazioni di ciascun pianeta sono di estensione variabile, mentre gli altri matematici si erano limitati a dimostrare geometricamente una singola ineguaglianza e un singolo arco di moto retrogrado; ed egli credeva che questi fenomeni non si potessero rappresentare né con cerchi eccentrici, né con epicicli in moto su cerchi concentrici, ma che, per Giove, fosse necessario combinare le due ipotesi. [Tolomeo, Syntaxis, IX, 2; citato da Dreyer].
(11) Per una trattazione più esauriente si può vedere: R. Renzetti, Astrologia, alchimia, magia e religione alle loro origini note. a quanto qui detto occorrerebbe anche aggiungere l’irruzione massiccia dell’alchimia. Chi fosse interessato può trovare un’ampia trattazione della sua nascita e storia negi articoli sull’alchimia presenti nel sito.
(12) Riporto il brano di Vitruvio, De Architectura, VII, praef., 12-14. La parte che qui interessa è la 14.
[12] Postea Silenus de symmetriis doricorum edidit volumen; de aede ionica Iunionis quae est Sami Rhoecus et Theodorus; ionice Ephesi quae est Dianae, Chersiphron et Metagenes; de fano Minervae, quod est Prienae ionicum, Pytheos; item de aede Minervae, dorice quae est Athenis in arce, Ictinos et Carpion; Theodorus Phocaeus de tholo, qui est Delphis; Philo de aedium sacrarum symmetriis et de armamentario, quod fuerat Piraei portu; Hermogenes de aede Dianae, ionice quae est Magnesia pseudodipteros, et Liberi Patris Teo monopteros; item Arcesius de symmetriis corinthiis et ionico Trallibus Aesculapio, quod etiam ipse sua manu dicitur fecisse; de Mausoleo Satyrus et Pytheos.
[13] Quibus vero felicitas maximum summumque contulit munus; quorum enim artes aevo perpetuo nobillisimas laudes et sempiterno florentes habere iudicantur, et cogitatis egregias operas praestiterunt. Namque singulis frontibus singuli artifices sumpserunt certatim partes ad ornandum et probandum Leochares, Bryaxis, Scopas, Praxiteles, nonnulli etiam putant Timotheum, quorum artis eminens excellentia coegit ad septem spectaculorum eius operis pervenire famam.
[14] Praeterea minus nobiles multi praecepta symmetriarum conscripserunt, uti Nexaris, Theocydes, Demophilos, Pollis, Leonidas, Silanion, Melampus, Sarnacus, Euphranor. Non minus de machinationibus, uti Diades, Archytas, Archimedes, Ctesibios, Nymphodorus, Philo Byzantius, Diphilos, Democles, Charias, Polyidos, Pyrrhos, Agesistratos. Quorum ex commentariis, quae utilia esse his rebus animadverti, [collecta in unum coegi corpus, et ideo maxime, quod animadverti] in ea re ab Graecis volumina plura edita, ab nostris oppido quam pauca. Fufidius enim mirum de his rebus primus instituit edere volumen, item Terentius Varro de novem disciplinis unum de architectura, P. Septimius duo.
(13) L’opera è andata perduta e ne sappiamo qualcosa dal commento di Eutocio al trattato di Archimede Sulla sfera ed il cilindro. E’ d’interesse osservare, come ci racconta Plutarco, che Platone rimproverò Archita per aver contaminato la geometria con la meccanica.
(14) Questo sesto postulato ha giocato grande importanza storica per non essere stato capito da Ernst Mach che, ne La meccanica nel suo sviluppo storico critico (Boringhieri, 1968), criticaArchimede come se avesse fatto un errore di tipo logico nel ricavare le leggi della leva (dice Mach che dalla pura assunzione dell’equilibrio di pesi uguali situati a distanze uguali è derivata la proposizione inversa fra pesi e distanze! Com’è possibile ? Se non abbiamo scoperto con il solo ragionamento la semplice dipendenza dell’equilibrio dal peso e dalla distanza, ma abbiamo dovuta ricavarla dall’esperienza, tanto meno potremo determinare con procedimento speculativo la forma di questa dipendenza, cioè la proporzionalità. Ed aggiunge l’intera deduzione di Archimede contiene già come ipotesi, anche se non formulata esplicitamente, la proposizione che deve essere dimostrata). Le cose sono state rimesse a posto da Toeplitz e Dijksterhuis dando il giusto valore al postulato VI di Archimede. Tale postulato va letto non superficialmente per come è scritto (grandezze poste alle stesse distanze) ma dando a quelle parole il seguente valore: grandezze i centri di gravità delle quali sono posti alle stesse distanze (dal fulcro). Per la discussione in proposito si può vedere la nota 7 di Frajese in Archimede, Opere, pag. 403 ed anche Russo nella nota 63 di pag. 69. Russo aggiunge che l’analisi di Archimede era molto più sottile di quella di Mach e che anche intellettuali del livello di Mach sono caduti nella trappola di presumere che il tempo trascorso consenta una automatica facile superiorità sugli scienziati ellenistici.
(15) La cosa è più complessa per i corpi solidi. Si deve poi osservare che è previsto anche il caso di baricentro non situato all’interno del corpo ma all’esterno di esso.
(16) Aristotele nella Fisica (VII, 5, 250a) aveva sostenuto l’impossibilità per un solo uomo di avere vantaggi dalle macchine al suo solito modo, se ciò accadesse allora un uomo potrebbe… . Leggiamo il brano di Aristotele:
Se, poi, [la forza] A muoverà B nel tempo T secondo la lunghezza L, la metà di A, cioè E, non muoverà B nel tempo T né in una parte del tempo T secondo una parte della lunghezza L che sia rispetto all’intero L nella stessa proporzione in cui è la forza A rispetto alla forza E: [ … ] se fosse altrimenti, un uomo solo muoverebbe la nave, qualora venissero numericamente divise la forza di quelli che la tirano a secco e la lunghezza secondo cui tutti la muovono.
(17) Su chi sia Erone di Alessandria vi è grande incertezza. Non si è in grado di dire quasi nulla di lui. Certamente non va confuso con Erone Alessandrino, maestro di Proclo o con Erone il Giovane del X secolo d.C. L’incertezza nasce dal fatto che egli è citato come Erone e basta ed il vocabolo erone in egizio vuol dire ingegnere. Nasce così il dubbio che sotto il suo nome siano state sistemate varie opere di carattere tecnico e varie applicazioni pratiche di ritrovati scientifici. Sembra abbia insegnato materie tecniche ad Alessandria, che abbia studiato le opere di Ctesibio, Filone, Archimede ed Euclide. A lui sono attribuite varie opere: Pneumatica, Automata, Mechanica, Metrica, Sulla diottra, Belopoeica, Catottrica. Altre opere che gli erano attribuite (Geometria, Stereometrica, Mensurae, Cheirobalistra, Definitiones) sono recentemente state giudicate non sue.
(18) Osserva Forti che questi giochi erano spettacolari e potevano suscitare un timore reverenziale nei rozzi fedeli.
(19) Ctesibio è noto per essere stato il primo a costruire un cannone ad aria compressa.
(20) Quod si in Scythiam aut in Brittanniam sphaeram aliquis tulerit hanc, quam nuper familiaris noster effecit Posidonius, cuius singulae conversiones idem efficiunt in sole et in luna et in quinque stellis errantibus, quod efficitur in caelo singulis diebus et noctibus, quis in illa barbaria dubitet, quin ea sphaera sit perfecta rarione; hi autem dubitant de mundo, ex quo et oriuntur et fiunt omnia, casune ipse sit effectus aut necessitate aliqua an ratlone ac mente divina, et Archimedem arbitrantur plus valuisse in imitandis sphaerae conversionibus quam naturam in efficiendis; praesertim cum multis partibus sint illa perfecta quam haec simulata sollertius.
(21) Russo esemplifica con lo smembramento di una delle comunità scientifiche più evolute ed avanzate del mondo, quella dell’ex URSS che ha lasciato dietro di sé un deserto scientifico senza aver avuto l’opportunità di costruire qualcosa altrove. Posso aggiungere la diaspora degli scienziati tedeschi con l’avvento di Hitler e, più vicini a noi, i colpi di maglio della Chiesa ai nostri scienziati del Rinascimento e Barocco che hanno allontanato la scienza dall’Italia fino a Fermi e la sua scuola che, a sua volta, fu smembrata e resa poca cosa dalla politica del Fascismo.
(22) Da G. Bruno, De l’infinito universo et mondi in Bruno e Campanella, Opere, Ricciardi 1956, pag. 439.
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